Area Politiche sociali e pari opportunità
Dirigente Dott. Antonio Scialdone
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La figura del Mediatore culturale: il processo di definizione istituzionale
di Luca Fabrizi, Cristiana Ranieri, Francesca Serra Isfol-Area Politiche sociali e pari opportunità
(pubblicato su Formazione Orientamento Professionale n. 4 Luglio-Agosto 2009).
1. Il contesto normativo e la governance del processo
Rispetto all‟incremento ed al complessificarsi della presenza di popolazione migrante si è posto da
parte dei diversi Stati il problema di individuare delle politiche di integrazione volte alla costruzione
di una società multietnica, alla cui base vi sia il dialogo interculturale. Nello specifico, il Parlamento
europeo con la decisione 1983/2006/CE ha dichiarato il 2008 Anno europeo del dialogo
interculturale. L‟Unione Europea infatti ha sempre sottolineato la ricchezza della diversità presenti
negli Stati membri e ha sviluppato varie iniziative attraverso programmi e azioni comunitarie, come
Equal, Leonardo da Vinci, Erasmus.
Le priorità strategiche promosse nella visione dell‟intercultura sono:
 il rispetto della diversità culturale in Europa e la realizzazione di una cittadinanza attiva
europea aperta al mondo e basata su valori comuni nell‟Unione;
 l‟inclusione della rinnovata strategia di Lisbona per la quale l‟economia basata sulla
conoscenza richiede persone capaci di adattarsi ai cambiamenti e di beneficiare delle
possibili fonti di innovazione per sviluppare prosperità;
 la solidarietà, la giustizia sociale e la maggiore coesione nel rispetto di valori comuni
nell‟Unione.
Bisogna sottolineare l‟importanza che la UE attribuisce non solo alle politiche di integrazione ma
anche ai fondi comunitari volti a tale funzione. L‟obiettivo è supportare il potenziamento delle
capacità degli Stati membri di elaborare, attuare, monitorare e valutare in generale tutte le strategie
di integrazione, le politiche e le misure aventi ad oggetto i cittadini di Paesi terzi, lo scambio di
informazioni e buone prassi e la cooperazione. Un ruolo fondamentale, in questo processo, viene
svolto dalla mediazione culturale, al fine di governare l‟immigrazione verso criteri positivi di
accoglienza ed integrazione.
La consistenza della presenza straniera nel nostro Paese viene stimata in modo diverso dalle fonti
fin qui disponibili, ma si stima da più parti che proprio di recente ci si sia avvicinati alla soglia dei
quattro milioni di persone. L‟importanza della predisposizione di un sistema informativo efficiente
riguarda anche la possibilità di disporre di indicatori capaci di cogliere la condizione della
popolazione immigrata nelle diverse sfere della vita sociale, in grado di evidenziare le dimensioni
1
maggiormente problematiche ai fini di una precisazione delle misure atte a realizzare una loro
integrazione1.
Molte realtà territoriali (amministrazioni pubbliche e società civile) si sono mosse già nei primi anni
‟90 con obiettivi analoghi. L‟impegno prioritario assunto riguarda l‟inclusione e la lotta alla
discriminazione attraverso la previsione di azioni che garantiscano non solo l‟erogazione dei servizi
minimi ed essenziali, ma anche una piena cittadinanza sociale. Costante è la previsione della
necessità di adeguare l‟amministrazione alle esigenze della popolazione immigrata, attraverso
misure di carattere organizzativo – creazione di sportelli per l‟integrazione sociosanitaria degli
immigrati, formazione per gli operatori dei servizi destinati agli immigrati, etc. – ed il ricorso alla
mediazione culturale.
Affrontare il tema della mediazione culturale è un'operazione complessa che sollecita molteplici
riflessioni. La prima, più generale, è di natura politica e riguarda la condizione di vita e le disparità
sociali. La seconda affronta l'interrogativo sociale di come far coesistere universalità ed esigibilità
dei diritti con istanze particolaristiche collegata al rapporto con diversi profili di categorie di rischio
di emarginazione e svantaggio. Negli aspetti legati alla contrattualità e regolazione del sistema, si
passa dalla concezione del fenomeno migratorio come problema pubblico da gestire tamponando
l‟emergenza, a quella di un fenomeno di lungo periodo, che va affrontato e pensato nella sua
complessità, il tema delle relazioni (etniche) diventa centrale. Questo il quadro entro il quale
contestualizzare l'identificazione del ruolo del mediatore culturale: ad un primo livello l‟obiettivo
della mediazione tra cittadini immigrati e società locale, è il sostegno e l‟accompagnamento delle
parti nella rimozione delle barriere culturali linguistiche, nella promozione sul territorio della
cultura di accoglienza e dell'integrazione socio-economica, nella conoscenza e nella pratica dei
diritti e dei doveri vigenti in Italia in particolare nell'accesso e nella fruizione dei servizi pubblici e
privati2.
Ad un secondo livello, la mediazione culturale va, inoltre, considerata come dimensione costante
delle politiche di integrazione sociale, sia per l‟accesso degli stranieri all‟esercizio dei diritti
fondamentali sia per la trasformazione della nostra società, con l‟incontro di culture diverse che si
mescolano e si modificano reciprocamente. La Legge 6 marzo 1998, n. 40 pone un riferimento
specifico al mediatore culturale, che viene per la prima volta richiamato nell‟art. 42, comma 1,
lettera D. Anticipando le considerazioni sviluppate nel presente contributo, tale riferimento
rappresenta forse la propulsione ad operare una cerniera tra le cosiddette politiche
dell‟immigrazione e politiche dell‟integrazione.
Il profilo del mediatore culturale si inserisce nel dibattito sul cambiamento degli scenari di welfare,
interessato dalla riformulazione di bisogni, setting e modelli operativi. Questi stessi si innestano nel
contesto del confronto della regolazione tra livelli centrali e livelli locali sul tema
dell‟immigrazione e sui dispositivi che si propongono di regolamentare l‟ingresso, l‟uscita e la
permanenza e la serena convivenza sul territorio italiano. Ma proprio per la complessità del
fenomeno, delle sue relazioni con le politiche dell‟occupazione, dell‟inclusione, del contrasto alla
povertà, dello sviluppo sociale, la mediazione si presenta come una funzione che agisce a più livelli,
in più contesti e con interlocutori sempre diversi. Necessaria l‟integrazione e la coordinazione tra
politiche nazionali e politiche locali, in modo da razionalizzare e potenziare l‟efficacia delle azioni,
in particolare attraverso un processo di coordinamento tra quanto è già esistente, per evitare di
replicare processi e livelli già in atto.
1
Golini, A., Strozza, S., Amato, F. (2001), Un sistema di indicatori di integrazione: primo tentativo di costruzione, in Commissione
per le politiche di integrazione degli immigrati, Zincone G. (a cura di), Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia,
Bologna, Il Mulino 2008.
2
Un interessante contributo che esamina questa apertura è quello di C. Husband, University of Bradford: Social work in an ethnically
diverse Europe: the shifting challenger of difference .www.socwork.net Social Work & Society, 2007. In esso si richiama la
pressione esercitata dal fenomeno migratorio nella realizzazione di principi universalistici ed inclusivi.
2
Attraverso disposizioni legislative dei sistemi regionali3 si sono rilevate definizioni del profilo
professionale e formativo del mediatore nonché le esigenze di individuare lo standard minimo di
durata dei corsi di formazione per l‟acquisizione della qualifica e per i corsi di specializzazione per
rispondere alla richiesta, proveniente dal territorio, di operatori adeguatamente qualificati per lo
sviluppo delle prestazioni erogate. Diverse regioni hanno infatti caratterizzato la figura del
mediatore tramite una qualifica professionale o specifici albi, adottando come figura privilegiata un
mediatore di origine straniera, oppure aprendo la professione ad un ventaglio più ampio di opzioni.
A queste si uniscono figure professionali che vengono da una preparazione universitaria o post
universitaria, in possesso di competenze linguistiche e gestionali diverse, che sembrano adatte a
presidiare processi più complessi.
In tale scenario le progettualità territoriali presentano una forte etereogeneità. Non è un caso
probabilmente che a questo corrisponda un ampio spettro di figure di mediatore culturale, che si
differenziano per il livello di preparazione e di qualificazione raggiunto.
I percorsi che preparano alla funzione e figura professionale del mediatore sono molto eterogenei
rispetto a:







