Université de Fribourg
Faculté des Lettres
Domaine d’Italien
Semestre Autunnale 2012-2013
Corso introduttivo
Avviamento all’analisi del testo poetico
Prof. Uberto Motta
MIS 3026, giovedì 15-19h
Bibliografia (1)
• Manuale di riferimento
P. G. Beltrami, Gli strumenti della poesia, Bologna, Il
Mulino, 2002.
2
Bibliografia (2)
• Opere di consultazione
D’A. S. Avalle, L’analisi letteraria in Italia: formalismo, strutturalismo, semiologia, MilanoNapoli, Ricciardi, 1970.
L. Renzi, Come leggere la poesia, con esercitazioni su poeti italiani del Novecento, Bologna, Il
Mulino, 1985.
C. Segre, Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985.
M. Martelli – F. Bausi, La metrica italiana: teoria e storia, Firenze, Le Lettere, 1993.
Il testo letterario. Istruzioni per l’uso, a cura di M. Lavagetto, Roma-Bari, Laterza, 1996.
P. V. Mengaldo, Prima lezione di stilistica, Roma-Bari, Laterza, 2001P. V. Mengaldo, Attraverso la poesia italiana: analisi di testi esemplari, Roma, Carocci, 2008.
G. Lavezzi, I numeri della poesia: guida alla metrica italiana, Roma, Carocci, 2002.
L. Serianni, La lingua poetica italiana: grammatica e testi, Roma, Carocci, 2009.
B. Mortara Garavelli, Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche, Roma-Bari, Laterza,
2010.
S. Bozzola, La lirica. Dalle origini a Leopardi, Bologna, Il Mulino, 2012.
A. Afribo – A. Soldani, La poesia moderna. Dal secondo Ottocento a oggi, Bologna, Il Mulino,
2012.
3
Calendario delle lezioni
Giovedì 20 settembre
Giovedì 27 settembre
Giovedì 4 ottobre
Giovedì 11 ottobre
Mercoledì 17 ottobre
Giovedì 18 ottobre
15:15 – 17:00 MIS 3026
15:15 – 17:00 MIS 3026
15:15 – 17:00 MIS 3026
15:15 – 17:00 MIS 3026
17:15 – 19:00 MIS 3026
15:15 – 17:00 MIS 3026
Martedì 23 ottobre: Giornata di studi italiani
Giovedì 25 ottobre
15:15 – 17:00 MIS 3026
Giovedì 8 novembre
15:15 – 17:00 MIS 3026
Giovedì 15 novembre
15:15 – 17:00 MIS 3026
Giovedì 22 novembre: lezione sospesa
Giovedì 29 novembre
15:15 – 17:00 MIS 3026
Giovedì 6 dicembre
15:15 – 17:00 MIS 3026
Giovedì 13 dicembre
15:15 – 17:00 MIS 3026
Giovedì 20 dicembre
15:15 – 17:00 MIS 3026
4
T. S. Eliot, Le frontiere della critica, 1956 (I)
Capire una poesia vuol dire gustarla pienamente
per la ragione giusta. […] Capire una poesia
travisandola significa compiacersi di una mera
interpretazione della propria mente. […] È
impossibile gustare appieno una poesia se non la si
è capita; d’altro canto è ugualmente vero che non
possiamo capirla fino in fondo se non la gustiamo.
5
T. S. Eliot, Le frontiere della critica (II)
Le fonti e i modelli “non offrono alcuna chiave per
l’intendimento di qualsiasi poesia scritta da
qualsiasi poeta”.
Capire una poesia vuol dire afferrare la sua ragione
d’essere e la sua ‘entelechia’.
6
T. S. Eliot, Le frontiere della critica (III)
Spiegazione causale: l’evento è il risultato di una
causa → critica biografica e psicologica
Spiegazione finalistica: l’evento è il suo effetto →
critica ‘reader oriented’
7
Eliot, The frontiers of criticism (IV)
“In tutta la grande poesia c’è qualcosa che deve
restare inesplicabile, per quanto completa possa
essere la nostra conoscenza del poeta, e anzi è
questo il più importante. Quando nasce una
poesia è accaduta una cosa nuova che non può
essere interamente spiegata da qualsivoglia cosa
avvenuta prima. È questo, io credo, ciò che
s’intende per creazione”.
8
Eliot, The frontiers of criticism (V)
1. Di una poesia non c’è una sola interpretazione
giusta.
2. Un’interpretazione non è giusta se e perché
corrisponde a ciò che l’autore si proponeva di fare.
3. Nessuna interpretazione deve preclude al lettore la
possibilità di continuare a gustare la poesia.
9
Eliot, The frontiers of criticism (VI)
Leggere una poesia non è solo un esercizio
archeologico, un viaggio a ritroso nel
tempo: è uno spalancamento su una
scintilla.
10
Contini, Filologia ed esegesi dantesca, 1965 (I)
Una apparente aporia nell’esperienza di ogni lettore
(A) l’abbandono all’incanto dell’esecuzione;
il godimento, la fruizione della poesia
(B) l’acclaramento penetrante della lettera;
lo studio, il giudizio culturale, la spiegazione
sistematica
11
Contini, Filologia ed esegesi (II)
“Leggere e godere prima di avere capito tutto”
Consentire che sia la gioia della lettura a stimolare
la ricerca e lo studio (e non viceversa) →
dall’ispirazione alla tecnica
Passare dalla critica ideologica alla critica verbale:
l’esecuzione del testo
12
Contini, Filologia ed esegesi (III)
Citazione da B. Croce, La poesia di Dante, 1921
“Proposizioni filosofiche, nomi di persone,
accenni a casi storici, giudizi morali e politici e
via dicendo, sono, in poesia, nient’altro che
parole, identiche sostanzialmente, a tutte le altre
parole, e vanno interpretate in questi limiti”.
