Fondazione Teatro La Fenice di Venezia Stagione 2014-2015 Teatro La Fenice eroi sono quelli CHE costruiscono LA PACE Claudio Ambrosini La Grande Guerra (vista con gli occhi di un bambino) prima esecuzione assoluta Canti di guerra e di pace Europa 1914-1918 Fondazione Teatro La Fenice Teatro La Fenice sabato 13 dicembre 2014 ore 20.00 EROI SONO QUELLI CHE COSTRUISCONO LA PACE La Grande Guerra (vista con gli occhi di un bambino) favola vera per coro maschile, soprano, voce narrante e strumenti liberamente tratta dal quaderno di scuola di Giuseppe Boschet e da parole e versi di Anna Achmatova e Nelson Mandela adattamento e drammaturgia di Sandro Cappelletto musica di Claudio Ambrosini prima esecuzione assoluta Sonia Visentin soprano Sandro Cappelletto voce narrante Matteo Liva pianoforte Alberto Perenzin tromba Giulio Somma percussioni Coenobium Vocale maestro del coro Maria Dal Bianco Canti di guerra e di pace Europa 1914-1918 Sandro Cappelletto voce narrante Enrico Imbalzano chitarra Fabio Dalla Vecchia timpani Francesco Grotto pianoforte Coenobium Vocale maestro del coro Maria Dal Bianco Una pagina del quaderno di scuola di Giuseppe Boschet PROGRAMMA 3 La Grande Guerra (vista con gli occhi di un bambino) In ogni nuovo progetto confluiscono esperienze di vario tipo, e suggestioni, stimoli, ricordi, lacerazioni, desideri. È avvenuto, e in modo speciale, anche per questa «favola vera», che nasce nella ricorrenza del centenario della Grande Guerra ma che raccoglie stratificazioni depositate nel tempo. Poi la scossa la danno gli accadimenti imprevedibili, che però sembrano avvenire non per caso ma messi lì, in fila, da uno spirito benevolo. Come la scoperta dello stupefacente quaderno di Giuseppe Boschet, dovuta alla pianista feltrina Sonia Garna, che me ne ha fatto dono nel 2007. Fin dalla prima lettura, lo stupore e la commozione sono stati fortissimi e così il desiderio di tentare di farlo conoscere ad altri, attraverso la musica. Da lì, poco a poco hanno cominciato ad aggiungersi i riaffioramenti più diversi. A cominciare dal servizio militare che ho avuto la fortuna di prestare negli Alpini e proprio nel Feltrino descritto da Boschet. Tra l’altro, alcune esercitazioni avvenivano nei pressi dei luoghi della Guerra, di quelle trincee scavate nella roccia a poche decine di metri una dall’altra, che ho perlustrato a lungo. O i soggiorni ad Asiago e le visite a Mario Rigoni Stern, le passeggiate con lui nei boschi dell’Altopiano in cui, a ogni poco, i passi possono sprofondare negli avvallamenti lasciati dalle bombe, oggi ricoperti dal muschio. E ancora, ad Asiago, l’Ossario, con le pareti interamente rivestite dall’interminabile elenco dei caduti, alternati ai tronfi dispacci dei generali, incorniciati di alloro… Tutto questo si è materializzato nell’idea di un concerto in due parti, di cui la prima presentasse una riflessione odierna su quegli eventi e la seconda, come in un flashback, fungesse da «documento sonoro» per fornirci, in particolare attraverso il canto popolare, un’immagine dell’epoca. Le scelte musicali mirano a rispettare questa duplicità dei piani e degli approcci. Da una parte quindi un coro maschile, espressione vocale di quegli uomini che la guerra virilmente combattono ma che dopo sanno anche raccontarla, ad esempio nei canti di montagna, spesso assai sensibili, delicati. A questa dimensione collettiva si alterna poi una voce di donna, una per tutte, a rappresentare quella controparte femminile che di tutte le guerre altrettanto porta il peso: come madre, sposa, vedova, sorella, fidanzata, figlia. Anche gli strumenti seguono una logica simbolica, oltre che funzionale, dall’iconicità di tromba e tamburo alla duttilità del pianoforte. Una tavolozza essenziale per rendere qualcosa di affine a una pittura naïf o a un ex voto, di quelli che s’incontrano talvolta nelle chiesette o sui capitelli nei sentieri di montagna. La «scenografia sonora» adatta a una fiaba, purtroppo assolutamente vera. La partitura è dedicata alla memoria di Giovanni Ambrosini, il nonno che non ho mai conosciuto, tenente medico morto nel 1918. All’inizio dell’autunno del 1917, Giuseppe Boschet è un bambino di appena tre anni, nato nella campagna veneta. Finita la guerra, inizia la scuola elementare, impara a leggere e scrivere, incontra una meravigliosa maestra che chiede ai suoi alunni di raccontare «i fatti della guerra». E lui racconta. Ricorda e racconta, senza chiedersi perché, di chi la colpa, da che parte – se mai ce ne fosse una – stia la ragione, dove il torto. I suoi temi, scritti su un quaderno dove ancora si vedono le macchie dell’inchiostro, la sua lingua, dove italiano e dialetto si incontrano con inventiva naturalezza, hanno la potenza di un reportage dal fronte, l’incanto di uno sguardo acutissimo e puro, lo stupore assoluto di cui sono capaci i bambini. Parole che, per la commozione, quasi si fa fatica a pronunciare, una lettura che non si dimentica più. Diventato adulto, Giuseppe Boschet entrerà in seminario, sarà ordinato sacerdote, poi parroco di diversi comuni veneti. Nel 1993 la Biblioteca Comunale di Seren allestisce la mostra fotografica 1917/1918 – Il Feltrino invaso e in quell’occasione don Giuseppe mette a disposizione dei curatori anche