ente promotore;
approvvigionamento finanziario;
destinatari a specifiche di riserva di accesso;
durata e metodologia didattica;
settore di ambito operativo;
specifiche sui profili di beneficiari del servizio;
titolo rilasciato.
Alcune specifiche: i corsi di formazione promossi da privati sono, generalmente, a pagamento, e
possono essere a titolo gratuito solo qualora siano previsti finanziamenti da parte delle Regioni, dei
Comuni, delle Province o della Comunità Europea. Per la partecipazione ad alcuni corsi, finanziati
da organismi pubblici, sono, a volte, previsti dei vouchers formativi per i frequentatori del corso
specifico. I corsi promossi da Università (Corsi di Laurea o Master) sono a pagamento. Per quanto
riguarda la durata dei corsi ciò deriva dalla tipologia del corso e dal tipo di titolo rilasciato, i corsi
possono richiedere dalle 160 alle 1600 ore di frequenza; i Corsi di Laurea hanno, in linee generali,
la durata triennale, mentre i Master la durata annuale. La programmazione dei corsi di formazione,
dei corsi di Laurea e dei Master è diffusa su tutto il territorio nazionale. I percorsi formativi sono
per lo più certificati da un‟attestazione di frequenza, siano essi brevi o master. Alcune tipologie di
corso sono rivolte a disoccupati a medio e lungo termine o ad inoccupati. Questo lascia spazio alla
considerazione che progetti formativi legati a tali figure rientrino anche in specifiche misure per
l‟inserimento occupazionale.
La creazione di condizioni utili per ufficializzare una figura professionale largamente utilizzata in
Europa ed esistente in Italia “solo” di fatto, può estrinsecarsi partendo quindi dalla formazione
(definizione dei requisiti per l‟accesso, standard minimi, qualifica professionale, certificazione delle
competenze, curricula) per pervenire alla definizione del profilo riguardo i compiti principali, le
conoscenze di base e professionalizzanti indispensabili all‟esercizio della professione (non è da
escludere la possibile delineazione di profili apicali).
Il riconoscimento del profilo professionale e formativo del mediatore quale figura-cardine
dell‟integrazione e dell‟acquisizione della cittadinanza nell‟esercizio di una funzione strategica per
una politica organica in materia di immigrazione deve fare i conti anche con il disatteso
assolvimento dell‟art. 12 della 328/00 che in virtù delle modifiche intervenute con la riforma del
3
Per citarne alcune: la recente DG 321/2008 della Regione Lazio; la giunta Regionale Abruzzese con la delibera 1386/P 2006;
l‟Emilia Romagna con la delibera della Giunta Regionale n. 1576/2004.
3
titolo V della Costituzione, richiede quindi osservanza per le implicazioni di competenza
concorrente dei profili istituzionali. Il sistema delle professioni sociali (art. 12/328) stesso sta
attraversando una fase di riassestamento, in cui vengono definite nuove identità e nuovi profili
operativi, nuovi riparti di competenze nella governance del sistema: l‟innesto con il comparto del
lavoro sociale in tal senso richiama una ulteriore riflessione sulla figura del mediatore che non
sembra poter prescindere da una individuazione della filiera dei profili operativi e di comunità in
cui va ad inserirsi. A tali livelli di governance delle competenze si osserva anche l‟elaborazione nel
corso del 2009 di un documento di proposta congiunta delle Regioni e delle Province Autonome,
portato a recente approvazione4, ed un richiamo quindi alle sedi istituzionali della Conferenza
Stato–Regione.
2. Il lavoro in corso nei tavoli istituzionali
Gli sforzi per proporre azioni di governance finalizzate a costruire un quadro unico della
mediazione fino ad ora messe in campo non hanno sempre avuto l‟impatto sperato: questo
probabilmente perché tali azioni non sono state sempre in grado di inquadrare il fenomeno nella sua
complessità. Si sono sviluppate azioni orientate alla necessità di regolamentare aspetti specifici del
fenomeno stesso. Tra le esperienze in atto a livello istituzionale si propone all‟attenzione
l‟insediamento di un gruppo di lavoro, promosso presso il Ministero dell‟Interno - Dipartimento per
le libertà civili e l‟immigrazione, in seno alla programmazione del Fondo Europeo per
l’integrazione dei cittadini dei paesi terzi per il periodo 2007-2013. La rappresentanza istituzionale
vede presenti:









