RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – martedì 27 gennaio 2015
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati
dal sito internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
Indice articoli
REGIONE (pag. 2)
Ex contro i consiglieri in carica: «Tagli a noi? Macché, a voi» (M. Veneto)
“Provocazione” Sel: in Fvg Serracchiani come Tsipras (M. Veneto)
Ecco come innovare il welfare (M. Veneto)
Belci (Cgil): sbagliato cambiare su Irap e Irpef (Gazzettino)
Inquilini Ater morosi, debito di 1,7 milioni (Piccolo)
Pressing per il “pacchetto anziani” (Piccolo)
Assistenza a casa e prevenzione. Ecco la nuova legge (M. Veneto)
Banche, sul contratto è scontro aperto (Gazzettino)
CRONACHE LOCALI (pag. 7)
Saf, la protesta silenziosa blocca la città per un’ora (M. Veneto Udine)
Molestie sul lavoro, aumentano le denunce (M. Veneto Udine)
Spav, disco verde al concordato (Gazzettino Udine)
Mobbing in aumento fra i dipendenti pubblici (Gazzettino Udine)
Appello alla politica per salvare l’Inps (M. Veneto Pordenone)
Gli ex dipendenti Ovvio reclamano 300 mila euro (M. Veneto Pordenone)
Contratto, bancari in corteo (Gazzettino Pordenone, 2 articoli)
Mercatone e CoopCa: «Tavolo provinciale per affrontare le crisi» (M. Veneto Pordenone)
Risparmi Coop, due terzi a inizio estate (Piccolo Trieste)
Soprintendenza, salvi cinque dipendenti (Piccolo Trieste)
Ferriera, in bilico la sorte della centrale Elettra (Piccolo Trieste)
Cattinara, pronto soccorso. Rivoluzione a fine mese (Piccolo Trieste)
Centri per l’impiego, l’esercito dei 40mila (Piccolo Gorizia-Monfalcone, 2 articoli)
REGIONE
Ex contro i consiglieri in carica: «Tagli a noi? Macché, a voi» (M. Veneto)
di Maurizio Cescon UDINE Quella che si profila all’orizzonte è una vera e propria guerra dei vitalizi.
Senza esclusione di colpi. Perchè l’Associazione degli ex consiglieri regionali, che raggruppa decine di
“vecchi” frequentatori dei palazzi della politica regionale, è sul piede di guerra. Non ha digerito la
proposta di legge partorita la scorsa settimana dal Gruppo di lavoro, nè prende in considerazione la
riforma dell’istituto in chiave grillina. «Non ci fasciamo la testa prima di rompercela - dice un
arrabbiato Pietro Arduini, che è presidente del sodalizio degli ex - e dunque aspettiamo che approvino
la legge, che sarà discussa nelle prossime settimane. Ma se avrà quei contenuti, un ricorso sarà
inevitabile, come del resto è già accaduto in Veneto e in Lombardia. Deciderà la nostra assemblea, ma
l’orientamento è quello. Pensi che ci sono già diversi colleghi che vorrebbero agire subito».
L’Associazione dei consiglieri regionali del Friuli Venezia Giulia, attraverso il proprio Consiglio
direttivo, fatta una prima e attenta valutazione della proposta di legge che riguarda la riduzione dei
vitalizi, rileva che essa, per come è formulata e per le finalità che vuole perseguire presenta,
nell’impianto di fondo e in alcuni specifici punti, «evidenti elementi di dubbia costituzionalità secondo
consolidati pronunciamenti della Corte costituzionale». «Quanto ai contenuti - rileva il direttivo - le
misure di riduzione previste (che sono tra le più alte d’Italia), non tengono conto alcuno del fatto che in
Friuli Venezia Giulia sugli assegni è già applicata da ben nove anni una riduzione del 10 per cento,
mentre ciò non avviene in molte altre regioni, che per gli assegni stessi da tempo non è previsto alcun
aggiornamento Istat e che il loro importo, per una certa sua parte, è ora soggetto a doppia tassazione».
Gli ex consiglieri mirano quindi a coinvolgere nel contenimento della spesa tutti i politici, anche quelli
in attività. «Ben altra valutazione avrebbe da noi avuto il provvedimento - si legge in una nota - qualora
avesse abbracciato in un disegno organico di contenimento della spesa l’intero e non trascurabile
comparto della politica a cominciare dalla Regione: indennità dei consiglieri in carica, compresi gli
assessori esterni, segretari dei consiglieri regionali che oggi sono uno per consigliere, mentre fino a
pochi anni fa c’era un portaborse ogni 4 o 5 eletti, rimborsi spese forfettari ed esentasse, segreterie
assessorili ipertrofiche, con un numero sempre maggiore di addetti. L’assenza totale di una tale
organicità di impostazione, che fa assumere alla proposta di legge un carattere “vessatorio” nei
confronti di chi ha fatto il proprio dovere istituzionale, la mancanza di una connotazione solidaristica
del provvedimento, impongono l’indizione dell’assemblea degli iscritti per una comune valutazione e
per le determinazioni conseguenti, ivi compresa l’azione legale, come del resto avvenuto in altre
Regioni e come da indirizzo del Coordinamento nazionale». Il direttivo metterà infine in atto una
attenta ricognizione dei costi dell’attuale politica per evidenziarli all’attenzione di chi vuole ridurne
l’onere per i cittadini. «Con i tagli previsti dalla proposta di legge del Gruppo di lavoro - obietta ancora
il presidente Arduini - la Regione potrebbe risparmiare circa 700, 800 mila euro su un totale di 9
milioni l’anno. Ma si tratta dello zero virgola del bilancio. Capisco che per loro diventa una questione
di principio, ma non si risolvono in questo modo i problemi del mondo. Perchè dobbiamo essere colpiti
solo noi? Capisco che la situazione economica italiana è difficile, ma i sacrifici vanno condivisi. Invece
adesso gli attuali consiglieri, che in futuro non avranno il vitalizio, percepiscono circa mille euro netti
in più in busta paga ogni mese». Arduini liquida in poche battute anche la legge del Movimento Cinque
Stelle: «Ricalcolare tutti gli assegni sulla base del sistema contributivo non è possibile per i vitalizi già
erogati - osserva -. Si potrebbe farlo per quelli futuri, la legge in questi casi non prevede norme
retroattive. A mio avviso il fine ultimo di questa campagna che ha nel mirino gli ex consiglieri è
l’autonomia regionale. Si discute tanto di macroregioni e di accorpamenti, vogliono cancellare la
Specialità del Friuli». Attualmente sono 213 gli ex consiglieri o eredi che godono del vitalizio, che è
più o meno sostanzioso a seconda del numero dei mandati effettuati. Di questi 95 percepiscono un
assegno mensile lordo tra 1.500 e 3.500 euro, 86 hanno un assegno che va dai 3.500 ai 6 mila euro,
mentre in 23 non superano i 1.500 euro, sempre lordi. Con le nuove regole l’età minima per ricevere la
pensione salirà a 65 anni. I tagli previsti resteranno in vigore fino alla fine della legislatura, cioè al
giugno 2018.
“Provocazione” Sel: in Fvg Serracchiani come Tsipras (M. Veneto)
di Maurizio Cescon UDINE Predica male, ma in compenso razzola bene. Lo sussurra più di qualcuno,
nei corridoi della politica regionale, nei confronti della presidente Debora Serracchiani. Perchè la
vittoria di Syriza in Grecia ha aperto un dibattito all’interno della galassia della sinistra in Friuli
Venezia Giulia e in particolare sui due ruoli di Serracchiani, governatrice e vice segretaria del Pd, e su
come vengono interpretati. A sparare le prime cartucce è il capogruppo di Sel in Regione Giulio Lauri.
