LASENSIBILITÀ MUSICALE COMEVEICOLO D'APPARTENENZA ADUNACIVILTÀ la Voce del popolo musica www.edit.hr/lavoce Anno 9 • n. 70 mercoledì, 29 maggio 2013 MUSICA D'ARTE E POPOLARE: LINEE GENERALI DELLA TRADIZIONE MUSICALE IN ISTRIA, QUARNERO E DALMAZIA DALL'IMMENSA E SECOLARE EREDITÀ DEI CANTI PATRIARCHINI,TRASMESSA ORALMENTE AGLI AUTORI DELLA CONTEMPORANEITÀ TEATRO E MUSICA OMAGGIO ALL'ARTISTA IL COMMENTO ATTUALITÀ Clara Schumann, l'inquieto mondo di una grande artista La stanza memoriale del grande Antonio Smareglia I «Vespri siciliani» di Spalato sono davvero una «prima»? Astrid Kuljanić alla Manhattan School of Music Il monologo di Valeria Moretti, interpretato da Ksenija Prohaska, specchio della vita familiare della celebre pianista La travagliata esistenza artistica del Maestro polese, incompreso dal proprio tempo e tuttora relegato in ingiusto oblio La prima dell'opera verdiana sull'odierno territorio croato avvenne a Fiume al Teatro Adamich nel 1868 Un master a New York che potrebbe diventare realtà se la cantante jazz fiumana riuscirà a rimediare i mezzi 2|3 6|7 8 8 2 mercoledì, 29 maggio 2013 musica la Voce del popolo TEATRO E MUSICA di Sandro Damiani UNADONNASENZAINFINGIMENTI NELLAVIRTUOSISTICACONCILIAZIONE DEISUOITANTIRUOLI R oma 7 aprile 2009, Teatro dell'Orologio. Si è appena concluso, sommerso da convintissimi applausi, lo spettacolo "Marlene Dietrich". Ksenija Prohaska e il pianista Ivan Božičević sono nei camerini. Gli amici, i conoscenti ed i colleghi con cui mi intrattengo sono entusiasti della prova di Ksenija. Mario Moretti, fondatore e direttore di questo importante spazio della scena romana tornerà pure la sera appresso e con lui la collega scrittrice, e omonima, Valeria Moretti, la quale un paio di ore prima ci aveva messo a disposizione un asse da stiro per esigenze di palcoscenico. Quando i protagonisti della serata escono, vengono immediatamente circondati, più che dagli spettatori in carne ed ossa, dal loro affetto e dalla loro stima. C'è anche l'ambasciatore croato a Roma con un enorme mazzo di rose. Un progetto teatrale per Ksenija-Clara || Clara e Robert Schumann Non so se per caso o perché, mi ritrovo da solo con Valeria, la quale, prima di andare pure lei a complimentarsi con l'attrice e il pianista, mi dice a bruciapelo: "Ho un progetto per la Prohaska, spero le piaccia: Clara Schumann". Conosco le qualità drammaturgiche di Valeria: ha scritto, regolarmente rappresentate a Roma e a Parigi, parecchie commedie a due e monologhi incentrati su personalità femminili di spicco. Arguisco, perciò, che la Clara di cui ha fatto il nome non è, come verrebbe da pensare, "la moglie di Robert Schumann". O meglio, è lei, ma, forse non si tratta "solo" della moglie del grande compositore... Per tutta risposta – sapendo, e superficialmente, due o tre cosine in materia, quindi dando per scontato che Clara abbia composto anche dei lead – dico: "Non penserai che con questa voce, Ksenija possa interpretare delle arie della Schumann o di suo marito!?". Non gliel'ho mai chiesto, penso però che in quel momento a Valeria siano crollate le braccia, pensando fra sé e sé: "Come gli può venire in mente che io possa reputare buona per dei leader un'interprete che non abbia il timbro e la vocalità propri della cantante lirica?". "La musica non c'entra – mi dice – mi riferisco al personaggio". Una volta rientrati a casa, accenno a Ksenija la cosa e mi dò subito da fare col PC: "Clara Josephine Wieck Schumann (Lipsia, 13 settembre 1819 – Francoforte sul Meno, 20 maggio 1896)... Robert Alexander Schumann (Zwickau, 8 giugno 1810 – Bonn, 29 luglio 1856). Mah... Dai propositi ai fatti || Clara Schumann Salona, 21 luglio 2010. Prodotto dal Solinsko kulturno ljeto, in collaborazione con l'Associazione artistica “Caravan” di Spalato va in scena il monologo drammatico con musiche "Clara Schumann". Tra il pubblico – oltre trecento spettatori - c'è Valeria Moretti. Tra recitato e intermezzi musicali, un'ora e mezza di spettacolo, senza pause. La pianista Iryna Smirnova, alla sinistra del pubblico, ma nel medesimo spazio scenico in cui agirà l'Attrice, cioé il camerino di un teatro, ha appena concluso il primo intervento musicale, quando da dietro le quinte appare Clara. Ha appena terminato l'ennesimo concerto in una capitale europea, lontano da casa. Tiene in mano un mazzo di fiori. E' emozionata e felice. Il pubblico l'ha subissata di applausi; anche gli orchestrali || Valeria Moretti, l'autrice del monologo "Clara Schumann" – dice – l'hanno acclamata. Si siede sul sofà, si serve una tisana e si apre ad un monologo, in realtà un dialogo: lei bambina e suo padre, un burbero (per lei) e antipatico (per noi) maestro di piano, ambizioso ed egoista. Quindi "si intrattiene", nei ricordi, col suo amato Robert, scomparso alcuni anni prima. E poi, i figli, gli amici. E innumerevoli dialoghi interiori e monologhi. Tenere reminiscenze Tutta la prima parte dello spettacolo è all'insegna della "leggerezza": i ricordi, certo, la immalinconiscono un pò, ma si tratta di una malinconia sana, che non fa soffrire, nemmeno quando ricorda la mamma, da cui ha dovuto vivere lontano, dopo la separazione dei genitori. "Ma – dice Clara – le madri non hanno bisogno di essere presenti per essere essenziali, importanti, indimenticabili... Le madri resistono a tutto, anche all'assenza". Nell'insieme, si tratta di bei ricordi: lei bimba che, al piano, con i piedini che non toccano nemmeno terra, riceve l'inchino di Niccolò Paganini con cui aveva appena suonato e che aveva scritto per lei delle composizioni; la medaglia avuta da Goethe, i primi scambi di parole col nuovo allievo del padre, un bellissimo Robert Schumann: lei noce, lui diciott'anni... Poi legge la posta pervenutale in giornata: inviti per cento concerti in America, le spiritose congratulazioni di Johannes Brahms che proprio lei e suo marito avevano, diciamo cosi, tenuto al battesimo artistico; la bella notizia da Parigi, dalla Società degli editori, la quale l'informa che i diritti d'autore di Robert Schumann sono raddoppiati rispetto a Berlioz, Wagner, Liszt. Soprattutto grazie a lei, la maggiore concertista al mondo, che ad ogni esibizione, in repertorio accanto alle musiche di Mendelsohnn, Chopin, Beethoven suona regolarmente quelle di Robert, di cui si sapeva poco o nulla, al di fuori della cerchia dei compositori e critici, peraltro amici, tedeschi. Robert marito di Clara Wieck Schumann! Ecco, dunque, che dalla penna di Valeria Moretti veniamo a sapere ciò che nessun biografo né critico musicale ci ha mai detto, se non molto sommessamente, e cioé che Clara Schumann per non pochi decenni dell'Ottocento, non era la "moglie di Robert Schumann", ma che lui era il marito di Clara Wieck Schumann! Dal secondo dopoguerra in poi sono stati girati ben tre film su questa coppia, ahimé per troppo poco tempo felice... Per una buona quarantina di minuti, inclusi