UNAR, Dipartimento Pari opportunità della Presidenza del Consiglio
Dipartimento Affari Regionali della Presidenza del Consiglio
Ministero del Lavoro, della salute e delle Politiche sociali
Ministero Giustizia
Ministero Istruzione
ANCI (SPRAR)
Regione Lazio Rappresentante per l‟immigrazione delle Regioni
UPI (Provincia di Parma)
ISFOL-Area Politiche sociali e Pari opportunità
Nel tavolo Interministeriale si diramano esigenze poste tanto nelle esperienze in atto quanto su un
processo di omogeneizzazione della qualità dei servizi, con differenziazione di percorsi e standard
di professionalità. Ed in tale sede si richiamano atti quali Circolari di Servizio e Linee guida, che
evidenziano le tappe di un percorso intrapreso da qualche tempo. Si cita a scopo esemplificativo la
redazione di Linee di indirizzo del Ministero dell‟Istruzione (il quale comparto è fortemente
sollecitato sin dalla prima stesura del T.U.) organizzate su 4 ambiti di utilizzo della mediazione5:
finalizzato agli alunni; finalizzato agli insegnanti (e, ad es., nel rapporto con le famiglie); finalizzato
alle famiglie; qualificato in didattica interculturale. Si precisa inoltre lo sviluppo di qualificazione
negli insegnanti in L2. Sulle azioni in corso vengono segnalati di forte pertinenza da parte della DG
Immigrazione del Ministero del Lavoro gli esiti di un‟attività condotta su interviste ad operatori
sociali e mediatori culturali6.
Un punto di osservazione privilegiato è quindi legato ai contesti in cui si svolge la mediazione.
Emerge come la mediazione culturale si esprime in numerosi contesti: giustizia, istruzione, sanità,
sicurezza, tanto per citare quelli più importanti. La rappresentazione convergente vede la
4
CONFERENZA DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME 09/030/CR/C9 “Riconoscimento della figura
professionale del Mediatore interculturale”, Aprile 2009.
5
MIUR, Dipartimento Istruzione, Ufficio per l‟integrazione degli alunni stranieri, Linee guida per l'accoglienza e l'integrazione degli
alunni stranieri (Febbraio 2006).
6
Curata dal Cnel- Formez e dalla Fondazione Irso, www.lavoro.gov.it
4
mediazione come una attività che interessa (ed è svolta principalmente all‟interno di) strutture
pubbliche deputate all‟erogazione di servizi; da questo deriva l‟esigenza dell‟individuazione di un
minimo comune denominatore oltrechè di una specificità degli ambiti7.
In merito alla promozione istituzionale del ruolo del mediatore esistono al tempo stesso direttrici
europee8 e nazionali che convergono sulla necessità di favorirla lungo due linee:
 diffondere informazioni utili al positivo inserimento degli stranieri nella società
italiana in particolare riguardante i loro diritti e i loro doveri, le diverse opportunità
di integrazione e crescita personale;
 promuovere conoscenza e valorizzazione delle espressioni culturali, ricreative,
sociali, economiche e religiose degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia e
ogni iniziativa tesa alla prevenzione dei fenomeni di discriminazione razziale o della
xenofobia.
Quest‟ultimo riferimento alle finalità che invitano alla promozione, ricolloca fortemente l‟esercizio
delle funzioni della mediazione al servizio di politiche di coesione sociale promosse nelle intenzioni
delle normative di indirizzo europeo e nazionale.
Esemplificando gli snodi da affrontare:
1. Formulazione di indirizzi comuni per la valorizzazione della mediazione culturale, in un
quadro di confronto con le politiche EU.
2. Esigenze della P.A: ogni Amministrazione deve considerarsi come punto di referenza nel
collegamento con i cittadini stranieri. La questione dell‟interesse pubblico per il mediatore
culturale comporta una definizione degli ambiti e delle modalità di impiego della
mediazione culturale.
3. Profili della Domanda: ricollocare l‟analisi del bisogno a partire dal progetto migratorio alla
cittadinanza sociale, collegandoli al ciclo di vita e status sociale, anche mediante il rapporto
con le organizzazioni di tutela, promozione e rappresentanza.
7
Si sta lavorando in tal senso per la predisposizione di un documento da proporre agli organi competenti in sede della Presidenza del
Consiglio dei Ministri.
8
Emblematiche, ad es., le declarazioni delle linee strategiche di integrazione contenute nella Comunicazione della Commissione al
Consiglio e al Parlamento europeo, del 10 maggio 2005, "Il programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anni.
Partenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia, e nella DECISIONE N. 1983/2006/CE DEL
PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 18 dicembre 2006 relativa all'anno europeo del dialogo interculturale (2008).
5
Le piste individuate9
Registrare le visioni e
le definizioni
operative

indirizzi ed
esperienze europee

indirizzi ed
esperienze nazionali

indirizzi ed
esperienze regionali

indirizzi ed
esperienze locali e
dell‟associazionismo
Contestualizzare le funzioni
nelle aree dell’integrazione






scuola e formazione
sistema di giustizia
sanità/servizi
sociale/servizi
lavoro
reti/partecipazione
Evidenziare i processi di Analizzare e mettere a punto la
avvio delle funzioni
strategia di promozione nella
ed i dispositivi di
governance del sistema
regolazione

ruolo e
sistema organizzativo

relazione con
i profili di regolazione
del fenomeno
migratorio
La governance di questo
processo potrebbe posizionare
l‟azione su tre livelli:
1. precisare la strategia e gli
istituti di regolazione
(anche coadiuvando tale
opzioni attraverso la
metodologia A.I.R.10):
2. sistematizzare alcuni
elementi chiave in
riferimento a:

profili professionali,
tanto apicali quanto
operativi/opzione profilo unico o
banda larga;

competenze richieste ai
diversi profili;

contesti operativi per le
figure professionali;

sistemi di
accreditamento processi;
3.
rendere visibile l‟azione
istituzionale quale leva di
Azione di Sistema e di
promozione
La mediazione culturale si propone come una funzione trasversale, caratterizzata da una forte
complessità. Sono stati evidenziati alcuni aspetti legati alla legislazione, ai campi di intervento, alla
definizione della figura. Uno dei problemi principali con cui si è scontrata la definizione della
funzione della mediazione culturale, e quindi la definizione di politiche di governance relative, è
probabilmente da rintracciare proprio nella differenziazione e nell‟articolazione dei campi di azione
dei mediatori culturali (e dall‟articolazione tanto della domanda quanto dell‟offerta). La proposta di
sintesi offerta ripercorre, almeno in parte, l‟ampiezza del fenomeno, mantenendo il focus sulle
proposte istituzionali di regolazione della funzione della mediazione culturale come affluente dei
disegni delle strategie inclusive. In tali opzioni forte emerge la necessità di operare anche secondo
approcci processuali al fenomeno dell‟immigrazione (con relativi affinamenti della lettura della
domanda) riguardo: l‟emergenza, la I e la II accoglienza; il dialogo culturale.
L‟esplicitazione della domanda istituzionale circa la mediazione culturale e l‟operazionalizzazione
dei contenuti confluisce nel confronto sulla redazione di un documento di sintesi atto a
sistematizzare gli incontri intercorsi, le prospettive in esito e le proposte di governance da
9
Estratto dal documento predisposto dall‟Area Politiche sociali e pari opportunità dell‟ISFOL per la partecipazione al primo incontro
del GDL_Viminale sulla figura del Mediatore Culturale.
10
L‟Analisi di Impatto della Regolazione ha una comprovata efficacia per definire gli esiti e le implicazioni delle policy da adottare
in ambito istituzionale. Tale metodologia è auspicata dalla Commissione Europea per l‟implementazione delle riforme, nonchè
configurato dalla letteratura comunitaria della better regulation dall‟OCSE, 2007.
6
intraprendere, fondamentalmente sulle opzioni da esercitare verso:


i contenuti da partecipare dalle Amministrazioni Centrali;
la qualità del documento da presentare alla Presidenza del Consiglio ed in sede di
Conferenza Stato-Regioni.
Il processo di identificazione dei profili e delle declinazioni operative della mediazione culturale
mostra una elevata complessità e differenziazione nelle soluzioni e nelle modalità di attuazione
(anche in virtù dell‟adeguatezza rispetto ad una domanda diversificata), relativamente alle quali le
Amministrazioni centrali auspicano interventi finalizzati alla costruzione di una strategia comune. In
tal senso si registra una forte confluenza delle intenzioni emerse nell‟ambito dell‟ONC 11 che in seno
al CNEL ha dedicato uno specifico gruppo di lavoro al tema della “figura del mediatore culturale”
nell‟ambito del più ampio interesse verso le politiche dell‟integrazione degli immigrati.
Riguardo alla questione della differenziazione nelle soluzioni e delle modalità di attuazione della
mediazione culturale, in sede di audizione Isfol c/o il CNEL è stato presentato in data 8 Aprile
2009uno scenario delle esperienze intraprese orientato principalmente entro tre filoni12:



quello della infrastrutturazione sociale e di riqualificazione dei servizi (organizzazioni di
intermediazione e servizi dedicati a popolazione di utenza immigrata);
quello della riqualificazione dei sistemi di competenze (al tempo stesso si registrano tali
propulsioni nel sistema ECM così come nella riorganizzazione delle relazioni
interprofessionali nelle funzioni di servizio);
quello più specifico del ruolo della mediazione culturale.
Su quest‟ultimo versante, l'identificazione del ruolo del mediatore culturale si viene a delineare su
due livelli:
 nel primo, intercetta fortemente quei paradigmi di integrazione che si esprimono negli interventi
di welfare, e si colloca all‟interno delle policy di sostegno e accompagnamento delle parti (attori,
soggetti e relative organizzazioni delle diverse culture) nella rimozione delle barriere culturali e
linguistiche, nella promozione sul territorio della cultura di accoglienza e dell'integrazione socioeconomica, nella conoscenza e nella pratica dei diritti e dei doveri vigenti in Italia, ed in
particolare nell'accesso e nella fruizione dei servizi pubblici e privati;
 nel secondo, si esprime l‟impegno in processi di standardizzazione dei profili con diretta
relazione al sistema formativo ed occupazionale.
L‟incontro al CNEL, avente come scopo quello di integrare ed aggiornare un „documento‟,
elaborato nel 2000 dal Gruppo di lavoro sulla „Formazione e impegno dei mediatori culturali‟ 13, che
si presenta come proposta di definizione istituzionale della figura professionale della mediazione
culturale e di promozione degli ambiti di impiego. Il „documento‟, preso a riferimento dalle
Amministrazioni regionali in numerose occasioni, è nato in un contesto totalmente diverso da quello
attuale (per sistema di competenze e di fenomeni registrati): per questo si pone l‟obiettivo di
aggiornarlo alla luce di nuove esperienze in atto. Il CNEL si è dato come compito quello di
attualizzarlo, arricchirlo e di riproporlo ai Ministeri, alle Regioni, alle Parti Sociali, e, a tal
proposito, oltre alle Amministrazioni interessate ha incontrato anche ONG, Università e
stakeholder. Il documento consta di tre parti fondamentali: a partire da aspetti dei modelli di
integrazione, affronta il tema della mediazione culturale per poi analizzare e proporre la figura e la
funzione del mediatore culturale. Il mediatore, in definitiva, aiuta il cittadino straniero ad inserirsi
nella società italiana, favorendo la conoscenza dei diritti e dei doveri, l‟uso dei servizi sociali,
11
Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri.
Cfr. Audizione al CNEL, Aprile 2009, documento ISFOL in www.isfol.it .
13
Presentato in occasione degli “Stati Generali sull‟Immigrazione”, Vicenza, 2001.
12
7
sanitari, educativi, culturali ecc., sia pubblici che privati, dislocati sul territorio, nell‟intento di
consentire un accesso e una fruibilità dei servizi a pari condizioni; facilita l‟incontro tra persone
diverse attraverso la funzione di mediazione linguistico – culturale che si esprime nella capacità di
decodificare i codici dei due attori della relazione (migrante ed operatore), codici che sottostanno il
linguaggio ovvero l‟intero mondo di sensazioni, esperienze e valori; aiuta il cittadino straniero a
leggere e comprendere la cultura italiana anche alla luce delle culture di appartenenza e delle
reciproche aree di pregiudizio; promuove e valorizza il ruolo degli stranieri come risorsa ed
opportunità nel tessuto socio economico14.
Il rischio evocato di difformità tra funzione o definizione ha rinforzato ancor più la necessità di
sistematizzare alcuni elementi chiave in riferimento a:
 profili professionali, tanto apicali quanto operativi/ opzione profilo unico o banda
larga;
 competenze richieste ai diversi profili;
 contesti operativi per le figure professionali;
 sistemi di accreditamento dei processi.
Tale problema fa convergere al tempo stesso le iniziative adottate a livello centrale verso la
promozione di:
 un intensa collaborazione interistituzionale;
 un‟attività di audit di vari soggetti presenti sul territorio rispetto all´analisi dei
bisogni e delle difficoltà dei cittadini stranieri;
 di un documento di proposta che coniughi l‟utilizzo della figura del mediatore
culturale con le politiche di integrazione degli immigrati.
3. Le questioni della qualificazione al ruolo
In ogni luogo ci sono mediazioni, connessioni e competenze specifiche collegate a bisogni e
tipologie di svantaggio e aspetti della vita della persona immigrata.
Sono passati anni dalla messa in opera della figura del mediatore culturale, sia sul versante delle
sperimentazioni sul campo che sulla proposta di corsi di formazione, corsi che erano indirizzati alla
formazione di un profilo professionale sulla base delle esperienze di altri paesi europei, ed anche
sulla scia del dibattito confluito ed alimentato a livello di istituzioni centrali di governo nazionale.
Il nostro panorama presenta, complessivamente, figure molto eterogenee di mediatore culturale, che
si differenziano generalmente in base ad almeno tre fattori:
 Provenienza dei partecipanti. Alcuni percorsi sono rivolti a “stranieri”, i quali mettono a
servizio della loro comunità una competenza linguistica e culturale avanzata, ed una
esperienza di integrazione.
 Modalità formative. Esistono numerosi “provider” di formazione: regioni, università,
privati, privato sociale ed enti locali. Questi propongono percorsi formativi diversi per
numero di ore (dalle 200 alle 1200, fino al corso universitario), per esiti in termini di
certificazione (nessuna validità, validità legata alla singola regione, validità nazionale o
europea) e per curricula.
