In omaggio a Jean Giraud Moebius, scomparso il 10 marzo.
VENTI
MARZO 2012
AVVENTURE
Anne Kopchowsky
e la sua bicicletta
IDEE
Taglie forti
STORIE
La Comandante
Comanche
serie originale
in più parti
decima puntata
MAXKEEFE
STORIE E AVVENTURE IMMAGINARIE
Il giro del mondo di Annie Kopchovsky
Senza gonna e a pedali
Una giovane madre di Boston impara ad andare in bicicletta e non si ferma più. Una storia vera di fine ottocento.
Max Keefe è un
mensile creato,
impaginato e
diffuso da
Roberto Mengoni
Esce il 20
di ogni mese
Mar Keefe
è tollerante,
rinfrescante,
gratuito e
rifiuta la pubblicità.
Per gli amici
e gli amici
degli amici
1
Di libri sulla bicicletta ne ho letti
un po’ negli ultimi tempi. Mi sono
serviti per superare i mesi invernali.
Il sottoscritto appartiene alla scuola
che il viaggio prima vada letto, poi
immaginato e poi, con calma, col
tempo clemente e con qualche
buon amico, si faccia. Certo non la
pensava così Annie Kopchovsky
quando partì per il giro del mondo
in bicicletta nel giugno 1894. Non
era mai salita in bicicletta prima
d’allora.
Peter Zheutlin ha narrato la sua
storia vera in un piacevole libretto
dal titolo “In giro per il mondo in
bicicletta. La straordinaria avventura di una donna alla conquista
della libertà” (Elliot, 2011).
Annie, ebrea di origine lettone,
immigrata da bambina in America,
a 24 anni è già sposata e ha tre figli
piccoli. Vende spazi pubblicitari
per un giornale di Boston. E’ una
donna che non ha mai fatto sport
in vita sua, anzi non è mai andata
su due ruote. Per giustificare la sua
vera e propria fuga, Annie inventa
una scommessa, ovvero che sarà la
prima donna a compiere il giro del
mondo in bicicletta e che tornerà a
casa con 5.000 dollari.
Il suo mezzo è un accrocco per
gentildonne di città pesante venti
chili, ha indosso un ingombrante
vestito degno di un talibano, che la
copre dal collo ai piedi, e senza il
quale non si azzarderebbe a farsi
vedere per strada.
Non solo Annie non ha la più
pallida idea di cosa sia una bicicletta, ma anche le sue idee in fatto di
geografia sono alquanto vaghe.
All’inizio si dirige verso ovest poi
cambia idea e imbocca la direzione
dell’alba. L’unica sua certezza è
un’incrollabile fiducia in sé stessa,
unita a un’incredibile parlantina in
grado di sedurre e trascinare gli
altri dalla sua parte.
Durante i quindici mesi di viaggio Annie affina le sue doti di narratrice, imbonitrice e di abilissima
venditrice di sé stessa. Riempie la
bici di messaggi pubblicitari, contatta e coinvolge i club ciclistici
locali, inventa storie improbabili di
guerra, banditismo, prigionia, fame
e sete con le quali riempie le sale di
gente disposta a farsi piacevolmente ingannare. Ma, soprattutto, fa
qualcosa di orribile: abbandona le
gonne per un paio di pratici pantaloni da uomo.
Anche se Annie percorre lunghi
tragitti in nave e in treno, lo sforzo
fisico e il salto mentale compiuto
sono straordinari. In cerca di fame,
fortuna e libertà dalle costrizioni
sociali, quando ritorna a Boston nel
settembre del 1895, ha trasformato
sé stessa e creato per le donne americane un nuovo modello di coraggio e perseveranza, la donna nuova
del ventesimo secolo.
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2
La vita larga
Taglie forti
L’Italia ingrassa. In casa e fuori casa.
L’altro giorno, osservando il traffico a
Roma. Davanti a me sono passate una
cinquantina di automobili di larga cilindrata. Un bel concentrato di tecnologia, potenza, cilindrata. L’unica cosa
poco concentrata era lo spazio occupato. Un mostro bavarese si era arrampicato sul marciapiede accanto a una
scuola materna. Aveva sedili per una
scolaresca, ma dentro c’era solo una
mamma e un seggiolino, pronto a raccogliere un bambino di quattro anni.
Se dovessi descrivere in una parola
l’evoluzione della società italiana dalla
fine della guerra ad oggi, direi che siamo passati dalla taglia “S” alla “L” in
pochi decenni. E non solo nel giro vita.
Sono cresciute le dimensioni delle auto,
dei televisori, dei bagni, delle borse.
Siamo diventati una società consumista
a taglie forti.