13
Contini, Filologia ed esegesi (IV)
A proposito della critica verbale:
limitare il giudizio ai casi di flagrante
intenzionalità è arbitrario, perché spesso la
scrittura poetica ha una velocità che si sottrae
alla coscienza
14
V. Sereni, Il silenzio creativo, 1962
“Si convive per anni con sensazioni, impressioni, sentimenti, intuizioni, ricordi. Il senso
di rarità o eccezionalità che a ragione o a torto si attribuisce ad essi, forse in relazione
con l’intensità con cui l’esistenza li impose, è forse la prima fonte di insoddisfazione
creativa, anzi di riluttanza di fronte alla messa in opera, che si traduce (peggio per chi
non la prova) in nausea metrica, in disgusto per ogni modulo precedentemente
sperimentato… Si convive con le proprie invenzioni, con spettri di poesie non scritte…
Non è prodotto del caso (e direi anche che è salutare) la rinunzia a chiedersi che cosa
sia, in assoluto, la poesia. Molto più senso di una simile domanda mi pare abbia
l’individuazione di un piano di sviluppo delle emozioni che porti a raffigurare sotto un
angolo specifico il rapporto tra esperienza e invenzione: la ricerca d’un tale angolo e
d’un tale rapporto segna il passaggio dalla fase negativa del silenzio di cui discorrevo alla
fase per cui gli spettri dell’insoddisfazione prendono corpo.
Ma ci sono tanti modi d’inventare e non s’inventa una volta per tutte. Al contrario,
s’inventa volta per volta… Avere ben presenti queste cose significa evitare per quanto
possibile di fare anche dell’invenzione, dei propri collaudati modi inventivi, una formula
e un’abitudine, sapere sempre – a rischio d’altri silenzi – che l’angolo utile, il rapporto
illuminante non è mai dato, ma è da trovare; e al tempo stesso mettersi in grado di
aderire meglio a quanto ha di vario il moto dell’esistenza. E questo è il prezzo della
15
comunicazione”.
Due ‘ipotesi’ a confronto
Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso
(G. Ungaretti, Commiato, 1916)
«Secondo quale criterio linguistico si
riconosce empiricamente la funzione
poetica? In particolare, qual è
l’elemento la cui presenza è
indispensabile in ogni opera poetica?
[...] La funzione poetica proietta il
principio d’equivalenza dall’asse
della selezione all’asse della
combinazione. L’equivalenza è
promossa al grado di elemento
costitutivo della sequenza».
(R. Jakobson, Linguistica e poetica,
1963)
16
Gen|ti |le
Et|to|re | Ser|ra
po|e|si|a
è il | mon|do | l’u|ma|ni|tà
la | pro|pria | vi|ta
fio|ri|ti | Dal|la | pa|ro|la
la | lim|pi|Da | me|ra|vi|glia
di un | De|li|ran|te | fer|men|to
3
5
4
8
5
8
8
8
Quan|dO | trO|vO
in | que|stO | mi|O | si|len|ziO
u|nA | pA|ro|lA
scA|vA|tA è | nel|lA | mi|A | vi|tA
co|me un | a|bis|so
4
8
5
9
5
17
Versi liberi
Montale, Forse un mattino, v. 8
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Montale, Felicità raggiunta, v. 8
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
18
Versi spezzati
Montale, La bufera, 18-20
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa…
Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
19
G. Ungaretti, Eterno
Tra un fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile nulla
I redazione, “Lacerba”, 8 maggio 1915
Eternità
Tra un fiore colto e l’altro donato
l’inesprimibile vanità.
Fiore doppio
nati in grembo alla madonna
della gioia.
20
La misura dei versi
• «di retro da Maria, da quella costa» (Purg., X 50)
• «L’amoroso pensero» (Petrarca, RVF, LXXI 91)
• «Nel mezzo del cammin di nostra vita» (Inf., I 1)
• «lo ciel perdei che per non aver fé» (Purg., VII 8)
• «che noi possiam ne l’altra bolgia scendere» (Inf.,
XXIII 32)
21
Sistole e diastole
Né dolcezza di figlio, né la pièta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta (Inf. XXI 94-6)
E ’l duca disse a me: - Più non si desta
di qua dal suon dell’angelica tromba,
quando verrà la nimica podèsta. (Inf. VI 94-6)
Come quando la nebbia si dissipa,
lo sguardo a poco a poco raffigura
ciò che cela il vapor che l’aere stipa (Inf. XXXI 34-6)
22
I versi della poesia italiana
Mono- e Bisillabo «Qui / non si sente / altro»
(Ungaretti)
Trisillabo (2) «Si tace» (Palazzeschi)
Quadrisillabo (1,3) «sono priso» (Giacomo da
Lentini); «vuoto e tondo» (Boito)
Quinario (1/2,4) «ninfa gentile» (Pindemonte);
«bandiera bianca» (Fusinato)
Senario (2,5 o 1,3,5) «Dal core mi vene» (Giacomo da
Lentini); «non voler soffrire» (Jacopone da Todi);
«fantasma tu giungi» (Pascoli)
Settenario (1-4,6) «Meravigliosamente» (Giacomo da
Lentini); «Chiare, fresche et dolci acque» (Petrarca);
«Ei fu. Siccome immobile» (Manzoni)
23
I versi della poesia italiana
Quinario doppio (4,9) «Dal mio cantuccio, donde
non sento» (Pascoli)
Senario doppio (2,5,8,11) «Dagli atri muscosi, dai
Fori cadenti» (Manzoni)
Settenario doppio (alessandrino o martelliano)
(6,13) «Sui campi di Marengo | batte la luna;
fosco» (Carducci) «tra la Bormida e il Tanaro
|s’agita e mugge un bosco» (Carducci)
24
I versi della poesia italiana
Ottonario (3,7) «Quant’è bella | giovinezza» (Lorenzo
de’ Medici) «Su ’l castello | di Verona» (Carducci)
Novenario (2,5,8) «tremava | un sospiro | di vento»
(Pascoli)
Decasillabo (3,6,9) «Dilongato | mi son da la via»
(Jacopone); «Soffermati | sull’arida sponda»
(Manzoni)
Endecasillabo (4/6,10) «Nel mezzo del cammin | di
nostra vita» (2,6,10: endecasillabo a maiore, con
accenti fissi di 6a e 10a); «mi ritrovai | per una selva
oscura» (4,8,10: endecasillabo a minore, con accenti
fissi di 4a e 10a)
25
L’accento metrico
• Regola generale: accento metrico = accento
grammaticale
• Atoni:
articoli, preposizioni, congiunzioni
pron. pers. di una sillaba seguiti da verbo
non in posizione non enfatica
agg. poss. in posizione debole (mia vita)
agg. di una sill. + sost.
