Area Politiche sociali e pari opportunità Dirigente Dott. Antonio Scialdone e-mail: [email protected] [email protected] La figura del Mediatore culturale: il processo di definizione istituzionale di Luca Fabrizi, Cristiana Ranieri, Francesca Serra Isfol-Area Politiche sociali e pari opportunità (pubblicato su Formazione Orientamento Professionale n. 4 Luglio-Agosto 2009). 1. Il contesto normativo e la governance del processo Rispetto all‟incremento ed al complessificarsi della presenza di popolazione migrante si è posto da parte dei diversi Stati il problema di individuare delle politiche di integrazione volte alla costruzione di una società multietnica, alla cui base vi sia il dialogo interculturale. Nello specifico, il Parlamento europeo con la decisione 1983/2006/CE ha dichiarato il 2008 Anno europeo del dialogo interculturale. L‟Unione Europea infatti ha sempre sottolineato la ricchezza della diversità presenti negli Stati membri e ha sviluppato varie iniziative attraverso programmi e azioni comunitarie, come Equal, Leonardo da Vinci, Erasmus. Le priorità strategiche promosse nella visione dell‟intercultura sono: il rispetto della diversità culturale in Europa e la realizzazione di una cittadinanza attiva europea aperta al mondo e basata su valori comuni nell‟Unione; l‟inclusione della rinnovata strategia di Lisbona per la quale l‟economia basata sulla conoscenza richiede persone capaci di adattarsi ai cambiamenti e di beneficiare delle possibili fonti di innovazione per sviluppare prosperità; la solidarietà, la giustizia sociale e la maggiore coesione nel rispetto di valori comuni nell‟Unione. Bisogna sottolineare l‟importanza che la UE attribuisce non solo alle politiche di integrazione ma anche ai fondi comunitari volti a tale funzione. L‟obiettivo è supportare il potenziamento delle capacità degli Stati membri di elaborare, attuare, monitorare e valutare in generale tutte le strategie di integrazione, le politiche e le misure aventi ad oggetto i cittadini di Paesi terzi, lo scambio di informazioni e buone prassi e la cooperazione. Un ruolo fondamentale, in questo processo, viene svolto dalla mediazione culturale, al fine di governare l‟immigrazione verso criteri positivi di accoglienza ed integrazione. La consistenza della presenza straniera nel nostro Paese viene stimata in modo diverso dalle fonti fin qui disponibili, ma si stima da più parti che proprio di recente ci si sia avvicinati alla soglia dei quattro milioni di persone. L‟importanza della predisposizione di un sistema informativo efficiente riguarda anche la possibilità di disporre di indicatori capaci di cogliere la condizione della popolazione immigrata nelle diverse sfere della vita sociale, in grado di evidenziare le dimensioni 1 maggiormente problematiche ai fini di una precisazione delle misure atte a realizzare una loro integrazione1. Molte realtà territoriali (amministrazioni pubbliche e società civile) si sono mosse già nei primi anni ‟90 con obiettivi analoghi. L‟impegno prioritario assunto riguarda l‟inclusione e la lotta alla discriminazione attraverso la previsione di azioni che garantiscano non solo l‟erogazione dei servizi minimi ed essenziali, ma anche una piena cittadinanza sociale. Costante è la previsione della necessità di adeguare l‟amministrazione alle esigenze della popolazione immigrata, attraverso misure di carattere organizzativo – creazione di sportelli per l‟integrazione sociosanitaria degli immigrati, formazione per gli operatori dei servizi destinati agli immigrati, etc. – ed il ricorso alla mediazione culturale. Affrontare il tema della mediazione culturale è un'operazione complessa che sollecita molteplici riflessioni. La prima, più generale, è di natura politica e riguarda la condizione di vita e le disparità sociali. La seconda affronta l'interrogativo sociale di come far coesistere universalità ed esigibilità dei diritti con istanze particolaristiche collegata al rapporto con diversi profili di categorie di rischio di emarginazione e svantaggio. Negli aspetti legati alla contrattualità e regolazione del sistema, si passa dalla concezione del fenomeno migratorio come problema pubblico da gestire tamponando l‟emergenza, a quella di un fenomeno di lungo periodo, che va affrontato e pensato nella sua complessità, il tema delle relazioni (etniche) diventa centrale. Questo il quadro entro il quale contestualizzare l'identificazione del ruolo del mediatore culturale: ad un primo livello l‟obiettivo della mediazione tra cittadini immigrati e società locale, è il sostegno e l‟accompagnamento delle parti nella rimozione delle barriere culturali linguistiche, nella promozione sul territorio della cultura di accoglienza e dell'integrazione socio-economica, nella conoscenza e nella pratica dei diritti e dei doveri vigenti in Italia in particolare nell'accesso e nella fruizione dei servizi pubblici e privati2. Ad un secondo livello, la mediazione culturale va, inoltre, considerata come dimensione costante delle politiche di integrazione sociale, sia per l‟accesso degli stranieri all‟esercizio dei diritti fondamentali sia per la trasformazione della nostra società, con l‟incontro di culture diverse che si mescolano e si modificano reciprocamente. La Legge 6 marzo 1998, n. 40 pone un riferimento specifico al mediatore culturale, che viene per la prima volta richiamato nell‟art. 42, comma 1, lettera D. Anticipando le considerazioni sviluppate nel presente contributo, tale riferimento rappresenta forse la propulsione ad operare una cerniera tra le cosiddette politiche dell‟immigrazione e politiche dell‟integrazione. Il profilo del mediatore culturale si inserisce nel dibattito sul cambiamento degli scenari di welfare, interessato dalla riformulazione di bisogni, setting e modelli operativi. Questi stessi si innestano nel contesto del confronto della regolazione tra livelli centrali e livelli locali sul tema dell‟immigrazione e sui dispositivi che si propongono di regolamentare l‟ingresso, l‟uscita e la permanenza e la serena convivenza sul territorio italiano. Ma proprio per la complessità del fenomeno, delle sue relazioni con le politiche dell‟occupazione, dell‟inclusione, del contrasto alla povertà, dello sviluppo sociale, la mediazione si presenta come una funzione che agisce a più livelli, in più contesti e con interlocutori sempre diversi. Necessaria l‟integrazione e la coordinazione tra politiche nazionali e politiche locali, in modo da razionalizzare e potenziare l‟efficacia delle azioni, in particolare attraverso un processo di coordinamento tra quanto è già esistente, per evitare di replicare processi e livelli già in atto. 1 Golini, A., Strozza, S., Amato, F. (2001), Un sistema di indicatori di integrazione: primo tentativo di costruzione, in Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, Zincone G. (a cura di), Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia, Bologna, Il Mulino 2008. 