III DOMENICA
DEL TEMPO ORDINARIO
Domenica "DELLA PRIMA PREDICAZIONE DEL SIGNORE"
Mc 1,14-20; Gio 3,1-5.10; Sal 24; 1 Cor 7,29-31
II Colletta
O Padre, che nel tuo Figlio
ci hai dato la pienezza della tua parola e del
tuo dono,
fa’ che sentiamo l’urgenza di convertirci a te
e di aderire con tutta l’anima al Vangelo,
perché la nostra vita
annunzi anche ai dubbiosi e ai lontani
l’unico Salvatore, Gesù Cristo.
Egli è Dio, e vive e regna con te...
In questa domenica riprendiamo il filo rosso del Vangelo di Marco, che identifica e
caratterizza questo anno liturgico, con la pagina “dell’annuncio del regno e l’invito alla
conversione” (Vangelo), diventato anche il tema del terzo mistero della luce nella
preghiera del rosario. Un annuncio e un invito che fin dall’inizio della missione di Gesù
si fanno personali e non generici: «Venite dietro a me!», dice Gesù alle due coppie di
fratelli pescatori; e lo ripete oggi anche a noi, a ciascuno di noi. A loro offre una
prospettiva nuova e strana con una definizione inusuale: «Vi farò diventare pescatori di
uomini!». Una nuova professione, o meglio una nuova missione, viene loro prospettata
da Gesù di Nazaret, per la quale occorre abbandonare le reti e le barche, è necessario
lasciare il padre e i garzoni; inizia una vita nuova dietro al Cristo. Una chiamata che è
risuonata anche per noi dal giorno del nostro Battesimo, per stare con lui, per seguirlo.
Occorre identificare quale zavorra ci appesantisce, che cosa impedisce la nostra piena
adesione a Cristo, che cosa ci allontana o ci tiene lontani da lui. I pescatori della Galilea
hanno avuto il coraggio di lasciare tutto e hanno portato con sé la loro povera esperienza
di pescatori per lasciarsi arricchire da Cristo Signore, dalla sua sapienza e dal suo amore.
Essi hanno continuato a fare quello che sapevano fare: tirare fuori dal mare, anzi ormai
tirare fuori dal male le persone, salvare la gente. Togliere dall’acqua che soffoca, cioè
dalla realtà che ci soffoca e ci angustia. L’uomo nell’acqua non respira più, ha bisogno
di qualcuno che lo salvi. Ecco i nuovi pescatori, ecco il nuovo compito anche per noi:
tirare fuori le persone dal pantano, dal male, dal negativo, dal peccato, dal nichilismo
per offrire loro qualcosa di nuovo, qualcosa di vero, in cui credere veramente.
Come l’esperienza di Giona (I lettura), che nella città di Ninive predica la conversione
per salvare quella povera gente, destinata altrimenti a una triste fine. In questo tempo
che è compiuto e che si è fatto breve, come i quaranta giorni concessi ai niniviti, tu puoi
vivere, come ricorda anche san Paolo (II lettura) in una nuova prospettiva, quella del
Vangelo di Gesù Cristo, della buona notizia che san Marco compendia nel suo scritto:
Dio ti ama.
Questa domenica, che giunge alla conclusione della settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani, ci mette davanti non solo le fragilità e la povertà che ancor oggi
sperimentiamo nella nostra adesione al Vangelo, segnata dalla divisione e dall’incapacità
a rimanere nella comunione, ma, secondo il tema proposto quest’anno, ci invita a
guardare a Cristo stesso che ci chiede da bere, che vuole avere bisogno di noi per
compiere la sua opera, un’opera che ci supera, ci avvolge e ci coinvolge.
PRIMA LETTURA
Dal libro del profeta Giona
(3,1-5.10)
Fu rivolta a Giona questa parola del Signore:
«Àlzati, va’ a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico».
Giona si alzò e andò a Nìnive secondo la parola del Signore.
Nìnive era una città molto grande, larga tre giornate di cammino.
Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e
predicava: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta».
I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono
il sacco, grandi e piccoli.
Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta
malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di
fare loro e non lo fece.
Parola di Dio.