il suo «quadernetto», che viene finalmente pubblicato. All’inizio del 2014 Claudio Ambrosini, che ringrazio con affetto, me lo ha fatto scoprire, invitandomi a una nuova collaborazione in vista di un omaggio del Teatro La Fenice al centenario della prima guerra mondiale. Non abbiamo avuto esitazioni: la Grande Guerra doveva essere vista con gli occhi di un bambino. Al quaderno di Giuseppe Boschet si intrecciano alcuni versi di Anna Achmatova e brevi passaggi tratti da scritti e discorsi di Nelson Mandela. Una poetessa russa e un uomo politico sud-africano. Tutti e due, vissuti nel Novecento sotto diverse dittature, hanno conosciuto la guerra, la prigionia, la più spietata oppressione. Ma non hanno mai odiato, hanno ostinatamente continuato a credere che per l’essere umano sia possibile amare gli altri esseri umani. Nella seconda parte del concerto, assieme a Maria Dal Bianco e al coro Coenobium Vocale, abbiamo delineato un percorso tra canti di guerra e di pace italiani, francesi, tedeschi, americani, slavi, dedicandolo alla memoria dei caduti. Le canzoni sono accompagnate dalla lettura di quattro episodi tratti da Il grande balipedio, romanzo dello scrittore veneziano Carlo Della Corte (1930-2000, mio zio materno), ambientato sul fronte dell’Isonzo e che vede protagonista il giovane tenente Germano Bandiera. Anche lui, come Giuseppe Boschet, racconta. Ma si chiede perché, senza trovare risposta a tanta follia. Sandro Cappelletto Claudio Ambrosini 4 presentazione presentazione 5 La Grande Guerra (vista con gli occhi di un bambino) liberamente tratto dal quaderno di scuola di Giuseppe Boschet e da parole e versi di Anna Achmatova e Nelson Mandela drammaturgia e adattamento del testo Sandro Cappelletto musica Claudio Ambrosini PROLOGO Ieri la signorina Maestra mi ha fatto proprio inrabiare perché dopo che ho scritto tante pagine sulle cose della guerra, ha tirato fuori la storia che a scrivere sul quaderno di quarta viene troppo lungo e che è meglio copiare tutto di nuovo con le righe una alla volta. Io ho detto che non ci sto perché non sono usato a scrivere piccolo. Poi ho visto che è rimasta stufa e allora sono rimasto stufo anch’io e prima di andare a casa ho domandato scusa e che lo faccio, sì. Ma ero ancora inrabiato. Però questa mattina la signorina Maestra mi ha regalato un quaderno nuovo, di quelli che hanno una riga alla volta, ma lei per tante pagine aveva tirato un’altra riga fina con la matita e ha detto che poi si può scancelare. Poteva dirmelo anche prima e adesso invece starò non so quanto a copiare ancora tutto. Sono arrivato in quarta elementare a 11 anni. Ne avevo persi due: uno per la mia salute e uno perché avevamo cambiato sette maestre in un anno. Vivevo in campagna, con i miei nonni contadini. 6 testi Un giorno la maestra ci dà questo tema: «Racconta un fatto che ti ha impressionato molto». Io ho pensato: eh, c’è solo da scegliere! Quando sono successi quei fatti lì, avevo tre-quattro anni: eppure mi ricordavo tutto. E così ho scritto subito. La maestra ha letto il tema e mi ha domandato: «Giuseppe, ma ti ricordi altri fatti della guerra?». Io ho detto di sì e lei allora ha detto che mi lascia fuori dal tema degli altri se scrivo le cose della guerra. I. PRIMAVERA DI GUERRA Quando a primavera è stato il tempo del seminare, barba Angelo ha arato il campo dietro la nostra casa con i cavalli. Poi le zie hanno seminato il sorgo con uno sponcio. Quando loro sono andate via, io sono andato subito sul campo e tiravo su la terra con le mani finché trovavo i granelli di sorgo. Ne ho trovato un bel pugnetto, sono corso a casa ad arrostirli sulla stufa e a mangiarli subito. Barba Angelo mi aveva visto rubare il sorgo, ma ha fatto finta di no. II. QUANDO SONO ARRIVATI I TEDESCHI… A novembre sono arrivati i tedeschi e io ho preso una paura da morire. C’era la lumiera appesa su in cima alla finestra, io ero buttato sulla panca di legno perché ero molto piccolo, mia nonna era lì a giustare qualche cosa, e abbiamo sentito dietro la casa un gran fracasso e urli e tante parolacce di soldati. Io tremavo come una foglia dalla paura e mia nonna guardava fuori per la finestra, ma non si vedeva niente perché era notte. Allora mia nonna è andata fuori a vedere e non tornava più e io ho cominciato a piangere disperato e a gridare sempre più forte perché non ero buono di aprire la porta, perché non arrivavo fin su e il saltarello era rotto. I soldati urlavano come demoni e io credevo che avessero portato via mia nonna per ucciderla. Ma poi lei è tornata dentro tutta dessennata, mi ha preso in braccio e mi stringeva forte. La mattina dopo siamo andati giù casa e la nonna diceva malagrazie ai tedeschi perché avevano mollato i cavalli nel cortile e avevano pestato tutto l’orto e mangiato le fasolere e tutte le altre robe. III. IL PORCELLO DI PIERO CALCINA, LE ORTICHE DI IAIA JUDITA E MIO NONNO CHE GIRAVA LA POLENTA Una mattina, che eravamo sotto Natale, i tedeschi facevano un gran fuoco in mezzo alla strada e cavavano le budella al porcello di Piero Calcina e poi lo hanno impirato su con un palo per arrostirlo. Il povero Piero, che era vecchio, non aveva niente, aveva solo quel maiale, piangeva ma i tedeschi lo paravano indietro a spintoni e mio zio Silvio