sabato 6 agosto
ore 21,15 chiesa di San Francesco
DAL CLAVICEMBALO AL PIANOFORTE: mirabilie sonore
per tastiera, soprano e orchestra, da Bach a Mozart
Lorenzo Antinori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . clavicembalo
Ana Julia Badia Feria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . violino
Elena Giri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . flauto traverso
Francesco Marconi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . tromba
Orchestra Sinfonica G. Rossini
Alexandra Zabala . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . soprano
Lanfranco Marcelletti . . . . . . . . . . . . . . pianoforte e direzione
Johann Sebastian Bach (1685-1750)
Concerto brandeburghese n. 5 in re maggiore BWV 1050 - 1717 ca.
per flauto traverso, violino, clavicembalo, archi e continuo
- Allegro
- Affettuoso
- Allegro
Cantata Jauchzet Gott in allen Landen! BWV 51 - 1730 ca.
per soprano, tromba, archi e continuo
- Aria, Jauchzet Gott in allen Landen!
- Recitativo, Wir beten zu den Tempel an
- Aria, Höchster, mache deine Güte
- Corale, Sei Lob und Preis mit Ehren
- Aria, Alleluja!
Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Aria da concerto Ch’io mi scordi di te? KV 505 - 1786
per soprano, pianoforte obbligato e orchestra
Concerto per pianoforte e orchestra n. 20 in re minore KV 466 - 1785
- Allegro
- Romanza
- Rondò
ol termine Clavicembalo - dal
latino clavis (meccanismo a
chiave azionato da tasti), e
cymbalum (strumento a corde del tipo
della cetra) - è identificato il più grande
componente di una famiglia di strumenti musicali risalenti almeno al secolo
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XV e che ebbe il suo periodo di maggior
gloria fra il 1650 e il 1750. Allora i grandi
compositori barocchi lo assursero a strumento principe della prassi musicale; sia
come solista che come basso continuo,
ruolo quest’ultimo che mantenne inalterato nell’opera lirica fino al XIX secolo.
Bach al Clavicembalo attorniato dalla famiglia
La sua cassa poligonale, con un lato
curvo e la tastiera perpendicolare alle
corde, ricorda immediatamente un pianoforte moderno, anche se la sua forma
è più stretta e allungata e generalmente
ha i colori dei tasti invertiti. Ma a differenza del pianoforte, il clavicembalo genera il suono pizzicando con un plettro
la corda nel momento della pressione
del tasto, anziché colpirla con un martelletto, e pertanto non può essere considerato un suo ascendente diretto. Tale
ruolo è piuttosto da ricercarsi in un altro
strumento a tastiera del tempo, il clavicordo, in cui le corde erano già percosse, ma con un meccanismo non
ancora del tutto efficace.
In ogni caso, per le sue ampie possibilità musicali e per il suo carattere di oggetto di lusso e prestigio, il cembalo
nelle sue innumerevoli varianti, ebbe
una grande diffusione fra i musicisti dilettanti - principi, nobili e poi borghesi - che
amavano suonarlo anche grazie alle innumerevoli edizioni profane a stampa riservategli. Questo almeno fino alla
seconda metà del Settecento, quando
i compositori iniziarono a preferirgli il Fortepiano (poi Pianoforte), strumento in
grado di consentire variazioni nel volume delle note, che lo soppiantò
anche nell’esecuzione del repertorio
destinatogli, provocando una inevitabile perdita delle capacità costruttive
del clavicembalo.
Bisognerà attendere gli anni '60 del
Novecento perché l’atteggiamento filologico favorisca di nuovo la costruzione
degli antichi strumenti, in grado di riportare in luce un repertorio vastissimo e nel
quale spicca quello bachiano, a cui è
dedicata la prima parte della serata.
Johann Sebastian Bach fu il primo musicista ad utilizzare il clavicembalo come
strumento obbligato e concertante; e
questo avvenne per la prima volta proprio con la composizione che ci accingiamo ad ascoltare. Fra i sei Concerti
brandeburghesi, fondamentalmente diversi e accomunati oltre che dalla ricchezza armonica ammaliante dalla
dedica al margravio di Brandeburgo, il
quinto è forse il più famoso, originale e
innovativo. All’epoca la composizione
non venne però probabilmente mai
eseguita, sia per la carenza tecnica e interpretativa dell'organico di corte, sia
per la difficoltà della partitura, e fu destinata a divenire parte di quella che si rivelò una grande raccolta didattica e
dimostrativa delle possibilità del genere
del concerto, delle molteplici varianti di
dialogo tra gli strumenti e delle infinite
modalità di intreccio melodico o armonico. Come tutte le altre composizioni
brandeburghesi anche la nostra è infatti
caratterizzata dalla forma solistica affidata a più esecutori (concertino), contraria alla forma più usuale in cui un solo
strumento è di riferimento all’orchestra.