«Sono molto soddisfatto di come stiamo amministrando - dice -, in piena sintonia con il cambiamento
greco. Qua abbiamo intrapreso una strada diversa rispetto al governo Renzi: niente bonus bebè ma
investimenti per potenziare gli asili nido. E poi c’è il nodo del sostegno al reddito che attueremo nei
prossimi mesi e che è nel programma di Tsipras e non in quello di Renzi. E ancora le politiche
industriali: tra pochi giorni votiamo un pacchetto di grandi investimenti su scelte ben precise, non è più
tempo di finanziamenti a pioggia. Da noi l’ente pubblico diventa protagonista di un cambiamento vero,
si governa con un centrosinistra organico che ha un certo grado di autonomia rispetto alle forze
politiche, compreso il Pd. A chi mi chiede se il voto in Grecia può indebolire la maggioranza regionale
rispondo che si tratterebbe della peggiore vecchia politica e che, al contrario, un laboratorio di
cambiamento come quello costituitosi nel governo del Friuli Venezia Giulia con la guida di Debora
Serracchiani non può che uscirne rafforzato». Il consigliere regionale civatiano Vincenzo Martines
sottolinea come «in Friuli c’è una presidente eletta dal popolo, a differenza di Renzi, che governa con
un centrosinistra pieno dove c’è Sel e dove non esistono larghe intese. Questa è la differenza vera con
Roma, il doppio ruolo di Serracchiani non pesa. Stiamo rispettando il programma di governo, era più o
meno quello che avevamo detto ai cittadini in campagna elettorale. La vittoria di Tsipras può fortificare
la sinistra europea, noi abbiamo bisogno di più sinistra, non di meno. E’ il Premier Renzi che deve
andare di più verso sinistra, altrimenti la finanza tedesca che comanda nell’Ue non la battiamo». Non
vede dicotomie tra Serracchiani leader del Pd in versione “romana” e quella che opera tra Udine e
Trieste, il capogruppo democrat in Consiglio Cristiano Shaurli. «Il programma che portiamo avanti è di
centrosinistra e ciò è percepito dalla gente - spiega -. Il Pd a Roma deve fare riforme spesso difficili e
non popolari, non vedo dicotomie tra i due ruoli di Serracchiani. C’è soddisfazione per Tsipras, in un
Paese come la Grecia dove c’era il rischio di derive razziste e di estrema destra. Ecco non vorrei che la
sinistra italiana, per l’ennesima volta, si innamorasse di un leader straniero, come è accaduto in passato
per Blair, Zapatero o Segolene Royal. Vorrei però che a livello di Ue il Partito socialista europeo fosse
più attivo nel contrastare le politiche di austerità. Ai cittadini dobbiamo dare sogni, speranze e
passioni». «Oggi più che mai dobbiamo essere capaci di guardare oltre al nostro ombelico, per il bene
del Paese. E la cosa vale per tutti - afferma la segretaria regionale del Pd Antonella Grim -.
Concentriamoci sul Paese reale, lavorando uniti per realizzare le riforme. Il Pd ha la responsabilità, sia
a livello nazionale che regionale, di concretizzare il percorso del cambiamento, già avviato, e sono
convinta che ce la farà. La vittoria di Syriza inciderà sugli equilibri a livello europeo e auspico possa
dare ulteriore stimolo al percorso all’insegna della crescita iniziato dal Pd in Europa».
Ecco come innovare il welfare (M. Veneto)
di FRANCO BELCI Ci fa piacere che il dibattito sul “reddito”, variamente denominato (il nostro è di
“inserimento”) abbia preso quota dopo la posizione assunta dalla Cgil Friuli Venezia Giulia alla fine
dell’anno scorso. Troviamo importante che anche la Cisl lo abbia affrontato in una propria iniziativa
alla presenza della presidente e di tre assessori regionali, individuando nel “modello scandinavo”,
fondato su un mix di interventi assistenziali e su misure di avviamento a una vita autonoma, un
riferimento che condividiamo. Ci spiace invece che la presidente abbia declinato, per altri,
concomitanti impegni, l’invito al nostro dibattito pubblico del 20 febbraio, al quale interverrà anche
Susanna Camusso e nel corso del quale presenteremo la nostra proposta, sostenuta da una ricerca
dell’Ires. Partiamo da due condizioni di base: lo strumento da mettere in campo dovrebbe avere
carattere “integrato”, al pari di quello scandinavo, tenendo conto peraltro che la causa principale
dell’impoverimento è la perdita o l’indisponibilità del lavoro e che l’uscita principale dalla povertà è
legata all’occupazione. In secondo luogo si può contare su risorse limitate: i 10 milioni della
Finanziaria più i 4 che dai nostri conti derivano dai risparmi sui buoni mensa che le organizzazioni
sindacali dei dipendenti regionali, con senso di responsabilità, hanno deciso, con un accordo, di
destinare all’obiettivo. Per l’assistenza la Regione spenderà nel 2015 quasi 240 milioni di euro, dei
quali una ventina per la povertà in senso stretto. Si tratta perciò di integrare gli strumenti esistenti verso
una soluzione che garantisca un diritto universale ma sia nel contempo selettiva rispetto alle situazioni
delle singole persone. L’altra opzione possibile sarebbe quella di estendere, in maniera non simbolica,
le misure, per coprire tutte le situazioni di povertà, che secondo la ricerca “Idea Tolomeo” ammontano
a 100 mila casi: ma allora le risorse necessarie sarebbero molto più cospicue. La presidente ha
sostenuto che l’istituto non dovrà essere legato al lavoro. Ce ne sfuggono le ragioni: il Governo non ha
prodotto la riforma degli ammortizzatori sociali in senso universalistico, vi sono notevoli smagliature e
incertezze di copertura per i provvedimenti, non c’è stato il rifinanziamento dei contratti di solidarietà e
degli ammortizzatori in deroga. Ciò creerà certamente dei “buchi” nella condizione dei lavoratori che
sarà necessario coprire, altrimenti saranno loro a scivolare nella condizione di povertà. E perché negare
ai giovani un percorso di inserimento con un progetto personalizzato di politica attiva del lavoro a
tempo e verificabile, che potrebbe a sua volta far uscire un’intera famiglia dalla povertà? Non riteniamo
affatto che, come ha sostenuto la presidente, “indennità e sussidi” oggi esistenti nel mercato del lavoro
siano sufficienti a coprire queste situazioni. Per realizzare questo “reddito integrato” sarà necessario
operare, nella legge che lo definirà, un riassemblaggio degli istituti di welfare sparsi per le normative di
settore, che in un anno e mezzo si sarebbe già potuto mettere a punto: come si vede, i ritardi sono più
spesso attribuibili a qualche assessore che alla “concertazione”. Quegli istituti, nella logica della nostra
proposta, dovranno entrare a far parte del “reddito”, riducendo le risorse complessive necessarie. Vista
la presumibile mole delle domande, sarà peraltro necessario individuare degli scaglioni Isee che
evidenzino le situazioni di maggior disagio, alle quali prioritariamente andranno indirizzati i benefici.
Saranno queste (e altre) le questioni che porremo alla presidente della Regione Debora Serracchiani
nell’incontro al quale ci ha invitati il 3 febbraio. Un passaggio in ogni caso positivo, anche se arriva in
ritardo. segretario regionale Cgil
Belci (Cgil): sbagliato cambiare su Irap e Irpef (Gazzettino)
UDINE - (AL) Emendamento consiliare al Rilancimpresa ancora con il condizionale quello ipotizzato
dal consigliere Pd Renzo Liva - agire in maniera ancor più significativa sull'Irap per i nuovi
insediamenti e sull'addizionale Irpef per aumentare la produttività - e già l'alzata di scudi della Cgil.
Del tutto critico anche sull'ipotesi di abbattere l'addizionale Irpef nel caso di contratti di secondo livello
finalizzati alla produttività. «Si premierebbe chi oltre ad avere un lavoro può anche incrementarlo sostiene Belci -. Noi avevamo fatto la proposta alla presidente Serracchiani che con l'addizionale Irpef
si agisse, invece, per un provvedimento generalizzato dedicato ai contratti più deboli».
Inquilini Ater morosi, debito di 1,7 milioni (Piccolo)
di Gianpaolo Sarti TRIESTE In Friuli Venezia Giulia quasi 2mila famiglie che vivono in un alloggio
Ater non sono in regola con il pagamento dell’affitto mensile. Rappresentano il 7% del totale degli
oltre 25mila inquilini distribuiti nei cinque enti di Trieste, Gorizia, Udine, Pordenone e Alto Friuli. La
Regione si trova così sul groppone oltre un milione e 700 mila euro di crediti. Nel 2011 era poco più un
milione, segno che al denaro non ancora riscattato si sono aggiunti di anno in anno altri casi. Uno
specchio della povertà o della semplice “negligenza” dei cittadini. Maglia nera a Gorizia e Udine, con il
12% e il 9% delle morosità. Trieste, in cui l’operazione recupero sta portando risultati, si colloca al
4,3%. Complessivamente ogni anno le Ater perdono tra l’1% e il 2% degli incassi, nonostante i solleciti
e i contenziosi legali. Il quadro I dati sono stati raccolti dall’assessorato alle Infrastrutture che fa capo a
Mariagrazia Santoro e si riferiscono ai bilanci dei cinque enti territoriali per il periodo 2011-2013. Un
arco temporale in cui appare evidente come alla voce “morosità” la Regione si trovi con crediti in
crescendo. Non tanto nell’incidenza del fatturato annuale, che nell’intero Fvg oscilla mediamente tra
l’1 e il 2%, quanto sulla somma di denaro che ogni anno si trascina dietro. Un problema che deriva sia
dalla difficoltà di recuperare il pregresso, sia dalle nuove famiglie che faticano a finire il mese. Nel
2013 risultano 1.852 casi su un totale di 26.764 inquilini, vale a dire il 7% per 1.741.872, 33 euro. Un
miglioramento rispetto il 2012 (1.810.734,78 euro), ma un’impennata dal 2011 (1.097.950,11 euro).
