L ’impegno di Pace all’inizio dell’anno nuovo O gni anno, l’1 gennaio, da quarant’anni, si celebra la giornata mondiale della pace istituita da papa Paolo VI. Anche se ci stiamo abituando alla ricorrenza e non prestiamo molta attenzione, la pace per il cristiano non è uno degli aspetti da ricercare nella vita, ma è uno degli impegni più importanti: pace annunciata dal cielo fin dalla nascita del Salvatore, da realizzare come dono per eccellenza di Dio agli uomini “gloria a Dio e pace agli uomini che Lui ama”. Dio ha tanto amato l’umanità da mandare suo Figlio non per condannare gli uomini, ma per donare la sua pace, quella pace conquistata dalla croce di Gesù Cristo. La sera stessa della risurrezione, Gesù appare ai discepoli e dice “pace a voi”: la pace è la paternità di Dio riversata sugli uomini in seguito alla morte e risurrezione di Gesù, quindi ogni uomo può e deve chiamare Dio “padre”. La pace non può essere solo sfor- 2 zo politico degli uomini che tendono a imporre la pace del più forte, del vincitore, la pace politica e umana a volte può diventare perfino vendetta; la pace deve essere prima di tutto consapevolezza della uguale dignità dell’uomo, amore incondizionato alla giustizia, e sforzo per realizzarla da parte di tutte le persone coinvolte in divisioni, contrasti e conflitti. La possibilità di condurre la vita nel segno della pace dipende da quale considerazione abbiamo della persona. Se la persona è un oggetto di cui ci si serve per i propri scopi, allora è ovvio che quando non serve più la si butta e se si ribella, la si schiaccia. Siamo nella logica del più forte, della prepotenza, che avrà come conseguenza la ribellione e la vendetta in una spirale senza fine di violenza. Papa Benedetto XVI il primo gennaio ha parlato agli uomini di buona volontà affermando: «Come non volgere lo sguardo ancora una volta alla drammatica situazione che caratterizza proprio quella Terra dove nacque Gesù? Come non implorare con insistente preghiera che anche in quella regione giunga quanto prima il giorno della pace, il giorno in cui si risolva definitivamente il conflitto in atto che dura ormai da troppo tempo? Un accordo di pace, per essere durevole, deve poggiare sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni persona»; «L’auspicio che formulo dinanzi ai rappresentanti delle Nazioni qui presenti è che la Comunità internazionale congiunga i propri sforzi, perché in nome di Dio si costruisca un mondo in cui gli essenziali diritti dell’uomo siano da tutti rispettati. Perché ciò avvenga è però necessario che il fondamento di tali diritti sia riconosciuto non in semplici pattuizioni umane, ma “nella natura stessa dell’uomo” e nella sua inalienabile dignità di persona creata da Dio»; «Se infatti gli elementi costitutivi della dignità umana vengono affidati alle mutevoli opinioni umane, anche i suoi diritti, pur solennemente proclamati, finiscono per diventare deboli e variamente interpretabili. È importante, pertanto, che gli Organismi internazionali non perdano di vista il fondamento naturale dei diritti dell’uomo. Ciò li sottrarrà al rischio, purtroppo sempre latente, di scivolare verso una loro interpretazione solo positivistica». «La pace è così veramente il dono e l’impegno del Natale: il dono, che va accolto con umile docilità e costantemente invocato con orante fiducia; l’impegno, che fa di ogni persona di buona volontà un “canale di pace”». p.fr. 3 Viaggio a Nairobi P artito da Venezia alle ore 5.30 di giovedì 30 novembre, con scalo ad Amsterdam, sono giunto a Nairobi in Kenia alle ore 20.45 dello stesso giorno. Sembra un viaggio di tante ore, in realtà, se togliamo le oltre tre ore di sosta ad Amsterdam e le due ore di fuso orario, il viaggio dura poco più di nove ore. Ero veramente curioso e impaziente di rivedere l’Africa: dall’unica volta che avevo messo piede nel continente africano sono trascorsi oltre vent’anni e nel cuore mi è rimasto un filo di desiderio e una tenue nostalgia per una terra che ha sempre creato in me un fascino tutto particolare. Il fascino della terra