Commenti tratti da: Commenti ai testi biblici - Padre A. Sacchi (Nicodemo.net)
Culmine e Fonte - Sussidio bimestrale di formazione e spiritualità liturgica (ufficioliturgicoroma.it)
2
La conversione dei niniviti
Gn 3,1-5.10
Il libretto di Giona è stato annoverato tra i profeti minori. Esso però si differenzia dagli
altri in quanto non contiene oracoli attribuiti all'autore del libro, ma un racconto
profetico, analogo a quelli che si trovano in 1-2Re. La datazione del libro di Giona
all'epoca di Geroboamo II (sec. VIII) è ormai sostenuta soltanto di rado. L'opinione più
diffusa è quella che vede in Giona l'immagine negativa dell'ebraismo post-esilico: è
probabile perciò che il libro sia stato composto durante l'epoca persiana o agli inizi di
quella ellenistica (sec. IV).
Il racconto si divide in due parti principali a struttura parallela, che iniziano entrambe
con il conferimento al profeta dell'incarico, espresso quasi con gli stessi termini, di
annunciare il giudizio di Dio sulla città di Ninive (1,1-2; 3,1-2). Nella prima parte (Gn
1-2) Giona reagisce fuggendo su una nave che incorre nel pericolo di naufragare, cosa
che, alla fine, conduce i marinai a riconoscere JHWH come Dio (1,3-16). Nella seconda
parte (Gn 3-4) Giona svolge il suo incarico e gli abitanti di Ninive fanno penitenza (3,310). Entrambe le parti principali del libro terminano con una preghiera di Giona: La
prima (2,3-10) consiste in un «salmo», mentre la seconda (4,2-3) è una preghiera che
conduce a una discussione tra Giona e JHWH, il quale ha così la possibilità di motivare
il suo agire (vv. 4-11).
Nel testo liturgico viene riportato l’inizio della seconda parte del libretto. Giona riceve
una seconda volta l’incarico di recarsi a Ninive. Questa volta egli obbedisce, va a Ninive
e percorre in tre giorni la città annunziando che, se entro quaranta giorni non si fosse
convertita, sarebbe stata distrutta. Gli abitanti della città credono a quanto Dio
comunica loro per mezzo di Giona, si convertono e fanno penitenza. Dio allora ha
misericordia dei niniviti e non dà seguito al castigo che aveva minacciato.
Il libro di Giona affronta in modo scoperto il tema dell’universalismo biblico. L’autore
mette in scena un profeta giudaico di mentalità molto gretta, il quale si rifiuta di
predicare a Ninive perché sa che Dio perdonerà la città peccatrice e sospenderà il castigo
che lui stesso avrà annunziato. Nel suo fervore religioso Giona avrebbe quindi preferito
che la città nemica fosse completamente distrutta. Dio invece vuole la salvezza di tutti
e attesta la sua misericordia risparmiando gli abitanti della città. Tutto il libretto è
dunque un’esaltazione della misericordia divina, che si estende a tutte le creature senza
distinzione di credo o di cultura. Esso è quindi una preziosa testimonianza in favore
dell'universalismo della salvezza, che l’autore mette in luce senza la paura di denunciare
le voci discordanti all'interno delle proprie file. Il racconto ha dunque in primo luogo
l’intento di far sì che all’interno di Israele si elabori un concetto di Dio molto più aperto
e sensibile ai bisogni di tutti gli esseri umani.
La vicenda di Giona mostra anche qual è, secondo la corrente teologica rappresentata
dall’autore, la situazione dei non israeliti (gentili) di fronte all’unico Dio. Essi sono sì
considerati come peccatori. L’autore però è consapevole che, al di là della loro
situazione, essi sono sensibili alla parola che Dio rivolge loro per mezzo del suo profeta.
Ciò significa che anche in essi c’è una sensibilità morale e religiosa. La parola di Dio non
trova il vuoto, ma una comprensione che porta a gesti concreti di conversione. Tuttavia
a Israele viene riservata una conoscenza speciale di Dio e dei suoi piani, che però non
deve essere monopolizzata da popolo eletto, ma messa a disposizione di tutti.