Udine e Gorizia in difficoltà L’Ater di Udine è la più in difficoltà: dalle 219 famiglie del 2011 si è saliti
alle 661 nel 2013, per un ammanco di quasi 600 mila euro. Tre volte tanto per un ente che evidenzia
uno dei tassi di morosità più elevati, pari al 9%. Fa peggio Gorizia: qui i dati forniti dalla Regione
tengono conto soltanto alle cifre superiori ai 100 euro; basta questo per far balzare l’isontino al 12%
per oltre 430 mila euro, a fronte dei 133 mila del 2011 e i 225 del 2012. Pordenone si ferma al 4%,
mentre l’Alto Friuli è al il 5,6, realtà che con i suoi 1.056 inquilini porta numeri più contenuti: 38 mila
euro di perdite. Trieste in recupero Nel capoluogo, come noto, si conta il maggior numero di alloggi in
assoluto: 10.843. 470 famiglie non risultano a posto col pagamento del canone (4,3%), ma l’ente
triestino è riuscito a riprendere una parte della somma mancante. Dai 680 mila euro del 2011, si è
passati ai 968 mila del 2011 e ai 571 mila del 2013, sebbene si sia aggiunta una ventina di nuove
insolvenze. Considerando il fatturato annuale, invece, la morosità nel 2013 è stata dell’1,7%; una
diminuzione rispetto alle annualità precedenti, ma sopra la media dell’1 % che caratterizzava gli
andamenti fino al 2010. L’intervento della Regione «L’analisi restituisce un quadro coerente con la
difficile situazione che stiamo attraversando», commenta Santoro. «Le morosità sono molteplici e
diversificate e vengono trattate dall’amministrazione delle Ater con estrema delicatezza, prima di
giungere all’apertura di contenziosi legali». Per fronteggiare l’emergenza, lo Stato sta provvedendo a
un nuovo riparto tra tutte le regioni con il “Fondo inquilini morosi incolpevoli” che ammonta a 32,73
milioni di euro per il 2015. Nello schema di decreto del Lupi, al Fvg spettano 587.920,53 euro. Da
Roma è giunto un ulteriore milione a sostegno delle locazioni per l’annualità 2014. I mutui casa Mara
Piccin (Gruppo Misto), intanto, sollecita la Regione a fare chiarezza sui presunti ritardi nell’erogazione
dei contributi sull’edilizia agevolata. «Moltissime giovani coppie – accusa in un’interrogazione –
decidono di acquistare una casa anche grazie all'incentivo regionale, che copre fino al 20% del costo
totale, ma si ritrovano prese in contropiede quando scoprono che le rate del contributo sono erogate con
oltre 12 mesi di ritardo dalla presentazione della domanda». Un meccanismo, risponde Santoro,
«introdotto dal centrodestra e che noi ridurremo di 6 mesi».
Pressing per il “pacchetto anziani” (Piccolo)
TRIESTE La nuova legge regionale sull’invecchiamento attivo, varata a ottobre dello scorso anno, non
può restare sulla carta: servono interventi concreti e immediati. Il pressing parte dai sindacati
pensionati di Cgil, Cisl e Uil, che ieri hanno incontrato in un convegno la presidente della Regione
Debora Serracchiani e l’assessore alla Salute Maria Sandra Telesca al Centro Balducci di Zugliano. Le
parti sociali hanno sollecitato la giunta a istituire «in tempi brevi» un tavolo intersettoriale che avvii la
fase attuativa della norma. Il dibattito sul tema si è aperto con la relazione introduttiva di Gianfranco
Valenta, segretario generale Fnp-Cisl Fvg, moderato da Magda Gruarin (Uilp-Uil) e concluso da Ivan
Pedretti, della segreteria nazionale Spi-Cgil. I sindacati hanno anche votato un ordine del giorno in cui
si chiede alla Regione di programmare, prima dell’avvio del tavolo interesettoriale, una giornata di
lavori con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti e toccati dall’attuazione della legge. Sul piano
operativo, invece, le tre sigle domandano di rafforzare le misure per l’assistenza domiciliare agli
anziani e di riqualificare le case di riposo secondo standard appropriati e costi sostenibili. La presidente
Serracchiani ha innanzitutto posto l’accento sull’indirizzo imboccato dalla norma sull’invecchiamento
attivo «che sprona tutti a fare uno sforzo culturale, per considerare l’anziano un investimento», per poi
rilevare che nei due ospedali della provincia di Udine in cui è stata chiesta una riconversione, ovvero
Gemona e Cividale, verrà potenziata proprio l’offerta della medicina di prevenzione. (g.s.)
Assistenza a casa e prevenzione. Ecco la nuova legge (M. Veneto)
UDINE «Istituire in tempi brevi il tavolo intersettoriale che avvii la fase attuativa della legge
sull’invecchiamento attivo». È quanto hanno chiesto alla giunta regionale i sindacati dei pensionati di
Cgil, Cisl e Uil, nel corso di un incontro tenutosi a Zugliano dedicato proprio alla nuova legge 57/2014,
approvata a ottobre dalla Regione. A raccogliere la richiesta la presidente della Regione Debora
Serracchiani e l’assessore alla Salute Maria Sandra Telesca, intervenute al dibattito, aperto dalla
relazione introduttiva di Gianfranco Valenta, segretario generale Fnp-Cisl Fvg, moderato da Magda
Gruarin, Uilp-Uil, e concluso da Ivan Pedretti, della segreteria nazionale Spi-Cgil. I pensionati hanno
chiesto inoltre «l’adozione di ulteriori misure che rafforzino l’assistenza domiciliare agli anziani come
approccio prioritario nelle politiche per gli anziani, senza porre in secondo piano il tema della
riqualificazione delle case di riposo». «La legge regionale sull’invecchiamento attivo sprona tutti a fare
uno sforzo culturale, per considerare l’anziano un investimento. È solo una parte del lungo percorso
della riforma della sanità ed è per questo importante continuare a confrontarci con i sindacati dei
pensionati e avere un contributo diretto e utile nel percorso di attuazione, così come è stato al momento
dell’elaborazione della riforma». Lo ha detto la presidente Debora Serracchiani, aggiungendo che
«stiamo costruendo la cornice all’interno della quale dare contenuti nuovi al nostro sistema sanitario».
Rispetto alla richiesta di maggiori investimenti nella prevenzione, la presidente ha ricordato come nei
due ospedali di Gemona e Cividale verrà potenziata proprio l’offerta della medicina di prevenzione.
L’assessore Telesca ha parlato del lavoro in atto per migliorare il servizio nelle case di riposo, ma
orientando l’obiettivo verso il potenziamento della domiciliarità.
Banche, sul contratto è scontro aperto (Gazzettino)
UDINE - «Da più di quindici anni i bancari pagano il prezzo dell'incapacità manageriale dei vertici
aziendali, in termini di licenziamenti collettivi, diminuzione delle retribuzioni, assunzioni asfittiche di
giovani, aggressione di norme contrattuali, pressioni psicologiche per il raggiungimento di obiettivi
commerciali». Il segretario della Fabi Udine Guido Fasano replica così agli «slanci di ottimismo»
manifestati dal presidente dell'Abi Antonio Partuelli e dagli relatori alla convention udinese di sabato
scorso. Le banche, denuncia Fasano, «non considerano né l'ipotesi di ammettere le proprie colpe
rispetto ai guasti prodotti, né presentano seri progetti di migliore tutela del risparmio e concessione di
credito alle famiglie e ai piccoli imprenditori». Oggetto del contendere la vertenza sul rinnovo
contrattuale dei bancari, preceduta dalla disdetta del precedente contratto da parte dell'Abi. La Fabi, in
vista dello sciopero indetto per venerdì prossimo, annuncia una «dura lotta» da parte dei lavoratori
bancari italiani e friulani.
CRONACHE LOCALI
Saf, la protesta silenziosa blocca la città per un’ora (M. Veneto Udine)
di Giacomina Pellizzari Gli autisti degli autobus extraurbani della Saf rispettano la tabella di marcia e
tra viale Palmanova e l’autostazione il traffico va in tilt. Ieri, intorno alle 13, chi transitava tra via del
Partidôr e piazzale D’Annunzio è rimasto imbottigliato tra un’ottantina di corriere in fila, ferme davanti
ai semafori o che procedevano a passo d’uomo. Inevitabili i rallentamenti in buona parte della città. È
la conseguenza della vertenza in corso tra l’azienda dei trasporti e le rappresentanze sindacali sui tempi
di percorrenza dei pullman tra il deposito di via del Partidôr e l’autostazione dove i mezzi devono
arrivare in perfetto orario per garantire la turnazione delle banchine. E l’azienda risponde annunciano
«controlli ferrei all’uscita dal deposito, tra le 12.30 e le 13.15, per verificare che non ci siano
atteggiamenti spontaneistici». «I tempi previsti per gli spostamenti non sono sufficienti, da anni diversi
autisti regalano tempo lavoro per permettere che il meccanismo funzioni. Per dimostrare questo tipo di
flessibilità che l’azienda non riconosce, gli autisti, così mi hanno riferito i miei iscritti - spiega
Pierpaolo Saccavini della Faisa-Cisal - rispettano le procedure previste dal regolamento dei turni».