 Finalità. Alcuni percorsi sono finalizzati alla mediazione nelle scuole, altri negli ospedali e
nelle carceri, altri percorsi formativi sono invece rivolti alla governance del sistema o del
fenomeno dell‟integrazione.
Riguardo al ruolo, molteplici e variegati sono anche gli ambiti sociali in cui il mediatore culturale si
trova ad operare. Questi si possono distinguere in istituzioni sanitarie e dei servizi sociali come
14
CNEL “Politiche per la mediazione culturale. Formazione ed impiego dei mediatori culturali”, Documento di Lavoro GDL 2000,
presentato in occasione degli stati generali sull‟immigrazione, Vicenza 2001.
8
ospedali, consultori, Asl, servizi di informazione socio – sanitaria; istituzioni educative come scuole
o associazioni per stranieri; istituzioni giudiziarie e di pubblica sicurezza come carceri, tribunali,
commissariati, centri di prima accoglienza o di accoglienza temporanea; istituzioni pubbliche amministrative come comuni, province, prefetture, anagrafi, uffici di relazione con il pubblico,
centri per l‟impiego, uffici speciali per l‟immigrazione; ambiti culturali come musei; ambiti
produttivi – lavorativi come aziende. Per ogni contesto sociale in cui il mediatore si trova ad
operare si possono evidenziare diverse finalità legate alle tipologie di mediazione15. Nonostante non
vi sia ancora un riconoscimento formale della figura professionale del mediatore, si possono
delineare alcune delle principali competenze (trasversali) e funzioni che il mediatore dovrebbe
possedere. Prime tra tutte le competenze comunicative, che comprendono la conoscenza delle
dinamiche comunicative e la conoscenza di due o più lingue, tra queste sicuramente l‟italiano; le
competenze relazionali, che consistono nella capacità di utilizzare tecniche relazionali adatte ad un
rapporto di tipo interculturale e nel riuscire a facilitare il dialogo tra i partecipanti all‟interazione; le
competenze giuridico–normative; il mediatore dovrebbe essere a conoscenza delle norme
giuridiche, prime fra tutte quelle che riguardano l‟immigrazione e quelle relative al proprio ambito
di intervento. Il mediatore dovrebbe essere preparato ed informato rispetto ai servizi e alle
opportunità presenti sul territorio ed infine dovrebbe saper prevenire e gestire i conflitti favorendo
le condizioni per l‟integrazione sociale e facilitando le pari opportunità nel godimento dei diritti.
Si registrano approcci16 che collocano le funzioni principali del mediatore nel concetto di advocacy
e di empowerment. Il mediatore che attua la funzione di advocacy accetta la richiesta dell‟utente di
rappresentarlo di fronte ad un operatore del servizio. Con la funzione di empowerment il mediatore
ha il dovere di dare voce anche all‟operatore spiegando il funzionamento del servizio. All‟interno
delle funzioni di advocacy e di empowerment si configurano inoltre le funzioni di accoglienza,
orientamento, informazione, sostegno, accompagnamento e consulenza su aspetti legati
all‟appartenenza culturale dell‟utente straniero che si avvicina ad un servizio pubblico o privato.
Fondamentalmente sono evidenti tre livelli di mediazione culturale17: il primo è quello pratico–
orientativo, che consiste nel tradurre l‟informazione e rendere il servizio più accessibile
all‟immigrato; il secondo è di tipo linguistico–comunicativo, il mediatore svolge un ruolo di
facilitatore di comunicazione, traduzione e interpretariato ed è gestore di fraintendimenti e
malintesi; il terzo è quello di tipo psico–sociale e riguarda la possibilità per il mediatore di
partecipare al cambiamento sociale tramite la riorganizzazione del servizio.
E‟ nel richiamo alle funzioni fortemente pragmatiche del lavoro sociale che un accento va posto
anche alla centralità della formazione on the job e delle competenze informali e non formali.
Nonostante aumenti progressivamente la richiesta di mediatori culturali nei servizi pubblici come
facilitatori delle relazioni tra le istituzioni e le comunità minoritarie ed immigrate, ad oggi non è
ancora esistente un‟analisi dettagliata sui bisogni formativi e sui compiti che questi profili
dovrebbero svolgere all'interno dei servizi. Un aspetto essenziale nella preparazione e formazione
alla figura professionale del mediatore culturale è rappresentato dalla formazione on the job.
…“per essere adeguati al nuovo mondo sconosciuto che ci attende, dobbiamo arrivare ad
identificare l'apprendimento con la vita”18 dobbiamo imparare da tutto quello che facciamo,
dobbiamo vivere ogni esperienza come “esperienza di apprendimento”. E' proprio
dall'apprendimento sul campo che il mediatore acquisisce o sviluppa quelle competenze di tipo
trasversale che possono essere semplificate nell'abilità di diagnosi, di comunicazione, di decisione,
di problem solving, ecc. L'importanza della formazione on the job si può evincere anche dal fatto
15
Cfr. un lavoro emblematico di esplorazione pubblicato nel 2006: Luatti (a cura di) “Atlante della mediazione linguisticoculturale_Nuove mappe per la professione di mediatore” Franco Angeli, Milano.
16
In particolare: Sirna Terranova, C. 1997, Pedagogia interculturale, Angelo Guerini, Milano; Pedagogia interculturale, concetti,
problemi, proposte. Cinerini studio, Milano; Fiorucci, M. 2003, Mediazione culturale (La). Strategie per l‟incontro. Armando editore,
Roma.
17
De Nigris, E. 1996, Educazione interculturale. Bruno Mondadori, Milano.
18
Knowles M., Quando l'adulto impara. Andragogia e sviluppo della persona, 1997, Franco Angeli, Milano.
9
che tutti i corsi, siano essi regionali, comunali o corsi di laurea, prevedono un tirocinio formativo
presso le strutture in cui il mediatore si troverà ad operare.
Un elemento meritevole di attenzione nella qualificazione al ruolo di mediatore culturale, è quello
quindi dell'acquisizione e del riconoscimento delle competenze informali e non formali. Nel lavoro
del mediatore un 'bagaglio culturale' assai importante è quello legato al proprio vissuto personale,
alle proprie esperienze di vita, magari da immigrato, in quanto, nella maggior parte dei casi, il
mediatore culturale appartiene alla stessa etnia della persona straniera che si avvicina ad un servizio
e che necessita di mediazione. Le competenze informali si sviluppano in contesti lontani dalle
principali strutture d‟istruzione e di formazione e si possono acquisire sul luogo di lavoro o nel
quadro di attività di organizzazioni, gruppi della società civile o anche attraverso organizzazioni o
servizi istituiti a complemento dei sistemi formali. Le competenze non formali possono essere
acquisite, invece, attraverso situazioni concrete: attività correlate al lavoro quotidiano, alla famiglia
o ricreative, in genere le competenze non formali vengono acquisite inconsapevolmente da parte
dello stesso interessato.
Per quanto attiene il tema della validazione delle competenze, dalle ricerche internazionali degli