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Peter Jakob Horemans, Concerto a Ismaning, part. - 1733
In questa trascinante, brillante e luminosa composizione, immediata e priva
di lirismi esasperati e intrisi di significato, è
principale attore il piacevolissimo clavicembalo, a cui è affidato – caso unico
nella produzione della prima metà del
Settecento – il lungo, impegnativo e
acrobatico assolo dell’Allegro, che interrompe il dialogo fra i coprotagonisti:
flauto traverso e violino. L’orecchiabilissima struttura e l’alternanza tutti-concertino, tipiche del concerto grosso, così
come il movimento vorticoso creato
dalle magistrali sovrapposizioni delle
parti che arricchiscono via via di modulazioni e figure il tema, sono in questo
modo segnate in maniera determinante
dall’intervento della tastiera, trasformando il clavicembalo in un vero e proprio solista. La forma e la rilevanza
riservatagli trascende infatti la funzione
di cadenza, per rivelarsi piuttosto un capriccio virtuosistico, tematicamente derivato dal movimento e concluso nei
liberi modi di una toccata.
Nel seguente breve Affettuoso, il fitto
e delicato dialogo dei tre solisti su un
espressivo tema proposto dal violino, diventa man mano più sottile e rarefatto,
sin quasi a trasformarsi in una sonata da
camera a tre caratterizzata dal regolare
alternarsi di un motivo ascendente, presentato da violino e flauto, e uno discendente, eseguito dal clavicembalo. Ciò
esalta l'architettura formale del secondo
movimento, in grado di frapporsi efficacemente fra i due tempi più dinamici in
sostituzione del canonico Andante.
Il ruolo di brillante strumento concertante del clavicembalo continua anche
nel finale, Allegro, presentato come una
sorta di affascinante gioco di specchi
tra gli strumenti, attraverso un’elegante
giga in stile fugato in cui il tema di danza
proposto dal concertino viene poi ripreso da tutti secondo schemi e sonorità
classiche.
Naturalmente Bach utilizzò il clavicembalo anche nel ruolo più convenzionale
di basso continuo, ovvero di strumento
polifonico in grado di sostenere armonicamente la composizione con l'elaborazione estemporanea di accordi.
Ne è un esempio la composizione seguente, una fra le numerosissime cantate sacre scritte da Bach per il servizio
liturgico luterano, ma dalle caratteristiche del tutto eccezionali, con una latente struttura ternaria analoga a quella
del concerto strumentale e che rinnova
gli splendori dei Concerti Brandeburghesi attraverso la competizione fra il
concertino (soprano, violino e tromba)
e l’orchestra.
Jauchzet Gott in allen Landen, è una
delle sole quattro cantate composte
per soprano; un trittico solare, con una
preghiera incastonata fra due entusiasmanti canti di lode. Scritta per la XV domenica dopo la Trinità, ma in realtà
svincolata dalla festività non avendo il
testo pertinenza diretta con le letture del
giorno, la composizione si distingue dalle
altre per alcune caratteristiche peculiari
come l’assenza del coro e la presenza
di una voce e uno strumento solisti. A
questi è inoltre riservata una scrittura inusualmente impegnativa e virtuosistica
che li affianca in un confronto dialettico
degno di un’aria teatrale e che richiede
esecutori di eccezionale preparazione e
bravura, tali da far ipotizzare un’originaria destinazione extraliturgica.
Questa particolarità si impone immediatamente nell’aria di sortita Jauchzet
Gott in allen Landen, in cui il contenuto
festoso e solenne è restituito dai vocalizzi
del soprano come dalle folate della
tromba. Lo slancio iniziale si stempera
nel recitativo Wir beten zu den Tempel
an, strutturato come un arioso accompagnato dagli archi in cui il soprano non
rinuncia comunque a garbate colorature. Nella seconda aria Höchster,
mache deine Güte, la voce è sostenuta
solamente dal basso ostinato nel ritmo
cullante di un’intima e contemplativa siciliana. Immancabile è poi il corale luterano che il soprano intona assieme a
due violini concertanti, Sei Lob und Preis
mit Ehren, e che sfocia senza interruzioni
nel fugato Alleluja, concitato ed efficace, in cui si riprende il confronto virtuosistico fra il soprano e tromba,
portando al suo apogeo la festa sonora
della partitura.
