S I T AB , S ocietà I taliana di T abaccologia, via G. S calia 39, 00136 R oma. T el.: 06- 39722649, Fax : 06- 233297645, 178- 2215662. CF: 96403700584 E mail pr es idenz a: tabaccologia@ vir gilio.it - s egr eter ia: s itab.milano@ tis cali.it - inter net: www.tabaccologia.or g La Dipendenza da Tabacco Prof. Giacomo Mangiaracina Docente di Sanità Pubblica e Medicina di Comunità 2° Facoltà di Medicina Università La Sapienza Presidente Società Italiana di Tabaccologia. Coordinatore Area Tabagismo Lega Italiana contro i Tumori. email: [email protected] La Nicotina dà dipendenza. Questa è la rivelazione dell’ultimo decennio e dunque merita particolare attenzione. Anche per la peculiarità della sua storia. Le compagnie del tabacco hanno a lungo negato pubblicamente questo fatto, almeno fino al 1996, epoca in cui Jeffrey Weigand, ricercatore “insider” della Brown & Williamson (B&W), con l'aiuto di giornalisti e legali, e con l'appoggio dello Stato del Minnesota, rivelò le conclusioni delle ricerche aziendali che dimostravano il contrario. Attraverso questo procedimento la B&W ed altre multinazionali subirono un condanna epocale, con un risarcimento di oltre 400 milioni di dollari. La dipendenza e gli aspetti ad essa correlati, rappresentano uno dei maggiori problemi della nostra epoca. Un ruolo favorente i comportamenti da dipendenza nei giovani è dato da carenze affettive, dal bisogno di autoaffermazione e di riconoscimento, di trovare strumenti idonei al controllo dell’ansia (coping). A dimostrare se le situazioni di disagio psichico possano incrementare il consumo di droghe, uno studio inglese che ha confrontato la condizione dei senzatetto con quella di coloro che vivono in famiglia, ha dimostrato che tra i senzatetto la percentuale dei soggetti con dipendenza alcolica era del 21% contro il 5-7% degli altri. Parimenti era incrementato anche il consumo di tabacco e di altre droghe (Farrell M. e al., 1998). Percorsi storici Nel 1914 Sir Henry Hallet Dale, ricercatore inglese, studiò per la prima volta la connessione tra nicotina e acetilcolina, e ne descrisse accuratamente gli effetti in vivo su animali da esperimento. Egli evidenziò un’azione peculiare della nicotina destinata a divenire un riferimento antologico: eccitante a minime dosi ed inibente a dosi maggiori. Il suo antagonista era il curaro. Queste ricerche inaugurarono l’era degli studi sulla neurofisiologia, e furono di tale importanza che gli valsero il Nobel per la Medicina insieme con l’austriaco Otto Loewi. Dale non poteva neppure immaginare, a quel tempo, che le sue ricerche avrebbero successivamente permesso di chiarire il meccanismo della dipendenza da Nicotina, identificata col termine di Tabagismo. Ma dovettero passare altri 70 anni prima che questa parola venisse usata. Tabagismo è dunque una definizione moderna affermatasi negli anni Ottanta. Il suo significato sfugge ancora oggi, più o meno coscientemente, a molti. Non solo in Italia. Nel 1973 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si pronunciava sul binomio “fumo = dipendenza”. Nel rapporto su: "I Giovani e la Droga" l’OMS dichiarava per la prima volta che il tabacco sarebbe una "sostanza capace di dare assuefazione e di provocare danni fisici ai consumatori, al punto da diventare un vero e proprio problema di Sanità Pubblica". Nel 1977 arrivarono dagli Stati Uniti e dall'Inghilterra i rapporti più convincenti, quelli del National Institute on Drug Abuse (NIDA) e del Royal College of Physician (RCP) di Londra. In particolare il NIDA, nelle note introduttive redatte dal suo direttore di allora William Pollin, presentava il Tabagismo come vero e proprio "prototipo della dipendenza". Lo stesso rapporto riferiva di una ricerca eseguita su militari reduci dal Vietnam, dove si metteva in evidenza la maggiore difficoltà da parte dei soldati ad abbandonare il tabacco rispetto all'eroina. Sempre in quell'anno l'RCP si pronunciava pure sulla dipendenza affermando chel'uso " di tabacco da fumo rappresenta una forma di dipendenza diversa ma non meno forte di quella di altre droghe assuefacenti". Due anni dopo il Surgeon General, altra grande istituzione sanitaria americana, confermò la definizione di Pollin, ammettendo che "non è esagerato affermare che il fumo rappresenti il prototipo delle dipendenze da sostanze, e che una migliore conoscenza di questo processo costituisce il presupposto essenziale per la prevenzione". Ai primi