BRUNO MAGGIONI IL VOLTO E LE INEDITE VIE DI DIO Tu di dai pena per una pianta di ricino …e io? (Giona 4,10-11) L’introduzione di don Mirko Bellora Il filosofo Paolo Rossi ha pubblicato un libro sulla storia delle scienze intitolato “I ragni e le formiche”. Il riferimento è al filosofo Bacone che divideva gli studiosi in due categorie: gli studiosi “ragno” e gli studiosi “formica”. Traducendo questa divisione a livello biblico direi: - gli studiosi “ragno” sono gli esegeti che mettono in evidenza alcuni elementi suggestivi di una pagina biblica, ma che spesso non lavorano sul testo con metodo, pazienza e rigore - gli studiosi “formica” sono gli esegeti rigorosi, pignoli, attenti ai dati minimi, ma che spesso non riescono a cogliere la bellezza e lo splendore dell’insieme. Il filosofo Rossi afferma che è necessario che lo studioso diventi ape, cioè impari a coniugare i due processi, arrivando ad elaborare un disegno armonico e organico fatto di tante celle, come appunto l’alveare. Don Bruno sa coniugare splendidamente i due processi per questo è da anni per me un punto di riferimento. In lui trovo sia un rigore esegetico e un dare precedenza al testo - e non ai commenti del testo o ai nostri desideri più o meno ecclesiali o spirituali - e insieme trovo una lettura esegetica della Bibbia capace di non tarpare le ali alla lettura spirituale e attualizzante del testo sacro. Vi devo confessare che pur avendo letto molti commenti ai testi biblici, quando cerco profondità, essenzialità, chiarezza, ritorno sempre all’ottimo miele dei suoi commenti. Don Bruno, grazie della tua presenza qui e del tuo stile di presenza nella Chiesa italiana. ******* GIONA PROFETA CONTROVOGLIA Il libro di Giona è la storia di un profeta controvoglia, un racconto rapido, pittoresco e pieno di umorismo. Quattro brevi capitoli che il lettore deve leggere per intero. Non se ne pentirà.1 Un profeta di nome Giona, figlio di Amittai, compare nella prima metà del secolo VIII, sotto il regno di Geroboamo II. La notizia è riportata da 2Re 14,25-27: "Egli (Geroboamo) ristabilì i confini di Israele dall'ingresso di Amat fino al mare dell'Araba secondo la parola del Signore Dio di Israele, pronunciata per mezzo del suo servo, il profeta Giona figlio di Amaitai, di GatKhefer, perché il Signore aveva visto l'estrema miseria di Israele, in cui non c'era più schiavo né libero, né chi lo potesse soccorrere. Egli che aveva deciso di non fare scomparire il nome di Israele sotto il cielo, li liberò per mezzo di Geroboamo, figlio di Joash". Questa breve notizia presenta una figura e accenna a degli avvenimenti completamente diversi dalla figura e dagli avvenimenti del nostro libro. Se l'autore si fosse ispirato qui, avrebbe costruito una storia rovesciata rispetto a quella che ci ha dato. Secondo l'antica notizia infatti 1 Consiglio la lettura di H. Walter Wolff. Studi sul libro di Giona, Brescia 1982; L. Alonso Schockel e J.L. Sicre Diaz, I profeti, Roma 1984, 1145-1174 Giona parla a Israele, non ai pagani e il suo messaggio è la liberazione dì Israele, non la salvezza dei pagani. Nel nostro libro invece il tema di fondo non è la liberazione di Israele, ma la conversione di Israele. Dalla notizia del 2 Libro dei re il nostro autore prende solo il nome "Giona, figlio di Amittai". Per il resto la sua narrazione è completamente libera. Non appartiene al genere storico: il suo scopo infatti non è di riportare degli eventi reali. Il suo scopo è di comunicarci un'idea, e lo fa non mediante un ragionamento teorico o una predica, ma mediante un racconto. La Bibbia ama raccontare. Spesso insegna narrando. Come Gesù con le sue parabole. E come le comunità cristiane primitive, che per rispondere alla domanda: "Chi è Gesù?", raccontarono la sua storia. Il nostro piccolo libro appartiene al genere "parabola" o, se si preferisce, al genere "novella". I personaggi sono favolosi e tipicizzati: Giona presenta Israele e, più profondamente, il lettore; i marinai e Ninive rappresentano il mondo pagano. Il racconto Rileggiamo il racconto passo passo. E' come una rappresentazione fìlmica in due tempi e cinque scene, più un intermezzo. Tutto procede in un rapido alternarsi di azioni e di dialoghi. Le descrizioni sono assenti: solo qualche raro aggettivo. Prima scena: 1,1-3 1 Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola del Signore: 2"Alzati, va' a Ninive la grande città e in essa proclama che la loro malizia è salita fino a me". 