2 Un interessante contributo che esamina questa apertura è quello di C. Husband, University of Bradford: Social work in an ethnically diverse Europe: the shifting challenger of difference .www.socwork.net Social Work & Society, 2007. In esso si richiama la pressione esercitata dal fenomeno migratorio nella realizzazione di principi universalistici ed inclusivi. 2 Attraverso disposizioni legislative dei sistemi regionali3 si sono rilevate definizioni del profilo professionale e formativo del mediatore nonché le esigenze di individuare lo standard minimo di durata dei corsi di formazione per l‟acquisizione della qualifica e per i corsi di specializzazione per rispondere alla richiesta, proveniente dal territorio, di operatori adeguatamente qualificati per lo sviluppo delle prestazioni erogate. Diverse regioni hanno infatti caratterizzato la figura del mediatore tramite una qualifica professionale o specifici albi, adottando come figura privilegiata un mediatore di origine straniera, oppure aprendo la professione ad un ventaglio più ampio di opzioni. A queste si uniscono figure professionali che vengono da una preparazione universitaria o post universitaria, in possesso di competenze linguistiche e gestionali diverse, che sembrano adatte a presidiare processi più complessi. In tale scenario le progettualità territoriali presentano una forte etereogeneità. Non è un caso probabilmente che a questo corrisponda un ampio spettro di figure di mediatore culturale, che si differenziano per il livello di preparazione e di qualificazione raggiunto. I percorsi che preparano alla funzione e figura professionale del mediatore sono molto eterogenei rispetto a: ente promotore; approvvigionamento finanziario; destinatari a specifiche di riserva di accesso; durata e metodologia didattica; settore di ambito operativo; specifiche sui profili di beneficiari del servizio; titolo rilasciato. Alcune specifiche: i corsi di formazione promossi da privati sono, generalmente, a pagamento, e possono essere a titolo gratuito solo qualora siano previsti finanziamenti da parte delle Regioni, dei Comuni, delle Province o della Comunità Europea. Per la partecipazione ad alcuni corsi, finanziati da organismi pubblici, sono, a volte, previsti dei vouchers formativi per i frequentatori del corso specifico. I corsi promossi da Università (Corsi di Laurea o Master) sono a pagamento. Per quanto riguarda la durata dei corsi ciò deriva dalla tipologia del corso e dal tipo di titolo rilasciato, i corsi possono richiedere dalle 160 alle 1600 ore di frequenza; i Corsi di Laurea hanno, in linee generali, la durata triennale, mentre i Master la durata annuale. La programmazione dei corsi di formazione, dei corsi di Laurea e dei Master è diffusa su tutto il territorio nazionale. I percorsi formativi sono per lo più certificati da un‟attestazione di frequenza, siano essi brevi o master. Alcune tipologie di corso sono rivolte a disoccupati a medio e lungo termine o ad inoccupati. Questo lascia spazio alla considerazione che progetti formativi legati a tali figure rientrino anche in specifiche misure per l‟inserimento occupazionale. La creazione di condizioni utili per ufficializzare una figura professionale largamente utilizzata in Europa ed esistente in Italia “solo” di fatto, può estrinsecarsi partendo quindi dalla formazione (definizione dei requisiti per l‟accesso, standard minimi, qualifica professionale, certificazione delle competenze, curricula) per pervenire alla definizione del profilo riguardo i compiti principali, le conoscenze di base e professionalizzanti indispensabili all‟esercizio della professione (non è da escludere la possibile delineazione di profili apicali). Il riconoscimento del profilo professionale e formativo del mediatore quale figura-cardine dell‟integrazione e dell‟acquisizione della cittadinanza nell‟esercizio di una funzione strategica per una politica organica in materia di immigrazione deve fare i conti anche con il disatteso assolvimento dell‟art. 12 della 328/00 che in virtù delle modifiche intervenute con la riforma del 3 Per citarne alcune: la recente DG 321/2008 della Regione Lazio; la giunta Regionale Abruzzese con la delibera 1386/P 2006; l‟Emilia Romagna con la delibera della Giunta Regionale n. 1576/2004. 3 titolo V della Costituzione, richiede quindi osservanza per le implicazioni di competenza concorrente dei profili istituzionali. Il sistema delle professioni sociali (art. 12/328) stesso sta attraversando una fase di riassestamento, in cui vengono definite nuove identità e nuovi profili operativi, nuovi riparti di competenze nella governance del sistema: l‟innesto con il comparto del lavoro sociale in tal senso richiama una ulteriore riflessione sulla figura del mediatore che non sembra poter prescindere da una individuazione della filiera dei profili operativi e di comunità in cui va ad inserirsi. A tali livelli di governance delle competenze si osserva anche l‟elaborazione nel corso del 2009 di un documento di proposta congiunta delle Regioni e delle Province Autonome, portato a recente approvazione4, ed un richiamo quindi alle sedi istituzionali della Conferenza Stato–Regione. 2. Il lavoro in corso nei tavoli istituzionali Gli sforzi per proporre azioni di governance finalizzate a costruire un quadro unico della mediazione fino ad ora messe in campo non hanno sempre avuto l‟impatto sperato: questo probabilmente perché tali azioni non sono state sempre in grado di inquadrare il fenomeno nella sua complessità. Si sono sviluppate azioni orientate alla necessità di regolamentare aspetti specifici del fenomeno stesso. Tra le esperienze in atto a livello istituzionale si propone all‟attenzione l‟insediamento di un gruppo di lavoro, promosso presso il Ministero dell‟Interno - Dipartimento per le libertà civili e l‟immigrazione, in seno alla programmazione del Fondo Europeo per l’integrazione dei cittadini dei paesi terzi per il periodo 2007-2013. La rappresentanza istituzionale vede presenti: UNAR, Dipartimento Pari opportunità della Presidenza del Consiglio Dipartimento Affari Regionali della Presidenza del Consiglio Ministero del Lavoro, della salute e delle Politiche sociali Ministero Giustizia Ministero Istruzione ANCI (SPRAR) Regione Lazio Rappresentante per l‟immigrazione delle Regioni UPI (Provincia di Parma) ISFOL-Area Politiche sociali e Pari opportunità Nel tavolo Interministeriale si diramano esigenze poste tanto nelle esperienze in atto quanto su un processo di omogeneizzazione della qualità dei servizi, con differenziazione di percorsi e standard di professionalità. Ed in tale sede si richiamano atti quali Circolari di Servizio e Linee guida, che evidenziano le tappe di un percorso intrapreso da qualche tempo. Si cita a scopo esemplificativo la redazione di Linee di indirizzo