fulvio abbate
roma
vista controvento
ISBN 978-88-452-7907-2
© 2015 Bompiani / RCS Libri S.p.A.
Via Angelo Rizzoli, 8 – 20132 Milano
Prima edizione Bompiani marzo 2015
INTRODUZIONE
di Carlo Verdone
Questa corposa indagine “controvento” dedicata a Roma dallo
scrittore Fulvio Abbate è un capolavoro di “analisi istologica” su
quella che fu la capitale di un impero imponente, la mèta e la dimora di grandi poeti e scrittori d’Oltralpe e che i secoli hanno trasformato in un ammasso di circoscrizioni assolutamente teatrali. O
meglio in una serie di teatri di posa dove i cittadini si trasfigurano
nelle più svariate comparse davanti a una scenografia dove profonda sacralità e sciatteria profana si abbracciano in una rappresentazione dell’assurdo.
Abbate cerca in queste pagine di restituire la perfetta percezione degli elementi analizzati e dei loro simboli, eliminando i risaputi luoghi comuni e le ovvie banalità da racconto turistico, attraverso uno sguardo pieno di acuta ironia e stupore. La curiosità intatta
di chi ama profondamente Roma nel bello, nel brutto, nella magnificenza e nella miserabilità. Ed è questo che mi piace di Fulvio: il
voler ancora vivere pienamente la città. Saperla lucidamente
comprendere nella sua complessa bipolarità, nella sua malinconica
ricerca di gente che la protegga e custodisca. Trovare ancora la
forza di saperci ridere, catturando “il dettaglio” esilarante sia nel
dramma sia nella commedia quotidiana.
Ho sempre sostenuto che gli artisti che hanno compreso meglio
Roma non erano romani (Fellini, Flaiano, Patti, Gadda, Pasolini,
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Amidei, Scola, Virzì, Sorrentino e tanti, tanti altri) e Abbate rientra
in questa regola.
Palermitano con il mito della capitale (il cui simbolo per lui
bambino era un souvenir in panno lenci rappresentante la “guardia svizzera” che un giorno gli regalò il nonno materno di ritorno
da Roma), si trasferisce definitivamente nella città eterna nel 1983.
Anche se comincia a frequentarla assiduamente già dalla metà
degli anni sessanta e poi nei tormentati ma prolifici settanta. Per
Fulvio Roma, in quegli anni, è un grande suk di emozioni, una
“grande madre” un po’ mignotta, un po’ bigotta, un po’ immorale,
dove la genialità di molti artisti trova un terreno fertile nella creatività, grazie alle centinaia di contraddizioni stupefacenti e spericolate che la caratterizzano.
Fulvio ha il dono di scrivere bene, senza peli sulla lingua. Ma
l’ironia tagliente è l’arma a lui più congeniale, in uno stile conciso
e spiazzante, legata ad una ossessiva curiosità che lo porta a vivere
le manifestazioni culturali più significative ed estreme di quei
tempi: l’Estate romana di Renato Nicolini, il Festival dei Poeti di
Castelporziano, i teatri off dell’epoca. Da Mario Appignani
(Cavallo Pazzo) a Remo Remotti, dai salotti radical chic e dall’incontro con grandi letterati, pittori e attori, Fulvio identifica al volo
quel dna de’ Noantri che lo porterà a comprendere meglio di un
vero romano vizi, difetti e virtù capitolini.
Questa “guida turistica” anarchica, ma assolutamente lucida, è
impressionante per la conoscenza profonda, mai ovvia, ma trasversale, di luoghi, ambienti, simboli e uomini. Tutti studiati e raccontati da un’angolazione non convenzionale. Assolutamente geniale
aprire il primo capitolo con l’elemento (forse per Abbate un’installazione degna del maxxi) del nastro trasportatore bagagli dell’aeroporto di Fiumicino. Il nastro è il benvenuto che Roma offre al
viaggiatore appena arrivato: un patema d’animo, una scommessa,
uno scherzo di pessimo gusto. C’è una probabilità su dieci che la
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tua valigia sia in un’altra capitale. Ci sono sei probabilità su dieci
che il tempo di attesa sia più lungo del volo Genova-Roma. Ci sono
dieci probabilità su dieci che dai 30 ai 40 minuti il nastro, pur
girando, farà apparire un solo misterioso bagaglio che nessuno
raccoglierà. Il nastro trasportatore di Fiumicino è per Abbate
quello che fu per Fellini il Raccordo Anulare nel suo capolavoro
Roma.