3Giona però si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto, s'imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore. Il luogo è Giaffa. I personaggi sono Dio e Giona. La narrazione inizia senza prologo, titolo e introduzione. Non è detto il luogo né il tempo: dove fu rivolta la parola di Dio a Giona? quando? Personaggi e vicende sono come senza luogo e tempo, sottratti alla storia: non sono personaggi reali, sono personaggi fittizi, sottratti ad una storia particolare, sono di ieri e di oggi. Rappresentano noi. L'attacco è chiaramente di stampo profetico: "Fu rivolta a Giona questa parola del Signore". Ma non si dice che Giona sia profeta, né qui né altrove nel libro. E’ un anonimo ma esce dall’anonimato. E' il Signore con la sua parola che dà inizio a tutta la vicenda, e sarà lui a guidarla sino alla fine. Ma non la concluderà.. Il racconto infatti si chiude con una domanda lasciata in sospeso. Al lettore rispondere. Ninive è detta la grande città: grande e malvagia. Ninive era famosa per la sua grandezza (idea che sarà ripetuta anche più avanti), ma soprattutto per le sue campagne militari, le sue deportazioni di popoli interi e le sue torture. L'aggettivo grande (gadol) è uno dei termini preferiti dall'autore. Tutto è grande nel suo racconto: Ninive, la tempesta, il timore dei marinai, il pesce, la gioia e la tristezza di Giona. Dio comanda a Giona di andare a Ninive, ma Giona fugge lontano dal Signore, verso Tarsis, all'altro capo del mondo. Dio lo manda a oriente, lui va ad occidente. Non è detto il perché della fuga. L'autore ne tiene nascosto il motivo per rivelarcelo più avanti (4,2). Si dice che "scese": il viaggio è dunque dalla montagna al mare. Tarsis era probabilmente situata sulla costa meridionale della Spagna. Città famosa, come famose erano le sue industrie metallurgiche e le sue navi, navi di altura, capaci di affrontare le tempeste. Tarsis nella Bibbia è ricordata diverse volte. Isaia invita gli abitanti di Tiro a fuggire lontano, a Tarsis: "Passate in Tarsis, fate il lamento, abitanti della costa" (23,6). Più bello un altro passo del libro di Isaia (66,18-19): "Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue. Essi verranno e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alla gente di Tarsis, Put, Lud, Mesech, Rosh, Tubal e di Grecia, ai lidi lontani che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria: essi annunzieranno la mia gloria alle nazioni". Ezechiele 38,13 ricorda i suoi mercanti ed Ezechiele 27,12 elenca i suoi articoli di commercio: argento, ferro, stagno e piombo. Giona fugge dunque dal Signore, il più lontano possibile. Due volte è detto "lontano dal Signore". Compare qui per la prima volta la tensione fra il Signore e Giona, tensione che costituisce la struttura portante dell'intero racconto: perché questa tensione? qual è la sua profonda radice? Seconda scena: 1,4-16 4 Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e ne venne in mare una tempesta tale che la nave stava per sfasciarsi. 5I marinai impauriti invocavano ciascuno il proprio dio - questa era una ciurma internazionale, ognuno aveva il suo Dio - e gettarono a mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla. Intanto Giona, sceso nel luogo più riposto della nave, si era coricato e dormiva profondamente. 6Gli si avvicinò il capo dell'equipaggio e gli disse: "Che cos'hai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo". 7Quindi dissero fra di loro: "Venite, gettiamo le sorti per sapere per colpa di chi ci è capitata questa sciagura". Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona. 8Gli domandarono: "Spiegaci dunque per causa di chi abbiamo questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?". 9Egli rispose: "Sono Ebreo e venero il Signore Dio del cielo, il quale ha fatto il mare e la terra". 10Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: "Che cosa hai fatto?". Quegli uomini infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva il Signore, perché lo aveva loro raccontato. 