Arie
Jauchzet Gott in allen Landen!
Was der Himmel und die Welt
An Geschöpfen in sich hält,
Müssen dessen Ruhm erhöhen,
Und wir wollen unserm Gott
Gleichfalls jetz ein Opfer bringen,
Dass er uns in Kreuz und Not
Allezeit hat beigestanden.
Aria
Acclamate Dio in ogni terra!
Ogni creatura che abita
il Cielo e la Terra,
deve esaltarne la gloria,
e anche noi vogliamo ora
offrire un sacrificio al nostro Dio,
poiché nella croce e nella miseria
è sempre stato al nostro fianco.
Recitativo
Preghiamo nel tempio, poiché vi abita la
gloria di Dio, poiché la sua fedeltà, che ogni
giorno si rinnova, ci ricompensa con larghezza di benedizione. Esaltiamo ciò che ci
ha fatto. Benché la bocca incerta possa
solo balbettare le sue meraviglie, gli sarà
ben accetta anche una lode imperfetta.
Aria
Altissimo, rinnova
ogni giorno la tua bontà.
Così, a fronte della tua fedeltà paterna,
anche un animo grato
dovrà dimostrare, con una vita devota,
che a ragione ci diciamo tuoi figli.
Corale
Sia lode, gloria e onore
a Dio Padre, Figlio e Spirito Santo!
Voglia accrescere in noi
ciò che per grazia ci ha promesso:
così che confidiamo fermamente in Lui,
ci abbandoniamo completamente a Lui,
e di cuore edifichiamo su di Lui;
così che il nostro cuore, l’animo e la mente
si tengano saldamente a Lui;
Perciò ora cantiamo:
Amen, ci riusciremo,
se crederemo con costanza.
Aria
Alleluia!
Rezitativ
Wir beten zu den Tempel an, da Gottes
Ehre wohnet, da dessen Treu, so täglich
neu, mit lauter Segen lohnet. Wir preisen,
was er an uns hat getan. Muss gleich der
schwache Mund von seinen Wundern lallen, so kann ein schlechtes Lob ihm dennoch wohlgefallen.
Arie
Höchster, mache deine Güte
Ferner alle Morgen neu.
So soll für die Vatertreu
Auch ein dankbares Gemüte
Durch ein frommes Leben weisen,
Dass wir deine Kinder heissen.
Choral
Sei Lob und Preis mit Ehren
Gott, Vater, Sohn, Heiligem Geist!
Der woll in uns vermehren,
Was er uns aus Gnaden verheisst,
Dass wir ihm fest vertrauen,
Gänzlich uns lass’n auf ihn,
Von Herzen auf ihn bauen,
Dass unsr Herz, Mut und Sinn
Ihm festiglich anhangen;
Drauf singen wir zur Stund:
Amen, wir werdns erlangen,
Glaubn wir zu aller Stund.
Arie
Alleluja!
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Johann Nepomuk Della Croce, La famiglia Mozart, part. - 1780
Già dall’inizio del Settecento alcuni
costruttori di tastiere avevano posto la
loro attenzione sul clavicordo, alla ricerca di nuove possibilità espressive che
uno strumento a corde percosse potesse offrire rispetto al clavicembalo.
Nacque così il Fortepiano, costruito interamente in legno e in cui i martelletti,
colpendo le corde, immediatamente
rimbalzavano, permettendo alle stesse
di vibrare liberamente, fino al rilascio del
tasto e all’intervento di uno smorzatore.
Con la loro meccanica si era ora finalmente in grado di regolare l'intensità del
suono, mediante la maggiore o minore
forza impressa sul tasto. Anche a causa
delle problematiche ancora irrisolte, lo
strumento non ebbe però quell’immediato e sperato successo, e il clavicembalo continuò a catalizzare le attenzioni
dei compositori per le qualità che ben si
sposavano con il carattere cristallino
delle musiche barocche.
Quando il gusto per l’ornamento lasciò il posto all'espressione e al colore sonoro, variabile e graduato, il Pianoforte
trovò finalmente il suo ruolo, soprattutto
dopo che si arrivò, attorno al 1780, a
strutture e meccaniche perfezionate
che fecero tramontare definitivamente
il clavicembalo solista, non più rispondente alla più calda e appassionata
cantabilità.