africana non mi viene dalla sua quantità di animali, che conosco perché sono un appassionato di documentari sulla natura, piuttosto dalle persone, dal modo di vivere e di rapportarsi della gente; mi ricordo durante l’altro viaggio le visite ai villaggi, mangiare nelle capanne, l’entrare nelle case della gente e condividere quello che avevano, in cambio di qualche caramella per i bambini e di qualche vestito portato in dono. Devo precisare che lo scopo del mio viag- gio non era quello di andare a visitare luoghi e ad incontrare persone, ma solo essere presente all’inaugurazione della nuova casa per gli studenti dei Servi di Maria dell’Uganda e del Congo e, nel prossimo futuro, si spera anche del Camerun e del Togo: assieme ai frati convenuti dall’Uganda e dal Transvaal, l’8 dicembre, festa della Madonna Immacolata, presieduta dal Vescovo di Nairobi, c’è stata la benedizione della casa e della cappella e la Messa solenne di inizio della casa di formazione per studenti. La casa è dedicata a “Santa Maria madre della Speranza” e anche il titolo della casa mi è sembrato indicativo: Madre della Speranza per un popolo che si vede sempre in cammino. Fin del mio arrivo, sono stato colpito dalla gente che cammina lungo le strade, tanto che accanto alla strada asfaltata, con enormi buche provocate dalla pioggia, esiste un percorso pedonale tra l’erba, scavato come da un torrente dal cammino della gente. Più volte ho pensato al momento in cui questa gente sempre in movimento si fermerà, o potrà spostarsi con un mezzo pro- La casa “Santa Maria madre della Speranza” di Nairobi 4 prio, o avrà la possibilità di prendere i mezzi pubblici, anche se alle mie ovvie riflessioni, se ne sono aggiunte delle altre alle quali non so dare risposta. Guardando la gente ho pensato che l’Africa fosse un popolo giovane perché non si vedono anziani e le abitazioni dei poveri sono ai margini della città, nascoste, come l’enorme aglomerato di baracche di oltre ottocentomila abitanti che s’intravede andando all’aeroporto, e dove è pericoloso fermarsi anche di giorno, con il rischio di essere derubati di tutto, anche dell’auto, se non capita di peggio. Nairobi, se non ci fosse il colore della gente, ha tutta l’apparenza di una città europea con i grattacieli, i supermercati, i centri commerciali, le auto che ingolfano il traffico e riempiono i parcheggi e con un tasso di inquinamento enorme; con una enorme cattedrale cattolica, spoglia e fredda, e una infinità di chiese cristiane e di luoghi di culto di altre religioni. Nei negozi, soprattutto di moda, è normale vedere una grande scritta “moda italiana”, accanto a vetrine traboccanti di computer e di telefonini, e di ogni marchingegno che tanto attraggono anche i nostri ragazzi e non solo i ragazzi. In città non manca nulla di quanto oggi può essere superfluo. È tutto questo che rende evoluto un popolo? E la gente che cammina accanto alle strade delle auto, sono gente “mo- derna”, con il computer e il telefonino? Mi viene un brivido al pensiero che, quando i poveri, ai quali suggeriamo di avere pazienza, perderanno la pazienza, la loro collera sarà tremenda, non tanto per la mancanza di quei beni con i quali li rendiamo dipendenti, o forse schiavi, ma per le menzogne del nostro vivere con le quali noi occidentali li abbiamo imbrogliati, sottomessi e illusi che siano l’essenza della vita. Un momento di gioia spirituale, che mi ha fatto sentire la vitalità africana come dono di Dio, l’ho vissuto durante la celebrazione della Messa: i canti del gruppo di giovani e adulti, il grido acutissimo delle donne, il battere delle mani e il movimento del corpo, sono stati un’esaltazione della danza della vita davanti al Signore e alla Vergine Maria: la partecipazione di tutti, vescovo compreso, al canto in lingua “swahili”, è stato il momento veramente africano del mio viaggio. p. Francesco 5 UGANDA Speranza di pace C on il miglioramento delle condizioni di sicurezza in nord Uganda, almeno 230.000 sfollati interni hanno fatto ritorno nel 2006 ai propri villaggi, dopo anni trascorsi nei