11Essi gli dissero: "Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?". Infatti il mare infuriava sempre più. 12Egli disse loro: "Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia". 13Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano perché il mare andava sempre più crescendo contro di loro. 14Allora implorarono il Signore e dissero: "Signore, fa' che noi non periamo a causa della vita di questo uomo e non imputarci il sangue innocente poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo volere". 15Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia. 16 Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e fecero voti. II luogo è la nave, in alto mare. I personaggi sono Dio, Giona, i marinai, il capitano. La scena della tempesta è descritta con linguaggio popolare: è molto vivace, molto bella. "Ma il Signore...": Dio riprende l'iniziativa. Non si può fuggire dal Signore. Si legga, ad esempio, un passo di Amos (9,2-4): "Anche se penetrano negli inferi, di là li strapperà la mia mano; se salgono in cielo, di là li tirerò giù; se si nascondono in vetta al Carmelo, di là li scoverò e li prenderò; se si occultano al mio sguardo in fondo al mare, là comanderò al serpente di morderli; se vanno in schiavitù davanti ai loro nemici, là comanderò alla spada di ucciderli". Dio "getta" una grande tempesta. Lo stesso verbo è utilizzato più avanti per una serie di azioni che hanno come punto di partenza il gesto di Dio. "Gettatemi in mare" dice Giona. E i marinai, sia pure a malincuore, lo "gettano" in mare. "Intanto Giona...": il racconto fa un passo indietro e pone un contrasto fra Giona e i marinai: questi lavorano e pregano, Giona dorme. La descrizione è rapidissima, con tre verbi: scese, si coricò, sì addormentò. La prima struttura del racconto è la tensione fra Giona e Dio, la seconda è fra Giona e i pagani (i marinai e poi, più avanti, i niniviti). I marinai pagani sono più simpatici di Giona, più positivi. Pregano i loro dei, hanno timore del Dio di Israele, sono restii a gettare Giona in mare e fanno di tutto per evitarlo. Sono marinai di varie nazionalità e di varie religioni: "Ciascuno invocava il suo Dio". Il dialogo fra il capitano e Giona è concitato. Una serie di domande. Giona, obbligato, rivela finalmente la sua identità e la sua fede. Parlando ai pagani, presenta Dio come il Creatore e, in sintonia col contesto, ne sottolinea il dominio sulla terra e sul mare. Annuncia costretto e controvoglia, ma il suo è pur sempre un annuncio corretto ed efficace. E i marinai si affidano al Dio che annuncia. Giona fugge lontano dal Signore, è un disubbidiente, ma è un ortodosso. Sa chi è il Signore ma non gli obbedisce. Terza scena: 2,1.11 1 Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. 11E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona sull'asciutto. II luogo è il ventre del pesce. I personaggi sono Dio e Giona. Per la terza volta Dio riprende l'iniziativa: "Dio comandò al pesce". Dio salva Giona, ma lo salva per una missione. Fine del primo tempo. Intermezzo: la preghiera di Giona: 2,2-10 2 Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore suo Dio 3e disse: "Nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce. 4Mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare e le correnti mi hanno circondato; tutti i tuoi flutti e le tue onde sono passati sopra di me. 5Io dicevo: Sono scacciato lontano dai tuoi occhi; eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio. 6Le acque mi hanno sommerso fino alla gola, l'abisso mi ha avvolto, l'alga si è avvinta al mio capo. 7Sono sceso alle radici dei monti, a terra ha chiuso le sue spranghe dietro a me per sempre. Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita, Signore mio Dio. 8Quando in me sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore. La mia preghiera è giunta fino a te, fino alla tua santa dimora. 9 Quelli che onorano vane nullità abbandonano il loro amore. 