LASENSIBILITÀ
MUSICALE
COMEVEICOLO
D'APPARTENENZA
ADUNACIVILTÀ
la Voce
del popolo
musica
www.edit.hr/lavoce
Anno 9 • n. 70
mercoledì, 29 maggio 2013
MUSICA D'ARTE E POPOLARE:
LINEE GENERALI DELLA TRADIZIONE
MUSICALE IN ISTRIA, QUARNERO E DALMAZIA
DALL'IMMENSA E SECOLARE EREDITÀ
DEI CANTI PATRIARCHINI,TRASMESSA ORALMENTE
AGLI AUTORI DELLA CONTEMPORANEITÀ
TEATRO E MUSICA
OMAGGIO ALL'ARTISTA
IL COMMENTO
ATTUALITÀ
Clara Schumann, l'inquieto
mondo di una grande artista
La stanza memoriale
del grande Antonio Smareglia
I «Vespri siciliani» di Spalato
sono davvero una «prima»?
Astrid Kuljanić alla
Manhattan School of Music
Il monologo di Valeria Moretti,
interpretato da Ksenija Prohaska, specchio
della vita familiare della celebre pianista
La travagliata esistenza artistica del
Maestro polese, incompreso dal proprio
tempo e tuttora relegato in ingiusto oblio
La prima dell'opera verdiana sull'odierno
territorio croato avvenne a Fiume al
Teatro Adamich nel 1868
Un master a New York che potrebbe
diventare realtà se la cantante jazz
fiumana riuscirà a rimediare i mezzi
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mercoledì, 29 maggio 2013
musica
la Voce
del popolo
TEATRO E MUSICA
di Sandro Damiani
UNADONNASENZAINFINGIMENTI
NELLAVIRTUOSISTICACONCILIAZIONE
DEISUOITANTIRUOLI
R
oma 7 aprile 2009, Teatro
dell'Orologio. Si è appena concluso,
sommerso da convintissimi applausi,
lo spettacolo "Marlene Dietrich". Ksenija
Prohaska e il pianista Ivan Božičević sono nei
camerini.
Gli amici, i conoscenti ed i colleghi con cui
mi intrattengo sono entusiasti della prova di
Ksenija. Mario Moretti, fondatore e direttore
di questo importante spazio della scena
romana tornerà pure la sera appresso e con
lui la collega scrittrice, e omonima, Valeria
Moretti, la quale un paio di ore prima ci
aveva messo a disposizione un asse da stiro
per esigenze di palcoscenico.
Quando i protagonisti della serata escono,
vengono immediatamente circondati, più
che dagli spettatori in carne ed ossa, dal
loro affetto e dalla loro stima. C'è anche
l'ambasciatore croato a Roma con un enorme
mazzo di rose.
Un progetto teatrale per Ksenija-Clara
|| Clara e Robert Schumann
Non so se per caso o perché, mi ritrovo
da solo con Valeria, la quale, prima di
andare pure lei a complimentarsi con
l'attrice e il pianista, mi dice a bruciapelo:
"Ho un progetto per la Prohaska, spero
le piaccia: Clara Schumann". Conosco
le qualità drammaturgiche di Valeria:
ha scritto, regolarmente rappresentate a
Roma e a Parigi, parecchie commedie a
due e monologhi incentrati su personalità
femminili di spicco. Arguisco, perciò, che
la Clara di cui ha fatto il nome non è, come
verrebbe da pensare, "la moglie di Robert
Schumann". O meglio, è lei, ma, forse non
si tratta "solo" della moglie del grande
compositore... Per tutta risposta – sapendo,
e superficialmente, due o tre cosine in
materia, quindi dando per scontato che Clara
abbia composto anche dei lead – dico: "Non
penserai che con questa voce, Ksenija possa
interpretare delle arie della Schumann o
di suo marito!?". Non gliel'ho mai chiesto,
penso però che in quel momento a Valeria
siano crollate le braccia, pensando fra sé
e sé: "Come gli può venire in mente che
io possa reputare buona per dei leader
un'interprete che non abbia il timbro e la
vocalità propri della cantante lirica?".
"La musica non c'entra – mi dice – mi
riferisco al personaggio".
Una volta rientrati a casa, accenno a Ksenija
la cosa e mi dò subito da fare col PC: "Clara
Josephine Wieck Schumann
(Lipsia, 13 settembre 1819 – Francoforte sul
Meno, 20 maggio 1896)... Robert Alexander
Schumann (Zwickau, 8 giugno 1810 – Bonn,
29 luglio 1856). Mah...
Dai propositi ai fatti
|| Clara Schumann
Salona, 21 luglio 2010. Prodotto dal
Solinsko kulturno ljeto, in collaborazione con
l'Associazione artistica “Caravan” di Spalato
va in scena il monologo drammatico con
musiche "Clara Schumann". Tra il pubblico –
oltre trecento spettatori - c'è Valeria Moretti.
Tra recitato e intermezzi musicali, un'ora e
mezza di spettacolo, senza pause.
La pianista Iryna Smirnova, alla sinistra del
pubblico, ma nel medesimo spazio scenico
in cui agirà l'Attrice, cioé il camerino di
un teatro, ha appena concluso il primo
intervento musicale, quando da dietro le
quinte appare Clara. Ha appena terminato
l'ennesimo concerto in una capitale europea,
lontano da casa. Tiene in mano un mazzo di
fiori. E' emozionata e felice. Il pubblico l'ha
subissata di applausi; anche gli orchestrali
|| Valeria Moretti, l'autrice del monologo "Clara Schumann"
– dice – l'hanno acclamata. Si siede sul sofà, si
serve una tisana e si apre ad un monologo, in
realtà un dialogo: lei bambina e suo padre, un
burbero (per lei) e antipatico (per noi) maestro
di piano, ambizioso ed egoista. Quindi "si
intrattiene", nei ricordi, col suo amato Robert,
scomparso alcuni anni prima. E poi, i figli,
gli amici. E innumerevoli dialoghi interiori e
monologhi.
Tenere reminiscenze
Tutta la prima parte dello spettacolo è
all'insegna della "leggerezza": i ricordi, certo,
la immalinconiscono un pò, ma si tratta di una
malinconia sana, che non fa soffrire, nemmeno
quando ricorda la mamma, da cui ha dovuto
vivere lontano, dopo la separazione dei genitori.
"Ma – dice Clara – le madri non hanno bisogno
di essere presenti per essere essenziali,
importanti, indimenticabili... Le madri resistono
a tutto, anche all'assenza".
Nell'insieme, si tratta di bei ricordi: lei bimba
che, al piano, con i piedini che non toccano
nemmeno terra, riceve l'inchino di Niccolò
Paganini con cui aveva appena suonato e che
aveva scritto per lei delle composizioni; la
medaglia avuta da Goethe, i primi scambi di
parole col nuovo allievo del padre, un bellissimo
Robert Schumann: lei noce, lui diciott'anni...
Poi legge la posta pervenutale in giornata:
inviti per cento concerti in America, le spiritose
congratulazioni di Johannes Brahms che proprio
lei e suo marito avevano, diciamo cosi, tenuto
al battesimo artistico; la bella notizia da Parigi,
dalla Società degli editori, la quale l'informa
che i diritti d'autore di Robert Schumann sono
raddoppiati rispetto a Berlioz, Wagner, Liszt.
Soprattutto grazie a lei, la maggiore concertista
al mondo, che ad ogni esibizione, in repertorio
accanto alle musiche di Mendelsohnn, Chopin,
Beethoven suona regolarmente quelle di Robert,
di cui si sapeva poco o nulla, al di fuori della
cerchia dei compositori e critici, peraltro amici,
tedeschi.
Robert marito di Clara Wieck Schumann!