Commenti tratti da: Commenti ai testi biblici - Padre A. Sacchi (Nicodemo.net)
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3
SALMO RESPONSORIALE
(dal Salmo 24,4-9) (25)
Fammi conoscere, Signore, le tue vie.
Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.
R.
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.
R.
Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.
R.
SALMO 24 (25)
Preghiera per il perdono e la salvezza
È un salmo in cui traspare la totale fiducia nel Signore che salva e protegge chi confida
in Lui. Il salmista loda incessantemente la misericordia di Dio e la invoca, sicuro
d'ottenere il perdono di tutti i peccati. Chiede al Signore che gli insegni le vie per
perseguire la verità e ottenere la salvezza. Solo a Lui, infatti, si rivolge convintissimo
che la sapienza proviene unicamente dal Signore.
Anche in preda all'angoscia invoca con assoluta fiducia Dio. Questo atteggiamento
ispirato costituisce un esempio e un invito per tutti i discepoli ad aumentare la preghiera
se ci si trova in situazioni angosciose e deprimenti, sicuri che la misericordia del Signore
provvederà.
Il salmo diventa una preghiera semplice e comune a tutti i credenti, che devono
confessare il loro peccato, ma sanno di avere un padre che sempre li perdona. Così
l'orante è uno dei «poveri» più autentici, che costituiscono «il nucleo pio della nazione»
ebraica, «la folla vivente animata da un soffio comune, quello dello Spirito». Il salmo
stesso traccia quasi una definizione del «povero di Jahweh». È uno che «spera» in
Jahweh, è uno che «osserva l'alleanza di Dio e i suoi precetti», è un uomo che «teme
Dio».
Sono, così, implicate le tre virtù fondamentali:
1. la fede («temere Dio»),
2. la speranza,
3. l'amore (osservare e vivere l'alleanza).
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4
SECONDA LETTURA
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
(7,29-31)
Questo vi dico, fratelli:
il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie,
vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non
piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che
comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del
mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura
di questo mondo!
Parola di Dio.
CANTO AL VANGELO
(Mc 1,15)
Alleluia, alleluia.
Il regno di Dio è vicino;
convertitevi e credete nel Vangelo.
Alleluia.
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La vita cristiana nella prospettiva della fine
1Cor 7,29-31
I corinzi avevano posto per iscritto a Paolo alcuni quesiti, di cui il primo riguarda la vita
sessuale nel matrimonio e nel celibato. L’apostolo risponde nel c. 7, chiarendo dubbi e
indicando loro nuove prospettive. L’esposizione si apre con alcune direttive pratiche
riguardanti anzitutto i coniugi (vv. 1-7), poi i non sposati, le vedove, le coppie in crisi e
i cristiani sposati con non cristiani (vv. 8-16); Paolo passa poi a delineare il principio
generale a cui si ispira, quello cioè secondo cui ciascuno deve restare nella condizione
di vita in cui si trovava al momento della conversione (vv. 17-24). Infine ritorna ai casi
specifici, soffermandosi su quello dei celibi (vv. 25-35), dei fidanzati (vv. 36-38) e
nuovamente su quello delle vedove (vv. 39-40).
Nel brano riguardante le direttive sul celibato Paolo afferma che, per quanto riguarda le
vergini, non dispone di un comando del Signore, ma si limita a consigliare che, a causa
della presente «necessità», ciascuno rimanga nella situazione in cui si trova; tuttavia
chi si sposa non pecca, ma avrà «tribolazione» nella carne (cfr. vv. 25-28). Paolo ritiene
che al sopraggiungere della crisi finale le sofferenze ad essa connesse saranno più
pesanti per chi ha sulle spalle la responsabilità di una famiglia. A questo punto inizia il
testo liturgico che si apre con un principio generale (v. 29a), a cui fanno seguito alcuni
esempi illustrativi (vv. 29b-31a); il testo termina con una breve conclusione (v. 31b).