del Ministero dell‟Istruzione (il quale comparto è fortemente sollecitato sin dalla prima stesura del T.U.) organizzate su 4 ambiti di utilizzo della mediazione5: finalizzato agli alunni; finalizzato agli insegnanti (e, ad es., nel rapporto con le famiglie); finalizzato alle famiglie; qualificato in didattica interculturale. Si precisa inoltre lo sviluppo di qualificazione negli insegnanti in L2. Sulle azioni in corso vengono segnalati di forte pertinenza da parte della DG Immigrazione del Ministero del Lavoro gli esiti di un‟attività condotta su interviste ad operatori sociali e mediatori culturali6. Un punto di osservazione privilegiato è quindi legato ai contesti in cui si svolge la mediazione. Emerge come la mediazione culturale si esprime in numerosi contesti: giustizia, istruzione, sanità, sicurezza, tanto per citare quelli più importanti. La rappresentazione convergente vede la 4 CONFERENZA DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME 09/030/CR/C9 “Riconoscimento della figura professionale del Mediatore interculturale”, Aprile 2009. 5 MIUR, Dipartimento Istruzione, Ufficio per l‟integrazione degli alunni stranieri, Linee guida per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni stranieri (Febbraio 2006). 6 Curata dal Cnel- Formez e dalla Fondazione Irso, www.lavoro.gov.it 4 mediazione come una attività che interessa (ed è svolta principalmente all‟interno di) strutture pubbliche deputate all‟erogazione di servizi; da questo deriva l‟esigenza dell‟individuazione di un minimo comune denominatore oltrechè di una specificità degli ambiti7. In merito alla promozione istituzionale del ruolo del mediatore esistono al tempo stesso direttrici europee8 e nazionali che convergono sulla necessità di favorirla lungo due linee: diffondere informazioni utili al positivo inserimento degli stranieri nella società italiana in particolare riguardante i loro diritti e i loro doveri, le diverse opportunità di integrazione e crescita personale; promuovere conoscenza e valorizzazione delle espressioni culturali, ricreative, sociali, economiche e religiose degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia e ogni iniziativa tesa alla prevenzione dei fenomeni di discriminazione razziale o della xenofobia. Quest‟ultimo riferimento alle finalità che invitano alla promozione, ricolloca fortemente l‟esercizio delle funzioni della mediazione al servizio di politiche di coesione sociale promosse nelle intenzioni delle normative di indirizzo europeo e nazionale. Esemplificando gli snodi da affrontare: 1. Formulazione di indirizzi comuni per la valorizzazione della mediazione culturale, in un quadro di confronto con le politiche EU. 2. Esigenze della P.A: ogni Amministrazione deve considerarsi come punto di referenza nel collegamento con i cittadini stranieri. La questione dell‟interesse pubblico per il mediatore culturale comporta una definizione degli ambiti e delle modalità di impiego della mediazione culturale. 3. Profili della Domanda: ricollocare l‟analisi del bisogno a partire dal progetto migratorio alla cittadinanza sociale, collegandoli al ciclo di vita e status sociale, anche mediante il rapporto con le organizzazioni di tutela, promozione e rappresentanza. 7 Si sta lavorando in tal senso per la predisposizione di un documento da proporre agli organi competenti in sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri. 8 Emblematiche, ad es., le declarazioni delle linee strategiche di integrazione contenute nella Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, del 10 maggio 2005, "Il programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anni. Partenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia, e nella DECISIONE N. 1983/2006/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 18 dicembre 2006 relativa all'anno europeo del dialogo interculturale (2008). 5 Le piste individuate9 Registrare le visioni e le definizioni operative indirizzi ed esperienze europee indirizzi ed esperienze nazionali indirizzi ed esperienze regionali indirizzi ed esperienze locali e dell‟associazionismo Contestualizzare le funzioni nelle aree dell’integrazione scuola e formazione sistema di giustizia sanità/servizi sociale/servizi lavoro reti/partecipazione Evidenziare i processi di Analizzare e mettere a punto la avvio delle funzioni strategia di promozione nella ed i dispositivi di governance del sistema regolazione ruolo e sistema organizzativo relazione con i profili di regolazione del fenomeno migratorio La governance di questo processo potrebbe posizionare l‟azione su tre livelli: 1. precisare la strategia e gli istituti di regolazione (anche coadiuvando tale opzioni attraverso la metodologia A.I.R.10): 2. sistematizzare alcuni elementi chiave in riferimento a: profili professionali, tanto apicali quanto operativi/opzione profilo unico o banda larga; competenze richieste ai diversi profili; contesti operativi per le figure professionali; sistemi di accreditamento processi; 3. rendere visibile l‟azione istituzionale quale leva di Azione di Sistema e di promozione La mediazione culturale si propone come una funzione trasversale, caratterizzata da una forte complessità. Sono stati evidenziati alcuni aspetti legati alla legislazione, ai campi di intervento, alla definizione della figura. Uno dei problemi principali con cui si è scontrata la definizione della funzione della mediazione culturale, e quindi la definizione di politiche di governance relative, è probabilmente da rintracciare proprio nella differenziazione e nell‟articolazione dei campi di azione dei mediatori culturali (e dall‟articolazione tanto della domanda quanto dell‟offerta). La proposta di sintesi offerta ripercorre, almeno in parte, l‟ampiezza del fenomeno, mantenendo il focus sulle proposte istituzionali di regolazione della funzione della mediazione culturale come affluente dei disegni delle strategie inclusive. In tali opzioni forte emerge la necessità di operare anche secondo approcci processuali al fenomeno dell‟immigrazione (con relativi affinamenti della lettura della domanda) riguardo: l‟emergenza, la I e la II accoglienza; il dialogo culturale. L‟esplicitazione della domanda istituzionale circa la mediazione culturale e l‟operazionalizzazione dei contenuti confluisce nel confronto sulla redazione di un documento di sintesi atto a sistematizzare gli incontri intercorsi, le prospettive in esito e le proposte di governance da 9 Estratto dal documento predisposto dall‟Area Politiche sociali e pari opportunità dell‟ISFOL per la partecipazione al primo incontro del GDL_Viminale sulla figura del Mediatore Culturale. 10 L‟Analisi di Impatto della Regolazione ha una comprovata efficacia per definire gli esiti e le implicazioni delle policy da adottare in ambito istituzionale. Tale metodologia è auspicata dalla Commissione Europea per l‟implementazione delle riforme, nonchè configurato dalla letteratura comunitaria della better regulation dall‟OCSE, 2007. 