gli interventi musicali, l'atmosfera è gaia, festosa, tanto più che i ricordi del menage quotidiano, con un esercito di bambini intorno (ne avevano otto, in tredici anni di vita vissuta insieme) sono spensierati. Certo, non mancano dei brevi musica la Voce del popolo mercoledì, 29 maggio 2013 3 || Ksenija Prohaska come Clara a Salona momenti di tristezza: come quando si rammarica che nei dopoconcerti in giro per l'Europa nessuno sappia chi sia il suo accompagnatore, suo marito, che lei invece sa trattarsi di un genio: "Ah, si occupa di musica pure lei?" chiedono a Robert. Oppure quando lo "vede" alle prese con la menomazione dell'anulare che Schumann aveva definitivamente compromesso a causa di strani tentativi di raggiungere virtuosistiche velocità di esecuzione. Dramma familiare Nell'aria, tuttavia, si avverte che sta per arrivare un temporale: troppa gioia, troppa levità. Sono le stesse leggi della scrittura drammatica a indicare che prima o poi ci sarà un cambio di passo. Che avviene quando Clara legge la lettera che aveva deciso di guardare per ultima, essendo arrivata da casa, dove come sempre aveva lasciato tutto predisposto per il meglio, grazie ad una condizione di vita assai agiata. La apre. Resta impietrita: "Ludwig è stato internato in manicomio nel vecchio castello di Colditz". E' il crollo. La pianista lascia, come a causa di una magia nera, il posto alla madre. Disperata e contemporaneamente "colpevole": il riflesso di Pavlov, tipico delle madri: si sentono sempre in colpa quando capita una disgrazia in famiglia, anche quando non c'entrano nulla. "Avrei dovuto sapere", dice, che Ludwig, sempre in disparte, il meno talentuoso in fatto di musica, il meno espansivo "sempre ritroso, pochi sorrisi, poche lacrime, indecifrabile", quello che con gli occhi "mi sembra che mi chiedesse di non andare", di stargli vicino... Ovviamente, il dramma del piccolo (detto fra noi: rinchiudere in un manicomio un ragazzino in età nemmeno puberale... una follia, un crimine!?) riporta alla luce gli ultimi tremendi anni di Robert, poco più che trentenne, la sua graduale perdita di senno, il tentativo di suicidio, le paure. Infine, il ricovero e il rifiuto di vedere chiunque, la perdita della memoria:"Robert è morto da solo... non c'ero quando spirò. Arrivai mezz'ora più tardi... Forse avrei dovuto capire prima". Molto prima, si ripete Clara in preda all'angoscia e a un IL MONOLOGO «CLARA SCHUMANN» DI VALERIA MORETTI, INTERPRETATO DA KSENIJA PROHASKA, DISCHIUDE IL COMPLESSO ED INQUIETO MONDO INTERIORE, PROFESSIONALE E FAMILIARE DI UNA GRANDE ARTISTA rimorso che oggettivamente non dovrebbe sentire. In fondo, cosa si sapeva, all'epoca, delle malattie mentali, della fragilità psicologica? "Psicologia": pare che la prima volta il termine fosse stato usato dal dalmata Marulo/Marulić; e poi da Cartesio, Hobbes, Locke. Di certo se ne è servito Kant, ma fino alle teorie sulle emozioni di Darwin siamo lontanissimi da ciò che verremo a sapere da Wilhelm Wunt in poi, e soprattutto con Freud. Angosciosa impotenza Brancolano nel buio i medici che hanno in cura Robert, idem quelli che si occupano di Ludwig. Clara più di loro. Non sa - non può saperlo - darsi spiegazioni sull'origine e il perché di questa grande sofferenza dell'amato marito, e del figlio. "Ci sono momenti, anch'io li ho provati, nei quali ci sentiamo affondare come un vascello in piena burrasca e l'anima si stacca dal corpo", dice rammentando i sempre più frequenti momenti di alienazione di Robert. "Fui muta di fronte alla follia, perché la genialità era lì, presente più che mai ed era più forte e più viva di tutto il resto. Forse certe dissonanze esaltano armonie unificando nel profondo di noi ciò che apparentemente sembra diviso. Lui forse ha voluto andare oltre, là dove nascono e muoiono i sogni, oltre i limiti, oltre l'orizzonte, lontano". E ancora: "Io amavo Robert, ma il mio amore non è bastato a proteggerlo, non sono riuscita a illuminare quel buio indistinto che l'avvolgeva". E' il massimo della spiegazione che si può dare. Ma la vita va avanti. Oltre a Ludwig ci sono altri sette figli da crescere e lasciare andare per la loro via in condizioni da poterla affrontare senza troppi problemi. Quanto al piccolo: "Questa volta, no. Strapperò mio figlio alla notte: lui così fragile, così inquieto, così indifeso... No, non lascerò che il buio mi rubi anche Ludwig! Non lascerà che sia il Nulla a condurre il Ballo! Ci riuscirò?" L'inarrestabile flusso della vita Un ultimo ricordo va a Robert: "Quando fu adagiato nella tomba ebbi la sensazione che sottoterra ci fosse solamente il suo corpo, non la sua anima. La sua anima era volata via ed era vicina a me, con me, in me". Quindi, il funerale: "Applausi scroscianti, un'infinità di inchini, elogi, complimenti, fiori... e poi? Poi si resta soli con se stessi". Prosegue il testo di Valeria: Si guarda intorno, va verso un'immaginaria finestra. "E' l'alba! Dio ha separato la luce dalle tenebre, ma non abbastanza...Io non temo il giorno e non temo la notte (...) E' l'alba. Devo preparare le valigie (raccoglie e sistema le sue cose). Domani devo essere a Vienna per un concerto. E poi Praga e poi Londra e poi Copenhagen... Bisogna lavorare bene finché è giorno, diceva Robert..(...) Sì, io amo l'alba". Un'ultima battuta, un brano di Schumann dal vivo...Buio. Sipario. E come ovunque in seguito – regolarmente! - a cominciare dalla notte stellata di Salona, passa un interminabile minuto in un silenzio irreale, quindi gli applausi, lunghi, insistenti.... Ovvio, per Ksenija Prohaska. E per Iryna Smirnova. E per Valeria Moretti. Ma soprattutto – ho sempre avuto questo sospetto – per lei, per questa straordinaria donna che ha saputo tenere insieme la donna e la concertista, la madre e la moglie, sopravvissuta al marito circa quarant'anni, offrendolo quasi ogni sera alle platee di mezzo mondo, immortalandone l'arte e la memoria. L'anno successivo alla prima saloniana – e quasi in contemporanea a quella romana, in forma di lettura, con la splendida Giuliana Lojodice – "Clara Schumann" è uscito, edito da La Mongolfiera. Il testo presenta sia la traduzione francese che quella, adattata, croata. La prefazione è del critico Guido Davico Bonino, il quale scrive: "Cosa significa essere 'rivale' del proprio consorte – pianista riuscita lei, fallito lui per assurdi esperimenti cui sottopose le dita fino a rovinarsi la mano? Come si concilia la propria carriera con la maternità (otto figli in quattordici anni, con il quinto, anche lui malato di mente) ? Come si convive sedici anni con un genio? Qual e' la propria responsabilità nella sua lotta (...) con la follia? Ciò che avvince nel monologo-confessione di Clara è che essa ci viene porta senza infingimenti, ma anzi come l'ammissione di una scoperta disarmonia interiore, se non un dissidio tra sé e l'altro da noi". 