verbi ausiliari monosill. + part. (è stato)
verbi ausiliari di 2 sill. + accento del part.
(avea fatto >< abbia perduto)
es. (6,10) «che di lagrime son fatti uscio e varco» (Rvf 3,11)
26
Ipermetria e ipometria
• Boccaccio, Teseida, I 38
I denti batte e rugghia e gli spediti
sen¦tie¦ri a¦ sua¦ sa¦lu¦te¦ cer¦ca e¦ pe’ ¦ro¦mo¦ri
ch’egli ha in qua in là in giù e su uditi,
non sa qua’ vie per lui sien migliori.
• Saba, Canzoniere, A mamma, v. 108
Sugli ultimi mari i naviganti [1948] < Di su gli ultimi mari i
naviganti [1911 e 1921]
27
Figure metriche (1)
Sinalefe «Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono»
(RVF I 1)
Dialefe «O anima cortese mantoana» (Inf. II 58)
Sinèresi «di quei sospiri ond’io nudriva il core»
(RVF I 2)
Dieresi «Sì travïato è ’l folle mi’ desio» (RVF VI 1)
28
Figure metriche (2)
• «e come albero in nave si levò» (Dante, Inf.,
XXXI 145) → sinalefe
• «che fece me a me uscir di mente» (Dante, Purg.,
VIII 14) → dialefe
• «Io venia pien d’angoscia a rimirarti» (Leopardi,
Alla luna, v. 3) → sineresi
• «O grazïosa luna, io mi rammento» (Leopardi,
Alla luna, v. 1) → dieresi
29
Testo
“Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia”.
Parafrasi di I grado
Dal verso (due endecasillabi a maiore) alla prosa
Disposizione delle parole
Ho incontrato spesso il male di vivere: era come un corso d’acqua che,
bloccato da un ostacolo, ribolle.
Parafrasi di II grado
Risoluzione e scioglimento delle figure retoriche
Io ho sperimentato spesso il male di vivere, e ne ho trovato
l’equivalente metaforico, per esempio, in un corso d’acqua che,
impedito nel suo scorrere naturale, ribolle.
30
Spes|so^il |ma|le| di |vi|ve|re ^ho^ in|con|tra|to:
1
2
3 4 5 6 7
8
9 10 11
e|ra ^il |ri|vo |stroz|za|to| che| gor|go|glia.
1 2 3 4
5
6 7 8
9 10 11
Cfr. Dante, Inf. VII 125, “quest’inno si gorgoglian nella
strozza”
31
La rima (1)
La rima può essere piana (amore : dolore), tronca
(sentì : compì) o sdrucciola (cantano : piantano).
Si parla di assonanza se coincidono solo le vocali,
mentre sono diverse le consonanti (campane :
celare), e di consonanza nel caso di uguaglianza
delle consonanti (ardo : morde).
32
La rima (2)
baciate (AA, es. valore : signore)
alternate (ABAB, es. bella : oro : stella : lavoro)
incrociate (ABBA, es. colore : morta : porta : valore)
invertite (ABC.CBA, es. piagenza : vertute : mostra :
nostra : salute : conoscenza, in Cavalcanti)
replicate (ABC.ABC, es. tutto : sovente : vergogno :
frutto : chiaramente : sogno, in Petrarca)
33
La rima (3)
Facili campare : andare : parlare in Inf. II 68-72
Difficili Inf., XXIX 74-78, con la serie tegghiastregghia-vegghia
Ricche regi : dispregi, in Inf. VIII e Par. XIX
Derivative parte : sparte, degna : indegna, in Inf. III
Equivoche porta : porta, in Inf. XXIV 37-39
34
F. Petrarca, R.v.f. XVIII
Quand’io son tutto vòlto in quella parte
ove ’l bel viso di madonna luce,
et m’é rimasa nel pensier la luce
che m’arde et strugge dentro a parte a parte,
4
i’ che temo del cor che mi si parte,
et veggio presso il fin de la mia luce,
vommene in guisa d’orbo, senza luce,
che non sa ove si vada et pur si parte.
8
Così davanti ai colpi de la morte
fuggo: ma non sì ratto che ’l desio
meco non venga come venir sòle.
Tacito vo’, ché le parole morte
farian pianger la gente; et i’ desio
che le lagrime mie si spargan sole.
12
35
La rima (4)
Frante in Inf. XXVIII 119-123, la serie comechiome-Oh me; in Inf. XXX 83-87, la serie onciasconcia-non ci ha
Ripetute o identiche «Qui vince la memoria mia
lo ’ngegno; / ché quella croce lampeggiava
Cristo, / sì ch’io non so trovare essempro degno;
/ ma chi prende sua croce e segue Cristo, /
ancor mi scuserà di quel ch’io lasso, / vedendo
in quell’albor balenar Cristo» (Par. XIV 103-108)
36
La rima (5)
Rima ipermetra
tempesta : restano
«che ti lessi negli occhi, ch’erano / pieni di
pianto, che sono / pieni di terra, la preghiera /
di vivere e d’essere buono!» (Pascoli)
«Ah l’uomo che se ne va sicuro, / agli altri ed a
se stesso amico, / e l’ombra sua non cura che la
canicola / stampa sopra uno scalcinato muro!»