Per esempio il numero dei bagni in
certi appartamenti di classe media.
Siamo passati dal WC per palazzo al
WC procapite. Certe abitazioni hanno
più bagni che inquilini. Sale benessere
con doppio lavandino, idromassaggio e
doccia olimpica. Tutto questo bisogno
di lavarsi è in fondo una bella cosa. Nella mia infanzia c’era un bagno per famiglia e non era una vita facile per chi
era lento di mattina. Sono sicuro che un
tempo i vicini si conoscevano perché la
mattina il condominio risuonava di urla
come all’arrivo dei barbari di Attila.
“Francesca, esci che papà deve andare”,
“Maria, piantala di truccarti che tanto
sei racchia!”
Oggi ho come l’impressione che il
bagno sia l’ultimo angolo di pace della
casa, il posto dove si può leggere il giornale in pace, almeno finché non inventeranno i televisori subacquei e il cellulare a prova di jacuzzi.
Anche le cucine hanno conosciuto
una mutazione inquietante. Non so
bene a chi servano delle astronavi in
casa, visto che la maggior parte di chi
lavora è troppo stanco la sera per cucinare e con gli amici è meglio andare in
pizzeria. Forse la cucina ipertecnologica
è come il famoso salotto buono di altri
tempi: serve una volta l’anno e nel frattempo va avvolta nella plastica.
Che poi la cucina si è popolata di
inquietanti presenze. Il frigorifero, per
esempio, il più caro amico della mas-
saia, è diventato un ipertrofico culturista: tre metri di altezza, scomparti multipli come una cassettiera cinese, doppia
anta come un armadio, distributore di
acqua e ghiaccio, luci elettroniche. Presto sarà collegato ad internet e parleremo con l’insalata via facebook,
Accanto ai fornelli si sono installate
altre misteriose creature dotate di poteri
sovrannaturali: il frullatore, il tostapane,
il forno a microonde, lo spremiagrumi,
la grattugia elettrica. Ho dei confusi
ricordi di un’epoca in cui il papà andava a caccia di brontosauri e i bambini
grattavano il parmigiano a mano, lasciandoci mezzo dito.
Quando vivevamo nelle caverne, con
un solo bagno e due stanze, c’era un
solo televisore in bianco e nero. Il tubo
catodico aveva le dimensioni di un obice da guerra. Ecco, in questo siamo
migliorati ma per il resto i maxischermi
di oggi farebbero crepare d’invidia il
Capitano Kirk. Senza parlare dei rispettivi telecomandi.
Il cinema si è trasferito in casa e ha
acquistato due dimensioni in più. Chi
avrebbe mai immaginato, a noi che
andavamo al Supercinema a vedere la
dottoressa alla visita militare, che un
giorno la Fenech sarebbe stata in quattro dimensioni?
Se penso alle cose che si accumulano
nelle nostre case mi chiedo, ma poi, chi
ha tempo per comprare così tante cose?
Un fustino, un cellulare. Un etto di lonza, un pelagrumi nucleare.
Ah, la spesa. Le casalinghe dei decenni precedenti facevano la spesa a
piedi. Oggi vanno col translantico che
per fare manovra nei parcheggi devono
avere la patente C. Caricano provviste
per la prossima era glaciale: maxipacchi
di spaghetti, biscotti e surgelati.
Tempo fa uno dei miei figli faceva
l’album delle figurine. Signore del cielo!
20 squadre di A, ciascuna con 30 giocatori, serie B, lega pro, serie D, pure il
calcio femminile e gli arbitri. 750 figurine. E quando lo finisci l’album? Ragazzo, o svaligi i compagni di classe
oppure non c’è speranza.
L’allargamento della vita ha riguardato anche sfere diverse. Nei tempi in cui
le persone uscivano dal quartiere solo
per la gita domenicale ed eri costretto a
parlare con gli altri faccia a faccia,
quanta gente potevi conoscere? 100?
Adesso, chi non ha almeno 1000 contatti su facebook è un asociale. Per fortuna
che con FB distribuiamo “mi piace” con
grande liberalità, diffondendo il buon
umore.
Un solo oggetto nel corso degli ultimi
cinquant’anni non è cresciuto, non si è
allargato e non si è moltiplicato. Qualcosa che pure costa poco, non usa elettricità, dura (quasi) per sempre senza
upgrade e non ha bisogno di manuali.
Il libro.