giganteschi campi-profughi per sfuggire alle violenze dei ribelli dell’Esercito di resistenza del Signore (Lord’s resistance army, Lra). Lo sostiene il Programma alimentare mondiale (Pam/Wfp) in un comunicato diffuso oggi dalla capitale Kampala. Malgrado le accuse reciproche di continue violazioni della tregua da parte di ribelli ed esercito governativo, le condizioni di sicurezza “hanno spinto centinaia di migliaia di persone - si legge nella nota del Pam - ad abbandonare volontariamente i campi di accoglienza”, dove le condizioni igieniche e sanitarie sono sempre state pessime. Per vent’anni nei distretti settentrionali del paese - in particolare quelli di Gulu, Lira e Pader - sono stati attivi i ribelli dello Lra, che da mesi partecipano al negoziato con il governo nella città di Juba in Sud Sudan; per fuggire alle loro violenze, l’Onu calcola che oltre 1,4 milioni di persone abbiano abbandonato case e villaggi. “Molte famiglie di sfollati - ha commentato il vicedirettore del Pam 6 per l’Uganda, Alix Loriston - sono rimaste nei campi profughi per anni e alcuni bambini non hanno mai sperimentato una vita normale. È un vedere che questa gente si sente sicura abbastanza da poter tornare a casa”. Dopo la tregua sottoscritta alla fine di agosto scorso, nei prossimi giorni ribelli e governo dovrebbero proseguire il negoziato con l’obiettivo di raggiungere una soluzione definitiva al lungo conflitto. MISNA LIBIA Musulmani e cristiani hanno pregato insieme L a Radio Vaticana ha reso noto ieri che il 29 dicembre scorso, a Tripoli, più di 500 persone hanno preso parte alla serata organizzata dal colonnello Muhamar Gheddafi per la vigilia della festa musulmana del sacrificio, (o del “legamento” di Ismaele) conosciuta come Eid ul-Adha. La festa commemora le prove superate da Abramo e dalla sua famiglia nel luogo in cui sarebbe sorta poi la Mecca e anche per questo i musulmani, almeno una volta nella vita, vi si recano in pellegrinaggio. Un pellegrinaggio durante il quale vengono compiuti alcuni riti che simbolizzano i concetti essenziali della fede islamica. Alla serata sono state invitate anche le comunità cristiane con i loro pastori e il vescovo cattolico, monsignor Giovanni Martinelli, che ha ringraziato il colonnello Gheddafi per aver concesso ai cristiani che vivono in Libia di poter liberamente praticare il loro credo. Il colonnello Gheddafi ha detto che il messaggio della fede musulmana e della fede cristiana deve impegnare le due comunità a un vero dialogo che aiuti la società di oggi a ritrovare il senso di Dio ed un orientamento per il rispetto dei diritti dell’uomo. “Ci è sembrato che il colonnello Gheddafi abbia voluto offrire alle comunità cristisiana e musulmana di Tripoli la possibilità di vivere un’esperienza di amicizia e convivialità nel contesto delle celebrazioni del Sacrificio e del Natale - ha detto monsignor Martinelli - mettendo in evidenza la ricchezza del messaggio delle due fedi e la necessità del rispetto vicendevole”. Gheddafi ha detto che “l’uomo di oggi non sa vedere Dio, non sa fare posto a Lui nella sua vita perché è ripieno di materialismo ed egoismo che non consentono di contemplare il volto di Dio”, invitando poi l’imam e monsignor Martinelli a formulare una preghiera comune. Il presule, che ha recitato il “Padre Nostro” in arabo, ha affermato che la preghiera ha sigillato una esperienza di fraternità e di amicizia in una terra in cui cristiani e musulmani lavorano insieme per il progresso del paese con la forza della fede che si misura quotidianamente nella sfida dell’amore vicendevole. MISNA 7 Omaggio al vescovo P. Aldo Lazzarin I l 13 dicembre scorso, il vescovo p. Aldo Lazzarin ha compiuto 80 anni. Ci uniamo anche noi della rivista missionaria “La Missione della Madonna” a quanti lo hanno festeggiato con gioia e portano nel cuore la sua mite parola e il suo dolce sorriso. Il p. Aldo è vescovo emerito di Aysén in Cile (ora ritirato nella nostra Comunità delle Grazie in Udine), e la Chiesa di Aysén, la gente e i sacerdoti, i religiosi e le religiose, non lo hanno