(Montale)
37
A che cosa serve la rima
• Funzione strutturante o demarcativa in relazione
alla forma del testo
• Funzione musicale: valorizzazione della
componente eufonica del segno
• Funzione semantica: attivazione di rapporti
produttori di senso
38
La rima
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono:
ABBA
del vario stile in ch’io piango et ragiono,
fra le vane speranze, e ’l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.
ABBA
Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;
CDE
et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentérsi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
12 CDE
4
8
39
La rima
Arso completamente dalla vita
io vivo in essa felice e dissolto.
La mia pena d’amore non ascolto
più di quanto non curi la ferita.
(S. Penna)
40
La rima (6)
rima interna / rima al mezzo
Leopardi, La ginestra
«Con lungo affaticar l’assidua gente
avea provvidamente al tempo estivo» (vv. 209-10);
«Non ha natura al seme
dell’uom più stima o cura» (vv. 231-232)
41
L’enjambement (1)
Molto forte
Lessicale «Poi non vi piace ch’eo v’ami, ameraggio/ vi dunque per forza? Non piaccia unque a
Deo!» (Guittone)
Sintagmatico «Ma, sedendo e mirando, interminati
/ spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e
profondissima quiete» (Leopardi); «che vanno al
nulla eterno; e intanto fugge / questo reo tempo, e
van con lui le torme» (Foscolo)
42
L’enjambement (2)
Forte «Ma ben veggio or sì come / al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente» (Petrarca);
«Giovin signore, o a te scenda per lungo / di
magnanimi lombi ordine il sangue» (Parini)
Debole «Amor, ch’a nullo amato amar perdona, /
mi prese del costui piacer sì forte» (Dante).
43
Petrarca, R.f.v. CCCIX, 1-8
L’alto et novo miracol ch’a’ dì nostri
apparve al mondo, et star seco non volse,
che sol ne mostrò ’l ciel, poi sel ritolse
per adornarne i suoi stellanti chiostri,
4
vuol ch’i’ depinga a chi nol vide, e ’l mostri,
Amor, che ’n prima la mia lingua sciolse,
poi mille volte indarno a l’opra volse
ingegno, tempo, penne, carte e ’nchiostri.
8
44
Schemi metrici
Sonetto ABAB.ABAB oppure ABBA.ABBA +
CDC.DCD, CDE.CDE oppure CDE.EDC
Terzina ABA.BCB.CDC.DED…
Ottava AB.AB.AB.CC, oppure AB.AB.AB.AB,
AB.AB.CC.DD
Canzone stanze formate da ‘fronte’ (divisa in due
‘piedi’) e ‘coda’ (o ‘sirma’)
Ballata ritornello + stanze
Madrigale + Sestina
45
La stanza di canzone (R.v.f. 126)
FRONTE (se indivisibile)
1° piede 1
Chiare, fresche et dolci acque,
2
ove le belle membra
3
pose colei che sola a me par donna;
2° piede 4
gentil ramo ove piacque
5
(con sospir’ mi rimembra)
6
a lei di fare al bel fiancho colonna;
SIRMA
7
herba et fior’ che la gonna
8
leggiadra ricoverse
9
co l’angelico seno;
10
aere sacro, sereno,
11
ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse:
12
date udïenza insieme
13
a le dolenti mie parole estreme.
vv. 6-7, concatenatio
vv. 12-13, combinatio
settenario
settenario
endecasillabo
settenario
settenario
endecasillabo
a
b
C
a
b
C
settenario
settenario
settenario
settenario
endecasillabo
settenario
endecasillabo
c
d
e
e
D
f
F
46
Il congedo di canzone (R.v.f. 126)
Se tu avessi ornamenti quant’hai voglia,
potresti arditamente
uscir del boscho, et gir in fra la gente
A
b
B
47
La ballata
ritornello/ripresa + strofe/stanze
grande, con ritornello di quattro versi
(endecasillabi, o endecasillabi e settenari);
mezzana, con ritornello di tre versi (endecasillabi,
o endecasillabi e settenari);
minore, con ritornello di due versi (endecasillabi,
o endecasillabi e settenari);
piccola, con ritornello di un solo endecasillabo;
stravagante, con ritornello formato da più di
quattro versi
48
Petrarca, R.v.f. 69 (ballata)
Tolta m' è poi di que' biondi capelli,
lasso, la dolce vista;
e 'l volger de' duo lumi honesti et belli
col suo fuggir m' atrista;
ma perché ben morendo honor s' acquista,
per morte né per doglia
non vo' che da tal nodo Amor mi scioglia.
49
Petrarca, R.v.f. 69 (ballata)
Ripresa
Perché quel che mi trasse ad amar prima, Y
altrui colpa mi toglia,
x
del mio fermo voler già non mi svoglia. X
I Stanza
piede
Tra le chiome de l' òr nascose il laccio,
A
al qual mi strinse, Amore;
b
piede
et da' begli occhi mosse il freddo ghiaccio, A
che mi passò nel core,
b
volta
con la vertú d' un súbito splendore,
B
che d' ogni altra sua voglia
x
sol rimembrando anchor l' anima spoglia. X
II Stanza
piede
Tolta m' è poi di que' biondi capelli,
A
lasso, la dolce vista;
b
piede
e 'l volger de' duo lumi honesti et belli
A
col suo fuggir m' atrista;
b
volta
ma perché ben morendo honor s' acquista, B
per morte né per doglia
x
non vo' che da tal nodo Amor mi scioglia. X
50
F. Petrarca, R.v.f. 106
Nova angeletta sovra l' ale accorta
scese dal cielo in su la fresca riva,
là 'nd' io passava sol per mio destino.