6 intraprendere, fondamentalmente sulle opzioni da esercitare verso: i contenuti da partecipare dalle Amministrazioni Centrali; la qualità del documento da presentare alla Presidenza del Consiglio ed in sede di Conferenza Stato-Regioni. Il processo di identificazione dei profili e delle declinazioni operative della mediazione culturale mostra una elevata complessità e differenziazione nelle soluzioni e nelle modalità di attuazione (anche in virtù dell‟adeguatezza rispetto ad una domanda diversificata), relativamente alle quali le Amministrazioni centrali auspicano interventi finalizzati alla costruzione di una strategia comune. In tal senso si registra una forte confluenza delle intenzioni emerse nell‟ambito dell‟ONC 11 che in seno al CNEL ha dedicato uno specifico gruppo di lavoro al tema della “figura del mediatore culturale” nell‟ambito del più ampio interesse verso le politiche dell‟integrazione degli immigrati. Riguardo alla questione della differenziazione nelle soluzioni e delle modalità di attuazione della mediazione culturale, in sede di audizione Isfol c/o il CNEL è stato presentato in data 8 Aprile 2009uno scenario delle esperienze intraprese orientato principalmente entro tre filoni12: quello della infrastrutturazione sociale e di riqualificazione dei servizi (organizzazioni di intermediazione e servizi dedicati a popolazione di utenza immigrata); quello della riqualificazione dei sistemi di competenze (al tempo stesso si registrano tali propulsioni nel sistema ECM così come nella riorganizzazione delle relazioni interprofessionali nelle funzioni di servizio); quello più specifico del ruolo della mediazione culturale. Su quest‟ultimo versante, l'identificazione del ruolo del mediatore culturale si viene a delineare su due livelli: nel primo, intercetta fortemente quei paradigmi di integrazione che si esprimono negli interventi di welfare, e si colloca all‟interno delle policy di sostegno e accompagnamento delle parti (attori, soggetti e relative organizzazioni delle diverse culture) nella rimozione delle barriere culturali e linguistiche, nella promozione sul territorio della cultura di accoglienza e dell'integrazione socioeconomica, nella conoscenza e nella pratica dei diritti e dei doveri vigenti in Italia, ed in particolare nell'accesso e nella fruizione dei servizi pubblici e privati; nel secondo, si esprime l‟impegno in processi di standardizzazione dei profili con diretta relazione al sistema formativo ed occupazionale. L‟incontro al CNEL, avente come scopo quello di integrare ed aggiornare un „documento‟, elaborato nel 2000 dal Gruppo di lavoro sulla „Formazione e impegno dei mediatori culturali‟ 13, che si presenta come proposta di definizione istituzionale della figura professionale della mediazione culturale e di promozione degli ambiti di impiego. Il „documento‟, preso a riferimento dalle Amministrazioni regionali in numerose occasioni, è nato in un contesto totalmente diverso da quello attuale (per sistema di competenze e di fenomeni registrati): per questo si pone l‟obiettivo di aggiornarlo alla luce di nuove esperienze in atto. Il CNEL si è dato come compito quello di attualizzarlo, arricchirlo e di riproporlo ai Ministeri, alle Regioni, alle Parti Sociali, e, a tal proposito, oltre alle Amministrazioni interessate ha incontrato anche ONG, Università e stakeholder. Il documento consta di tre parti fondamentali: a partire da aspetti dei modelli di integrazione, affronta il tema della mediazione culturale per poi analizzare e proporre la figura e la funzione del mediatore culturale. Il mediatore, in definitiva, aiuta il cittadino straniero ad inserirsi nella società italiana, favorendo la conoscenza dei diritti e dei doveri, l‟uso dei servizi sociali, 11 Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri. Cfr. Audizione al CNEL, Aprile 2009, documento ISFOL in www.isfol.it . 13 Presentato in occasione degli “Stati Generali sull‟Immigrazione”, Vicenza, 2001. 12 7 sanitari, educativi, culturali ecc., sia pubblici che privati, dislocati sul territorio, nell‟intento di consentire un accesso e una fruibilità dei servizi a pari condizioni; facilita l‟incontro tra persone diverse attraverso la funzione di mediazione linguistico – culturale che si esprime nella capacità di decodificare i codici dei due attori della relazione (migrante ed operatore), codici che sottostanno il linguaggio ovvero l‟intero mondo di sensazioni, esperienze e valori; aiuta il cittadino straniero a leggere e comprendere la cultura italiana anche alla luce delle culture di appartenenza e delle reciproche aree di pregiudizio; promuove e valorizza il ruolo degli stranieri come risorsa ed opportunità nel tessuto socio economico14. Il rischio evocato di difformità tra funzione o definizione ha rinforzato ancor più la necessità di sistematizzare alcuni elementi chiave in riferimento a: profili professionali, tanto apicali quanto operativi/ opzione profilo unico o banda larga; competenze richieste ai diversi profili; contesti operativi per le figure professionali; sistemi di accreditamento dei processi. Tale problema fa convergere al tempo stesso le iniziative adottate a livello centrale verso la promozione di: un intensa collaborazione interistituzionale; un‟attività di audit di vari soggetti presenti sul territorio rispetto all´analisi dei bisogni e delle difficoltà dei cittadini stranieri; di un documento di proposta che coniughi l‟utilizzo della figura del mediatore culturale con le politiche di integrazione degli immigrati. 3. Le questioni della qualificazione al ruolo In ogni luogo ci sono mediazioni, connessioni e competenze specifiche collegate a bisogni e tipologie di svantaggio e aspetti della vita della persona immigrata. Sono passati anni dalla messa in opera della figura del mediatore culturale, sia sul versante delle sperimentazioni sul campo che sulla proposta di corsi di formazione, corsi che erano indirizzati alla formazione di un profilo professionale sulla base delle esperienze di altri paesi europei, ed anche sulla scia del dibattito confluito ed alimentato a livello di istituzioni centrali di governo nazionale. Il nostro panorama presenta, complessivamente, figure molto eterogenee di mediatore culturale, che si differenziano generalmente in base ad almeno tre fattori: Provenienza dei partecipanti. Alcuni percorsi sono rivolti a “stranieri”, i quali mettono a servizio della loro comunità una competenza linguistica e culturale avanzata, ed una esperienza di integrazione. Modalità formative. Esistono numerosi “provider” di formazione: regioni, università, privati, privato sociale ed enti locali. Questi propongono percorsi formativi diversi per numero di ore (dalle 200 alle 1200, fino al corso universitario), per esiti in termini di certificazione (nessuna validità, validità legata alla singola regione, validità nazionale o europea) e per curricula. Finalità. Alcuni percorsi sono finalizzati alla mediazione nelle scuole, altri negli ospedali e nelle carceri, altri percorsi formativi sono invece rivolti alla governance del sistema o del fenomeno dell‟integrazione. Riguardo al ruolo, molteplici e variegati sono anche gli ambiti sociali in cui il mediatore culturale si trova ad operare. Questi si possono distinguere in istituzioni sanitarie e dei servizi sociali come 14 CNEL “Politiche per la mediazione culturale. Formazione ed impiego dei mediatori culturali”, Documento di Lavoro GDL 2000, presentato in occasione degli stati generali sull‟immigrazione, Vicenza 2001. 