diceva: «Bruti vigliachi!». Poi non ho più visto niente perché mia nonna mi ha tirato dentro casa. CORO Too much of our planet is still embroiled in destructive conflicts, strife and war. We demean our common humanity by allowing that to happen. Caupo di Seren: Vista del paese durante l’occupazione austroungarica. Giugno 1918 (Museo Fotografico della Grande Guerra “E. Secco” - Seren del Grappa). PROGRAMMA 7 Noi a casa non avevamo più niente da mangiare, io andavo perfino storto dalla fame, allora mia nonna mi ha preso per mano perché voleva andare su in montagna a trovare la iaia Judita. Quando siamo arrivati, la zia era lì che faceva fuoco sotto una grande cagliera. Io guardavo dentro cosa c’era, poi la zia ha preso un bastone lungo, lo ha messo giù nella cagliera e ha tirato su un grappolo di ortiche lesse. E mi ha detto: «To’, vecio magna anca ti qualcosa». Le ho mangiate tutte che mi scottava la bocca e erano così buone che ne avrei mangiate altre tante. CORO Peace is not just the absence of conflict. Peace is the creation of a world where all can flourish regardless of race, colour, creed, religion, class, cast. It is a world of great promise and hope. It is also a world of despair, disease and hunger. Overcoming poverty is an act of justice. Un giorno sono andato a trovare quell’altro mio nonno, che era il padre di mia madre e si chiamava Antonio Boschetòn, perché era molto più grande. Io Boschetìn, lui Boschetòn. Mio nonno era lì che girava la polenta. Quando l’ha gettata fuori ha preso un filo e ha tagliato una fetta per ognuno e anche a me ha dato una fetta grande con tutte e due le mani. «Va’ piano a mangiare», mi diceva. Ma io mangiavo come un orco anche se era nera come il carbone, perché era una polenta fatta con le semole e con le scorze. Mia zia diceva che aveva dentro le tarme e anche i bigàt, i vermi, ma io non ho visto niente e mi ricorderò fin che vivo di quella polenta che dalla fame che avevo mi sembrava buona come i biscotti di adesso. 8 testi IV. NONA, ELO STANOT CHE MORON DE FAN? (Nonna, è questa notte che moriamo di fame?) Una sera mia nonna mi ha portato a letto senza niente da mangiare, ma io non ero capace di dormire perché avevo fame. Allora mia nonna mi ha insegnato a dire un poche di orazioni, ma io ne dicevo solo qualcheduna perché non avevo neanche più fiato. Poi ho detto: «Nona, mi ho tanta fan». E lei: «Non ho gnint, fiol, da darte». Poi ho dormito perché non volevo che mia nonna piangesse. Quando mi sono svegliato avevo ancora più fame e ho chiamato: «Nona, ho tanta fan». Poi ho sentito che tirava il fiato lungo e non era più capace di parlare. Allora ho cominciato a pensare che bisognava morire di fame perché anche Nane Siaca era morto di fame: siamo andati a vederlo, aveva la testa buttata indietro e i tedeschi lo portavano giù per le scale. Ma per morire bisogna avere il Signore in croce nelle mani e volevo dare a mia nonna il Signore più bello perché è buona. Ma quello più bello era piccolo e mia nonna era grande. Allora volevo che prendesse quello più grande, ma era brutto. E non sapevo proprio più cosa fare… CORO It is so easy to break down and destroy. The heroes are those who make peace and build. «Nona, è stanot che moròn de fan? Se moròn stanot, vu tolé el Signor più piccolo e mi el più grande e dopo moròn». Mia nonna allora si è rivoltata nel letto e ha cominciato a piangere forte. CORO Leaders of the world: sometimes it falls upon a generation to be great. You can be that great generation. Let your greatness blossom. V. QUEL SOLDATO TEDESCO ME LO RICORDO SEMPRE Un giorno che non faceva più freddo ero fuori, davanti a casa, e in fondo alla strada, seduto per terra, c’era un soldato tedesco che mangiava il suo rancio. Era magro, ma magro che si potevano contare tutti gli ossi e aveva la faccia bianca come una camicia. Io guardavo la sua gavetta, lui mi ha dato una mano e mi ha preso sul braccio. Poi non ha più mangiato e mi ha dato tutto quello che c’era dentro. Un Landstürmer (fante della territoriale) viennese divide il proprio rancio con dei bambini veneti (Museo Fotografico della Grande Guerra “E. Secco” – Seren del Grappa). E così è continuato: quando era ora, andavo da lui, mi prendeva sul braccio, mi dava da mangiare e qualche volta un cucchiaio lo mangiava anche lui. Dopo non so più quanti giorni, non l’ho più trovato. Quel soldato me lo ricordo sempre e lo conoscerei anche se fosse in mezzo a tanta gente come al mercato. Mia nonna ha detto che forse era anche lui un padre, e aveva a casa i figli, e avevano tanta fame anche loro. CORO Io non posso offendere un uomo senza soffrire, anche se è il mio nemico. Anche se è il mio nemico, rimarrà/ò sempre un uomo. VI. I CANNONI SUL MONTE GRAPPA E MIO PADRE I cannoni facevano tremare tutta la terra e anche la casa. Una notte mio nonno ha voluto andare su per la campagna fin dove si vedeva bene il Monte Grappa. I soldati sparavano a più non posso e la montagna era tutto fuoco. A me piaceva vedere, ma avevo anche paura. Mio nonno continuava a dire: «Che inferno, che inferno!». E mia nonna: «Poveri fioi! Poveri fioi!». Io non ho più visto una cosa così spaventosa. Poi sono diventato tutto freddo e allora siamo andati a casa e per strada pensavamo a tutti i