A
B
C
Poi che senza compagna et senza scorta
mi vide, un laccio che di seta ordiva
tese fra l' erba, ond' è verde il camino.
A
B
C
Allor fui preso; et non mi spiacque poi,
sí dolce lume uscia degli occhi suoi.
D
D
51
F. Petrarca, R.v.f., 12
esercizio
Se la mia vita da l'aspro tormento
si può tanto schermire, et dagli affanni,
ch’i’ veggia per vertù de gli ultimi anni,
donna, de’ be’ vostr’occhi il lume spento,
4
e i cape’ d'oro fin farsi d'argento,
et lassar le ghirlande e i verdi panni,
e ’l viso scolorir che ne’ miei danni
a·llamentar mi fa pauroso et lento:
8
pur mi darà tanta baldanza Amore
ch’i’ vi discovrirò de’ mei martiri
qua’ sono stati gli anni, e i giorni et l’ore;
et se ’l tempo è contrario ai be’ desiri,
non fia ch’almen non giunga al mio dolore
alcun soccorso di tardi sospiri.
12
52
Analisi di Rvf XII (1)
Parafrasi
Schema metrico
Sonetto, rime ABBA ABBA CDC DCD
Consonanza tra C e D (-ore e –iri); rima interna ai vv.
6-8 (lassar : lamentar) e (identica) ai vv. 3-11 (anni)
Rima ricca e franta ai vv. 11 e 13 (l’ore : dolore)
Enjambements
ai vv. 1-2 (con iperbato e allitterazione), 7-8, 10-11,
13-14
Effetti fonici
53
Se la mia vita | da l'aspro tormento
si può tanto schermire,^et | dagli^affanni,
ch’i’ veggia per vertù | de gli^ultimi^anni,
donna, de’ be’ vostr’occhi^il | lume spento,
4 7 10
2 3 6 10
2 6 8 10
1 4 6 8 10
e^i cape’ d'oro fin | farsi d'argento,
et lassar le ghirlande^e^i | verdi panni,
e ’l viso scolorir | che ne’ miei danni
a·llamentar mi fa | pauroso^et lento:
3 4 6 7 10
3 6 8 10
2 6 10
4 6 8 10
pur mi darà | tanta baldanza Amore
ch’i’ vi discovrirò | de’ mei martiri
qua’ sono stati gli anni,^e^i | giorni^et l’ore;
4 5 8 10
6 10
2 4 6 8 10
et se ’l tempo^è | contrario^ai be’ desiri,
non fia ch’almen non giunga^al | mio dolore
alcun soccorso | di tardi sospiri.
3 4 6 8 10
2 4 6 10
2 4 7 10
54
Analisi di Rvf XII (2)
Il tema della poesia
La speranza di trovare in vecchiaia consolazione
delle pene amorose sofferte in gioventù.
Un artificio prospettico: posta l’incomunicabilità
che separa l’amante dalla visione e dal contatto
desiderati, ci si augura che i pensieri d’amore
possano essere rivelati e condivisi in futuro.
Rovesciamento del motivo classico (Tibullo)
dell’invecchiamento ostile agli amanti: originale è
il sogno di una vecchiaia che finalmente riunisca
gli amanti in una virtuosa reciprocità.
55
Analisi di Rvf XII (3)
Analisi linguistica e stilistica
da veggia (v. 3) dipendono (asimmetricamente:
Contini) sia un sostantivo con predicato
dell’oggetto, sia tre subordinate infinitive con
verbo medio, transitivo o intransitivo
la poesia si regge su un doppio periodo ipotetico:
Se… (vv. 1-8: PROTASI), pur mi darà… (vv. 9-11:
APODOSI); et se… (v. 12: PROTASI), non fia…
(vv. 13-14: APODOSI). NB: Protasi al presente,
apodosi al futuro
56
Analisi di Rvf XII (4)
vv. 4-7, ritratto di lei per frammenti (occhi, capelli,
panni, viso) → l’irraggiungibilità dell’intero
v. 5, e i cape’ d’oro fin | farsi d’argento:
elemento chiave della donna del Libro (i capelli
biondi) + segmento centrale allitterante ma
separato da cesura + diametralità oro/argento
NB assonanza interna che lega fin a schermire (v. 2) e
a scolorir (v. 7): con la ‘i’ tonica sempre in 6a
posizione
57
Analisi di Rvf XII (5)
v. 8, a ·llamentar mi fa | pauroso e lento
uno dei rari casi in Rvf di raddoppiamento
fonosintattico
forte cesura alla fine del primo emistichio
rima interna fa : darà (v. 9), che lega fonicamente
quartine e terzine (ribadita da qua al v. 11)
dittologia in fine verso: l’inadeguata reazione
dell’amante alle sue pene
mi fa: il cuore del sonetto; al sogno di un futuro
diverso si oppone il tempo presente del timore e
dello smarrimento (pauroso/baldanza)
58
Analisi di Rvf XII (6)
vv. 10-11, de’ mei martiri / qua’ sono stati gli anni, e i
giorni et l’ore
prolessi che enfatizza la lunghezza del tempo del
dolore
v. 13, non fia ch’almen non giunga…
perifrasi con doppia litote, che rallenta e sfuma
l’immagine del futuro
v. 14, tardi sospiri
speculare alla lentezza del poeta-amante (al v. 8)
59
Intertestualità
Analisi di Rvf XII (7)
v. 3, ultimi anni → Verg. Ecl. IV 53-54 , «O mihi tum longae maneat pars
ultima vitae, / spiritus et quantum sat erit tua dicere facta!»