8 ospedali, consultori, Asl, servizi di informazione socio – sanitaria; istituzioni educative come scuole o associazioni per stranieri; istituzioni giudiziarie e di pubblica sicurezza come carceri, tribunali, commissariati, centri di prima accoglienza o di accoglienza temporanea; istituzioni pubbliche amministrative come comuni, province, prefetture, anagrafi, uffici di relazione con il pubblico, centri per l‟impiego, uffici speciali per l‟immigrazione; ambiti culturali come musei; ambiti produttivi – lavorativi come aziende. Per ogni contesto sociale in cui il mediatore si trova ad operare si possono evidenziare diverse finalità legate alle tipologie di mediazione15. Nonostante non vi sia ancora un riconoscimento formale della figura professionale del mediatore, si possono delineare alcune delle principali competenze (trasversali) e funzioni che il mediatore dovrebbe possedere. Prime tra tutte le competenze comunicative, che comprendono la conoscenza delle dinamiche comunicative e la conoscenza di due o più lingue, tra queste sicuramente l‟italiano; le competenze relazionali, che consistono nella capacità di utilizzare tecniche relazionali adatte ad un rapporto di tipo interculturale e nel riuscire a facilitare il dialogo tra i partecipanti all‟interazione; le competenze giuridico–normative; il mediatore dovrebbe essere a conoscenza delle norme giuridiche, prime fra tutte quelle che riguardano l‟immigrazione e quelle relative al proprio ambito di intervento. Il mediatore dovrebbe essere preparato ed informato rispetto ai servizi e alle opportunità presenti sul territorio ed infine dovrebbe saper prevenire e gestire i conflitti favorendo le condizioni per l‟integrazione sociale e facilitando le pari opportunità nel godimento dei diritti. Si registrano approcci16 che collocano le funzioni principali del mediatore nel concetto di advocacy e di empowerment. Il mediatore che attua la funzione di advocacy accetta la richiesta dell‟utente di rappresentarlo di fronte ad un operatore del servizio. Con la funzione di empowerment il mediatore ha il dovere di dare voce anche all‟operatore spiegando il funzionamento del servizio. All‟interno delle funzioni di advocacy e di empowerment si configurano inoltre le funzioni di accoglienza, orientamento, informazione, sostegno, accompagnamento e consulenza su aspetti legati all‟appartenenza culturale dell‟utente straniero che si avvicina ad un servizio pubblico o privato. Fondamentalmente sono evidenti tre livelli di mediazione culturale17: il primo è quello pratico– orientativo, che consiste nel tradurre l‟informazione e rendere il servizio più accessibile all‟immigrato; il secondo è di tipo linguistico–comunicativo, il mediatore svolge un ruolo di facilitatore di comunicazione, traduzione e interpretariato ed è gestore di fraintendimenti e malintesi; il terzo è quello di tipo psico–sociale e riguarda la possibilità per il mediatore di partecipare al cambiamento sociale tramite la riorganizzazione del servizio. E‟ nel richiamo alle funzioni fortemente pragmatiche del lavoro sociale che un accento va posto anche alla centralità della formazione on the job e delle competenze informali e non formali. Nonostante aumenti progressivamente la richiesta di mediatori culturali nei servizi pubblici come facilitatori delle relazioni tra le istituzioni e le comunità minoritarie ed immigrate, ad oggi non è ancora esistente un‟analisi dettagliata sui bisogni formativi e sui compiti che questi profili dovrebbero svolgere all'interno dei servizi. Un aspetto essenziale nella preparazione e formazione alla figura professionale del mediatore culturale è rappresentato dalla formazione on the job. …“per essere adeguati al nuovo mondo sconosciuto che ci attende, dobbiamo arrivare ad identificare l'apprendimento con la vita”18 dobbiamo imparare da tutto quello che facciamo, dobbiamo vivere ogni esperienza come “esperienza di apprendimento”. E' proprio dall'apprendimento sul campo che il mediatore acquisisce o sviluppa quelle competenze di tipo trasversale che possono essere semplificate nell'abilità di diagnosi, di comunicazione, di decisione, di problem solving, ecc. L'importanza della formazione on the job si può evincere anche dal fatto 15 Cfr. un lavoro emblematico di esplorazione pubblicato nel 2006: Luatti (a cura di) “Atlante della mediazione linguisticoculturale_Nuove mappe per la professione di mediatore” Franco Angeli, Milano. 16 In particolare: Sirna Terranova, C. 1997, Pedagogia interculturale, Angelo Guerini, Milano; Pedagogia interculturale, concetti, problemi, proposte. Cinerini studio, Milano; Fiorucci, M. 2003, Mediazione culturale (La). Strategie per l‟incontro. Armando editore, Roma. 17 De Nigris, E. 1996, Educazione interculturale. Bruno Mondadori, Milano. 18 Knowles M., Quando l'adulto impara. Andragogia e sviluppo della persona, 1997, Franco Angeli, Milano. 9 che tutti i corsi, siano essi regionali, comunali o corsi di laurea, prevedono un tirocinio formativo presso le strutture in cui il mediatore si troverà ad operare. Un elemento meritevole di attenzione nella qualificazione al ruolo di mediatore culturale, è quello quindi dell'acquisizione e del riconoscimento delle competenze informali e non formali. Nel lavoro del mediatore un 'bagaglio culturale' assai importante è quello legato al proprio vissuto personale, alle proprie esperienze di vita, magari da immigrato, in quanto, nella maggior parte dei casi, il mediatore culturale appartiene alla stessa etnia della persona straniera che si avvicina ad un servizio e che necessita di mediazione. Le competenze informali si sviluppano in contesti lontani dalle principali strutture d‟istruzione e di formazione e si possono acquisire sul luogo di lavoro o nel quadro di attività di organizzazioni, gruppi della società civile o anche attraverso organizzazioni o servizi istituiti a complemento dei sistemi formali. Le competenze non formali possono essere acquisite, invece, attraverso situazioni concrete: attività correlate al lavoro quotidiano, alla famiglia o ricreative, in genere le competenze non formali vengono acquisite