IL GIORNALE DELL’ITSET PADRE A.M. TANNOIA CORATO - RUVO DI PUGLIA ANNO XIV NUMERO UNICO – MAGGIO 2015 EDITORIALE Paolo Stragapede Rinascita. Così si sarebbe potuto intitolare il T MAG 15 e diverse sarebbero state le motivazioni a sostegno di una scelta di questo tipo. Sarebbe stata una rinascita innanzitutto il semplice fatto di tornare in produzione dopo un anno di assenza, ma chi torna indietro con la memoria sa che questa non è l’unica mancanza a cui abbiamo dovuto far fronte. Il distacco più forte, quello più sentito, è stato quello da una straordinaria donna, ancor prima che docente, la prof.ssa Minervini, la quale negli anni ha reso possibile che una sua idea, quella del Giornale d’Istituto appunto, divenisse quello che è oggi: un lavoro serio, un concentrato di tecniche, esperienza e passione da parte di docenti e alunni, un lavoro che l’ha sempre vista come figura centrale e imprescindibile. Il termine rinascita avrebbe forse reso l’idea che anche dal più cupo degli abissi è possibile tornare in superficie, che non esiste una difficoltà che possa essere più forte di una volontà. Ma, vi sembrerà chiaro, abbiamo intrapreso una strada differente optando per “Pensiero Libero”, perché in fondo è sempre stato questo il nostro spirito, quello di emanciparci, di andare oltre e, con un pizzico di presunzione, crediamo che anche la Prof.ssa Minervini avrebbe preferito questa soluzione. Avrebbe di certo apprezzato quel senso di spensieratezza, di libertà che infonde perché era ciò che per anni ha cercato di trasmettere a noi studenti: la leggerezza; dove «leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore» come avrebbe detto Calvino. Non è stato un lavoro semplice darvi l’opportunità di leggere queste righe e tutti gli altri articoli, ma il dovere, la passione e il ricordo ce lo hanno imposto, e ne siamo fieri. In questo tempo abbiamo dovuto fare anche a meno di uno dei più importanti collaboratori del nostro Progetto, ma non abbiamo potuto demordere. Siamo qui perché vogliamo omaggiare chi c’è stato prima di noi, chi c’è e chi avrà piacere di condividere con noi la nostra passione. Siamo qui perché pensiamo che il nostro pensiero sia la cosa più importante di cui disponiamo, perché siamo liberi di esprimerlo e perché non esiste modo migliore di salutare chi non c’è più. Buon Viaggio Prof, ci manca davvero tanto; e, a voi tutti, auguriamo una buona e piacevole lettura. Grazie per l’attenzione. Paolo Stragapede Era un sabato pomeriggio. In chiesa i posti a sedere erano tutti occupati e qualcuno è dovuto restare in piedi; tutta quella gente avrebbe potuto essere altrove, ma nessuno l’ha fatto. Sai cosa ho pensato io personalmente quando ho saputo che non c’eri più? Che non avrei mai potuto mancare al tuo ultimo saluto, e non perché creda che da lassù tu possa guardarmi, non ho mai avuto il dono di sperare in questo tipo di cose; no, io non avrei potuto mancare per ciò che tu, ti do del tu forse per la prima volta, hai saputo trasmettermi nel corso degli anni. Era diverso tempo che non ti vedevo, pensa che ingenuo, credevo stessi bene, che avessi superato del tutto i tuoi problemi, che avessi sconfitto il male col quale combattevi da tempo, ma a quanto pare mi sbagliavo e mi brucia pensare di non averti potuto salutare prima che accadesse tutto questo. Durante la funzione il sacerdote mi ha fatto sorridere; non ti conosceva ma parlava di te, sembrava convincente, e ho pensato a chissà quante volte abbia fatto una cosa del genere, fingere di rendere speciale qualcuno che è andato via, quando per lui questo qualcuno paradossalmente è esistito solo quando se n’è andato. Ha detto che Dio si è manifestato nel momento in cui ha “esaudito” il tuo desiderio di andartene, ormai vinta dalla sofferenza. Ma nessuno desidera andarsene, nessuno è pronto a non esserci, al massimo ci si rassegna all’inevitabile, cercando in tutti i modi di far finta che ciò che per forza di cose sarà, coincide con ciò che vorremmo che fosse; però in questi casi non è mai realmente così. Sono sicuro che ti sarebbe piaciuto esserci e che ti sarebbe venuto da sorridere se avessi potuto leggere queste mie righe, mi avresti detto come al solito che sono sempre troppo critico, puntiglioso e perfezionista; ma so che allo stesso tempo avresti apprezzato proprio questo di me, proprio questo essere così “scomodo”, in controtendenza. 4 Ho sempre pensato che esistano due tipi di insegnanti, quelli che ti fanno pesare una materia e quelli che te la alleggeriscono, e tu eri indubbiamente tra questi ultimi. Vedi, questo è molto strano perché, parlo a nome personale, “trattamento testi” (e chi se lo scorda che si chiamava così) non è mai stata tra le mie materie preferite, ma è stato inevitabile discernere la tua materia dalla tua persona; ricordo ancora oggi il primo giorno che ci portasti in laboratorio e ci dicesti che esisteva un modo preciso di mettere le dita sulla tastiera per evitare di guardarla e scrivere più velocemente, inutile dirti che non ci sono mai riuscito. Te lo dico con un sorriso perché so che non te ne frega niente, non perché non ti importasse di trasmettere le tue conoscenze, ma perché credo che la cosa che ti interessasse di più fosse trasmettere Valore. Quel valore umano di cui eri portatrice instancabile e forse inconsapevole. Dopo tutti questi anni non mi è rimasto che un bellissimo ricordo di ciò che mi hai dato e se dovessi racchiudere tutto in una sola parola, non so perché, mi verrebbe da dire onestà. Umana, sociale, intellettuale, non lo so di quale tipo, forse tutti, ma eri una persona onesta, leale, sincera con me e, sono certo di non sbagliare se mi azzardo a dirlo, con tutti. Non è un caso che il nostro rapporto sia continuato anche dopo i primi due anni, non è assolutamente un caso che sia uscito dal contesto scolastico e che sia durato, a conti fatti, nove anni. È difficile pensare che abbia una durata, che abbia avuto un inizio, e nove anni dopo, una fine. Mi trovo ancora a pensare che non è possibile che tu non ci sia ma se venissi giù in aula, ad accogliermi non ci sarebbe che una semplice, semplicissima targa col tuo nome inciso sopra a ricordarmi una volta di più chi, e non cosa, sei stata per me e per tutti. Mi piacerebbe provare un’ultima volta a dirti che ciò che creavi su Adobe con Francesco non mi piaceva, che c’era sempre quel particolare che mi andava storto, e che dovevate sentire me su certe cose, ma non posso. Tu non ci sei. Ho fatto un altro sorriso amaro, lo vedi? Inutile dirti che è successo che ti abbia pensato, e questo giornale, tutto, ne è l’esempio. È una bella sensazione pensare che tu, anche se nel tuo piccolo, nelle tue poche ore di lezione, abbia formato una parte di me, anche se non saprò mai quanto del mio modo di essere sia “opera” del tuo insegnamento. Ma sai che c’è? Sinceramente non mi interessa. Mi basta sapere che ci sei stata, che se non ho avuto la possibilità di dirti ciao prima che andassi via, ho avuto almeno la grande fortuna di conoscerti. E se dovessi scegliere tra le due cose, non avrei dubbi nel preferire la seconda. Voglio sperare che la mia caparbietà nel proseguire il tuo lavoro sia servita; voglio sperare che grazie a questo anche io, nella tua vita, sia servito a renderti felice almeno per un attimo. Ciao Prof. 5 PROGETTI Gli alunni delle classi 3A, 3B, 3C, 3D Noi alunni delle classi terze dell’I.T.S.E.T. “Padre A.M. Tannoia” sede di Ruvo di Puglia, abbiamo partecipato ad un’interessante esperienza nel mondo della cooperazione che si è articolata in due fasi. 6 La prima si è svolta presso l’IPERCOOP di Molfetta il giorno 8/4/2015; in tale occasione il direttore del punto vendita e il signor Marco Sasso hanno illustrato i valori del marchio COOP e l’organizzazione del punto vendita. Riguardo ai valori ci è stato riferito che i prodotti COOP sono sicuri, buoni, etici, convenienti ed ecologici; quanto all’organizzazione del punto vendita, due capi reparto ci hanno spiegato che i prodotti presenti nel punto vendita possono essere classificati in prodotti FOOD e NO-FOOD. I prodotti NO-FOOD vengono collocati all’ingresso del punto vendita in relazione al diverso periodo dell’anno per attirare maggiormente l’attenzione dei consumatori e rappresentano, dal punto di vista quantitativo, la parte più importante. I prodotti FOOD vengono classificati in freschi, freschissimi e surgelati. Per i freschissimi vengono osservate particolari tecniche di conservazione in ambienti sterili a temperature adeguate per evitare la formazione di colonie batteriche. La seconda fase dell’esperienza si è svolta a Casalecchio di Reno (BO) presso la sede di COOP ITALIA il giorno 10/4/2015, articolata in due distinti momenti: una conferenza, durante la quale sono stati spiegati i valori Coop ed il ruolo dei laboratori di analisi microbiologica, chimica e sensoriale; la visita dei laboratori. È emerso che questi ultimi servono soprattutto a garantire la sicurezza dei prodotti a marchio Coop che diventano tali solo dopo severi controlli di qualità. I punti di forza del laboratorio delle analisi microbiologiche sono: una macchina che si può definire “naso artificiale” che è in grado di analizzare la parte volatile di un prodotto per verificare la presenza delle sostanze in esso contenute e la loro provenienza geografica (al momento della visita venivano analizzate varie qualità di olio extra vergine d’oliva); un altro dispositivo in grado di rilevare la presenza di ocra tossine (micro tossine che si trovano principalmente nei cereali, nel caffè, nel formaggio grattugiato) che si ritiene essere implicate nella carcinogenesi renale. Gradito è stato il pranzo offertoci da Coop Italia alla fine dei lavori, consumato nella mensa aziendale, grazie al quale abbiamo potuto apprezzare la buona qualità dei prodotti a marchio Coop. In conclusione possiamo affermare che l’esperienza vissuta è stata positiva perché ci ha permesso di entrare in contatto diretto con il mondo delle cooperative di consumo e di comprendere che la loro missione è di difendere la salute e il reddito di soci e consumatori offrendo loro prodotti di qualità e servizi alle migliori condizioni di mercato. 7 IL CONSUMO ETICO Gli alunni della 3A Lo scorso mese di aprile ci ha visti coinvolti in un interessante progetto formativo con l’Ipercoop di Molfetta e la Coop Estense di Modena. Tale esperienza ci ha permesso di sensibilizzarci su tematiche che poco avevamo considerato in precedenza: “mangiar bene, mangiar sano”, argomento quanto mai d’attualità con l’avvento dell’EXPO; abbiamo potuto, inoltre, riflettere su un aspetto fino ad ora ignorato quale l’importanza ecologica, oltre che economica, di un corretto packaging. È essenziale dirigere la nostra scelta non più sulla base dell’esteriorità del prodotto, ma leggendo attentamente e con occhio critico le etichette. È altresì importante sottolineare che i prodotti Coop sono frutto di un’attenta politica del lavoro. L’azienda cura molto l’aspetto umano della produzione con proprio marchio proponendo solo quei prodotti che garantiscono il pieno rispetto del lavoratore durante l’intero processo produttivo a partire da una adeguata retribuzione. Degno di nota è anche il progetto “brutti ma buoni”, che mira a ridurre lo spreco del cibo e a trasformarlo in solidarietà. È questo l'obiettivo di un progetto elaborato dalla Coop Estense che, in particolar modo, ci ha colpiti. Esso, nel dettaglio, fa sì che i prodotti prossimi alla scadenza o con piccole imperfezioni estetiche ma ancora perfettamente commestibili, vengano destinati, in forma gratuita, ad associazioni o enti impegnati a sostenere gli "emarginati" del nostro tempo e della nostra società. È uno dei progetti che concretizza alcuni dei valori più importanti che riguarda la cooperazione e i consumi: essere di sostegno al territorio rispondendo ai bisogni delle persone, soprattutto quelle più in difficoltà, e contribuire alla tutela e alla salvaguardia dell'ambiente attraverso la produzione alimentare e la lotta allo spreco. Tutto ciò, si noti, risponde in pieno all'obiettivo che si è prefisso "EXPO", la grande esposizione mondiale, con la sua "Carta di Milano" in cui tutti i paesi espositori si impegnano per una sana politica alimentare. Inoltre, tale esperienza ci ha permesso di conoscere il meccanismo del prestito sociale, da sempre uno degli elementi che contraddistingue la relazione tra socio e cooperativa. Tramite il prestito, i soci affidano alla Coop delle risorse finanziarie, su cui maturano interessi; questo strumento, facile, comodo e trasparente, permette alla Coop di finanziare attività di ricerca e sviluppo al fine di migliorare la qualità dei prodotti. Un gentile ringraziamento al Mondo Coop e a tutti i dirigenti che ci hanno permesso di fare questa esperienza costruttiva ed edificante. 8 Prof.ssa Claudia Rutigliano Il “viaggio” intrapreso dagli studenti dell’ITSET Tannoia di Ruvo di Puglia è giunto a destinazione. E si è concluso nel porto più suggestivo e sicuro, quello che li consacra vincitori della ventiseiesima edizione della Rassegna Nazionale di Teatro Scolastico Speranze Giovani - Maria Boccardi. Sul palcoscenico del Teatro Socrate di Castellana Grotte, sabato 9 maggio, i giovani interpreti dell’istituto ruvese si sono, infatti, aggiudicati il primo premio, nell’ambito della prestigiosa rassegna, con lo spettacolo “Il viaggio di Alì”, storia attualissima di migranti clandestini e scafisti senza scrupoli, di speranze e ingiustizie, di miseria e sopraffazione. Un racconto che vuole essere per i ragazzi anche un invito all’accoglienza e alla tolleranza, che non può lasciare indifferenti e che, per essere efficace, non sceglie altro se non i gesti, le intenzioni e le parole di un gruppo di attori non professionisti, certo, ma con il coraggio e la determinazione giusti a rendere leggibili le emozioni che vivono sul palco. Valutata positivamente dalla giuria anche la ben calibrata scelta delle musiche, un’ulteriore attenta punteggiatura della messa in scena di uno spettacolo avvincente e faticoso, avviato all’inizio dell’anno scolastico, con la regia di Giulio de Leo e il coordinamento della professoressa Rosanna Ippedico. Un lavoro, premiato - si legge nella motivazione - per l’accurata preparazione, le precise coreografie, il realismo del testo. Grandi apprezzamenti sono giunti agli studenti e al regista anche da parte dell’ospite d’onore, la soprano Katia Ricciarelli, madrina della kermesse. “Non è stata affatto una competizione facile”, tengono a sottolineare i vincitori. “Le opere finaliste erano tutte di pregio, a dimostrazione del fatto che queste occasioni attivano processi educativi e didattici che stimolano in noi giovani un forte desiderio di comunicare e di metterci in gioco”. La rassegna “Maria Boccardi” si rinnova, non a caso, da anni con l’obiettivo di stimolare le scuole a credere nel teatro come prezioso strumento formativo multidisciplinare e interdisciplinare. Il viaggio degli studenti del Tannoia, di certo, non si fermerà qui. 9 Professori: Stefania Morrone, Maria Pia Bonaduce, Palma Tatoli, Luciana De Nicolo, Laura Loiodice, Tommaso Dello Russo, Maria Grazia Teofilo Nel corso degli anni è stata costante la ricerca di pratiche didattiche che potessero motivare gli adolescenti allo studio, non trascurando la possibilità di fornire loro anche un raccordo tra il mondo della scuola e quello del lavoro. Visto l’incremento in termini di interesse e motivazione degli alunni dell’ITSET Tannoia coinvolti in progetti di alternanza scuola-lavoro, si è pensato di proporre un percorso analogo per i compagni di classe con disabilità, con la collaborazione del comune di Ruvo di Puglia. Alcuni alunni delle classi terze, quarte e quinte, pertanto, hanno partecipato a percorsi di tirocinio in cui, affiancati dai docenti di sostegno dell’Istituto o dai propri assistenti all’autonomia, sono stati portati in un contesto lavorativo, interno al Comune (Biblioteca comunale Pasquale Testini), per vivere un’esperienza formativa professionalizzante. Tale esperienza ha consentito agli alunni coinvolti di sperimentare la propria autonomia in un contesto di adulti, diverso da quello della famiglia e della scuola, dando loro modo di conoscere in dettaglio le funzioni di un pubblico ufficio del comune, nella prospettiva di un loro inserimento come cittadini attivi nella vita sociale del paese. Visitando la biblioteca, infatti, i ragazzi non solo hanno compreso come e quando potervisi recare, da soli o accompagnati, nel loro tempo libero, ma anche come poter usufruire dei servizi offerti per esigenze personali, non prettamente di studio. In quest’anno scolastico gli alunni, affiancati dai loro compagni di classe, hanno avuto modo di conoscere alcune componenti poco note del patrimonio artistico di Ruvo e Terlizzi, legate ad elementi in pietra degli antichi palazzi. L’immenso patrimonio librario della biblioteca ha consentito agli alunni di approfondire la conoscenza del proprio paese, in accordo con le attività scolastiche finalizzate alla valorizzazione del territorio di appartenenza, nella prospettiva di un coinvolgimento attivo dell’intera comunità scolastica. 10 Prof.sse Claudia Rutigliano e Angela Simone Il libro cartaceo ha i giorni contati? Dovremo presto congedarci anche dai modi e dai riti tradizionali di leggere un libro, sfogliare le sue pagine, sentire l’odore della carta, sottolineare una frase che ci ha colpito? Secondo il professor Trifone Gargano, docente del Dipartimento di Lettere all’Università degli Studi di Foggia, la risposta è affermativa. Senza appello e senza indugi. E a riprova di questa inquietante e, al tempo stesso, affascinante tesi, il professor Gargano esibisce il suo lavoro, “La letteratur@ al tempo di facebook: le nuove tecnologie per l’insegnamento dei classici”, presentato a docenti e alunni dell’ITSET Tannoia di Ruvo di Puglia. Un incontro promosso dal Dirigente scolastico, Giovanni De Nicolo, e dalle docenti Maria Summo e Angela Simone, per invitare ad una riflessione critica sul futuro del libro tradizionale anche nella didattica e nei processi di insegnamento-apprendimento. Soprattutto la scuola, infatti, è chiamata, secondo Gargano, a rivedere rapidamente le sue metodologie. Partendo dalle questioni più dibattute, il docente ha indagato il rapporto tra carta e digitale e si è soffermato sulle forme di testualità transmediale, cogliendo anche gli elementi di continuità tra la produzione letteraria del passato (epigrammi, aforismi, distici) e le forme della comunicazione postmoderna, tweet, post, whatsapp, scrittura wiki, testi visivi. L’invito, accolto con entusiasmo dagli alunni presenti, con attenzione e cautela dai docenti, è stato quello di accostarsi in modo critico e consapevole all’uso, anche nell’insegnamento di materie umanistiche, di tablet, social network, supporti digitali che stanno soppiantando gli strumenti cartacei. Così Dante può essere appreso meglio attraverso giochi interattivi e video games, Manzoni può tornare ad appassionare se letto su un e-book, Calvino sta più a suo agio in un social network che su un obsoleto manuale. Provocazioni? Eresie? Il professor Gargano è convinto di no. E faremmo bene a prenderne tutti atto al più presto, visto che abbiamo di fronte una generazione touch screen che scalpita per partecipare al funerale del libro cartaceo e per essere protagonista di una rivoluzione che ricorda molto quella dei tempi di Gutenberg. La sfida è accattivante e i docenti del Tannoia, consci di operare in un istituto sempre pronto a recepire le novità e ad aggiornarsi, la accettano. Forse i classici ringrazieranno. E anche gli studenti. 11 Prof.ssa Claudia Rutigliano La “buona scuola” non è fatta solo di slogan e annunci. È fatta, soprattutto, di persone di buona volontà che, con abnegazione e spirito di sacrificio, si dedicano alla crescita culturale e umana di giovani donne e uomini. La buona scuola sono, ad esempio, loro: i docenti e gli alunni dell’Istituto Tecnico Statale Economico e Tecnologico “Padre A. M. Tannoia” di Ruvo di Puglia che, a conclusione di due laboratori, realizzati nell’ambito del progetto “Aree a rischio”, si sono esibiti in due performances, entrambe allestite nella sede del Teatro Comunale di Ruvo di Puglia. 12 La prima serata è stata dedicata alla musica: i ragazzi hanno dato vita ad un concerto dal titolo “Suoni e Parole del mondo”. È stato il punto d’arrivo di un complesso percorso musicale che gli studenti conducono da anni, coadiuvati dalla professoressa Maria Summo, tutor del progetto, e dal Maestro Marcello Zinni. Originale il repertorio, che ha attinto a tradizioni diverse, da un lato legate agli orientamenti musicali degli adolescenti, dall’altro ispirate all’eterogeneo background degli artisti in erba, capaci di utilizzare il linguaggio universale della musica per integrare suoni e ritmi, stili ed espressioni, epoche e culture disparate. Nella seconda serata spazio al teatro: con lo spettacolo “Il Viaggio di Alì”, gli alunni, coadiuvati dalla professoressa Rosanna Ippedico, tutor del progetto, hanno esplorato in modo inedito i temi attualissimi della convivenza e dell’integrazione. Una scena essenziale, quasi scarna e in equilibrio tra luce e ombra, ha accolto gli spettatori. Due giovani interpreti, inizialmente, hanno animato un allestimento scenografico statico, ma non inerte, fatto di ferro, gomma e corda. Con un filo di voce, hanno ripetuto la melodia che faceva da sfondo al brusio del pubblico che lentamente prendeva posto, numerosissimo. Coinvolgente la scelta del regista, Giulio de Leo, di mantenere sempre aperto il sipario, come gli argini della storia di angoscia e speranza cui i giovani studenti hanno dato vita, con un’intensità interpretativa che fa onore a loro e bene a chi osservava, ascoltava e viveva, grazie a loro, quelle emozioni. “Il viaggio di Alì” è un racconto racchiuso nel gesto semplice e prezioso di una narratrice, una singola voce che si moltiplica nelle piccole e grandi storie di ogni personaggio; si scioglie in dialoghi e silenzi, in danza e attesa. C’è una forza evocativa in ogni parola, pronunciata con convinzione da ciascun interprete. Forte l’invito all’accoglienza e alla tolleranza, che non può lasciare indifferenti e che, per essere efficace, non sceglie altro se non i gesti, le intenzioni e le parole di un gruppo di giovani attori non professionisti, certo, ma con il coraggio e la determinazione giusti a rendere leggibili le emozioni che vivono sul palco. Ben calibrata, poi, la scelta delle musiche, un’ulteriore attenta punteggiatura della messa in scena che ha reso questo saggio finale del Laboratorio Teatrale un’esperienza piacevolmente condivisa e condivisibile. 13 Nicola Ciardi 2C Circa due mesi fa la libreria “Agorà” di Ruvo di Puglia ha promosso una gara di lettura dal titolo “Confabulare” rivolta a tutte le scuole del paese di ogni ordine e grado. Lo scopo della gara era quello di favorire il piacere della lettura, creando delle vere e proprie competizioni tra studenti, con tanto di domande ed esercizi di ascolto che hanno riguardato il libro “Dove eravate tutti” di P. di Paolo. Il protagonista, Italo Tramontana, è alle prese con la sua maturità quando all’improvviso un evento tragico lo sconvolge: il padre Mario, ex professore di liceo, investe un suo ex alunno. Il libro presenta tematiche diverse come la politica (ventennio berlusconiano) e l’adolescenza (la strada per ricerca della prima fidanzata che si rivela difficile e tortuosa) che fanno da sfondo a un rapporto difficoltoso e problematico tra padre e figlio. 