v. 7, e ‘l viso scolorir →
Inf. V 131, “e scolorocci il viso”
v. 8, a llamentar mi fa pauroso et lento →
Inf. V 117, “a lagrimar mi fanno tristo e pio”
la serie rimica martiri : desiri : sospiri →
Inf. V 115-120 (“Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, / e cominciai: Francesca, i tuoi martiri / a lagrimar mi fanno tristo e pio. / Ma dimmi:
al tempo de’ dolci sospiri, / a che e come concedette Amore / che
conosceste i dubbiosi disiri?-”
v. 12, tempo →
Inf. V 118 («al tempo de’ dolci sospiri»)
v. 14, alcun soccorso di tardi sospiri →
60
Inf. II 65, “Ch’io mi sia tardi al soccorso levata”
G. Leopardi, A Silvia, vv. 49-63
50
55
60
7
11
7
7
7
11
7
7
11
11
11
7
11
11
7
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'età mia nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero,
Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.
61
Denotazione e connotazione
significato denotativo = referenziale, oggettivo
significato connotativo = supplementare, contestuale
«Dolce color d'orïental zaffiro, / che s'accoglieva nel
sereno aspetto / del mezzo, puro infino al primo giro ,
/ a li occhi miei ricominciò diletto, / tosto ch'io usci'
fuor de l'aura morta / che m'avea contristati li occhi e 'l
petto» (Purg. I 13-18)
DOL |ce | cO| LOR ||D’O|RI|en|taL |zaf|fI |RO
1
2
3
4
5
6 7 8
9 10 11
62
I valori fonosimbolici
«di me medesmo meco mi vergogno» (RVF I 11)
(Virgilio, Buc. III 76: «Phyllida mitte mihi, meus est
natalis»)
«il pietoso pastor pianse al suo pianto» (Tasso, GL,
VII 16)
«Spesso il male di vivere ho incontrATO: / era il
rivo strozzATO che gorgoOGLIA, / era
l’incartocciarsi della fOGLIA / riarsa, era il
cavallo stramazzATO» (Montale)
63
Onomatopea
Dante, Paradiso, X, 139-148
Giovanni Pascoli, Arano, vv. 7-10
Indi, come orologio che ne chiami
ne l'ora che la sposa di Dio surge
a mattinar lo sposo perché l'ami,
che l'una parte e l'altra tira e urge,
tin tin sonando con sì dolce nota,
che 'l ben disposto spirto d'amor turge;
così vid'ïo la gloriosa rota
muoversi e render voce a voce in tempra
e in dolcezza ch'esser non pò nota
se non colà dove gioir s'insempra.
ché il passero saputo in cor già gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s’ode
il suo sottil tintinno come d’oro.
←
«Quest’ultima immagine è complessa, costruita
com’è su un doppio ordine di rapporti analogici:
esplicito il primo, fra il movimento ingegnoso e il
suono dell’orologio e il moto e il rispondersi delle
voci nel coro dei beati; implicito il secondo, fra la
liturgia conventuale del mattutino e il canto delle
anime. L’onomatopea, i vocaboli rari traducono in
preziosità di linguaggio la tensione fantastica» (N.
Sapegno)
64
Ritmo e sintassi: U. Foscolo, A Zacinto
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar, da cui vergine nacque
Venere, e fea quell’isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
4
8
12
Parafrasi
[1-4] Io non potrò mai più toccare le sacre sponde (del luogo dove
sono nato), dove il mio corpo da piccolo giacque, o Zacinto mia,
che ti rispecchi nelle onde del mare greco (cioè, non potrò mai più
ritornare in patria).
[4-6] Dalle acque di questo mare nacque la dea Venere, che rese
feconde (cioè felici) quelle isole attraverso il suo primo sorriso.
[6-11] Per questo motivo, del tuo candido cielo e dei tuoi boschi
(ossia, delle tue bellezze naturali) non poté non parlare la nobile
poesia di Omero, che raccontò le avventure (di Ulisse) sul mare
governato dal fato, e l’esilio di colui, bello nella fama e nella
disgrazia, che è arrivato alla fine a baciare la sua rocciosa Itaca.
[12-14] Tu invece, o Zacinto, non avrai altro che la poesia del tuo
figlio; a noi, infatti, il destino ha riservato una sepoltura senza
lacrime (cioè lontana dalla patria).
Esercizio: FOSCOLO
Analisi metrica
ABAB ABAB CDE CED
rima ricca ai vv. 10-14
enjamb. 1-2, 3-4, 4-5, 6-7, 7-8, 8-9, 10-11, 13-14
Analisi lessicale
sacre (v. 1), giacque (v. 2)
feconde (v. 5), limpide (v. 7)
inclito (v. 8)
fatali e diverso (v. 9), bello (v. 10)
materna (v. 13), illacrimata (v. 14)
Analisi sintattica
vv. 1-11 + vv. 12-14: Periodo iniziale di inusitata ampiezza +
secchezza epigrafica della terzina finale;
Funzione strutturante dei nessi relativi;
Frequenti e vistosi iperbati ai vv. 6-11.
Esercizio: FOSCOLO
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar, da cui vergine nacque
Venere, e fea quell’isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
Sonetto Foscolo
Allitterazione
v. 1 Né più mai toccherò le SacrE SpondE
vv. 4-5 del gReco maR, da cui VERgiNE nacque /
VENERe, e FEa quell’isole Feconde
v. 8 L’inCLito vErso di CoLui ChE L’ACQUE
v. 12-14 Tu non aLTRo che il canTo avRai deL
figlio, / o maTeRna mia TeRRa; a noi
pRescRisse / iL faTo iLLacRimaTa sepoLTura
Leopardi, A Silvia, vv. 1-6
Silvia, riMeMbri ancora
quel teMpo della tua vita Mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il liMitare
di gioventù salivi?