dimenticato e non vogliono dimenticare le sue parole. In occasione degli 80 anni è stato pubblicato un suo piccolo testo sulla Santa Messa. Sono appunti molto semplici e didattici, frutto della sua profonda spiritualità, destinati, come dice il sottotitolo del libretto, “alla formazione liturgica dei sacerdoti e dei laici”. Mons. Aldo usò gli appunti in occasione degli esercizi spirituali predicati ai sacerdoti e in molte altre occasioni. La pubblicazione del libro, edito in Cile e pubblicato in lingua spagnola, vuole essere un piccolo omaggio a Mons. Aldo Lazzarin, e nello stesso tempo offrire un prezioso materiale a quanti operano nella pastorale, agli insegnanti di religione, ai catechisti, ai gruppi liturgici, agli alunni e alunne delle scuole e a tutti i laici che desiderano approfondire e vivere il grande e prezioso mistero della Messa. p. Bernardino 8 Suore Serve di S. Giuseppe 50 anni di vita in Aysén L e suore Serve di san Giuseppe compiranno i cinquant’anni di lavoro missionario nella Regione dell’Aysén il prossimo anno. La Congregazione delle religiose fu fondata in Salamanca il 10 gennaio 1874 da Madre Bonifacia Rodriguez e da p. Francisco Xavier Butiña. Lo scopo principale della Congregazione è l’evangelizzazione del mondo operaio povero. Sono donne chiamate a vivere nel quotidiano il Dio incarnato nelle piccole cose di ogni giorno nelle scelte a favore della dignità umana, nell’impegno di promozione sociale, di giustizia e speranza. In Aysén le Serve di san Giuseppe sono presenti fin dal 1947, come si potrà vedere dall’articolo di p. Mario Zanella, impegnate nella pastorale parrocchiale, nella scuola, nella prevenzione dell’alcolismo e della droga, in appoggio alle ragazze madri e in mis- sioni itineranti nella zona australe. In questo momento la Congregazione sta sviluppando un importante lavoro pastorale e sociale nella località “Colina”, dove sono impegnate con un centro diurno per bambini a rischio sociale; nella zona “La Regina” hanno sviluppato delle officine e un centro d’accoglienza per giovani operai; in Peñalolen hanno un centro scolastico. Attualmente la Congregazione è impegnata in Coyhaique con laboratori per donne e nell’ambito scolastico con la scuola “Sacra Famiglia” a Puerto Aysén e nel recentemente inaugurato Collegio “Francisco Xavier Butiña”. Le Serve di San Giuseppe in Cile sono circa una ventina, e nel mondo circa 6oo e sono presenti in 13 paesi dell’America, inoltre in Europa, Asia e Africa. (Puentes de Aysén) 9 Giubileo delle Suore Serve di San Giuseppe nella Missione dell’Aysén I l 2 Febbraio prossimo si compiranno i 50 anni dall’arrivo delle suore Serve di San Giuseppe nella missione dell’Aysén. L’inizio delle celebrazioni del 50°, che si protrarrà per un anno intero, ebbero gia inizio il 9 novembre scorso, facendolo coincidere con la data della beatificazione della madre fondatrice, beata Bonifacia Rodriguez. Il sottoscritto ebbe da occuparsi dell’evento in prima persona, in qualità di parroco; ed é appunto per questo che mi accingo a farne memoria. Quattordici anni prima, cioè nel 1943, in piena guerra mondiale, il vescovo Antonio Michelato, allora Prefetto Apostolico della missione, era riuscito a costruire un collegio lungo oltre 100 metri per una scuola elementare con internato per bambine della zona. L’edificio era in legno, come ogni altra costruzione di quei tempi, ma corredato con banchi di scuola, dormitori con i rispettivi letti e armadi, cucina, refettorio e locali per 10 suore. In un primo tempo il collegio fu affidato alle suore Serve di Maria Addolorata di Firenze e quindi alle Figlie di Maria Ausiliatrice, le quali, gia al principio del ‘56, avevano espresso 10 la volontà di ritirarsi alla fine dell’anno scolastico. La notizia fu per il vescovo Michelato un tormento per tutto l’anno. Se conversava con qualcuno ne parlava; se predicava lo ricordava e faceva pregare. Con l’annuario pontificio in mano, che riporta l’elenco di tutti gli Istituti Religiosi, ogni giorno spediva lettere richiedendo la presenza di suore. Non poteva rassegnarsi