14 La nostra scuola ha risposto all’invito proponendo per il concorso la partecipazione delle classi 2A, 2B, 2C. Gli studenti avevano il compito preciso di leggere il libro e di assimilarne il maggior numero di particolari per affermarsi nelle varie fasi della “competizione” con classi di altri istituti; inizialmente i ragazzi della 2C non hanno ben accolto la proposta della docente di italiano anche perché si aspettavano un maggiore coinvolgimento in fase di decisione. Per fortuna la forza di volontà e la caparbietà della Prof.ssa Giustina De Bartolo è riuscita a vincere questa apparente ostilità provocando nei ragazzi voglia di mettersi in gioco, passione e divertimento, atteggiamenti questi che hanno spinto verso un’attenta lettura e uno studio approfondito del libro. Al fine della partecipazione alla gara, dopo essersi divisi i compiti, gli alunni hanno messo in atto diverse strategie per poter arrivare alla vittoria. La 2C ha affrontato la sua prima classe “sfidante” proveniente dal liceo scientifico di Ruvo di Puglia incassando, in prima battuta, 6 punti di svantaggio. Tuttavia non si è data per vinta, anzi si è rialzata più forte di prima e dopo aver superato prove di ascolto e prove di sintesi in maniera quasi impeccabile è riuscita a ribaltare il risultato vincendo 32-12. La vittoria ha provocato nei ragazzi gioia e felicità ma soprattutto voglia di assimilare ancora di più i particolari del libro per arrivare in finale il più possibile preparati. Durante i giorni successivi le altre classi uscite sconfitte ci fornivano informazioni sui nostri futuri avversari e sulle domande che venivano poste. Il giorno della finale era carico di tensione e negli occhi dei ragazzi era chiaro che non si giocava più per divertirsi ma per vincere; ciononostante la prontezza e la preparazione approfondita della 2C nulla hanno potuto contro quelle degli avversari che fin dall’inizio della partita hanno segnato un profondo distacco. La 2C è stata l’unica classe dell’Istituto ad arrivare in finale e a conquistare comunque una posizione che lascia tutti soddisfatti. Concludo facendovi riflettere sul comportamento iniziale della 2C, ostile e refrattario, che è lo specchio del comportamento dei giovani di oggi, sempre contrari ad ogni nuova attività e ad ogni nuova proposta; ma proprio attraverso questa esperienza noi ragazzi siamo cresciuti e abbiamo capito che dire sempre no e mostrarci poco disposti non porta a nulla. Abbiamo capito che ogni proposta può essere un’opportunità per imparare cose nuove, per crescere e per divertirsi tutti insieme. Noi l’abbiamo capito, e voi? 15 Gli alunni della 2E L’istituto “ITSET PADRE A.M. TANNOIA”, seguendo le impronte dell’EXPO, che vede partecipe l’Italia nel mondo, ha voluto organizzare un evento sulla sana alimentazione. distribuiti, dietro offerta libera, cibi a base di frutta; il ricavato è stato destinato in beneficenza. Quest’esperienza ha aiutato i ragazzi ad apprezzare e a capire i benefici del mangiar sano e di un’alimentazione equilibrata e genuina. A tal proposito l’esposizione universale di Milano sarà l’occasione per riflettere e trovare soluzioni alle due grandi contraddizioni del mondo moderno: da una parte c’è ancora chi patisce la fame, dall’altra c’è la necessità di intervenire su un’alimentazione scorretta. Queste sono state le motivazioni che hanno spinto un gruppo di ragazzi ad organizzare un’attività che ha preso il nome di: “RIPULIAMOCI E RIGENERIAMOCI CON LA FRUTTA”. Nella settimana tra il 10 e il 14 marzo 2015 i docenti di scienze, la Prof.ssa Maria Rosaria Perrino e il Prof. Vito Grumo, coadiuvati dai docenti di sostegno ed educatrici, hanno coinvolto tutti gli studenti del biennio nella preparazione e nell’allestimento di uno stand presso il quale sono stati Questo evento, data la grande partecipazione dei nostri compagni, sicuramente sarà riproposto negli anni seguenti. 16 Manuela Campanale 1D Nella mattina del 24 marzo, io e la mia classe, ci siamo recati a Corato per visitare l’azienda Corgom srl. Quest’azienda è nata 36 anni fa, e nel corso degli anni, soprattutto negli ultimi 20, si è impegnata a sviluppare e ampliare sempre più le sue attività: quelle della raccolta, recupero e riciclaggio di pneumatici fuori uso (PFU). Nell’azienda si respira un’aria giovane, il rapporto di collaborazione fra i vari settori è elevato e ciò la rende sempre pronta all’innovazione, che reputo fondamentale per la crescita e lo sviluppo. Presso il centro di trattamento pervengono pneumatici di tutti i tipi, provenienti da qualsiasi attività (pubblica o privata) al fine di procedere al loro recupero e riciclaggio attraverso macchinari ad alta tecnologia. L’azienda offre, inoltre, una vasta scelta di pneumatici nuovi e rigenerati delle migliori marche tra cui: Goodyear, Continental, Pirelli, Michelin. Possiamo dire che il lavoro promosso da questa impresa ha un duplice vantaggio in quanto oltre a ridurre il costo degli pneumatici, riduce gli scarti che inquinano l’ambiente. La visita è stata resa accogliente dai dipendenti che ci hanno illustrato in modo semplice ma chiaro il modo di operare dell’azienda. In particolare, dopo averci riunito, ci hanno spiegato dapprima il funzionamento generale dell’azienda e, in seguito, che essa si potrebbe idealmente dividere in due sezioni: una che si occupa del riciclaggio e della ricostruzione degli pneumatici, l’altra che si occupa del loro riutilizzo. Questa seconda parte mi è sembrata più interessante in quanto ci mostrava come un normale pneumatico, non potendo essere più utilizzato, dopo essere stato privato dell’acciaio antititanio, veniva riciclato attraverso la sua frammentazione che avveniva all’interno di specifici macchinari, tant’è che, dopo diverse fasi di sgretolamento, esso poteva raggiungere diverse misure: grandi, medie e piccolissime. Del ricavato dei processi di lavorazione se ne fa poi un utilizzo appropriato: si va dai tappetini per gli ospedali all’erbetta sintetica per i campi di calcio. Dopo averci dotato di questa cultura tecnica, ci hanno mostrato l’azienda e tutti i suoi macchinari; la visita è terminata con l’offerta, da parte dell’azienda, di bevande e sandwich gustosissimi. Questa per me si è rivelata una giornata istruttiva ed interessante. 17 Prof.ssa Claudia Rutigliano “È per noi motivo di grande soddisfazione l’ottimo piazzamento del nostro Istituto nella speciale classifica formulata dalla Fondazione Agnelli e pubblicata sul sito www.Eduscopio.it. La nostra scuola risulta, infatti, al primo posto nella speciale graduatoria delle scuole dello stesso indirizzo situate nel raggio di 30 Km con un indice FGA di 67,73/100. Tale indice ci vede in vantaggio anche rispetto ad altre scuole sempre dello stesso indirizzo ma situate oltre tale limite. La classifica viene formulata in base a vari parametri che tengono conto del numero di alunni diplomati per anno, del voto medio di maturità, della percentuale di studenti che si iscrivono all’università, nonché della percentuale di quelli che superano il primo anno di studi universitari. Il lusinghiero risultato va attribuito in primo luogo agli alunni che hanno dimostrato il proprio impegno, ma anche alla costante azione didatticoeducativa del corpo docente, al loro alto profilo professionale, nonché all’indispensabile supporto delle altre componenti scolastiche: Direttore dei Servizi Amministrativi, personale amministrativo, tecnico e ausiliario. 18 A loro le mie congratulazioni e il mio sentito ringraziamento”. Così il Dirigente Scolastico dell’Istituto Tecnico Statale Economico e Tecnologico “Padre A. M. Tannoia”, Giovanni De Nicolo, accoglie l’importante riconoscimento che la sua scuola ha ricevuto dalla Fondazione Agnelli. L’Ente, da anni, porta avanti un progetto che consiste nella raccolta di dati relativi soprattutto al successo universitario degli studenti dopo il diploma, al fine di stilare una classifica delle scuole secondarie superiori, divise in base all’indirizzo di studi e valutate attraverso diversi parametri che ci forniscono importanti indicazioni sulla qualità dell’offerta formativa delle scuole. Per quanto riguarda gli Istituti Tecnici Economici e Tecnologici in un raggio di 30 Km da Corato e Ruvo di Puglia, il Tannoia, perciò, risulta primo, superando non solo gli istituti situati nei paesi limitrofi, ma anche le scuole tecniche storiche del capoluogo della Regione. E le buone notizie non finiscono qui. Perché, da una più attenta analisi dei dati diffusi dal progetto Eduscopio, emerge che, nella scelta degli studi universitari, gli studenti del blasonato istituto di Corato e Ruvo, non si indirizzano solo verso le facoltà economico-statistiche e giuridicopolitiche ma sono in grado di scegliere, con disinvoltura, anche gli studi umanistici e scientifici in senso lato. 19 Viene perciò rimosso il pregiudizio secondo il quale una scuola tecnica non prepari adeguatamente i suoi studenti ad intraprendere percorsi universitari. I positivi risultati conseguiti dagli alunni dell’istituto, anche dopo il diploma, dimostrano, infatti, che se una scuola fornisce una formazione in cui si coniugano preparazione professionale e alte e profonde conoscenze e competenze trasversali, predispone i suoi discenti ad affrontare serenamente tanto l’ingresso nel mondo del lavoro, quanto l’accesso a qualunque facoltà universitaria. Lo confermano anche alcuni studenti meritevoli dell’Istituto. Antonio Chiapperino, che frequenta a Ruvo la 5E dell’indirizzo amministrativo, afferma: “I dati parlano chiaro. La nostra scuola forma, sotto ogni aspetto. Da noi ci sono docenti che portano la loro esperienza di lavoro in classe e ci preparano concretamente a confrontarci con le difficili sfide che ci attendono quando varcheremo la soglia del mondo del lavoro e/o dell’università. Lo studio dell’economia e del diritto, unito ad una eterogenea e attenta preparazione in tutte le altre discipline, nonché alle esperienze di alternanza scuola-lavoro, si riveleranno, credo, fondamentali per comprendere la realtà e per competere in un mondo così complesso come quello attuale”. Nancy Capogna e Roberta Strippoli 3E – Sede di Corato Il 4 maggio il comune di Corato, con la collaborazione di tutta la cittadinanza e la scuola, ha accolto 150 croceristi americani della “Seven seas Cruise” che, con l’ausilio del loro comandante coratino, hanno scelto di prendere in considerazione la nostra cittadina per il loro tour in Puglia. Il coinvolgimento del Tannoia è stato accettato di buon grado, tanto da evidenziare la nostra conoscenza in ambito linguistico, messa alla prova per questa fantastica esperienza, grazie anche all’intervento della prof.ssa Redda, la quale ha organizzato il progetto. Wonderful, amazing! In questa giornata i turisti sono rimasti particolarmente colpiti dall’entusiasmo e dall’atmosfera gioiosa creata dai ragazzi del Tannoia, i quali hanno operato nei negozi, nelle casette - che vendevano i prodotti tipici di Corato, ovvero: olio, taralli, pane ecc..- e in piazza Sedile, dove si è tenuta una presentazione di falchi, accompagnata da musica, balletti, degustazioni e rappresentazioni delle maschere tipiche del carnevale coratino. Confrontandoci coi croceristi, è emerso che hanno di gran lunga apprezzato il modo in cui li abbiamo accolti: con calore e felicità, come se fossero dei nostri concittadini. Alcuni son rimasti talmente meravigliati da commuoversi, abbracciarci e offrirci ospitalità da loro in America. Soddisfatti del lavoro svolto, speriamo in un’imminente nuova avventura. 20 Prof.ssa Luciana De Nicolo simpatiche raffigurazioni, la nostra Costituzione come “la piu’ bella del mondo” (Benigni insegna!) con messaggi civici ed etici trasmessi con i suoi articoli. Al termine dell’attività laboratoriale le due squadre in gara hanno ricevuto un kit composto dal libretto della Costituzione (Principi fondamentali) precedentemente colorato e completato e da materiale scolastico di cancelleria. In questa maniera, i ragazzi imparano, riflettono e sono stimolati a fare considerazioni sul loro vissuto quotidiano nell’ottica dei Diritti e Doveri che spettano loro in quanto cittadini del mondo. La scuola ha la funzione di trasmettere i valori fondamentali di convivenza civile che, se incarnati, possono far diventare gli studenti, cittadini consapevoli del loro essere protagonisti all’interno della società. Il Laboratorio sulla Costituzione nasce dall’esigenza di rendere più friendly le nozioni di diritto che apparentemente possono sembrare difficili da comprendere e da vivere. Gli alunni, seguiti dai docenti di sostegno ed educatori, hanno partecipato con entusiasmo e impegno alla realizzazione del cartellone nella versione di “Gioco da tavolo” didattico. Lo scopo del gioco è stato quello di far “vedere” e “percepire” loro, attraverso 21 Prof.ssa Agnese Sardone Silvia, una ragazza di diciannove anni che frequenta la classe quinta, nonostante presenti difficoltà psico-motorie vive una quotidianità piena di interessi ed attività. In particolare, l’alunna ama la musica e le immagini che decorano i numerosi libri con cui lei è a contatto nei quali ha imparato a riconoscere gli aspetti fisici e caratteriali dei suoi personaggi preferiti. Ama la lingua inglese, conosce i numeri e i vocaboli afferenti ai colori, ai cibi, e agli indumenti riguardanti la realtà che la circonda. Ogni giorno Silvia è seguita da un’educatrice ed un’insegnante che si trasferiscono a domicilio, con le quali svolge diverse attività didattiche. Le sue giornate sono scandite da un regolare ordine di attività e dall’alternarsi di figure inerenti agli ambiti di intervento didattico e terapistico-riabilitativo, e di quelle strettamente familiari. Non potendo frequentare la sede scolastica, periodicamente ha contatti con i suoi compagni di classe. Silvia è una ragazza solare, allegra e socievole e questa sua personalità è il suo punto di forza nella vita. Quest’anno termina il ciclo di studi … e poi? 22 Prof.ssa Stefania Morrone In quest’anno scolastico gli studenti con disabilità dell’Istituto hanno avuto l’opportunità di sperimentare quanto può essere salutare l’interazione “uomocavallo” in occasione della visita alla fattoria sociale “Terra degli ulivi” di Ruvo di Puglia, effettuata a metà maggio. In una struttura attrezzata per accogliere sia persone normodotate che con disabilità, gli alunni coinvolti nell’intervento hanno potuto apprendere le nozioni basilari riguardanti il cavallo e la sua cura, facendo poi attività equestre vera e propria. Ogni alunno ha avuto l’emozione di salire su un cavallo addestrato e di avere il primo approccio con una pratica ludicosportiva particolarmente attraente come l’equitazione, disciplina che non solo sviluppa agilità e coraggio, ma accresce la fiducia in se stessi. Tutti gli studenti, vinta l’eventuale titubanza iniziale, dopo qualche giro di campo a cavallo, erano visibilmente contenti dell’esperienza e desiderosi di ripeterla. Il contatto con gli animali ha infatti subito trasmesso ai ragazzi una sensazione di benessere, riscontrabile, in qualche caso, nelle diminuzione dell’irritabilità e in una maggiore predisposizione al buonumore. Alcuni alunni sono entrati subito in sintonia con i cavalli, che hanno avuto l’opportunità di nutrire e accudire. Grande è stata infatti l’affinità con questi animali, la cui comunicazione è, in prevalenza, fondata su empatia e affettività. 23 Dott. Leone Vincenzo, dott.ssa Marcone Angela, dott.ssa Virgilio Nunzia Contatti: Ser.D. Ruvo di Puglia via I Maggio, n.5-: 0803608247- 0803608246-0803608265 Durante il corrente anno scolastico gli operatori del Ser.D. di Ruvo, in accordo con il Dirigente Scolastico e sostenuti dalla partecipazione attiva e motivata degli insegnanti referenti alla salute, hanno programmato e attivato diversi interventi all’interno dell’I.T.SET “ Tannoia” di Ruvo: incontri individuali, con gruppi classe, incontri informativi con docenti e genitori, articolati a seconda del contesto e delle richieste specifiche. Inoltre l’Istituto ha aderito al progetto regionale dell’ ASL BA Il gioco della rete che promuove salute (prevenzione relativa alla dipendenza da internet, cellulari, giochi elettronici…) nell’ambito del Piano Strategico Regionale per la Promozione alla Salute nelle Scuole, realizzato dagli stessi operatori del Ser.D. di Ruvo e rivolto ai genitori, agli insegnanti e agli studenti delle prime classi. La finalità generale che il Ser.D. intende perseguire, facendo prevenzione a scuola, è la promozione di risorse personali che favoriscano il pensiero critico (life skills) e contrastino comportamenti inadeguati e dannosi al benessere psico-fisico dei ragazzi. Gli interventi in classe, a forte valenza educativa e sociale, sono volti a far riflettere appunto i ragazzi su se stessi, su uno stile di vita sano che funge da fattore di protezione. Lo sportello dipendenze, invece, è uno spazio che ha come obiettivo principale l’informazione rispetto all’adozione di alcuni comportamenti a rischio e, al contempo, la promozione del benessere. Per prenotarsi è stato possibile presentarsi direttamente allo sportello nell'orario di apertura (ogni giovedì dalle ore 9,00 alle ore 10,30) o lasciare un bigliettino nella cassetta della posta accanto all'aula di sostegno. Gli operatori che gestiscono lo sportello ascoltano, appunto, le richieste e i bisogni dei ragazzi, offrono consulenza e fanno eventualmente da tramite con i servizi del territorio. Di fondamentale importanza è la collaborazione tra gli operatori dello sportello e gli insegnanti. Sono loro il principale riferimento dei ragazzi nella scuola, il tramite “credibile” attraverso cui veicolare proposte, informazioni e messaggi. Lo sportello è aperto anche ai genitori, tramite spazi per consulenze individuali attivate su appuntamento e incontri per approfondire i temi dell’adolescenza e della relazione con i propri figli. Ci piace immaginare questa attività come il luogo in cui ci si può dotare di alcune cose indispensabili da mettere nello zaino per il lungo viaggio della vita. 24 EURODESK TANNOIA Prof.ssa Palma Pellegrini Eurodesk è la rete (attiva in 33 paesi) supportata dalla Commissione Europea con lo scopo di diffondere informazioni e di fornire orientamento sui programmi che l’Unione Europea ed il Consiglio d’Europa promuovono a favore dei giovani. L'Itset Tannoia, antenna locale Eurodesk dal Gennaio 2010, si avvale dell’esperienza di operatori specializzati che hanno il compito di informare, orientare e promuovere la partecipazione attiva alle opportunità europee non solo dei propri studenti, ma dei giovani del territorio. Mission dell’Istituto è quella di formare professionalità culturalmente solide e, nel contempo, flessibili in grado di adattarsi ai mutamenti della società in continua evoluzione, in una dimensione internazionale e interculturale. Infatti il Piano di sviluppo europeo dell'ITSET Tannoia ha come obiettivi strategici nel medio-lungo periodo: La nascita di una cittadinanza europea attiva tramite la formazione di cittadini europei consapevoli attraverso una migliore integrazione del mercato del lavoro e una maggiore mobilità transnazionale. L’internazionalizzazione dell’istruzione realizzando percorsi di apprendimento linguistico in presenza o tramite l’uso di strumenti digitali. L’accoglienza ed interazione interculturale con alunni di diverse nazionalità tramite attività di scambi educativo-didattici attraverso Progetti Erasmus ed eTwinning. In considerazione di tutto ciò, la nostra comunità scolastica anche attraverso l'attività dell'antenna territoriale EURODESK mira a: 1. Inserire gli studenti in contesti lavorativi anche internazionali; 2. sviluppare competenze professionali in lingua straniera e in particolare nell'uso della metodologia CLIL, al fine di ampliarne l'applicazione in diverse aree disciplinari e avviare una continuità con l’Università; 3. ampliare e approfondire l'uso di metodologie innovative, per rispondere alle necessità degli alunni anche con bisogni educativi speciali; 4. ampliare l' offerta formativa e gli orizzonti culturali della nostra Istituzione implementando la dimensione europea del curricolo; 5. promuovere partenariati con diverse istituzioni per l’innovazione del sistema economico, lo sviluppo dello spirito di iniziativa e dell’imprenditorialità; 6. rielaborare il nostro sistema formativo attraverso il confronto delle buone prassi con altri sistemi europei, al fine di raggiungere più alti standard qualitativi; 7. promuovere nell' Istituzione scolastica la comprensione e la sensibilità verso le diversità sociali, linguistiche e culturali, superando ogni forma di pregiudizio e stereotipo; Pertanto si invitano tutti i giovani (dai 16 ai 30 anni) del territorio a visitare le sedi di Corato e Ruvo di Puglia per cogliere le opportunità europee esistenti nel settore della Gioventù che riguardano: mobilità, tirocini, studio, lavoro, volontariato. REFERENTE EURODESK: RUVO DI PUGLIA Prof.ssa Palma Pellegrini CORATO Prof.Zaccaria Facchini 25 Prof.ssa Maria Summo Ore 10.00, 13 maggio 2015, la biblioteca del Liceo Scientifico “Einstein” di Molfetta si anima di voci, di parole appena pronunciate, di sorrisi che si scambiano piacevolmente ragazzi provenienti da diverse parti della Puglia e che si sentono accomunati da un sogno: “gli Stati Uniti d’Europa”. È stato questo il tema del concorso lanciato dall’AICCRE mesi or sono per far riflettere i giovani di diverse età sulla realtà Europa in cui sentirsi cittadini partecipi. L’ AICCRE è l’associazione italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa e rappresenta in modo unitario le Regioni, le Province e i Comuni a livello europeo. 26 Il concorso, indetto dalla Associazione, riservato agli studenti delle scuole medie inferiori e superiori della Puglia, si propone, secondo il regolamento di: affermare il valore della partecipazione e della identità nazionale nell’unità europea; far conoscere i diritti dei cittadini europei e il progetto di pace, di libertà e democrazia, quale è nei Trattati di Roma per giungere, nel rispetto delle identità nazionali, alla riunificazione del vecchio continente in una solida comunità politica; educare le nuove generazioni alla responsabilità politica e sociale comune, alla mutua comprensione delle problematiche europee ed internazionali, per stimolare la partecipazione e favorire l’elaborazione di soluzioni comuni (vedi oggi il grande problema dello spostamento di masse dall’ Africa Settentrionale) in cui abbia rilievo il valore della diversità, della cooperazione e della solidarietà. Tre ragazzi del nostro Istituto: E. Panessa (classe 2B), G. Vendola, G. Altamura (entrambi della classe 1C) hanno colto lo spirito del tema “Verso gli Stati Uniti d’Europa’’ secondo la visione di Jacques Delors (politico ed economista francese, convinto europeista) che abbandonò la strategia funzionalista dei padri fondatori e perseguì la visione federale che si traduce nell’idea di una federazione di Stati, visione rivisitata e fatta propria anche da G. Amato e R. Prodi e condivisa dalla Associazione come ha ben precisato il segretario generale Aiccre Puglia prof. G. Valerio. L’alunna E. Panessa ha realizzato un video-dossier, della durata di quindici minuti circa, dal titolo “Verso gli Stati Uniti d’Europa”. L’obiettivo è stato far risaltare la bellezza e la ricchezza di ogni singolo stato europeo, poiché dalle piccolezze di ciascuno e dalla loro unione si può creare uno stato unico e federalista secondo i princìpi dei convinti europeisti. Esso presenta una linea del tempo che inizia il 9 maggio 1950 con la dichiarazione di S. Schuman che evidenzia come si sia venuta a creare l’unificazione dell’Europa e termina con una visuale dell’Europa attuale pervasa da mille problematiche; musica e letteratura ne fanno da cornice. “Un albero maestro” hanno realizzato i ragazzi della 1C volendo rappresentare con esso la conoscenza, lo studio e gli strumenti tecnologici che sono utili ai ragazzi per raggiungere la consapevolezza di essere cittadini europei. Campeggia sullo sfondo un cannocchiale scelto come simbolo dello sperimentalismo galileiano della ricerca e dello studio. L’unità è rappresentata graficamente dalle bandiere europee racchiuse nel cerchio stellato. I lavori sono stati apprezzati dall’associazione AICCRE, (tra circa sessanta elaborati) attraverso un riconoscimento, attestato da una targa. 27 Celeste Quacquarelli, Vincenzo Barile 1A; Manuel Nichilo, Micaela Diaferia 2A; Pasquale Mintrone 3B; Luca Tedone 4C – Sede di Corato Il connubio tra le arti e le espressioni della parola, della musica e della rappresentazione ha permesso a noi ragazzi dell’ITSET “Tannoia” di Corato, di rivisitare in chiave attuale un testo antico. Noi ragazzi del laboratorio teatrale e del laboratorio musicale MusicLab VI Edizione abbiamo inizialmente lavorato in maniera parallela e, successivamente, in stretta sinergia per la realizzazione dell’esilarante esibizione della commedia del grande autore francese Molière “Il borghese gentiluomo” il 24 Novembre 2014, presso il Teatro Comunale di Corato. Ci siamo cimentati in percorsi di grande valore formativo. Le attività laboratoriali sono state motivanti e impegnative e hanno offerto a noi ragazzi l’opportunità di intrecciare grandi amicizie ed un elevato coinvolgimento fra alunni di classi diverse. Per gli alunni delle classi prime, l’esperienza ha costituito un vero e proprio debutto nel nuovo contesto scolastico che, a sua volta, si è dimostrato interessato alla scoperta di nuovi possibili talenti. Per gli alunni delle classi seconde, terze, quarte, quinte ed ex-alunni con precedenti esperienze teatrali e musicali, forte è stata la condivisione dell’esperienza simultanea di teatro e musica e dell’ampliamento delle amicizie. Grazie alla professionalità del maestro Francesco Martinelli (per il laboratorio teatrale) e del maestro Tommaso Scarabino (per il laboratorio musicale) e al supporto dei docenti referenti Rosanna Falco, Domenico Capozza e Sergio Falleti abbiamo vissuto un’esperienza unica e appagante che speriamo vivamente di ripetere. 