ultimi dieci anni la ricostruzione e la visibilità delle competenze maturate nei diversi contesti di vita
del soggetto sono al centro delle sperimentazioni fondate sul diritto della persona di veder
riconosciuto il proprio bagaglio di competenze, e su dovere delle istituzioni di attuare sistemi per il
loro sviluppo e per la loro valorizzazione.
In tale specifico impegno meritano di essere osservate le esperienze di sperimentazione dei network
progettuali europei. In quanto posto all‟attenzione a “Lo sviluppo delle competenze formali, non
formali e informali attraverso la rete dei progetti Leonardo”19, si vogliono esemplificativamente
richiamare due progetti:
 il progetto “Building an innovative European system of counselling and
certification of skills_ CON.CERT”20, di cui sono stati promotori l‟Università
di Roma Tor Vergata ed il CEIS, si è posto come obiettivo generale quello di
predisporre un sistema di certificazione delle competenze specificamente
orientato verso i saperi acquisiti in modo non formale e informale e con
riferimento ad alcuni profili professionali relativi a diversi ambiti di
riferimento quali: l‟area tecnologica, l‟area sociale ed economica, la
cooperazione allo sviluppo, il marketing e l‟ambito dei media.
Le principali questioni affrontate si sono sviluppate dagli approcci sperimentali congiunti e
nell‟adozione di riferimenti e standard comuni Europei, centrando il focus sulle metodologie e
percorsi di assessment. Tra i prodotti quello dedicato ad un modello di certificazione delle
competenze acquisite in maniera informale e non formale, attualmente oggetto di una seconda fase
progettuale di trasferimento e adattamento di livello standard. Al suo interno viene presentato il
sistema di gestione per la certificazione delle competenze;
 il progetto “VALID – INFO” _“La validazione dell‟apprendimento formale,
non formale ed informale nel settore dell‟inserimento al lavoro di persone
svantaggiate e della mediazione culturale”, in corso di realizzazione in nuova
programmazione, finalizzato a definire comuni approcci in tema di
acquisizione di tali competenze da parte dei lavoratori partendo dalle buone
prassi degli stati membri EU21. Tra i risultati concreti si propone una
mappatura delle competenze acquisite attraverso l‟apprendimento non
formale ed informale nei profili professionali prescelti.
19
cfr. www.programmaleonardo.net ed anche Firenze, Gennaio 2005, Ministero dell‟Istruzione, dell‟Università e della Ricerca,
Focus on Competence_Istruzione e cultura, Leonardo Da Vinci, Enrica Flamini (presentazione a cura di)
20
http://www.sistemaconcert.it/
21
http://www.inforcoop.it/news
10
Un ulteriore rimando merita la propulsione ad attività di sperimentazione data dalla stessa European
Commission, DG EAC (Education and Culture)22.
Negli ultimi cinque anni tutti i paesi dell'Unione Europea hanno prestato notevole attenzione alle
modalità di verifica e di certificazione delle competenze23. L'Unione Europea, già a partire dalla
pubblicazione nel 1995 del Libro Bianco “Insegnare ad apprendere”, ha delineato quadri di sviluppo
della formazione che assegnano alle pratiche formative non formali e informali pari dignità rispetto
ai sistemi formativi consolidati ed invitano gli Stati membri a sostenere sforzi per svilupparle. Un
contributo rilevante alla maturazione di questa nuova sensibilità, che non è unicamente formativa
ma interessa i sistemi delle politiche del lavoro e dello sviluppo locale, è stato fornito dal
diffondersi delle pratiche di validazione degli apprendimenti maturati dalle persone al di fuori dei
sistemi di istruzione formali24.
Si intende sommariamente far riferimento ad alcune tappe di un percorso intrapreso nell‟ultimo
decennio che dà atto degli impegni posti (seppur non sempre esitate in una risoluzione all‟interno
del Sistema) in riferimento alla complessità delle questioni precedentemente evocate.
Nel nostro Paese si sono sviluppati Atti di indirizzo quali ad es. il Decreto Ministeriale del 31
maggio 2001, Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, al fine di definire con criteri
omogenei il patrimonio conoscitivo ed operativo degli individui. Per competenza certificabile ai
sensi dell'art. 1, si intende un insieme strutturato di conoscenze e di abilità, di norma riferibili a
specifiche figure professionali, acquisibili attraverso percorsi di formazione professionale, e/o
esperienze
lavorative,
e/o
autoformazione,
valutabili
anche come crediti formativi. La certificazione, in definitiva, rappresenta l'insieme delle azioni che
attestano una serie di competenze acquisite da un individuo mediante la propria esperienza
personale, professionale e formativa, permettendone conseguentemente la spendibilità all'interno
del sistema educativo e del mondo del lavoro. La certificazione delle competenze è quindi la base
per percorsi formativi lungo l'intero corso della vita, garantendo interventi personalizzati in
funzione delle caratteristiche dell'individuo. La certificazione è resa possibile da un sistema di
standard formativi, che costituiscono un riferimento certo e condiviso per riconoscere il possesso di
competenze in modo univoco e confrontabile.
Precedentemente con l'accordo Stato-Regioni sottoscritto il 18 febbraio 2000 era stato definito il
“Libretto formativo del cittadino”. Il 13 luglio 2005 lo schema applicativo approvato aveva
l'ambizione di rendere il libretto lo strumento chiave per la trasparenza dell'apprendimento lungo
tutto l'arco della vita lavorativa. Nel libretto vengono registrate le competenze acquisite durante la
formazione in apprendistato e in contratto di inserimento; la formazione e specialistica continua
svolta durante l'arco della vita lavorativa presso soggetti accreditati dalle regioni; le competenze
acquisite in modo non formale secondo gli indirizzi dell'Unione Europea in materia di
apprendimento permanente, purché riconosciute e certificate25.
22
“La validazione dell‟istruzione e della formazione non formali e informali: le iniziative dell‟Unione Europea” Settembre 2006
Martina Nì Cheallaigh (presentazione a cura di).
23
A partire dalla metà degli anni ottanta si sono sviluppate in Gran Bretagna e in Francia forme di certificazione delle competenze
professionali acquisite dai lavoratori al di fuori dei percorsi formativi e in possesso di titoli di studio inferiori a quelli sottesi alla loro
professionalità. Obiettivo: una mobilità sul lavoro non vincolata ai titoli di studio acquisiti in situazioni solo formali.
In Francia si è passati dalla Validation des Acquis Professionnels (VAP) del 1992 alla Validation des Acquis d'Experiences (VAE)
del 2001. In Gran Bretagna a partire dal 1986 il NCVQ (National Council for Vocational Qualifications, Consiglio Nazionale per le
Qualifiche Professionali) ha varato un quadro di 762 certificazioni che sono in corso di ristrutturazione e accorpamento da parte del