soldati che morivano e a quelli che erano feriti e tribolavano magari senza un braccio o una gamba. E a mio padre e ai miei zii, che erano tutti in guerra. Una sera ero nel mio letto piccolo dietro la porta e ho sentito parlare forte giù in casa, poi venire di corsa su per le scale. Mia nonna ha aperto la porta e ha detto: «Ceo, varda che ghe xe to pare!». testi 9 Io non vedevo niente perché era tutto scuro, ma ho sentito che lui mi aveva preso in braccio e mi baciava tante volte e mi strucava forte, ma così forte che me lo sento ancora. Poi mia nonna mi ha messo di nuovo nel letto e mio padre mi ha baciato ancora tante volte e mi faceva carezze. Io ero tanto contento, ma mio padre non l’ho visto perché era tutto scuro e la mattina dopo era già andato via, era tornato a fare la guerra. Anche mia mamma non la vedevo più: per aiutare la famiglia a vivere era andata a far la balia a Genova e non poteva tornare a casa, perché c’era la guerra. SOPRANO No! Non sotto un estraneo cielo, non sotto ali straniere. Ero con la mia gente allora, là dove noi si era, per sciagura. Finirà mai, questo immenso inverno? Tutto questo decifrerai tu solo… Quando d’intorno il buio brulica insonne Debolmente brucio a fuoco lento La mia generazione poco miele gustò. E di te nulla, e tutto intorno tace Nostre, le ore contate Tutti quelli che veramente amavi, vivi per te resteranno. Gli occhi non distolgo dall’orizzonte Ritornerai mai, a donarmi la pace? VII. SONO ENTRATI GLI ITALIANI VIII. MA EL POVERO BEPI? CORO Hurrah! Dopo sono tornati anche mio padre e i miei zii, ma io non mi ricordo niente di quando sono venuti loro. E neanche di mia madre quando è venuta, perché dopo la guerra mi ricordo più poco. Un giorno è arrivato un signore con una lettera e mia nonna l’ha portata a mio nonno da leggere. Io non sapevo perché loro piangevano, ma la nonna diceva sempre: «El povero Bepi! Onde saralo? Saralo vivo, saralo morto? Saralo in prisòn?». Ma il povero Bepi non è più tornato. E io ho pensato che quello che comandava la guerra andrà all’inferno se non domanda perdono, per non aver misericordia di un bambino piccolo come me, di tutti i soldati morti e anche di quel tedesco che mi dava il suo rancio. Io non so in che giorno hanno finito la guerra, ma mi ricordo che tutti gridavano come matti che è finita la guerra, e si sentiva la musica che veniva in su e tutti correvano incontro e sulla piazza tutti si abbracciavano e piangevano da contenti che erano. E mia nonna mi ha detto: «Varda se tu vet to pare!» Ma io non lo conoscevo. I soldati italiani sono stati qui non so quanti giorni e ogni sera suonavano la musica sulla piazza e tutti quanti correvano a sentire e a vedere se erano arrivati altri soldati. Mia nonna andava sempre fuori a vedere se erano venuti anche mio padre e i miei zii, e quando tornava a casa diceva a mio nonno: «Perché non sono venuti? Saranno feriti? Saranno prigionieri?». Un soldato aveva rotto il ferro che teneva su le carte della musica e allora io gli tenevo su il libretto con le mani finché non ne potevo più. Lui era tutto contento e suonava la tromba così forte che mi andava fuori per le orecchie. Famiglia attorno al focolare. Lettura di una lettera arrivata dal fronte. Gennaio 1918 (Museo Fotografico della Grande Guerra “E. Secco” – Seren del Grappa). CORO Vennero e dissero: «È morto tuo fratello». SOPRANO Tutti partirono, nessuno tornò. Invece non mi ricordo che dopo, finita la guerra, per tanti anni mi svegliavo di soprassalto, pieno di incubi e di paure. Io non mi ricordo, ma mia nonna sì. SOPRANO Soltanto il vento urla lontano, soltanto il ricordo canta/parla dei defunti. SOPRANO e CORO Kak dolga sivodnia alyi z’akat nad-morem vecernyi placet. (Come a lungo un tramonto infuocato piange sul mare della sera) Maio pakalen’e mala miodu fkusilo. I vot tolko veter gudit v-oddalen’e (La mia generazione poco miele ha gustato. Ecco il vento soltanto urla in lontananza) Se avrete memoria di noi, a lungo voi vivrete e degnamente. Guardate, siamo sereni, se avrete memoria di noi. SOPRANO e CORO We humans are capable of reason, compassion and change. May this be the century of peace and non-violence. Let your greatness blossom. IX. EPILOGO Ho scritto un tema che è venuto molto lungo che non mi sono neanche accorto. Poi, quando la signorina Maestra ha corretto tutti i compiti, mi ha scritto bravo sul quaderno. Anche mio nonno e mia nonna mi hanno detto che è stato proprio così, e che sono stato bravo. testi 11 Europa 1914-1918 Canti di guerra e di pace letture tratte da Il grande balipedio di Carlo Della Corte Monte Grappa (anonimo - elaborazione Bepi De Marzi) Monte Pasubio (Bepi De Marzi) Monte Grappa tu sei la mia Patria. Sulla strada del Monte Pasubio bom borombom bom bom borombom lenta sale una lunga colonna bom borombom bom bom borombom. L’è la marcia de chi non torna de chi se ferma a morir lassù. Il Piave mormorava calmo e placido al [passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio; Muti passaron quella notte i fanti, tacere bisognava e andare avanti. S’udiva intanto dalle amate sponde sommesso e lieve il mormorar dell’onde. Monte Grappa tu sei la mia Patria. La tradotta (anonimo - elaborazione Paolo Bon) La tradotta che parte da Torino a