Ecco, dunque, che dalla penna di Valeria Moretti
veniamo a sapere ciò che nessun biografo né
critico musicale ci ha mai detto, se non molto
sommessamente, e cioé che Clara Schumann
per non pochi decenni dell'Ottocento, non era la
"moglie di Robert Schumann", ma che lui era il
marito di Clara Wieck Schumann!
Dal secondo dopoguerra in poi sono stati girati
ben tre film su questa coppia, ahimé per troppo
poco tempo felice...
Per una buona quarantina di minuti, inclusi gli
interventi musicali, l'atmosfera è gaia, festosa,
tanto più che i ricordi del menage quotidiano,
con un esercito di bambini intorno (ne avevano
otto, in tredici anni di vita vissuta insieme)
sono spensierati. Certo, non mancano dei brevi
musica
la Voce
del popolo
mercoledì, 29 maggio 2013
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|| Ksenija Prohaska come Clara a Salona
momenti di tristezza: come quando si rammarica
che nei dopoconcerti in giro per l'Europa
nessuno sappia chi sia il suo accompagnatore,
suo marito, che lei invece sa trattarsi di un
genio: "Ah, si occupa di musica pure lei?"
chiedono a Robert. Oppure quando lo "vede"
alle prese con la menomazione dell'anulare che
Schumann aveva definitivamente compromesso
a causa di strani tentativi di raggiungere
virtuosistiche velocità di esecuzione.
Dramma familiare
Nell'aria, tuttavia, si avverte che sta per arrivare
un temporale: troppa gioia, troppa levità. Sono
le stesse leggi della scrittura drammatica a
indicare che prima o poi ci sarà un cambio di
passo. Che avviene quando Clara legge la lettera
che aveva deciso di guardare per ultima, essendo
arrivata da casa, dove come sempre aveva
lasciato tutto predisposto per il meglio, grazie ad
una condizione di vita assai agiata.
La apre. Resta impietrita: "Ludwig è stato
internato in manicomio nel vecchio castello di
Colditz". E' il crollo. La pianista lascia, come a
causa di una magia nera, il posto alla madre.
Disperata e contemporaneamente "colpevole": il
riflesso di Pavlov, tipico delle madri: si sentono
sempre in colpa quando capita una disgrazia in
famiglia, anche quando non c'entrano nulla.
"Avrei dovuto sapere", dice, che Ludwig, sempre
in disparte, il meno talentuoso in fatto di
musica, il meno espansivo "sempre ritroso, pochi
sorrisi, poche lacrime, indecifrabile", quello che
con gli occhi "mi sembra che mi chiedesse di
non andare", di stargli vicino... Ovviamente, il
dramma del piccolo (detto fra noi: rinchiudere
in un manicomio un ragazzino in età nemmeno
puberale... una follia, un crimine!?) riporta alla
luce gli ultimi tremendi anni di Robert, poco
più che trentenne, la sua graduale perdita di
senno, il tentativo di suicidio, le paure. Infine,
il ricovero e il rifiuto di vedere chiunque, la
perdita della memoria:"Robert è morto da solo...
non c'ero quando spirò. Arrivai mezz'ora più
tardi... Forse avrei dovuto capire prima". Molto
prima, si ripete Clara in preda all'angoscia e a un
IL MONOLOGO «CLARA SCHUMANN»
DI VALERIA MORETTI, INTERPRETATO DA KSENIJA
PROHASKA, DISCHIUDE IL COMPLESSO ED
INQUIETO MONDO INTERIORE, PROFESSIONALE
E FAMILIARE DI UNA GRANDE ARTISTA
rimorso che oggettivamente non dovrebbe
sentire. In fondo, cosa si sapeva, all'epoca,
delle malattie mentali, della fragilità
psicologica? "Psicologia": pare che la prima
volta il termine fosse stato usato dal dalmata
Marulo/Marulić; e poi da Cartesio, Hobbes,
Locke. Di certo se ne è servito Kant, ma fino
alle teorie sulle emozioni di Darwin siamo
lontanissimi da ciò che verremo a sapere
da Wilhelm Wunt in poi, e soprattutto con
Freud.
Angosciosa impotenza
Brancolano nel buio i medici che hanno in
cura Robert, idem quelli che si occupano
di Ludwig. Clara più di loro. Non sa - non
può saperlo - darsi spiegazioni sull'origine
e il perché di questa grande sofferenza
dell'amato marito, e del figlio.
"Ci sono momenti, anch'io li ho provati,
nei quali ci sentiamo affondare come un
vascello in piena burrasca e l'anima si stacca
dal corpo", dice rammentando i sempre
più frequenti momenti di alienazione di
Robert. "Fui muta di fronte alla follia, perché
la genialità era lì, presente più che mai
ed era più forte e più viva di tutto il resto.
Forse certe dissonanze esaltano armonie
unificando nel profondo di noi ciò che
apparentemente sembra diviso. Lui forse
ha voluto andare oltre, là dove nascono
e muoiono i sogni, oltre i limiti, oltre
l'orizzonte, lontano".
E ancora: "Io amavo Robert, ma il mio
amore non è bastato a proteggerlo, non sono
riuscita a illuminare quel buio indistinto che
l'avvolgeva". E' il massimo della spiegazione
che si può dare. Ma la vita va avanti.
Oltre a Ludwig ci sono altri sette figli da
crescere e lasciare andare per la loro via in
condizioni da poterla affrontare senza troppi
problemi. Quanto al piccolo: "Questa volta,
no. Strapperò mio figlio alla notte: lui così
fragile, così inquieto, così indifeso... No, non
lascerò che il buio mi rubi anche Ludwig!
Non lascerà che sia il Nulla a condurre il
Ballo! Ci riuscirò?"
L'inarrestabile flusso della vita
Un ultimo ricordo va a Robert: "Quando fu
adagiato nella tomba ebbi la sensazione che
sottoterra ci fosse solamente il suo corpo,
non la sua anima. La sua anima era volata
via ed era vicina a me, con me, in me".
Quindi, il funerale: "Applausi scroscianti,
un'infinità di inchini, elogi, complimenti,
fiori... e poi? Poi si resta soli con se stessi".
Prosegue il testo di Valeria:
Si guarda intorno, va verso un'immaginaria
finestra. "E' l'alba! Dio ha separato la luce
dalle tenebre, ma non abbastanza...Io non
temo il giorno e non temo la notte (...) E'
l'alba. Devo preparare le valigie (raccoglie
e sistema le sue cose). Domani devo essere
a Vienna per un concerto. E poi Praga e poi
Londra e poi Copenhagen... Bisogna lavorare
bene finché è giorno, diceva Robert..(...) Sì,
io amo l'alba". Un'ultima battuta, un brano
di Schumann dal vivo...Buio. Sipario. E
come ovunque in seguito – regolarmente! - a
cominciare dalla notte stellata di Salona,
passa un interminabile minuto in un
silenzio irreale, quindi gli applausi, lunghi,
insistenti....
Ovvio, per Ksenija Prohaska. E per Iryna
Smirnova. E per Valeria Moretti. Ma
soprattutto – ho sempre avuto questo
sospetto – per lei, per questa straordinaria
donna che ha saputo tenere insieme la
donna e la concertista, la madre e la moglie,
sopravvissuta al marito circa quarant'anni,
offrendolo quasi ogni sera alle platee di
mezzo mondo, immortalandone l'arte e
la memoria. L'anno successivo alla prima
saloniana – e quasi in contemporanea
a quella romana, in forma di lettura,
con la splendida Giuliana Lojodice –
"Clara Schumann" è uscito, edito da
La Mongolfiera. Il testo presenta sia la
traduzione francese che quella, adattata,
croata. La prefazione è del critico Guido
Davico Bonino, il quale scrive: "Cosa significa
essere 'rivale' del proprio consorte – pianista
riuscita lei, fallito lui per assurdi esperimenti
cui sottopose le dita fino a rovinarsi la
mano? Come si concilia la propria carriera
con la maternità (otto figli in quattordici
anni, con il quinto, anche lui malato di
mente) ? Come si convive sedici anni con un
genio? Qual e' la propria responsabilità nella
sua lotta (...) con la follia?