4 lalaVoce Voce del popolo del popolo mercoledì, 29 maggio 2013 MUSICA D’ARTE E POPOLARE di David Di Paoli Paulovich LASENSIBILITÀMUSICALE COMEVEICOLO D’APPARTENENZA ADUNACIVILTÀ T ra gli elementi fondanti e identificanti delle culture istriana e dalmata di matrice latino veneta sta certamente l’ininterrotta tradizione di un’espressione musicale, intesa nelle sue molteplici varianti, che nei secoli ha rinsaldato i legami di queste terre con la civiltà di Roma e poi quella di Venezia, sì da esserne queste tenaci e attente custodi ma anche vitali interpreti, divenendo a loro volta centri di diffusione di nuovi impulsi, gusti e forme, confrontatesi armonicamente con le contermini culture slava e tedesca nella prevalenza delle espressioni plasmatasi nell’ambito delle cultura e civiltà latino-veneta. Possiamo tracciare alcune partizioni affrontando complessivamente la musica d’arte: quella vocale monodica ascrivibile al canto piano, e quella polifonica vocale, con o senza accompagnamento strumentale insieme con quella prettamente strumentale. In ultimo, si cennerà alla musica vocale cosiddetta d’espressione popolare. Musica sacra monodica Il primo suono storicamente accertato è quello delle tibie e buccine romane che nel 178 a.C. suonarono la sconfitta degli Istri. Se le origini della Chiesa istriana e Dalmata sono antichissime (il martire San Mauro è vescovo di Parenzo nel III secolo mentre una vita diocesana organizzata si riscontra già verso il VI secolo a Trieste, Giustinopoli (Capodistria), Cittanova, Parenzo, Pola e Pedena), antichissima è anche la sua musica cultuale. In cotale contesto, ecclesiasticamente vitale (patriarcati di Aquileia, poi di Grado e di Venezia), non poteva non svilupparsi e conservarsi una tradizione musicale sacra dai tratti autonomi e peculiari. Chi durante le sacre liturgie avesse sostato in una chiesa situata nella fascia territoriale corrispondente all’Istria, al Quarnero e alla Dalmazia, avrebbe facilmente potuto udire tracce sonore di quello che la musicologia italiana qualifica come canto patriarchino, ossia un canto liturgico di tradizione orale, polifonizzato naturalmente dalle voci e accompagnato sovente dall’organo, su testi latini, tramandato e cantato in tutte le officiature di rito romano, in luogo delle melodie gregoriane proprie di tale rito. Il canto patriarchino Molteplici fattori condussero al tramonto della tradizione patriarchina: la riforma liturgica del Concilio Vaticano II con l’abbandono generalizzato della lingua latina nella liturgia, e prima ancora l’edizione dei nuovi libri liturgici di canto gregoriano tra gli anni Venti e Trenta del ‘900, che soppiantarono in molti luoghi gli usi musicali-sacri monodici locali. Perché patriarchino? Vulgo dicitur patriarchinus annotava il sacerdote e studioso parentino Francesco Babudri. Per convinzione propria degli ambienti ecclesiastici istriani e friulani si riteneva che detto canto radicasse le proprie origini nel canto del patriarcato aquileiese. Trattasi di canto ch’ebbe a intrecciarsi alle culture monodiche e polivoche locali nei lunghi secoli di influenza del Patriarcato veneziano sotto la Dominante (Repubblica di Venezia), e che si diffuse rapidamente ed in profondità non soltanto nella Dalmazia e nelle località costiere istriane e venete, ma pure nella terraferma veneta e friulana. Così come a noi giunto, non è altro che il risultato d’una plurisecolare trasmissione orale in una continua sovrapposizione di stili, sì da aver acquisito una propria peculiare fisionomia. Musica d’arte vocale e strumentale: il Cinquecento La produzione musicale istro dalmata, pur non si discostandosi dagli stili e dalle forme dei maggiori centri di cultura italiani ed europei, offre notevoli contributi alla storia della musica. Gli avvenimenti musicali più importanti in Istria dal Cinquecento in poi sono strettamente legati all’attività esecutiva e musicale delle cappelle corali delle chiese più insigni. Basti ricordare che la cappella musicale del duomo di Capodistria alla fine del Seicento vantava quattro cantanti professionisti, due violinisti e un maestro di cappella, e risultava di media grandezza se confrontata ad altri centri musicali quali San Marco, San Petronio a Bologna o Sant’Antonio a Padova. Anche le famiglie nobili e borghesi coltivavano l’arte musicale nell’ambito di accademie rinascimentali: i membri dell’Accademia Palladia di Capodistria nei loro incontri intonavano qualche madrigale, e probabilmente anche qualche componimento del compositore e organista capodistriano Gabriello Politi o Puliti (1580-1644), il quale a Venezia edita circa trentasei raccolte di composizioni sacre e profane, di cui alcune oggi riedite dall’Istituto di Musicologia di Lubiana: tra le composizioni strumentali a più voci, compaiono le prime forme di monodie sacre barocche con continuo strumentale. A Capodistria sono maestri di cappella il fiammingo Francesco Bonardo e gli italiani Silao Casentini e Nicolò Toscano: l’attività compositiva è ospitata nelle liturgie solenni del duomo. L’Istria partecipa agli eventi romani in questo periodo attraverso il compositore sacerdote Filippo di Laurana, il quale compone la frottola Quercus juncta columna est per i festeggiamenti nuziali di Marc’Antonio Colonna e Lucrezia della Rovere e fra tanti il madrigale “Dona contro a la mia voglia”, prediletto da Cesare Borgia. Dal 1512 sino alla morte quegli fu anche maestro di cappella del patriarca di Aquileia. Mori dopo l`anno 1523, e al suo posto fu nominato suo nipote Jacopo. Andrea Antico da Montona Campeggia meritoria in questo secolo la figura di Andrea Antico da Montona (1470-80; 1540?), sacerdote, editore e compositore di musica sacra e profana che beneficiò di privilegi papali, trasferitosi a Venezia intorno al 1500. Egli è uno dei precursori del madrigale con Costanzo Festa e Benardino Pisano. Cenniamo quindi Francesco Bossinensi (sec. XV-XVI) liutista, del quale il ricordato Petrucci pubblicò due libri d’intavolature per liuto. A Rovigno in questo secolo opera il sacerdote rovignese Francesco Sponza, o Spongia – Usper (1561-1641), il quale si perfezionò a Venezia sotto la guida del sommo maestro di cappella di San Marco Andrea Gabrieli. Divenne organista nella chiesa di San Salvador e nel 1622 a San Marco. Le sue opere musicali comprendono i Ricercari (1595), un primo di madrigali (1604), la messa e salmi (1614), le composizioni armoniche (1619) un libro di salmi (1627), Graduale e il Tractus per il perduto Requiem mediceo del 1621. Quanto alla Dalmazia, regione più isolata ma fucina d’ingegni notevoli, i rapporti commerciali con l’Italia, favoriscono gli scambi culturali soprattutto con Ragusa, il maggior centro di cultura dalmata: nel ‘500 ricordiamo i compositori A. Petris (Patricij) e Julius Schiavetto o Schiavetti (Skjavetić secondo certa musicologia croata), le cui opere rappresentano drammi e commedie pastorali con musica e danza, nonché il più