Risultato: traffico bloccato lungo tutto il tragitto con conseguenze nelle strade vicine. Il caos, ieri, è
durato circa un’ora. Tutti, dal vertice aziendale alle sigle sindacali, hanno ripetuto che non era una
protesta organizzata: «Non è stato indetto alcuno sciopero». Ufficialmente, infatti, non esiste alcuna
comunicazione anche perché, come ripete Saccavini, gli autisti anziché uscire qualche minuto prima, si
sono limitati a rispettare la tabella di marcia. «Proprio perché nell’autostazione le banchine di partenza
non sono 80, per non tenerle occupate è necessario che i pullman entrino pochi attimi prima della
partenza» aggiunge Saccavini nel ricordare che le sigle sindacali contestano «i tempi di spostamento
dal parco di via del Partidôr all’autostazione: a nostro avviso non sono sufficienti. Tant’è che da anni
gli autisti di 60 su 80 turni regalano tempo lavoro. E siccome l’azienda non riconosce questa forma di
flessibilità abbiamo deciso di far comprendere cosa facciamo ogni giorno». Saccavino ci tiene a
sottolineare che «il 99,99 per cento delle persone che lavora alla Saf tiene al servizio che fa». Insomma
nell’assemblea unitaria organizzata la scorsa settimana, durante la quale sono stati analizzati anche i
possibili scenari futuri legati al nuovo bando di gara per l’affidamento del trasporto pubblico locale, le
sigle sindacali hanno dato indicazione di rispettare la tabella di marcia. Niente di più, ma stando a
quanto registrato ieri, quella tabella di marcia è destinata a creare più di qualche disagio. La Saf però
resta ferma sulle sue posizioni e attraverso l’amministratore delegato, Gino Zottis, ribatte: Da parte
delle associazioni sindacali non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione, domani (oggi ndr) metteremo
in campo controlli più ferrei all’uscita per far rispettare le tabelle di marcia, ammesso che qualcuno
abbia adottato atteggiamento spontaneistici». Insomma, sembra proprio che la vertenza sugli orari tra
azienda e lavoratori sia appena all’inizio.
Molestie sul lavoro, aumentano le denunce (M. Veneto Udine)
Umiliazioni, aggressioni verbali, pressione psicologica, fino, in molti casi, alle molestie sessuali. Sono
le donne sopra i trent’anni, single ma anche giovani mamme, le più colpite dal mobbing sul lavoro. Nel
2014, allo sportello «Sos Antimobbing» della Provincia di Udine sono state ben il 70% degli utenti:
108 casi su 148 seguiti in totale, che salgono a 505 su 720 se si scorrono le statistiche dal 2007 a oggi. I
dati illustrati ieri a Palazzo Belgrado dall’assessore provinciale alle Politiche sociali, Elisa Battaglia,
dalla coordinatrice del servizio Cristina Caparesi e dall’avvocato Teresa Dennetta, fotografano un trend
in progressivo aumento. In otto anni, da quando la Provincia su legge regionale ha istituito il centro di
ascolto a Udine e nella sede decentrata di Tolmezzo, sono state ricevute in totale 1.324 richieste.
L’identikit delle professioni più vessate trova in prima linea impiegati, seguiti da insegnanti e
infermieri, con un picco, registrato tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, di dipendenti pubblici. Una
novità questa, spiega Caparesi, innescata da «procedure di mobilità, cambio di orari, trasferimenti
coatti, che possono portare a una perdita di competenza professionale e al disagio». Più in generale,
sono denunciate contestazioni disciplinari, ma anche rientri da maternità complicati, «come quando
accade che le lavoratrici al ritorno in ufficio non trovino neanche la loro sedia – spiega Dennetta –. E
poi, ci sono le discriminazioni di genere, in ambienti maschilisti, che possono arrivare fino
all’emarginazione a causa del rifiuto sessuale». Tuttavia, solo il 7 per cento dei casi, secondo gli
esperti, è configurabile come mobbing, ovvero come una strategia finalizzata all’allontanamento del
lavoratore, tutto il resto fa parte della casistica dello stress da lavoro. I vessatori sono soprattutto
uomini, il 58%, quasi sempre, titolari o superiori della vittima. «Lo sportello ha visto un aumento
crescente degli accessi – sottolinea Battaglia – tanto da diventare un punto di riferimento qualificato
per chi è in cerca di aiuto e per superare situazioni di disagio sul posto di lavoro». Da due anni, poi,
l’attività si è estesa anche all’ambito anti-crisi, supportando chi ha pendenze esattoriali con un
protocollo di collaborazione sottoscritto con Equitalia, Inps e Agenzia delle Entrate, per arrivare alla
rateizzazione del debito. Sono 15 le persone aiutate nel 2014, tra pensionati, giovani disoccupati e
donne sole. Lodovica Bulian
Spav, disco verde al concordato (Gazzettino Udine)
Elena Viotto I lavoratori della Spav Prefabbricati di Martignacco possono tirare un sospiro di sollievo.
Il concordato preventivo è salvo. La buona notizia è arrivata ieri dopo che il Tribunale di Udine ha
deciso di archiviare la domanda di revoca del concordato discussa all'udienza di giovedì scorso.
Ammessa al concordato preventivo il 24 dicembre, l'azienda era stata impossibilitata a depositare i 200
mila euro, pari al 50% delle spese della procedura, entro il termine fissato al 7 gennaio. Proprio in quel
periodo, infatti, l'azienda si era vista congelare sul conto circa 580 mila euro a seguito di un sequestro
preventivo disposto dal gip su richiesta della Procura di Udine nell'ambito di un'indagine per mancato
versamento dell'Iva 2012 aperta a carico del legale rappresentate della società. L'azienda era riuscita a
ottenere finanziamenti e a versare quindi la somma di 80 mila euro che avevano portato il Tribunale a
fissare un'udienza per la revoca del concordato. Nel frattempo però la Spav, seguita nella procedura di
concordato dall'avvocato Emanuele Urso e dal commercialista Daniele Cattaruzzi, era riuscita a
ottenere finanziamenti per altri 120 mila euro, depositando così alla data dell'udienza l'intera somma
prevista.
Il Tribunale ha deciso quindi di archiviare la revoca del concordato, aderendo alla tesi dell'azienda per
cui il termine per il deposito della somma non è di natura perentoria. Si può dunque procedere con il
piano industriale in continuità 2015-2019, che prevede una rateizzazione in cinque anni delle somme
dovute all'erario, il pagamento dei creditori privilegiati entro un anno dall'omologa per oltre 800 mila
euro e degli altri con la liquidazione degli immobili. Il piano prevede il ritorno immediato in fabbrica di
27 dei circa 76 dipendenti ora in cassa integrazione, che vanno ad aggiungersi ai 3 impiegati in ufficio
tuttora al lavoro. L'adunanza dei creditori è fissata per il 2 marzo.
Mobbing in aumento fra i dipendenti pubblici (Gazzettino Udine)
Lisa Zancaner UDINE - Il mobbing non colpisce più solo i lavoratori della aziende private, ma entra
anche tra le mura dei palazzi adibiti a pubblici uffici. Se la proporzione negli ultimi anni si attesta al
70% nel settore privato e 30% in quello pubblico, nell'ultimo mese del 2014 e nel primo scorcio del
2015 sono state numerose le segnalazioni da parte dei dipendenti pubblici come conferma Cristina
Caparesi, coordinatrice del punto sos antimobbing della Provincia di Udine.
«Nel settore pubblico - precisa poi l'avvocato Teresa Dennetta - una forma di vessazione nei confronti
dei dipendenti è rappresentata dalla mobilità straordinaria con lo spostamento dei lavoratori da un
settore ad un altro e la relativa perdita della competenza professionale acquisita».
Dal 2007 a oggi sono stati 720 gli utenti presi in carico, dato di molto inferiore ai primi accessi, e oltre
1300 i contatti. Nel corso del 2014 la struttura ha gestito complessivamente 163 casi, di cui 148 per le
vessazioni sul posto di lavoro e 15 gestiti dal punto anticrisi che colpiscono cittadini alle prese con le
cartelle esattoriali di Equitalia. Volendo fare un identikit del «mobbizzato», le più colpite rimangono le
donne (il 70%) a partire dai 30 anni, impiegate e con un diploma.
Un problema, quello del mobbing, che non incide solo sulla sfera personale del lavoratore, ma ne
riduce la produttività: «Il lavoratore che subisce vessazioni - conferma infatti l'assessore provinciale
alle politiche sociali, Elisa Battaglia - produce il 70% in meno». Insulti, critiche e minacce possono
rendere il posto di lavoro un luogo insopportabile, ma nonostante il timore di perdere l’occupazione, i
lavoratori si fanno avanti e i numeri lo dimostrano: nel 2014 sono stati 556 i colloqui realizzati, di cui
454 individuali.