Ciò che avvince nel monologo-confessione
di Clara è che essa ci viene porta senza
infingimenti, ma anzi come l'ammissione di
una scoperta disarmonia interiore, se non un
dissidio tra sé e l'altro da noi".
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del popolo
del popolo
mercoledì, 29 maggio 2013
MUSICA D’ARTE E POPOLARE
di David Di Paoli Paulovich
LASENSIBILITÀMUSICALE
COMEVEICOLO
D’APPARTENENZA
ADUNACIVILTÀ
T
ra gli elementi fondanti e
identificanti delle culture istriana
e dalmata di matrice latino veneta
sta certamente l’ininterrotta tradizione
di un’espressione musicale, intesa nelle
sue molteplici varianti, che nei secoli ha
rinsaldato i legami di queste terre con la
civiltà di Roma e poi quella di Venezia, sì
da esserne queste tenaci e attente custodi
ma anche vitali interpreti, divenendo a
loro volta centri di diffusione di nuovi
impulsi, gusti e forme, confrontatesi
armonicamente con le contermini culture
slava e tedesca nella prevalenza delle
espressioni plasmatasi nell’ambito delle
cultura e civiltà latino-veneta. Possiamo
tracciare alcune partizioni affrontando
complessivamente la musica d’arte: quella
vocale monodica ascrivibile al canto
piano, e quella polifonica vocale, con o
senza accompagnamento strumentale
insieme con quella prettamente
strumentale. In ultimo, si cennerà alla
musica vocale cosiddetta d’espressione
popolare.
Musica sacra monodica
Il primo suono storicamente accertato è
quello delle tibie e buccine romane che
nel 178 a.C. suonarono la sconfitta degli
Istri. Se le origini della Chiesa istriana e
Dalmata sono antichissime (il martire San
Mauro è vescovo di Parenzo nel III secolo
mentre una vita diocesana organizzata si
riscontra già verso il VI secolo a Trieste,
Giustinopoli (Capodistria), Cittanova,
Parenzo, Pola e Pedena), antichissima è
anche la sua musica cultuale. In cotale
contesto, ecclesiasticamente vitale
(patriarcati di Aquileia, poi di Grado e
di Venezia), non poteva non svilupparsi
e conservarsi una tradizione musicale
sacra dai tratti autonomi e peculiari. Chi
durante le sacre liturgie avesse sostato in
una chiesa situata nella fascia territoriale
corrispondente all’Istria, al Quarnero e alla
Dalmazia, avrebbe facilmente potuto udire
tracce sonore di quello che la musicologia
italiana qualifica come canto patriarchino,
ossia un canto liturgico di tradizione orale,
polifonizzato naturalmente dalle voci e
accompagnato sovente dall’organo, su
testi latini, tramandato e cantato in tutte
le officiature di rito romano, in luogo delle
melodie gregoriane proprie di tale rito.
Il canto patriarchino
Molteplici fattori condussero al tramonto
della tradizione patriarchina: la riforma
liturgica del Concilio Vaticano II con
l’abbandono generalizzato della lingua
latina nella liturgia, e prima ancora
l’edizione dei nuovi libri liturgici di canto
gregoriano tra gli anni Venti e Trenta del
‘900, che soppiantarono in molti luoghi gli
usi musicali-sacri monodici locali. Perché
patriarchino? Vulgo dicitur patriarchinus
annotava il sacerdote e studioso parentino
Francesco Babudri. Per convinzione
propria degli ambienti ecclesiastici
istriani e friulani si riteneva che detto
canto radicasse le proprie origini
nel canto del patriarcato aquileiese.
Trattasi di canto ch’ebbe a intrecciarsi
alle culture monodiche e polivoche
locali nei lunghi secoli di influenza del
Patriarcato veneziano sotto la Dominante
(Repubblica di Venezia), e che si diffuse
rapidamente ed in profondità non
soltanto nella Dalmazia e nelle località
costiere istriane e venete, ma pure nella
terraferma veneta e friulana. Così come
a noi giunto, non è altro che il risultato
d’una plurisecolare trasmissione orale in
una continua sovrapposizione di stili, sì
da aver acquisito una propria peculiare
fisionomia.
Musica d’arte vocale e strumentale:
il Cinquecento
La produzione musicale istro dalmata,
pur non si discostandosi dagli stili
e dalle forme dei maggiori centri di
cultura italiani ed europei, offre notevoli
contributi alla storia della musica.
Gli avvenimenti musicali più importanti
in Istria dal Cinquecento in poi sono
strettamente legati all’attività esecutiva
e musicale delle cappelle corali delle
chiese più insigni. Basti ricordare
che la cappella musicale del duomo
di Capodistria alla fine del Seicento
vantava quattro cantanti professionisti,
due violinisti e un maestro di cappella,
e risultava di media grandezza se
confrontata ad altri centri musicali
quali San Marco, San Petronio a
Bologna o Sant’Antonio a Padova.
Anche le famiglie nobili e borghesi
coltivavano l’arte musicale nell’ambito
di accademie rinascimentali: i membri
dell’Accademia Palladia di Capodistria
nei loro incontri intonavano qualche
madrigale, e probabilmente anche
qualche componimento del compositore
e organista capodistriano Gabriello
Politi o Puliti (1580-1644), il quale a
Venezia edita circa trentasei raccolte
di composizioni sacre e profane, di
cui alcune oggi riedite dall’Istituto
di Musicologia di Lubiana: tra le
composizioni strumentali a più voci,
compaiono le prime forme di monodie
sacre barocche con continuo strumentale.
A Capodistria sono maestri di cappella
il fiammingo Francesco Bonardo e gli
italiani Silao Casentini e Nicolò Toscano:
l’attività compositiva è ospitata nelle
liturgie solenni del duomo. L’Istria
partecipa agli eventi romani in questo
periodo attraverso il compositore
sacerdote Filippo di Laurana, il quale
compone la frottola Quercus juncta
columna est per i festeggiamenti nuziali
di Marc’Antonio Colonna e Lucrezia della
Rovere e fra tanti il madrigale “Dona
contro a la mia voglia”, prediletto da
Cesare Borgia. Dal 1512 sino alla morte
quegli fu anche maestro di cappella del
patriarca di Aquileia. Mori dopo l`anno
1523, e al suo posto fu nominato suo
nipote Jacopo.
Andrea Antico da Montona
Campeggia meritoria in questo secolo
la figura di Andrea Antico da Montona
(1470-80; 1540?), sacerdote, editore e
compositore di musica sacra e profana
che beneficiò di privilegi papali,
trasferitosi a Venezia intorno al 1500.
Egli è uno dei precursori del madrigale
con Costanzo Festa e Benardino Pisano.
Cenniamo quindi Francesco Bossinensi
(sec. XV-XVI) liutista, del quale il
ricordato Petrucci pubblicò due libri
d’intavolature per liuto. A Rovigno
in questo secolo opera il sacerdote
rovignese Francesco Sponza, o Spongia –
Usper (1561-1641), il quale si perfezionò
a Venezia sotto la guida del sommo
maestro di cappella di San Marco Andrea
Gabrieli. Divenne organista nella chiesa
di San Salvador e nel 1622 a San Marco.
Le sue opere musicali comprendono i
Ricercari (1595), un primo di madrigali
(1604), la messa e salmi (1614), le
composizioni armoniche (1619) un libro
di salmi (1627), Graduale e il Tractus per
il perduto Requiem mediceo del 1621.
Quanto alla Dalmazia, regione più isolata
ma fucina d’ingegni notevoli, i rapporti
commerciali con l’Italia, favoriscono gli
scambi culturali soprattutto con Ragusa,
il maggior centro di cultura dalmata: nel
‘500 ricordiamo i compositori A. Petris
(Patricij) e Julius Schiavetto o Schiavetti
(Skjavetić secondo certa musicologia
croata), le cui opere rappresentano
drammi e commedie pastorali con
musica e danza, nonché il più celebre L.