28 Celeste Quacquarelli, Chiara Modesti 1A; Alessia Fracchiolla, Nunzia Caterina 2A; Francesca Scaringella, Sara Cantatore 5E – Sede di Corato Il Natale è stato l’occasione per promuovere e organizzare in data 14 dicembre 2014 una giornata Interculturale all’insegna della Solidarietà. L’evento proposto dall’ Associazione “La Centrale delle Idee – Donne&Società” al Dirigente Scolastico dell’ITSET “Tannoia” di Corato prof. G. De Nicolo e alla prof.ssa R. Falco, docente di lingua tedesca, ha catturato l’interesse degli studenti delle classi 1A, 2A, 3E/R, 5E/R che studiano la lingua tedesca. Il tema su cui i ragazzi hanno lavorato è stato, infatti, “Il Natale in Germania”, dedicando il loro tempo alla produzione di oggetti, alla preparazione di dolci e all’organizzazione di un balletto, rievocando la tradizione natalizia tedesca. Gli alunni si sono occupati anche dell'allestimento dello stand collocato in “Largo Plebiscito”, che ha permesso la vendita dei prodotti al gran numero di visitatori. Il successo di tale iniziativa è stato possibile anche grazie alle numerose decorazioni che adornavano la struttura; erano infatti presenti cartelloni, ghirlande e luminarie, realizzate sempre dai ragazzi, che richiamavano la suggestiva atmosfera natalizia della Germania. Ma non è tutto! Gli studenti hanno curato e approfondito anche aspetti di natura economico-aziendale, ma in lingua italiana! Il 20 Dicembre 2014 in Aula Magna dell’ITSET “Tannoia” di Corato, alla presenza dell’Associazione organizzatrice, il ricavato della vendita dei manufatti è stato devoluto in beneficenza. Tutto ciò è stato possibile grazie al team dei docenti, collaborativo e propositivo; proff: R. Falco, V. Lorusso, G. Colangelo, G. Frualdo, G. Redda, M. Arresta, T. Di Bisceglie, L. Avella, R. Bucci, e R. Piarulli; educatrici: M. Nuovo, P. Anelli, di F. Cascarano, ex alunno, di due mamme delle alunne della classe 2A (M. Di Bartolomeo e L.Ventura) e dello Sponsor “Ausonia Vivai”. Natale - Cultura - Amicizia - Solidarietà. Grazie al “Tannoia”! 29 Chiara De Venuto 3A Gli studenti dell’ ITSET Padre A.M. Tannoia sede di Ruvo sono stati coinvolti, nel mese di marzo, in un importante progetto: le “Giornate FAI di Primavera”. Il FAI, ovvero il Fondo Ambiente Italiano è una fondazione che opera per la tutela, la salvaguardia e la valorizzazione delle realtà territoriali italiane, attraverso l’apertura al pubblico per alcuni giorni primaverili di beni storici, artistici e naturalistici al fine di sensibilizzare e stimolare l’interesse e la conoscenza delle collettività locali. Il sito prescelto per queste giornate è stato l’ex-convento dei Domenicani, ora sede della Pinacoteca comunale di arte contemporanea. L’edificio ha una storia alquanto curiosa in quanto, fin dalla sua fondazione nel 1560, è stato oggetto di varie trasformazioni: nato come convento domenicano sui resti di un precedente monastero (dedicato a Santa Caterina di Alessandria), con la soppressione degli ordini religiosi del 1809 voluta dall’allora Re di Napoli, il francese Gioacchino Murat, divenne una caserma militare e, successivamente, un teatro. Nel tempo l’edificio è stato adibito a Scuole pie, femminili e infine pubbliche, fino ad ospitare, dopo vari restauri iniziati nel 1995, l’attuale Pinacoteca. Durante le Giornate FAI, gli studenti si sono trasformati in “apprendisti Ciceroni”, ovvero in guide ufficiali FAI che, dopo un intenso lavoro di studio con l’aiuto degli insegnanti e dei delegati FAI, hanno illustrato la struttura ai visitatori della Pinacoteca, non mancando di accuratezza nei dettagli storici ed artistici. Nella pinacoteca vi è infatti una vasta collezione di opere (perlopiù appartenenti all’artista locale Domenico Cantatore ma anche dei pittori Francesco Di Terlizzi, Mauro Grumo, Michele Chieco e di altri artisti) grazie alle quali il visitatore viene a conoscenza delle correnti artistiche: il cubismo, l’espressionismo e l’impressionismo. Tale esperienza è stata per me altamente formativa; mi ha permesso di conoscere ed apprezzare aspetti storici del mio territorio e correnti artistiche alle quali non mi ero mai avvicinata e che avevo sempre ignorato. Inoltre, l’aver interagito con dei turisti mi ha dato la possibilità di smussare alcune sfaccettature del mio carattere quali l’introversione e la timidezza verso gli altri. In conclusione, ritengo l’esperienza FAI un evento che permette allo studente l’acquisizione di nuove competenze, la loro applicazione e il confronto diretto con la realtà territoriale locale. 30 Docente tutor Prof.ssa Maria Summo Il fascino e la bellezza della musica si ripetono ancora con l’attivazione di un nuovo Laboratorio musicale, nell’ambito del progetto Aree a Rischio finalizzato alla valorizzazione delle differenze dei singoli quali fonti di crescita e ricchezza per tutti, alla costruzione di relazioni positive tra pari e con gli adulti proponendo la scuola come spazio, sano e protetto, di aggregazione e crescita culturale. È il secondo laboratorio attivato nello stesso anno scolastico; gli esiti del primo sono stati già presentati nella manifestazione del 19 novembre 2014. La musica attrae ancora i ragazzi dell’Istituto che hanno risposto con entusiasmo all’invito della docente tutor e con impegno hanno seguito i diversi incontri curati con perizia dal maestro Marcello Zinni. La musica, certamente, è l’anima dei giovani, forma il loro habitus critico e la loro affettività e li aiuta nelle relazioni personali. Infatti, il titolo “Una musica può fare” non è solo il titolo di una canzone di Max Gazzè, ma, come afferma il maestro Zinni, è soprattutto un’idea: la musica ha il potere di avvicinare e unire le persone portandole a condividere emozioni, a confrontare in maniera costruttiva gusti e opinioni diverse riuscendo a farli convivere costruttivamente. Diverse sono le competenze che hanno messo in campo i ragazzi: alcuni sono strumentisti, altri fanno parte del coro (che questa volta è cresciuto nel numero). Tutti gli allievi si sono appassionati nell’affrontare lo studio, l’esecuzione dei brani selezionati, adattati e arrangiati in base agli strumenti musicali a disposizione degli studenti, così le voci si sono modulate di volta in volta sui testi scelti che sono diversi tra di loro ma tutti “diversamente belli” sia sotto l’aspetto musicale che sotto l’aspetto testuale I nostri ragazzi operando all’interno del Laboratorio hanno così respirato un modo alternativo e meno artificioso di comunicare rispetto a quello dei social network e hanno imparato a utilizzare la musica come altro linguaggio utile ad accomunare con la sua magia le differenti sensibilità e culture. 31 VIAGGI Prof.sse Isabella Anzelmo e Claudia Rutigliano “Un viaggio nel cuore dell’Europa e, soprattutto, un viaggio interiore, una riflessione nei luoghi della Memoria, dove non solo si manifestò, nel modo più tragico e cruento, lo sterminio di ebrei, slavi, zingari (rom), ma dove ci si trova tuttora di fronte alle possibilità dell’umano. La visita ai Campi di concentramento e sterminio di AuschwitzBirkenau ha costituito solo l’ultima tappa di un percorso che dal 27 gennaio al 2 febbraio ci ha proiettato geograficamente ed emotivamente in una realtà che è ancora viva, che grida giustizia e richiama alla conoscenza, alla consapevolezza e al rifiuto di ogni forma di negazionismo. Rivivere la storia passata affinché la memoria non possa andare persa!”. È questo quello che emerge dalla dichiarazione commossa di Tiberio De Chirico, uno dei sei studenti che ha costituito la delegazione dell’ITSET “Tannoia” di Ruvo, guidata dalla prof.ssa Isabella Anzelmo, e che ha condiviso con altri 750 giovani pugliesi il viaggio in Polonia. Il progetto del Treno della memoria, giunto alla sua decima edizione, è organizzato dall’associazione “Terra del fuoco” – Mediterranea” ed è sostenuto dall’Assessorato alle Politiche Giovanili e alla Cittadinanza Sociale della Regione Puglia. 32 L’iniziativa è stata quest’anno supportata anche dall’Assessorato alla Pubblica Istruzione e Politiche Sociali del Comune di Ruvo di Puglia. Particolarmente significativo il sostegno e il contributo da parte di aziende del territorio: ElCab SRL Ruvo di Puglia, Vitale EdilRuvo, Di.A SRL Distribuzione automatica e la TE.F Impianti Elettrici di Terlizzi, che hanno creduto negli obiettivi educativi del progetto. Un impegno sinergico, quindi, tra scuola, istituzioni e mondo aziendale, che ha prodotto un risultato straordinario: fare storia nel modo più intenso e coinvolgente. Grande la soddisfazione del Dirigente Scolastico, Giovanni De Nicolo: “Grazie anche all'impegno di molti docenti, particolarmente sensibili alla tematica, quest’anno la nostra scuola è riuscita a far partire il "Treno della Memoria". Al ritorno i partecipanti hanno raccontato la loro esperienza facendo trasparire l'emozione oltre al valore formativo della stessa. Nell'occasione, ho espresso agli alunni l'auspicio che dall'esperienza traggano valide ispirazioni nell'immediato e nella loro vita futura, per promuovere i valori della pace, della solidarietà, dei diritti umani”. Stando al racconto degli studenti, l’auspicio del dirigente sembra già materializzarsi, nelle parole commosse, ma lucide, dei ragazzi. “Vorrei descrivere il mio viaggio con poche parole: mai più! È con questo spirito che ho affrontato il mio Treno della Memoria, in terra polacca, io stesso mi sentivo un vagone vivo di quel treno che idealmente viaggiava su un unico binario emotivo. L’ esperienza adesso fa parte della mia vita. Il Treno della Memoria è stato un punto di partenza da cui iniziare a pensare in modo diverso, più consapevole e responsabile!” afferma Vincenzo Adessi. Nel corso di sei giorni ragazzi, docenti ed educatori hanno elaborato attraverso le visite, le rappresentazioni di attori teatrali e le contestualizzazioni di docenti e ricercatori, il clima che portò alla nascita del Nazismo e al rapporto e alle responsabilità che l’Italia fascista ebbe con questo regime. Di qui la necessità di sostare, come prima tappa, alle Risiere di San Sabba a Trieste. Seconda tappa Cracovia, città fortemente segnata dalla Shoah per l’enorme presenza di ebrei, per le tracce del muro del ghetto che richiamano quelle di un cimitero ebraico e per la piazza delle 68 sedie, memoriale del rastrellamento del ghetto. Qui per le strade e nelle piazze sono stati messi in scena i principali avvenimenti che portarono all’avvento del Nazismo, la propaganda del regime e l’adesione dei giovani al movimento. È stato qui che i ragazzi hanno scoperto con i loro occhi e ascoltato attraverso le voci dei testimoni, riportate dagli attori, cosa è stato l’Olocausto, e qual è la lezione di cittadinanza che si può ricavare per il futuro. Così ripercorre lo studente Alessandro Vino le tappe salienti dell’esperienza. “Viaggio perfettamente programmato: la simpatia e la bravura degli educatori che non hanno fatto pesare la durata dell’intero viaggio, la competenza delle guide nello spiegare la storia della popolazione ebraica a Cracovia, specialmente nel ghetto ebraico e nella famosa fabbrica di Schindler, luogo in cui più di mille ebrei trovarono rifugio dalle minacce naziste. 33 Inoltre è stata straordinaria l’interpretazione degli attori nel raccontare il clima sociale degli anni ‘30”. Stanchi per un viaggio di 2000 km, gli studenti hanno poi affrontato la visita ai campi di Auschwitz-Birkenau. Come ci confida Margherita Mastandrea, “un indescrivibile accavallarsi di emozioni, dalla più semplice alla più complessa, dalla più scontata alla più importante. I campi e la neve, la neve e gli alberi, gli alberi e le bandiere, le bandiere e i forni, i forni e lo zyclon B, lo zyclon B e le gelide camerate…”. La mattina mentre varcavamo i cancelli di accesso al campo di Auschwitz, ci siamo sentiti parte di quella realtà, non visitatori passivi. “Nessuno osava parlare”, ricorda Sara Paparella, “sono stata stravolta da emozioni forti e indescrivibili. Mi bastava incrociare lo sguardo di ogni persona che mi circondava per capire che non ero sola, che le diverse emozioni erano provate anche da tutti gli altri: tristezza, stupore, incredulità, sgomento! Tutti ascoltavamo la guida attraverso i nostri auricolari e, mentre passavamo da un blocco all’altro del campo, restavamo esterrefatti dalla montagna di capelli, di occhiali, di valigie, di indumenti di bambini, di protesi di ogni genere strappate ai deportati. Le foto e le gigantografie, presenti all’interno del museo, raccontano come si viveva e, soprattutto, come si moriva nel campo; un triste album che riporta le immagini ritrovate da Lili Jacob, una deportata che ritrovò le foto, scattate da una guardia tedesca. Passando per i diversi settori, abbiamo visto come avveniva la sperimentazione su questi uomini, donne e bambini. I diversi reparti ospedalieri all’interno del campo, in realtà, non curavano ma, tra queste mura, medici e infermieri abusavano di corpi indifesi. E poi le celle, le torture e il terrore che ogni giorno si viveva sul “piazzale dell’appello”, dove si controllavano le presenze dei detenuti e le pressioni psicologiche e fisiche subite a causa di eventuali fughe. In realtà, nessuno riusciva a fuggire: un doppio filo spinato segnava e limitava ogni possibilità di uscita dal campo. Ma la parte della giornata più intensa dal punto di vista emotivo è stata nel pomeriggio la visita a Birkenau, a tre km dal primo campo. La desolazione e la distesa enorme di baracche ci ha fatto capire che la “soluzione finale” trovava qui la sua più concreta attualizzazione. Vedere le baracche delle detenute in quarantena, le latrine e i lavatoi nei quali scorreva un’acqua putrida non ha lasciato spazio ad altra immaginazione! Qui tutto è ancora visibile: il binario che conduceva i detenuti nel campo, le carrozze in legno usate per il trasporto dei deportati, completamente buie e senza prese d’aria, la famosa banchina dove avveniva la prima selezione tra uomini e donne e bambini, tra abili e inabili. Lì in fondo al binario i resti delle camere a gas fatte esplodere prima dell’arrivo dei russi”. “I binari? Sì, i binari. Binari per andare via, fuggire, scappare a quell’orrore. Per permettere ai bambini di volare, viaggiare, essere curiosi della vita. Invece no, di qui non si usciva vivi, annientati, strappati via da tutto e tutti. Perché gli occhi hanno visto e taciuto? Perché gli occhi gridavano disperatamente e nessuno li ascoltava?”, continua Margherita. 34 Si è conclusa in fondo al binario la giornata di studenti e docenti, sul Monumento in onore delle vittime. Hanno spontaneamente ripetuto ad alta voce il nome di una vittima, segnato su un pezzo di stoffa mentre nel museo guardavano i volti dei deportati nei quadretti affissi sui muri del museo. Hanno siglato il nostro impegno a “non dimenticare” prima con la voce “Io ti ricordo”, poi con la loro impronta digitale su un telo bianco e, infine, accendendo un lumino e posandolo sui binari. Mentre scendeva il buio le fiammelle illuminavano quel binario d’ingresso senza ritorno al campo. “Quello che mi fa più male dice Stella Falcone - è poter pensare che io sono riuscita ad uscire dagli orribili campi di Sterminio, mentre altri uomini, donne e bambini non ne hanno avuto la possibilità ed hanno sofferto fino alla loro morte. Percorrendo i viali innevati, calava il silenzio tombale, ma dentro di me sentivo le urla di uomini e donne che avevano bisogno d’aiuto! Le nostre fioche luci erano mosse da un vento che accarezzava gli alberi e le bandiere in fondo al monumento e la luna accompagnava il nostro ritorno fuori dal campo tra un suolo a tratti ghiacciato, a tratti fangoso. Su tutto quello che abbiamo visto, provato e tentato di riportare domina una frase presente in uno dei primi blocchi del campo “The one who does not remember history is bound to live through it again” (G. Santayana). Una condanna che pesa sulla storia della nostra Europa, ma allo stesso tempo un monito perché non accada mai più, affinché la Memoria apra uno squarcio profondo nel buio dell’Oblio”. 35 Angela la Fortezza, Gaetano Chiapparino, Alessia Paparella 2A I giorni 16/17/18 aprile 2015 noi classi seconde abbiamo avuto la fortuna di partecipare al meeting della pace, nonché centenario della Grande Guerra, svoltosi ad Udine. Per meeting di pace si intende un incontro nazionale tra alcune scuole italiane aderenti al progetto, nell’ambito del quale si è discusso dell’importanza della pace. Il meeting è durato due giorni: il primo giorno abbiamo partecipato ad un laboratorio sulla pace, analizzando e discutendo i lavori che ciascuna scuola ha portato e dopo abbiamo partecipato ad una marcia che inneggiava alla pace; il secondo giorno abbiamo preso parte ad una escursione sul monte Sabotino, sul quale abbiamo visitato le trincee. A esser sinceri non pensavamo che questo strano viaggio d’istruzione ci avrebbe coinvolto più di tanto, ovviamente sbagliavamo. Tralasciando il laboratorio che è stato sì interessante, ma forse fin troppo dettagliato, è stato tutto molto avvincente dal primo all’ultimo momento, in particolare la visita alle trincee. Indescrivibile da molti punti di vista. Esser lì, in quel momento e con le condizioni del tempo a nostro sfavore, ci ha fatto provare solo un centesimo di ciò che potrebbero aver provato i nostri eroi che combattevano su quel fronte. Mentre per quanto riguarda la marcia, sarà stata un po’ faticosa, ma tornando a casa i nostri parenti ci hanno lodato per averci visti in tv perciò siamo certi di aver compiuto un gesto più che significativo, siamo certi che attraverso quella manifestazione abbiamo trasmesso un messaggio chiaro e tondo che coincide con l’hashtag lanciato dagli organizzatori del meeting: “Qui si fa la pace. Qui si fa la storia.” Questa è stata senz’altro una grande lezione di pace, di storia e di cittadinanza europea, o comunque una grande esperienza utile a capire e vivere da protagonisti il nostro tempo. 36 Prof.ssa Maria G. Murolo La sorte ha deciso che dovessimo partecipare al Meeting di pace nelle trincee della Grande Guerra nelle peggiori condizioni atmosferiche. Pioggia, vento e gelo ci hanno accolto a Udine e accompagnato nelle trincee senza mai lasciarci per un attimo. Con questi compagni di strada non è stato affatto facile camminare assieme. Ma ci siamo riusciti. Entusiasmante la condivisione di tutti i nostri lavori nei laboratori, la marcia sotto una pioggia battente e l’assemblea a conclusione del percorso, tra gruppi musicali che suonavano, balli e slogan di promesse di grande passione civile. Ma il momento più entusiasmante è stato il percorso nelle trincee infangate del monte Sabotino, che resterà a lungo nella nostra memoria. A cento anni dalla prima guerra mondiale siamo stati protagonisti e testimoni di un evento unico. Infatti, laddove sono stati ammazzati centinaia di migliaia di giovani, noi abbiamo portato la vita, la fiducia e la speranza. Mentre in tante parti del mondo dominano la guerra, la violenza e l’indifferenza, l’I.T.S.E.T. Tannoia ha dato a tutti, insieme a tante altre scuole d’Italia di ogni ordine e grado, una grande lezione di pace, di responsabilità e di impegno. Siamo orgogliosi di aver partecipato! Riguardando le foto, i selfie, le pubblicazioni a riguardo da parte del Comitato promotore Meeting di Pace nel sito: “La mia scuola per la pace” ad un appello ideale potremmo rispondere “Presente!”. 37 Pierluigi Cantatore, Nicola Ciardi 2C; Arianna Longone, Alessio Eremito, Gino Urciuoli 2D Quest’anno, tutte le classi seconde hanno intrapreso un percorso di pace sia per ricordare il centenario della "Grande Guerra" sia con attività organizzate a scuola con i nostri docenti, sia con la partecipazioni ad eventi organizzati sul nostro territorio per dire no alla guerra. Noi alunni di 2D e 2C abbiamo iniziato tale percorso con la partecipazione alla mostra multimediale con simulazioni, “Senzatomica”, presso il Palazzo Murat, a Bari, nel mese di novembre. È proprio qui che abbiamo capito che il futuro è determinato dalla profondità e dall’intensità dell’impegno preso dalla persone che vivono nel presente. Il disarmo nucleare parte da un disarmo interiore. Le testimonianze e la visione degli effetti della bomba atomica in Giappone (argomento affrontato nella mostra) hanno scosso tutti i presenti e ci ha permesso di cogliere ciò che non vogliamo per il futuro, ovvero l’utilizzo delle armi nucleari, la violenza e le guerre. Di questo si è discusso (dal 27 aprile fino al 22 maggio 2015) nella sede delle Nazioni Unite a New York, in occasione della conferenza di revisione che ogni 5 anni è chiamata a esprimersi sugli accordi del trattato nato nel 1995. L’obiettivo, già venti anni fa, era di arrivare all’eliminazione delle armi nucleari entro il 2000 ma, ad oggi, la cosa è ancora in divenire. Tra i grandi pacifisti citati alla mostra, ci ha colpito una frase di Gandhi, il quale diceva: “Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo”. Proprio con occhi da sognatori, come ci ha definiti la guida, abbiamo continuato il nostro percorso durante l’anno scolastico con una serie di progetti che, tra l'altro, hanno reso ancora più emozionante l’evento tanto atteso: il viaggio d’istruzione ad Udine. Nonostante il lungo viaggio, l'energia positiva non è venuta meno, e abbiamo potuto affrontare la conferenza di pace del 17 aprile in cui la nostra scuola (seguita dalle prof.sse De Bartolo, Dileo, Iannelli, Murolo, Papapicco) ha presentato il proprio percorso-progetto “Dalla guerra alla pace”. Sfidando la pioggia, il freddo e il vento abbiamo osservato dal vivo le trincee, luoghi scavati con picconi e dinamite, alloggi di una vita statica in cui, per tre lunghi anni, i soldati venivano svegliati da pallottole sparate nelle gambe o da un colpo di cannone che segnava l’inizio di un nuovo giorno, forse l’ultimo. Tutte queste emozioni possono essere ben spiegate da una citazione di Tiziano Terzani: “allora io dico: fermiamoci, riflettiamo, prendiamo coscienza. Facciamo ognuno qualcosa”. Questo viaggio è stato l’inizio di un percorso di pace che, con beneficio di tutti, cercheremo di portare avanti e gestire grazie ad esperienze come questa, traducendo in fatti l’idea che “le guerre non sono cose da fare, né per terra, né per mare, né di giorno, né di notte" (G.Rodari). 38 Studenti di Ruvo di Puglia e Corato Studiare a Londra per quattro settimane: nessuno di noi studenti del quarto e del quinto anno dell'ITSET Tannoia di Ruvo e Corato avrebbe mai pensato di realizzare un sogno così grande. Grazie all'opportunità offertaci dal progetto PON C1 “Going further with English”, finalizzato all’acquisizione della certificazione Cambridge FCE- level B1 e B2, quindici ragazzi, legati dall’ansia e dall’emozione del loro primo viaggio all'estero, sono partiti alla scoperta di una realtà finora conosciuta solo sui libri o virtualmente sulla rete. Dopo il viaggio in aereo, l'Istituto “Skola Newland College” è stato la nostra nuova residenza/scuola per quattro settimane. Trascorso il primo giorno liberamente, sono iniziate le lezioni e le visite alla scoperta dello “English Way of Life”. Dopo aver fatto conoscenza con lo staff del college, con i nostri insegnanti, David e Seval, e con altri studenti che hanno avuto la nostra stessa opportunità di studiare all'estero, abbiamo iniziato a integrarci nella comunità londinese, a scoprire usi e costumi locali e a migliorare l'uso della lingua inglese. Siamo stati affascinati dall’imponente Big Ben, dal maestoso Windsor Castle, da Buckingham Palace e dall’incantevole Tower Bridge verso i quali è impossibile restare indifferenti. E che dire del London Eye? Il Grande Occhio che veglia sulla capitale, offrendo, a chiunque desideri lasciarsi portare in cielo sulla gigantesca ruota, un panorama mozzafiato? Suggestivo anche il “salto nel tempo” a Greenwich, dove una semplice linea ha il potere di farti sentire sospeso tra passato, presente e futuro. Impossibile non farsi emozionare dal British Museum, Science Museum, Natural Museum e History Museum, nei quali abbiamo avuto possibilità di fotografare monumenti e opere d’arte. È d’obbligo anche ricordare le incantevoli città di Brighton e Oxford, visitate durante i weekend, con la loro antica storia e le loro tradizioni. Non sono mancate tuttavia le lunghe passeggiate pomeridiane nei boschi del College che ci hanno permesso di staccarci dai ritmi frenetici della metropoli londinese, divenuta a volte impegnativa anche per noi. Purtroppo quattro settimane a Londra sono volate, così siamo tornati a casa dopo un’esperienza che ci ha arricchiti da tanti punti di vista e con tanta nostalgia di questa nazione così moderna e nello stesso tempo ancorata alla propria storia secolare. Un ringraziamento speciale va alle professoresse Lucia Arcadite, Rosa Balducci, Vincenza Lorusso ed Emilia Papapicco, che ci hanno accompagnato in questa favolosa esperienza, nonché alla nostra istituzione scolastica per la preziosa opportunità offerta ai suoi alunni. 