Le azioni vessatorie riferite con maggiore insistenza appartengono alla categoria delle umiliazioni e
delle critiche e alcuni lavoratori hanno segnalato un eccesso di controllo, sotto forma di contestazioni
continue o atteggiamenti ossessivi nei loro confronti. Ma i veri e propri casi di mobbing, o meglio
presunti tali, rimangono circoscritti al 7% del totale dei casi.
Analizzando il dato di genere, il vessatore è per lo più un uomo (58% dei casi), generalmente il datore
di lavoro (72%), a fronte di un numero decisamente inferiore di vessazione orizzontale (25%). In tempi
di crisi, però, i lavoratori cercano di resistere e i casi di dimissioni o licenziamento si attestano all'8%,
mentre forme di malessere e perdite economiche sono le conseguenze più diffuse. Non mancano,
infine, le segnalazioni di molestia sessuale: «In questo caso si parte dal rifiuto di un'attenzione
sessuale» spiega l'avvocato Dennetta.
Appello alla politica per salvare l’Inps (M. Veneto Pordenone)
Sono 13.500 le pensioni erogate dall’Inps di Pordenone nel settore pubblico e 96.680 nel privato.
L’importo medio mensile delle pensioni nel privato è di 838,62 euro. Il 25 per cento di oltre 98 mila
pensionati percepisce la minima fino a 500 euro. Le pratiche arretrate di computo, riscatto,
ricongiunzione e altro sono calcolate intorno alle 2.500 unità. All’Inps di Pordenone lavoravano 145
dipendenti nel 2012 di cui quattro provenienti da altri enti: il primo febbraio 2015 saranno, invece,
secondo le attuali stime, 117. Le cessazioni sono 28 e, a febbraio, si pensioneranno in 12. Altri tre addii
sono previsti nel 2015 e i 4 effettivi provenienti da altri enti non saranno confermati. L’età media dei
dipendenti Inps ed ex Inpdap è di 53 anni. (c.b.)«Invito i consiglieri regionali a istituire un tavolo di
monitoraggio sulla funzionalità delle sedi Inps e sull’organico carente». Per l’ente di previdenza che ha
gli sportelli al Bronx, la soluzione passa alla politica: Carla Franza, presidente del Comitato provinciale
Inps, ieri mattina ha invitato all’analisi amministratori, il vertice dell’Inps Massimo Formichella,
Prefettura, sindacati, Unindustria e associazioni di categoria. Il vertice. Tavolo aperto in piazzetta del
Portello ai segretari Cgil, Cisl, Uil Giuliana Pigozzo, Arturo Pellizzon e Roberto Zaami, con il senatore
Lodovico Sonego e l’assistente di Giorgio Zanin, Lucia Roman. Per i consiglieri regionali c’erano
Renzo Liva, Chiara Da Giau e Luca Ciriani. Sonia D'Aniello consigliera provinciale ha rappresentato il
presidente e sindaco Claudio Pedrotti ed era affiancata dal capo gabinetto del Prefetto vicario con i
rappresentanti di Confartigianato e Confagricoltura. Il problema. «Uffici sotto organico – ha spiegato
Franza –. A febbraio i dipendenti rimarranno 117». Alcuni uffici hanno compiti delicatissimi come la
gestione di cassintegrazione, mobilità, Tfr, indennità di maternità, e hanno un solo operatore. La
situazione è difficile. Il taglio del budget dello straordinario del 50 per cento è un altro guaio. Il
gradimento del pubblico sulle prestazioni agli sportelli è alto, ma non basta a tamponare la crisi di
risorse umane negli uffici. «Il Comitato provinciale Inps esprime una forte preoccupazione – ha detto
Franza –. Saranno danneggiati i cittadini più colpiti dalla crisi». Crisi e risparmi. L’istituto di
previdenza e assistenza sociale è il punto di riferimento per migliaia di aziende, lavoratori e pensionati
del settore privato e pubblico. Il bilancio sociale 2013 dell’Inps Fvg ha riportato alcune criticità. E’
difficile l’accesso alle prestazioni da parte degli anziani. «Basta prendere in considerazione l’elevata
percentuale di abbandono – rileva Franza – delle chiamate. L’agenzia di Spilimbergo sarà collocata
all’interno di locali comunali, passando così da un affitto di 80 mila euro annui a un affitto di 15 mila
euro annui. Il quinto piano dei locali Inps a Pordenone saranno restituiti all’Inail, con un risparmio di
un quinto dell’affitto complessivo». La riduzione degli straordinari (50%) è messa in conto. Criticità.
«Alcune criticità: la trasformazione delle pensioni da provvisorie a definitive comporta tempi di
giacenza oltre il tempo soglia fissato in 360 giorni – prosegue il progetto –. L’estratto conto
contributivo dei lavoratori del settore pubblico, che prevede l’evasione delle pratiche arretrate di
computo, di riscatto e di ricongiunzione ha una giacenza di 2.500 unità». C’è l’aumento delle pratiche
sottoposte a contenzioso giudiziario (287 nel 2013, 490 nel 2014 per l’aumento dei fallimenti) e
diminuzione del personale addetto all’ufficio legale da tre a due. Le prestazioni di cassintegrazione,
mobilità, Tfr, indennità di maternità sono gestite da una sola persona e non vi è un ricambio per i
singoli operatori nel caso di malattia o ferie. Chiara Benotti
Gli ex dipendenti Ovvio reclamano 300 mila euro (M. Veneto Pordenone)
ROVEREDO IN PIANO Ex dipendenti Ovvio sul piede di guerra: la proprietà non paga e non si fa
trovare, si procede per vie legali al recupero delle spettanze. Ammonta a circa 300 mila euro la somma
complessivamente dovuta, e mai corrisposta, dall’azienda ai 31 lavoratori rimasti a piedi dopo la
chiusura del punto vendita d’arredamento e oggettistica per la casa nel centro commerciale alle porte di
Roveredo. Vertenza. Una prima metà degli impiegati del negozio, inaugurato una ventina d’anni fa, era
uscita in mobilità volontaria a giugno 2014, mentre alla restante era stato dato il benservito a fine
agosto, senza troppe spiegazioni. Ad annunciare l’imminente chiusura, dopo un breve periodo di
liquidazione della merce, il responsabile delle risorse umane di Ovvio spa, società che faceva capo alla
Semeraro spa. L’accordo con l’azienda era stato firmato al termine di una serrata vertenza sindacale
(con tanto di presidio dei dipendenti davanti al negozio per una ventina di giorni) e prevedeva la
corresponsione a rate delle spettanze ai lavoratori: mensilità arretrate, Tfr, liquidazione e incentivo
all’esodo. Mancati pagamenti. Per il primo mese, ovvero a settembre, i pagamenti avvengono in
maniera regolare nei confronti del primo gruppo uscito in mobilità volontaria. I problemi cominciano a
ottobre, poiché la proprietà non rispetta una doppia scadenza: la seconda rata di spettanze ai lavoratori
congedati a maggio e la prima all’altra quindicina di persone che hanno atteso la chiusura del punto
vendita. Da allora, neppure un euro è stato versato sui conti correnti degli ex dipendenti Ovvio, che
percepiscono unicamente la mobilità. Da sola, quest’ultima non basta a far fronte alle spese familiari, al
mutuo e al mantenimento dei figli: di qui la decisione di rivolgersi a un legale cui affidare le pratiche
per il recupero crediti (circa 9 mila euro per ciascun lavoratore). Operazione, si sarebbe scoperto poi,
irta di difficoltà e complicazioni. Movimentazioni aziendali. Da una verifica effettuata nel corso della
procedura di recupero crediti è emerso un particolare di non poco conto: Ovvio spa non risultava più
esistente, essendo diventata Ovvio srl. Quest’ultima realtà si è poi fusa per incorporazione (assieme ad
altre 21 società affiliate alla proprietà Semeraro, tra cui una con sede a Bucarest e una a Lussemburgo)
nella Semeraro holding srl, società inattiva con capitale sociale di 35 mila euro. In aggiunta a ciò c’è
stato lo spostamento della sede aziendale da Brescia alla provincia di Roma. Un insieme di circostanze
che ha generato un grave problema di comunicazione tra lavoratori (tramite il loro legale) e proprietà:
le numerose lettere di sollecito inviate sono tornate, per varie vicissitudini, al mittente. Querela. La
situazione pare ingarbugliata e fumosa. Per vederci chiaro, gli ex dipendenti sarebbero intenzionati a
sporgere querela nei confronti della proprietà, affinché la Procura indaghi sulla legittimità di questi
movimenti societari. Il sospetto è che possano essere stati condotti per eludere gli obblighi nei confronti
dei creditori. Miroslava Pasquali
Contratto, bancari in corteo (Gazzettino Pordenone)
Lara Zani È in programma per venerdì 30 gennaio lo sciopero generale dell'intera categoria per l’intera
giornata, che in città culminerà in un corteo, sulla falsariga di quelli maggiori organizzati nelle città di
Milano, Roma, Palermo e Ravenna. L'appuntamento in riva al Noncello è per le 8.30 sotto la loggia del
Municipio, da dove il corteo si muoverà alle 9.30 lungo corso Vittorio Emanuele, fino a piazzetta
Cavour. Ad aderire alla manifestazione sono tutte le sigle dei lavoratori degli istituti di credito, e in
particolare a Pordenone Fiba-Cisl, Dircredito, Uilca, Fisac-Cgil, Fabi e Ugl. A scatenare la protesta dei
bancari è in primo luogo il tema del rinnovo del contratto collettivo nazionale, con la decisione,
annunciata unilateralmente dall'associazione datoriale Abi, di dare disdetta e successivamente di
disapplicare i contratti collettivi di lavoro, a partire dal prossimo 1. aprile.