Lukačič.
La crisi nel Seicento
Il secolo è funestato a partire dal terzo
decennio dalla catastrofica epidemia
di peste e dalla carestia che ne seguì.
Ciò provoca anche il declino della
prassi musicale, che tuttavia consente
si forgino ancora ingegni musicali di
spessore. In questo secolo il nipote del
rovignese Francesco Spongia Gabriele
Usper, lavora quale compositore a
Venezia. A Capodistria il Duomo è
laboratorio di composizione musicale: vi
emerge il nobile capodistriano Antonio
Tarsia (1643-1722), compositore di
musica sacra e organista del duomo.
La musica veneta influì sul versante
sacro e, più in generale, quella italiana
su quello profano: Tarsia ci lascia
infatti anche un’opera, “Il peccatore
ammaliato” (1660). In Dalmazia sono
attivi il compositore J.Raffaelli ed a
Spalato vive il grande intellettuale
J.Bajamonti, autore dell’oratorio “La
traslazione di San Dòimo”. Il fiumano
Vincenzo Jelich opera a Graz e in
|| Andrea Antico da Mo
LINEE GENERALI DELLA TR
IN ISTRIA, NEL QUARNERO
DALL'IMMENSA EREDITÀ
PATRIARCHINI AGLI AUTO
Alsazia, componendo raccolte di mottetti
annoverabili fra gli esempi significativi
del primo Barocco. Nel Duomo di Spalato
compone Tomaso Cecchini (1583-1644),
veronese di nascita, poi maestro di cappella
nel Duomo di Lesina dal 1614, il quale
contribuisce ad introdurre la monodia
barocca sulla costa orientale del Mare
Adiatico.
Il Settecento e il poliedrico contributo
di Giuseppe Tartini
Giuseppe Tartini (1692-1770) è il musicista
d’eccellenza che l’Istria dona a questo
secolo, violinista e compositore. Nato
a Pirano d’Istria, nella cui piazza viene
raffigurato in monumento, dopo una
vita alquanto burrascosa, tra Venezia,
Assisi, Praga e Padova, scrive trattati di
teoria musicale, di acustica, di dialettica
violinistica, oltre ad innumeri composizioni
strumentali (soprattutto concerti, 131, e
sonate per violino o violino e basso), tra cui
menzioniamo la celebre sonata per violino
“del trillo del diavolo” (1713) e “Didone
abbandonata”, mentre tra quelle sacre
ricordiamo la Salve Regina e il Miserere
eseguito nella Cappella Sistina alla presenza
di Papa Clemente XIII. Noto in tutta Europa
non solo quale virtuoso e studioso della
didattica e tecnica violinistica, intuisce
l’importanza dello studio della matematica e
della fisica per meglio comprendere il suono.
Scrive allora “Il Trattato di musica secondo
la vera scienza dell’armonia”, cercando
d’indagare scientificamente il sistema
musicale, e poi la “Dissertazione dei principi
d’armonia”. A Padova, ove concluderà la sua
esistenza terrena, apre nel 1728 una scuola
di violino, che richiamerà allievi dall’Italia e
dall’estero.
In Dalmazia va infine ricordata l’opera, sia
pure non compositiva, di Pietro Nacchini,
che costruì ben cinquecento organi fra
l’Italia e la Dalmazia. A Capodistria opera
Giacomo Genzo (1779-1861), organista del
duomo e compositore, che ci lasca messe
mottetti, salmi, offertori, inni, e sonate.
Il dovizioso Ottocento: Antonio Smareglia
A Pola, il 5 maggio 1854 nasce Antonio
Smareglia, il più grande operista istriano.
Dopo gli studi compiuti a Vienna,
Graz e al Conservatorio di Milano con
Franco Faccio, stringe l’amicizia con
Arrigo Boito, esponente della cosiddetta
Scapigliatura milanese, ed esordisce con
le opere “Preziosa” e “Bianca da Cervia”,
ricollegandosi con l’opera successiva
“Il vassallo di Szigeth” alle tendenze
tardoromantiche e alle tecniche wagneriane
dell’area mitteleuropea. Il suo capolavoro
la Voce
musica
del popolo
5
mercoledì, 29 maggio 2013
ontona, prima pagina del "Liber quindicim Missarum" edito a Roma nel 1516
RADIZIONE MUSICALE
O E NELLA DALMAZIA.
À DEI CANTI
ORI CONTEMPORANEI
è l’opera “Nozze istriane” (1894), che
spicca tra una produzione ricca di musica
da camera e di musica sacra. Nel 1897
compone Falena e, ormai cieco, Oceana,
rappresentata alla Scala e diretta da Arturo
Toscanini. Arrigo Boito commenta: “in
quest’opera che segna un nuovo capitolo
nella storia del Teatro Italiano, la tua
orchestra è più ricca e più varia di Wagner”.
La cecità sopravvenuta non gli impedì di
lavorare e di produrre: accetta nel 1921
una cattedra al Conservatorio Tartini
di Trieste. Il dramma storico L’abisso,
su libretto di Silvio Benco, conclude la
parabola creativa di Smareglia. Muore a
Grado il 15 aprile 1929. Bene illumina
e compendia il messaggio smaregliano
il musicologo Tabouret: “si riflette nella
musica di Wagner la sua personalità
di tedesco, vibra e canta in quella di
Smareglia un’anima latina, in cui prevale
l’elemento affettivo”.
Giovanni Zaytz fondatore del teatro zagabrese
Originario di Fiume è Ivan Zajc (Fiume
1832-Zagabria 1914), compositore e
direttore d’orchestra, che la Croazia
annovera fra i compositori di spicco, avente
il merito d’aver valorizzato il teatro lirico
nazionale croato attraverso l’impegno di
temi popolari.
La Dalmazia è in questo secolo la culla
del grande Franz Suppé Demelli (Spalato
1819-Vienna 1895), attivissimo quale
compositore di operette e rivale di J.Strauss
jr.: ricordiamo “La dama di picche” [1864];
“La bella Galatea”[1865]; “Cavalleria
leggera” [1866]; “Boccaccia”[1870].
Scrisse, oltre a musica sacra e da camera,
nove opere liriche, tra cui resta ancor oggi
rappresentata “Poeta e contadino” [1846].
Le cappelle corali fulcri della musica in Dalmazia
Del resto, nella seconda metà dell’Ottocento
maestri compositori italiani siedono alla
guida delle prestigiose cappelle corali delle
cattedrali di Sebenico (Gaetano Mazzoli) e
Traù (Giuseppe e il figlio Giovanni Bozzotti,
il primo nato a Milano, il secondo a Traù),
e Spalato (Eligio Bonamici, bolognese),
favorendo l’interscambio fra le città
dalmate e tra la Dalmazia e le regioni della
costa adriatica, stante anche la facilità di
collegamento via mare.
La prestigiosa tradizione di Zara
In particolare, la sua storia musicale più
rilevante s’identifica con la vita musicale
praticata nella cattedrale di Sant’Anastasia,
sede arcivescovile e nelle sue chiese più
insigni, durante le liturgie (in genere per
le ufficiature della messa cantata e delle
|| S. Anastasia a Zara
ore canoniche – soprattutto il vespero
-,sovente occasioni di prime esecuzioni
di nuove composizioni musicali). A
Sant’Anastasia opera una cappella
corale e un’orchestra, e ciò almeno
fino ai primi anni del Novecento. Al
principio dell’Ottocento riveste l’incarico
di maestro di cappella nella cattedrale
di Sant’Anastasia lo zaratino canonico
Girolamo Allesani o Alesani (17761823), compositore, la cui musica “alla
sua morte passò alla basilica e venne
a lungo eseguita, così un Popule meus,
grande messa istrumentale di requiem,
con imponente Dies irae, vesperi,
mottetti, ecc.” (Sabalich). Gli subentra
Antonio Di Licini o Licini. E’nominato
suo successore nel 1857 Antonio
Ravasio, compositore bergamasco
diplomato a Milano, maestro di cappella
sino alla morte (+1912). Ravasio
collabora anche con i Frati, tra i quali
spiccano anche figure di compositori,
quali quella del letterato padre Donato
Fabianich, nato a Pago e morto a Zara
nel 1890.