L’introduzione del brano contiene un riferimento agli ultimi tempi: Paolo afferma che il
tempo «si è fatto breve» (v. 29a). Questa espressione significa che la fine del mondo si
è ormai avvicinata. Al vecchio mondo dominato dal peccato sta ormai per subentrare
un mondo nuovo, contrassegnato dalla sovranità di Dio, nel quale l’egoismo dell’uomo
lascerà il posto a rapporti nuovi ispirati dall’amore. L’apostolo riecheggia l’annuncio di
Gesù, riferendosi però al tempo che separa la prima dalla seconda venuta di Gesù. Egli
dimostra così di condividere le idee tipiche dei circoli apocalittici circa l’imminenza degli
ultimi tempi, ma più in profondità vuol dire che, con la venuta di Cristo, la fine del
mondo è stata decretata in modo inderogabile. Lunga o breve che sia, l’esistenza di
questo mondo prosegue ormai sotto il segno della fine: anzi il regno di Dio, anche se in
modo nascosto, è già in una certa misura presente.
La prospettiva della fine ormai vicina esige un cambiamento di atteggiamento nei
confronti di questo mondo. Paolo indica in particolare cinque categorie di persone le
quali devono rivedere il loro rapporto con le cose terrene. La prima categoria è quella
degli sposati: «quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero» (v. 29b). Con
questa direttiva egli non vuole certo proibire e neppure sconsigliare ai coniugi i normali
rapporti sessuali, che poco prima aveva loro raccomandato di esercitare normalmente;
ciò che egli esclude è l’egoismo di coppia, che spinge i due a cercare l’uno nell’altro
unicamente il proprio piacere e la propria realizzazione personale. Vengono poi citate
due categorie contrapposte: «quelli che piangono, come se non piangessero» (v. 30a),
«quelli che gioiscono come se non gioissero» (v. 30b). Anche il piangere e il gioire non
devono essere visti come assoluti, l’uno da evitare e l’altro da cercare a ogni costo, ma
devono essere vissuti come realtà transitorie, destinate a finire.
Infine Paolo considera altri due tipi di persone: «quelli che comprano» (v. 30c) e «quelli
che usano i beni del mondo» (v. 31a): ai primi dice di comportarsi come se non
possedessero i beni acquistati, ai secondi come se non li usassero pienamente. Per il
loro carattere transitorio, i beni di questo mondo non devono essere considerati come
lo scopo della vita, ma devono essere utilizzati con il dovuto distacco. In altre parole
l’apostolo vuole dire che le cose di questo mondo, come anche i rapporti tra le persone
e addirittura i propri stati d’animo, devono essere gestiti non per se stessi ma in vista
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di un fine più grande, cioè come un mezzo per raggiungere la piena comunione con Dio
e con i fratelli che è tipica del nuovo mondo che è ormai all’orizzonte.
Paolo conclude con le parole: «passa infatti la figura di questo mondo!» (v. 31b). Il
termine «figura» può indicare anzitutto la parte esterna e visibile (l’apparenza) di una
cosa: se così fosse egli intenderebbe dire che il mondo è una realtà apparente, destinata
a passare, diversamente da quelle realtà più vere e sostanziali che non avranno mai
fine perché sono costruite sulla giustizia e sull’amore. Lo stesso termine può indicare
però anche la parte che un attore recita in un’opera teatrale: in questo caso l’apostolo
direbbe che il mondo è come un attore che ha esaurito la sua parte e sta per lasciare il
palcoscenico. In ogni caso la frase significa che il mondo non è che una realtà limitata
e transitoria, alla quale non conviene appoggiarsi.
Paolo raccomanda ai cristiani di Corinto un atteggiamento di profondo distacco nei
confronti delle cose di questo mondo. A prima vista si potrebbe supporre che ciò
comporti un abbandono delle realtà terrene, come se costituissero un campo
alternativo, meno nobile rispetto a quello della fede e della vita comunitaria. Invece non
si tratta di abbandonare il mondo a se stesso, ma di vivere in esso senza cedere a quei
meccanismi di possesso che condizionano il comportamento della gran parte degli esseri
umani. Il distacco di cui si parla implica perciò non un impegnarsi di meno nelle cose
del mondo, ma piuttosto il proporsi come fine non semplicemente il bene proprio o del
gruppo a cui si appartiene, ma un bene più grande, che riguarda tutta l’umanità. Ciò
comporta una piena adesione, nei limiti del possibile, a ideali di giustizia e di solidarietà,
e il rifiuto netto di ogni corruzione. Chi si comporta in questo modo difficilmente potrà
arricchirsi, ma supererà gli alti e bassi della condizione umana e sarà arricchito di
rapporti fecondi non solo con gli altri cristiani, ma anche con tutte le persone di buona
volontà.