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La Comandante
Comanche
Hanashi
Il pianeta delle parole
Secondo i filosofi del pianeta Okiatama,
le razze intelligenti dell’universo si dividono in tre categorie: i protoumani, che
usano le parole per dare un senso alle
cose, come gli abitanti del pianeta Imiganai, che non toccano un oggetto senza avergli prima dato un nome; i postumani, che usano le parole per distruggere lentamente il senso delle cose,
e a cui appartengono i pianeti burocratici del Grande Centro Galattico. In
mezzo ci sono le razze equilibrate, in
cui le parole e le cose sono la stessa cosa, e che sono in genere i popoli più
rilassati, come i filosofi del pianeta
Okiatama.
Ma i pensatori di Okiatama ignorano
che, in fondo alla galassia, si nasconde il
pianeta Hanashi, dove si vive di parole.
Letteralmente.
Gli abitanti di questo pianeta dalla
curiosa colorazione rossastra non hanno
bisogno di frutta, di pane né di pillole
vitaminiche. Si alimentano di racconti,
da semplici facezie fino al poema epico
pieno di sangue, amore e ferri incrociati. Come questi esseri umanoidi si siano
evoluti, non è dato saperlo. La loro storia comincia con l’invenzione della parola. Prima di allora non vi è memoria
e, per quanto riguarda gli hanashi, il
pianeta neppure esisteva.
Appena svegli si spezza il digiuno
raccontando agli altri i sogni della notte.
Più sono strani e più forniscono una
robusta carica di energia per affrontare
la giornata. Ma, siccome molti non sognano oppure non hanno sufficiente
memoria, a metà mattinata è facile avere un calo. In questi casi è sufficiente
trovare un compagno spiritoso, che racconti, con ricchezza di aggettivi e di
colori, il capitombolo in bicicletta di un
amico particolarmente goffo. Certi narratori sono così bravi che invece di uno
spuntino, si finisce per fare pranzo
completo. E’ facile fare indigestione di
aggettivi.
Nel pomeriggio avviene il pasto più
sostanzioso, ovvero il racconto del giorno, che può essere diviso in più capitoli,
e che si consuma tutti insieme. Gli hanashi mangiano comodamente spro-
La Comandante Comanche
Decimo racconto
Per i neofiti su Max Keefe, la Comandante Comanche è un’astronauta
del XXII secolo in cerca dell’amore impossibile per un pilota di cui
non si conosce nient’altro che il nome, Cavallo pazzo. La Comandante trascina per la galassia intera la sua astronave, la Great-Gig-inthe-Sky, in cerca dell’introvabile amante, finendo su pianeti bizzarri,
bellissimi o del tutto incomprensibili.
Nelle sette puntate del primo ciclo (maggio-novembre 2011) la Comandante ha visitato: Ichimachi, il pianeta con una sola città; Karuhito, il pianeta degli uomini leggeri; Ugokushima, il pianeta delle isole
mobili; Tomesei, il pianeta degli uomini trasparenti; Kodomomono, il
pianeta dei bambini; Warusenai, il pianeta dei collezionisti di memorie; Daiyou, il pianeta ostile.
Il secondo ciclo di sette puntate è cominciato nel numero di gennaio
2012 con Fumochitai, il pianeta della perfezione, seguito da Okane, il
pianeta che dà un prezzo a tutto, e proseguirà fino a luglio.
3
fondati tra i cuscini. Quando scende
l’inverno e le giornate sono brevi, è facile restare sdraiati per ore a scambiarsi
racconti per lunghe portate fino a scoppiare, mentre d’estate, quando il sole
rosso di Hanashi è più forte, per restare
leggeri, gli abitanti si scambiano canzoni composte da poche parole diluite in
lunghissime partiture musicali.
Gli hanashi amano la compagnia. Gli
stranieri sono amatissimi, portano storie
fresche e curiose provenienti dall’altro
lato del pianeta. Ancora più graditi sono gli alieni, che infatti corrono il rischio di non poter ripartire finché non
hanno esaurito l’intero repertorio epico
del loro pianeta.
I momenti più belli sono i matrimoni,
feste gigantesche che coinvolgono migliaia di persone, amici, parenti e moltissimi sconosciuti.
La festa comincia con degli sfiziosi
aperitivi di storielle argute o piccanti,
che servono a preparare il corpo e lo
spirito per i passi successivi. Seguono
dei brevi racconti che gli invitati si
scambiano l’uno con l’altro. Non pensare di cavartela con una storia vecchia e
ascoltata mille volte, che diventa come
cercare di spolpare un osso senza carne.
Il momento più importante è quando
gli sposi iniziano a declamare una storia
lunga e complicata, a cui ogni partecipante dovrà aggiungere una parte e che
può continuare per giorni.