a chiudere le porte a centinaia di bambine che all’inizio dell’anno avrebbero chiesto asilo, assistenza scolastica e religiosa. Fu così che, trovandosi in pieno inverno dell’anno 1956 a Santiago, invitato a pranzo, seduto accanto alla moglie dell’ambasciatore spagnolo, si sentì interpellare dalla signora: “Mi scusi, monsignore, ma io la noto un po’ distratto; anzi preoccupato. O mi sbaglio? Forse mi starò intromettendo troppo, ma le assicuro che, se potessi darle una mano, ne sarei felice.” Il neo Vescovo di Aysén (era stato consacrato l’anno precedente) le confidò le sue preoccupazioni e la signora ne comprese tutta l’amarezza. Quindi gli disse: “Senta, monsignore, io sono originaria di Salamanca e vivo vicino ad un convento di suore con le quali ho sempre coltivato una grande amicizia. Mi rivolgerò a loro e sono sicura che non mi deluderanno”. Non se ne parlò più e il vescovo pensò che forse quelle parole erano solo di circostanza, come tutte quelle che arrivavano in risposta alle sue richieste. Invece un mese dopo il colloquio, arriva dalla Spagna un plico postale con vari depliant che illustravano la spiritualità e la vocazione missionaria delle Suore Serve di San Giuseppe di Salamanca. Il vescovo si sente euforico, va alla macchina da scrivere e il resto fu tutto in discesa: le buone “Serve” di san Giuseppe si unirono ai poveri “Servi” di Maria in un’avventura di opere sociali e missionarie, la cui storia suggestiva meriterebbe di essere maggiormente conosciuta. Le vie del Signore sono semplici, più di quanto si potrebbe pensare, ma le sue opere spesso sono segnate dal marchio inconfondibile della sofferenza. Solo qualche cenno delle prove a cui furono sottoposte le Suore, che volevano piantare radici e operare in un mondo nuovo, ma tra i più impervi di questo pianeta, senza tuttavia scalfire il coraggio di queste generose pioniere. Dopo qualche mese, appena avviata l’opera, la sera del 24 giugno, un vorace incendio ridusse in cenere l’intero edificio, e Dio volle senza nessuna disgrazia umana, ma le suore rimasero con ciò che avevano addosso. Qualche anno dopo, il 16 Giugno 1963, moriva nell’incidente aereo del Cerro Pérez, insieme con il vescovo di Aysén, mons. Vielmo e altre 25 persone, anche la direttrice del collegio ricostruito dopo l’incendio. “Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo”, dice il salmista, e questa è la dimostrazione della solidità della missione dell’ Aysén maturata dalla sofferenza e con il martirio fisico di mons. Vielmo e quello morale di mons. Michelato. P. Mario Zanella 11 da 60 anni presenti ad Oruro O Bolivia rigine del santuario. L’origine del santuario risale alla metà del secolo XVI. Con l’arrivo degli spagnoli è giunta pure la evangelizzazione. Nell’altopiano boliviano si adorava (e si adora) il sole. Nelle miniere esisteva (ed esiste tutt’ora) il culto al “tio” (“zio”: così è chiamato il padrone del sottosuolo). Un missionario fece dipingere su una parete di “adobe” (= parete di mattoni di fango e paglia) l’immagine della Madonna Candelora, a 50 metri dall’imboccatura di una miniera. I minatori hanno cominciato ben presto a renderle culto, pur mantenendo il culto al “tio”. Invece del “sole” c’è ora Gesù, “sole di giustizia luce delle nazioni”, in braccio a Maria Santissima. Naturalmente l’immagine la chiamarono “Virgen del Socavon” e il socavon (= tunel della miniera) lo chiamarono “Socavon de la Virgen”. È cominciata così una relazione tra il socavon e la Madonna. Fu subito costruito un piccolo capitello, per difendere l’immagine dalle intemperie, ed è cominciato il culto in forma, direi, familiare, come succede con i capitelli delle nostre borgate italiane. Il santuario. - Verso la fine del secolo XIX, dovuto certamente alla devozione dei minatori, quando già quella miniera aveva lasciato di funzionare, il piccolo capitello ha lasciato posto a una chiesetta più grande a forma di croce romana, con grosse pareti di “adobe”. La devozione della Madonna del Socavon aveva preso piede. Molte famiglie avevano nelle loro case piccole immagini