degli anni Ottanta emerge negli ambienti scientifici internazionali la parola addiction. Ha poco a che vedere con la madrelingua inglese che l’aveva partorito, in quanto deriva dal l atino addictus, che designava lo schiavo o il servitore che diveniva tale per non poter pagare i debiti. La sua condizione di servo durava fino all’estinzione del debito. Niente di meglio per descrivere la condizione di schiavitù acquisita da droghe. Si scopre che la nicotina ha un potere addittivo maggiore dell’alcol e della stessa eroina, e la sigaretta costituisce il veicolo più efficace per somministrarla. Nel 1992 l'OMS inserisce per la prima volta il fumo di tabacco nel capitolo dedicato ai disordini mentali e comportamentali dovuti all'uso di sostanze psicoattive (paragrafo -F17), e la Food and Drug Administration (FDA) sancisce che la nicotina equivale ad una droga capace di dare dipendenza. Nella sua 4° edizione, il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, (DSM-IV), classifica la nicotino-dipendenza tra i disturbi psichiatrici (APA, 1994). Verso la fine degli anni Novanta, il rapporto “fumo = malattia -da-dipendenza” si consolida sul piano concettuale e scientifico. In particolare nel 1995 vengono confermati i meccanismi neurobiologici della nicotino-dipendenza. Vengono evidenziati e studiati i recettori cerebrali per la nicotina (nAChRs), mentre le tomografie ad emissione di positroni (PET) dimostrano le modificazioni fisiopatologiche e biochimiche a livello del sistema mesolimbico, nell’area tegmentale ventrale, la porzione più “interna” dell’encefalo, dove sono ubicati il “nucleus accumbens” ed il “locus coeruleus”, struttura vitale che regola la vigilanza, le reazioni d’allarme, le capacità cognitive, l’apprendimento e la memoria (George et al., 2000; Yu et al., 2000). Le ricerche hanno confermato l’azione della nicotina sul sistema nervoso centrale ed in particolare su quella struttura conosciuta come il centro “della gratificazione” , che ha come principale mediatore chimico la dopamina. Anche l’Acetilcolina, che regola la trasmissione nervosa del sistema parasimpatico, stimola i recettori “nAChRs”, ma la nicotina depolarizza questi recettori più a lungo. In questo modo rivela il suo duplice aspetto rilevato da Dale: prima stimola il recettore (funzione agonista) e poi lo blocca (funzione antagonista). Perciò in un fumatore l’organismo deve adattarsi a questo dissesto dell’equilibrio nervoso provocato dalla nicotina. Sembra che gli eff etti inibitori siano più significativi perché il cervello sceglie di adattarsi e di superare l’effetto bloccante piuttosto che quello stimolante, aumentando il numero di recettori nicotinici (Benwell, 1995). Il neuroadattamento può essere considerato un meccanismo di difesa (Fagerstrom, 2000). In altre parole, quando si comincia a fumare la nicotina va a legarsi con i recettori bloccandone alcuni. Le cellule nervose allora reagiscono producendone una maggiore quantità (Tab.1). In una fase più avanzata di tabagismo il soggetto si ritroverà dunque con un maggior numero di recettori, di cui alcuni bloccati, altri attivati ed altri ancora sensibili (adeguamento o upregulation). Smettendo di fumare avviene una condizione nuova per il soggetto. Egli si trova ora con un numero di recettori aumentato nei neuroni, che rimangono sensibili ancora per un anno, pronti a ricevere nuove immissioni di nicotina. Per questo motivo la ricaduta dopo astinenza porta inevitabilmente e nella maggiorparte dei casi a recuperare la dose precedente in grado di saturare tutti i recettori che erano rimasti attivi, e quindi la quantità di sigarette necessaria a somministrarla. Si torna a fumare come prima o più di prima. Come teorizzai vari anni fa, pare dunque che l’effetto principale de lla nicotina sia inibitorio più che eccitatorio, e per questo motivo ho usato l’espressione “inibizione nicotinica ad alto tasso reattivo di mediatori adrenergici” (Mangiaracina, 1992). Tab.1 – Schema dell’azione della nicotina sui recettori nervosi se condo Fagerstrom Aspetti socio-culturali Ci sono voluti alcuni decenni prima che si cominciasse a traghettare dal concetto di “vizio” a quello di “dipendenza” applicati all’alcol e al tabacco. Il “vizio” del fumo ha resistito molto più di quanto non sia avvenuto per l’alcol. Questo approccio del tutto moralistico ha impedito per molti anni di definire in termini chiari il problema. D’altro canto un aspetto