inconsapevolmente da parte dello stesso interessato. Per quanto attiene il tema della validazione delle competenze, dalle ricerche internazionali degli ultimi dieci anni la ricostruzione e la visibilità delle competenze maturate nei diversi contesti di vita del soggetto sono al centro delle sperimentazioni fondate sul diritto della persona di veder riconosciuto il proprio bagaglio di competenze, e su dovere delle istituzioni di attuare sistemi per il loro sviluppo e per la loro valorizzazione. In tale specifico impegno meritano di essere osservate le esperienze di sperimentazione dei network progettuali europei. In quanto posto all‟attenzione a “Lo sviluppo delle competenze formali, non formali e informali attraverso la rete dei progetti Leonardo”19, si vogliono esemplificativamente richiamare due progetti: il progetto “Building an innovative European system of counselling and certification of skills_ CON.CERT”20, di cui sono stati promotori l‟Università di Roma Tor Vergata ed il CEIS, si è posto come obiettivo generale quello di predisporre un sistema di certificazione delle competenze specificamente orientato verso i saperi acquisiti in modo non formale e informale e con riferimento ad alcuni profili professionali relativi a diversi ambiti di riferimento quali: l‟area tecnologica, l‟area sociale ed economica, la cooperazione allo sviluppo, il marketing e l‟ambito dei media. Le principali questioni affrontate si sono sviluppate dagli approcci sperimentali congiunti e nell‟adozione di riferimenti e standard comuni Europei, centrando il focus sulle metodologie e percorsi di assessment. Tra i prodotti quello dedicato ad un modello di certificazione delle competenze acquisite in maniera informale e non formale, attualmente oggetto di una seconda fase progettuale di trasferimento e adattamento di livello standard. Al suo interno viene presentato il sistema di gestione per la certificazione delle competenze; il progetto “VALID – INFO” _“La validazione dell‟apprendimento formale, non formale ed informale nel settore dell‟inserimento al lavoro di persone svantaggiate e della mediazione culturale”, in corso di realizzazione in nuova programmazione, finalizzato a definire comuni approcci in tema di acquisizione di tali competenze da parte dei lavoratori partendo dalle buone prassi degli stati membri EU21. Tra i risultati concreti si propone una mappatura delle competenze acquisite attraverso l‟apprendimento non formale ed informale nei profili professionali prescelti. 19 cfr. www.programmaleonardo.net ed anche Firenze, Gennaio 2005, Ministero dell‟Istruzione, dell‟Università e della Ricerca, Focus on Competence_Istruzione e cultura, Leonardo Da Vinci, Enrica Flamini (presentazione a cura di) 20 http://www.sistemaconcert.it/ 21 http://www.inforcoop.it/news 10 Un ulteriore rimando merita la propulsione ad attività di sperimentazione data dalla stessa European Commission, DG EAC (Education and Culture)22. Negli ultimi cinque anni tutti i paesi dell'Unione Europea hanno prestato notevole attenzione alle modalità di verifica e di certificazione delle competenze23. L'Unione Europea, già a partire dalla pubblicazione nel 1995 del Libro Bianco “Insegnare ad apprendere”, ha delineato quadri di sviluppo della formazione che assegnano alle pratiche formative non formali e informali pari dignità rispetto ai sistemi formativi consolidati ed invitano gli Stati membri a sostenere sforzi per svilupparle. Un contributo rilevante alla maturazione di questa nuova sensibilità, che non è unicamente formativa ma interessa i sistemi delle politiche del lavoro e dello sviluppo locale, è stato fornito dal diffondersi delle pratiche di validazione degli apprendimenti maturati dalle persone al di fuori dei sistemi di istruzione formali24. Si intende sommariamente far riferimento ad alcune tappe di un percorso intrapreso nell‟ultimo decennio che dà atto degli impegni posti (seppur non sempre esitate in una risoluzione all‟interno del Sistema) in riferimento alla complessità delle questioni precedentemente evocate. Nel nostro Paese si sono sviluppati Atti di indirizzo quali ad es. il Decreto Ministeriale del 31 maggio 2001, Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, al fine di definire con criteri omogenei il patrimonio conoscitivo ed operativo degli individui. Per competenza certificabile ai sensi dell'art. 1, si intende un insieme strutturato di conoscenze e di abilità, di norma riferibili a specifiche figure professionali, acquisibili attraverso percorsi di formazione professionale, e/o esperienze lavorative, e/o autoformazione, valutabili anche come crediti formativi. La certificazione, in definitiva, rappresenta l'insieme delle azioni che attestano una serie di competenze acquisite da un individuo mediante la propria esperienza personale, professionale e formativa, permettendone conseguentemente la spendibilità all'interno del sistema educativo e del mondo del lavoro. La certificazione delle competenze è quindi la base per percorsi formativi lungo l'intero corso della vita, garantendo interventi personalizzati in funzione delle caratteristiche dell'individuo. La certificazione è resa possibile da un sistema di standard formativi, che costituiscono un riferimento certo e condiviso per riconoscere il possesso di competenze in modo univoco e confrontabile. Precedentemente con l'accordo Stato-Regioni sottoscritto il 18 febbraio 2000 era stato definito il “Libretto formativo del cittadino”. Il 13 luglio 2005 lo schema applicativo approvato aveva l'ambizione di rendere il libretto lo strumento chiave per la trasparenza dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita lavorativa. Nel libretto vengono registrate le competenze acquisite durante la formazione in apprendistato e in contratto di inserimento; la formazione e specialistica continua svolta durante l'arco della vita lavorativa presso soggetti accreditati dalle regioni; le competenze acquisite in modo non formale secondo gli indirizzi dell'Unione Europea in materia di apprendimento permanente, purché riconosciute e certificate25. 22 “La validazione dell‟istruzione e della formazione non formali e informali: le iniziative dell‟Unione Europea” Settembre 2006 Martina Nì Cheallaigh (presentazione a cura di). 