Una decisione che rappresenterebbe, secondo i sindacati di categoria, un segnale netto di rottura di un
modello concertativo costruito e portato avanti negli anni. Fra le conseguenze di questa scelta, vi
sarebbe l'allargamento di fatto dell'area dei contratti complementari e l'appaltabilità delle lavorazioni
bancarie, ai quali i sindacati contrappongono «la proposta di un nuovo modello di banca - spiega
Michele Baù (Fabi) -, con professionalità implementate da attività collaterali e la costituzione di nuovi
centri di ricavo». «Se viene meno la professionalità del bancario - aggiunge Tiziano Turrini (FisacCgil) -, si impoverisce inevitabilmente la gestione del credito». «L'Abi si impunta solamente sulla
riduzione dei costi dei lavoratori. Non si può - conclude Alessandro Scotti (Fiba-Cisl) - creare uno stato
di agitazione come questo in un momento come quello attuale, in cui la banca dovrebbe svolgere una
funzione di supporto a favore di aziende e famiglie che soffrono. È inevitabile che queste ne risentano».
L'altra vertenza. Scioperi anche nel credito coop
PORDENONE - Una pesante vertenza, molto simile a quella dei dipendenti degli istituti che
aderiscono all’Abi, si è aperta proprio nei giorni scorsi anche nel sistema delle banche di Credito
cooperativo. La Federazione nazionale della Bcc ha, infatti, annunciato alle varie federazioni
organizzate su base regionale la disdetta dei contratti di categoria. Sia a livello nazionale che a livello
locale. I tempi, in questo caso, potrebbero essere un po’ più lunghi. Ma la strada pare segnata. Anche se
le organizzazioni dei lavoratori delle Bcc si preparano alla battaglia. Hanno infatti già annunciato una
mobilitazione anche nelle due Bcc presenti in Provincia, la BccPordenonese e FriulOvest Banca.
Mercatone e CoopCa: «Tavolo provinciale per affrontare le crisi» (Piccolo Trieste)
SACILE «Un tavolo territoriale nell’ex Provincia per affrontare la crisi della grande distribuzione:
salviamo il lavoro». Lo chiede una cinquantina di lavoratori della CoopCa e del Mercatone Uno di
Sacile. Ieri, nell’assemblea del sindacato Filcams Cgil con 36 dipendenti del Mercatone Uno è stato
fatto il punto della situazione. «Il 5 febbraio andremo a Bologna al tavolo aperto con la proprietà con
due Rsu sacilesi», ha anticipato la sindacalista della Filcams regionale Susanna Pellegrini. Aziende
diverse separate da due chilometri e mezzo sulla statale 13, ma la sorte è la stessa. «La CoopCa ha altri
quattro punti vendita in provincia oltre a quello di Sacile – ha indicato Daniela Duz, della Filcams Cgil
provinciale –. Bisogna tenere unito il territorio per salvare il lavoro». Le due aziende hanno presentato
domanda di concordato preventivo in bianco: i contatti con potenziali investitori per il nuovo piano di
rilancio lasciano aperto uno spiraglio di speranza. Mercatone Uno. «L’assemblea è andata bene.
Chiederemo un incontro con il sindaco Roberto Ceraolo». Pellegrini mette a nudo il problema: «Il
punto vendita di Sacile non ha problemi di bilancio, ma paga quelli del gruppo». Mercatone Uno,
azienda imolese di distribuzione mobili e oggettistica, ha presentato al tribunale di Bologna domanda
prenotativa di ammissione alla procedura di concordato preventivo. «Si tratta di una scelta imposta dal
perdurare della crisi e dal continuo calo dei consumi, che ha determinato una costante riduzione del
fatturato – è la nota dell’azienda –. Questa situazione ha ostacolato l’originario piano di rilancio del
gruppo». Il piano concordatario è stato affidato al commercialista Alessandro Servadei. Sarebbero in
corso trattative con potenziali investitori, con cui si starebbe discutendo il nuovo piano industriale. Il
gruppo Mercatone Uno ha 79 punti vendita e 3.700 dipendenti: 36 sono a Sacile. I deputati del Pd alla
Camera hanno presentato un’interrogazione al ministro del Lavoro. «I lavoratori – dice Pellegrini –
hanno mediamente 40 anni e sono nella maggioranza donne, con diversi single monoreddito. I contratti
di solidarietà scadranno in maggio». CoopCa. «La CoopCa ha presentato domanda di concordato
preventivo al tribunale a Udine». Duz ha due date in calendario. «Il 29 gennaio il giudice deciderà se
assegnare al cda oppure a un commissario giudiziale il piano di risanamento – ha anticipato –. Peraltro
alcuni soci hanno denunciato il cda». Il gruppo cooperativo soffre la crisi, come altri operatori
commerciali, e la richiesta di rimborso da parte dei soci ha inceppato il meccanismo alla voce liquidità.
Il cda ha scelto la via del concordato in bianco, per congelare la situazione, preservare il patrimonio e
ottenere dal giudice il tempo che serve: quello per presentare una proposta e un piano ai creditori. La
giunta regionale ha attivato una procedura di revisione straordinaria della situazione finanziaria e
patrimoniale. «Dopo il 15 marzo sapremo se il tribunale accetterà il piano – è l’altra scadenza indicata
da Duz – per salvare l’azienda». Quella che il 31 dicembre 2013 aveva un fatturato di 106 milioni.
Chiara Benotti
Risparmi Coop, due terzi a inizio estate (Piccolo Trieste)
di Piero Rauber Due terzi (più di ventimila euro quindi nel caso di un libretto vicino al tetto dei
33.350,33 previsto dal regolamento) verranno restituiti, o per lo meno torneranno nelle disponibilità dei
proprietari, a inizio estate. Il resto arriverà a mini-rate, via via che nelle casse di via Caboto continuerà
a entrare la pecunia attesa dalle vendite immobiliari appena bandite. Per queste mini-rate, però, non ci
sono date, almeno per ora. E soprattutto non può esserci, ad oggi, la promessa che tutti i risparmi
affidati in fede alle Coop (e congelati per via giudiziaria dallo scorso 17 ottobre, quando la più grande
azienda di casa era sull’orlo del baratro) torneranno effettivamente indietro fino all’ultimo centesimo.
Nei giorni in cui le grandi manovre per il salvataggio delle Coop operaie entrano nella loro fase
decisiva (con l’avvocato Maurizio Consoli che da commissario giudiziario si prepara a chiedere al
Tribunale gli annunciati due mesi di proroga per poter poi chiudere il piano di concordato preventivo al
più tardi entro metà marzo) cominciano dunque a farsi più marcati e meno sfumati i contorni della
vicenda che più interessa i 17mila soci che si sono visti appunto negare di punto in bianco, nel
momento in cui la Procura ha presentato l’istanza prefallimentare del 17 ottobre, la possibilità di
prelevare, tutti o in parte, i loro risparmi dai libretti Coop. «Risparmi sempre garantiti, trattati con
chiarezza e trasparenza, e, soprattutto, disponibili “a vista”, senza vincoli o attese», come recitava in
tempi evidentemente non sospetti lo stesso sito delle Operaie, mentre Bankitalia girava alla
magistratura segnalazioni sull’impossibilità, per una cooperativa, di gestire depositi “a vista” tipici di
un istituto di credito. Questa però è un’altra storia. Il “presente” mette a fuoco meglio l’annuncio di
Consoli a fine novembre in Consiglio comunale, in cui si prospettava proprio per giugno lo sblocco di
una quota «molto significativa» del prestito sociale. Una quota che si dovrebbe aggirare inizialmente
«tra il 60 e il 70%», mentre «sarebbe non corretto garantire al momento che il saldo sarà di certo
totale», come ha precisato ieri lo stesso commissario a conferma delle notizie diffuse dal Gruppo Fb
“Cooperative operaie soci come cautelarsi?”, manipolo di prestatori particolarmente “attivi” che di
recente hanno avuto udienza da Consoli col Comitato soci di Pordenone e hanno riportato sul web
alcuni estratti dell’incontro. In un passaggio si legge infatti che «i soci saranno oggetto di un riparto
entro giugno-luglio per una prevedibile e auspicata misura più che doppia del 30% (la percentuale
garantita dalle fidejussioni di legge, bloccati fino all’approvazione del concordato, ndr). Il piano poi
prevedrà ulteriori riparti man mano che verranno liquidati ulteriori beni: tutto il ricavato, detratte le
spese, verrà distribuito ai creditori». «L’avvocato Consoli - ancora - ha confermato che al momento le
proposte concrete ricevute sono quelle di Conad e Coop Nordest. I comitati hanno poi richiesto al
commissario copia della documentazione richiesta, tra cui il bilancio di Coop al 21.12.2013, che non
risulta segretata come sostenuto al Registro delle imprese in Camera di commercio».