Milano non si ferma più ma la va diretta al Piave, ma la va diretta al Piave. La tradotta che parte da Torino a Milano non si ferma più ma la va diretta al Piave, cimitero della gioventù. Siam partiti, siam partiti in ventisette, solo in cinque siam tornati qua, e gli altri ventidue? E gli altri ventidue? Siam partiti, siam partiti in ventisette, solo in cinque siam tornati qua, e gli altri ventidue sono morti tutti a San Donà. 12 testi Ma gli alpini non hanno paura bom borombom bom bom borombom. Sulla cima del Monte Pasubio bom borombom bom bom borombom soto i denti ghe sè ’na miniera bom borombom bom bom borombom. Sè i alpini che scava e spera de ritornare a trovar l’amor. Ma gli alpini non hanno paura bom borombom bom bom borombom. Sulla strada del Monte Pasubio bom borombom bom bom borombom sè rimasta soltanto ’na crose bom borombom bom bom borombom. No se sente mai più ’na vose, ma solo el vento che basa i fior. Ma gli alpini non hanno paura bom borombom bom bom borombà. Déserteur! (Paolo Bon) Disertore! (Paolo Bon) Autrefois j’avais un nom. J’avais aussi une armée, l’armée française. “Dragons” c’était mon régiment. A présent je n’ai ni nom, ni armée, ni régiment. Je vais vous raconter mon histoire. Un tempo avevo un nome. Avevo anche un’armata, l’armata francese. “I Dragoni” erano il mio reggimento. Adesso non ho più né nome, né armata, né reggimento. Vi racconterò la mia storia. Un jour me prit envie d’aller me promener. Aux frontières de d’Italie j’abandonne mon armée. Equipé de mon bagage, je me suis mis à marcher. Trois grenadiers de la garde sont venus pour m’arrêter. Un giorno mi venne voglia di andare a farmi un giro. Alle frontiere con l’Italia abbandono la mia armata. Attrezzato con il mio bagaglio, ho cominciato a camminare. Tre granatieri della guardia sono arrivati per arrestarmi. Arrête, dragon, arrête, tu marches sans permission: sous l’ordre du capitaine nous allons te mettre en prison! Fermati, Dragone, fermati, tu cammini senza permesso: per ordine del capitano noi ti metteremo in prigione! Aussitôt je prends mon sabre, j’en ai mis deux à la mort et l’autre, qui perd courage, s’en va plaindre au grand-major. Prendo subito la mia sciabola, e ne uccido due e l’altro, perso il coraggio, scappa a lamentarsi dal comandante. Grand-major se mit en colère, lui disant: “Mon bon ami, va lui-dire qu’il se rende, s’il tient à sa propre vie”. Il comandante si arrabbiò, e gli disse “Mio caro amico, vai a dirgli che si arrenda, se ci tiene alla sua vita”. Non, je ne veux pas me rendre, je ferai tous mes efforts: j’ai des armes pour me défendre, je combattrai jusqu’à la mort! No, non voglio arrendermi, farò tutti i miei sforzi: ho delle armi per difendermi, combatterò fino alla morte”. Mon histoire n’est pas encore finie et peutêtre ce ne sera pas moi qui vous en conterai la fin. Souvenez-vous de… pardon, un déserteur n’a pas de nom… La mia storia non è ancora finita e forse non sarò io che vi racconterò la fine. Ricordatevi di… scusate, un disertore non ha più nome… …j’ai des armes pour me défendre, je combattrai jusqu’à la mort! … ho delle armi per difendermi combatterò fino alla morte! testi 13 O Gorizia, tu sei maledetta per tenore, coro maschile, chitarra e pianoforte (anonimo - elaborazione Enrico Imbalzano e Maria Dal Bianco) O vigliacchi che voi ve ne state con le mogli sui letti di lana, schernitori di noi carne umana, questa guerra ci insegna a punir. La mattina del cinque di agosto si muovevano le truppe italiane per Gorizia, le terre lontane e dolente ognun si partì. Voi chiamate il campo d’onore questa terra di là dei confini; qui si muore gridando: assassini! maledetti sarete un dì. Sotto l’acqua che cadeva a rovescio grandinavano le palle nemiche; su quei monti, colline e gran valli si moriva dicendo così: Cara moglie, che tu non mi senti raccomando ai compagni vicini di tenermi da conto i bambini, che io muoio col suo nome nel cuor. O Gorizia, tu sei maledetta per ogni cuore che sente coscienza; dolorosa ci fu la partenza e il ritorno per molti non fu. O Gorizia, tu sei maledetta per ogni cuore che sente coscienza; dolorosa ci fu la partenza e il ritorno per molti non fu. Am Bachbett brennt die bittre Beere per baritono, coro maschile e pianoforte (Ludwig Egler elaborazione Maria Dal Bianco) Vicino al letto del ruscello brucia l‘amara bacca per baritono, coro maschile e pianoforte (Ludwig Egler elaborazione Maria Dal Bianco) Am Bachbett brennt die bittre Beere In ihrer Reife tiefstem Rot Mir ist´s, als wenn es Herzblut wäre von Kameraden, wund und tot. Vicino al letto del ruscello brucia l’amara [bacca nel rosso più intenso della sua maturità. Per me è come fosse il sangue del cuore di compagni, feriti e morti Da ruhn die Treuen still beisammen gebettet all zum letzten Schlaf verklärt im Glanz der Sonnenflammen all die, die heut die Kugel traf. Giacciono insieme in silenzio, i fedeli, disposti tutti per l’ultimo riposo, trasfigurati nello splendore delle fiamme [del sole coloro che oggi la pallottola colpì. Und auch mein Freund ruht in der Erden mein Herz, was schlägts du laut und jach auch du mußt balde stille werden Drum still, mein Freund, ich komme nach. E anche l’amico riposa nella terra; cuore mio, perché batti così forte e [tumultuoso, presto anche tu dovrai fermarti. Calmati quindi, amico mio, io ti seguirò. 