39 SCIENZE Raffaele Dardanelli, Luca Troiano 4C Quante volte ci capita di ascoltare musica e sentirci meglio subito dopo? Ciò che accade non è un’illusione, ma qualcosa di scientificamente dimostrato: la musica può essere uno strumento di relax per tutto il corpo sia da un punto di vista mentale che fisico. Essa infatti può rasserenare il nostro animo, risvegliare la nostra forza di volontà, stimolare la nostra concentrazione, migliorare le funzioni intellettuali e consentire meditazioni più profonde stimolando la nostra creatività. La musica può essere utilizzata anche all’interno di alcune terapie, tra le quali la più conosciuta è la Musicoterapia (che sfrutta il suono e i campi energetici per migliorare le condizioni dell’organismo). La fusione tra il ritmo, il tono, la melodia, l’armonia e il timbro e la differente combinazione tra questi cinque elementi provoca un’influenza diretta nel corpo e nel pensiero umano. È dimostrato, ad esempio, come ascoltare musica classica possa ridurre considerevolmente l’appetito, mentre ascoltare musica allegra e divertente stimoli la fame nell’organismo. È per questo motivo che nei fast-food sarà molto più facile ascoltare musica “dinamica”. In conclusione possiamo affermare che al di là dei gusti, diversi per ognuno di noi, esiste un altro mondo legato alla musica, forse ancora più affascinante, indubbiamente meno conosciuto, ma allo stesso modo importante e curioso che sarebbe bene conoscere al fine di coniugare le nostre passioni musicali con i nostri bisogni psicofisici. 40 Eugenia Panessa 2B Attualmente la popolazione sta vivendo una forte crisi che incide specialmente sui giovani. Il vero problema è che tutto ciò sta portando a perdere la linfa vitale dell’uomo: l’ottimismo! Nonostante tutto ciò che accade, sappiamo che questo è il nostro pianeta, con tutti i suoi ostacoli e dobbiamo viverci, altrimenti in che direzione andremo? In primo luogo bisognerebbe coltivare il pensare positivo, come dimostrato da un esperimento condotto dalla psicologa californiana Shelley Taylor su studenti prossimi agli esami universitari. Al primo gruppo di studenti è stato detto di pensare in positivo (per una settimana) per cinque minuti al giorno, visualizzando il momento in cui avrebbero superato gli esami con il massimo dei voti, mentre ad un altro gruppo è stato chiesto di pensare in negativo circa la loro preparazione all’esame. È risultato che a cavarsela meglio è stato il primo gruppo, nonostante la preparazione fosse in sé praticamente la medesima. La National Academy of Sciences ha dedotto da una sua ricerca che l’ottimismo innesca inconsciamente l’attivazione di una zona del lobo centrale che libera un ormone quale l’adrenalina; attraverso il continuo esercizio si produce un effetto di assuefazione e si diventa più disinibiti e determinati. Un dato del tutto confortante che dovrebbe far pensare a quanto il futuro dipenda dai giovani e che solo essendo ottimisti essi possono puntare in alto, cambiando il modo di porsi di fronte alla realtà. Si potrebbe credere che la felicità e l’ottimismo siano momenti illusori, brevi pause tra uno schiaffo e l’altro della vita. Molti, purtroppo, la pensano davvero così; tuttavia affermare che l’ottimismo è illusorio porterebbe a considerare tali tutte le altre emozioni come l’amore, la gioia, la serenità! Essere pessimisti è solo una perdita di tempo e non produce nulla di buono! La paura del futuro è fondata solo fino a quando ci porta a dare del nostro meglio e a superare le sfide di ogni giorno, ma non lo è mai se diventa di ostacolo alla nostra realizzazione. Se è il domani che ti spaventa fatti forza pensando che oggi è il giorno che ti spaventava ieri. Va’ là fuori e credi in te stesso, credi nei tuoi sogni perché potrebbero cambiarti la vita, ispirati a chi ogni giorno ha mille problemi eppure sorride ancora, è ancora ottimista, punta in alto perché i sogni non sono illusioni. Continua a credere, anche se intorno è cenere. 41 SPETTACOLI Nell’ambito dell’ultima stagione teatrale del Curci di Barletta, il Teatro Pubblico Pugliese ha finalmente riaccolto nella nostra regione, dopo anni di assenza, Filippo Timi, con il suo ultimo lavoro, “Favola”. Titolo rassicurante direte voi. Ma no, niente da fare, c’è subito il sottotitolo a ricordarci che le favole sono fatte di difficoltà e terrore, e che il lieto fine è un’invenzione tutta moderna: “C’era una volta una bambina, e dico c’era perché ora non c’è più”. Filippo Timi è uno dei più originali, esuberanti, poliedrici attori del nostro panorama attuale. 41 anni, scrittore (tre libri finora pubblicati) oltre che attore, doppiatore, regista, autore dei suoi spettacoli teatrali, e anche pittore. Nel leggere i suoi libri, molto spesso autobiografici, si viene a conoscenza delle difficoltà che hanno accompagnato la sua vita, e non si può non ammirare la sua incredibile forza, nel fare di ogni scherzo che la vita gli ha riservato un punto di forza, una qualità, dando sfogo attraverso ogni forma di espressione artistica al suo travagliato, poliedrico, incontenibile, a volte oscuro, mondo interiore, andando sempre oltre gli schemi e oltre il già visto, fino alla trasgressione. La parola “handicap” non esiste nel suo vocabolario. 42 Ogni suo lavoro è espressione di un bisogno, nasce da una ferita, che tutti abbiamo. Oggi, con una incredibile dose di autoironia, non perde occasione di scherzare sui suoi problemi di vista e sulla balbuzie, che a suo dire è il motivo per cui le donne lo ritengono un sex symbol e lo amano spinte da istinto quasi materno (“Pensano: salviamolo!”); ma – niente paura – appena messo piede su un set cinematografico o sulle assi del palcoscenico, la balbuzie lo abbandona, Filippo diventa il suo personaggio, Don Giovanni, Amleto, o la stupenda protagonista di “Favola”, Mrs. Fairytale. Ebbene sì. Perché dopo l’interpretazione di Benito Mussolini nel film “Vincere” di Marco Bellocchio, Timi dichiara di aver sentito l’assoluto bisogno di allontanarsi da quell’approfondimento del maschile e della virilità, ed entrare in contatto con quanto di più lontano ci potesse essere: la donna, il mondo femminile. Filippo si fa donna, indossa i tacchi e comincia a scrivere il copione di Favola. Lo spettacolo è ambientato in una periferia americana negli anni ’50. Sullo sfondo della studiatissima, perfetta scenografia, tra proiezioni di spot animati di quei tempi, vestite in stupendi abiti (costumista Fabio Zambernardi), si muovono le due protagoniste, Mrs. Fairytale (Filippo Timi) e Mrs. Emerald (Lucia Mascino). In un continuo crescendo di ritmo, e anche di comicità, nei dialoghi tra le due amiche si aprono dei momenti di sospensione, in cui per forza di cose dobbiamo abbandonare il sorriso perché veniamo a conoscenza della vita delle due donne: Emerald, continuamente tradita dal marito, e senza la possibilità di ribellarsi. Fairytale non vive meglio con il suo, di marito, che è violento, la picchia, a volte anche pesantemente. Si rifugia nel suo mondo, fantastica avventure amorose con il vicino di casa insegnante di mambo (Luca Pignagnoli), ma non può abbandonare suo marito, soprattutto adesso che è incinta. Un tema quanto mai attuale, quello della violenza (fisica e psicologica) sulle donne. Poco a poco, i personaggi e le vicende si evolvono verso la follia e l’astrazione, l’esagerazione e la moltiplicazione esponenziale delle battute e della comicità. Perché il mondo teatrale di Timi è sempre esagerato, è sempre troppo, ma non “stroppia”, perché conserva miracolosamente equilibrio e coerenza (“Più non è meglio, ma non posso farne a meno!” dice di sé Timi). E le due donne trovano la forza di ribellarsi, insieme. Fairytale ed Emerald diventano personaggi simbolo di un femminismo in chiave contemporanea, e portano un messaggio forte. Se le donne decidono di reagire, per l’uomo non c’è scampo. Si esce da teatro cariche, noi donne, grazie alle adrenaliniche interpretazioni dei tre attori, ma anche consapevoli di aver partecipato ad un “rito” teatrale con un forte contenuto, uno spettacolo femminile e schierato a fianco delle donne. La performance di Filippo Timi nei panni di Fairytale è stupefacente: non si fa, mai neanche per un attimo, parodia. Non aspettatevi questo. Mrs. Fairytale è femminilità esplosiva, perfino seducente, ma anche simbolo di ogni essere umano che ha in sé l’insanabile conflitto tra femminile e maschile. Alla fine dello spettacolo, Timi si ferma a parlare col pubblico, ed in quel momento, la morale della Favola è chiara nelle sue parole di chiusura e saluto: “Le donne sono la maggioranza più discriminata al mondo. Se solo si ribellassero….. Donne reagite!” . 43 Presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, molto discusso una volta uscito sugli schermi, “I nostri ragazzi” di Ivano De Matteo - tratto dal romanzo “La Cena” di Herman Koch - è un film che ci pone di fronte ad una profonda riflessione sulla condizione e i “sentimenti” degli adolescenti, sulla posizione e il significato di essere genitore. Due nuclei famigliari benestanti. Due fratelli, profondamente diversi nel carattere, si incontrano periodicamente per cena con le proprie mogli. Massimo (Alessandro Gassman) è un noto avvocato, Paolo (Luigi Lo Cascio) un pediatra. I figli delle due coppie, i cugini Benedetta (Rosabell Laurenti Sellers) e Michele (Jacopo Olmo Antinori), frequentano le stesse amicizie. Una sera, rientrando dopo una festa a casa di amici, si scatena la violenza, incontrollata, senza motivo: i due ragazzi aggrediscono una mendicante per strada; la donna, finita in coma, morirà qualche ora dopo. In tv si comincia a parlare del caso, e dai video diffusi, a poco a poco, i genitori acquisiscono la sicurezza che gli autori del fatto sono i propri figli. Cosa fare? Il nucleo centrale del film parte proprio da questa domanda; ma ancor più da quelle che lo spettatore si vede costretto a porsi. Perché il film non dà giudizi né risposte, ma ci pone di fronte ai fatti, nudi, crudi e spietati, in modo tale da innescare la riflessione, e il quesito: cosa avrei fatto io genitore se mi fosse capitata una cosa del genere? Ciò che sconvolge gli assetti delle famiglie viene dall’interno dei loro stessi nuclei, allo stesso modo in cui il gesto di violenza non è “altro da noi”, non è “straniero”, non viene da lontano ma dall’interno della nostra società, a scuoterne tranquillità e sicurezza. La pellicola mette in scena una realtà complessa, ricca di sfumature, certo, ma che va affrontata: mette in scena i nostri ragazzi, quelli del 2015, con le loro difficoltà, chiusure, incapacità di comunicare - pur immersi nel benessere e figli dell’era dei social networks ma soprattutto minacciati da una sconcertante crisi di valori e di sentimenti, che li porta a perdere l’umanità. Amoralità, su un substrato di pregiudizi e razzismo, fanno da sfondo al gesto compiuto dai due giovanissimi ragazzi. Il tutto poi supportato dalla sprezzante sicurezza che “il babbo avvocato saprà proteggermi adesso che ho sbagliato”. Il regista ci chiede di guardare in faccia questa realtà, allo stesso modo in cui la affrontano i genitori nel film. Padri e madri che si trovano a fare i conti con le loro possibili colpe e sanno che il loro gesto deve essere quello definitivo. Si può continuare a coprire, e difendere ciecamente, all’infinito? O aprire gli occhi sui propri figli, e finalmente farli aprire anche a loro sulle responsabilità da assumersi? 44 Liberamente tratto dal romanzo “Stupido” di Andrea Cotti, il film è del 2009. La storia si ambienta a Taranto, nel quartiere Paolo VI, zona sud della città, caratterizzato da strade dissestate, case prefabbricate, negozi abusivi e i fumi tossici dell’ILVA, il più grande stabilimento siderurgico d’Europa. Il protagonista è Tiziano, un ragazzo come tanti del quartiere: a scuola ci va poco e male, ha una famiglia piena di problemi, fa lavoretti per il boss locale Tonio e desidera soltanto di scappare via insieme alla sua fidanzatina. Tiziano si mette nei guai, ma grazie al suo piccolo mondo di affetti, anche se difficili e complessi, riuscirà a trovare una via di salvezza. "Marpiccolo" è una storia di dolore e di amore, di criminalità e di ingiustizie sociali di una periferia degradata di una città italiana. Interpreti poco noti nel 2009, ma oggi conosciuti perché rivisti in “Braccialetti rossi” e nel film tratto dal romanzo di Gianrico Carofiglio "Il passato è una terra straniera". Il dialetto è usato quasi come un ritorno alle antiche tradizioni del neorealismo, vicino al docufilm e allo stile di "Gomorra". La città pugliese ha visto in pochi anni il sogno industriale tradursi in un incubo di malattia e di morte. Tiziano, giovane protagonista di questo moderno bildungsroman ha sedici anni, è intelligente, potrebbe andare bene a scuola e la sua insegnante di lettere lo intuisce regalandogli quel "Cuore di tenebra" di Conrad che potrebbe voler dire molto, ma lui non comprende: è preso dalla voglia di affermarsi. Innamorato della sua sorellina da proteggere, legato a una madre giovanissima e sola e preso da Stella, una che abita dove l'aria è buona e le case sono luminose, non come dove abita lui con l'aria pesante e quella strana polvere che si posa dappertutto. Il riformatorio gli porterà la giusta illuminazione, la famiglia invece prende un'altra strada. Il regista percorre la strada verso gli inferi di Tiziano con crudo realismo: il ragazzo sceglie liberamente il suo cammino, fino alla scelta di una nuova vita. Il finale è aperto: l'incubo di un tragico epilogo è sostituito da un futuro diverso. Non è il solito lieto fine ma uno spiraglio: lottare si può, si deve. E purtroppo la speranza che ci lascia intravedere è quella di andare via, emigrare, abbandonare un corpo metastasizzato al proprio destino. Una fessura sottile, ma profondissima, da cui scorgere una realtà sin troppo reale, purtroppo. Commovente la delineazione di piccoli (e soli) eroi moderni, quali la madre, il direttore del carcere, l'insegnante. Un film piccolo, ma fortissimo. Da vedere o rivedere assolutamente. 45 ATTUALITÀ Prof. Gioacchino De Manna L’Italicum è legge ed entrerà in vigore da luglio 2016, nelle more dell’approvazione della riforma del Senato e di altre modifiche costituzionali. La nuova legge elettorale per l’elezione della Camera dei deputati è stata approvata da Montecitorio con 334 sì, 61 no e 4 astenuti anche se i voti favorevoli sono meno di quelli preventivati dal governo. Tutte le forze di opposizione (ad eccezione degli ex M5S di Alternativa libera e di alcuni singoli deputati) hanno lasciato l’Aula al momento del voto finale avvenuto a scrutinio segreto dopo la richiesta di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. In sintesi, essa configura un sistema elettorale di tipo proporzionale, con premio di maggioranza (55% dei seggi, pari a 340 deputati, al partito che consegue almeno il 40% dei voti validi espressi), soglie di sbarramento (3%), eventuale doppio turno (al quale si ricorrerà nell’ipotesi in cui nessuna lista otterrà il 40% dei voti al primo turno), liste bloccate limitatamente ai capi lista. A parere di chi scrive, i rilievi della Consulta al "Porcellum" si applicano tali e quali all‘Italicum. Infatti, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che prevedono l'assegnazione di un premio di maggioranza alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione. 46 La Corte ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali 'bloccate', nella parte in cui non consentono all'elettore di esprimere una preferenza. I partiti di governo sostengono che che il sistema elettorale introdotto dall’italicum dovrebbe favorire l’aggregazione delle forze politiche e garantire la stabilità del governo. Il politologo Giovanni Sartori, invece, non la pensa così in quanto il Mattarellum (il sistema elettorale in vigore in Italia dal 1993 al 2005, che prevedeva l’elezione di deputati e senatori - questi ultimi su base regionale - per il 75% con sistema maggioritario e il restante 25% su base proporzionale) ha prodotto una quarantina di partiti. Egli inoltre aggiunge: “Quanto al premio di maggioranza che scandalizza tanti, ricordo che quando la Dc provò ad inserirlo nel 1953 su impulso del presidente del Senato, Meuccio Ruini, le sinistre gridarono alla legge truffa. Ma in quel caso il premio scattava per un partito che aveva già avuto il 50% più uno dei voti! Dunque nessuna truffa: ingrandiva la maggioranza che però aveva già dimostrato nei numeri di essere tale. Ora invece si stanno inventando sistemi che trasformano la minoranza in una maggioranza: si ripete, seppur in maniera più blanda lo concedo, la truffa di prima". Il costituzionalista Michele Ainis, in un articolo comparso recentemente sul Corriere della Sera, osserva che: “La rappresentatività del Parlamento è il punto su cui batte e ribatte la Consulta, nella sentenza con cui ha arrostito il Porcellum. Significa che i congegni elettorali non possono causare effetti troppo distorsivi rispetto alle scelte dei votanti, come accadeva con un premio di maggioranza senza soglia. E il premio brevettato da Renzi? 18%, mica poco: fanno quattro volte i seggi della Lega, recati in dono a chi vince la lotteria delle elezioni. Crepi l’avarizia, ma in questo caso rischia di crepare pure la giustizia”. Il giornalista Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano osserva: “Cosa c'è che non va? Le liste bloccate sopravvivono intatte al Porcellum, sottraendo la scelta agli elettori e lasciando ai segretari di partito il potere di vita o di morte sugli eletti, anzi sui nominati, perpetuando le nomenklature dei fedelissimi e dei mediocri a scapito degli indipendenti e dei migliori.” Insomma, una legge che stabilisce le “regole del gioco democratico” avrebbe dovuto tenere in debito conto le proposte e le osservazioni critiche provenienti dalle forze politiche di opposizione (ivi compresa l’opposizione interna al PD) in punto a rappresentatività e possibilità di scelta dei candidati, e non essere approvata a colpi di “fiducia”, all’insegna della “democratura”, l’infausto regime politico inaugurato dall’era renziana fondato sulla dittatura della maggioranza. 47 Uno dei principali problemi che affligge la società di oggi è la dipendenza da giochi, fenomeno sempre più diffuso specialmente tra i più giovani. Tra le categorie di giochi più pericolose certamente troviamo quella “online” nella quale si annoverano tutti quei game che, tramite connessione ad una rete Internet, permettono di affiancarsi ad altri player per il raggiungimento di obiettivi comuni. Uno di quelli che crea più assuefazione è League of Legend, gioco di ruolo tra i più conosciuti e scaricati al mondo. La dipendenza da questo gioco è balzata in maniera preponderante agli onori della cronaca lo scorso anno, con l’incredibile vicenda occorsa al ventiduenne Chung. Il giovane coreano passava intere giornate e nottate chiuso in un internet cafè giocando online proprio a L.o.L.. Controllava suo figlio solo ogni due o tre giorni, dandogli da mangiare di rado per poi tornare sullo schermo; il piccolo aveva solo due anni e sicuramente necessitava di più attenzioni di quelle che il padre gli dava, preso com’era dalla sua patologica dipendenza dal game. A distanza di alcuni giorni Chung trovò suo figlio senza vita; probabilmente il piccolo è morto di fame in uno degli interminabili periodi in cui il padre era via. Ma la cosa più sconvolgente della vicenda è che Chung, completamente rovinato dal gioco, vede suo figlio come un intralcio e si disfa del piccolo corpo in un sacchetto dell'immondizia; l’arresto, fortunatamente, avverrà poco tempo dopo. Aldilà del fatto di cronaca in sé è chiaro come la dipendenza patologica dai giochi possa stravolgere la vita non solo di chi ne è colpito ma anche delle persone care. Dunque è giusto non oltrepassare i limiti per evitare che il gioco diventi la più importante occupazione giornaliera, trasformandosi in una vera e propria dipendenza nociva. 48 Prof.ssa Giacoma Stasi La “buona scuola”: è diventato un ritornello, un leit motiv tanto da convincere famiglie, studenti e forse anche docenti che è necessario andare verso un modello di scuola che trasforma e rinnova l’esistente, che sconvolge l’ordine vigente per costruire qualcosa che sembra chiara solo a chi l’ha proposta. E giù la valanga di contestazioni nel timore che quello che verrà possa mettere in serio pericolo quello che, a fatica, si è costruito oppure, in un certo senso, già distrutto. Cominciamo dall’aggettivo “buona”: evoca un’idea di positività, di equilibrio, di successo, di sapori antichi da riscoprire e rivalutare, come se, per contrasto, la scuola che oggi facciamo, che è il nostro mondo, per la quale spendiamo tutte le nostre energie e tanto altro di più, sia una cattiva scuola. Sembra di ricordare il tempo in cui, scolari delle scuole elementari, subivamo la selezione del capoclasse di turno a cui la maestra, modello integerrimo di professionalità e custode delle nostre vite, affidava il compito di sorvegliare e di segnalare sulla lavagna, separandoli, i buoni e i cattivi. “Buona”... ma davvero vogliamo definire “buona” la scuola che non c’è? Ma allora cosa facciamo ogni giorno con i nostri studenti? Una “cattiva” scuola? Allora è inutile il tentativo di convergere verso un sistema scuola efficace ed efficiente come da anni ci viene ripetuto, è inutile trasmettere conoscenze e competenze attraverso le più disparate attività curricolari ed extra curriculari? Perché se questa non è “buona” scuola e ne dobbiamo inventare un’altra, allora vuol dire che perdiamo il nostro tempo e siamo dei “buoni” a nulla. 49 Nell’immaginario collettivo ormai serpeggia da anni questa convinzione, sostenuta dalla logica aziendale della produttività, della performance, dei migliori risultati raggiunti, e, ahimè, dalla perdita di credibilità e di valore della figura dell’insegnante che sembra debba assecondare e non contrastare i capricci degli studenti e la volontà delle famiglie; i giudizi del docente invece che insindacabili diventano discutibili ed egli sembra non coinvolgersi più, non imporsi e rinunciare al compito di educatore. Così è stato trasformato il profilo dell’insegnante, declassato il suo ruolo, e qualcuno si è forse davvero convinto che, in fondo, gli va bene così. La scuola non è questo, nonostante altre categorie di lavoratori (moltissime) mettano continuamente sotto accusa il numero di ore (ridotte) di lavoro giornaliere e le (famigerate) ferie di due o tre mesi. Si ripete sempre la stessa critica e l’opinione pubblica si imbeve di false verità. La scuola non è questo: la scuola è dialogo, è confronto, la scuola è lo spazio in cui il sapere trasmesso, ma non solo, anche il saper essere, produce sempre dei risultati, anche se talvolta a lungo, lunghissimo termine, e questi risultati non possono mai essere cattivi, se si è lavorato sodo e con responsabilità. La riforma renziana della “Buona Scuola” pensa di affidare al Dirigente Scolastico il compito di scegliere, di selezionare, di nominare, in una parola di governare e di risolvere la questione dei finanziamenti con il contributo dei privati, i quali, naturalmente, finanzieranno alcune scuole e non altre, accentuando divari e disagi, producendo in ultima analisi diseguaglianze. Ma questa non è più la scuola del confronto, della democrazia e dell’uguaglianza come afferma giustamente il prof. Stefano Rodotà in un’intervista rilasciata nel corso della trasmissione televisiva Di Martedì: “La scuola è un luogo dove l’uguaglianza si impara senza bisogno che qualcuno la insegni”. La scuola è un “corpo” (come afferma sempre Rodotà) unico, dove insegnanti, studenti, famiglie si confrontano e avviano insieme processi di collaborazione al fine di migliorare e adeguare le azioni sinergiche di insegnamento e apprendimento. La scuola è, per come la vedo io e per come la vivo, una dimensione in cui esprimersi e trasmettere quello che si sa, ma anche quello che si è, dove non può esistere fissità di programmi e di tempi, dove una umanità in miniatura si sorride, si delude e si sostiene. È uno spazio di lavoro in cui contano le persone e in cui si incrociano stili e stimoli, per l’insegnamento e per l’apprendimento, in cui nascono idee e si realizzano progetti, in cui si raggiungono obiettivi condivisi, in cui non esiste il successo di uno ma del collettivo, uno spazio di crescita umana e professionale, uno spazio di partecipazione, di appartenenza, di cittadinanza. È uno spazio felice e pertanto idealmente “buono”, se ce ne convinciamo, anche se non sempre tutto è perfettamente funzionante, anzi molte cose vanno ripensate e adeguate ai nuovi bisogni. Da tutto ciò traiamo la forza della scuola. In questo paese, dove ormai i valori fondanti vanno progressivamente sgretolandosi, dove i modelli sociali di riferimento quali la famiglia o le associazioni o le parrocchie soffrono momenti di profonda crisi, la scuola è rimasta l’ultimo baluardo di difesa, l’unico riferimento per ragazzi e ragazze a cui abbiamo il dovere morale e civico di preparare un futuro. 