celebre L. Lukačič. La crisi nel Seicento Il secolo è funestato a partire dal terzo decennio dalla catastrofica epidemia di peste e dalla carestia che ne seguì. Ciò provoca anche il declino della prassi musicale, che tuttavia consente si forgino ancora ingegni musicali di spessore. In questo secolo il nipote del rovignese Francesco Spongia Gabriele Usper, lavora quale compositore a Venezia. A Capodistria il Duomo è laboratorio di composizione musicale: vi emerge il nobile capodistriano Antonio Tarsia (1643-1722), compositore di musica sacra e organista del duomo. La musica veneta influì sul versante sacro e, più in generale, quella italiana su quello profano: Tarsia ci lascia infatti anche un’opera, “Il peccatore ammaliato” (1660). In Dalmazia sono attivi il compositore J.Raffaelli ed a Spalato vive il grande intellettuale J.Bajamonti, autore dell’oratorio “La traslazione di San Dòimo”. Il fiumano Vincenzo Jelich opera a Graz e in || Andrea Antico da Mo LINEE GENERALI DELLA TR IN ISTRIA, NEL QUARNERO DALL'IMMENSA EREDITÀ PATRIARCHINI AGLI AUTO Alsazia, componendo raccolte di mottetti annoverabili fra gli esempi significativi del primo Barocco. Nel Duomo di Spalato compone Tomaso Cecchini (1583-1644), veronese di nascita, poi maestro di cappella nel Duomo di Lesina dal 1614, il quale contribuisce ad introdurre la monodia barocca sulla costa orientale del Mare Adiatico. Il Settecento e il poliedrico contributo di Giuseppe Tartini Giuseppe Tartini (1692-1770) è il musicista d’eccellenza che l’Istria dona a questo secolo, violinista e compositore. Nato a Pirano d’Istria, nella cui piazza viene raffigurato in monumento, dopo una vita alquanto burrascosa, tra Venezia, Assisi, Praga e Padova, scrive trattati di teoria musicale, di acustica, di dialettica violinistica, oltre ad innumeri composizioni strumentali (soprattutto concerti, 131, e sonate per violino o violino e basso), tra cui menzioniamo la celebre sonata per violino “del trillo del diavolo” (1713) e “Didone abbandonata”, mentre tra quelle sacre ricordiamo la Salve Regina e il Miserere eseguito nella Cappella Sistina alla presenza di Papa Clemente XIII. Noto in tutta Europa non solo quale virtuoso e studioso della didattica e tecnica violinistica, intuisce l’importanza dello studio della matematica e della fisica per meglio comprendere il suono. Scrive allora “Il Trattato di musica secondo la vera scienza dell’armonia”, cercando d’indagare scientificamente il sistema musicale, e poi la “Dissertazione dei principi d’armonia”. A Padova, ove concluderà la sua esistenza terrena, apre nel 1728 una scuola di violino, che richiamerà allievi dall’Italia e dall’estero. In Dalmazia va infine ricordata l’opera, sia pure non compositiva, di Pietro Nacchini, che costruì ben cinquecento organi fra l’Italia e la Dalmazia. A Capodistria opera Giacomo Genzo (1779-1861), organista del duomo e compositore, che ci lasca messe mottetti, salmi, offertori, inni, e sonate. Il dovizioso Ottocento: Antonio Smareglia A Pola, il 5 maggio 1854 nasce Antonio Smareglia, il più grande operista istriano. Dopo gli studi compiuti a Vienna, Graz e al Conservatorio di Milano con Franco Faccio, stringe l’amicizia con Arrigo Boito, esponente della cosiddetta Scapigliatura milanese, ed esordisce con le opere “Preziosa” e “Bianca da Cervia”, ricollegandosi con l’opera successiva “Il vassallo di Szigeth” alle tendenze tardoromantiche e alle tecniche wagneriane dell’area mitteleuropea. Il suo capolavoro la Voce musica del popolo 5 mercoledì, 29 maggio 2013 ontona, prima pagina del "Liber quindicim Missarum" edito a Roma nel 1516 RADIZIONE MUSICALE O E NELLA DALMAZIA. À DEI CANTI ORI CONTEMPORANEI è l’opera “Nozze istriane” (1894), che spicca tra una produzione ricca di musica da camera e di musica sacra. Nel 1897 compone Falena e, ormai cieco, Oceana, rappresentata alla Scala e diretta da Arturo Toscanini. Arrigo Boito commenta: “in quest’opera che segna un nuovo capitolo nella storia del Teatro Italiano, la tua orchestra è più ricca e più varia di Wagner”. La cecità sopravvenuta non gli impedì di lavorare e di produrre: accetta nel 1921 una cattedra al Conservatorio Tartini di Trieste. Il dramma storico L’abisso, su libretto di Silvio Benco, conclude la parabola creativa di Smareglia. Muore a Grado il 15 aprile 1929. Bene illumina e compendia il messaggio smaregliano il musicologo Tabouret: “si riflette nella musica di Wagner la sua personalità di tedesco, vibra e canta in quella di Smareglia un’anima latina, in cui prevale l’elemento affettivo”. Giovanni Zaytz fondatore del teatro zagabrese Originario di Fiume è Ivan Zajc (Fiume 1832-Zagabria 1914), compositore e direttore d’orchestra, che la Croazia annovera fra i compositori di spicco, avente il merito d’aver valorizzato il teatro lirico nazionale croato attraverso l’impegno di temi popolari. La Dalmazia è in questo secolo la culla del grande Franz Suppé Demelli (Spalato 1819-Vienna 1895), attivissimo quale compositore di operette e rivale di J.Strauss jr.: ricordiamo “La dama di picche” [1864]; “La bella Galatea”[1865]; “Cavalleria leggera” [1866]; “Boccaccia”[1870]. Scrisse, oltre a musica sacra e da camera, nove opere liriche, tra cui resta ancor oggi rappresentata “Poeta e contadino” [1846]. Le cappelle corali fulcri della musica in Dalmazia Del resto, nella seconda metà dell’Ottocento maestri compositori italiani siedono alla guida delle prestigiose cappelle corali delle cattedrali di Sebenico (Gaetano Mazzoli) e Traù (Giuseppe e il figlio Giovanni Bozzotti, il primo nato a Milano, il secondo a Traù), e Spalato (Eligio Bonamici, bolognese), favorendo l’interscambio fra le città dalmate e tra la Dalmazia e le regioni della costa adriatica, stante anche la facilità di collegamento via mare. La prestigiosa tradizione di Zara In particolare, la sua storia musicale più rilevante s’identifica con la vita musicale praticata nella cattedrale di Sant’Anastasia, sede arcivescovile e nelle sue chiese più insigni, durante le liturgie (in genere per le ufficiature della messa cantata e delle || S. Anastasia a Zara ore canoniche – soprattutto il vespero -,sovente occasioni di prime esecuzioni di nuove composizioni musicali). A Sant’Anastasia opera una cappella corale e un’orchestra, e ciò almeno fino ai primi anni del Novecento. Al principio dell’Ottocento riveste l’incarico di maestro di cappella nella cattedrale di Sant’Anastasia lo zaratino canonico Girolamo Allesani o Alesani (17761823), compositore, la cui musica “alla sua morte passò alla basilica e venne a lungo eseguita, così un Popule meus, grande messa istrumentale di requiem, con imponente Dies irae, vesperi, mottetti, ecc.” (Sabalich). Gli subentra Antonio Di Licini o Licini. E’nominato suo successore nel 1857 Antonio Ravasio, compositore bergamasco diplomato a Milano, maestro di cappella sino alla morte (+1912). Ravasio collabora anche con i Frati, tra