Il caos come introduzione alla città degli imperatori, alla capitale delle buche assassine e delle macchine in terza fila davanti al
bar per la colazione. La Roma sfregiata dalle scritte, la Roma delle
Indulgenze Plenarie, delle chiese vuote, delle consolari piene di
zoccole, la Roma dei delitti senza risposta, la Roma dei condoni,
dei palazzinari, dei primari, delle primarie, della P2, della P3 e
delle P38. La Roma delle stanze di Raffaello e delle stanze di
Palazzo Grazioli. Sacralità e profanazione perenne s’inseguono
senza tregua in questo giro turistico che Fulvio Abbate compie,
divertito e un po’ basito, per il nostro diletto. E tutti noi gliene
siamo veramente grati.
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A ROMA
Assodate le sue meraviglie monumentali, che ne testimoniano
mirabilmente i giorni passati (non penserete mica che abbia intenzione di riepilogare tutto il suo tesoretto artistico, come fosse
questa una cartolina a fisarmonica, eh?), Roma, a guardare bene,
sembra essere diventata una Ciampino molto più grande e, in tutti
i sensi, estesa.
Ciampino, per chi lo dovesse ignorare, è un comune della
provincia, situato alla sinistra del cosiddetto “Fosso della Patatona”,
celebre per il suo aeroporto: lo stesso dal quale ebbe modo di
lasciare il suolo d’Italia l’ultimo re della dinastia Savoia, Umberto II.
Sembra che questi, un attimo prima di sparire dentro l’abitacolo
dell’aereo militare, un Savoia Marchetti sm 95 che l’avrebbe
condotto in esilio a Cascais, nel remoto Portogallo, abbia dispensato titoli nobiliari a piene mani, a pioggia: la leggenda parla infatti di Conti della Scaletta o anche Conti di Ciampino. Ora, sarebbe
meraviglioso dedicare per intero queste pagine a una cittadina così
magica e leggendaria, tuttavia siamo obbligati dal titolo stesso del
nostro volume a concentrarci su una località in questo caso secondaria rispetto all’illustre centro abitato che s’accompagna alla via
dei Laghi. Dobbiamo trattare di Roma in lungo e in largo, possibilmente restituendo la percezione attuale del luogo, sia pure con
piglio d’autore, ma soprattutto rinunciando allo stereotipo e alla
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banalità turistica, per amore del lettore, del visitatore, appunto.
Del residente stesso che tutto ignora della propria città, magari.
Dunque, mettendo da parte le pietose ragioni appena ribadite,
assodata la sua rilevanza storica e architettonica, il suo forziere
colmo di vissuto storico e perfino delinquenziale, noi pensiamo
che, a prescindere da tutto, Roma andrebbe dichiarata “città chiusa”. Per il suo stesso bene, ossia per la sua necessaria salvezza, per
la tutela di un patrimonio unico e irripetibile altrove inesistente. In
quale altro luogo al mondo c’è modo di trovare un simile plastico
monumentale vivente? I suoi abitanti, i suoi residenti, perfino i
suoi pendolari, che fanno su e giù dai Castelli o dalle regioni confinanti come Abruzzo e Campania, dovrebbero, insomma, ricevere
un sussidio dal Campidoglio o piuttosto statale (o anche, perché
no?, dall’unesco, dall’onu) per non lavorare, anzi, semplicemente
per prendersi cura della città, cioè di se stessi. In che modo? È
presto detto: nulla facendo. Come semplici comparse sparse in un
luogo storicamente, artisticamente, architettonicamente straordinario, così come il suo sito naturale, il rilievo docilmente orografico dei “Sette colli”. Comparse numerate, decisamente salariate, un
po’ come quelle che appaiono in Spartacus di Stanley Kubrick,
dove dal megafono del regista giungono gli ordini per la battaglia
finale: “Muoiono, soccombono dal 577 al 6703, chiaro a tutti?”
Esistono perfino molte foto di scena a testimoniarlo, in corrispondenza d’ogni caduto c’è il numero che lo censisce. Una visione
d’altronde molto romana.
I residenti dei municipi dell’Urbe dovrebbero portare a spasso
le proprie ombre. Come ombre romane, s’intende. Poco importa
che si tratti di abruzzesi, cosentini, siciliani, ciociari, molisani, irpini, danesi, afrocalabresi, cingalesi, funzionari d’ambasciata del
Brasile o del Lussemburgo o perfino sinti inurbati. Ombra su sfondo di Colosseo. Ombra di cittadino romano su sfondo del Gianicolo,
ombra di rom su sfondo di cassonetto, ombra di ex neofascista
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dedito adesso a una nuova attività criminale a danno dell’erario
capitolino, ombra di ex terrorista divenuto cravattaro intercettato
in piazzale di Ponte Milvio.