caratteristico dei comportamenti da dipendenza è paradossalmente la negazione della dipendenza stessa. Infine un aspetto che concerne il contesto sociale. Non vi sarebbe dipendenza da sostanze se queste non fossero reperibili e disponibili. Tabacco e alcol sono le droghe più disponibili in assoluto. Aspetti clinici Alcuni tra i criteri suggeriti per valutare la dipendenza da nicotina, sono: 1. il fallimento dei tentativi di smettere di fumare nonostante vi sia il desiderio di farlo; è stato osservato che spesso un fumatore riesce a farcela dopo il quarto tentativo; 2. l’impiego di una rilevante porzione de l proprio reddito per procurarsi la sostanza; in una famiglia in cui fumano più persone, in una vita spendono l’equivalente per l’acquisto di un appartamento; 3. la persistenza del consumo di sigarette nonostante la presenza e la consapevolezza di un problema di salute; 4. il craving, ossia il desiderio intenso ed incontrollabile (Hughes, 1991-1992) dopo breve astinenza, che trova sollievo dalla ripresa a fumare e che dunque rappresenta una causa importante di ricaduta. Uno schema di valutazione semplice, in uso da molti anni nell’alcoldipendenza, può essere applicato al tabagismo. Si tratta del “CAGE”, acronimo composto dalle iniziali delle parole: Cut-down: la persona pensa di smettere. Annoyed: la persona è infastidita dalle esortazioni a smettere di amici e familiari. Guilty: la persona si è sentita talvolta in colpa a causa della sua abitudine. Eye-opener: fumare (o bere) al mattino dà la carica per partire e affrontare la giornata. Basta rispondere affermativamente ad una sola delle 4 domande, per ritenere che la persona in esame possa essere affetta da una patologia da dipendenza. La questione del “piacere” Per comprendere cosa si cela dietro al cosiddetto “piacere” di fumare occorre considerare prima di tutto che si tratta di un piacere di breve durata, che dunque sparisce subito lasciando il posto ad una rinnovata angoscia da privazione. Il piacere è in fondo un comune denominatore delle dipendenze, e nasconde atteggiamenti di forte conflittualità. Nonostante che da un lato i consumatori di tabacco ostentino apertamente questo “piacere”, dall’altro sono perfettamente consapevoli che proprio il fumo li danneggia, che l’atteggiamento sociale nei confronti del tabacco è cambiato, e che la sua immagine di fumatore è in crisi. Infine non è possibile definire piacere ciò che limita gravemente la libertà. Il piacere ha ormai note basi neurochimiche anche se necessita di una elaborazione a livello psichico. Serotonina, e più specificamente dopamina, mediano chimicamente queste sensazioni. La nicotina, alcaloide neurotropo, si legherebbe ai recettori cerebrali colinergici facendo innalzare i livelli intracerebrali di dopamina ma in misura minore anche di noradrenalina (Di Chiara, 1999; Koob, 1992). Questo risultato però può essere anche ottenuto con semplici azioni quotidiane come mangiare, camminare, correre, fare sesso, giocare, gustare cioccolato e caffè, ed assumere certi farmaci. In termini pratici questo significa che nella terapia del tabagismo è necessario guidare il fumatore a fare rotta su nuove e piacevoli abitudini. Quanto dipende dalla sostanza e quanto dall’individuo? Se il vero responsabile della dipendenza da droghe fosse in via prevalente la sostanza stessa, basterebbe una buona disintossicazione a salvare l’individuo. Ma spesso dopo una dis intossicazione si verificano frequenti ricadute. D’altro canto, se fosse assoluto l’aspetto psichico, per cui la persona sente il bisogno di una stampella sociale per completarsi, l’approccio terapeutico dovrebbe essere più psicoterapico che altro. C’è anc he da dire che a differenza di quanto avviene per altre forme di dipendenza da sostanze come alcol, cocaina, eroina, i fumatori mantengono livelli persistenti di nicotina nel sangue che diminuiscono nelle ore notturne e si ripristinano a partire dalla prima sigaretta del mattino, che nella maggioranza dei fumatori è quella che di conseguenza da’ più “soddisfazione”. Nel fumatore abituale di 15 -20 sigarette al giorno questi livelli si comportano come si comporterebbe un costituente organico, ad esempio il glucosio. E’ noto che la glicemia deve mantenersi tra un minimo (70-80 mg/dl) ed un massimo (100-110 mg/dl). Al sopra di questi valori si è diabetici, al di sotto si scatena il finimondo: prima i sintomi dalla fame, poi disturbi sempre più