Il Novecento, la dodecafonia di Dallapiccola
Ascritto fra i compositori istriani è
anche il compositore Luigi Dallapiccola
(1904-1975), nato a Pisino d’Istria. Gli
studi musicali compiuti a Pisino, Graz,
Trieste e Firenze consentono uno spazio
di maturazione diversificato, ampio
e fecondo. Il suo linguaggio musicale
trapassa dall’uso della tonalità a quello
della tecnica dodecafonica, intesa come
strumento di libertà poetica con valore
morale. Si fa conoscere nel 1933 con
la “Partita”per soprano e orchestra.
Seguirono i “Cori di Michelangelo il
giovane”, rivisitazione moderna dell’arte
madrigalesca, e nel 1940 l’opera
teatrale “Volo di notte”. Sensibile ai
temi storico-politici scrive “I canti di
prigionia”, l’opera “Il Prigioniero”, i
“Canti di liberazione”. L’opera “Ulisse”
composta nel 1968 chiude la sua
esperienza teatrale. Sette anni più tardi
morirà a Firenze.
Rizzi, Dionisi, Donorà
Nel 1899 nasce a Sušak- Fiume Lovro
von Matacič, direttore d’orchestra e
compositore, noto in Germania e in
Italia. Cherso dà i natali a Bernardino
Rizzi il 27 maggio 1891 da Maria
Soich e Antonio Rizzi, famiglia
presente nella cittadina fin dal 1590.
Entrato nell’Ordine dei Frati Minori
Conventuali, e ordinato sacerdote a
Roma consegue il Diploma in Canto
Gregoriano presso la Pontificia Scuola
Superiore di Musica Sacra e, nel 1921,
il Magistero di Composizione presso
il Conservatorio Musicale di Padova.
Raggiunge la grande popolarità in
Polonia. Nel 1923 fonda a Krakovia,
presso la Basilica dei Frati Minori
Conventuali la Società Chòr Cecylianski.
Compone numerosissime opere, tra cui
citiamo: Il Mistero di Santa Cecilia,
dramma cristiano in tre atti con
allegorie per soli, coro e orchestra;
gli oratori Carnaro, Poema sinfonico;
Il Santo, Santo Francesco, Trittico
Dantesco; Venezia nelle sue guerre e
nella sua potenza, cortometraggio per
orchestra; I Pali telegrafici – Impressioni
di pioggia – I Falciatori, per orchestra;
La Radio, realizzazione sinfonica in
morte di G. Marconi; Ali di guerra,
quadro sinfonico.
Ricordiamo poi Renato Dionisi,
compositore e didatta rovignese,
il dalmata Antonio Brainovich
compositore e maestro di coro al
teatro Regio di Torino e Luigi Donorà,
compositore e direttore d’orchestra e di
coro, nato a Dignano d’Istria nel 1935
ma attivo a Torino. E’ autore di musiche
per teatro (opere liriche), musiche
vocali, strumentali, corali e di musiche
sinfoniche.
Un cenno particolare va destinato
a Giuseppe Radole, nato a Barbana
d’Istria (1921-2007), sacerdote,
compositore, che si occupò a lungo
di folclore istriano e compose molta
musica sacra, per anni alla guida della
Cappella Civica di San Giusto di Trieste.
Donorà ricorda ancora quali compositori
dell’Istria odierna Denis Dekleva
Radaković (Pisino 1949) e Massimo
Braiković (Rovigno 1955). Anche
l’associazionismo corale dei rimasti ha
dato la possibilità a taluni musicisti di
cimentarsi nella composizione anche
di musica corale e commerciale, fra cui
ricordiamo i compositori Nello Milotti e
Piero Soffici.
La musica d’espressione popolare
A partire dalla prima metà dell’Ottocento
si risveglia il sentimento nazionale, e,
per la prima volta, il folclore diviene
oggetto di ricerca e di studio. Anche
l’Istria, il Quarnero e la Dalmazia offrono
una ricchissima tradizione orale di canti
nella parlata istroromanza e istroveneta
da suscitare l’invidia di molte regioni
italiane. Tra i primi il dalmata Nicolò
Tommaseo edita una raccolta di canti
popolari toscani, tosto imitato nel 1862
da un Anonimo che a Rovigno pubblica
una raccolta di canti popolari istriani, la
prima a noi giunta. Successivamente, lo
studioso e sacerdote parentino Francesco
Babudri (197-1963), il rovignese
Antonio Ive (1851-1937) proseguono
l’opera di raccolta, che si spinge sino
ai giorni nostri con l’ultima opera di
Roberto Starec da poco edita, “I canti
della tradizione italiana in Istria”, che
raduna le ultime rilevazioni sul campo
di tradizioni polivoche ormai quasi
scomparse.
Villotte, botonade, laudi, bitinade
I canti popolari istriani si possono
distinguere in canti con testo dialettale
istriota (diffusi nei centri meridionali
dell’Istria, Rovigno, Valle e Dignano), e in
canti con testo dialettale veneto istriano.
Nei canti istriani non sono pochi forme
ed elementi originali: principalmente si
pensi alle villotte istriane, componimenti
monostrofici in quartina d’endecasillabi
rivolte ad un destinatario spesso a
tema amoroso, che prendono il nome
di botonade a Dignano e batarele a
Capodistria, eseguite vocalmente o anche
con accompagnamento strumentale
(con violino e violoncello chiamato
el basseto). A Dignano la villotta è
canto assolo e a duetto (e allora si
chiama basso). Originali sono pure
le bitinade rovignesi, dove le voci
in coro improvvisano un fantasioso
accompagnamento d’imitazione
strumentale alla voce che intona la
villotta. Vi sono poi gli stornelli della
tradizione di Gallesano, i canti narrativi
epico lirici con forma di ballata (come
Donna lombarda), le arie di notte (da
nuoto) rovignesi. A fianco dei canti
popolari profani ricordiamo infine quelli
sacri, interessanti e ascrivibili al genere
della lauda: molte sono quelle natalizie
e pasquali, ma anche quelle mariane.
In definitiva, il quadro e la produzione
musicale della costa adriatrica orientale
denotano una vivacità culturale ricca
e diversificata, che, partendo dagli
albori aquileiesi tocca profondamente
gli aspetti folclorici popolari, riunisce
un repertorio dai tratti originali e che,
soprattutto, riferendomi agli aspetti
musicali sacri (canto patriarchino) e
profani (canto popolare), ha consentito
il formarsi nei secoli di una sensibilità
musicale ad ogni livello, tale da
contribuire essa stessa al sentimento
d’appartenenza ad una civiltà peculiare
ed unica: nelle sue componenti istriana,
quarnerina, fiumana e dalmata.
6
musica
mercoledì, 29 maggio 2013
OMAGGIO ALL'ARTISTA
U
na vita in una stanza (e piccolina
pure), viene da dire, ma è solo un
pensiero che sfugge perché nel
momento in cui vita e musica diventano
inscindibili, non c’è modo di farla entrare
(la vita) in un “cassetto”.
Ogni anno Pola ricorda Antonio Smareglia
nel giorno della nascita, il 5 maggio.