Quanto invece al Vaticano, trattandosi di uno stato straniero,
dovrebbe provvedere da sé, con propri mezzi: le risorse non gli
mancano di certo, a cominciare dal presidio della Provvidenza, dello
Spirito Santo e ancora della sua banca, lo ior, riqualificato, dopo un
periodo lungamente oscuro, dal papa argentino e dalla Curia. A
proposito, ciò che sto per dire farà certamente male ai laici, e ancora
di più agli anticlericali che si radunano sotto la statua di Giordano
Bruno a Campo de’ Fiori, tuttavia, in assenza del Vaticano e dei suoi
uffici colmi di quadri d’epoca barocca chiodata, è molto probabile
che Roma dal punto di vista geopolitico non esisterebbe, conterebbe
assai meno di Salerno, che fu già capitale del Regno del Sud negli
ultimi giorni della seconda guerra mondiale.
In piazza dei Cinquecento, dov’è la Stazione Termini: per definizione il luogo d’accesso in città, il suo cancello, il suo portone, la
sua valvola di scarico; dietro alla statua dedicata agli eroi di Dogali,
e non lontano da quell’altra offerta a papa Wojtyła, simile un po’ a
Mussolini, un po’ a una bombola del gas e ancora a un politico
moderato di seconda fila, tale Tabacci: la stessa che ha subito
numerosi rimaneggiamenti appunto a causa della sua improbabilità fisiognomica; lì, vendono libri usati e cose d’ogni tipo, e si
trovano edizioni proprio del tempo delle colonie e della prima
autostrada, cosiddetta “del Sole”, accanto a cataloghi e libri d’arte
più recenti, magari pregiati, oppure videocassette con ogni genere
di porno, e l’intero scibile dei fumetti, perfino le storie a quadretti
dei balilla di Mussolini. C’è insomma di tutto, comprese le riviste
di fotografia che i collezionisti cercano come dannati, e ovviamente le edizioni turistiche su Roma monumentale, da Ferdinand
Gregorovius ai versi, in economica e non, del poeta emblema
Giuseppe Gioachino Belli; poi ogni genere di guida, comprese
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quelle che hanno la pretesa di consegnarti l’Urbe in pillole: le sue
cose imperdibili, i suoi piaceri, dalle spiagge ai bordelli, perfino
dove trovare un callifugo in pieno Ferragosto; e ancora le Guide
rionali pubblicate dai Fratelli Palombi: da Borgo a Parione a
Campitelli; il saggio Immagine di Roma di Ludovico Quaroni,
nella sua copertina nera Laterza, così come Roma oggi di Leonardo
Benevolo; Le mura di Roma di Antonio Nibby; Roma magica e
misteriosa; Roma giacobina di Antonio Cretoni per le Edizioni
Scientifiche Italiane; il Calendario romano di Italo De Tuddo; il
Vocabolario romanesco trilussiano e romanesco belliano di Gennaro
Vaccaro; i Sonetti di Cesare Pascarella; Roma in cocci di Vittorio
Metz; Pasquino di Fernando & Renato Silenzi per i tipi di Vallecchi;
il volume Roma Capitale pubblicato da Editalia con lo stemma
sabaudo sul cofanetto; I miei ricordi di Checco Durante; la Strenna
dei romanisti... Proprio lì, nel tanfo devastante d’urina rimasto
dalla notte prima, visto che decine di disgraziati extracomunitari
vi bivaccano, ho scovato anche, regolarmente in vendita, un
mucchio di libretti di istruzione di questa o quell’altra automobile
entrata nel costume e nei parcheggi cittadini: la fiat 128, ma anche
le più recenti MiTo, Mokka, Nissan Juke o l’ultima Giulietta.
Bene, l’ideale sottotitolo invisibile di questo racconto cittadino
strampalato e tuttavia quasi enciclopedico, nonostante il rifiuto
dell’ordine alfabetico a favore di un crescendo analogico se non
addirittura magico, di più, stocastico; un termine, quest’ultimo,
che però in una città cinica come la nostra sarebbe meglio non
utilizzare, e che viene da quel suggerimento casuale, proprio un
libretto di istruzioni, una guida che butti a mare, anzi, nel Tevere,
ogni possibile luogo comune, una guida lontana dai conformismi,
una guida antituristica, meglio, una guida controvento: il sole del
piacere dell’osservazione libera sempre in faccia, una guida comunque dedicata a luoghi, eventi, memorie, ricordi, dettagli, squarci,
sfratti, anfratti, tane, oggetti, posti reali, set trascorsi, luoghi fanta12
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