i quali spiccano anche figure di compositori, quali quella del letterato padre Donato Fabianich, nato a Pago e morto a Zara nel 1890. Il Novecento, la dodecafonia di Dallapiccola Ascritto fra i compositori istriani è anche il compositore Luigi Dallapiccola (1904-1975), nato a Pisino d’Istria. Gli studi musicali compiuti a Pisino, Graz, Trieste e Firenze consentono uno spazio di maturazione diversificato, ampio e fecondo. Il suo linguaggio musicale trapassa dall’uso della tonalità a quello della tecnica dodecafonica, intesa come strumento di libertà poetica con valore morale. Si fa conoscere nel 1933 con la “Partita”per soprano e orchestra. Seguirono i “Cori di Michelangelo il giovane”, rivisitazione moderna dell’arte madrigalesca, e nel 1940 l’opera teatrale “Volo di notte”. Sensibile ai temi storico-politici scrive “I canti di prigionia”, l’opera “Il Prigioniero”, i “Canti di liberazione”. L’opera “Ulisse” composta nel 1968 chiude la sua esperienza teatrale. Sette anni più tardi morirà a Firenze. Rizzi, Dionisi, Donorà Nel 1899 nasce a Sušak- Fiume Lovro von Matacič, direttore d’orchestra e compositore, noto in Germania e in Italia. Cherso dà i natali a Bernardino Rizzi il 27 maggio 1891 da Maria Soich e Antonio Rizzi, famiglia presente nella cittadina fin dal 1590. Entrato nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, e ordinato sacerdote a Roma consegue il Diploma in Canto Gregoriano presso la Pontificia Scuola Superiore di Musica Sacra e, nel 1921, il Magistero di Composizione presso il Conservatorio Musicale di Padova. Raggiunge la grande popolarità in Polonia. Nel 1923 fonda a Krakovia, presso la Basilica dei Frati Minori Conventuali la Società Chòr Cecylianski. Compone numerosissime opere, tra cui citiamo: Il Mistero di Santa Cecilia, dramma cristiano in tre atti con allegorie per soli, coro e orchestra; gli oratori Carnaro, Poema sinfonico; Il Santo, Santo Francesco, Trittico Dantesco; Venezia nelle sue guerre e nella sua potenza, cortometraggio per orchestra; I Pali telegrafici – Impressioni di pioggia – I Falciatori, per orchestra; La Radio, realizzazione sinfonica in morte di G. Marconi; Ali di guerra, quadro sinfonico. Ricordiamo poi Renato Dionisi, compositore e didatta rovignese, il dalmata Antonio Brainovich compositore e maestro di coro al teatro Regio di Torino e Luigi Donorà, compositore e direttore d’orchestra e di coro, nato a Dignano d’Istria nel 1935 ma attivo a Torino. E’ autore di musiche per teatro (opere liriche), musiche vocali, strumentali, corali e di musiche sinfoniche. Un cenno particolare va destinato a Giuseppe Radole, nato a Barbana d’Istria (1921-2007), sacerdote, compositore, che si occupò a lungo di folclore istriano e compose molta musica sacra, per anni alla guida della Cappella Civica di San Giusto di Trieste. Donorà ricorda ancora quali compositori dell’Istria odierna Denis Dekleva Radaković (Pisino 1949) e Massimo Braiković (Rovigno 1955). Anche l’associazionismo corale dei rimasti ha dato la possibilità a taluni musicisti di cimentarsi nella composizione anche di musica corale e commerciale, fra cui ricordiamo i compositori Nello Milotti e Piero Soffici. La musica d’espressione popolare A partire dalla prima metà dell’Ottocento si risveglia il sentimento nazionale, e, per la prima volta, il folclore diviene oggetto di ricerca e di studio. Anche l’Istria, il Quarnero e la Dalmazia offrono una ricchissima tradizione orale di canti nella parlata istroromanza e istroveneta da suscitare l’invidia di molte regioni italiane. Tra i primi il dalmata Nicolò Tommaseo edita una raccolta di canti popolari toscani, tosto imitato nel 1862 da un Anonimo che a Rovigno pubblica una raccolta di canti popolari istriani, la prima a noi giunta. Successivamente, lo studioso e sacerdote parentino Francesco Babudri (197-1963), il rovignese Antonio Ive (1851-1937) proseguono l’opera di raccolta, che si spinge sino ai giorni nostri con l’ultima opera di Roberto Starec da poco edita, “I canti della tradizione italiana in Istria”, che raduna le ultime rilevazioni sul campo di tradizioni polivoche ormai quasi scomparse. Villotte, botonade, laudi, bitinade I canti popolari istriani si possono distinguere in canti con testo dialettale istriota (diffusi nei centri meridionali dell’Istria, Rovigno, Valle e Dignano), e in canti con testo dialettale veneto istriano. Nei canti istriani non sono pochi forme ed elementi originali: principalmente si pensi alle villotte istriane, componimenti monostrofici in quartina d’endecasillabi rivolte ad un destinatario spesso a tema amoroso, che prendono il nome di botonade a Dignano e batarele a Capodistria, eseguite vocalmente o anche con accompagnamento strumentale (con violino e violoncello chiamato el basseto). A Dignano la villotta è canto assolo e a duetto (e allora si chiama basso). Originali sono pure le bitinade rovignesi, dove le voci in coro improvvisano un fantasioso accompagnamento d’imitazione strumentale alla voce che intona la villotta. Vi sono poi gli stornelli della tradizione di Gallesano, i canti narrativi epico lirici con forma di ballata (come Donna lombarda), le arie di notte (da nuoto) rovignesi. A fianco dei canti popolari profani ricordiamo infine quelli sacri, interessanti e ascrivibili al genere della lauda: molte sono quelle natalizie e pasquali, ma anche quelle mariane. In definitiva, il quadro e la produzione musicale della costa adriatrica orientale denotano una vivacità culturale ricca e diversificata, che, partendo dagli albori aquileiesi tocca profondamente gli aspetti folclorici popolari, riunisce un repertorio dai tratti originali e che, soprattutto, riferendomi agli aspetti musicali sacri (canto patriarchino) e profani (canto popolare), ha consentito il formarsi nei secoli di una sensibilità musicale ad ogni livello, tale da contribuire essa stessa al sentimento d’appartenenza ad una civiltà peculiare ed unica: nelle sue componenti istriana, quarnerina, fiumana e dalmata. 