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La transizione verso un mondo espressivo più semplice e immediato, ebbe il
suo massimo esponente in Wolfgang
Amadeus Mozart, che seppe trasferire
nelle sue composizioni il carattere brillante e cristallino, ma anche lirico e sentimentale del pianoforte. Potenzialità
allora ancora da scoprire e che le inedite escursioni dinamiche, i tocchi e la
scorrevolezza mozartiana misero in luce,
proponendo l’autore come ricercato
virtuoso alla moda. Nei primi anni viennesi Mozart si valse dunque della sua
maestria al pianoforte per affermarsi
presso la società cittadina, ricca di facoltosi esecutori dilettanti assetati di musica per il nuovo strumento. Questa
garantiva inoltre un rapido ritorno economico mediante la vendita degli spartiti più graditi tra quelli eseguiti durante
una delle numerose accademie (un po’
come oggi i CD dopo i concerti).
Ma Mozart era pur sempre cresciuto
sul clavicembalo e il suo ideale strumentale non si scostò mai del tutto da esso.
Sebbene entusiasta del pianoforte, la
sua scrittura non subì inizialmente cambiamenti radicali nello stile e soltanto
negli ultimi anni si possono cogliere quei
tratti già puramente pianistici, che lasciano intravedere lo stile di Beethoven
e le potenzialità e gli infiniti colori dello
strumento a ottantotto tasti.
Il brano di rara esecuzione ma di sfolgorante, ellenistica bellezza, che apre la
seconda parte dedicata al pianoforte,
appartiene proprio all’ultimo periodo
creativo del grande salisburghese, precisamente al 1786, coincidente con un
momento particolare della sua esperienza artistica e affettiva.
L’Aria da concerto Ch’io mi scordi di
te?, fu infatti dedicata al soprano inglese Nancy Storace - prima Susanna
nelle Nozze di Figaro e le cui virtù non
solo musicali pare suscitassero in Mozart
i più appassionati slanci - con queste parole: «Scena con Rondò con pianoforte
solo, per M.lle Storace e per me». L’intimità del pezzo è palesata anche dall’uso del pianoforte obbligato che crea
un dialogo raccolto e personalissimo
con il soprano, affidando alla musica e
al testo una confessione che risulta eloquente se pensiamo al maestro che accompagna personalmente la cantante
nella prima esecuzione.
Il Recitativo accompagnato, lirico e
delicatamente accarezzato e nobilitato
dagli archi, segue i mutamenti d’umore
della protagonista nella linea del canto,
nel gioco degli strumenti e perfino nella
triplice scelta di tempo: dalla contenuta
indignazione (Ch’io mi scordi di te?), alla
disperazione (Venga la morte), al ripiegamento doloroso (Come tentarlo?).
La scena è ben presto lasciata ad un
Rondò in cui il pianoforte assume immediatamente la guida della parte strumentale, prendendo quasi per mano il
soprano in un suadente canto, introverso e non ostentato ma particolarmente espressivo. La cantante e il suo
compagno esordiscono con accenti di
tenerezza che si infiammano nell’evocazione delle “stelle barbare” e del loro
“rigor”, in un dialogo brillante e serrato
con le figurazioni e le modulazioni melodiche di un'orchestra di respiro cameristico che si chiude con virtuosismi vocali
e abbellimenti strumentali rococò.
Ch’io mi scordi di te? (G.B. Varesco)
W.A. Mozart al pianoforte
Recitativo
Ch'io mi scordi di te?
Che a lui mi doni puoi consigliarmi?
E puoi voler che in vita ... Ah no.
Sarebbe il viver mio
di morte assai peggior.
Venga la morte,
intrepida l'attendo.
Ma, ch'io possa struggermi ad altra face,
ad altr'oggetto
donar gl'affetti miei,
come tentarlo?
Ah! di dolor morrei.
Aria
Non temer, amato bene,
per te sempre, sempre il cor sarà.
Più non reggo a tante pene,
l'alma mia mancando va ...
Tu sospiri? O duol funesto!
Pensa almen che istante è questo!
Non me posso, oh Dio! spiegar.
[Non temer, amato bene, ...]
Stelle barbare, stelle spietate!
perché mai tanto rigor?
Alme belle che vedete
le mie pene in tal momento,
dite voi s'egual tormento
può soffrir un fido cor?
[Non temer, amato bene, ...]