Soprintendenza, salvi cinque dipendenti (Piccolo Trieste)
di Corrado Barbacini Salvi. In cinque hanno tirato un sospiro di sollievo. Nessun assenteismo. Le uscite
dalla Soprintendenza erano funzionali al lavoro, o meglio all’incarico. Così ieri mattina cinque tra ex e
ancora attuali dipendenti della Soprintendenza di palazzo Economo hanno chiuso la propria vicenda
giudiziaria nella maniera più indolore. La prima a cavarsela è Elvi Bossi. Per lei il giudice Laura
Barresi ha disposto il non luogo a procedere. Bossi, già segretaria del soprintendente, secondo le
indagini della Guardia di Finanza aveva accumulato 118 ore di assenza. Era stata indicata come la più
assenteista. Le indagini hanno poi dimostrato che era sì uscita da palazzo Economo, ma per ragioni di
servizio. Non per andare a fare la spesa. Così il gip Laura Barresi ha accolto la tesi del difensore
Alessandro Giadrossi. Elvi Bossi era stata fotografata con le sporte in mano all’ingresso di palazzo
Economo. Fin da subito aveva detto: «Non c'era la spesa, c’erano soltanto carte e documenti. Non ho
fatto nulla». E alla fine ha avuto ragione. Stesso discorso per Elisabetta Ruta, 59 anni, e Luisa Zubelli,
65 anni - la prima ex impiegata, la seconda già restauratrice - anch’esse assistite dall’avvocato
Giadrossi. Pure loro erano uscite da palazzo Economo per motivi di lavoro, non per andare al
supermercato o a passeggiare. E pure loro erano finite nei guai tradite dal cartellino. Non lo avevano
timbrato e così gli investigatori avevano “interpretato” l’assenza come assenteismo. Erano accusate di
falso e truffa, come tutti gli altri dipendenti finiti nella bufera. Assolti poi l’architetto Alvaro Colonna e
l'assistente Francesco Krecic. Secondo gli accertamenti della Tributaria, Colonna aveva collezionato un
totale di 41 ore di assenza dall’ufficio tra il 19 agosto 2010 e il 28 febbraio 2011. E anche in questo
caso il giudice ha ritenuto accettabile la ricostruzione del difensore, l’avvocato Riccardo Seibold,
secondo il quale le assenze erano funzionali all’attività esterna dell’architetto. Sopralluoghi insomma,
che per ovvie ragioni non potevano essere eseguiti in ufficio. Lo stesso vale anche per l’assistente
Krecic che è stato difeso dall’avvocato Giovanni Borgna. Il pm Massimo De Bortoli nella sua
requisitoria ha chiesto che Colonna fosse condannato alla pena di un anno e mezzo, e Krecic a quella di
un anno. Poi l’assoluzione «perché il fatto non sussiste»: nessuna truffa, nessun falso, anche perché
Colonna e Krecic erano in credito del pagamento delle ore straordinarie da parte dell’Amministrazione.
Chi invece comparirà davanti al giudice del dibattimento è l’architetto Lino Caputo, 65 anni. Per lui il
giudice Barresi ha disposto il rinvio a giudizio. L’udienza è stata fissata per il prossimo 4 marzo
davanti al giudice Massimo Tomassini. Lo scorso luglio si era chiusa invece con una pioggia di rinvii a
giudizio, e nemmeno un “non luogo a procedere”, l'affollatissima udienza preliminare davanti al
giudice Laura Barresi a carico di 34 dei 39 dipendenti della Soprintendenza accusati d'assenteismo
all’interno della maxi-inchiesta condotta dagli investigatori della Tributaria. Per tutti - eccezion fatta
per Marisa Callegaris, di 66 anni, e Francesco Tuppo, di 63, assistenti amministrativi di palazzo
Economo all'epoca dei fatti finiti nel 2012 sotto la lente (e le telecamere) degli inquirenti, difesi
entrambi dall'avvocato Andrea Frassini - la vicenda si era definita con un patteggiamento a un anno con
la sospensione condizionale della pena. In quell’occasione era stata fissata la data del 26 novembre per
il processo a carico di 34 dipendenti, poi è stato disposto il rinvio al 4 marzo; il numero sale a 35 con il
rinvio a giudizio disposto per l’architetto Lino Caputo.
Ferriera, in bilico la sorte della centrale Elettra (Piccolo Trieste)
di Silvio Maranzana È in vendita da tempo Elettra, la centrale elettrica da 170 megawatt che fornisce
energia alla Ferriera di Servola e che si trova all’interno del perimetro dello stabilimento. Quella che
sembrava però essere la soluzione più logica della questione, e cioé il suo acquisto, come del resto era
stato anche ipotizzato, da parte del Gruppo Arvedi che attualmente attraverso Siderurgica Triestina è
proprietario della stessa Ferriera, molto probabilmente non si realizzerà. «È una centrale da 170
megawatt, ma a noi ne bastano 20 o 30 - ha affermato lo stesso cavalier Giovanni Arvedi nel corso
dell’intervista rilasciata a Cremona al Piccolo - Ho localizzato in Germania due o tre turbine
inutilizzate: le farò recuperare e trasferire a Trieste». Dichiarazioni che hanno sollevato non pochi
timori in particolare tra i 25 dipendenti di Elettra e le loro famiglie. «Tra Elettra e Siderurgica Triestina
- specifica Michele Piga, segretario provinciale Filctem, il sindacato elettrici della Cgil - è stato firmato
un accordo commerciale che ha vigore fino al 31 dicembre 2015. Poi non sappiamo esattamente cosa
accadrà, ma di certo se rimarrà in funzione l’area a caldo, la Ferriera avrà bisogno della centrale.
Riguardo alla potenza, quelle dichiarazioni significano poco o nulla. Per fare un paragone, si può anche
voler passare dalla Ferrari alla Cinquecento, essenzialmente per ridurre i costi, ma anche la
Cinquecento non ha solo un motore, ma la carrozzeria e vari accessori. Non bastano dunque due turbine
meno potenti, c’è bisogno di caldaie, generatori, compressori, alternatori e strutture varie. Si tratterebbe
dunque di dover costruire una nuova centrale». Elettra, costruita da Ansaldo Energia nel 2000 e
funzionante dall’anno seguente, è tuttora proprietà di Alix partners, fondo inglese con investimenti
ramificati in tutto il mondo. Elettragroup, che controlla anche un’altra centrale, nel sito siderurgico di
Piombino e di cui è presidente del consiglio di amministrazione Luca Ramella, a causa della sua
situazione debitoria è stato avviato alla procedura concorsuale. La situazione dovrebbe definitivamente
chiarirsi a primavera. Elettra è stato l’elemento cruciale che ha ritardato le trattive per l’acquisto della
Ferriera da parte di Arvedi dall’amministrazione straordinaria della Lucchini. Dapprima infatti ha
dovuto essere risolta la questione del cosiddetto Cip6. Quindi è stato necessario attendere che il pool
degli istituti creditori di Elettra formato da cinque banche di cui tre estere con capofila il Banco di
Bilbao desse il via libera all’accordo con Siderurgica Triestina (gas di risulta del processo produttivo
della Ferriera a fronte della fornitura dopo la trasformazione del fabbisogno energetico dello
stabilimento siderurgico) che però scadrà già a fine anno.
Cattinara, pronto soccorso. Rivoluzione a fine mese (Piccolo Trieste)
di Piero Rauber «Contiamo di riuscire a mettere in atto una forte riduzione dei “fuori reparto” per
l’inizio dell’anno prossimo». L’obiettivo/promessa finale del neocommissario Nicola Delli Quadri,
tornato a Cattinara da tre settimane e mezzo, è un combinato disposto di scadenze intermedie. La
prima: un mese, massimo «un mese e mezzo», per l’arrivo al Pronto soccorso di “steward” e “hostess”,
cioè di «personale sanitario disponibile da formare appositamente» e da mettere a disposizione di
pazienti e di familiari in zona “triage”, «in aggiunta ai triagisti», per decongestionarne gli accessi e
riportare così a livelli sopportabili (oggi non lo sono) lo stress di malati, dottori, infermieri e ausiliari.