50 Molto deve cambiare nel sistema, certo, ci aspettiamo adeguamenti di stipendio, valorizzazione del merito, ma molto deve cambiare dentro di noi docenti in termini di formazione, di attenzione, di convincimento e impegno a far meglio. La nostra valutazione? Criteri oggettivi potrebbero misurare le nostre conoscenze e competenze ma come accertare la nostra abilità nel processo nella trasmissione dei contenuti, le nostre strategie didattiche più o meno efficaci, le relazioni che intrecciamo con gli studenti, indispensabili per favorire l’apprendimento, il nostro essere e saper essere in classe? Che non sia solo una valutazione di gradimento o una valutazione sui risultati ottenuti solo in termini di voti in decimi! Ben venga una valutazione sulla globalità della figura del docente, ma chi potrà effettuarla? Intanto, in quanto docenti, non trascuriamo l’obiettivo primario della nostra mission, cioè la formazione dei ragazzi per non abbandonarli ad un futuro incerto. Al di là delle questioni sindacali, pur importantissime, assistiamo e curiamo di più i nostri studenti, vigiliamo sulle loro fragilità, intervenendo per quello che ci è possibile, cogliamo i loro bisogni e rispondiamo, incoraggiamoli sempre anche quando non fanno nulla, creano problemi e destabilizzano gli equilibri, comunichiamo con loro, facciamo venir fuori il meglio di loro in ogni attività proposta. Siamo autorevoli ed esigenti, perché serve esserlo, ma solo per portarli ad essere capaci, sicuri e competenti, ma cerchiamo anche di essere flessibili dove intercettiamo debolezze e bisogni particolari. Non lasciamo nessuno di loro al margine delle nostre attività, non spegniamo i loro entusiasmi, non trinceriamoci su posizioni di inutile intransigenza, mettiamoci in ascolto delle loro difficoltà. Dichiara l’attore Silvio Orlando, protagonista del film “ La Scuola”, intervenuto nella trasmissione televisiva Che Tempo che fa?: "La scuola di 23 anni fa e di oggi sono molto simili, cosa ce ne facciamo degli ultimi della classe? La riforma dovrebbe tenere conto di questo". Qualche giorno fa una pubblicità di marmellate e mousse del marchio Bonne maman mi faceva sorridere e pensare: sarebbe bello fare la buona scuola con ingredienti semplici, gustosi, facilmente acquistabili al supermercato e che si amalgamano perfettamente, come solo una buona mamma saprebbe fare! Perché una buona mamma sa far tutto e bene. Fare la Buona Scuola però non è come fare la marmellata. Occorre programmazione, condivisione, risorse non facilmente reperibili, tempi adeguati, sperimentazioni. Quindi non è facile. Il percorso è molto lungo e non può essere dettato solo dalle varie logiche di taglio alla spesa pubblica e da altre priorità, logiche seguite, tra l’altro, da persone che forse della scuola, di quella di tutti i giorni, quella della partita giocata sul campo, non ne sanno molto. Allora dobbiamo solo cercare “la bonne réponse” che, tradotto in italiano, significa “la risposta giusta”. La risposta giusta siamo noi insegnanti a darla, con la nostra forza e la nostra umanità, siamo noi che incontriamo tutti i giorni un’altra umanità che a sua volta, a noi, chiede le risposte giuste e perciò “buone”. La “buona” scuola esiste già, dobbiamo solo esercitare maggiormente il nostro senso di responsabilità, interpretare i tempi, attrezzarci per trovare soluzioni idonee, non cercare scontri ma andare incontro e dialogare. Le questioni sindacali, anche quelle, ce lo auguriamo, si risolveranno con il dialogo. 51 Prof.ssa Annamaria Piarulli - Sede di Corato Negli ultimi anni abbiamo avuto a che fare con un nuovo acronimo: BES, ovvero i Bisogni Educativi Speciali. Un neologismo in più per la scuola italiana, nel tentativo di rinnovarsi continuamente adeguandosi alle esigenze di una società sempre più complessa e sempre più europea; si tratta di una definizione che identifica le particolari necessità educativo-didattiche di una popolazione scolastica piuttosto eterogenea: gli alunni con disabilità, quelli con disturbi specifici di apprendimento (DSA) e, recente novità sul piano normativo, coloro che presentano uno svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale. L’attenzione sui BES costituisce uno dei segmenti su cui bisogna fare chiarezza, partendo dalla necessità di implementare un serio approccio al tema, fondato su un lavoro di personalizzazione che le scuole sono chiamate a fare continuamente, stante la presenza ormai generalizzata nelle classi di studenti portatori di esperienze, culture e condizioni molto differenziate, riconducibili ai fattori più svariati e mutevoli. È peculiare facoltà dei Consigli di Classe o dei team dei docenti individuare casi specifici per i quali sia utile attivare percorsi di studio individualizzati e personalizzati, formalizzati nel Piano Didattico Personalizzato, la cui validità rimane comunque circoscritta nell’anno scolastico di riferimento. Quando si parla di integrazione si pone l’accento sulle pratiche di adattamento, di individualizzazione che l’insegnante deve mettere in atto affinché l’alunno certificato raggiunga gli obiettivi prefissati, il più vicino possibile a quelli dei compagni, compatibilmente ai limiti e alle risorse dell’alunno. Il focus, quando si parla di integrazione, è posto sull’alunno mentre quando si parla di inclusione è posto sul contesto. Il compito di rendere la classe inclusiva non è demandato principalmente all’insegnante specializzato ma è equamente distribuito tra gli insegnanti. Il problema non è più o non è solo adattare materiali per un alunno ma è rendere l’attività alla portata di tutti: si tratta sempre di individualizzazione e di adattamento (per esempio a stili cognitivi diversi o alle diverse “intelligenze” della classe) ma il destinatario dell’attività è l’intera classe. 52 Non si tratta di non tener più conto dei BES dell’alunno certificato ma si tratta di avere consapevolezza che alcune indicazioni della didattica inclusiva, come per esempio l’apprendimento cooperativo e metacognitivo, non giovano solo all’alunno certificato. E lungi dal frenare l’apprendimento dei cosiddetti alunni normali, lo migliora, lo consolida e lo rende un apprendimento per la vita. La diversità tra integrazione e inclusione ha tanto più valore se si considera la realtà delle classi dove spesso la disomogeneità, tra i livelli di conoscenze, competenze e abilità tra gli allievi, è elevata. Una delle più frequenti difficoltà degli alunni attiene alla sfera linguistica, spesso perché gli alunni provengono da contesti culturali modesti o dialettofoni e, negli ultimi anni, questo problema si è acuito per la presenza di alunni stranieri. Il tempo necessario per apprendere è diverso da alunno ad alunno e dipende da molti fattori, ma sicuramente il peggior nemico della comprensione è l’urgenza. Se si vogliono affrontare tutti gli argomenti dei programmi ministeriali, allora è praticamente certo che pochissimi allievi capiranno quello che studiano. Quindi, se vogliamo che almeno la maggior parte degli alunni capisca, dobbiamo fare delle scelte e decidere su cosa concentrarci. Ritengo che, molto più che un intervento individuale, la didattica inclusiva rivolta a tutta la classe possa essere efficace non solo per migliorare l’apprendimento dell’alunno con BES ma sia anche una soluzione al problema. Tuttavia questa pratica provoca un rallentamento del ritmo di lavoro. Per questo è necessario che l’insegnante compia preventivamente scelte programmatiche coraggiose che sfrondino dai programmi quanto non è ritenuto essenziale ma porta ad un miglioramento dell’apprendimento di tutta la classe. Per utilizzare una metafora dal mondo dell’architettura, una scuola inclusiva è una scuola accessibile a tutti in cui cioè l’architetto non ha progettato prima un edificio accessibile alle persone normali, intervenendo in seguito con modifiche per renderlo accessibile ad un disabile motorio, e con ulteriori modifiche per un disabile visivo e così via, ma sin dalla progettazione l’architetto ha pensato ad un edificio accessibile a tutte le persone. La sfida dei BES si spera possa essere vista da tutti i docenti come una sfida che evoca la loro migliore professionalità, che ha comunque bisogno di essere nutrita attraverso una formazione di alta qualità e di essere sostenuta da chiare scelte organizzative rispetto alle quali anche il MIUR dovrebbe assumersi dei precisi impegni economici. I docenti devono osservare attentamente e sistematicamente l’alunno, già dalla scuola dell’infanzia, poiché una individuazione tempestiva di un deficit consente agli insegnanti e ai genitori di predisporre gli interventi più opportuni. 53 Per incrementare l’inclusività, ritengo sia fondamentale il lavoro di gruppo, sia del gruppo classe, sia di piccoli gruppi trasversali, sia dei team dei docenti, sia del team dell’Index, sia del gruppo GLI, sia dell’équipe socio-psicopedagogica in cui c’è anche la partecipazione della componente medica, psicologica e la supervisione della famiglia. Per affrontare i BES occorre quindi la cooperazione, la progettazione, scelte condivise, obiettivi comuni e la mediazione fra i vari contesti. Sappiamo che non esistono “ricette” pronte e formule universali, ma esistono metodi, strumenti e materiali che si possono calare nella pratica scolastica per muoversi in questa direzione. In sintesi, è possibile individuare sette punti chiave per migliorare l’inclusività: 1. I compagni di classe come risorsa. L’apprendimento cooperativo è un metodo di insegnamento/apprendimento basato sul principio per cui ciascun componente del gruppo può contribuire all’apprendimento di tutti e può diventare risorsa per gli altri. 2. Adattamento e semplificazione del testo. Per riuscire a integrare tutti gli studenti nei percorsi comuni, è di fondamentale importanza porre grande attenzione alla preparazione di materiali adeguati alle abilità e alle esigenze di ciascuno studente. 3. Mappe, schemi e aiuti visivi. Per la loro caratteristica di abbinare il codice visuale a poche parole scritte, mappe (concettuali, mentali, ecc.) e schemi rendono più veloce ed efficace l’apprendimento. 4. Potenziamento dei processi cognitivi. Per facilitare gli apprendimenti, favorendo al contempo il lavoro di tutti all’interno del gruppo classe, è fondamentale anche potenziare e consolidare i processi cognitivi: memoria, attenzione, concentrazione, relazioni visuo-spaziali-temporali, logica e processi cognitivo-motivazionali. 5. Metacognizione e metodo di studio. La didattica metacognitiva sviluppa nell’alunno la consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quando è opportuno farlo e in quali condizioni, rendendolo gestore diretto dei propri processi cognitivi. 6. Emozioni, autostima e motivazione. La vita scolastica quotidiana è ricca di affettività, di emozioni e di stati d’animo. Realizzare una scuola inclusiva significa anche rivolgere particolare attenzione agli aspetti emotivo-relazionali, aiutando tutti gli alunni a imparare a vivere bene con se stessi e con gli altri. 7. Potenziamento del feedback sui risultati. Il feedback sui risultati è uno strumento di eccezionale importanza non solo ai fini dell’apprendimento, ma anche e soprattutto per lo sviluppo di una buona immagine di sé e della motivazione necessaria per raggiungere il successo scolastico. Lavorando in questa direzione, la scuola sarà realmente in grado di rispondere in modo adeguato a tutte le difficoltà degli alunni, diventando “scuola di tutti”. 54 Gianluca D’Aniello 1C Nel 2003, a 19 anni, Mark Zuckerberg, uno studente dell’Università di Harvard, ha avuto l’idea di raccogliere tutte le fotografie degli studenti e pubblicarle in un sito chiamato Facemesh, dove potevano essere votate per un concorso di bellezza. Venne scoperto dal rettore dell’Università che fece chiudere il sito e minacciò il suo inventore d’espulsione. Il 4 febbraio 2004 Zuckerberg inventa Facebook (il libro delle facce), nel quale le persone registrate possono ritrovare vecchie conoscenze o vivere un’amicizia virtuale come “prolungamento” di un’amicizia reale. Il sito a poco a poco cresce, si creano nuove amicizie, diventa possibile contattare persone (amici di amici) che vorresti conoscere, e inviare messaggi utilizzando un “instant messenger” sul cellulare. Da allora, quel piccolo social network ne ha fatta di strada. Oggi non si può non avere un profilo o una pagina su Facebook. Quando hai qualcosa da dire o dei pensieri che ti turbano lo scrivi nel tuo stato; se vuoi condividere delle foto puoi postarle, così come i video; e che dire dei “mi piace”? Una vera “rivoluzione culturale” che permette di appore la propria approvazione a qualunque contenuto attraverso un semplice clic. Insomma, Facebook ha cambiato in meglio la vita di miliardi di persone; ma, molto spesso, anche in peggio. In meglio perché molta gente che vive la solitudine, adesso non è più sola: la timidezza è facilmente superabile quando si è al di qua di uno schermo perché basta davvero poco per entrare in contatto con il mondo intero, con vecchi o nuovi amici ed instaurare nuovi rapporti. Il risvolto negativo è che la diffusione di questo social ha creato, in alcuni casi, una vera e propria dipendenza che ha mutato integralmente il modo di relazionarsi con gli altri, annullando del tutto il contatto fisico. Inoltre, condividere con chiunque le informazioni personali può esporre ad un grande rischio ed è per questo che si consiglia di usare le massime impostazioni di sicurezza e privacy o adottare un “profilo chiuso”. Il mio profilo Facebook non esiste e penso mai esisterà, perché credo fermamente che la vera amicizia debba essere vissuta attraverso dei veri contatti. Credo che la mia idea di amicizia possa essere ben riassunta da un estratto de “Il Piccolo Principe”: “l’amicizia, come l’amore, bisogna coltivarla con cura. Si riconosce un vero amico anche dal rumore dei suoi passi.” Di falsi amici, Facebook, ne è pieno. Io, fortunatamente, le vere emozioni, positive e negative, le vivo tramite uno sguardo e non attraverso uno schermo. 55 Roberto Zecchino 4D “Al primo posto nella classifica digitale, che tu ci creda o no, c’è solo chi vince i talent!”. Forse ha ragione Caparezza, cantautore molfettese che, in “Chi se ne frega della musica”, evidenzia il fenomeno della fama, in particolare quella musicale, che nell’ultimo decennio ha visto nei talent e nei reality show il mezzo più adatto per arrivare al successo. Sono sempre più numerosi i “fenomeni” sbocciati nei talent che non hanno più riscontrato successo appena usciti da quelle trasmissioni. Questo fenomeno, oggi esteso in tutto il mondo e in continua crescita, ha, alla base, un motivo imprescindibile. Quale? Il guadagno. 56 Coloro che hanno ideato questi generi televisivi di certo non pensavano a valorizzare e mettere in mostra i talenti come loro primo obiettivo. È stato così che, sull’onda di un’idea errata, all’inizio del terzo millennio, è nato il “Grande Fratello”, seguito a ruota da “L’isola dei famosi”. Si trattava di reality show che, come dice la parola stessa, avevano il compito di mostrare la realtà, la vita e i comportamenti quotidiani di un gruppo di persone in luoghi circoscritti. Bastarono pochi anni per plagiare la mente del pubblico e assuefarla a questo nuovo genere. In una triste parodia di se stesso, il reality show si trasformò sempre più in un teatro. Sì, un teatro. Perché quello che vediamo oggi è uno spettacolo, una commedia, con degli attori che hanno delle parti già scritte. Tutto ciò con lo scopo di fare successo e soldi. Pochi anni dopo la “nascita” dei reality si è assistito ad un nuovo fenomeno, quello del talent show, che a differenza dei primi mette in mostra delle capacità specifiche dei suoi partecipanti. Naturalmente gli obiettivi sono sempre il successo e il denaro. Parallelamente a questi fenomeni, si è da poco diffusa la fama dei social network come Facebook, Youtube, Twitter e Instagram; soprattutto tra i giovani. Quel che è chiaro, oggi, è che i giovani sono inebriati dal profumo del successo e sono disposti a tutto per rendersi visibili agli occhi della società. Nonostante tutto ciò, questo mondo oscuro e cupo è attraversato da un barlume di luce rappresentato dalla creatività. È forse quest’ultima l’unico aspetto positivo che viene espresso, a mio parere, sui nuovi media. Su YouTube e Facebook, navigando tra le migliaia di pagine “spazzatura”, non è difficile imbattersi in talenti reali: c’è chi sa far ridere in modo intelligente, c’è chi esprime satira e chi analizza in modo critico fenomeni e argomenti di attualità. A mio parere il desiderio di fama ha visto una crescita esponenziale nell’ultimo decennio in seguito alla spettacolarizzazione della vita sul piccolo schermo; spesso chi ha partecipato a reality, talent o altri spettacoli simili è stato illuso da promesse e speranze, mai mantenute. Gli alti ascolti di pubblico sono la dimostrazione che il popolo italiano è affascinato da questi programmi perché ritrova in essi le proprie abitudini, le proprie immagini e i propri vizi, proprio come se si stesse specchiando. Questo si può ritenere sia il segreto del successo di questi format. La realtà è che se qualcuno possiede un talento non ha bisogno dell’aiuto di reality, talent e social per emergere e dimostrare a se stesso e al mondo quanto vale. 57 Noemi Prisciandaro, Federica De Palo, Miriana Bernardi, Rocco Brucoli 2D La società odierna ha una fobia: quella del diverso, spesso dettata dalla non conoscenza del fenomeno, una sorta di paura del buio. Oggi, si assiste sempre più spesso a violenze psicologiche e fisiche verso chi è diverso da noi. Tuttavia, una discriminazione in particolare è quella più discussa ai giorni nostri, ed è quella rivolta a chi ama una persona del proprio sesso. Questa intolleranza è chiamata omofobia. Facciamo un passo indietro. Cosa è l'omofobia? Può essere, molto semplicemente, definita come un'intolleranza verso gli omosessuali. Niente è più nobile dell'amore, perciò come può nascere questa “paura”? L’omofobia deriva dall’idea che siamo tutti eterosessuali e che è normale e sano scegliere un partner del sesso opposto, per cui un soggetto omosessuale è considerato "contro natura". Nell'antichità il fenomeno dell' omofobia era molto radicato e contrastato, ad esempio nel Medioevo gli omosessuali erano condannati a morte. Si parla di omosessualità anche nella Divina Commedia; Dante Alighieri si serve di un doppio criterio per giudicare gli omosessuali: quello teologico (in base ai dogmi dettati dalla religione e dalla Chiesa) e quello umano (in base alla propria "coscienza", che sosteneva che un uomo merita rispetto al di là della propria sessualità). 58 Il matrimonio gay è legale in 20 Paesi nel mondo: Spagna, Francia, Regno Unito, Portogallo, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia, Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Brasile, Uruguay, Sud Africa e Nuova Zelanda. Esistono poi nazioni (come Malta, Israele, Aruba, Caruçao) in cui, pur non essendo legale questo tipo di unione, vengono registrati i matrimoni tra persone dello stesso sesso, celebrati all’estero. La Chiesa Cattolica non permette matrimoni fra persone dello stesso sesso, anzi secondo alcuni critici essa assume un atteggiamento di vera e propria intolleranza verso gli omosessuali; recentemente, però, Papa Francesco ha dimostrato una sorta di apertura e accoglienza nei confronti di questa realtà. “Dio è amore, l'amore è cieco e anch'io lo sono” affermava il noto artista rock degli anni ’90 Kurt Cobain, leader dei Nirvana. Il 17 maggio di ogni anno ricorre la giornata contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia; giornata promossa dall'Unione Europea con manifestazioni, cortei ed eventi internazionali atti a sensibilizzare e prevenire i fenomeni di discriminazione verso le persone con un orientamento sessuale differente. Quest’anno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato che “Il principio di uguaglianza, sancito dalla nostra Costituzione e affermato nella Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, non è soltanto un asse portante del nostro ordinamento e della nostra civiltà, ma costituisce un impegno incessante per le istituzioni e per ciascuno di noi. Rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana - osserva il Capo dello Stato - è una responsabilità primaria, dalla quale discende la qualità del vivere civile e della stessa democrazia”. “Le discriminazioni, le violenze morali e fisiche, non sono solo una grave ferita ai singoli, ma offendono la libertà di tutti, insidiano la coesione sociale, limitano la crescita civile. Dobbiamo promuovere il rispetto delle differenze laddove invece la diversità scatena reazioni intolleranti. E dobbiamo parlarne con i giovani, perché purtroppo continuano a registrarsi atti di bullismo contro ragazze e ragazzi, che talvolta spingono alla disperazione. Si tratta di espressioni di disumanità insopportabili che vanno contrastate con un'azione educativa ispirata alla bellezza di una società aperta, solidale e ricca di valori”. Dagli Stati Uniti anche Barack Obama ha partecipato alla giornata con un messaggio: “ I diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) sono diritti umani. Tutti devono poter vivere senza paura, violenza, discriminazione, indipendentemente da chi sono e da chi amano”. Tutti siamo alla ricerca della felicità; noi non giudichiamo l’amore in base all’orientamento sessuale e sosteniamo che la felicità sia un diritto di cui tutti debbano godere. 59 Antonio Chiapperini 5E C’è bisogno di fare una prima distinzione dell’economia, più precisamente tra macro e micro economia. Con macroeconomia si intende la parte della scienza economica che prende in considerazione problemi come il reddito, il consumo, il risparmio, l’occupazione relativi ad un’intera area geografica. La microeconomia, invece, è lo studio dell’andamento dei prezzi nei singoli mercati, oppure l’analisi del comportamento economico dei singoli individui, aziende e famiglie. In questo caso studia come vengono impiegate e spese le risorse. Oggi, queste due grandi branche dell’economia sono state approfondite e di seguito migliorate, incalzate dalla globalizzazione e, di conseguenza, dal consumismo. Ma non solo, questo grande fenomeno ha cambiato la mentalità della gente, della popolazione, il significato della parola “economia” e la sua interpretazione. “C’era una volta la speranza che la globalizzazione avrebbe portato benefici per tutti […]. Oggi la faccia oscura della globalizzazione è sempre più evidente […]. La globalizzazione economica ha viaggiato a un ritmo superiore a quello della globalizzazione della politica e della mentalità”, tuona J. Stiglitz in “Un mondo ricco con tanti poveri”. Come dar torto al professore statunitense Premio Nobel per l’economia? In questi ultimi quindici anni stiamo vedendo i più evidenti effetti negativi che la “globalizzazione economica” ha sortito. Basti pensare ai flussi di capitale che provengono dai paesi del terzo mondo e che vanno a finire nella casse dei paesi industrializzati e avanzati, incrementando sempre di più le differenze esistenti. Questo perché non c’è alcun riguardo per le reali necessità della popolazione, e per l’ambiente, che sta pagando un prezzo troppo alto. 60 Come si rileva dal “Rapporto sui limiti dello sviluppo” (consultabile su Wikipedia) redatto da Donella Meadows, “se l’attuale tasso di crescita della popolazione, della produzione di cibo, dell’industrializzazione, dell’inquinamento e dello sfruttamento delle risorse continuerà inalterato […] il risultato più probabile sarà un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità industriale”. Bene, con queste parole è stato reso chiaro un altro problema di fronte al quale sicuramente ci si porrà una domanda: è davvero possibile che non si attuino delle concrete azioni per fronteggiare queste problematiche? Sì, è davvero possibile; è dall’ottobre del 2008, quando è iniziata la crisi economica degli Stati Uniti (che ha avuto un effetto domino sulle economie di tutti i paesi del mondo, causando cosi una crisi economica globale) che non si cerca una soluzione al problema. Ecco come “Oggi il consumismo è in ritirata sotto la pressione dello stato di necessità […]. In poco tempo la massa delle famiglie americane, facendo di necessità virtù, ha riscoperto una parola che sembrava ormai dimenticata: risparmio”. Queste le parole di Federico Rampini, che sottolineano uno degli effetti negativi della globalizzazione, della crisi e del mancato interessamento da parte delle grandi economie mondiali su alcuni aspetti. Ecco perché oggi gran parte della popolazione si trova costretta a risparmiare più del dovuto, le imprese cominciano a licenziare gli impiegati in esubero (dato che l’economia è in fase di stagnazione), le famiglie non hanno un reddito sufficiente per poter soddisfare i propri bisogni e, di conseguenza, non c’e abbastanza liquidità nel sistema: l’economia entra in una spirale viziosa negativa. Ed ecco come il low-cost ha preso piede. “E’ la parte più visibile del grande cambiamento sociale e culturale in tutto il mondo occidentale. Riscoprire il giusto valore delle cose. È la cifra migliore di questo New Deal”, come chiariscono F. Aston e R. Lacala. Milioni di persone in tutto il mondo vanno alla ricerca delle opportunità “low-cost” pur di far fronte alle proprie esigenze. I dati parlano chiaro: il low-cost nel 2010 costituiva l’8% del PIL, dati diffusi dal libro “Italia low-cost”. La crisi economica globale può essere un punto di partenza per rivedere i modelli economici di sviluppo, pensando più al benessere della collettività e non alla sola economia in senso stretto. “Benessere e regolamentazione sono questioni collegate, bisogna organizzare l’economia in modo tale che queste due cose siano realmente possibili”. Da queste parole di G. Allix e L. Caramel bisognerebbe partire per cercare di creare una reale ed efficace soluzione a questa crisi e anche alla globalizzazione. I grandi governi mondiali, le istituzioni di credito devono capire che economia e benessere della collettività non sempre vanno di pari passo, quindi, bisogna cercare di conciliare i due poli dialettici, non mettendo, come sempre, al primo posto il dio denaro, ma la salute, la felicità e l’ambiente. 