6 musica mercoledì, 29 maggio 2013 OMAGGIO ALL'ARTISTA U na vita in una stanza (e piccolina pure), viene da dire, ma è solo un pensiero che sfugge perché nel momento in cui vita e musica diventano inscindibili, non c’è modo di farla entrare (la vita) in un “cassetto”. Ogni anno Pola ricorda Antonio Smareglia nel giorno della nascita, il 5 maggio. Destino volle che a distanza di quasi un secolo, quella data diventasse anche il giorno della liberazione della città dal nazifascismo, e che più tardi ancora fosse celebrata come la Giornata della Città di Pola (l’odierna versione laica, sempre gravida di significato e di peso politico, di quella che un tempo poteva essere la ricorrenza della festa dedicata ad un patrono, un santo, un martire). Ed è così dal 2004, l’anno in cui nell’occasione del 150.esimo anniversario della nascita, Pola e la sua Biblioteca universitaria inaugurarono nella casa natale del Maestro una Sala memoriale dedicata alla sua vita e alla sua opera, ed ebbero in questo l'aiuto e il sostegno della Regione Istriana, della Regione Veneto e della famiglia del compositore. La vita in una stanza memoriale Come solitamente accade, anche quest'anno il grande concerto allestito in piazza Foro è tornato a canalizzare una piccola parte dell’interesse pubblico sulla minuscola sala memoriale che caparbiamente cerca di rendere giustizia ad una vittima della peggiore delle condanne possibili per chi fosse nato e avesse vissuto per “creare arte”: l’oblio. Smessi gli abiti di festa e tornata al quieto vivere, Pola e il mondo intero possono ora tornare a misconoscere l’opera del Maestro, e la stanza al pianterreno di “via Nettuno” (oggi vicolo Augusto), che gli è dedicata, può tornare utile occasionalmente quale “fonte d'informazione per studiosi e amatori dell’opera smaregliana”, giacché conserva scritti, opere, spartiti, lettere autografe, oggetti appartenuti al compositore, ritratti ad esso ispirati da artisti suoi coevi o nostri contemporanei (qui presenti solo in piccola parte, per inciso, mentre la rimanenza è conservata alla Biblioteca sul Colle Castello, e viene puntualmente esposta su richiesta dei ricercatori). Si potrà dunque tornare a misconoscerne l’opera, oppure si potrà tentare l’improbabile impresa di ascoltare attentamente la musica smaregliana per rendersi conto del suo valore intrinseco, senza andare a scomodare “agiografi e contestatori” di ieri, di oggi e di sempre, magari andando a snocciolare il dramma di una vita “più matrigna che madre”. Una la Voce del popolo LADRAMMATIC DI SMAREGLIATRA INC EDEMARGINAZI || Il busto in bronzo del Maestro NELLA STANZA MEMORIALE INTITOLATA AL MAESTRO POLESE LE PREZIOSE TESTIMONIANZE DI UNA VITA DEDICATA ALLA MUSICA. NELLE PAGINE DI SMAREGLIA FLUISCE IL SINFONISMO TEDESCO CONIUGATO ALLA SENSIBILITÀ DELL'ANIMA LATINA vita contenuta in briciole anche nella Stanza memoriale di “via Nettuno”. Sulle sfortune di Smareglia potranno anche convergere poche opinioni, ma non la certezza che sia finito disgraziatamente a percorrere un binario morto della musica italiana e mondiale del suo tempo, naturalmente a suo irreparabile svantaggio. Che sia stato svalutato già in vita e di più dopo la morte, non è materia di discussione, e i giudizi s’incrociano. La ricca storiografia musicale italiana l’ha sempre detto: Smareglia vale(va) di più. argomentazioni e di analisi demistificatorie a proposito dell’”enigma” smaregliano, da sempre imbevuto di mito e brulicante di leggende. La leggenda della “jettatura” in primo luogo. Per indagare a fondo la genesi del “calvario” smaregliano, Petronio scava nella psicologia del personaggio e insiste sul fatto che ebbe un “carattere ribelle, difficile, scontroso”. Non che fosse cattivo, anzi, chi lo conobbe, confermò che era di animo buono. “Ma gli difettava la diplomazia; non aveva peli sulla lingua, diceva la sua troppo schiettamente, ed era specialista per intrufolarsi anche in faccende che non lo riguardavano direttamente, ma i cui protagonisti poi non dimenticavano”. E se non fu la sola tra le cause dell’indigenza e dell’oblio, l’assenza di diplomazia certamente non giovò alla diffusione delle opere smaregliane. L'incompreso sinfonismo di Smareglia Svisceriamo a sorteggio alcune considerazioni degli anni Sessanta e Settanta. “Coetaneo di Catalani, Antonio Smareglia (Pola 1854 – Trieste 1929), robusto musicista, non è ancora apprezzato come l’alto suo valore meriterebbe. Nozze Istriane (1895), Falena (1897), Oceana (1903), Abisso (1914), ecc. sono opere che rivelano lo studioso del teatro wagneriano, ma dotato altresì d’un genialissimo temperamento personale”, diceva Achille Schinelli nella sua scheletrica nondimeno essenziale “Storia della musica dalle origini ai giorni nostri”, e Giulio Confalonieri, nella sua monumentale “Storia della musica”, individuava uno tra i tanti possibili motivi di quella svalutazione: “Dotato di musicalità assai ricca, il triestino (sic) Antonio Smareglia (1854-1929) venne considerato senz’altro un wagneriano. Ma in realtà nelle sue opere Cornelio Schutt (1893, rifatta poi col titolo Pittori fiamminghi), Nozze istriane (1895), La Falena (1896), Oceana (1902), L’abisso (1914) il continuo fluire di una turgida corrente orchestrale fa pensare a delle grandi sinfonie di taglio mendelssohniano, pur venate di influenze wagneriane e anche chopiniane. Fu probabilmente questo indulgere al sinfonismo (in un’epoca che non gli era favorevole, almeno da noi) a nuocere alla diffusione delle sue opere”. Certo, scritti sulla vita e le opere di Antonio Smareglia non sono mai mancati, a cominciare dai due libri dei figli del maestro, Mario e Ariberto, ai “ricordi” di Silvio Benco, fino a scritti di certo qual “spessore” di Tomicich, Levi e Perpich, nei quali però, come osservava Fabio Vidali, la “venerazione amorosa per il Maestro spesso ha fatto velo alla distaccata obiettività”. L'impenetrabilità del repertorio smaregliano nei teatri italiani Diverso è il libro di Paolo Petronio “Le opere di Antonio Smareglia” (Edizioni Italo Svevo, Trieste, 2004) che si lascia L'implacabile guerra di Giulio Ricordi || La cerimonia di apertura della sala memoriale alle spalle il filone agiografico dei primi biografi smaregliani e dedica invece al maestro un’opera corposa, articolata, interessante, spoglia di passione viscerale (non è uno “smaregliano”, pur nutrendo per l’autore una sincera considerazione, come confessa mell'incipit), ma soprattutto imperniata sulle sue opere, e solo in misura minore focalizzata sulla biografia. L’impresa biografica di questo studio finirà tuttavia per svelare diversi aspetti dell’arcano della (s)fortuna smaregliana. E in particolare chiarirà le origini dell’incomprensibile “impenetrabilità” dei teatri italiani e stranieri al suo repertorio, al di là dell’ovvio “stravolgimento del bacino d’utenza” dovuto alla dissoluzione dell’Impero asburgico. Ben prima della “finis Austriae” – osservava infatti Fabio Vidali nella prefazione all’opera di Petronio – dilagava un virus, trasversale ed onnivoro, soprattutto nelle zone di confine, per cui tutto era riconducibile alla dicotomia irredentismo – anti-irredentismo, e tutto ciò che non era corroborante immediatamente a dimostrare l’”italianità” era sommerso ed ignorato. Virus per il quale anche il presunto “wagnerismo” del maestro appariva ed era in netta “opposizione alle sceneggiate veristiche della giovane scuola italiana”. Naturalmente la Grande guerra ed il fascismo non poterono che peggiorare la situazione. Il libro di Petronio ha colmato dunque questo “vuoto” di dati di fatto, di Difatti nel periodo milanese "il giovane Smareglia si mise molto in evidenza come partigiano di Wagner”, osserva Petronio e definisce i “poli” cui tutto gravita, e l’inesistenza della via intermedia: “... nell’Italia postrisorgimentale ci voleva poco