23 A partire dalla metà degli anni ottanta si sono sviluppate in Gran Bretagna e in Francia forme di certificazione delle competenze professionali acquisite dai lavoratori al di fuori dei percorsi formativi e in possesso di titoli di studio inferiori a quelli sottesi alla loro professionalità. Obiettivo: una mobilità sul lavoro non vincolata ai titoli di studio acquisiti in situazioni solo formali. In Francia si è passati dalla Validation des Acquis Professionnels (VAP) del 1992 alla Validation des Acquis d'Experiences (VAE) del 2001. In Gran Bretagna a partire dal 1986 il NCVQ (National Council for Vocational Qualifications, Consiglio Nazionale per le Qualifiche Professionali) ha varato un quadro di 762 certificazioni che sono in corso di ristrutturazione e accorpamento da parte del QCA (Qualifications and Curriculum Authority, Authority per le Qualificazioni e il Curriculo). La principale differenza fra i due modelli consiste nel loro obiettivo: in Francia è il conseguimento di titoli di studio ufficiali, in Gran Bretagna è prevalente il riconoscimento di moduli parziali, non contenuti strettamente legati al mondo del lavoro e ad esso finalizzati. Inoltre in Francia le certificazioni si fondano sulle competenze conseguite in attività formali, non formali ed informali; in Gran Bretagna il campo è limitato alle competenze esercitate sul luogo di lavoro (www.adiscuola.it/Certistory/Certistory_51_52Adulti.htm). 24 Reggio Piergiorgio, “Validazione degli apprendimenti non formali e informali e formazione esperienziale” in Professionalità n. 99/2008 25 www.adiscuola.it/Certistory/Certistory_51_52Adulti.htm 11 Con la decisione n. 2241/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'Unione Europea viene istituito uno strumento di raccolta personale e coordinata di documenti, denominato Europass, che i cittadini possono utilizzare su base volontaria per meglio comunicare e presentare le proprie qualifiche e competenze in tutta Europa. Una maggiore trasparenza delle qualifiche e delle competenze agevolerà in tutta Europa, la mobilità ai fini dell'apprendimento permanente, contribuendo così allo sviluppo di un' istruzione e una formazione di qualità finalizzata a facilitare inoltre la mobilità tra i vari paesi ed i vari settori nel campo dell'occupazione. Il tema del riconoscimento delle competenze e di crediti formativi, nell'ambito della professione del mediatore culturale apre quindi un‟ulteriore finestra di riflessione. Le questioni legate alla mediazione culturale hanno un interessante quadro di lettura all'interno dei processi avviati in Europa. Semplificando si può dire che all'interno della società è emersa una forte domanda di mediazione culturale. Questa domanda con il tempo si è diversificata e definita in termini di competenze richieste, ponendo alcuni problemi, quali: identificare le persone in possesso di queste caratteristiche, creare dei percorsi di formazione adeguati, definire dei profili lavorativi riconoscibili dal mercato e dagli enti di formazione, progettare dei percorsi di carriera per i mediatori culturali. Alle questioni citate si aggiunge una considerazione: i mediatori culturali sono presenti nel panorama delle professioni sociali da tempo. Le loro competenze sono state, in diversi casi, maturate direttamente sul campo, magari mettendo a frutto esperienze fatte in altri contesti lavorativi o territoriali, adeguando il loro agire professionale alle richieste del ambiente di riferimento. Queste persone sono quindi in possesso di un articolato patrimonio di competenze, richieste dal mercato del lavoro, il problema che si pone è come renderle trasparenti ed utilizzabili per il mercato del lavoro e della formazione. In Europa è in atto un processo finalizzato proprio alla valorizzazione ed al riconoscimento delle competenze. Questi elementi dovrebbero essere tenuti in forte considerazione al momento di definire una strategia di soluzione per le problematiche professionali individuate: la stessa definizione all‟interno di un quadro europeo delle qualifiche potrebbe parimenti permettere tanto la mobilità sul territorio dell'Unione quanto la crescita professionale attraverso il riconoscimento di crediti ed esperienze, in modo da evitare l'obsolescenza del patrimonio di competenze dei lavoratori ed una loro penalizzazione in termini di spendibilità sul mercato del lavoro. Questo processo si incardina, inoltre, fortemente nell‟esigenza di utilizzare “dispositivi” di realizzazione di politiche di integrazione degli immigrati. 4. Considerazioni alla luce della recente approvazione del Documento della Conferenza delle Regioni Operata tale sintesi delle principali questioni registrate nel percorso di definizione istituzionale della figura del mediatore culturale, si vuole dare un segnale di impegni assunti dai principali soggetti che operano sul fronte dei processi di accoglienza. L‟emblematicità di quanto selezionato all‟attenzione nasce dalla considerazione che ci sono alcuni snodi cruciali nei profili della relazione tra domanda e offerta che riguardano l‟inserimento della figura del mediatore culturale, un ruolo ritenuto strategico nell‟implementazione dei progetti di integrazione. I dati messi a disposizione da ricerche nazionali hanno mosso le prime considerazioni sul fatto che tali esperienze di mediazione culturale si siano sviluppate all‟interno di percorsi, esigenze, ambiti e servizi differenziati. In seguito ad un‟indagine condotta dal Creifos (Centro di ricerca sull‟Educazione Interculturale e sulla Formazione allo Sviluppo) negli anni 2002 – 2004, su „Mediazione e mediatori in Italia‟, è emerso come i mediatori culturali in Italia in quegli anni erano circa 2.200 - 2.400. I risultati dell‟indagine, prendendo come campione 249 mediatori, hanno messo in evidenza come i mediatori culturali appartengono prevalentemente al mondo femminile (74%). Il 92% ha esperienze pregresse nel settore dei servizi, soprattutto in ambito educativo (41%). Il titolo di studio è medio alto, il 42% 12 ha un titolo di istruzione universitaria. La figura del mediatore è presente prevalentemente in ambito educativo (49% dei casi) e sanitario (dove sono attivi il 45% dei mediatori intervistati), mentre nei servizi sociali sono il 40%. Il 44% degli intervistati ha affermato che l‟opportunità di lavorare come mediatore culturale è data dall‟aver frequentato un corso di formazione. I mediatori che hanno frequentato un corso di formazione per mediatori hanno trovato di grande utilità gli ambiti disciplinari psicologico – relazionale (46% dei casi), linguistico – comunicativo (40% dei casi) e giuridico – normativo (39% dei casi). Il 60% dei casi ha trovato molto utile il tirocinio sul campo, il 42% la teoria, il 39% gli incontri con altri mediatori26. Da un‟indagine commissionata dal Ministero del Welfare e svolta dal Cisp (Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli) nel 2003, è emerso, anche in questo caso, come la figura del mediatore culturale è prevalentemente femminile (68,4%). Del totale complessivo la nazionalità italiana è rappresentata dal 14,9%, a cui seguono Albania, Marocco, Cina e Romania. Il 77% dei mediatori ha frequentato un corso di formazione per mediatore. Il 44,65% dei mediatori culturali possiede una laurea e/o il dottorato, solo il 6,3% non ha titoli o solo la licenza media27. Sempre da tale indagine risulta che è il Terzo Settore (57%) ad attivare servizi di mediazione culturale in Italia, soprattutto al Centro-Nord