61 Mariapia Binetti 2C Vuoi adottare uno stile di vita sano e diminuire lo sviluppo di malattie anche gravi? Dimentica il cibo dei fast-food, le patatine fritte, il fumo, i cocktail, la droga e saziati con il sapere e la conoscenza. Noi ragazzi della 2C, il giorno 25 marzo, abbiamo organizzato un incontro con il prof. Caputi Iambrenghi per discutere su alcuni temi che, da sempre, influenzano la vita di ognuno di noi. Le tematiche che sono state esposte anche attraverso strumenti multimediali e modalità interattive hanno catturato l’interesse di tutti. Il tumore, negli ultimi tempi, sta dilagando e una delle cause più importanti è proprio la cattiva alimentazione, tema centrale del nostro incontro. Una buona alimentazione può coincidere con la “dieta mediterranea”, tipica delle popolazioni della nostra area geografica, e aiutare l’organismo a combattere il “male del secolo” evitandone l’insorgere. Il sig. M. E. Levine afferma che: “un’alimentazione caratterizzata da un ridotto apporto proteico in età compresa tra 50 e 60 anni è associata ad un effetto benefico nella prevenzione del tumore e di altre patologie”. Di conseguenza il dottor Caputi ci ha fornito delle “regole” di vita per avere una giusta alimentazione, a partire dagli orari: colazione h: 7.00, spuntino h: 11.00, pranzo h: 13.00, merenda h: 16.00, cena h: 20.00. Ecco cosa non si deve mai dimenticare: la frutta, l’insalata e il mangiar piano. Mangiare in modo adeguato, insieme ad una costante attività motoria, può aiutarci ad avere un migliore equilibrio fisico e aiutare il nostro organismo a mantenersi al meglio. Il prof. Caputi ha risposto ai nostri quesiti in modo dettagliato, “saziando” le nostre curiosità. L’incontro, della durata di circa due ore, è stato un modo alternativo di organizzare e vivere l’assemblea di classe mensile, un modo decisamente più proficuo. Senza considerare il fatto che questa esperienza è fortemente attinente all’attualissimo tema dell’EXPO 2015 (“Nutrire il pianeta”) che indica proprio nella qualità del cibo la condizione essenziale per la vita. Dagli stimoli tratti e dalle riflessioni sviluppate in classe abbiamo potuto gustare un vero e proprio “piatto” di conoscenza ed energia per la nostra vita. 62 INSERTO SPECIALE Ruvo tra passato e futuro: nei nuovi germogli le prospettive di crescita II I VALORI E LE RISORSE DELLA NOSTRA TERRA Libertà e sviluppo: un binomio necessario per la crescita del territorio. Questo il tema fondamentale del progetto Ruvo tra passato e futuro: nei nuovi germogli le prospettive di crescita, realizzato dall’ITSET “Tannoia”, sede di Ruvo e presentato in data 14 maggio, in un incontro che si è tenuto presso la Pinacoteca Comunale di Arte Contemporanea di Ruvo. L’articolazione iniziale del progetto, finalizzato alla promozione del territorio attraverso la valorizzazione delle risorse storiche, artistiche, enogastronomiche e della tradizione contadina, ha visto nell’intreccio tra storia generale e storia locale, il punto di partenza dell’itinerario da seguire. Proprio in questa fase il progetto si è collegato all’evento Ruvo, Carafa e la Leggenda, organizzato dal Centro Studi “Cultura et Memoria” di Ruvo, che, attraverso il caratteristico corteo storico, rievoca situazioni e ambientazioni legate alle famiglie nobili o emergenti del paese, nel Settecento. Nel farlo, però, ha esteso di molto il campo della ricerca andando a ritagliare una fetta di storia cittadina che si è allargata ben oltre tale secolo. Una storia che si è scelto di ricostruire in rima e di affidare alla voce e alle illustrazioni di studenticantastorie, in parte per agevolare l’ascolto, attraverso la musicalità e il ritmo dei versi, in parte per dare, forse, un tocco più epico al racconto, rendendolo luogo della memoria collettiva. Ed ecco come la narrazione dal Settecento, è tornata indietro nel tempo fino al 1510, anno in cui Ruvo viene infeudata dai conti Carafa. Da qui, partendo dall’evento leggendario al quale si fa risalire l’istituzione della festa dell’Ottavario, si è snodata rapida sulla linea del tempo a ricostruire i tre secoli di servitù feudale, dal 1510 al 1806, data di eversione della feudalità, vissuti dalla III città sotto il dominio della nobile famiglia di origine napoletana, per fermarsi nuovamente al Settecento e concentrarsi sulla figura di Ettore Carafa IV. La storia dell’illustre rampollo della famiglia, famoso martire della Rivoluzione Napoletana, che si batte in nome della libertà, ha concluso questo viaggio nel passato di Ruvo e con esso, la prima parte del progetto che termina con un richiamo alla libertà, un valore da salvaguardare, poiché ci indica la strada della crescita e ne diventa la condizione essenziale. Ci insegna a riconoscere, infatti, i nuovi germogli richiamati dal titolo del progetto: le preziose risorse che emergono dal passato e che, attraverso percorsi mirati di turismo e marketing, ottimizzati dalle nuove tecnologie, riprendono vita e vigore rivelandosi in tutto il loro valore. Prof.ssa Anna C. Carnicella IL DOMINIO DEI CONTI CARAFA: Dalla leggenda alla storia IV Questa bella leggenda, dalla dolce magia tutto per aumentar dei Carafa i proventi. accende di sicuro la vostra fantasia E tanti contadini dai conti son privati, ma non rimpiazza certo il ruol della memoria solo per far contenti conventi e porporati, che intatta vien serbata soltanto dalla Storia. dei campi che a fatica han sempre coltivati. Ed è per questo che vi voglio raccontare Questa, del Seicento la triste situazione quello che è stato scritto e che si può provare: che porta a tanto stremo la popolazione: quasi tre lunghi secoli di dominio soffocante commerci e agricoltura son messi in ginocchio che tanto tenne Ruvo repressa in ogni istante sembra quasi che Ruvo abbia preso il malocchio, Nella sua luce storica il nobil feudatario ma quel che la colpisce non è la malasorte che sempre ricordiam nel dì dell’Ottavario soltanto la miseria, la peste e poi la morte. forse quel giorno, è vero, rimane impressionato E in questo triste quadro di gran desolazione in groppa al suo destrier che la zampa ha piegato, il nobile casato continua a esser padrone. ma se dopo questo evento devoto è diventato Infin col Settecento, tra belletti e profumi continua ad ignorare il popolo affamato. la mente dei regnanti vien schiarita dai lumi I nobili Carafa, in tutto il Cinquecento che la ragion diffonde e irradia in ogni dove non vedon mai del popolo la pena ed il tormento così sembra che cambi un po’ la situazione: lor vanto e unico orgoglio i bei palazzi e i lustrini varie riforme allentan la pressione fiscale son ciechi e pure sordi ai duol dei ruvestini. è reso men gravoso il regime feudale, Proteste ripetute e forti opposizioni forse nobili e clero son men privilegiati son tosto soffocate nelle orride prigioni ma i nostri Carafa a Ruvo si sentono sfregiati . o presto scoraggiate da bravi assai spietati E tra liberalismo dal soffio innovatore che son della famiglia gaglioffi prezzolati. e cupo oscurantismo da grande Inquisizione Perché i nostri Carafa le terre han da ingrandire a fin Sessantasette del “secol luminoso” e col sangue del popolo si vogliono arricchire: nel gran casato nasce chi resterà famoso: tasse e gabelle infami impongono al paese chi riscatta le colpe dei molti antenati a lor sempre è asservita l’economia ruvese. che Ruvo han tenuto in vile servaggio Nel secol successivo, e senza impedimenti, e cancella col sangue l’odioso retaggio fan pascolare a Ruvo gli abruzzesi, avidi armenti: rendendo ai Ruvesi i diritti negati… V ETTORE CARAFA: l’eroico conte che lottò per la libertà del popolo VI Nell’antica magion s’ode un vagito e poco prima dell’Ottananove la nobil duchessa d’Andria ha partorito arde d’amor per la Rivoluzione. l’erede dei Carafa e’ appena nato Dei popoli oppressi libertà e difesa a tante grandi imprese e’ destinato. diventan lo scopo di ogni sua impresa Ettore, come il trisavol famoso vien chiamato che è mossa dall’odio, dall’indignazione ma dal suo avo solo il nome ha ereditato. avversa al governo del regio Borbone. In quel momento cade un marmo dal camino Dei Diritti dell’uom la Dichiarazione è un presagio fatal per il piccino; porta poi a Napoli in ciascun rione più d’un, sgomento, guarda al suo avvenire ma dal popolo ignorante è denunziato, pensa che certo farà una brutta fine, che il clero in ogni istante ha fomentato ma la gran gioia legata al lieto evento Così accusato di cospirazione vela il funesto auspicio in un momento. vien condannato alla carcerazione. Il giovane Carafa li’ cresce bello e forte Dalla prigione di Castel Sant’Elmo guidato ed educato al fin d’entrare a corte evade con l’aiuto del fratello Ma non di rado scorda quel che gli e’destinato e in testa ad un drappello militare a difender chi è più debole appar più interessato vuol fare a Napoli un governo liberale Studiar Greci e Romani la fantasia gli accende perché l’amor per la Repubblica nascente antichi eroi e valor gli affascinan la mente ormai gli riempie il cuor e pur la mente. l’amore pei cavalli e per l’equitazione Poi tenta di affrancar il suol pugliese lo infiamma quanto l’odio per ogni coercizione marciando a fianco di un general francese, L’ambizion della famiglia e il livel d’aspirazione vuol che le città a lui care ardan d’amore a Napoli lo portan a finir la formazione per la libertà importata dalla Rivoluzione. ma dei nobili e del re la politica immorale Ma il popolo, qui a Ruvo, sempre dal cler plagiato lo inducono ad odiar quel regim dittatoriale. abbatte l’albero della libertà prima piantato Per poter poi alimentar la vocazione liberale E con l’armi Andria respinge la franca guarnigione va a fare in Francia un lungo viaggio culturale poiché sempre è fedele al caro Re Borbone VII LA MORTE DI ETTORE CARAFA VIII Risponde con il fuoco il general francese LA FORZA DELLA LIBERTÀ comincia a saccheggiare la città pugliese Questo lungo racconto ormai giunto alla fine ma il giovane Carafa, sì prode e temerario, e che di Ruvo feudale segna quasi il confine sprezzante del pericolo si fa da intermediario mostra a noi tutti cos’è diventato scopre del condottier il lato umanitario quel primo seme di libertà piantato: e salva Andria e poi Ruvo dal furore incendiario. un seme libero di germogliare Ma il fascino che induce ad amar l’indipendenza che un grande borgo ha saputo creare, e che di tante menti orienta la tendenza una città agricola e artigianale un dì vien soffocato da chi si è coalizzato poi diventata imprenditoriale contro la nazion che pei diritti dell’uom avea lottato che tra informatica e modernizzazione Ecco perché la Francia, da più parti attaccata non scorda del passato storia e tradizione abbandona al suo destino la Repubblica neonata e sa promuover la crescita in sincronia e tanti grandi eroi che l’han costituita del turismo locale e dell’antica maestria. ormai rimasti soli son privati della vita. Compreso il nostro eroe dal sangue nobiliare che presto resta vittima della reazion fatale ovunque manifesta in tutto il Meridione da parte del furente, dispotico Borbone. Il giovane Carafa fino all’ultimo ha lottato e solo con l’inganno infin vien catturato resiste alle torture con grande abnegazione poi viene condannato alla decapitazione. In Piazza mercato a Napoli allor egli è portato non vuol esser davanti al ceppo inginocchiato vuole guardar sprezzante l’arma letal che scende fino all’ultimo istante il suo valor risplende Poi affronta la morte con grande coraggio scintilla negli occhi l’antico lignaggio lo sguardo è impavido, il portamento è fiero la libertà, l’onore e Dio son l’ultimo pensiero. IX I NOSTRI LABORATORI Laboratorio Storico: Gli alunni hanno tradotto i risultati della ricerca storica in narrazione con slides in Power Point, illustrazioni, testi in rima e con la recitazione dei cantastorie. Prof.ssa Isabella Anzelmo, docente tutor Prof.ssa Anna Caterina Carnicella, curatrice della ricerca storica e autrice dei testi in rima Prof.ssa Angela Simone, docente ITP, curatrice del Power Point Prof.ssa Vittoria Bonadies, docente di Informatica Alunni cantastorie: M. Binetti 2C, V. Volpicella 5E, V. Adessi 4A Alunni : C. Maggialetti 4C, M. Terlizzi 4C, G. Vendola 1C, G. Altamura 1C, N. Cipriani 1C, C. Zuppa 1C, V. Quercia 3A Laboratorio Turismo e Marketing: Presentazioni turistiche (anche in lingua straniera) dei più importanti palazzi nobiliari di Ruvo per la valorizzazione dei prodotti enogastronomici locali e degli antichi mestieri. Prof. Giovanni Gigli, docente tutor Prof. Riccardo De Feo, docente di Storia dell’arte Prof.ssa Giacoma Stasi, docente di Lingua francese Prof. Cataldo Olivieri, docente di Lingua inglese Laboratorio Cinematografico: Rivisitazione fantasiosa di contenuti e personaggi tratti dalla ricerca storica attraverso un confronto ironico e gioioso tra generazioni ed epoche. Prof.ssa Gilma Murolo, docente tutor Dott. Michele Pinto, regista cortometraggio (esperto esterno) Referenti del progetto: Prof.ssa Maria Summo Prof. Giovanni Gigli FINE INSERTO OPINIONI Francesca Berardi 2D Eccoci qui, noi adolescenti, anime ribelli, libere, che viviamo il presente con impulsività e altrettanta spensieratezza da far sì che non ci accorgiamo dei giorni che passano e di un futuro che ci aspetta dietro l’angolo. Un futuro pieno di ambizioni, sogni ma, visto da un’altra prospettiva, un futuro incerto, che spaventa, pieno di timori, insicurezze e dubbi. Basti pensare ai problemi che al giorno d’oggi sono predominanti: politici che si azzuffano per il potere, per la fama, cattivi esempi per la nostra società, persone che si nascondono dietro delle maschere, altre che confabulano alle nostre spalle; tutto questo senza rendersi conto che mentre il loro egoismo imperversa, milioni di persone vicine a noi o anche in aree remote combattono ogni giorno per sopravvivere alla fame, alle guerre e alle malattie. Se questi sono i nostri esempi perché, a questo punto, dovremmo lavorare per un sistema di disonesti ed egoisti? Perché lavorare per una società che si autodistrugge, che non ha rispetto neanche per ciò che la circonda, che giudica coloro che hanno il coraggio di avere una propria opinione? Perché lavorare per un sistema che invade le libertà altrui e non pensa ad altro che al potere mentre tutti gli altri sono vittime delle loro ingiustizie? Come sentirsi al “sicuro” sul palmo di una società così instabile e corrotta? Come possiamo sentirci pienamente soddisfatti e sicuri, noi, gli spettatori più giovani di tali attualità, noi che dovremmo essere i futuri lavoratori di tale sistema che si va frantumando col tempo che passa? Come potremmo mai capire il nostro “giusto” posto nel mondo? A volte si pensa che sarebbe meglio vivere nell’illusione e nell’innocenza che si aveva da bambini. Molto spesso si ignora che una realtà così negativa influisce non solo sul mondo dei grandi ma anche su quello di noi adolescenti. Ci chiediamo spesso se saremo all’altezza delle nostre responsabilità, ma siamo sicuri che la società sarà poi alla nostra altezza? Probabilmente un giorno saremo in grado di portare un’influenza positiva e magari cercare di migliorare ciò che oggi non va. E poi la scuola, ci offrirà le competenze necessarie per farlo o per trovare lavoro? Questi sono gli interrogativi che noi giovani ci poniamo, ma senza avere risposte perché anche le nostre famiglie vivono le nostre stesse paure, preoccupazioni, ambizioni e speranze. Nel frattempo godiamoci la spensieratezza dei nostri 15 anni e apprezziamo ciò che c’è di buono in questo presente, a partire dalla Nostra scuola. 73 Miriana D’Agostino 5B L’uomo ha sempre creduto di essere il centro del mondo, l’elemento perfetto, possessore di capacità superiori: la parola, la gestualità, la capacità di comunicare, amare, esprimere i propri sentimenti, di provare emozioni. L’uomo ha sempre sostenuto di avere un’intelligenza superiore, eppure egli è così impotente dinanzi alla forza, alla grandezza e alla bellezza della natura e dei suoi elementi. L’uomo la sfrutta, la consuma, la maltratta e la colpisce, ma la natura è possesso dell’uomo o è l’uomo ad essere una pedina nelle “mani” della natura? 74 Natura! Ne siamo circondati e avvolti. Senza preavviso, essa ci afferra nel vortice della sua danza, crea forme eternamente nuove. Viviamo in mezzo a lei e ne siamo stranieri. Essa parla continuamente con noi. Agiamo continuamente su di lei e non abbiamo su di lei nessun potere. Alle sue leggi si ubbidisce anche quando ci si oppone. La natura si lascia apparentemente calpestare, le foglie si lasciano staccare via dal loro ramo, le nuvole si lasciano penetrare dai gas di chi sa quali sostanze; e i boschi? I boschi si lasciano spazzare via per dar vita a immensi palazzi dove si commercia quel petrolio che poi rende così acide e pesanti le piogge che dovrebbero nutrire i grandi prati verdi e i meravigliosi girasoli gialli, che invece si spengono davanti alla convinzione dell’uomo di essere così fortemente superiore alla potenza della natura. Ma superiore lo è davvero? Molte sono e in molti modi sono avvenute e avverranno le perdite degli uomini, le più grandi per mezzo del fuoco e dell’acqua. Platone ha sottolineato sempre la potenza della natura, e nella sua opera “Timeo” raccontava vicende dove si percepiva come anche la potenza degli dei era nulla davanti alla imponente grandezza della natura; come quella storia che un giorno Fetonte, figlio di Apollo, dopo aver sottratto il carro del Sole, poiché non era capace di guidarlo lungo la strada segnata, incendiò tutto quel che c’era sulla terra, rimanendone egli stesso ucciso. Dio l’ha creata, apparentemente, così fragile eppure ha nascosto la sua immensa forza dentro la luce del sole, la sua bellezza nei fiori e il suo profumo nei peschi in fiore. Ma quanto ancora la natura rimarrà inerme di fronte alla superficialità dell’uomo? Nel Medioevo si credeva che fosse la Terra il centro dell’universo e che tutti gli altri pianeti ruotassero intorno ad esso; è stato difficile per l’uomo accettare la dura realtà dimostrata da Galileo, il quale sfatò il mito dell’uomo al centro dell’universo e dimostrò quanto egli fosse in realtà piccolo e quasi insignificante dinanzi all’immensità del Creato. E se l’uomo è sulla terra, questa è la sua dimora e deve prendersene cura perché è la natura la vera “padrona di casa”; è essa stessa che si controlla riuscendo persino a spostare il proprio asse e modificando quella che crediamo essere la nostra “casa”, la nostra dimora. È proprio quel piccolo pianeta dal cuore incandescente, che ruota intorno a se stesso e piroetta intorno al proprio asse, che con la sua inclinazione ci dà il giorno e la notte e l’alternarsi delle stagioni. La terra è la nostra dimora e sovrasta la nostra fragilità attraverso le leggi della fisica e le grandi catastrofi naturali, dimostrando un’unica grande verità: è lei l’Imperatrice! L’uomo è, dunque, solo una piccola pedina nelle mani di Dio, cammina su di un filo sottile e la sua vita dipende solo dalla natura, perché basterebbe solo un flebile soffio di vento per farlo cadere giù. 75 Eugenia Panessa 2B Il 25 novembre è la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. Non pensate sia scandaloso che debba esistere un giorno per questo, che debba esistere un giorno per ricordare al mondo quanto sia sbagliata e terribile la violenza sulle donne? Non dovrebbe esistere perché è tremendo pensare che al giorno d'oggi ci siano ancora donne che subiscono i soprusi e le violenze da parte di uomini ignoranti e retrogradi. Credo che questi individui non meritino neppure di essere chiamati “uomini”. Viviamo nel ventunesimo secolo, eppure la nostra società è ancora pervasa da una mentalità sostanzialmente maschilista, ancora il mondo non è in grado di concepire l'uguaglianza tra uomo e donna. Esistono ancora uomini che reputano la donna un essere inferiore, con minori capacità e per questo minori diritti. 76 La lista di donne meravigliose che ci sono state e che ci sono ancora è infinita e impossibile da completare, l'importante però non sono i singoli nomi, ma comprendere quanto le donne siano straordinarie. Eppure ancora molte di loro vengono stuprate, maltrattate, picchiate, violentate, molestate o addirittura assassinate da quei mostri che, indifferentemente per il fatto che le abbiano incontrate in un vicolo in una notte buia e cupa o le abbiano giurato amore eterno, sono e resteranno comunque mostri. Ricordiamoci che in Italia, in media, ogni due o tre giorni un uomo uccide una donna, compagna, figlia, amante, sorella, ex. Magari in famiglia. Perché non è che la famiglia sia sempre, per forza, quel luogo magico in cui tutto è amore. La uccide perché la considera una sua proprietà. Perché non concepisce che una donna appartenga a se stessa, che sia libera di vivere come vuole lei e persino di innamorarsi di un altro. E noi che siamo ingenue spesso scambiamo tutto per amore, ma l’amore con la violenza e le botte non c’entra nulla. L’amore, con gli schiaffi e i pugni c’entra come la libertà con la prigione. Un uomo che ci picchia non ci ama. Mettiamocelo in testa. Vogliamo credere che ci ami? Bene. Allora ci ama male. Non è questo l’amore. Un uomo che ci picchia è un essere infimo e infido. Sempre. E dobbiamo capirlo subito. Al primo schiaffo. Perché tanto arriverà anche il secondo, e poi un terzo e un quarto. L’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe costole e non lascia lividi sulla faccia. Nessuno ha il diritto di ferirci o toccarci! Facciamo in modo che più gente possibile ne parli così che un giorno nessuna di noi, o delle nostre figlie, debba mai subire qualcosa del genere. Lottiamo per i nostri diritti, lottiamo contro quei mostri e non pieghiamoci mai al loro controllo e alle loro violenze. Non esistono giustificazioni per la violenza, ricordiamolo sempre e, vi prego, facciamo tutto ciò che è in nostro potere perchè tutte le donne lo capiscano e si ribellino. Noi donne siamo importanti, noi donne siamo meravigliose. Lottiamo oggi, ma anche domani e quello dopo ancora, così per ogni anno, così per ogni giorno, lottiamo sempre, ogni minuto, ogni secondo per essere libere come è giusto che sia. Pensiamo mica di avere sette vite come i gatti? No. Ne abbiamo una sola. Non buttiamola via. 77 Rosy De Chirico 5A Siamo in un paese in cui la famiglia viene ancora esaltata come il luogo degli affetti, della cura, della crescita dei suoi membri, lo spazio dove si vive in armonia e con reciproco rispetto, dove si dialoga e si risolvono i conflitti; purtroppo oggi, nella maggior parte dei casi, non è cosi. Sono 120 nel 2013 e 64 nel 2014, le donne uccise dai mariti, ex mariti, o uomini con cui avevano o avevano avuto un legame affettivo. Spesso donne e bambine corrono grandi pericoli, proprio in famiglia, luogo ormai non più sicuro. Per molte donne la casa diventa il luogo della paura e della violenza, violenza esercitata da mariti, compagni, padri. Queste donne vivono una sofferenza non solo fisica ma anche psicologica a tal punto da renderle incapaci di difendersi. I nostri diritti vengono umiliati e le vite delle donne spesso messe a rischio dalle continue minacce e violenze subìte, in quanto sin dall’antichità venivano considerate esseri inferiori, ma questa è solo un’antica ideologia impressa nella mente degli uomini e che si tramanda da generazioni. Il fenomeno della violenza maschile sulle donne è un argomento molto importante e delicato, erroneamente considerato, soprattutto dalle popolazioni occidentali, come lontano, come qualcosa che ormai non ci riguarda più. 78 Basta prendere in considerazione la nostra terra, in Italia, infatti, fino a non molti anni fa, l' uomo che uccideva la moglie o la fidanzata "per gelosia" poteva contare su una attenuante giuridica: il movente "d'onore", grazie al quale se la cavava con pochi anni di prigione. Una vergogna che affonda le sue radici in un'eredità culturale arcaica e (pensiamo alle 54 vittime del 2012) ancora attiva: la femmina come proprietà del maschio. Ancora oggi le manifestazioni di violenza maschile sulla donna vengono codificate dalla cronaca con le parole "omicidio passionale", "d'amore", "raptus", "momento di gelosia", quasi a testimoniare il bisogno di dare una giustificazione a qualcosa che è in realtà mostruoso. Ma cosa si può fare per contrastare questo terribile e crescente fenomeno radicato nella nostra cultura? Qualcosa è stato fatto, negli ultimi tempi in particolare: oltre alla nascita dei centri anti-violenza, dotati spesso anche di case-rifugio, in Italia sono stati istituiti corsi di formazione dei Carabinieri, mentre in tutto l'Occidente è stato introdotto il reato di "femminicidio", con il quale si tenta di passare il messaggio che uccidere una persona perché ci si ritiene proprietari del suo corpo, della sua vita, della sua libertà, è un'aggravante giuridica, e non più un’attenuante. Sono grandi passi avanti, ma purtroppo manifestare il dissenso probabilmente non cambierà il fenomeno in tempi brevi, non basta una legge per salvaguardare il sesso femminile, ma col tempo riuscirà forse a cambiare la cultura e le mentalità. È in questo senso che occorre impegnarsi: serve soprattutto maggiore educazione famigliare e scolastica, quella formazione culturale che dovrebbe far capire che tale violenza non è legittima, ma conseguenza di pregiudizi legati alla virilità, all'onore e ai diversi ruoli maschili e femminili nella coppia e nella società; che "amore" non significa possesso della donna a cui chiedere obbedienza assoluta, negandole la libertà dei sentimenti. Indispensabile è pure spingere le spose o le fidanzate a non sottovalutare i primi segnali di violenza, a non aver paura di denunciare, benché ciò sia spesso rischioso. Si tratta, quindi, di modificare un fenomeno culturale che priva di rispetto il corpo delle donne, facendole sentire inferiori moralmente e socialmente. Questi sono limiti culturali, assurdità che non si possono più tollerare. È ora di dire basta, e siamo noi donne a dover fare il primo passo, a batterci per il nostro rispetto. Abbiamo il compito di educare i nostri figli nel modo giusto, di premere sulla società per consentire il raggiungimento dell'obiettivo, per ottenere uguaglianza giuridica, politica, ma soprattutto sociale. La violenza sulle donne non è un gioco, parliamone! 