forti, tremori, convulsioni, coma e morte. Quando i livelli di nicotina diminuiscono nel sangue scatta dunque un allarme ed il corpo ne richiede dell’altra. Una sorta di "memoria" della sostanza. Oggi si tende comunque a dare una definizione più univoca al concetto di dipendenza, essendo in definitiva la risultante di un rapporto complesso tra la persona, la sostanza e il contesto sociale. Nella sua forma conclamata viene intesa come disturbo del comportamento, ovvero una condizione della quale si perde il controllo. Dalla prova all’uso Come in tutte le esperienze di consumo di droghe dobbiamo distinguere due fasi: la prova ed il consumo abituale. Lo studio del percorso tra prova e uso può fornire strumenti idonei per capire ed intervenire in ambito di programmi di prevenzione. La Prova Si viene a contatto con la sostanza nei modi più diversi. Chi si accosta per la prima volta al fumo di sigaretta è nella maggioranza dei casi giovane o giovanissimo, in genere dai 12 ai 14 anni. Lo fa per curiosità, per circostanze del tutto occasionali, perché si trova in gruppo, per dimostrare qualcosa a sé e agli altri, o per fare piacere un amico. Non è detto che diventerà un fumatore abituale, in quanto che l’esperienza, con le sensazioni che l’accompagnano, deve prima essere elaborata dal soggetto. Non importa se sia piacevole o spiacevole. Nella ipotesi che la prova abbia provocato malessere, come infatti accade per il fumo, il soggetto può percepire l’esperienza come un ostacolo da superare per sentirsi ed essere riconosciuto, un rituale iniziatico per accedere all’olimpo dei soggetti forti e cresciuti. Chi ha fumato è in grado di rievocare i disturbi delle prime boccate. Vertigini, tremori, nausea, dolori al petto, tosse. Continuando però a fumare i disturbi tendono presto a sparire lasciando posto ad un relativo benessere, creando così l’ennesimo rinforzo mentale positivo per il fatto di avere superato la fase critica. E’ l’accesso a quella “sindrome da onnipotenza” tipicamente adolescenziale, con la sensazione di possedere for ze illimitate, di avere dimostrato a sé stessi e agli altri la propria capacità di dominio sulla sostanza e sui suoi effetti. L’esperienza successiva prova tutto il contrario naturalmente, ma da questo momento in poi il fumare avrà una sua significanza nell’universo dei valori del ragazzo, ed una sua conseguente funzionalità: “ Io fumo per sentirmi… vivo, forte, grande, capace di affrontare disagi, sofferenze e persino la morte (la famigerata ultima sigaretta del condannato)”. Ricerche note da anni (Mc.Kennel, 1976) dimostrano che gli adolescenti che fumano più di una sigaretta al giorno avrebbero l’85% di probabilità di diventare tabacco -dipendenti, per il 13 % circa smetteranno prima, e solo nel 2 % fumeranno in modo occasionale o intermittente. L'indaginedi Russel, condotta alcuni anni prima, riportava una percentuale di rischio del 70 %. Sono cifre degne di molta attenzione se si pensa che le ricerche statunitensi di Hunt e Zimberg, riportate da Arnao (1982), presentavano negli anni Settanta una popolazione di eroinomani americani pari a 500 mila su 6 milioni di consumatori occasionali di droga: una percentuale al di sotto del 10 per cento. Ciò vale anche per l’alcol. Tra le decine di milioni di persone che in Italia bevono abitualmente e moderatamente bevande alcoliche, solo un percentuale del 3-5% diventano bevitori problematici e alcolisti. L’Uso E’ certo che provando e riprovando si hanno sempre maggiori probabilità di traghettare verso l’uso, ovvero verso il consumo sistematico. In questa fase la persona rafforza il carico di significati attribuiti alla sua abitudine acquisita. Il termine di “ significanza” identifica questo graduale processo di attribuzione di significati, attraverso cui fumare diventa funzionale a qualcosa, uno strumento in grado di eseguire operazioni complesse come atteggiarsi, mostrare una certa immagine di sé, fronteggiare situazioni di disagio, concentrarsi, scaricare le tensioni, attenuare l’ansia, stimolare l’attenzione, esprimere la personalità, ostentare aggressività, domin anza o la propria carica erotica. Gli elementi di significanza provengono da tre direzioni: il modello parentale, i modelli sociali di riferimento (gruppo dei pari), la promozione pubblicitaria. Se venissero attuati interventi sistematici con lo scopo preciso di demitizzare il prodotto e il suo marchio, e di svalutare l’immagine positiva