sono state censite oltre 700 esperienze28. Un ulteriore elemento quantitativo, pertinente alla disamina proposta, è quello fornito dagli strumenti di programmazione sociale locale. Anche all‟interno dei piani di zona, infatti, una nota di rilievo viene fatta rispetto alle politiche per l‟integrazione degli immigrati. Dall‟indagine Isfol Upi29 emerge che per il 75,5% dei casi vi è la necessità di un‟analisi dei bisogni per l‟area immigrati; nel 55,3% dei casi vi sono servizi erogati per immigrati, e nel 43% nuovi accordi territoriali per la gestione dei servizi agli immigrati. Tale contesto di programmazione si è rilevato come dispositivo di governance per la promozione e la valorizzazione della figura del mediatore culturale nelle progettualità di inclusione sociale. Nell‟analisi della governance di sistema, si registrano inoltre profili della regolazione tesi all‟istituzione ed alla promozione di infrastrutture sociali dedicate. Un dato da tenere in particolare attenzione nei processi di policy riguarda il ruolo svolto dalle associazioni di e per gli immigrati quali “organizzazioni di riferimento per soddisfare un fabbisogno di integrazione30”. Questo dato, che va letto anche in riferimento al crescente fenomeno di sviluppo nell‟ambito del Terzo settore dell‟associazionismo di e per gli immigrati nel nostro Paese31. Un ruolo molto importante è assunto da tali associazioni, in quanto organismi impegnati sul fronte del “mantenimento” dell‟identità culturale di origine degli immigrati ed al tempo stesso a mettere in luce il contributo che questi soggetti, nel processo di cambiamento in atto, riescono ad apportare a livello territoriale. Da segnalare il passo realizzato nella definizione di uno standard professionale del profilo dalla Conferenza delle Regioni e Province autonome, attraverso l‟utilizzo del modello ISCO-88 International Standard Classification of Occupations, tale dapermettere di ancorare la delineazioni degli ambiti di competenza in un quadro di riconoscimento della qualifica su base internazionale. La definizione di percorsi e di repertori di competenze per la trasparenza delle qualifiche è un processo necessario anche ai fini della costruzione di un quadro comune delle qualifiche, come evidenziato, prevista da un importante processo europeo in corso. Profili tecnici si richiamano in particolar modo al sistema dei crediti formativi, quale sistema per ottemperare alla questione delle 26 Gli aspetti metodologici – didattici considerati dagli intervistati più importanti in un percorso di formazione specifico sulla mediazione sono: i lavori di gruppo (98%), poi le lezioni frontali (90%) e per ultimo le attività di autoapprendimento (81%). 27 Fonte: http://www.edscuola.org/archivio/handicap/mediazione_culturale.htm 28 Dati pubblicizzati da Redattore sociale, agenzia quotidiana di informazione, 12/3/2009. 29 Monitoraggio dei Piani di Zona, Rapporto Isfol-UPI 2007. 30 Il dato è presente nel contributo di Gregori, C.Ranieri, “Il territorio come risorsa” in AAVV “Integrazione dei migranti ed accesso ai servizi” Quaderni Mipa-Istat, in corso di pubblicazione: si tratta di valutazioni più specifiche sul livello di affidabilità delle organizzazioni territoriali preposte a favorire l‟integrazione dei cittadini stranieri in Italia acquisite individuando il tipo di strutture cui si rivolgerebbero gli immigrati in caso di necessità. 31 Dati pubblicati da Renato Frisanco, Settore Studi e Ricerche FEO – Fivol, Fondazione Europa Occupazione e Solidarietà, in Servizi Sociali oggi 5/2008. 13 equipollenze e dell‟accesso ai profili. Vanno richiamati inoltre, ad un mondo del lavoro che ha subito continui cambiamenti, il sistema di welfare deve essere in grado di comprendere le nuove esigenze e definirsi in termini più adeguati ed innovativi: in tale quadro l‟approvazione del recente Documento pone parimenti attenzione ai livelli di regolazione delle cosiddette politiche dell‟immigrazione e quelle dell‟inclusione/integrazione32. Nel differenziarne altresì i soggetti demandati alle competenze di governante, forse non esaudisce pienamente l‟aspetto di formulazione di una strategia di corresponsabilizzazione coordinata del processo complessivo. La disamina delle principali tappe istituzionali, richiamate nel documento, mostra che diversi passaggi sono stati legati alle esigenze che andavano di volta in volta a svilupparsi, dando vita ad un quadro generale, che se ha ampi gradi di coerenza interna, ha lasciato aperti alcuni spazi in cui la ricerca di soluzioni ha dato via a modelli di integrazione e mediazione estremamente diversificati, finalizzati ai comparti. E‟ pur vero che nel sistema complessivo di risposta alla domanda di mediazione intervengono importanti livelli che operano tanto rispetto allo sviluppo di interventi di prossimità verso bisogni specifici: ad un primo livello, ad es. il cosiddetto “front office” come punto diretto, di contatto e avvicinamento; ad un altro, la tutela e la rappresentanza in sede istituzionale di comunità di diversa provenienza. Al tempo stesso, tra i nodi della rete territoriale che accompagnano i soggetti va tenuta in opportuna considerazione l‟importanza del lavoro svolto da vari soggetti nel facilitare l‟incontro della popolazione migrante con le strutture di servizio e le opportunità territoriali. La propulsione alla riorganizzazione dei servizi in funzione dell‟accesso universalistico all‟assistenza inoltre sottolinea quanto sia presente uno sforzo nell‟immaginare una diversa strutturazione del sistema socio-sanitario che facendo leva sulla cultura e sui sistemi di competenza dell‟organizzazione vuole animare un sistema di accoglienza capace di intercettare bisogni ed esigenze che si vanno configurando in modo composito e multiculturale. Nel rapporto tra territorio e domanda gli elementi considerati sono da riferire quindi a policy territoriali, sostenute dalla regolamentazione regionale, finalizzate a governare il processo di inclusione della popolazione migrante attraverso una “registrazione” della domanda effettuata a livello locale e conseguente predisposizione dei servizi. Sembra utile richiamare in chiusura un elemento importante per il successo nella definizione della figura del mediatore. La filosofia delle politiche di intervento sociale e la strutturazione delle politiche dei servizi devono avere una coerenza interna, ed è importante considerare come all‟interno del sistema che ne deriva sia necessario prevedere una differenziazione dei ruoli dei mediatori, come delle possibilità di sviluppo della figura stessa in termini professionali e di carriera. Il rischio, altrimenti, è quello di dare vita ad una figura troppo specializzata, oppure una figura professionale chiusa, che difficilmente potrà avere una attrattiva tanto per il mercato del lavoro o per gli individui. 32 Cfr. pag.6 Documento cit. 14