79 Don Vincenzo Marinelli La materia che insegno a scuola mi pone costantemente a contatto con ragazzi adolescenti desiderosi di crescere culturalmente e umanamente e di costruire un progetto di vita in cui investire le proprie energie. Davanti a quest’ansia di futuro, talvolta ancora incerta, confusa e alternante fra le varie ipotesi di approdo, ho l’occasione di confrontarmi con i mille interrogativi degli studenti, talvolta alimentati da “luoghi comuni”, dal “sentito dire”, da un modo di pensare plurale eppure spesso appiattito, poco critico e desideroso di autentica ricerca della verità. Certo, non mancano i virtuosi esempi, ma il pluralismo del sapere sembra non offrire sapore, saggezza di vita, quell’attrezzatura necessaria per costruire quel progetto tanto desiderato. 80 La libertà umana è concepita in termini desunti dalla imperante cultura tecnica e scientifica come “libertà di potenza” o “potenziale”. Essere liberi si intende come “fare quello che voglio” nella misura del tecnicamente possibile e realizzabile. L’esercizio della libertà è, in tal modo, posto sotto il dominio, la tirannia della smisurata volontà che, senza alcun argine, può arrivare a desiderare anche quello che è indegno del proprio essere, della propria umanità. La concettualizzazione di una libertà smisurata e assoluta conduce, più che ad un potenziamento della libertà stessa, ad un impoverimento poiché la libertà è sempre “libertà da” e “libertà per”, è sempre in relazione e la relazione pone un argine alla pretesa di assolutezza della libertà e alla volontà del singolo. Poco si controbilancia la libertà con l’identità, pensando l’esercizio della volontà legato a quel che “io sono” e che “sono chiamato ad essere”. Se riconosco di essere uno studente (identità) sono chiamato ad esercitare la mia libertà, nonostante la pluralità delle varie possibilità di esercizio, nell’andare a scuola, nel compiere il mio dovere. Prima ancora che per il regolamento scolastico o per le sanzioni disciplinari, per me stesso. Ci sono identità più profonde e caratterizzanti la vita umana come l’essere figlio, l’essere padre, l’essere madre, l’essere moglie e l’essere marito che, lungi dall’essere una prigione per la libertà, sono un vero e proprio ausilio ad un esercizio autentico della libertà e alla costruzione di un’umanità matura, capace di affrontare integralmente le sfide che la vita pone, senza selezionarle, senza fuggirle o cercare soluzioni di compromesso e accomodanti. La maturità si sviluppa nell’esercizio fedele della propria libertà in funzione alla propria identità. È in questo percorso che si rivela l’esperienza del limite, della debolezza e della fragilità umana, ma è proprio in questi luoghi che si apprende a decostruire l’immagine ideale di sé per accogliere e amare la realtà di se stessi. È proprio guardando la propria incompiutezza che può aprirsi un duplice orizzonte. Quello della rassegnazione e dello scoraggiamento, che stride fortemente con il proprio anelito al meglio e alla perfezione, o quello della fede che ti annuncia che c’è un Dio, Gesù Cristo, che ti offre il suo amore sempre, nonostante i tuoi limiti, e ti offre la sua grazia per dare compimento proprio a quell’anelito di perfezione che hai nel cuore e che, per suo dono e merito, si chiama partecipazione alla figliolanza divina. 81 Eugenia Panessa 2B Guardatevi intorno, siamo tutti così diversi, ognuno con le proprie caratteristiche fisiche, con il proprio sguardo stanco, vispo o perso nel vuoto, ognuno con i propri pensieri ma nonostante questo ad unirci vi è un'unica, piccola e grande cosa, l'amore. Per il semplice fatto di essere umani, noi amiamo. Di tipologie di amore ne esistono tantissime, l'amore di una madre per un figlio, l'amore tra due amici, l'amore per l'arte, la danza o la cultura e infine l'amore di due fidanzati, l'amore che si porta all'altare e quello che semplicemente si porta dentro, l'amore a prima vista, l'amore omosessuale e il suo bisogno di essere riconosciuto e tutelato a tutti gli effetti, proprio perché non sta a noi giudicare qual è la forma d'amore più bella, perché in ogni sua forma l'amore ci pervade, ci sconvolge e spesso ci cambia. Secondo la mitologia greca, gli umani originariamente furono creati con quattro braccia, quattro gambe e una testa con due facce. Temendo il loro potere, Zeus li divise in due parti separate, condannandoli a trascorrere le loro vite a cercare l’altra loro metà; in seguito Socrate si domanda se si ama solo ciò che non si possiede e sembra indicare una via d’uscita: certo, un povero ama la ricchezza perché non la possiede, però anche un ricco può amare la ricchezza e un sano la salute nel senso che amano poterle avere anche in futuro, in una dimensione temporale, cioè, in cui non le possiedono ancora. 82 Perciò è possibile continuare ad amare una persona anche dopo averla conquistata. Succede quando desideri conquistarla anche in futuro. È la tensione verso un obiettivo non ancora raggiunto che tiene in vita Eros. Bisogna sempre essere affamati, direbbe Steve Jobs. L’amore vive finché si fanno progetti e sogni in suo nome. Finché si coniugano i verbi al futuro. Finché coloro che si amano non smettono mai, almeno un po’, di mancarsi. Leopardi dice di aver bisogno d’amore, amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita: il mondo non gli par fatto per lui. Montale scrive: “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede. Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue” Montale si affida ciecamente della sua amata, si sente vuoto senza di lei. Dunque ogni uomo si è interrogato sull'amore ed ha cercato di imprigionarlo nell'inchiostro, ma l'amore è sfuggente, distante, l'amore spesso viene confuso con il dolore, con la rabbia e con le delusioni, ma è in realtà l'unica cosa che ci salva da tutto questo. L'amore ci costringe a confrontarci con noi stessi, a sfidare i nostri limiti, a evadere dagli schemi, a cercare di abbattere muri, distanze, problemi ed insicurezze. L'amore è senza tempo, è tanto eterno ed universale quanto intimo e soggettivo, è l'unica cosa che ci resta quando tutto va in frantumi e vale la pena di sopportare il dolore, le attese, le ansie, le mancanze: se in palio c'è l'amore, ne vale sempre la pena. Amore che è incondizionato, amore che per Pirandello “guardò il tempo e rise perché sapeva di non averne bisogno. Finse di morire per un giorno e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare. Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva. Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, il tempo moriva e lui restava”. L'amore dunque non ha regole, tempi, schemi né definizioni, l'amore si scopre soltanto amando ed io vi auguro di essere amati sinceramente e profondamente e di essere in grado di amare con altrettanta sincerità, vi auguro di avere il coraggio necessario per lasciarvi andare, per vivere e per innamorarvi ogni giorno tanto di voi stessi quanto della vostra vita, il resto è relativo. 83 N0TERELLE DI UN PROFESSORE Prof. Maurizio Michele Caterino - Sede di Corato Da oltre trent’anni dedico la mia vita all’insegnamento. Riandando con la memoria e ripercorrendo le tappe di questa mia lunga ed impegnativa esperienza, filtrata attraverso il caleidoscopio della giovinezza, ne scaturiscono diversi momenti di riflessione che stimolano non pochi confronti col presente. Ciononostante non è mia intenzione prorompere in una filippica del genere Cicero pro domo sua, né scivolare in un’enfatica geremiade, frutto appassito di un eteroclito laudator temporis actis. “Sono per la verità, non importa chi sia a dirla. Sono per la giustizia, non importa contro o a favore di chi” (Malcolm X). cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri. Cosicché essere colto, essere filosofo lo può chiunque voglia”, in questi termini si esprimeva Antonio Gramsci. Per tutte le anzidette ragioni il ruolo e il compito dell’insegnante mi affascinava perché era da me reputato come una sorta di elevata missione sociale, che però può discendere solo da un’autentica e pura vocazione fondata sul senso del dovere, su un forte spirito di dedizione, su una non ordinaria poliedricità di doti morali come volontà, autorevolezza, assertività, comprensione, perspicacia, autostima, pazienza, umiltà, sensibilità, onestà intellettuale e intuizione psicologica, nonché su solidi e profondi convincimenti culturali dettati dall’impegno nello studio, dalla passione e dall’amore nutrito verso l’umanità per la trasmissione non solo delle conoscenze, ma soprattutto dei più preziosi valori etici e intellettuali: l’unica speranza per chi ancora crede in un mondo più giusto, fondato su valori cristiani. Inoltre sono alquanto persuaso che per un ragazzo giova molto di più imparare a saper essere che a saper fare. “Si corrompe nel modo più sicuro un giovane, se gli si insegna a stimare chi la pensa come lui più di chi la pensa diversamente” (F. Nietzsche, Aurora). LA CULTURA E I COMPITI DELL’INSEGNANTE Per definizione la scuola è cultura, stabilità, mediazione, luogo di trasmissione della memoria attraverso cui la comunità definisce se stessa ed elabora il linguaggio necessario alle persone per un reciproco riconoscimento. È dunque il luogo privilegiato non solo di elaborazione di saperi, ma anche di formazione culturale e umana, dove si impara ad essere cittadini consapevoli. “Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha 84 Di conseguenza, stabilendo come punto di riferimento fondamentale la centralità della persona, mi sono ingegnato nell’esporre, senza orpelli aulici, senza inutili bamboleggiamenti od ipocriti funambolismi, analisi e ragionamenti originali, privi di luoghi comuni, anche sfoderando idee od interpretazioni, contro la communis opinio, allo scopo di far sorgere interrogativi che possano dischiudere la mente dei discenti, per spingerli alla riflessione e per garantire infine il formarsi di una propria autonoma opinione. Tutto ciò allo scopo di sviluppare nei giovani una coscienza critica solida, limpida e schietta, affinché possano diventare uomini liberi e riuscire da soli ad intuire l’arcano senso della vita. “La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri” (Antonio Gramsci). LO STUDENTE CONSUMATORE Dovendo spesso remare controcorrente, per raggiungere le mete prefisse, forse un po’ troppo ambiziose, è stato necessario superare - nei primi tempi della mia carriera, nella fattispecie negli anni ottanta del secolo scorso - l’egemonia, nella didattica e nella pedagogia, dell’impostazione neopositivistica. Tale impostazione puramente ideologica, si è poi dissolta cedendo il campo, tra tante miserevoli rovine, ad una sfarfallante pedagogia subminimalista e ad una misera ed esanime subcultura di massa, fatta di slogan evanescenti ed immaginifici. Purtroppo in queste false dottrine pseudopedagogiche, ora molto alla moda, trionfa una conoscenza superficiale, confusa, fuorviante e ridondante, che si limita a raccontare senza spiegare, che appiattisce la psiche e che non consente un’obiettiva ed autonoma ermeneusi. Per di più, liquidata frettolosamente ed acriticamente anche l’esperienza marxista, è subentrata, a piè sospinto, un’espressione degenerata e tragica della profonda crisi che oggi pervade il capitalismo nella sua squilibrata fase terminale: il mercatismo. Questa è una teoria, dall’anima corsara, frutto di una perversa rimasticazione del più cinico neodarwinismo, che ha prodotto un profondo marasma geopolitico conducendo i popoli alla deriva politica e socio-economica, che brama un mondo senza regole fondato su un’etica individualista (l’individuo è la misura di tutte le cose!) e che per di più si genuflette dinanzi alle formidabili e latomiche consorterie finanziarie planetarie. Questo nefasto sistema dottrinale viene malauguratamente introdotto ed applicato in modo disinvolto anche nel riarrangiamento della scuola, oltre che naturalmente dello stato, quest’ultimo poi squallidamente trasformato in un’azienda da gestire in base agli andamenti del mercato, ma “La base di uno stato è la giustizia sociale” (Ezra Pound). E’ avvilente infatti osservare in filigrana l’ingrato destino che subisce la scuola, che viene trattata alla stessa stregua di una comune impresa di servizi, con debiti e crediti, con prèsidi managers, con studenti infelicemente ridotti a consumatori di formazione (data ovviamente per scontata la rapida obsolescenza del sapere specialistico) e con docenti tramutati in anonimi progettisti ad ore, seguendo un orrido stereotipo, dettato dalla sinistra agenda dell’obliqua ed apolide oligarchia globalista, modellato secondo un cliché americano-centrico, riverberato dal pensiero unico neoliberista. Quest’ultimo, tuttavia, non ha proprio nulla del pensiero liberale dell’epopea risorgimentale, perché è incentrato solo sul business, ed è per giunta intriso di un cinico e totalizzante economicismo, 85 esasperatamente egoistico ed antisociale, che ha tolto all’uomo la sua centralità, che scuote dai fondamenti la civiltà europea e la tradizione italiana, incentrate invece su di una mirabile costellazione di valori metastorici, solidaristici, estetici ed universali. Si tratta di un vero e proprio regime totalitario transnazionale in cui la dittatura viene esercitata in maniera spietata ed aggressiva dalla finanza speculativa e dai mercati che giganteggiano implacabili sui popoli inermi ed inconsapevoli, sfilacciandone poco alla volta il tessuto sociale e condizionando ogni libertà di scelta e di opinione, fino ad intaccarne la stessa identità antropologica, con lo sradicamento di ogni differenza e di ogni valore condiviso e, massimamente, con l’annientamento delle peculiari pluralità tradizionali, etniche, sociali e culturali. Ormai il confronto oggi non è più tra destra o sinistra, ma tra la libertà di autodeterminazione dei popoli e i condizionamenti imposti dagli interessi delle oligarchie che gestiscono l’apolide finanza cosmopolita. Si è giunti perfino ad immolare l’avvenire delle giovani generazioni, per sedare le deliranti e fameliche turbolenze sociopatiche dei mercati finanziari, divenuti ormai pervasivi, onnipotenti ed intangibili. LA SCUOLA-AZIENDA NEL PENSIERO UNICO Per soprammercato, nella miope ed asfittica visione aziendalista della scuola, come la conoscenza è finalizzata ad una prestazione, anche il merito finisce per essere materialisticamente inteso come prestazione in vista di un utile, senza contare che poi bisognerebbe comunque mettere veramente tutti in condizione di poter gareggiare alla pari e quindi trovarsi nelle condizioni di poter emergere e poi eventualmente meritare. E così, il sapere si riduce ad una semplice procedura orientata all’utile, ma ovviamente anche le modalità di realizzazione, organizzazione e valutazione di tali competenze acquisite subiscono lo stesso fatale destino, privilegiando il cosiddetto pensiero unico ed impoverendo vieppiù ogni capacità critica e di riflessione. Ma siamo proprio sicuri, persuasi e convinti che la concorrenza, l’efficienza e la competitività siano le caratteristiche ottimali per vivere e non sia invece molto più a misura d’uomo un sistema socio-economico cooperativo e solidaristico, che possa offrire un tipo di vita filosoficamente e spiritualmente giusto, conviviale e comunitario? Ritengo infatti che le esigenze più profonde dell'uomo contemporaneo non siano solo economiche, ma soprattutto esistenziali: non scholae, sed vitae discimus! LA SCUOLA E LA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO Tuttavia coi tempi che corrono il compito del docente diventa sempre più difficile e complesso, per di più aggravato da un singolare e velato disprezzo verso la cultura scolastica, che forse a prima vista potrebbe apparire surclassata dal web e dai massmedia. “Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse ed amare quelle che opprimono” (Malcolm X). Eppure un tempo ormai lontano la scuola rappresentava un mezzo efficace di crescita e di miglioramento del proprio essere e del proprio status sociale, incidendo quindi sulla intera compagine della società. Si può però comprendere tale sconcertante novella mentalità antiscolastica, se si paragonano le pingui e smisurate prebende dei grand commis o gli spropositati guadagni di anonimi magnati della finanza o gli scandalosi compensi di tanti ambigui personaggi della società dello spettacolo o gli incredibili vitalizi di tanti zotici e corrotti politicanti con i loro furbi accoliti, a fronte dei miseri ed incerti salari di ricercatori, di studiosi, di letterati, nonché di molti giovani preparati o di precari incanutiti, ai quali è stato scippato il futuro e che si ritrovano abbandonati a loro stessi, 86 in una situazione di paralisi della mobilità sociale, in un tormento che può essere oggi l’incertezza di trovare un posto di lavoro malpagato e un domani sempre più lontano l’incertezza del giorno di una miserrima pensione. Ed ecco perché mentre in passato gli eroi dell’immaginario collettivo ai quali ci si ispirava erano santi, pionieri, inventori, poeti, scienziati, romanzieri, artisti, navigatori, condottieri ed esploratori, oggi gli eroi nell’epoca post-moderna sono i partecipanti ai reality oppure le mediocri attricette delle soap-opera, oppure tanti insulsi showman o certi calciatori illetterati, accompagnati da una caterva di personaggi spocchiosi, tronfi oltre ogni pudore, triviali, sciocchi e ignoranti, ma molto famosi, che esibiscono le peggiori caratteristiche della natura umana, come l’avidità, l’egoismo, l’arroganza, l’ignavia, la vanità, il nichilismo, la superficialità e talvolta anche altre innominabili lubricità tipiche di un iperedonismo acefalo. LA SCUOLA, LA LIBERTÀ E IL MIRACOLO ECONOMICO D’altra parte, quello della società attuale è un sistema il cui modello unico è fondato sulle libertà individuali più basse, transeunti e autoreferenziali, che scalzano il senso interiore e più autentico della vera Libertà (oggi a rischio!), quella che può fondarsi solo, checché se ne dica o se ne voglia, dal sacrificio e dalla disciplina; dare spazio e luce alle libidini divistiche, alle smanie morbose, alle frenesie narcisistiche o a certe lascive ubbie ctonie – secondo certuni, le più preminenti, proprio perché più istintive – significa, allora, contraddire ogni forma elementare di educazione, che prevede precisi limiti ed imprescindibili confini, volti a conferire forma alla sostanza di un uomo. Ecco perché, purtroppo a scuola, oggi, con le debite encomiabili, ma per fortuna numerose eccezioni, non studia quasi più nessuno, probabilmente nemmeno gli stessi docenti, fiaccati da un iperbolico burocratismo formalista ed autoreferenziale, intimoriti talvolta dall’acredine di famiglie periclitanti, o frastornati dalle impertinenze di allievi impuniti ai quali tutto è concesso. In un’epoca, neppure remota, tanto da essere da me vissuta, sui banchi di una scuola ancora tradizionale e gentiliana, seppur per certi versi poco inclusiva, apparentemente severa e pedante, piuttosto centralistica, ma poco burocratizzata, povera di scartoffie e di mezzi tecnologici, ma brulicante di idee, di entusiasmo e di passione, oserei dire anche permeata da un fecondo spirito pionieristico proiettato verso il futuro, si acquisiva metodo e disciplina, con grande abnegazione e con implicito senso del dovere. Si imparava così a pensare e ad introiettare determinati Valori, cioè si imparava a Vivere. Non a caso il sociologo Domenico De Masi sostiene che “Chi ha studiato nella scuola italiana degli ultimi trent’anni è senz’altro messo peggio dei suoi genitori”. Pertanto quella di prima era sicuramente una scuola di vita e di pensiero, che fu indispensabile e meraviglioso supporto per il miracolo italiano del boom economico, perché la conoscenza è cambiamento di se stessi e della società. “Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Siate il peso che inclina il piano. Siate sempre in disaccordo perché il dissenso è un’arma. Siate sempre informati e non chiudetevi alla conoscenza perché anche il sapere è un’arma. Forse non cambierete il mondo, ma avrete contribuito a inclinare il piano nella vostra direzione e avrete reso la vostra vita degna di essere raccontata. Un Uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai” (Sir Bertrand Russell, 1962). 87 Pasqua Cagnetta 2C La musica accompagna l’armonia delle sfere celesti e raggiunge la nostra mente, anzi, è forse l’unico vero ponte invisibile che scorre dall’infinito all’animo umano. Il mondo è “governato” dalla musica; basti pensare a quanti film si ricordano per la loro colonna sonora, a quanti inni e quante canzoni ricordano determinati momenti storici, momenti belli e brutti della nostra vita. La musica salverà il mondo, come la bellezza, e non solo per ragione estetica o esistenziale, ma anche per una sua misteriosa virtù terapeutica. La musica cura la mente ferita perché utilizza un linguaggio originario che precede i nessi logici, i processi cerebrali e muove corde originarie. Cura i malati di Alzheimer e di Parkinson, i disturbi autistici, le demenze e tante altre sindromi. Talvolta aiuta anche ad uscire dal coma, come è accaduto in alcuni casi noti grazie alla cronaca. Per me, la musica è un metodo per uscire dalla monotonia quotidiana perché mi permette di entrare in un nuovo mondo in cui è sempre pronta ad accogliermi. Molte volte, mentre ascoltiamo la musica, facciamo altre cose, pensiamo ad altro e ci facciamo cullare dalla melodia senza prestare attenzione, senza cercare di capire ciò che veramente vuol trasmetterci; altre volte, cerchiamo anche di interpretare il suo messaggio, ma spesso capiamo soltanto ciò che vogliamo sentire: la musica può essere vissuta in mille sfaccettature, con tutto il suo valore emotivo. 