Principale (interr.) + 2 sub. temp. fra loro
coordinate
7
11
7
11
11
7
Leopardi, A Silvia, vv. 7-14
Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che [all'opre femminili inteNTA ]
sedEVI, assai conteNTA
di quel vago avvenir [che in mente avEVI].
Era il maggio odoroso: e tu solEVI
così menare il giorno.
7
7
7
11
7
11
11
7
due periodi: I, principale + sub. tempor. da cui
dipendono una modale implicita e una relativa; II,
principale + coordinata
Leopardi, A Silvia, vv. 15-27
Io [gli studi leggiadri
talor lasciando E le sudate carte,
ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte],
d'in su i veroni del paterno ostello
porgEA gli orecchi al suon della tua voce,
ED alla man veloce
che percorrEA la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate E gli orti,
E quinci il mar da lungi, E quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch'io sentiva in seno.
7
11
7
11
11
11
7
11
7
7
11
7
7
Leopardi, A Silvia
vv. 10-12
allor che^all’opre ¦ femminili^intenta,
sedevi,^assai contenta
di quel vago avvenir ¦ che^in mente^avevi
vv. 23-25
Mirava^il ciel sereno,
le vie dorate^e gli^orti,
e quinci^il mar ¦ da lungi,^e quindi ^il monte
2 4 8 10
246
2 6 8 10
246
46
2 4 6 8 10
Le figure retoriche
Dante, Inferno, XVII vv. 16-18: «Con più coloR,
sommesse e sovRaposTe / non feR mai dRappi
TaRTaRi né TuRchi, / né fuoR Tai Tele peR
aRagne imposTe».
L. Ariosto, Satire, I vv. 226-228: «Il qual se vuol
di calamo et inchiostro / di me servirsi, e non mi
tor da bomba, / digli: Signore, il mio fratello è
vostro ».
Le figure retoriche operanti sulla
costruzione sintattica
l’iperbato: Parini, «La nascente del sol luce rifrange»;
l’anastrofe: Pascoli, «dalle fratte / sembra la nebbia mattutina
fumare»;
il chiasmo: Pascoli, «con tonfi spessi e lunghe cantilene»;
l’enumerazione: Ariosto, «Altri in amar lo [il senno] perde,
altri in onori, / altri in cercar, scorrendo il mar, richezze; /
altri ne le speranze de’ signori, / altri dietro alle magiche
sciocchezze»;
l’anafora: Ariosto: «Vedete il meglio de la nobiltade… Vedete
quante lance e quante spade… Vedete che ’l destrier sotto gli
cade… Vedete gli omicidi e le rapine»;
il climax: Leopardi, «ogni stento, ogni danno, / ogni estremo
timor subito scordi»;
l’anticlimax: Leopardi, «posa per sempre… t’acqueta omai».
Lessico e semantica
Significato denotativo (oggettivo e comune)
↓
Significato connotativo (evocativo e contestuale)
← trama fonica, ritmica e sintattica
← echi letterari (fonti): intertestualità
Lessico e semantica
• “e il naufragar m’è dolce in questo mare” (G.
Leopardi, L’infinito)
• “Come questa pietra / è il mio pianto / che
non si vede” (G. Ungaretti, Sono una creatura)
cfr. Tutto ho perduto: “La vita non mi è più / […]
/ che una roccia di gridi”; Mio fiume anche tu: “E
pietà in grido si contrae di pietra”
Similitudine e metafora
• «Ella non ci dicea alcuna cosa, / ma lasciavane
gir, solo sguardando / a guisa di leon quando si
posa» (Dante, Purgatorio, VI 64-66)
• «Erano i capei d’oro a l’aura sparsi» (Petrarca,
Rvf, XC 1)
• «Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le
foglie» (G. Ungaretti, Soldati)
• «È il mio cuore / il paese più straziato» (G.
Ungaretti, San Martino del Carso, vv. 11-12)
La similitudine
Intesi ch’a sì fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.
E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid’io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga.
(Inf., V 37 -49)
Montale, I limoni, vv. 1-10
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
G. Ungaretti, Stelle
(da Sentimento del tempo)
Tornano in alto ad ardere le favole.
11
< Tornano le favole a ardere in alto
Cadranno colle foglie al primo vento.
11
Ma venga un altro soffio,
Ritornerà scintillamento nuovo.
7
11
< Parrà l’incendio nuovo a un altro soffio
G. Ungaretti, Stelle
Tor¦na¦no^in¦ al¦to^ad ¦ar¦de¦re¦ le¦ fa¦vo¦le
1 2
3
4
5
6 7 8 9 10 11 12
Ca¦dran¦no¦ col¦le¦ fo¦glie^al ¦pri¦mo ¦ven¦to.
1
2
3
4 5 6
7
8 9
10 11
Ma ¦ven¦ga^un¦ al¦tro ¦sof¦fio,
1
2
3
4 5 6 7
Ri¦tor¦ne¦rঠscin¦til¦la¦men¦to ¦nuo¦vo.
1 2 3 4
5 6 7 8
9 10 11
Commento alle prove scritte intermedie
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto.
La madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.
Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quiete.
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.
4
8
11
14
Commento alle prove scritte intermedie
Tutto Cors’Amadeo,
sentendola, si destava.
Ne conosceva il neo
sul labbro, e sottile
la nuca e l’andatura
ilare – la cintura
stretta, che acre e gentile
(Annina si voltava)
all’opera stimolava.
Andava in alba e in trina
pari a un’operaia regina.
Andava col volto franco
(ma cauto, e vergine, il fianco)
e tutta di lei risuonava
al suo tacchettio la contrada.
15
20
25
U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto.
La madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.
Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quiete.
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.