del fumo e del fumatore, si potrebbe ipotizzare un mutamento di tendenza con riduzione dei giovani fumatori, utile a contrastare la tendenza dell’ultimo decennio e attuale, che invece è la crescita di incidenza giovanile nella iniziazione al tabacco. E’ la conseguenza di azioni di marketing sapientemente gestite e amministrate. Il consolidamento della significanza si accompagna e sviluppa rinforzi positivi che hanno come obbiettivo il radicamento dell’automatismo. A questo contribuisce la sequenza gestuale che viene attuata e che sfocia nella forma coattiva, apparentemente inarrestabile. La coazione a ripetere una numerosa sequenza di gesti, alla lunga determina una sorta di "immobilità" mentale ovvero un percorso obbligato che contribuisce a ridurre la capacità assertiva e decisionale della persona. E se non vi è possibilità di scelta non vi è neppure crescita, ovvero capacità critica, assertiva e decisionale. Si rimane chiusi nella propria routine, a seguire le tracce segnate profondamente nella psiche. L’automatismo conduce poi alla perdita del controllo sulla sostanza. Il fumatore incallito nega perciò il suo problema oppure “vorrebbe” smettere ma non ci riesce. Questa fase può durare decenni. Una sua peculiare caratteristica è lo sviluppo della “tolleranza”, concetto che ha incorporato quello di “assuefazione” della vecchia nomenclatura in auge fino a metà degli anni Novanta. Tab.2 – Il percorso della dipendenza Un’altra caratteristica che dà forza al concetto di dipendenza è l’astinenza. La sospensione dell’assunzione della sostanza provoca disagi fisici e psichici. Talvolta sono tali che spesso non si vuole smettere per paura di provarli, o perché si è già sperimentata una certa sofferenza. Da rilievi effettuati in Italia su oltre trentamila partecipanti ai programmi antifumo da me coordinati, sono stati rilevati questi sintomi: cefalea, irritabilità, stato ansioso, sonnolenza, insonnia, risveglio precoce, vuoti di memoria, difficoltà di concentrazione, disturbi visivi, iperfagia o bulimia, riduzione dell’appetito, facile esauribilità, stitichezza, diarrea, nausea, astenia, ipotensione, vertigini, tremori, sudore alle mani, crampi muscolari, fosfeni e acufeni, dolori ai globi oculari, alterazioni della frequenza cardiaca, formicolio agli arti e alla superficie corporea. Ricerche cliniche hanno evidenziato anche alterazioni dell'elettroencefalogramma caratterizzate da rallentamento delle onde alfa ed incremento della fase REM (Domino, 1998). Occorre però precisare che l’astinenza nel Tabagismo, nell’esperienza da me condotta con le terapie di gruppo dal 1975 ad oggi, ha una durata relativamente breve, da poche ore a pochi giorni, tant’è che viene per così dire utilizzata a scopo “terapeutico” nei gruppi. Il fatto di vederla comparire e sparire, dopo astinenza, entro un periodo massimo di 5 giorni, offre al corsista informazioni rassicuranti sulla capacità di controllo della propria ansia. Conclusioni Fumare crea dipendenza. Questa dipendenza ha più dimensioni. 1. Innanzitutto il tabacco contiene nicotina, alcaloide le cui proprietà addittive sono ormai note e chiare. Esiste la possibilità di coltivare tabacco senza nicotina, ma per ovvie ragioni i grandi produttori di tabacco hanno rifiutato una proposta di tal genere. Ne conseguirebbe un crollo dei consumi. 2. La sequenza gestuale propone percorsi mentali “obbligati” per cui la persona gradualmente va a strutturare la sua personalità sul piano comportamentale. Smettere comporterebbe grosse difficoltà di ri-adattamento e ri-adeguamento a nuovi schemi e comportamenti. 3. Il fumo permette di soddisfare “bisogni primari” come l’oralità e l’incorporazione, la gestione del tempo e le relazioni umane, e persino quello di dipendenza in sé. E’ in questa ampia cornice che rigorosamente occorre inquadrare il problema del Fumo. ---------------------------------------------- Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. APA - American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual for Mental Disorders (4th ed.). Washington DC. 1994. Arnao G: La droga perfetta. Feltrinelli, Milano, 1982. Benwell MEM, Balfour D, Birrell CE,. Desensibilization of nicotine induced mesolimbic dopamine response during constant infusion with nicotine. Br.J. Pharmacol, 1995; 114:454-460. CIBA Foundation. The Biology of Nicotine Dependence - Symposium No. 152, 1990. 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