88 Io nella musica ho sempre trovato un rifugio: quando suono evado da tutti i problemi, mi lascio andare; è un po’ come se sognassi ad occhi aperti, è come se solo grazie ad essa riuscissi a sopportare tutto quel che c’è da sopportare. La musica non è solo un piacere per le orecchie, come la gastronomia lo è per il palato e la pittura per gli occhi; è più completa perché può arrivare a coinvolgere ogni nostro senso. Se la mattina ascolto un po’ di musica è per un motivo molto semplice: mi permette di dare alla giornata la sua giusta intonazione. “È semplicissimo scegliere il proprio umore perché abbiamo una coscienza dotata di diversi stadi ai quali è possibile accedere”, scrive Muriel Barbery nel libro “L’eleganza del riccio”. L’autrice esprime un pensiero profondo: “la musica permette di entrare in uno stadio molto speciale, altrimenti idee e parole stentano ad arrivare. Occorre lasciarsi andare e nello stesso tempo essere super concentrata. Ma non è una questione di volontà, è un meccanismo che si mette in funzione, come per grattarsi il naso o fare una capriola all’indietro. E per metterlo in funzione non c’è niente di meglio di un brano musicale”. Ad esempio io, per rilassarmi, ascolto brani che mi fanno raggiungere un’altra dimensione, distante dalla realtà; uno stato in cui le cose non mi toccano veramente, in cui vedo le cose come se stessi guardando un film, quasi un livello di coscienza distaccata. In genere per raggiungere questo, ascolto del jazz oppure i Dire Straits, altre volte, invece, suono “Oblivon” di Piazzolla o “La vita è bella” di Piovani. Sono dell’opinione che la musica sia un po’ come la libertà: a una persona si può togliere tutto ma non la musica; e quando a questa affianchi studio e passione, puoi godere della “libera vitalità”. Vivo la musica con grande passione e, come dice una famosissima canzone: “io la musica non l’ho mai tradita e mai lo farò”. Il sax è lo strumento che mi accompagna sempre. Per la sua sonorità al limite del silenzio dà la possibilità di ottaveggiare, cioè di esprimere gli armonici per ottave anziché per quinte; è uno strumento agile e ricco di effetti virtuosistici, con un gamma dinamica di notevole ampiezza. H. Berlioz dice che la bellezza del sax sta nel suo accento, a volte grave e calmo, a volte passionale, sognatore e malinconico o vago come l’eco dell’eco o come il pianto indistinto della brezza dei boschi. La mia passione risale alla scuola elementare, quando ho iniziato a studiare gli strumenti musicali; è da allora che il sassofono mi ha incuriosito e, grazie ai sacrifici della mia famiglia, ho potuto acquistarne uno e iniziare un percorso di studio con il mio “Maestro” che mi ha fatto amare sempre più il mondo della musica. Il mio sogno è di riuscire un giorno ad insegnare ai bambini la musica; perché “il bello della musica è che quando ti colpisce non senti dolore” (B. Dylan) 89 Merilyn Roselli 5E «Donare significa per definizione consegnare un bene nelle mani di un altro senza ricevere in cambio alcunché. Bastano queste poche parole per distinguere il “donare” dal “dare”» afferma Enzo Bianchi in “Dono. Senza reciprocità”. Oggi è molto più diffusa la concezione del dare che del donare. Si è così succubi del principio di scambio da non essere più in grado di donare davvero, e soprattutto, non si riesce a ricevere senza provare diffidenza, senza pensare a cosa il donatore si aspetti, si cerca quasi di ricambiare il dono il più presto possibile per non sentirsi in debito verso l’altro. Siamo ben consapevoli del fatto che il dono può diventare uno strumento di pressione che incide sul destinatario, può trasformarsi in strumento di controllo, può incatenare la libertà dell’altro, invece di suscitarla. Anche il momento in cui si dona è rilevante, oggi si dona in date stabilite: compleanni, anniversari, giorni in cui il beneficiario si sente in diritto di ricevere qualcosa e il donatore in obbligo di donarla. Come scrive Theodor W. Adorno in “Minima Moralia”, «il dono è sceso al livello di una funzione sociale a cui si destina una certa somma del proprio bilancio, e che si adempie di malavoglia, con una scettica valutazione dell’altro e con la minor fatica possibile». 90 Tutto ciò è evidente soprattutto nel periodo natalizio, durante il quale orde di persone si accalcano nei centri commerciali cercando un buon affare, qualcosa di originale al prezzo più basso possibile, tirando un sospiro di sollievo nel mettere “una spunta in più” a quell’insopportabile lista di regali da fare. La gente, persa nella frenesia della routine, cerca di adempiere il prima possibile all’obbligo di “dare” qualcosa, dimenticando quanto sia bello, quanto sia gratificante, impegnarsi, cercare il dono perfetto per qualcuno, metterci cura, amore, e alla fine vedere la gioia del destinatario, stupirlo con qualcosa di sorprendente, non con qualcosa di necessariamente costoso, ma speciale. È senza dubbio a conoscenza di quanto sia gratificante donare, un giovane, Matt Jones, che donò un rene, non per salvare dalla dialisi una persona cara, ma solo per la gioia di aiutare uno sconosciuto. Mark Anspack afferma in “Cosa significa ricambiare?”: «difficilmente si diventa una persona generosa da soli: la generosità è una cosa che si impara». Infatti, grazie al gesto di Matt Jones si è creata una catena reciprocità generalizzata: i parenti del destinatario del rene, ne hanno a loro volta donato uno. Ben molto meno meritevoli sono coloro che esercitano “la Charity, la beneficienza amministrativa che tampona programmaticamente le ferite visibili della società” come Theodor W. Adorno ci invita a riflettere. Si tratta dei soliti ricchi, che dando una briciola dei loro immensi capitali a “soggetti bisognosi”, scelti molte volte a caso, cercano di farsi propaganda agli occhi della gente comune, la quale, a sua volta, si limita ad inviare quei famosi “due euro che possono cambiare il mondo”, attraverso un SMS. Sarebbe davvero necessario riflettere sull’ipocrisia di questi gesti, smettere di agire per il proprio tornaconto perché «nel donare – sostiene ancora Enzo Bianchi – c’è un soggetto, il donatore, che nella libertà, non costretto, e per generosità, per amore, fa un dono all’altro, indipendentemente dalla risposta di questo». Nella società odierna ci vorrebbero più “Matt Jones” che abbiano compreso cosa voglia dire “donare se stessi”. Donare se stessi non vuol dire donare ciò che si ha materialmente, ma ciò che si è, mettersi a disposizione dell’altro, desiderare solo il suo bene, senza alcun secondo fine. Il donatore è colui che agisce spontaneamente, che non conosce la legge del tornaconto e che, soprattutto, aspira alla Felicità dell’altro. 91 Alessandra De Nicolo 5E Dare con assoluta spontaneità, liberalità, disinteresse, gratuità, regalare, ma con una sfumatura solenne: è l’arte del donare. Sì, perche donare è un’arte sublime di cui più nessuno è capace di capire l’importanza; soprattutto oggi che, come sostengono Marco Aime e Anna Cossetta ne “Il dono al tempo di Internet”, «la Rete di certo promuove la diffusione di una nuova cultura del dono», nella quale quanto viene dato per pura liberalità è costretto «entro piccole mura fatte di specchi» che, se in un primo momento «riflettono e amplificano la luce e i legami», in un secondo momento si traducono in un puro fallimento, data la complessità del mondo contemporaneo. Il dono d’oggi, infatti, è un qualcosa che non è conforme alla realtà: non resiste «alle intemperie, agli improvvisi venti del mondo contemporaneo». E non solo questa creazione di una “comunità immaginaria” fa perdere l’essenza del dono; basti pensare al dono fatto per “carità”; anzi, delle volte il termine donare viene sostituito con fare carità, come sostiene Enzo Bianchi in “Dono”. “Dona 1€ ai terremotati del Nepal”. Ultimamente vediamo questa frase in quello scatolone di pixel e plastica. E per cosa? Per “donare” una briciola a quelli che i mass media ci indicano come “lontani”? Questo non è donare, è fare carità. Il significato che il significante “donare” veicola è sempre frainteso e, persino, banalizzato, come dimostra il fatto per cui, molte volte, il dono diventa una scusa e viene utilizzato per simulare gratuità e disinteresse, ma dietro si cela un avvilente tornaconto, legato al pensiero di “mercato del dono”; difatti, il vero spirito del donare è provare felicità e gioia nel solo immaginare la felicità del destinatario e, il tutto, implica scegliere, impiegare del tempo e uscire dai propri binari. Nessuno è più capace di donare perché ognuno pensa a ciò che piace a se stesso. Per donare, invece, bisogna togliersi i “paraocchi” della propria vita e guardare verso l’altro, verso il percorso della persona a cui si ha voglia di donare. L’arte di cui sopra sta per estinguersi anche perché è divenuta una ulteriore forma di scambio mercantile: «Se ti comporti bene e svolgi tutti i compiti, ti comprerò un videogioco» – dice una mamma a suo figlio. Sono gli adulti che devono educare i propri figli al “dono”, ma chi educa gli adulti a donare? «Anche i bambini squadrano diffidenti il donatore, come se il regalo non fosse che un trucco per vendere loro spazzole e sapone» (T.W. Adorno). Non è questione di donare oggetti, ma l’arte del dono si traduce in arte d’amare e di donare ciò che si è. Se si ama, si dona e se si dona, si ama. 92 Luca Troiano 4C Sapete cosa è iDoser? È l’equivalente cibernetico degli stupefacenti e funziona attraverso l’utilizzo di un software (chiamato appunto iDoser) che ti permette di scaricare piccole “dosi” di file sonori (di solito non superano i 45 minuti) che riproducono gli stessi effetti di alcune sostanze stupefacenti. Spinto dalla curiosità ho deciso di testare le capacità del programma su me stesso. Dopo avere scaricato la versione di prova ed essermi munito di un bel paio di cuffie, importanti per avere una maggiore efficienza del suono, mi sono disteso sul letto ad occhi chiusi. Avviata la dose “Alcoholism” (di circa 35 minuti) che dovrebbe riprodurre, come suggeritoci dal nome, gli stessi effetti di una vera e propria sbornia, ho subito avvertito un leggero fastidio alle orecchie: le frequenze cui mi “sottoponevo” erano inconsuete per il mio udito, tuttavia a metà file ero ormai abituato a quei rumori che mi hanno, a poco a poco, indotto a stimolare l’immaginazione; in testa, sempre più nitida, avevo l’immagine di una nave in mare e i rumori che sentivo erano quelli del motore e delle onde; a questa “visione” si alternavano alcuni miei ricordi estivi forse ripescati dalla memoria proprio in seguito all’associazione mentale con il mare. Verso la fine della dose una strana melodia ha preso il posto di quella precedente, i rumori erano sempre gli stessi, ma il ritmo era sempre più incalzante, e così è stato fino alla fine del file. Terminata la registrazione ho avvertito un leggero mal di testa, e per circa un minuto ho continuato a sentire una strana eco nella testa affiancata da leggeri fischi alle orecchie, ciononostante continuavo ad avere piena coscienza delle mie azioni e dei miei pensieri; terminato completamente l’effetto mi sono reso conto che riuscivo perfettamente a ragionare come prima. A questo punto ho pensato che iDoser possa essere solo un espediente per sponsorizzare un programma, a pagamento, e indurre i più curiosi ad acquistarlo; ma, allo stesso tempo, ho pensato che su altre persone potrebbe funzionare (da un punto di vista meramente psicologico) attraverso una specie di “effetto placebo”: se ti aspetti di ritrovarti sotto l’effetto di una sbornia, con l’aiuto di queste frequenze, sarai portato a pensare di esserlo. In definitiva, la mia domanda non ha trovato una vera e propria risposta, che sia tutta una trovata pubblicitaria? 93 Francesca De Sario 2D; Greta Del Vecchio 2C Quando ero piccola avevo paura di molte cose banali: la solitudine, il buio, il mostro. Eppure tutte queste paure infantili hanno in comune con le paure più “mature” degli adulti un elemento importante nella vita dell'uomo: l'incertezza. Ciò che mi terrorizza, e non poco, è la consapevolezza che non sempre esiste una seconda possibilità, che non si possa sempre rimediare ai propri sbagli. Mi piacerebbe, ad esempio, ogni volta che torno da un viaggio, credere che potrò sempre rifarlo; ma poi in realtà so che non è così. Vorrei, invece, che tutto si potesse rifare, che noi potessimo scegliere quante volte, senza preoccuparci che quella passata sia stata probabilmente l'unica. Però, per quanto l’idea mi spaventi, quando mi fermo a riflettere capisco che c’è un significato dietro a tutto questo, ossia che se talvolta esiste un'unica possibilità di fare qualcosa, è perché è la sua rarità a renderla così speciale. Sì, perché se poi un’esperienza diventa routine, diventa abitudine, noia. Mi rendo conto, quindi, che “assaporare” l’incertezza a volte sia necessario per godere della vita e non nascondo che capirlo non è stato così semplice; forse perché nel contesto in cui vivo la parola "incertezza" viene spesso bandita e sostituita da un’illusoria ostentazione di sicurezza. Oggi, riflettendo, ho capito una cosa: spesso evito di compiere delle azioni per paura di soffrire, senza rendermi conto che è questa paura la sofferenza stessa; spero di ricordarmene la prossima volta che sarò tentata dal non fare qualcosa che “temo”. Una cosa che mi spaventa molto, e non credo di essere la sola, è il futuro. Questa paura accomuna sicuramente tutti i ragazzi della mia generazione. Chi non ha mai avuto paura non è umano. O mente. Per questo il mio ultimo pensiero va a tutti coloro che cercano di schiacciare, di soffocare la paura, ma anche a tutti coloro che la evitano. Parlare della paura non deve essere un tabù perché è l’unico modo per superarla. L'uomo dovrebbe capire che fingersi forte non è un segno di virilità, e la donna che parlarne non è qualcosa per cui sentirsi inferiori. La paura è strettamente collegata alla vita e la vita è positività, quindi superarla si può. Se la vita non vi dà una seconda possibilità, prendetevela voi! Abbiate coraggio! 94 Mariapia Binetti 2C Se qualcuno chiedesse ai ragazzi “a cosa associ la parola cibo?” la maggior parte di loro penserebbe immediatamente a tutti i posti e i cibi meno salubri, ma che al giorno d’oggi sono i più comuni. In Italia ormai sono più di 3 milioni i ragazzi che soffrono di disturbi alimentari o altre malattie causate da una cattiva alimentazione. Tutto ciò perché succede? Qualche anno fa un ormai ex ministro delle politiche giovanili denunciava che le famiglie non hanno un buona e completa informazione al fine di controbattere alle richieste sempre più pressanti e poco consapevoli dei propri figli. I ragazzi d’oggi sono inclini a consumare cibi spazzatura che attirano la loro attenzione e stuzzicano il loro palato ma che danneggiano la loro salute. Un abuso di questi cibi porta il ragazzo a sviluppare problematiche di salute che, nel tempo, possono peggiorare; personalmente penso che sia la scuola che la famiglia debbano giocare un ruolo fondamentale nella sensibilizzazione del ragazzo a mantenere un’alimentazione sana, cogliendo l’opportunità di partecipare a convegni o manifestazioni per accrescere la propria competenza in materia. Penso inoltre che molti giovani alla parola “alimentazione sana” associno l’immagine di verdure e legumi che, è risaputo, sono nemici dei ragazzi perché poco appetibili; perciò attraverso la formazione e l’informazione bisogna far loro capire che parlare di alimentazione sana significa mangiare tutti quegli alimenti che aiutano il corpo ad avere un equilibrio psicofisico. Un altro fattore che determina la scarsa salute dei ragazzi può essere la mancanza di movimento intesa come attività fisica. I giovani, tendenzialmente, preferiscono trascorrere le loro giornate e ore libere davanti ad uno schermo, che sia quello del televisore, del computer o del cellulare, evitando sport o passeggiate all’aperto, non sperimentando più le forme dirette di socializzazione con gli altri. La situazione economica attuale, inoltre, non sempre permette alle famiglie di sostenere le spese per la frequenza delle attività sportive dei propri figli; di conseguenza molti ragazzi restano a casa sviluppando le sopraccitate abitudini sedentarie. 95 SPORT È un vincente, nessun dubbio. Nel basket e nella vita. E quattro chiacchiere con lui, una sbirciata al suo mondo privato, confermano la forza caratteriale di Gianluca Basile. Negli occhi ancora brilla quel fuoco che lo spinse, giovanissimo, ad inseguire il suo sogno, a diventare un campione della pallacanestro. Senza, però, sacrificare gli affetti e la vita privata. Costruendo giorno dopo giorno, con caparbietà, la sua carriera. Conoscendolo bene, visti i legami familiari e avendolo sempre seguito da molto vicino, ho potuto incontrarlo facilmente. Ho pensato, intervistandolo, che i miei compagni di classe e non avrebbero gradito in particolar modo conoscere di più il campione ruvese per cogliere qualche messaggio importante dalle sue parole. 96 Che tipo di adolescente sei stato? Adolescente normale, molto timido, ma con l'aiuto dello sport riuscivo a integrarmi con gli altri. Quali vittorie ricordi particolarmente? Tutte le vittorie sono state importanti perché ti permettono di capire se hai lavorato bene o no, ma se devo scegliere non ho dubbi, scelgo la medaglia d'argento alle Olimpiadi di Atene 2004. Quale era il tuo rapporto con lo studio, la scuola, gli insegnanti? Scuola e studio rapporto difficile. Ero un testone, non mi applicavo, studiare mi sembrava una cosa difficilissima. Tutto l'opposto era quando dovevo usare il fisico e le doti atletiche: mi veniva tutto facile, qualsiasi sport. Cosa hai imparato dalle sconfitte? Ho imparato a non mollare mai, non è stato tutte rose e fiori, la vita in generale non è semplice, ma se ti applichi e coltivi le tue passioni, i sogni posso diventare realtà. La sconfitta ti serve per vincere. Dalle sconfitte si capisce dove hai sbagliato e ciò aiuta a non commettere più gli stessi errori. Quali sono stati i tuoi idoli o modelli di riferimento? All'inizio non avevo nessuno come idolo, mi sono avvicinato al basket per caso e non guardandolo in tv, poi più in là mi piaceva Esposito che all'epoca giocava a Caserta. Ma niente di che, non avevo poster in camera. Quale messaggio intendi trasmettere ai giovani? L'ho detto prima, coltivare le proprie passioni e non perdersi d'animo quando le cose ti sembrano impossibili da risolvere. Coltivare significa lavorare sodo, questo vale nella vita in generale, non solo nello sport. Chi ti ha trasmesso la passione per lo sport? La passione per lo sport, come dicevo prima, era una cosa che sentivo mia, non me l'ha trasmessa nessuno. Ho iniziato con il basket, poi calcio, karate e tennis; non mi sono fatto mancare niente, però alla fine ho scelto il primo amore, il basket., era lo sport che preferivo. Ritieni di aver realizzato tutti i tuoi sogni? A 40 anni posso dire di aver realizzato tutti i miei sogni. Avete capito ragazzi? I sogni vanno inseguiti sempre, le sfide vanno sempre accolte senza timori e la vita prima o dopo ci ripaga dei sacrifici e ci dà ragione. Grazie Gianluca! Siamo orgogliosi di te e ti aspettiamo a scuola, nella tua Ruvo, per salutarti e magari, perché no, per ricevere una lezione di basket e disputare una partita insieme a te. Cosa rappresenta il basket per te, cosa ti ha dato e ti dà ancora? Il basket rappresenta la mia vita, è lo sport che mi ha permesso di mostrare il mio talento, ma non so cosa mi può ancora dare. Forse mi permetterà, a 40 anni, di divertirmi ancora. 97 Luca Troiano 4C Forse, leggendo il titolo, vi starete chiedendo chi sia Giuseppe. Giuseppe Ippedico è la persona che speri sempre di trovare in classe con te, ma che pochi (come me) hanno avuto la fortuna di conoscere. È quell’amico di tutti, con il cuore d’oro e la testa sulle spalle, non il tipico “secchione”, intendiamoci, ma uno di quelli che fa ciò che deve, come i compiti a casa (non conto più le volte che mi ha permesso di copiarli); più di tutto, però, è una persona mossa da una sconfinata passione per il Basket (coltivata sin da piccolo) e da un altrettanto grande talento, che dimostrava nelle ore di educazione fisica umiliando i soliti cinque avversari con almeno venti canestri di differenza giocando a “campana”. È stata proprio la sua grande stoffa a metterlo nella posizione di scegliere di continuare per la sua strada e diventare un giocatore professionista (a Roseto degli Abruzzi); ha infatti ricevuto una proposta di trasferimento da un osservatore che aveva notato le sue grandi capacità. La sua decisione, per quanto sofferta, non è stata difficile; ci comunicò fin da subito la volontà di trasferirsi (alla fine del terzo anno di scuola superiore) ma, nonostante gli dispiacesse lasciare tutti i suoi amici, la possibilità di inseguire il suo sogno era davvero irrinunciabile. Stavolta ti parlo direttamente: a tutti è dispiaciuto che tu sia andato via, dai compagni di classe all’intera scuola, ma tutti sappiamo quanto sia importante e incredibile per te l’opportunità di trasformare la tua più grande aspirazione in realtà e per questo non possiamo che fare il tifo per te e sostenerti, anche da lontano, nella speranza che un giorno tu riesca a raggiungere il tuo traguardo e a tornare da noi da campione; perché vedi Giuseppe, tutto il TANNOIA ti aspetta! 98 Luca Troiano 4C; Paolo Stragapede Nonostante un periodo tutt’altro che felice per l’Italia sotto il profilo economico, politico e sociale, in ambito calcistico le nostre squadre si sono fatte sentire, distinguendosi in Europa. Nell’ultimo anno, infatti, i nostri club, in particolare la Juventus, la Fiorentina e il Napoli, hanno dimostrato di poter competere a livello europeo anche contro squadre più blasonate ed economicamente più forti. È questo il caso di “dream-team” come il Barcellona, il Real Madrid e il Bayern Monaco, squadre tra le più temibili al mondo. Ciononostante, il calcio italiano si è distinto nel confronto diretto con alcune di esse. La Juventus, ad esempio, ha insperatamente superato il quasi invalicabile ostacolo dei “blancos”, in semifinale di Champions, portando a casa una vittoria e un pareggio. In Europa League, degno di nota è stato il percorso del Napoli (da ricordare il netto successo contro il Wolfsburg, che aveva precedentemente sconfitto i nerazzurri) e quello della Fiorentina (la quale è riuscita a prevalere su squadre come il Tottenham, la Dinamo Kyiv e la Roma). L’unico rammarico è indubbiamente il fatto che nessuna delle due sia giunta in finale; un traguardo che sarebbe stato sicuramente alla portata dei nostri club. Questa competizione, infatti, non è vinta da un’italiana dal 12 maggio 1999 (trionfo del Parma). Tornando alla questione Champions, le ultime vittorie italiane sono quella del Milan (nella stagione 2006-2007, con l’eccezionale Pallone d’Oro vinto da Kakà) e quella dell’Inter (nella stagione 2009-2010, ricordata per il famoso Triplete); da allora, sono seguiti anni bui per il calcio italiano poiché nessuna delle “nostre” ha conseguito alcun risultato notevole; eccetto, appunto, quest’anno. La voce dei nostri club è tornata, quindi, a farsi sentire e speriamo di sentirla ancora, sempre più forte, negli anni a venire. 99 COMICITÀ A chi di noi non è capitato di “amare” qualcuno e di essere respinti proprio nel momento in cui decidiamo di dichiararci con la frase “Scusami, ma ti vedo solo come un amico”? Questa frase è ormai diventata celebre ed è la causa della Friendzone, fenomeno diffuso tra le nuove generazioni di innamorati, costantemente non corrisposti. Come capire se sei nella Friendzone? È semplice. Bisogna fare attenzione a non udire mai queste 9 frasi: “Sono innamorato di un'altra/o”: questa frase è forse la più secca e diretta, tuttavia bisogna riconoscere l’onestà di una persona che almeno non ci gira troppo intorno. “Sei la persona giusta al momento sbagliato”: tipica frase di chi ha paura di deluderti, e che usa queste parole per sbatterti nella Friendzone credendo di essere più “delicato”. “Ho paura di perdere la tua amicizia”: questa frase a volte è vera, ma in altre comunque ti lascerà in bocca una sensazione di amaro; ma se ci conosciamo da appena tre giorni? ”Scusami, devi aver capito male”: se la persona a cui fate gli occhi dolci vi bacia come nei vostri sogni, userà questa frase per giustificarsi nel momento in cui vi dichiarate, aggiungendo che quello era un “semplice bacio tra amici”. “Whatsapp Friendzone”: questa Friendzone colpisce i meno coraggiosi, che provando a dichiararsi tramite WA con un “provo qualcosa per te” ricevono la più infima delle risposte, due spunte blu. “Non sono pronto/a per una relazione”: in questo caso non avete l’assoluta certezza di Friendzone, a meno che non becchiate la persona il giorno dopo assieme a qualche altro certamente molto più bello e conosciuto di voi. “Esco da una storia lunga”: ognuno ha i suoi tempi, ma se la tua storia importante è finita da dieci anni penso tu mi stia chiaramente friendzonando. “Ti vedo come un fratello”: in questo caso vorrete rispondere che l’incesto talvolta può essere una soluzione, ma purtroppo per voi, la Friendzone vi ha colpito e non c’è nulla che possiate fare per uscirne. La parola fratello la odierete per parecchio tempo. “Ti amo di bene”: questa è di certo la formula più odiata in assoluto, in particolar modo per la falsità della frase. Come si può amare di bene? Non avrete risposta. Nemmeno da chi ve l’ha detta. Tuttavia la Friendzone non deve devastare completamente l’animo. Basti pensare che non siamo noi i fondatori delle delusioni d’amore; la letteratura ci insegna che anche autori come Leopardi e Dante sono stati rifiutati dalle loro amate. E se non hanno avuto chances persone con un curriculum come il loro, cosa pretendiamo noi comuni mortali? 100 101 102 103 SI RINGRAZIANO GLI SPONSOR: 104 SI RINGRAZIANO GLI SPONSOR: 105 SI RINGRAZIANO GLI SPONSOR: 106 IL GIORNALE DELL’ISTITUTO TECNICO STATALE ECONOMICO E TECNOLOGICO “PADRE A.M. TANNOIA” CORATO - RUVO DI PUGLIA ANNO XIV NUMERO UNICO - MAGGIO 2015 DIREZIONE EDITORIALE DIRIGENTE SCOLASTICO - PROF. GIOVANNI DE NICOLO DSGA - DOTT.SSA ANTONELLA AMODIO A CURA DI PAOLO STRAGAPEDE LUCA TROIANO RAFFAELE DARDANELLI CON LA COLLABORAZIONE DI PROF.SSA GIACOMA STASI PROF.SSA MARIA SUMMO PROF.SSA ANNA CATERINA CARNICELLA REDAZIONE SEDE DI RUVO DI PUGLIA GRAFICA E IMPAGINAZIONE PAOLO STRAGAPEDE LUCA TROIANO RAFFAELE DARDANELLI ‘‘Il sapere serve solo per darlo’’ - Scuola di Barbiana