QCA (Qualifications and Curriculum Authority, Authority per le Qualificazioni e il Curriculo). La principale differenza fra i due
modelli consiste nel loro obiettivo: in Francia è il conseguimento di titoli di studio ufficiali, in Gran Bretagna è prevalente il
riconoscimento di moduli parziali, non contenuti strettamente legati al mondo del lavoro e ad esso finalizzati. Inoltre in Francia le
certificazioni si fondano sulle competenze conseguite in attività formali, non formali ed informali; in Gran Bretagna il campo è
limitato alle competenze esercitate sul luogo di lavoro (www.adiscuola.it/Certistory/Certistory_51_52Adulti.htm).
24
Reggio Piergiorgio, “Validazione degli apprendimenti non formali e informali e formazione esperienziale” in Professionalità n.
99/2008
25
www.adiscuola.it/Certistory/Certistory_51_52Adulti.htm
11
Con la decisione n. 2241/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'Unione Europea viene
istituito uno strumento di raccolta personale e coordinata di documenti, denominato Europass, che i
cittadini possono utilizzare su base volontaria per meglio comunicare e presentare le proprie
qualifiche e competenze in tutta Europa. Una maggiore trasparenza delle qualifiche e delle
competenze agevolerà in tutta Europa, la mobilità ai fini dell'apprendimento permanente,
contribuendo così allo sviluppo di un' istruzione e una formazione di qualità finalizzata a facilitare
inoltre la mobilità tra i vari paesi ed i vari settori nel campo dell'occupazione.
Il tema del riconoscimento delle competenze e di crediti formativi, nell'ambito della professione del
mediatore culturale apre quindi un‟ulteriore finestra di riflessione.
Le questioni legate alla mediazione culturale hanno un interessante quadro di lettura all'interno dei
processi avviati in Europa. Semplificando si può dire che all'interno della società è emersa una forte
domanda di mediazione culturale. Questa domanda con il tempo si è diversificata e definita in
termini di competenze richieste, ponendo alcuni problemi, quali: identificare le persone in possesso
di queste caratteristiche, creare dei percorsi di formazione adeguati, definire dei profili lavorativi
riconoscibili dal mercato e dagli enti di formazione, progettare dei percorsi di carriera per i
mediatori culturali. Alle questioni citate si aggiunge una considerazione: i mediatori culturali sono
presenti nel panorama delle professioni sociali da tempo. Le loro competenze sono state, in diversi
casi, maturate direttamente sul campo, magari mettendo a frutto esperienze fatte in altri contesti
lavorativi o territoriali, adeguando il loro agire professionale alle richieste del ambiente di
riferimento. Queste persone sono quindi in possesso di un articolato patrimonio di competenze,
richieste dal mercato del lavoro, il problema che si pone è come renderle trasparenti ed utilizzabili
per il mercato del lavoro e della formazione. In Europa è in atto un processo finalizzato proprio alla
valorizzazione ed al riconoscimento delle competenze.
Questi elementi dovrebbero essere tenuti in forte considerazione al momento di definire una
strategia di soluzione per le problematiche professionali individuate: la stessa definizione all‟interno
di un quadro europeo delle qualifiche potrebbe parimenti permettere tanto la mobilità sul territorio
dell'Unione quanto la crescita professionale attraverso il riconoscimento di crediti ed esperienze, in
modo da evitare l'obsolescenza del patrimonio di competenze dei lavoratori ed una loro
penalizzazione in termini di spendibilità sul mercato del lavoro. Questo processo si incardina,
inoltre, fortemente nell‟esigenza di utilizzare “dispositivi” di realizzazione di politiche di
integrazione degli immigrati.
4. Considerazioni alla luce della recente approvazione del Documento della Conferenza
delle Regioni
Operata tale sintesi delle principali questioni registrate nel percorso di definizione istituzionale
della figura del mediatore culturale, si vuole dare un segnale di impegni assunti dai principali
soggetti che operano sul fronte dei processi di accoglienza. L‟emblematicità di quanto selezionato
all‟attenzione nasce dalla considerazione che ci sono alcuni snodi cruciali nei profili della relazione
tra domanda e offerta che riguardano l‟inserimento della figura del mediatore culturale, un ruolo
ritenuto strategico nell‟implementazione dei progetti di integrazione. I dati messi a disposizione da
ricerche nazionali hanno mosso le prime considerazioni sul fatto che tali esperienze di mediazione
culturale si siano sviluppate all‟interno di percorsi, esigenze, ambiti e servizi differenziati.
In seguito ad un‟indagine condotta dal Creifos (Centro di ricerca sull‟Educazione Interculturale e
sulla Formazione allo Sviluppo) negli anni 2002 – 2004, su „Mediazione e mediatori in Italia‟, è
emerso come i mediatori culturali in Italia in quegli anni erano circa 2.200 - 2.400. I risultati
dell‟indagine, prendendo come campione 249 mediatori, hanno messo in evidenza come i mediatori
culturali appartengono prevalentemente al mondo femminile (74%). Il 92% ha esperienze pregresse
nel settore dei servizi, soprattutto in ambito educativo (41%). Il titolo di studio è medio alto, il 42%
12
ha un titolo di istruzione universitaria. La figura del mediatore è presente prevalentemente in ambito
educativo (49% dei casi) e sanitario (dove sono attivi il 45% dei mediatori intervistati), mentre nei
servizi sociali sono il 40%. Il 44% degli intervistati ha affermato che l‟opportunità di lavorare come
mediatore culturale è data dall‟aver frequentato un corso di formazione. I mediatori che hanno
frequentato un corso di formazione per mediatori hanno trovato di grande utilità gli ambiti
disciplinari psicologico – relazionale (46% dei casi), linguistico – comunicativo (40% dei casi) e
giuridico – normativo (39% dei casi). Il 60% dei casi ha trovato molto utile il tirocinio sul campo, il
42% la teoria, il 39% gli incontri con altri mediatori26.
Da un‟indagine commissionata dal Ministero del Welfare e svolta dal Cisp (Comitato internazionale
per lo sviluppo dei popoli) nel 2003, è emerso, anche in questo caso, come la figura del mediatore
culturale è prevalentemente femminile (68,4%). Del totale complessivo la nazionalità italiana è
rappresentata dal 14,9%, a cui seguono Albania, Marocco, Cina e Romania. Il 77% dei mediatori
ha frequentato un corso di formazione per mediatore. Il 44,65% dei mediatori culturali possiede una
laurea e/o il dottorato, solo il 6,3% non ha titoli o solo la licenza media27. Sempre da tale indagine
risulta che è il Terzo Settore (57%) ad attivare servizi di mediazione culturale in Italia, soprattutto al
Centro-Nord sono state censite oltre 700 esperienze28.
Un ulteriore elemento quantitativo, pertinente alla disamina proposta, è quello fornito dagli