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VANGELO
Dal vangelo secondo Marco
(1,14-20)
Dopo
che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea,
proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il
regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di
Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori.
Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di
uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni
suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito
li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i
garzoni e andarono dietro a lui.
Parola del Signore.
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8
L’inaugurazione del regno di Dio
Mc 1,14-20
Il prologo del vangelo di Marco (1,1-13) termina con la tentazione di Gesù nel deserto.
Dopo di esso l’evangelista descrive il ministero pubblico di Gesù in Galilea (1,14–3,35).
Il materiale contenuto in questa sezione può sembrare a prima vista eterogeneo.
Tuttavia il quadro presentato dall’evangelista rivela una profonda unità. Il tema generale
è indicato nel sommario iniziale (1,14-15), dove si riassume la predicazione di Gesù
tutta incentrata sulla venuta imminente del regno di Dio. I brani successivi mostrano
invece come questa predicazione sia stata accompagnata da gesti significativi che ne
hanno manifestato la dinamica interna. In altre parole l’evangelista vuole mettere in
luce l’impatto che l’apparizione di Gesù ha avuto in Galilea. Marco attesta la venuta del
regno di Dio da lui annunziato mediante il racconto delle sue opere straordinarie. Il testo
liturgico riprende il sommario introduttivo (vv. 14-15) e la chiamata dei primi discepoli
(vv. 16-20).
La predicazione in Galilea (vv. 14-15)
Marco introduce la predicazione di Gesù in Galilea con due versetti: «Dopo che Giovanni
fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: Il tempo
è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». La notizia
secondo cui Gesù ha iniziato il suo ministero pubblico dopo l’arresto di Giovanni
contrasta con il fatto che il quarto vangelo ricorda un’attività parallela dei due; Marco
stesso narrerà solo in seguito l’arresto e la morte di Giovanni. È probabile che egli voglia
qui separare nettamente l’opera del Battista da quella di Gesù per motivi più teologici
che storici, mettendo così in luce una tendenza che sarà accentuata maggiormente da
Luca. Invece di recarsi in Giudea, zona densamente abitata da giudei, dove avevano
sede le principali istituzioni giudaiche, Gesù torna in Galilea, sua terra d’origine.
L’attività di Gesù in Galilea è indicata con il termine proclamare; con esso i cristiani
indicavano l’annuncio della salvezza fatto dagli apostoli. L’espressione «vangelo di Dio»
appartiene anch’essa al linguaggio della prima comunità cristiana e indica non la buona
novella che ha per oggetto Dio, ma quella che proviene da Dio stesso, in quanto autore
della salvezza. Gesù si presenta dunque come colui che, in nome di Dio, annuncia la
salvezza imminente.
Il lieto annuncio proclamato da Gesù è espresso con una frase molto concisa. Anzitutto
egli afferma che «il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (v. 15a): il «tempo»,
cioè il periodo dell’attesa, che separa il momento attuale da quello finale e conclusivo
della storia, è arrivato al termine; di conseguenza il «regno di Dio», cioè l’esercizio pieno
e definitivo della sua sovranità divina in questo mondo, «è vicino», sta per realizzarsi
in questa terra. In altre parole sta ora iniziando il periodo finale della storia,
caratterizzato dal fatto che Dio stesso interviene per far riconoscere e accettare
pienamente la sua sovranità non solo su Israele, ma su tutta l’umanità.
All’annuncio del lieto messaggio riguardante l’azione escatologica di Dio fa eco un invito:
«convertitevi e credete nel Vangelo» (v. 15b). Come già aveva fatto Giovanni Battista,
Gesù invita i suoi ascoltatori a «convertirsi», a cambiare mente, cioè a «ritornare» a
Dio cambiando mentalità e sottomettendosi una volta per tutte alla sua sovranità; ma
per fare ciò è necessario «credere nel Vangelo», cioè aprirsi al lieto annuncio ed essere
disposti a basare su di esso tutta la propria vita.