L’amore è particolare su questo pianeta. Gli innamorati si riconoscono
immediatamente perché sono i più grassi. Si nutrono l’uno con l’altro. Viceversa le coppie che si stanno separando
sono esili come chiodi, con le guance
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incavate e le braccia senza muscoli.
Questi disgraziati soffrono la fame e
niente può saziarli. Mossi dalla disperazione e dalla solitudine, cercano storie
dalle esseri più miserabili, dai mercenari
delle parole che riciclano vecchi racconti lisi come un tappeto battuto, dagli
infidi declamatori di parole senza senso,
che stordiscono il cervello con immagini
violente senza nutrire.
Per fortuna anche qui ci sono organizzazioni caritatevoli che si incaricano
di assistere i più sfortunati, tra cui ci
sono quelli che diventano sordi. Per
questi non c’era alcuna cura fino all’invenzione della stampa. I libri sono le
medicine di emergenza. Non sono parole vive ma aiutano. Come pillole liofilizzate dal sapore orribile ma benefiche
per il corpo aiutano a riprendere lentamente le forze.
L’astronave della Comandante Comanche giunse nei pressi del pianeta
Hanashi mentre a bordo si teneva la
centotrentaduesima edizione di Miss
Astronave Bagnata. Era stato un viaggio
più indigesto del solito, e l’equipaggio
era annoiato e smagrito. Aveva bisogno
di sole e di sesso all’aria aperta. L’annuncio che sarebbero sbarcati su Hanashi non sollevò un uragano di felicità
a bordo. Ad Hanashi non si trovava
cibo fresco e i locali non ammettevano
che gli alieni frugassero nei loro boschi
in cerca di frutta o, eresia, a caccia di
selvaggina. Il massimo che potevano
fare era rifornire le astronavi di composti organici di sintesi.
Ma il problema più serio era che gli
astronauti atterrati su Hanashi non ri-
uscivano ad andarsene finché
non avessero raccontato le
storie del loro pianeta. Queste
erano le pietanze più ghiotte,
ricercate in ogni modo, anche
con l’inganno e un uso liberale della coercizione fisica. Gli
hanashi, popolo pacifico e
sincero, diventavano pericolosi
quando avevano fame.
La Comandante decise di
rischiare. Se Cavallo Pazzo
fosse passato di lì, sarebbe
rimasto bloccato. E in effetti
non fu difficile scoprire tracce
delle storie raccontate dal suo
imprendibile equino amante,
storie dove lei non c’era. Attraverso la catena dei suoi
racconti riuscì a risalire al
luogo dove si trovava.
Era lì, grasso e rotondo,
circondato di ascoltatori, stupendo come una nebulosa.
Stava descrivendo il corpo
della sua amante, che non era
lei, il velluto dei suoi occhi,
che non erano i suoi, il contorno luminoso dei suoi fianchi, che non erano i
suoi.
La tentazione di rivelarsi sorvolò per
un istante la sezione emotiva del cervello della Comandante, ma nello sguardo
di Cavallo Pazzo vi era qualcosa di simile ad una felicità in cui non vi era posto
per lei. Meritava solo la vendetta.
E lei sapeva cosa fare.
Gli hanashi amano qualsiasi storia,
favola, cronaca sportiva, poesia futurista. Possono digerire anche la dimostra-
zione del teorema di Fermat. Non sopportano un’unica cosa: le parole che
non significano nulla. La Comandante
estrasse alcune pagine della sua tesi in
diritto galattico, scritta quando era una
vergine terrestre che non sapeva cos’era
lo spazio.
Lesse a voce alta qualcosa che cominciava così “la personalità giuridica spaziale, nella sua accezione sublipidica, è
una dimensione umana e non umana,
che si divide in un’analisi spaziografica
delle fonti e in una conseguente alterazione della fondazione del pensiero.”
Fuggirono tutti, anche i vagabondi
giunti all’ultimo stadio dell’abiezione.
Fuggì anche Cavallo Pazzo. Non aveva
bisogno di lei. Per ora.
Restata sola, la Comandante tornò
indisturbata all’astronave.
“L’hai trovato?” chiese il nostromo.
“Sì.”
“E perché non l’hai portato qui?”
“E’ felice. E’ il centro dell’attenzione.
Ma prima o poi non avrà più niente da
dire e lo lasceranno andare vuoto e vecchio. Allora verrà da me.”
“Non capisco. Perché sorridi?”
La Comandante Comanche aveva le
sue ragioni per sorridere. Cavallo Pazzo
raccontava storie e lei le creava. Lui era
prigioniero di una storia destinata a
ripetersi, lei era libera.
“Cavallo Pazzo deve capire che solo
con me le storie non finiranno mai” si
disse abbracciandosi.
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Marzo 2012. Numero 20.