strumenti di programmazione sociale locale. Anche all‟interno dei piani di zona, infatti, una nota di
rilievo viene fatta rispetto alle politiche per l‟integrazione degli immigrati. Dall‟indagine Isfol Upi29 emerge che per il 75,5% dei casi vi è la necessità di un‟analisi dei bisogni per l‟area
immigrati; nel 55,3% dei casi vi sono servizi erogati per immigrati, e nel 43% nuovi accordi
territoriali per la gestione dei servizi agli immigrati. Tale contesto di programmazione si è rilevato
come dispositivo di governance per la promozione e la valorizzazione della figura del mediatore
culturale nelle progettualità di inclusione sociale.
Nell‟analisi della governance di sistema, si registrano inoltre profili della regolazione tesi
all‟istituzione ed alla promozione di infrastrutture sociali dedicate. Un dato da tenere in particolare
attenzione nei processi di policy riguarda il ruolo svolto dalle associazioni di e per gli immigrati
quali “organizzazioni di riferimento per soddisfare un fabbisogno di integrazione30”. Questo dato,
che va letto anche in riferimento al crescente fenomeno di sviluppo nell‟ambito del Terzo settore
dell‟associazionismo di e per gli immigrati nel nostro Paese31. Un ruolo molto importante è assunto
da tali associazioni, in quanto organismi impegnati sul fronte del “mantenimento” dell‟identità
culturale di origine degli immigrati ed al tempo stesso a mettere in luce il contributo che questi
soggetti, nel processo di cambiamento in atto, riescono ad apportare a livello territoriale.
Da segnalare il passo realizzato nella definizione di uno standard professionale del profilo dalla
Conferenza delle Regioni e Province autonome, attraverso l‟utilizzo del modello ISCO-88
International Standard Classification of Occupations, tale dapermettere di ancorare la delineazioni
degli ambiti di competenza in un quadro di riconoscimento della qualifica su base internazionale.
La definizione di percorsi e di repertori di competenze per la trasparenza delle qualifiche è un
processo necessario anche ai fini della costruzione di un quadro comune delle qualifiche, come
evidenziato, prevista da un importante processo europeo in corso. Profili tecnici si richiamano in
particolar modo al sistema dei crediti formativi, quale sistema per ottemperare alla questione delle
26
Gli aspetti metodologici – didattici considerati dagli intervistati più importanti in un percorso di formazione specifico sulla
mediazione sono: i lavori di gruppo (98%), poi le lezioni frontali (90%) e per ultimo le attività di autoapprendimento (81%).
27
Fonte: http://www.edscuola.org/archivio/handicap/mediazione_culturale.htm
28
Dati pubblicizzati da Redattore sociale, agenzia quotidiana di informazione, 12/3/2009.
29
Monitoraggio dei Piani di Zona, Rapporto Isfol-UPI 2007.
30
Il dato è presente nel contributo di Gregori, C.Ranieri, “Il territorio come risorsa” in AAVV “Integrazione dei migranti ed accesso
ai servizi” Quaderni Mipa-Istat, in corso di pubblicazione: si tratta di valutazioni più specifiche sul livello di affidabilità delle
organizzazioni territoriali preposte a favorire l‟integrazione dei cittadini stranieri in Italia acquisite individuando il tipo di strutture
cui si rivolgerebbero gli immigrati in caso di necessità.
31
Dati pubblicati da Renato Frisanco, Settore Studi e Ricerche FEO – Fivol, Fondazione Europa Occupazione e Solidarietà, in
Servizi Sociali oggi 5/2008.
13
equipollenze e dell‟accesso ai profili. Vanno richiamati inoltre, ad un mondo del lavoro che ha
subito continui cambiamenti, il sistema di welfare deve essere in grado di comprendere le nuove
esigenze e definirsi in termini più adeguati ed innovativi: in tale quadro l‟approvazione del recente
Documento pone parimenti attenzione ai livelli di regolazione delle cosiddette politiche
dell‟immigrazione e quelle dell‟inclusione/integrazione32. Nel differenziarne altresì i soggetti
demandati alle competenze di governante, forse non esaudisce pienamente l‟aspetto di formulazione
di una strategia di corresponsabilizzazione coordinata del processo complessivo.
La disamina delle principali tappe istituzionali, richiamate nel documento, mostra che diversi
passaggi sono stati legati alle esigenze che andavano di volta in volta a svilupparsi, dando vita ad un
quadro generale, che se ha ampi gradi di coerenza interna, ha lasciato aperti alcuni spazi in cui la
ricerca di soluzioni ha dato via a modelli di integrazione e mediazione estremamente diversificati,
finalizzati ai comparti.
E‟ pur vero che nel sistema complessivo di risposta alla domanda di mediazione intervengono
importanti livelli che operano tanto rispetto allo sviluppo di interventi di prossimità verso bisogni
specifici: ad un primo livello, ad es. il cosiddetto “front office” come punto diretto, di contatto e
avvicinamento; ad un altro, la tutela e la rappresentanza in sede istituzionale di comunità di diversa
provenienza. Al tempo stesso, tra i nodi della rete territoriale che accompagnano i soggetti va tenuta
in opportuna considerazione l‟importanza del lavoro svolto da vari soggetti nel facilitare l‟incontro
della popolazione migrante con le strutture di servizio e le opportunità territoriali. La propulsione
alla riorganizzazione dei servizi in funzione dell‟accesso universalistico all‟assistenza inoltre
sottolinea quanto sia presente uno sforzo nell‟immaginare una diversa strutturazione del sistema
socio-sanitario che facendo leva sulla cultura e sui sistemi di competenza dell‟organizzazione vuole
animare un sistema di accoglienza capace di intercettare bisogni ed esigenze che si vanno
configurando in modo composito e multiculturale. Nel rapporto tra territorio e domanda gli elementi
considerati sono da riferire quindi a policy territoriali, sostenute dalla regolamentazione regionale,
finalizzate a governare il processo di inclusione della popolazione migrante attraverso una
“registrazione” della domanda effettuata a livello locale e conseguente predisposizione dei servizi.
Sembra utile richiamare in chiusura un elemento importante per il successo nella definizione della
figura del mediatore. La filosofia delle politiche di intervento sociale e la strutturazione delle
politiche dei servizi devono avere una coerenza interna, ed è importante considerare come
all‟interno del sistema che ne deriva sia necessario prevedere una differenziazione dei ruoli dei
mediatori, come delle possibilità di sviluppo della figura stessa in termini professionali e di carriera.
Il rischio, altrimenti, è quello di dare vita ad una figura troppo specializzata, oppure una figura
professionale chiusa, che difficilmente potrà avere una attrattiva tanto per il mercato del lavoro o
per gli individui.
32
Cfr. pag.6 Documento cit.
14
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Area Politiche sociali e pari opportunità