14 testi A stopwatch and an ordnance map per coro maschile e timpani (Samuel Barber) Un cronometro e una carta militare per coro maschile e timpani (Samuel Barber) A stopwatch and an ordnance map. At five a man fell to the ground And the watch flew off his wrist, Like a moon struck from the earth Marking a blank time that stares On the tides of change beneath. All under the olive trees. Un cronometro e una carta militare. Alle cinque un uomo cadde al suolo e l’orologio gli cadde dal polso come una luna spazzata via dalla terra, segnando un tempo vuoto che dopo fissa le maree dei cambiamenti sulla terra. Tutto sotto gli ulivi. A stopwatch and an ordnance map. He stayed faithfully in that place From his living comrade split By dividers of the bullet That opened wide the distances Of his final loneliness. All under the olive trees. Un cronometro e una carta militare. Rimase fedelmente in quel luogo, diviso dal suo compagno dalle pallottole che spalancavanole porte alla sua solitudine finale. Tutto sotto gli ulivi. A stopwatch and an ordnance map. And the bones are fixed at five Under the moon’s timelessness; But another who lives on, Wears within his heart forever, The space split open by the bullet. All under the olive trees. Un cronometro e una carta militare. E le ossa restano immobili alle cinque, sotto l’eternità della luna. Ma un altro che ancora vive, porta per sempre dentro il suo cuore lo spazio infranto dai proiettili. Tutto sotto gli ulivi. Ukolébavka per coro maschile e pianoforte (Antonín Dvořák) Ninna nanna per coro maschile e pianoforte (Antonín Dvořák) Spi, mé ditě, spi, Spi, mé djitje, spi zavři očka svy! Zavři očka svy̌! Pán Bůh bude spáti s tebou, andilci te [ukolebou, Spi, andilku, spi! Ditě, spi, spi, jen spi, jen spi! Dormi, mio caro, dormi, chiudi i tuoi occhi e dormi! Mentre tu riposi, il tuo Dio è con te, gli angeli volano attorno a te cantando, riposa i tuoi occhi e dormi, caro dormi, [dolcemente dormi! Drahé ditě, spi, zamkni ocka svy! Dám ti buben, dam housličky, nedám tě za svět celičky̌, spi, synáčku, spi, dítě, spi, spi, jen spi, jen spi! Il mio amato bambino chiude gli occhi [lievemente. Qui c’è il tuo tamburo e il tuo violino, stringi ancora la tua bambola preferita, riposa i tuoi occhi e dormi, caro dormi, [dolcemente dormi! testi 15 Claudio Ambrosini Compositore veneziano, dopo gli studi liceali classici e quelli presso il Conservatorio di Venezia, si è laureato in Lingue e Letterature Straniere e in Storia della Musica. Frequenti, a Venezia, gli incontri con Bruno Maderna e Luigi Nono, che lo annoverava tra i suoi compositori preferiti. Ha composto lavori vocali, strumentali, elettronici, opere liriche, radiofoniche, oratori e balletti, ricevendo numerosi riconoscimenti e partecipando alle principali rassegne internazionali, come il Festival di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia, di Strasburgo, Bruxelles, Helsinki, Huddersfield, Lione, Stoccolma, Vancouver, Montreal, Avignon, Stanford, New York, Chicago, Los Angeles, Sidney, Ludwigsburg, Viitasaari e altri. Ha inoltre ripetutamente ricevuto commissioni da istituzioni come la RAI, La Biennale, la WDR di Colonia, il Ministero della Cultura francese, l’Accademia Filarmonica Romana, l’Orchestra Scarlatti di Napoli, il Festival delle Nazioni, Milano Musica, Grame. Le sue musiche sono state dirette, tra gli altri, da Roberto Abbado, Luisi, Masson, Muti, Reck, Spanjaard, Störgards, Valade, Venzago, nei programmi dell’IRCAM di Parigi, della Scala di Milano, delle Fondazioni Gulbenkian di Lisbona e Gaudeamus di Amsterdam, del Mozarteum di Salisburgo, della Akademie der Künste di Berlino; della Stagione dei Münchener Philharmoniker, di “Perspectives du XX siècle” di Radio France, dell’Autunno Musicale di Varsavia, del Maggio Musicale Fiorentino. Nel 1977 inizia ad occuparsi attivamente di computer music presso il Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova. Dal 1979 dirige l’Ex novo Ensemble, e dal 1983 il CIRS, Centro Internazionale per la Ricerca Strumentale, che ha entrambi fondato a Venezia, oltre al recente gruppo vocale Vox Secreta (2007). Ha tenuto corsi, conferenze e masterclass in vari conservatori e università, tra cui la Sorbona di Parigi e la Scuola Normale di Pisa. Nel 1985 è stato il primo musicista italiano ad essere insignito del Prix de Rome e a soggiornare a Villa Medici, l’Accademia di Francia a Roma. Nel 1986 ha rappresentato l’Italia alla Tribuna Internazionale dei Compositori dell’UNESCO. Con l’opera Il canto della pelle – Sex Unlimited ha vinto i premi Beaumarchais (Parigi, 2005) e Music Theatre Now (Berlino, 2008, UNESCO); con l’opera Il killer di parole ha vinto il Premio Abbiati (2010). Nel 2007 ha vinto il Leone d’Oro per la Musica della Biennale di Venezia. Sandro Cappelletto Scrittore e storico della musica, Sandro Cappelletto è nato a Venezia nella seconda metà del Novecento. Laureato in Filosofia, ha studiato armonia e composizione con il maestro Robert Mann. Tra le sue principali pubblicazioni, la prima biografia critica di Carlo Broschi Farinelli (La voce perduta, EDT, 1995), un’analisi della Turandot di Puccini (Gremese