Destino volle che a distanza di quasi un
secolo, quella data diventasse anche il
giorno della liberazione della città dal
nazifascismo, e che più tardi ancora fosse
celebrata come la Giornata della Città
di Pola (l’odierna versione laica, sempre
gravida di significato e di peso politico,
di quella che un tempo poteva essere
la ricorrenza della festa dedicata ad un
patrono, un santo, un martire). Ed è così
dal 2004, l’anno in cui nell’occasione del
150.esimo anniversario della nascita,
Pola e la sua Biblioteca universitaria
inaugurarono nella casa natale del Maestro
una Sala memoriale dedicata alla sua
vita e alla sua opera, ed ebbero in questo
l'aiuto e il sostegno della Regione Istriana,
della Regione Veneto e della famiglia del
compositore.
La vita in una stanza memoriale
Come solitamente accade, anche quest'anno
il grande concerto allestito in piazza Foro
è tornato a canalizzare una piccola parte
dell’interesse pubblico sulla minuscola
sala memoriale che caparbiamente cerca
di rendere giustizia ad una vittima della
peggiore delle condanne possibili per chi
fosse nato e avesse vissuto per “creare arte”:
l’oblio.
Smessi gli abiti di festa e tornata al quieto
vivere, Pola e il mondo intero possono ora
tornare a misconoscere l’opera del Maestro,
e la stanza al pianterreno di “via Nettuno”
(oggi vicolo Augusto), che gli è dedicata,
può tornare utile occasionalmente quale
“fonte d'informazione per studiosi e amatori
dell’opera smaregliana”, giacché conserva
scritti, opere, spartiti, lettere autografe,
oggetti appartenuti al compositore, ritratti
ad esso ispirati da artisti suoi coevi o nostri
contemporanei (qui presenti solo in piccola
parte, per inciso, mentre la rimanenza è
conservata alla Biblioteca sul Colle Castello,
e viene puntualmente esposta su richiesta
dei ricercatori). Si potrà dunque tornare
a misconoscerne l’opera, oppure si potrà
tentare l’improbabile impresa di ascoltare
attentamente la musica smaregliana per
rendersi conto del suo valore intrinseco,
senza andare a scomodare “agiografi e
contestatori” di ieri, di oggi e di sempre,
magari andando a snocciolare il dramma
di una vita “più matrigna che madre”. Una
la Voce
del popolo
LADRAMMATIC
DI SMAREGLIATRA INC
EDEMARGINAZI
|| Il busto in bronzo del Maestro
NELLA STANZA MEMORIALE INTITOLATA
AL MAESTRO POLESE LE PREZIOSE TESTIMONIANZE
DI UNA VITA DEDICATA ALLA MUSICA.
NELLE PAGINE DI SMAREGLIA FLUISCE
IL SINFONISMO TEDESCO CONIUGATO
ALLA SENSIBILITÀ DELL'ANIMA LATINA
vita contenuta in briciole anche nella Stanza
memoriale di “via Nettuno”.
Sulle sfortune di Smareglia potranno
anche convergere poche opinioni, ma non
la certezza che sia finito disgraziatamente
a percorrere un binario morto della
musica italiana e mondiale del suo tempo,
naturalmente a suo irreparabile svantaggio.
Che sia stato svalutato già in vita e di più
dopo la morte, non è materia di discussione,
e i giudizi s’incrociano. La ricca storiografia
musicale italiana l’ha sempre detto:
Smareglia vale(va) di più.
argomentazioni e di analisi demistificatorie a
proposito dell’”enigma” smaregliano, da sempre
imbevuto di mito e brulicante di leggende.
La leggenda della “jettatura” in primo luogo.
Per indagare a fondo la genesi del “calvario”
smaregliano, Petronio scava nella psicologia
del personaggio e insiste sul fatto che ebbe un
“carattere ribelle, difficile, scontroso”. Non che
fosse cattivo, anzi, chi lo conobbe, confermò
che era di animo buono. “Ma gli difettava
la diplomazia; non aveva peli sulla lingua,
diceva la sua troppo schiettamente, ed era
specialista per intrufolarsi anche in faccende
che non lo riguardavano direttamente, ma i cui
protagonisti poi non dimenticavano”. E se non
fu la sola tra le cause dell’indigenza e dell’oblio,
l’assenza di diplomazia certamente non giovò
alla diffusione delle opere smaregliane.
L'incompreso sinfonismo di Smareglia
Svisceriamo a sorteggio alcune
considerazioni degli anni Sessanta e
Settanta. “Coetaneo di Catalani, Antonio
Smareglia (Pola 1854 – Trieste 1929),
robusto musicista, non è ancora apprezzato
come l’alto suo valore meriterebbe. Nozze
Istriane (1895), Falena (1897), Oceana
(1903), Abisso (1914), ecc. sono opere che
rivelano lo studioso del teatro wagneriano,
ma dotato altresì d’un genialissimo
temperamento personale”, diceva Achille
Schinelli nella sua scheletrica nondimeno
essenziale “Storia della musica dalle origini
ai giorni nostri”, e Giulio Confalonieri, nella
sua monumentale “Storia della musica”,
individuava uno tra i tanti possibili motivi
di quella svalutazione: “Dotato di musicalità
assai ricca, il triestino (sic) Antonio
Smareglia (1854-1929) venne considerato
senz’altro un wagneriano. Ma in realtà
nelle sue opere Cornelio Schutt (1893,
rifatta poi col titolo Pittori fiamminghi),
Nozze istriane (1895), La Falena (1896),
Oceana (1902), L’abisso (1914) il continuo
fluire di una turgida corrente orchestrale
fa pensare a delle grandi sinfonie di
taglio mendelssohniano, pur venate di
influenze wagneriane e anche chopiniane.
Fu probabilmente questo indulgere al
sinfonismo (in un’epoca che non gli era
favorevole, almeno da noi) a nuocere alla
diffusione delle sue opere”.
Certo, scritti sulla vita e le opere di
Antonio Smareglia non sono mai mancati,
a cominciare dai due libri dei figli del
maestro, Mario e Ariberto, ai “ricordi” di
Silvio Benco, fino a scritti di certo qual
“spessore” di Tomicich, Levi e Perpich, nei
quali però, come osservava Fabio Vidali, la
“venerazione amorosa per il Maestro spesso
ha fatto velo alla distaccata obiettività”.
L'impenetrabilità del repertorio smaregliano
nei teatri italiani
Diverso è il libro di Paolo Petronio “Le
opere di Antonio Smareglia” (Edizioni
Italo Svevo, Trieste, 2004) che si lascia
L'implacabile guerra di Giulio Ricordi
|| La cerimonia di apertura della sala memoriale
alle spalle il filone agiografico dei primi
biografi smaregliani e dedica invece al
maestro un’opera corposa, articolata,
interessante, spoglia di passione viscerale
(non è uno “smaregliano”, pur nutrendo
per l’autore una sincera considerazione,
come confessa mell'incipit), ma soprattutto
imperniata sulle sue opere, e solo in misura
minore focalizzata sulla biografia. L’impresa
biografica di questo studio finirà tuttavia
per svelare diversi aspetti dell’arcano della
(s)fortuna smaregliana. E in particolare
chiarirà le origini dell’incomprensibile
“impenetrabilità” dei teatri italiani e
stranieri al suo repertorio, al di là dell’ovvio
“stravolgimento del bacino d’utenza” dovuto
alla dissoluzione dell’Impero asburgico.
Ben prima della “finis Austriae” – osservava
infatti Fabio Vidali nella prefazione all’opera
di Petronio – dilagava un virus, trasversale
ed onnivoro, soprattutto nelle zone di
confine, per cui tutto era riconducibile alla
dicotomia irredentismo – anti-irredentismo,
e tutto ciò che non era corroborante
immediatamente a dimostrare l’”italianità”
era sommerso ed ignorato. Virus per il quale
anche il presunto “wagnerismo” del maestro
appariva ed era in netta “opposizione alle
sceneggiate veristiche della giovane scuola
italiana”. Naturalmente la Grande guerra ed
il fascismo non poterono che peggiorare la
situazione.