a collegare Verdi con la patria e Wagner con il nemico tedesco”. Naturalmente in questo contesto le dispute erano rischiose anche perché Verdi era una “potenza musicale poco incline a favorire i giovani, che semmai ostacolava, ed ancor più ostacolava se gli erano contrari (e Smareglia lo definì tante volte pubblicamente “il chitarrista”); ed erano soprattutto rischiose perché Verdi era in società con il potentissimo Giulio Ricordi, il terribile editore, compositore anche lui, anche se di infimo valore, antiwagneriano convinto, pronto ad usare tutti i mezzi, anche quelli illeciti, per far progredire i suoi affari e bloccare gli avversari”... Un contrasto il loro, reso tanto più acerbo quanto in quel periodo Smareglia si mostrò "attivo nel campo delle conquiste femminili, campo battuto anche da Giulio Ricordi”, circostanza che nuovamente premette sulla fortuna del Maestro nell’ancora delicata fase dell’affermazione. Difatti il contrasto tra autore ed editore divenne insanabile, e le critiche sempre più feroci, alla vigilia della prima della seconda opera smaregliana "Bianca da Cervia", rappresentata alla Scala il 7 febbraio 1882, peraltro con ottimo successo. Più invidioso che mai, Ricordi ricorse ai “tipici ricatti degli editori”, ostacolando esecuzioni, ordinando cambiamenti di programma... Successi a Praga e Dresda Il “secondo periodo” fu certamente più felice. Rientrato a Pola, in Austria-Ungheria, Smareglia era di fatto tornato in “quella nazione di cui era cittadino”, nell’”ambiente dove aveva cominciato a studiare” e là dove “la musica musica la Voce del popolo mercoledì, 29 maggio 2013 7 di Daria Deghenghi AVICENDAARTISTICA NCOMPRENSIONI IONE || La locandina di "Oceana", Teatro alla Scala, 1903 di tipo mitteleuropeo suonava famigliare”: a Milano era "un estraneo, se non un intruso” e il successo “andava cercato dove era logico cercarlo”. Ancora una volta però, nonostante il “Vassallo” fosse rappresentato con successo al Metropolitan di New York, “il diavolo ci mise lo zampino”. Nel periodo in cui il Metropolitan si stava avviando a diventare uno dei massimi teatri del mondo, ricorda ancora Petronio, l’influenza di casa Ricordi e l'implacabile ira dell'editore, chiusero al compositore polese il mercato americano. Ciò nonostante, nella culla di “madre Austria”, Smareglia tornò “vincitore”. Finanziariamente risanato, darà ai posteri la storia di "Cornill Schut", “l’eroe romantico”, il “creatore alla ricerca dell’ideale artistico”, insomma, un’opera palesemente autobiografica che, revisionata, diverrà "Pittori fiamminghi", “in un certo senso la migliore delle sue opere”. Nel 1983 Cornill Schut trionfa a Praga e a Dresda. Un carattere impossibile Nella Mitteleuropa Smareglia conta: “Aveva 39 anni, ci aveva messo del tempo (complice anche la strada sbagliata di Milano) ma finalmente ci era riuscito” e “siamo qui al culmine della vicenda artistica di Smareglia, al suo momento migliore”. Che poi seppe rovinare tutto da capo, è un'altra questione. Non cercò contatti con editori importanti, metteva il naso dove non era il caso d’immischiarsi, prendeva parte nelle controversie pubbliche e lo gridava ai quattro venti, sempre disgraziatamente a spese personali. E poi venne l’accusa di antisemitismo. Citando ancora Petronio, “L’ammirazione per Wagner sconfinò anche in ammirazione per quello che è il peggior lavoro che il grande compositore ci ha lasciato, il libello "Il giudaismo nella musica", dove Wagner tenta di dimostrare (probabilmente per invidia nei confronti di Mendelssohn, cui rubò anche dei temi che usò nella Tetralogia e nel "Parsifal"), che un ebreo non può scrivere musica degna di questo nome”. Inimicarsi la borghesia ebraica della Mitteleuropa, ed in particolare Gustav Mahler, non lasciava presagire nulla di buono per la carriera smaregliana. La sentenza di Gustav Mahler fu esplicita, perentoria e definitiva: “Non mi piace una sola nota di Smareglia”. || Figurini per i costumi di "Nozze istriane" (dall'archivio della Biblioteca universitaria di Pola) Imperdonabile ingenuità Scrive dunque Petronio nella parte del volume dedicata alla biografia del Maestro, prima di passare ad un'attenta analisi delle opere (lettura certamente consigliata per un primo approccio alla musica smaregliana), in un passo che ha il sapore della massima e si presta ad infinite “applicazioni”: “Da tutti questi avvenimenti si può dedurre che il vero, grande problema di vita di Smareglia fu l’ingenuità. L’ingenuità di non capire che nella vita non basta avere un successo o una protezione per poter essere al riparo da tutto; che nella vita occorre anche sapere destreggiarsi con personaggi di ogni specie, e bisogna sapersi giostrare con abilità fra di essi; tutti i compositori più importanti lo hanno fatto. L’ingenuità di non capire che il successo finanziario va amministrato con oculatezza. Ingenuità collegata con una tremenda impulsività, quella dimostrataci dall’opera 'Nozze istriane', l’infelice carattere dignanese che porta i protagonisti allo sfacelo completo. Nell’opera però cade il sipario, e tutto è risolto, nella vita no”. || Spartito di "Nozze istriane" per pianoforte e canto Trieste 1908 || Smareglia (dall'archivio della Biblioteca universitaria di Pola) Estraneità alle correnti musicali contemporanee Bisognava ricominciare da capo. Cercando riparo a Trieste, cambiando librettista, mutando "rotta compositiva", reinventandosi, inaugurando un filone proprio, una scuola a sé stante, anche al costo di autocondannarsi definitivamente, come Petronio ritiene sia effettivamente accaduto in seguito al sodalizio artistico con il librettista Silvio Benco. Ed ecco il passo del libro che riassume la grande scoperta sulle ragioni della “sfortuna smaregliana”: “... le opere di Smareglia assunsero una decisa connotazione post-wagneriana, estraniandosi così dalla contemporaneità musicale europea, fatto questo peggiorato dal processo evolutivo dello stesso Smareglia che cominciò ad incepparsi, mostrando un autore che non riusciva più ad avere una evoluzione di linguaggio al passo con i contemporanei, rimanendo su posizioni arretrate”. Diventato in pratica “l’unico esponente di un esperimento teatrale che si rivelerà fallimentare perché troppo in contrasto con la realtà logica del teatro lirico”, Smareglia divenne così, anche a causa di Benco, “un isolato su di una strada solitaria, la strada della realtà triestina”. Insomma, contrariamente al giudizio di molti sul presunto “felice incontro d’arte”, con il librettista triestino "Smareglia ebbe tutto da perderci, e il suo isolamento musicale divenne completo”. In margine dell’anniversario della nascita del Maestro e dei festeggiamenti dedicati alla Giornata della Città di Pola, torniamo a tessere le lodi della piccola ma importante Sala Memoriale di Antonio Smareglia nel cuore di Pola, nella speranza che anche questo modesto apporto giornalistico possa