della Madonna, dipinte in tela, in lamine, in legno. È in questo periodo che il carnevale comincia a crescere: un vero pellegrinaggio da fuori città fino al santuario, bal- 12 lando in onore alla Madonna. L’arrivo dei Servi di Maria. - I Servi di Maria giunsero a Oruro il 31 ottobre 1946. Erano cinque: p. Agostino Gobbo, p. Domenico Polo, p. Costantino Zarantonello, p. Filippo Mondin e fra Sostengo Parise. Dopo essersi fatti carico della parrocchia della Cattedrale per 4 anni, nel 1950 si sono ritirati nel piccolo santuario del Socavon, che apparteneva alla medesima parrocchia. Il piccolo santuario, che fino a quel momento aveva svolto una attività religiosa minima, ora svolge attività quotidiana, che sta aumentando sempre più. È aperto tutti i giorni, e si inizia con la celebrazione della santa Messa, si svolge attività pastorale, si ascoltano le confessioni, e si fa formazione di gruppi vari. Si è creato l’Ordine secolare dei Servi di Maria, con il quale si inizia pure la scuola. Dal santuario i religiosi partono per le attività missionarie in zone rurali, dove il sacerdote non arriva quasi mai. Ampliamento del santuario ed opere sociali annesse. - Con l’arrivo del padre Alfonso Massignani (1982) è cominciato un incremento favoloso. L’ampliamento del santuario era infatti necessario per l’afflusso di fedeli sempre più in aumento. Il santuario fu ingrandito dai quattro punti cardinali. La miniera, che con il tempo era sepolta dalle frane, fu trasformata (una parte) in museo. Unito al santuario si è costruito il “centro mariano”, o casa di incontri, di ritiri spirituali, con possibilità di alloggio. Nello stesso centro mariano esiste una biblioteca religiosa-folcloristica-culturale; e così pure un museo “sacro-folcloristico-archeologico”. La scuola fu ampliata ancora una volta, offrendo la capacità di accogliere quasi mille alunni, dalle elementari alle scuole superiori. Di fianco, non poteva mancare un “ambulatorio” con medicina generale e odontologia. E così tutti i bambini e i ragazzi della scuola ricevono periodicamente un controllo medico. Però non è tutto. Molte sono le famiglie estremamente povere, e quindi abbiamo pensato di dare vita alla “mensa dei poveri”, dove tutti i giorni circa 500 bambini ricevono la “colazione scolastica”, e circa 200 adulti alle ore 12 hanno un buon pranzo sostanzioso. Inoltre, tutti i sabato pomeriggio una commissione di solidarietà (4 buone signore) accoglie una lunga fila di poveri che vengono per ricevere viveri: latte in polvere, riso, pasta, zucchero... Ma i poveri sono molti. Ecco perciò un’altra iniziativa: le adozioni a distanza. At- tualmente sono quasi 200 i bambini che hanno padrini in Italia che li aiutano con molta generosità. Ma c’è anche dell’altro. In Oruro è forte la violenza familiare. In un santuario della Madonna (che è “donna”) ci voleva pure una iniziativa per dare sostegno alla donna che soffre violenza da parte del marito o convivente. Ecco quindi l’iniziativa: “Kusisqa warmi” = “Donna felice”. Quattro persone professioniste portano avanti questa preziosa istituzione. La vita del santuario cresce sempre più, e quindi, con la presenza e la collaborazione di laici, abbiamo formato diverse aree pastorali: liturgica, sociale o della misericordia, educativa, culturale ed artistica, spiritualità dei Servi di Maria, mezzi di comunicazione sociale. Insomma, la presenza dei Servi di Maria è una bella realtà. Attualmente in comunità siamo in tre: p. Sebastian Sandoval, p. Marcelo Henriquez e il sottoscritto, p. Nico. Con noi ci sono pure un paio di aspiranti alla vita religiosa ed altri che seguiamo da vicino con incontri settimanali. Ringraziamo vivamente tutti i cari amici, che ci accompagnano con la preghiera e con qualche aiuto materiale. Che la Madonna vi benedica! p. Nico Sartori 13 ADOZIONI A DISTANZA D a qualche tempo riceviamo richieste per avviare l’adozione a distanza, informazioni su come sono usati i soldi che si mandano al missionario e come funziona la distribuzione. Si cerca da parte di diverse per- sone di comprendere bene