Il libro di Petronio ha colmato dunque
questo “vuoto” di dati di fatto, di
Difatti nel periodo milanese "il giovane
Smareglia si mise molto in evidenza come
partigiano di Wagner”, osserva Petronio e
definisce i “poli” cui tutto gravita, e l’inesistenza
della via intermedia: “... nell’Italia postrisorgimentale ci voleva poco a collegare
Verdi con la patria e Wagner con il nemico
tedesco”. Naturalmente in questo contesto le
dispute erano rischiose anche perché Verdi
era una “potenza musicale poco incline a
favorire i giovani, che semmai ostacolava, ed
ancor più ostacolava se gli erano contrari (e
Smareglia lo definì tante volte pubblicamente
“il chitarrista”); ed erano soprattutto rischiose
perché Verdi era in società con il potentissimo
Giulio Ricordi, il terribile editore, compositore
anche lui, anche se di infimo valore, antiwagneriano convinto, pronto ad usare tutti i
mezzi, anche quelli illeciti, per far progredire
i suoi affari e bloccare gli avversari”... Un
contrasto il loro, reso tanto più acerbo
quanto in quel periodo Smareglia si mostrò
"attivo nel campo delle conquiste femminili,
campo battuto anche da Giulio Ricordi”,
circostanza che nuovamente premette sulla
fortuna del Maestro nell’ancora delicata fase
dell’affermazione. Difatti il contrasto tra autore
ed editore divenne insanabile, e le critiche
sempre più feroci, alla vigilia della prima della
seconda opera smaregliana "Bianca da Cervia",
rappresentata alla Scala il 7 febbraio 1882,
peraltro con ottimo successo. Più invidioso
che mai, Ricordi ricorse ai “tipici ricatti degli
editori”, ostacolando esecuzioni, ordinando
cambiamenti di programma...
Successi a Praga e Dresda
Il “secondo periodo” fu certamente più felice.
Rientrato a Pola, in Austria-Ungheria, Smareglia
era di fatto tornato in “quella nazione di cui
era cittadino”, nell’”ambiente dove aveva
cominciato a studiare” e là dove “la musica
musica
la Voce
del popolo
mercoledì, 29 maggio 2013
7
di Daria Deghenghi
AVICENDAARTISTICA
NCOMPRENSIONI
IONE
|| La locandina di "Oceana", Teatro alla Scala, 1903
di tipo mitteleuropeo suonava famigliare”: a
Milano era "un estraneo, se non un intruso”
e il successo “andava cercato dove era logico
cercarlo”. Ancora una volta però, nonostante il
“Vassallo” fosse rappresentato con successo al
Metropolitan di New York, “il diavolo ci mise
lo zampino”. Nel periodo in cui il Metropolitan
si stava avviando a diventare uno dei massimi
teatri del mondo, ricorda ancora Petronio,
l’influenza di casa Ricordi e l'implacabile ira
dell'editore, chiusero al compositore polese il
mercato americano. Ciò nonostante, nella culla
di “madre Austria”, Smareglia tornò “vincitore”.
Finanziariamente risanato, darà ai posteri la
storia di "Cornill Schut", “l’eroe romantico”,
il “creatore alla ricerca dell’ideale artistico”,
insomma, un’opera palesemente autobiografica
che, revisionata, diverrà "Pittori fiamminghi",
“in un certo senso la migliore delle sue opere”.
Nel 1983 Cornill Schut trionfa a Praga e a
Dresda.
Un carattere impossibile
Nella Mitteleuropa Smareglia conta: “Aveva 39
anni, ci aveva messo del tempo (complice anche
la strada sbagliata di Milano) ma finalmente
ci era riuscito” e “siamo qui al culmine della
vicenda artistica di Smareglia, al suo momento
migliore”. Che poi seppe rovinare tutto da
capo, è un'altra questione. Non cercò contatti
con editori importanti, metteva il naso dove
non era il caso d’immischiarsi, prendeva parte
nelle controversie pubbliche e lo gridava ai
quattro venti, sempre disgraziatamente a spese
personali. E poi venne l’accusa di antisemitismo.
Citando ancora Petronio, “L’ammirazione
per Wagner sconfinò anche in ammirazione
per quello che è il peggior lavoro che il
grande compositore ci ha lasciato, il libello "Il
giudaismo nella musica", dove Wagner tenta
di dimostrare (probabilmente per invidia nei
confronti di Mendelssohn, cui rubò anche dei
temi che usò nella Tetralogia e nel "Parsifal"),
che un ebreo non può scrivere musica degna
di questo nome”. Inimicarsi la borghesia
ebraica della Mitteleuropa, ed in particolare
Gustav Mahler, non lasciava presagire nulla di
buono per la carriera smaregliana. La sentenza
di Gustav Mahler fu esplicita, perentoria e
definitiva: “Non mi piace una sola nota di
Smareglia”.
|| Figurini per i costumi di "Nozze istriane" (dall'archivio della Biblioteca universitaria di Pola)
Imperdonabile ingenuità
Scrive dunque Petronio nella parte
del volume dedicata alla biografia del
Maestro, prima di passare ad un'attenta
analisi delle opere (lettura certamente
consigliata per un primo approccio alla
musica smaregliana), in un passo che
ha il sapore della massima e si presta ad
infinite “applicazioni”: “Da tutti questi
avvenimenti si può dedurre che il vero,
grande problema di vita di Smareglia fu
l’ingenuità. L’ingenuità di non capire che
nella vita non basta avere un successo o
una protezione per poter essere al riparo da
tutto; che nella vita occorre anche sapere
destreggiarsi con personaggi di ogni specie,
e bisogna sapersi giostrare con abilità fra
di essi; tutti i compositori più importanti lo
hanno fatto. L’ingenuità di non capire che
il successo finanziario va amministrato con
oculatezza. Ingenuità collegata con una
tremenda impulsività, quella dimostrataci
dall’opera 'Nozze istriane', l’infelice
carattere dignanese che porta i protagonisti
allo sfacelo completo. Nell’opera però cade
il sipario, e tutto è risolto, nella vita no”.
|| Spartito di "Nozze istriane" per pianoforte e canto Trieste 1908 || Smareglia (dall'archivio della Biblioteca universitaria di Pola)
Estraneità alle correnti musicali contemporanee
Bisognava ricominciare da capo.
Cercando riparo a Trieste, cambiando
librettista, mutando "rotta compositiva",
reinventandosi, inaugurando un filone
proprio, una scuola a sé stante, anche al
costo di autocondannarsi definitivamente,
come Petronio ritiene sia effettivamente
accaduto in seguito al sodalizio artistico con
il librettista Silvio Benco. Ed ecco il passo
del libro che riassume la grande scoperta
sulle ragioni della “sfortuna smaregliana”:
“... le opere di Smareglia assunsero una
decisa connotazione post-wagneriana,
estraniandosi così dalla contemporaneità
musicale europea, fatto questo peggiorato
dal processo evolutivo dello stesso
Smareglia che cominciò ad incepparsi,
mostrando un autore che non riusciva più
ad avere una evoluzione di linguaggio al
passo con i contemporanei, rimanendo su
posizioni arretrate”. Diventato in pratica
“l’unico esponente di un esperimento
teatrale che si rivelerà fallimentare perché
troppo in contrasto con la realtà logica
del teatro lirico”, Smareglia divenne così,
anche a causa di Benco, “un isolato su di
una strada solitaria, la strada della realtà
triestina”. Insomma, contrariamente
al giudizio di molti sul presunto “felice
incontro d’arte”, con il librettista triestino
"Smareglia ebbe tutto da perderci, e il suo
isolamento musicale divenne completo”.
In margine dell’anniversario della nascita
del Maestro e dei festeggiamenti dedicati
alla Giornata della Città di Pola, torniamo a
tessere le lodi della piccola ma importante
Sala Memoriale di Antonio Smareglia nel
cuore di Pola, nella speranza che anche
questo modesto apporto giornalistico
possa contribuire alla riscoperta della sua
musica. La raccolta è davvero sorprendente.