Editore, 1988), una biografia di Beethoven (Newton Compton, 1986), un saggio su Gaetano Guadagni (Nuova Rivista Musicale Italiana, 1993), un’inchiesta politica sugli enti lirici italiani (Farò grande questo teatro!, EDT 1996). Esce nel 2006 Mozart – La notte delle Dissonanze (EDT), libro dedicato al misterioso Adagio introduttivo del Quartetto per archi K 465. E dal libro nasce, assieme al Quartetto Savinio, un fortunato concertoracconto. Analoga convivenza di parola e musica per le Variazioni Goldberg, nate per e con Ramin Bahrami. Per la Storia del teatro moderno e contemporaneo (Einaudi, 2001) 16 biografie ha scritto il saggio Inventare la scena: regia e teatro d’opera. Nel 2002, con Pietro Bria, dà alle stampe Wagner o la musica degli affetti (Franco Angeli), raccolta di riflessioni e interviste di Giuseppe Sinopoli, di cui nel 2006 cura Il mio Wagner – il racconto della Tetralogia (Marsilio). Nel 2008 l’Accademia Perosi di Biella pubblica L’angelo del Tempo, volume dedicato al Quartetto per la fine del Tempo di Olivier Messiaen. Autore di programmi radiofonici e televisivi (crea la trasmissione di Rai-Radio Tre Momus, realizza per Rai 3 un film televisivo su Maurizio Pollini, scrive e conduce per Rai 5 il programma Inventare il tempo), ha scritto numerosi testi teatrali (Quel delizioso orrore, Solo per archi, L’avida sete) regolarmente rappresentati. I suoi libretti per il teatro musicale sono nati dalla collaborazione con significativi compositori italiani, tra i quali Claudio Ambrosini (Big Bang Circus, Biennale Musica di Venezia 2002) e Luca Lombardi (Il re nudo, Opera di Roma 2009). Intensa la collaborazione con Matteo D’Amico. Nel 2013 scrive, per i Cameristi della Scala e Gabriele Lavia, Che Verdi viva! Esce nel 2014 Da straniero inizio il cammino – Schubert, l’ultimo anno (Accademia Perosi), volume dedicato all’estremo periodo creativo di Schubert. Su invito di Giuseppe Sinopoli ha diretto il settore drammaturgia e didattica del Teatro dell’Opera di Roma. Accademico dell’Accademia Filarmonica Romana, ne è stato direttore artistico dal 2009 al 2013. Giornalista professionista, scrive per il quotidiano «La Stampa». Coenobium Vocale Fabio Antoniazzi, Stefano Bioni, Mario Broccardo, Simone Cecchin, Pietro Cecchinato, Christian Cocco, Fabio Dalla Vecchia, Moreno Dani, Francesco De Pretto, Ruggero De Rosso, Michele Fracasso, Stefano Frighetto, Pietro Gasparin, Francesco Grotto, Renato Grotto, Enrico Imbalzano, Lodovico Lamesso, Giampaolo Maino, Andrea Milani, Raffaello Muraro, Dino Orsato, Matteo Pigato, Alessandro Rudella, Alessandro Simonato, Alberto Spadarotto, Mirco Zanrosso, Mariano Zarpellon. Gruppo vocale maschile impegnato in attività concertistica e di ricerca nell’ambito della letteratura musicale antica e contemporanea, si è affermato in numerosi concorsi nazionali e internazionali: primo premio al Concorso Polifonico Nazionale di Quartiano (1993 e 2013); Gran Premio Efrem Casagrande al Concorso Nazionale di Vittorio Veneto (1993 e 2001); secondo premio nella categoria canto gregoriano al Concorso Internazionale “Guido d’Arezzo” (1995); primo premio nella categoria voci pari al Concorso Nazionale “Guido d’Arezzo” (1995). Collabora con enti e associazioni culturali quali l’Accademia Olimpica di Vicenza, la Fondazione Levi di Venezia, l’Università di Padova, l’Associazione Amici della Musica di Vicenza, la Società del Quartetto. Ha partecipato a rassegne, festival e stagioni concertistiche quali il Festival di Musica Antica di Trento, il Festival Galuppi, il Festival In canto gregoriano di Firenze, l’Asiagofestival, proponendo anche progetti tematici propri e opere monografiche come, ad esempio, la Passione di Christo secondo Giovanni di Francesco Corteccia (1527), le Lamentationes Hieremiae prophetae di Marc’Antonio Ingegneri e altre di autori contemporanei. Ha collaborato con importanti nomi della cultura e del teatro italiano come Arnoldo Foà, Pamela Villoresi, Sergio Ciulli, Gianfranco De Bosio, Luciano Bertoli e Melania Mazzucco. Ha realizzato le raccolte discografiche Musica Dei donum (1996), Lux fulgebit (2002), Pio X – la sua musica (2003), biografie 17 per Tactus Saverio Mercadante, Musica Sacra e Stile operistico (2004), Cantate (2007), Spatium (2012). Il gruppo si presenta anche in formazione cameristica, per repertori monodici e rinascimentali e, più recentemente, anche in formazione mista. www.coenobium.it Maria Dal Bianco Ha studiato con i maestri Renzo Buja e Antonio Zanon. È diplomata in Composizione, in Organo e composizione organistica, in Musica corale e direzione di coro, in Prepolifonia. Ha svolto attività concertistica come organista e ha collaborato con gruppi strumentali e vocali. Ha frequentato corsi di perfezionamento in organo, con Jean Langlais, Michael Radulescu, Alfred Mitterhofer, Monserrat Torrent Serra, in canto gregoriano, in direzione corale e vocalità con Giovanni Acciai, Steve Woodbory, Alfredo Grandini, Livio Picotti, Peter Neumann. Dal 1991 dirige il coro Cœnobium Vocale, gruppo maschile con il quale ha ottenuto premi e riconoscimenti in concorsi corali nazionali e internazionali. Ha ricevuto premi per la migliore direzione ai Concorsi Nazionali di Quartiano e di Vittorio Veneto. Dal 1990 è docente