contribuire alla riscoperta della sua musica. La raccolta è davvero sorprendente. Comprende lettere scritte o indirizzate al maestro (da e a Toscanini, Benco, Boito, Carlo Stefano d’Asburgo), articoli di giornale, composizioni autografe, edizioni stampate, libri, riviste, giornali, critiche e recensioni, locandine, manifesti, fotografie, disegni e ritratti, schizzi di scenografi e costumi originali, incisioni CD... Insomma, una “vita” in una stanza. || La casa natale di Smareglia in vicolo Augusto (già via Nettuno). La sala memoriale è al pianterreno 8 mercoledì, 29 maggio 2013 IL COMMENTO musica A l Teatro NC di Spalato è stata eseguita di recente l’opera di Giuseppe Verdi “I vespri siciliani”, (titolo originale: Les vêpres siciliennes) che debuttò nella versione francese all’Opéra di Parigi il 13 giugno 1855, e in Italia, il 26 dicembre 1855 al Teatro Regio di Parma, con il titolo censurato Giovanna de Guzman. L’esecuzione spalatina in forma di concerto, diretta dal valente Maestro Ivo Lipanović, ha impegnato un cast di cantanti internazionale: il soprano greco Sofia Mitropoulos (Duchessa Elena), il baritono italiano Oliviero Giorgiutti (Guido di Monforte), il tenore italiano Paolo Lardizzone (Arrigo), il basso spalatino Ivica Čikeš (Giovanni da Procida), più una serie di cantanti comprimari in forza al Teatro di Spalato. Lo spettacolo, che ha riscontrato un buon successo, è stato presentato nei giorni scorsi, in sede di conferenza stampa come la premiere croata dei “Vespri siciliani”. L’informazione è sicuramente giusta, se per Croazia s’intende lo stato che nacque-come tanti altri- dalla dissoluzione dell’impero austro-ungarico e fece parte della Jugoslavia di Karađorđević. Se per Croazia s’intende invece l’odierno territorio che fu parte integrante prima della Jugoslavija socialista di Tito per quindi acquisire l’indipendenza e diventare stato sovrano nel 1990, la faccenda assume contorni “leggermente diversi“. Per inciso “I vespri siciliani” furono eseguiti per la prima volta sull’attuale territorio geografico croato nel magnifico Teatro Adamich di Fiume - come la maggior parte delle opere di Verdi, Bellini, Donizetti, Rossini - nel lontano 1868, a soli sette anni la Voce del popolo di Patrizia Venucci Merdžo «PRIMA» CROATA DELL’OPERA VERDIANA AL TNC DI SPALATO «VESPRISICILIANI» QUEI CHEIFIUMANISENTIRONOALTEATRO ADAMICHNELLONTANO1886 di distanza da che “Giovanna di Guzman“ - così ribattezzata dalla censura austriaca che ne annullò pure i contenuti patriottici, spostando il tempo e il luogo dell’azione – ridivenne, con l’unità d’ Italia “I vespri siciliani”. Dunque ad un lasso di tempo brevissimo, per l’epoca, dalla première verdiana originale in italiano; né ci si deve stupire se si considera che le compagnie di canto italiane, dopo gli allestimenti lirici in Italia, andavano in tournèe passando pure per Fiume e prolungando spesso fino a Zara. Da qui lo straordinario aggiornamento in campo lirico di Fiume come pure la sua prestigiosa ed invidiabile tradizione, in primis, nel campo del belcanto e dell’opera italiana ingenere; non escluse successivamente, l’opera francese e wagneriana. Precisati gli annessi e connessi storici legati all’ opera in causa, l’allestimento spalatino è indubbiamente degno di plauso sia per il suo intrinseco peso culturale che per la politica del Teatro, il quale in tempi di crisi propone opere liriche di rara esecuzione, perlomeno nella in forma di concerto. la Voce del popolo Anno 9 /n. 70 / mercoledì, 29 maggio 2013 IN PIÙ Supplementi è a cura di Errol Superina [email protected] Edizione Progetto editoriale Caporedattore responsabile Errol Superina MUSICA Silvio Forza Redattore esecutivo Patrizia Venucci Merdžo Impaginazione Annamaria Picco Collaboratori Sandro Damiani, Daria Deghenghi, Helena Labus Bačić, David Di Paulo Paulovich Foto Daria Deghenghi || Sofia Mitroupolos || Ivica Čikeš Astrid Kuljanić alla Manhattan School of Music˝, una delle più prestigiose scuole del mondo L'avventura di una fiumana a New York Studiare in una delle scuole più prestigiose del mondo. È un sogno che potrebbe diventare realtà per la giovane e talentuosa cantante jazz fiumana, Astrid Kuljanić, che il 1.mo aprile scorso è stata ammessa alla Manhattan School of Music, una delle poche nel mondo a offrire un corso di master in canto jazz. Prima di venir accettata, Astrid ha dovuto superare due prove abbastanza esigenti, ma tutto è iniziato con il suo soggiorno a New York l’anno scorso, dove ha trascorso un mese su invito del sassofonista jazz Charles Gayle. Lì è rimasta affascinata dalle opportunità che la Grande Mela offre a un musicista e ha deciso di provare a iscriversi alla succitata scuola, in modo da continuare a perfezionarsi nel campo del canto jazz. Il processo di ammissione è iniziato con una registrazione dal vivo che è stata poi inviata alla scuola e in base alla quale è stata fatta la prima selezione dei candidati. Superata questa prova, Astrid è stata invitata a New York per un’audizione. Dopo un mese, le è stato comunicato che era stata ammessa alla Manhattan School of Music. La promettente musicista, che quest’anno conseguirà la laurea al Conservatorio “Giuseppe Tartini” di Trieste in canto jazz ( ed è pure borsista del Conservatorio come uno dei migliori studenti), ha la possibilità di diventare il primo jazzista croato a venir ammesso alla prestigiosa scuola newyorkese. C’è, però, un ostacolo: si tratta di una scuola molto costosa che Astrid non può sostenere finanyiariamente da sola, per cui ha messo in moto una campagna via Internet, chiamata “crowd-funding”. Tale campagna permette di raggiungere un vasto numero di persone interessate a contribuire con una somma modesta in cambio di un Cd, di biglietti per un concerto, di una cartolina da New York, di un concerto privato, una lezione di musica, un breve soggiorno in un appartamento a Cherso, e altre offerte. Il corso di master dura due anni, mentre un anno di studio viene a costare l’esorbitante cifra di 36mila dollari, che non include vitto e alloggio, l’assicurazione sanitaria e il trasporto. Sommando tutte le spese da sostenere in un anno, si è giunti alla somma di 60mila dollari, che Astrid sta cercando di raccogliere sia tramite la campagna online, sia nei contatti con istituzioni, aziende e altri sponsor. La campagna è pubblicata sul sito www.indiegogo.com/projects/astridmanhattan-dream-of-music, mentre per chi volesse contribuire con una somma per “canali tradizionali” può effettuare un versamento sul conto HRK: 2340009-3213166975 oppure sull’USD: 20267355174, nella Privredna banka. “Frequentare questa scuola rappresenterebbe per me un’opportunità unica per crescere dal punto di vista musicale. Aprirebbe nuovi orizzonti nella mia carriera. Per questo motivo, desidero fare tutto il possibile per cogliere un’occasione che si presenta una volta nella vita”, dice Astrid Kuljanić. (hlb)