10Ma io con voce di lode offrirò a te un sacrificio e adempirò il voto che ho fatto; la salvezza viene dal Signore". Con ogni probabilità la preghiera di Giona è stata inserita nel racconto in un secondo tempo. Il linguaggio è diverso da quello del resto del libro. La situazione non quadra con il contesto: Giona ringrazia come se la liberazione fosse già avvenuta, mentre in realtà è ancora prigioniero nel ventre del pesce. Infine, neppure l'atteggiamento interiore di Giona è coerente: qui è sottomesso e pieno di fiducia, mentre prima e dopo è sempre recalcitrante. Tuttavia il salmo svolge una sua funzione. Costituisce una pausa narrativa, un intermezzo musicale. E suggerisce una lettura - sia pure parziale - della vicenda. Non commenta la parte più importante del racconto, cioè la missione di Giona. Commenta un tratto della narrazione, e cioè la salvezza di Giona dal profondo del mare. Dio salva Giona. Dio salva ogni uomo. Dio salva da tutti i pericoli. Ci fa capire che Dio ricomincia da capo. Sembra che la storia di Dio si sia interrotta, perché Giona ha interrotto la sua missione, è scappato dall’altra parte. È finito nel mare, la missione sembra interrotta. E invece no, il Signore è ostinato. Riprende da capo la storia. Il salmo inizia nella forma dell'invocazione e finisce nella forma del ringraziamento. La situazione dell'orante è doppiamente infelice: è in pericolo di vita ed è lontano dal Signore. Una serie di metafore, molto eloquenti, descrivono la sofferenza e l'abbandono, il pericolo e l'angoscia. Eccole: il profondo degli inferi, l'abisso e il cuore del male, le correnti, i flutti e le onde, le acque fino alla gola, le alghe avvinte al corpo, le radici dei monti, le spranghe della terra, la fossa. L'idea è quella dell'uomo che sprofonda. Ma Dio solleva: "Tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita". Il grido del ringraziamento è un annuncio: "La salvezza viene dal Signore". In questa frase è racchiusa tutta la fede di Israele. Quarta scena: 3,1-10 1 Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: 2"Alzati, va a Ninive la grande città e annunzia loro quanto ti dirò". 3Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Ninive era una città molto grande, di tre giornate di cammino. 4Giona cominciò a percorrere la città, per un giorno di cammino e predicava: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta". 5I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. 6Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere. 7Poi fu proclamato in Ninive questo decreto, per ordine del re e dei suoi grandi: "Uomini e animali, grandi e piccoli, non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. 8Uomini e bestie si coprano di sacco e si invochi Dio con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. 9Chi sa che Dio non cambi, si impietosisca, deponga il suo ardente sdegno sì che noi non moriamo?". 10Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece. Il luogo è Ninive. I personaggi sono Dio, Giona, i niniviti, il re, gli animali. Inizia il secondo tempo. Inghiottito dal pesce e scaraventato, poi, sulla riva del mare, Giona è di nuovo davanti al Signore, che riprende l'iniziativa, e l'attacco è simile all'inizio: "II Signore rivela nuovamente la Parola a Giona". Il racconto ritorna da capo. Ma ora Giona è diverso e obbedisce: ha capito che è inutile fuggire. La grandezza di Ninive è descritta al superlativo: "grande" persino per Dio (4,11). Per percorrerla occorrono tre giorni di cammino. L'annuncio di Giona non suona come un invito alla conversione, ma come una sentenza: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta". Tuttavia lo spazio di tempo concesso - quaranta giorni - già suggerisce una possibilità. Perché Dio avverte prima? perché lascia uno spazio di tempo? Con sorpresa i niniviti credono "al Dio". Non si dice che credono nel Dio di Israele, che cambiano religione. Si dice semplicemente che hanno ritenuta vera la minaccia del Signore, cioè l'annuncio fatto da Giona. E si convertono. Non fuggono dalla città, né ricorrono ai loro idoli, ma cambiano vita. Alcune immagini sono belle: per esempio quella del re che si alza dal trono e siede nella polvere. Il cambiamento è davvero radicale. I niniviti non sono sicuri che la conversione sortisca l'effetto. Ma è pur sempre una possibilità, e l'afferrano: "Forse Dio si pentirà, placherà l'incendio della sua ira e non periremo". "E Dio si pentì": è un linguaggio robusto, molto diverso dal linguaggio piatto e asettico della nostra teologia. Se l'uomo cambia, Dio può cambiare. E' una delle lezioni del libro. Con