al Conservatorio Luca Marenzio di Brescia e collabora costantemente con le associazioni corali regionali del Veneto, del Friuli – Venezia Giulia, della Lombardia, della Valle d’Aosta e del Trentino Alto Adige. Ha diretto la Schola cantorum della Cattedrale di Brescia. Dal 2011 al 2013 è stata membro della Commissione artistica della Feniarco (Federazione nazionale italiana associazioni regionali corali). Frequentemente invitata a far parte di giurie in concorsi corali, nazionali e internazionali, tiene corsi di vocalità e direzione corale, in collaborazione con enti e istituzioni di rilevanza nazionale. Sonia Visentin Ha interpretato il ruolo della protagonista nella Lucia di Lammermoor di Donizetti. È stata la Regina della Notte nel Flauto magico di Mozart, Corinna nel Viaggio a Reims di Rossini, Dinorah nell’omonima opera di Meyerbeer, Olympia in Les Contes d’Hoffmann di Offenbach, M.me Herz in Der Schauspieldirektor di Mozart, Lucieta in I quatro rusteghi di Wolf- Ferrari. Tra i direttori con i quali ha lavorato: Zedda, Oren, Bellugi, Panni, Tate, Fournillier, Veronesi, Renzetti, Rizzi-Brignoli, Lijfors, Parisi, Masson, Curtis, Borgonovo, Rek, Benedetti-Michelangeli, Pidò. Fra i registi: Kemp, Proietti, Foà, De Fusco, Gregoretti, De Bosio, Marini, Crivelli, Barberio-Corsetti, Pichon, Landi. È stata ospite di stagioni d’opera e concertistiche in teatri quali: Regio di Parma, Rossini di Pesaro, Regio di Torino, Fenice di Venezia, Comunale di Bologna, San Carlo di Napoli, Verdi di Trieste, Politeama di Palermo, Verdi di Firenze, Ponchielli di Cremona, Donizetti di Bergamo, Grande di Brescia. È stata inoltre invitata nei teatri di Saint Etienne, Vichy, allo Chatelet di Parigi, a Bastia (Corsica), al Liceu di Barcelona, ad Oviedo, Avignone, Lione, al Festival di musica contemporanea di Reykjavik, a Ludwigsburg, Istanbul, Budapest. Nella musica contemporanea, è stata protagonista di numerose prime: Giudizio Universale, Big Bang Circus, Canto della Pelle, Killer di parole di Claudio Ambrosini, Il Re Nudo di Luca Lombardi, Il carro e i canti di Alessandro Solbiati, Divorzio all’Italiana di Giorgio Battistelli, Medea, Pietra di Diaspro, Tenebrae, Processo a Costanza, Lo stridere luttuoso degli acciai di Adriano Guarnieri. 18 biografie Alberto Perenzin Nato a Feltre nel 1977, ha iniziato lo studio della tromba con il maestro Renato Pante. Dopo aver completato gli studi, presso il Conservatorio Agostino Steffani di Castelfranco Veneto, ha fatto parte dell’Orchestra Giovanile Italiana (nelle annate 2001/2002 e 2002/2003), dove, nel 2003, ha conseguito l’attestato di Qualificazione Professionale per Orchestra. In seguito ha collaborato con l’orchestra giovanile Luigi Cherubini, l’orchestra del Teatro La Fenice, l’orchestra Haydn di Trento e Bolzano, l’orchestra del Teatro Lirico di Cagliari, l’orchestra Filarmonia Veneta Gian Francesco Malipiero, l’orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Come membro di tali orchestre ha avuto modo di suonare, in Italia e all’estero, sotto la guida di importanti direttori tra i quali Gianandrea Noseda, Eliahu Inbal, Marcello Viotti, Tiziano Severini, Gustav Kuhn, Wayne Marshall, Arthur Fagen, Michele Mariotti, Renato Palumbo. Matteo Liva Ha compiuto gli studi musicali a Venezia diplomandosi in pianoforte sotto la guida di Vincenzo Pertile e in composizione con Bruno Coltro. Si è poi perfezionato con Aldo Ciccolini presso l’Accademia Internazionale di Musica “Lorenzo Perosi” di Biella, con Pier Narciso Masi e Franco Rossi. Vincitore dei concorsi pianistici ”Città di Alberga” e “Città di Acireale”, ha ricevuto il secondo premio ai concorsi “Città di Osimo” e “Premio Venezia” e il terzo premio ai concorsi “Città di Treviso” e “Città di Livorno”. Si è esibito come solista collaborando con la Fenice di Venezia, il Teatro San Carlo di Napoli, gli Amici della Musica di Mestre, Asolo Musica, gli Amici della Musica di Padova, l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana. Ha collaborato inoltre con gruppi, solisti e direttori di fama internazionale come il Quartetto d’archi di Venezia, l’Ex Novo Ensemble, Massimo Somenzi, Nicholas Isherwood, Federica Lotti, Sonia Visentin, Lorenzo Regazzo, Marcello Panni e altri; per il repertorio contemporaneo con Hans Werner Henze, Matteo D’Amico, Claudio Ambrosini, Agostino Di Scipio. Ha inciso l’integrale delle composizioni pianistiche di Gian Francesco Malipiero e Luigi Dallapiccola. Insegna presso il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. Giulio Somma Nato a Venezia nel 2002, attualmente è iscritto al Conservatorio Benedetto Marcello nel secondo ciclo del corso preaccademico di strumenti a percussione guidato da Kiki Dellisanti. Entra in Conservatorio a novembre del 2010 e già nel febbraio 2011, in occasione del Carnevale, prende parte alla Biennale Musica, per la quale partecipa nel 2013 alla rappresentazione di Balli delle belle bolle di Claudio Ambrosini, collaborazione che si rinnova, nel 2014, in occasione di Tremita l’aria, parlata per voci e strumenti, tratta dal testo di Giuliano Scabia. Ancora nel 2014, sempre in occasione della Biennale Musica, è scelto per The Dangerous Kitchen e Aiuto sono un sasso – III seduta di Giovanni Mancuso. biografie 19