I primi discepoli di Gesù (vv. 16-20)
I primi chiamati sono due fratelli, Simone e Andrea, i quali stanno svolgendo il loro
lavoro di pescatori (v. 16). Per la loro professione, che precludeva loro un’osservanza
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precisa e costante della legge, essi appartenevano a quello che i farisei chiamavano con
disprezzo il «popolo della terra».
Ai due Gesù rivolge l’invito: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini»
(v. 17). È dunque lui che prende l’iniziativa, chiamandoli al suo seguito. Il significato
simbolico della pesca può essere ricavato da un brano di Geremia (16,16) in cui si tratta
in realtà dell’invio di Israele in esilio, ma che, letto alla luce del versetto precedente,
poteva alludere alla raccolta degli esuli in vista del ritorno nella terra promessa. Da
questo parallelo si ricava che ciascuno dei prescelti, sotto la guida di Gesù, dovrà
diventare un centro di aggregazione per altre persone disposte ad accettare il regno di
Dio. In altre parole essi dovranno lasciarsi coinvolgere nel progetto di Gesù, per
annunciare con lui la venuta del regno di Dio e per chiamare tutto Israele alla
conversione e al perdono.
All’invito perentorio di Gesù i primi due chiamati lasciano «subito», senza tergiversare,
le loro reti, che rappresentano tutto il loro avere, e lo seguono (v. 18); il verbo «seguire»
rievoca l’esperienza di Israele, che nell’esodo si è lasciato guidare da JHWH e ha preso
l’impegno di «camminare nelle sue vie». Essi rispondono, come aveva fatto Abramo,
con una silenziosa obbedienza, abbandonando le proprie sicurezze e affrontando un
cambiamento radicale di vita.
Lo stesso invito è rivolto anche a un’altra coppia di fratelli, Giacomo e Giovanni,
ugualmente pescatori, i quali seguono Gesù lasciando il loro padre Zebedeo nella barca
con i garzoni (vv. 19-20): anche qui appare la radicalità di un gesto che implica
l’abbandono non solo di una persona cara, il padre, ma anche di una piccola impresa a
gestione familiare, in cui la presenza di garzoni è segno di una certa prosperità.
L’annuncio di Gesù è un «vangelo» in quanto mette in primo piano non ciò che gli uomini
devono fare per ottenere il favore di Dio, ma ciò che Dio stesso sta facendo per
coinvolgere il suo popolo in un grande progetto di liberazione. Gesù annuncia non se
stesso e le sue prerogative, ma l’opera di Dio in un mondo dominato da potenze che ne
impediscono l’attuazione. Agli ascoltatori egli chiede di convertirsi, cioè di lasciarsi
coinvolgere, di non opporre resistenza all’azione di Dio in questo mondo.
La chiamata dei primi discepoli mostra qual era la risposta che Gesù si aspettava quando
annunciava la venuta del regno di Dio e invitava alla conversione. L’evangelista
sottolinea come la loro chiamata sia dovuta esclusivamente a Gesù, il quale sceglie egli
stesso uomini adulti e maturi, impegnati in una precisa attività professionale. Così
facendo egli si distacca dai dottori della legge i quali non sceglievano, ma accoglievano
giovani studenti che facevano richiesta di essere guidati nello studio della legge. Il fatto
che i prescelti siano semplici pescatori mette ulteriormente in luce la gratuità della loro
vocazione e al tempo stesso mostra come Gesù, cominciando dagli ultimi, voglia
veramente arrivare a tutto il popolo.
I primi chiamati dovranno essere «pescatori di uomini». Essi rappresentano il nucleo
centrale intorno al quale e per mezzo del quale dovrà radunarsi l’Israele degli ultimi
tempi. Il regno di Dio annunciato da Gesù manifesta la sua vera natura ed efficacia
anzitutto nell’aggregazione di persone disposte ad assumerlo su di sé e ad accettarne
tutte le conseguenze.
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