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Allo stesso periodo compositivo appartiene anche il rivoluzionario Concerto
per pianoforte e orchestra n. 20, eseguito il giorno successivo al completamento e con le parti definitive distribuite
agli orchestrali al momento stesso di andare in scena. Con esso Mozart rompe
con la tradizione del concerto per pianoforte come genere di svago, dando
forte personalità allo strumento e sfruttando a pieno le sue risorse dinamiche
e timbriche, raggiungendo per la prima
volta orizzonti espressivi del tutto nuovi in
cui il virtuosismo è orientato verso forme
più drammatiche e in grado di coinvolgere emotivamente l'ascoltatore.
Nella composizione, una pietra miliare
nella storia della musica, l’autore raccoglie tutte le precedenti esperienze e anticipa molte delle caratteristiche sonore
che saranno fatte proprie dal Romanticismo. Non per niente questo fu il concerto preferito da Beethoven, che ne
scrisse la cadenza ancora eseguita da
gran parte degli interpreti e stasera interpretata anche dal maestro Marcelletti.
Mozart purtroppo non ci ha lasciato la
propria, che egli stesso era solito improvvisare con virtuosismo impareggiabile
durante le memorabili esibizioni come
solista e direttore dei suoi concerti per
pianoforte. Le cadenze pertanto erano
scritte dal compositore solo per quei
concerti meno impegnativi e destinati
ad altri esecutori più modesti.
L’organico orchestrale raggiunge in
quest’opera d’arte dimensioni maggiori
del solito ed ha un ruolo pienamente integrato e non subalterno al solista. La
concezione formale acquista così una
più vasta articolazione interna ed il carattere virtuosistico si evolve in un discorso più complesso e dotato di una
propria azione drammatica. Questo
anche a causa della tonalità prescelta,
quel re minore particolarmente indicato
per toccare le corde ed i sentimenti più
intimi dell'animo umano e che il compositore utilizzerà anche per la sua ultima
opera: la grandiosa Messa da Requiem
KV 626 da noi proposta nella prima edizione di Musica&Musica del 2006.
Nell’Allegro iniziale Mozart, pur rispettando la tradizionale forma sonata, rinuncia alla facile identificabilità dei
temi, giocando a tenderne al massimo
l'articolazione di un clima cupo e ossessivo che tramite l’archetto dei bassi
coinvolge l'ascoltatore fin dai primi secondi in un’atmosfera sincopata. Brevemente sospesa da un disperato e lirico
interludio, la drammatica introduzione è
improvvisamente risolta dall’apparizione
del pianoforte, con una melodia dolce
e delicata ma solo apparentemente
nuova. Tra tensioni e contrapposizioni i
temi si rincorrono, incastrano e sovrappongono l’un l’altro in una drammaticità tutta teatrale, in un vortice di
emozioni in cui il pianoforte ha la forza
di capire e spiegare il tutto, così da rasserenarci fino alla ripresa del tormentoso
arpeggio che aveva aperto il concerto;
quasi fosse un pensiero ossessivamente
eterno e non ancora svelato.
La Romanza, in netto contrasto con il
carattere del movimento precedente,
propone un tema sereno e apparentemente idilliaco, esposto dal solista e poi
palleggiato dalla maestria mozartiana
con l’orchestra, che qui ha un ruolo
esclusivamente di supporto. La grazia
sorprendente della melodia molto sem-
plice, dolce e rasserenante, crea un’atmosfera pacata che si fa sempre più tenera, dolce e delicata, fino alla
commozione, prima che un improvviso
turbamento la rompa con una serie di
scale forsennate che richiamano alcuni
passaggi dello sviluppo del primo movimento. Poi, come era svanita, dopo un
arpeggio rallentato e un arabesco ritornano la quiete ed il tema iniziale, che
chiudono la pagina in un clima di finta riconciliazione.
L’ultimo movimento, un frenetico e incalzante Rondò, è aperto da una sequenza crescente di note veloci del
pianoforte, seguita da uno dei più precipitosi e agitati fugati della letteratura
mozartiana. La ricomparsa del pianoforte e della sua forza brillante riporta un
primo ingannevole accenno di respiro
per poi ricadere nel frenetico dialogo
culminante in un’ampia nuova cadenza
solistica. Lo scherzo finale fra orchestra e
solista porta ad una sfolgorante e inattesa chiusura del concerto, quasi una
rassicurazione dopo l’ascolto di una
delle più drammatiche pagine della storia della musica; talmente innovativa e
complessa per i contemporanei di Mozart da avviare al declino la sua breve
fortuna presso il pubblico viennese.
Concerto realizzato con la collaborazione di:
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