Comprende lettere scritte o indirizzate al
maestro (da e a Toscanini, Benco, Boito,
Carlo Stefano d’Asburgo), articoli di
giornale, composizioni autografe, edizioni
stampate, libri, riviste, giornali, critiche e
recensioni, locandine, manifesti, fotografie,
disegni e ritratti, schizzi di scenografi e
costumi originali, incisioni CD... Insomma,
una “vita” in una stanza.
|| La casa natale di Smareglia in vicolo Augusto (già via Nettuno). La sala memoriale è al pianterreno
8
mercoledì, 29 maggio 2013
IL COMMENTO
musica
A
l Teatro NC di Spalato è stata
eseguita di recente l’opera di
Giuseppe Verdi “I vespri siciliani”,
(titolo originale: Les vêpres siciliennes) che
debuttò nella versione francese all’Opéra
di Parigi il 13 giugno 1855, e in Italia,
il 26 dicembre 1855 al Teatro Regio di
Parma, con il titolo censurato Giovanna de
Guzman.
L’esecuzione spalatina in forma di
concerto, diretta dal valente Maestro
Ivo Lipanović, ha impegnato un cast di
cantanti internazionale: il soprano greco
Sofia Mitropoulos (Duchessa Elena), il
baritono italiano Oliviero Giorgiutti (Guido
di Monforte), il tenore italiano Paolo
Lardizzone (Arrigo), il basso spalatino Ivica
Čikeš (Giovanni da Procida), più una serie
di cantanti comprimari in forza al Teatro di
Spalato. Lo spettacolo, che ha riscontrato un
buon successo, è stato presentato nei giorni
scorsi, in sede di conferenza stampa come
la premiere croata dei “Vespri siciliani”.
L’informazione è sicuramente giusta, se per
Croazia s’intende lo stato che nacque-come
tanti altri- dalla dissoluzione dell’impero
austro-ungarico e fece parte della Jugoslavia
di Karađorđević. Se per Croazia s’intende
invece l’odierno territorio che fu parte
integrante prima della Jugoslavija socialista
di Tito per quindi acquisire l’indipendenza
e diventare stato sovrano nel 1990, la
faccenda assume contorni “leggermente
diversi“.
Per inciso “I vespri siciliani” furono eseguiti
per la prima volta sull’attuale territorio
geografico croato nel magnifico Teatro
Adamich di Fiume - come la maggior parte
delle opere di Verdi, Bellini, Donizetti,
Rossini - nel lontano 1868, a soli sette anni
la Voce
del popolo
di Patrizia Venucci Merdžo
«PRIMA» CROATA DELL’OPERA
VERDIANA AL TNC DI SPALATO
«VESPRISICILIANI»
QUEI
CHEIFIUMANISENTIRONOALTEATRO
ADAMICHNELLONTANO1886
di distanza da che “Giovanna di Guzman“
- così ribattezzata dalla censura austriaca
che ne annullò pure i contenuti patriottici,
spostando il tempo e il luogo dell’azione
– ridivenne, con l’unità d’ Italia “I vespri
siciliani”. Dunque ad un lasso di tempo
brevissimo, per l’epoca, dalla première
verdiana originale in italiano; né ci si deve
stupire se si considera che le compagnie
di canto italiane, dopo gli allestimenti
lirici in Italia, andavano in tournèe
passando pure per Fiume e prolungando
spesso fino a Zara. Da qui lo straordinario
aggiornamento in campo lirico di Fiume
come pure la sua prestigiosa ed invidiabile
tradizione, in primis, nel campo del
belcanto e dell’opera italiana ingenere; non
escluse successivamente, l’opera francese e
wagneriana.
Precisati gli annessi e connessi storici legati
all’ opera in causa, l’allestimento spalatino
è indubbiamente degno di plauso sia per
il suo intrinseco peso culturale che per la
politica del Teatro, il quale in tempi di crisi
propone opere liriche di rara esecuzione,
perlomeno nella in forma di concerto.
la Voce
del popolo
Anno 9 /n. 70 / mercoledì, 29 maggio 2013
IN PIÙ Supplementi è a cura di Errol Superina
[email protected]
Edizione
Progetto editoriale
Caporedattore responsabile
Errol Superina
MUSICA
Silvio Forza
Redattore esecutivo
Patrizia Venucci Merdžo
Impaginazione
Annamaria Picco
Collaboratori
Sandro Damiani, Daria Deghenghi, Helena Labus Bačić, David Di Paulo
Paulovich
Foto
Daria Deghenghi
|| Sofia Mitroupolos
|| Ivica Čikeš
Astrid Kuljanić alla Manhattan School of Music˝, una delle più prestigiose scuole del mondo
L'avventura di una fiumana a New York
Studiare in una delle scuole più
prestigiose del mondo. È un sogno che
potrebbe diventare realtà per la giovane e
talentuosa cantante jazz fiumana, Astrid
Kuljanić, che il 1.mo aprile scorso è stata
ammessa alla Manhattan School of Music,
una delle poche nel mondo a offrire un
corso di master in canto jazz.
Prima di venir accettata, Astrid ha dovuto
superare due prove abbastanza esigenti,
ma tutto è iniziato con il suo soggiorno a
New York l’anno scorso, dove ha trascorso
un mese su invito del sassofonista jazz
Charles Gayle. Lì è rimasta affascinata
dalle opportunità che la Grande Mela offre
a un musicista e ha deciso di provare a
iscriversi alla succitata scuola, in modo
da continuare a perfezionarsi nel campo
del canto jazz. Il processo di ammissione
è iniziato con una registrazione dal vivo
che è stata poi inviata alla scuola e in
base alla quale è stata fatta la prima
selezione dei candidati. Superata questa
prova, Astrid è stata invitata a New York
per un’audizione. Dopo un mese, le è
stato comunicato che era stata ammessa
alla Manhattan School of Music. La
promettente musicista, che quest’anno
conseguirà la laurea al Conservatorio
“Giuseppe Tartini” di Trieste in canto jazz (
ed è pure borsista del Conservatorio come
uno dei migliori studenti), ha la possibilità
di diventare il primo jazzista croato a
venir ammesso alla prestigiosa scuola
newyorkese.
C’è, però, un ostacolo: si tratta di una
scuola molto costosa che Astrid non può
sostenere finanyiariamente da sola, per
cui ha messo in moto una campagna
via Internet, chiamata “crowd-funding”.
Tale campagna permette di raggiungere
un vasto numero di persone interessate
a contribuire con una somma modesta
in cambio di un Cd, di biglietti per
un concerto, di una cartolina da New
York, di un concerto privato, una
lezione di musica, un breve soggiorno
in un appartamento a Cherso, e altre
offerte. Il corso di master dura due
anni, mentre un anno di studio viene
a costare l’esorbitante cifra di 36mila
dollari, che non include vitto e alloggio,
l’assicurazione sanitaria e il trasporto.
Sommando tutte le spese da sostenere
in un anno, si è giunti alla somma di
60mila dollari, che Astrid sta cercando
di raccogliere sia tramite la campagna
online, sia nei contatti con istituzioni,
aziende e altri sponsor.
La campagna è pubblicata sul sito
www.indiegogo.com/projects/astridmanhattan-dream-of-music, mentre
per chi volesse contribuire con una
somma per “canali tradizionali” può
effettuare un versamento sul conto
HRK: 2340009-3213166975 oppure
sull’USD: 20267355174, nella Privredna
banka. “Frequentare questa scuola
rappresenterebbe per me un’opportunità
unica per crescere dal punto di vista
musicale. Aprirebbe nuovi orizzonti
nella mia carriera. Per questo motivo,
desidero fare tutto il possibile per cogliere
un’occasione che si presenta una volta
nella vita”, dice Astrid Kuljanić. (hlb)
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