Stessi tempi d’attesa (oltre che stesse finalità, ovvero il contrasto del sovraccarico del Pronto soccorso,
ormai fisiologico) per la seconda scadenza: la “guardia” ortopedica “h24”, giacché «sono in corso le
procedure per l’assunzione di due dottori». La terza: «entro fine anno» l’attivazione della nuova Rsa
intraospedaliera al Maggiore, sorta di presa in carico intermedia tra ricovero ospedaliero e assistenza
esterna a domicilio o in casa di riposo dedicata in particolare ad anziani e cronici «dimissibili ma
dall’equilibrio clinico instabile per poterli gestire in una struttura capace di rispondere a ogni esigenza,
a cominciare dalla semplice radiografia». Il supermanager della sanità triestina, nominato commissario
straordinario dal primo gennaio sia dell’Azienda ospedaliera che di quella sanitaria, inizia dunque a
tirare le fila delle primissime novità snocciolate per intanto “a spot” dall’assessore regionale, Maria
Grazia Telesca, cercando di incanalarle già in un minimo di “road map”, a partire appunto
dall’emergenza delle emergenze: gli ospedali, e in particolare Cattinara, con la torre medica spesso
prossima al cosiddetto “overbooking” causa ricoveri “umanitari” più lunghi di quanto non dicano i
protocolli, e la torre chirurgica altrettanto spesso carica di pazienti impropri, al secolo i “fuori reparto”.
«La Rsa ospedaliera - spiega Delli Quadri - insieme alla definizione di percorsi brevi interospedalieri
per visite specialistiche saltando l’astante, a piani di continuità assistenziale, agli steward e alla guardia
ortopedica rientra tra le iniziative finalizzate a esercitare una minore pressione sul Pronto soccorso e
sulle divisioni di Medicina. Contiamo di raggiungere come detto una forte riduzione dei “fuori
reparto”, fenomeno che non si potrà mai eliminare ma ridurre sì, già tra dicembre e marzo prossimi, è
d’altronde nei mesi invernali che si registrano le maggiori complicanze». «La collaborazione tra le due
aziende - aggiunge Delli Quadri, che è capo di entrambe - è cominciata proprio sul terreno cruciale
della continuità assistenziale, in modo da governare insieme entrate e uscite tra Pronto soccorso e
ospedale, utilizzando in maniera più efficiente le risorse e le strutture a disposizione». Per 118 e
Distretto 4 all’ex Irfop di Valmaura, invece, i tempi sono più lunghi: «La Regione ha già stabilito la
norma per il passaggio di proprietà della struttura. Seguirà il piano finanziario per una progettazione
unica da dividere in due lotti. Prima il 118, perché è previsto in un padiglione vuoto, poi il Distretto».
Siamo nell’ordine dei due anni in un caso e dei tre nell’altro.
Centri per l’impiego, l’esercito dei 40mila (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain Fame di lavoro. Armi spuntate per affrontarla. Questo, in sintesi, il messaggio forte e
chiaro che è emerso ieri mattina dalla conferenza stampa dedicata all’attività dell’assessorato alle
Politiche attive del lavoro e dei Centri per l’impiego dell’Isontino. Alcuni numeri per inquadrare il
triste fenomeno. In quelli che un tempo si chiamavano “uffici di collocamento” bussano, in media, più
di 110 persone al giorno. Dal primo gennaio al 31 dicembre 2014 gli accessi sono stati
complessivamente 40.718 nelle tre sedi di Gorizia, Monfalcone e Grado. Sì, sono numeri (purtroppo)
positivi quelli degli sportelli della Provincia che conducono annualmente decine di migliaia di colloqui
per l’inserimento dei disoccupati nelle banche-dati, essenziali per accedere alle prestazioni Inps,
colloqui di primo orientamento, proposte di lavoro, preselezioni, contatti con le aziende,
predisposizione di piani di accompagnamento al lavoro, avvii a formazione, avvii ai tirocini, gestione
dell’inserimento lavorativo dei disabili, iscrizione alle liste di mobilità e informazioni sulle condizioni
di lavoro ed offerte di lavoro all’estero (servizio Eures). «Dal 2008 ad oggi possiamo dire che è
raddoppiata l’utenza dei centri per l’impiego», fa sapere la responsabile del servizio Politiche del
Lavoro della Provincia Elena Ciancia. E questa progressione fornisce la misura di quanto ci sia “fame
di lavoro” in tutto l’Isontino. Anche perché, parallelamente, lavorano anche le Agenzie interinali, alle
quali (scusate il gioco di parole) non manca lavoro. Altri numeri. «Nel 2013 - ha spiegato Ilaria Cecot,
assessore provinciale al Welfare - si sono registrate nell’Isontino 19.608 assunzioni che non sono
riuscite minimamente a compensare le 20.798 cessazioni. La differenza è stata pari a “-890”. Nell’anno
successivo, il 2014, i numeri sono ulteriormente calati: 18.970 assunzioni e ben 20.800 cessazioni.
Basta fare una semplice sottrazione per scoprire che siamo a “-1.830”. Questo per dire che il problema
del lavoro è enorme nella nostra provincia e servono strumenti più incisivi per affrontarlo». Infatti, oggi
la Provincia si ritrova ad avere tante armi, ma tutte (o quasi) spuntate. È notizia di ieri dei tagli dei
fondi per creare nuova occupazione. «Per l’alta qualificazione - rammenta Cecot - abbiamo ricevuto
solamente tre domande e tutte sono state evase per un importo di 20mila euro. Passando al bando
giovani (sotto ai 35 anni) sono state favorite 21 assunzioni a tempo indeterminato con uno
stanziamento di 82.345,55 euro e 91 a tempo determinato grazie a risorse pari a 145,682 euro. Riguardo
ai tirocini, 47.400 se ne sono andati per finanziare quelli ordinari e 35.740 per quelli rivolti agli
stranieri». Cecot ha espresso riserve sul progetto “Garanzia giovani”. «La Regione - le sue parole - ha
fatto la scelta di investire tutte le risorse sulla formazione finalizzata al reinserimento lavorativo. A
Gorizia hanno fatto richiesta di contributo 863 giovani: tutto questo ha prodotto... 12 tirocini. Questo
per dire che bisognerebbe mettere mano al sistema». Quanto all’annunciata rinascita dell’Agenzia del
lavoro, lo stesso assessore si è dimostrato molto tiepido. «Forse, non era questa la priorità. O meglio: il
contenitore non era la priorità. Era meglio soffermarsi sui contenuti».
L'odissea dei disabili per essere ricollocati nel mondo del lavoro
Un disabile si trova ad affrontare anche la difficoltà di trovare un posto di lavoro, benché esista una
normativa sul “collocamento mirato” che, almeno sulla carta, dovrebbe tutelare il suo diritto
all’occupazione. L’ha rimarcato ieri l’assessore provinciale Ilaria Cecot. «Su circa 950 persone iscritte
alle liste del collocamento mirato, di cui circa duecento in condizione di incollocabilità per deficit fisici
o inabilità totali – ha spiegato Cecot – in un anno ne abbiamo collocate soltanto 8 a tempo
indeterminato e 1 a tempo determinato». Una miseria, dunque. Con le aziende che, in virtù della legge
68 del 1999 e se con almeno 15 dipendenti, dovrebbero assumere un disabile, usufruendo in cambio di
incentivi e di agevolazioni fiscali, ma che – al contrario – non lo fanno, preferendo pagare le sanzioni
prevista dalla stessa legge. «La Provincia di Gorizia – aggiunge l’assessore Cecot – ha scelto di
applicare il regime sanzionatorio massimo per le aziende inadempienti. Ma a quanto pare non è
sufficiente». E a ciò si aggiunge che la legge, la 68/99 appunto, essendo stata scritta una quindicina
d’anni fa, si dimostra ormai fuori tempo rispetto all’attuale situazione economica, sociale e
occupazionale, in quanto prevede sgravi fiscali e incentivi soltanto in caso di assunzioni a tempo
indeterminato, dunque quasi mai. E così la Provincia di Gorizia si ritrova ad avere “congelato” 700mila
euro di contributi, tra i suoi e quelli del Fondo nazionali, che potrebbero essere erogati alle aziende
rispettose della normativa sul collocamento mirato. Quando la disabilità diventa davvero un handicap.
Non bastavano le barriere architettoniche in molti/troppi edifici, per le strade e sui mezzi di trasporto.
Non bastavano le difficoltà sociali, gli stupidi pregiudizi e le difficoltà oggettive di chi si trovi a vivere
una condizione di disabilità. (fra.fa.)
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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – martedì 27 gennaio 2015 Indice