4
8
11
14
Contestualizzazione
Lettera di U. Foscolo a V. Monti, dicembre 1801
La morte dell’infelicissimo mio fratello ha esulcerato
tutte le mie piaghe: tanto più ch’ei morí d’una
malinconia lenta, ostinata, che non lo lasciò né
mangiare né parlare per quarantasei giorni. Io mi
figuro i martirij di quel giovinetto e lo stato doloroso
della nostra povera madre tra le cui braccia spirò. Ma
io temo che egli stanco della vita siasi avvelenato […].
La morte sola finalmente poté decidere la battaglia che
le sue grandi virtù, e i suoi grandi vizj manteneano da
gran tempo in quel cuore di fuoco.
Catullo, Carmina, CI
Multas per gentes et multa per aequora vectus
advenio has miseras, frater, ad inferias,
ut te postremo donarem munere mortis
et mutam nequiquam alloquerer cinerem,
quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,
heu miser indigne frater adempte mihi.
Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum
tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu,
atque in perpetuum, frater, ave atque vale.
Per molte genti portato e per molti mari/ arrivo a queste misere,
fratello, esequie, / per donarti l'ultimo tributo di morte/ ed
invano parlare con le tue mute ceneri, / dal momento che la
sorte mi ha tolto proprio te,/ ahi, misero fratello indegnamente
sottrattomi./ Ora tuttavia, intanto, queste offerte, che secondo
l’antico rito / degli avi sono state rese con triste tributo alle
esequie, / accogli stillanti di fraterno pianto, / ed in perpetuo,
fratello, salute e addio.
Parce, per inmatura tuae precor ossa sororis:
Tibullo, Elegie, II 6, vv. 29-40
sic bene sub tenera parva quiescat humo.
Illa mihi sancta est, illius dona sepulcro
et madefacta meis serta feram lacrimis,
illius ad tumulum fugiam supplexque sedebo
et mea cum muto fata querar cinere.
Non feret usque suum te propter flere clientem:
illius ut verbis, sis mihi lenta, veto,
ne tibi neglecti mittant mala somnia Manes,
maestaque sopitae stet soror ante torum,
qualis ab excelsa praeceps delapsa fenestra
uenit ad infernos sanguinolenta lacus.
Risparmiami, ti prego, per le ossa di tua sorella morta anzitempo: / riposi la piccola in pace
sotto la terra morbida. / Lei mi è sacra: al suo sepolcro porterò offerte / e corone intrise
delle mie lacrime; / accanto al suo tumulo mi rifugerò, sedendo supplichevole, / e col suo
cenere muto compiangerò il mio destino. Lei non permetterà che il suo protetto pianga di
continuo per causa tua: / in nome suo ti proibisco di mostrarti indifferente con me, / se
non vuoi che i suoi Mani trascurati ti mandino sogni terrificanti / e nel sonno non ti /
appaia davanti al letto la sorella afflitta, / com'era il giorno in cui, precipitata dall'alto di una
finestra, / sanguinante raggiunse gli stagni infernali.
Alfieri, Rime, CLXXV 1-4
Misera madre che di pianto in pianto
vai strascinando la tua triste sera;
e ad uno ad uno i figli amati tanto
vedi acerbi ingoiar da morte fera.
La matrice petrarchesca
v. 4: Rvf CCLXVIII 39, «al fior degli anni suoi»
v. 5: Rvf XVI 5, «Indi trahendo poi l’antiquo
fianco»
vv. 10-11: Rvf CCCLXV 9-10, «Sí che s’io vissi in
guerra, et in tempesta, / mora in pace, et in
porto»
v. 12: Rvf CCLXVIII 32, «Questo m’avanza di
cotanta speme»
G. Leopardi, Alla luna
O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l'etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l'affanno duri!
5
10
15
Alla luna, vv. 12 ss.
I red. (1819)
del mio dolore. Oh come grato occorre
il sovvenir delle passate cose,
ancor che triste, e che il pianto duri.
II red. (1835-36)
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l’affanno duri!
O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l'etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l'affanno duri
colle < poggio
pien < carco
selva < bosco
che travagliosa < perché dolente
ricordanza < rimembranza
U. Saba, La capra
Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d'erba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Quell'uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.
5
10
Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia
«Qualche bene o contento / avrà fors’altri; a me
la vita è male. / O greggia mia che posi, oh te
beata, / che la miseria tua, credo, non sai! /
Quanta invidia ti porto!» (vv. 103-107);
«O forse erra dal vero, / mirando all’altrui sorte,
il mio pensiero: / forse in qual forma, in quale /
stato che sia, dentro covile o cuma, / è funesto a
chi nasce il dì natale» (vv. 139-143) .
Biograficamente, il tempo in cui Saba compose questo idillio è quello in
cui l’uomo attivo sente più vivace l’obbligo di assumere nel mondo una
figura che lo renda necessario. Invece, in Saba, si conferma a questo
punto l’assoluta insensibilità ad ogni impulso d’agire: a giustificare la sua
vita gli basta il desto e delicatissimo sentimento delle cose; in cui si
obblia. E, se tutta la sua personalità non si dissolve passivamente nelle
cose, ciò proviene dall’intensissimo amore che egli porta ad esse e che è
già, da solo, una sufficiente e originale ragion di vivere. […] C’è una
devozione seria ed assorta per gli aspetti in cui il mondo si rivela. […] La
malinconia che Saba ha musicato trae forse le sue confuse ragioni
dall’instabilità di un centro morale; in luogo del quale è un succedersi di
stati d’anima, tutti facenti capo ad una certezza del dolore umano, più
garantita dalle affermazioni degli altri che da una autentica ricognizione;
e la logorante insidia di questo caos è mantenuta dall’assenza di ogni
travolgente iniziativa: donde il gusto di starsene a ruminare in un ozio
faticoso la propria atonia (G. Debenedetti, La poesia di Saba, 1923) .
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