non solo l’uso del loro denaro, ma anche se quanto offerto viene totalmente spedito o se rimane qualche cosa “tra le dita”. Di solito viene mandata la ricevuta della spedizione, proprio per trasparenza, e poi i missionari stessi, quando ricevono i soldi, compatibilmente con le loro occupazioni, mandano un biglietto di ringraziamento. Un cuore libero, senza malizia dona con gioia, sapendo che della carità si rende conto a Dio, e non agli uomini, riportiamo la lettera che il p. Nico Sartori dalla Bolivia ha inviato a tutti i padrini in Italia in occasione delle feste natalizie. Carissimi padrini, si sono trasferiti lontani da Oruro; tre li ho sospesi per mal comportamento dei genitori (ubriacature). Alcuni padrini già desistono dopo aver aiutato per vari anni. Bene, Grazie! Due madrine sono decedute. Dio le premia! Mi domando: fino a che età si potrà aiutare un figlioccio(a)? Un anno, tre anni, per tutta la vita? Attualmente no ho in lista quasi 200. Altre mamme domandano questo aiuto. Con novembre in Bolivia termina l’anno scolastico. Lo ricominceranno a metà febbraio, dopo carnevale. Il luglio scorso ho battezzato un centinaio di figliocci e fratellini. Insisto poi, affinchè ricevano la Prima Comunione e Cresima nelle rispettive Parrocchie. Matrimonio dei genitori? Neanche a parlarne. Un disastro! Meno male che Dio è molto più grande dei nostri schemi umani. Ciò che vale per voi e per me è “evagelizzare facendo questo servizio di carità”. Pace e Bene nel Signore Gesù e la sua Santissima Madre! Eccomi a voi per mandarvi, almeno una volta all’anno, gli auguri di Buon Natale e Buon Anno, una letterina e una foto del vostro(a) figlioccio(a), e così vedete come è cresciuto(a). Alcuni padrini vorrebbero ricevere letterine più spesso. Non ho niente in contrario. Il fatto è che molti bambini e mamme non sanno scrivere... Perciò penso sufficiente una volta all’anno con un bigliettino di Natale. Però mi piace se qualcuno scrive più spesso con letterine di andata e ritorno. Per la traduzione dovrete arrangiarvi. Io traduco qui. Durante quest’anno 2006 ho consegnato 4 quote: in marzo e settembre (in forma invididuale, incontrandomi con ciascun bambino e rispettiva mamma), in luglio ed ora per Natale (tutti insieme). Ci sono stati alcuni cambi: alcuni bambini 14 p. Nico - Oruro UGANDA richiesta d’aiuto A Kamuli in Uganda, vicino alla zona nella quale operano i Servi di Maria con p. Giuseppe Xotta, c’è l’ostello per ragazze “Mother Kevin Girls”, gestito da Suore locali, le quali hanno dei problemi perché ospitano 18 ragazze a rischio, e sono impegnate in un’opera di educazione contro l’AIDS e la violenza sessuale. C’è bisogno di alcuni locali per ospitare la cucina ed il refettorio per le ragazze, ma mancano i fondi. Io lancio da queste pagine un appello per un aiuto. Riporto sotto il progetto redatto ad un tecnico locale con relativo tabulato di spesa. Il totale della spesa viene riportato in scellini ugandesi: costo totale dell’opera schell. 1.800.000 (un milione ottocento mila) equivalente a Euro 786,50 (settecentoottantasei/50). ESTIMATE FOR DINNING & KITCHEN Description Qty Cement Timber Poles Aggregate Iron Sheets Sand Door Labour Total 25 bags 33 4 2 trips 15 3 trips 2 Amount 450,000 300,000 240,000 220,000 150,000 150,000 90,000 200,000 1,800,000 15 Mensile di informazione e animazione missionaria dei frati Servi di Maria di Monte Berico. www.missionimonteberico.it N. 1 - Gennaio 2007 - Anno LXXXIII - Aut. Trib. Vicenza n° 150 del 18-12-1979 Corrispondente e amministratore: Polotto Francesco Direttore Responsabile: Giovanni Sessolo Redattori: Ganassin Eugenio, Sartori Domenico Recapito: Istituto Missioni Monte Berico - Viale E. Cialdini, 2 - 36100 Vicenza - Tel. 0444/543470 - Fax 0444/524976. Per invio di offerte usufruire del c.c.p. 14519367 intestato a: Provincia Veneta Ordine Servi di Maria “La Missione della Madonna”, Viale Cialdini, 2 - 36100 Vicenza - Stampa: Edizioni Zaltron, Vicenza 0444/505542 Questo periodico è associato all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Vicenza