una precisazione: chiunque può cambiare, anche Ninive. Il "pentirsi" di Dio ricorre diverse volte nella Bibbia. Nel racconto del diluvio si legge che Dio "si pentì" di aver creato l'uomo. In Esodo 32,14 si legge che "II Signore si pentì della minaccia che aveva pronunciato contro il suo popolo". Geremia scrive "II Signore si pentirà della minaccia che proferì contro di lui" (26,13); "Se questo popolo si pentirà della sua malvagità, allora io mi pentirò del male che pensavo di fargli". La storia potrebbe terminare qui, con la conversione dei niniviti e il pentimento di Dio. La lezione sarebbe chiara: Dio perdona chiunque, appena vede un sincero pentimento. Ma c'è una sorpresa: il racconto continua. Quinta scena: 4,1-11 1 Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito. 2Pregò il Signore: "Signore, non era forse questo che dicevo quand'ero nel mio paese? Perciò mi affrettai a fuggire a Tarsis. 3 Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!". 4Ma il Signore gli rispose: "Ti sembra giusto essere sdegnato così?". 5 Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì un riparo di frasche e vi si mise all'ombra in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città. 6Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino. 7 Ma il giorno dopo, allo spuntar dell'alba, Dio mandò un verme a rodere il ricino e questo si seccò. 8Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d'oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venir meno e chiese di morire, dicendo: "Meglio per me morire che vivere". 9 Dio disse a Giona: "Ti sembra giusto essere così sdegnato per una pianta di ricino?". Egli rispose: "Sì, è giusto; ne sono sdegnato al punto da invocare la morte!". 10Ma il Signore gli rispose: "Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: 11e io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?". Il luogo è vicino a Ninive, a oriente. I personaggi sono Dio, Giona e un ricino. Questa scena mostra che al narratore non interessano solo la conversione di Ninive e il perdono di Dio, bensì anche, e forse più, la reazione di Giona. Nel personaggio Giona è rappresentato Israele, cioè il lettore a cui l'autore si indirizza. Come reagisce? Ci viene detto finalmente perché Giona fuggiva: sospettava che Dio perdonasse troppo facilmente. Giona non lo ritiene giusto. E ne è indispettito. Ed è anche deluso perché la sua parola è stata smentita. "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta", egli ha proclamato. E invece non è stata distrutta. Giona conosce Dio: "So che sei un Dio pietoso e clemente, paziente e misericordioso, che ti penti delle tue minacce". Giona professa la sua conoscenza di Dio citando un testo liturgico e notissimo: Es. 32,14. Ma non è d’accordo. Dio istruisce Giona mediante la parabola in azione del ricino. Gli ripete due volte la domanda: "E' giusto che tu sia adirato?". Vuole che Giona rifletta. L'ultima parola è di Dio ed è una domanda lasciata in sospeso. Su questa domanda - insolitamente lunga per il normale periodare ebraico - cade tutto il peso del racconto. Dio rivolge la domanda a Giona, e l'autore la rivolge al lettore. La domanda interessa sia coloro che si credono buoni e condannano i cattivi, invidiosi se Dio perdona loro; sia coloro che sono cattivi e sono in cerca di salvezza. Tempo, ambiente e messaggio Vocabolario e tematica suggeriscono di collocare questo nostro libretto nel tardo postesilio. Una datazione più precisa è difficile: probabilmente siamo verso la metà del V secolo a.C. Il regno di Giuda non esiste più e la Giudea è ridotta a una secondaria provincia dell'impero persiano. Il libro denuncia le contraddizioni della comunità giudaica, che la sconfitta, i molti disagi e le amarezze portano all'irrigidimento. Una scrupolosa osservanza religiosa e molta attenzione alla purezza razziale, ma anche una mentalità chiusa, nazionalista, schematica e irrigidita: tutto il bene di qua e tutto il male di là, tutta la salvezza per i giudei e tutta la condanna per le nazioni pagane. Una comunità siffatta è certamente religiosa, ma finisce col non comprendere perché mai Dio conceda prosperità e perdono anche alle nazioni pagane. La bontà di Dio verso tutti gli uomini diventa un problema. Il messaggio del libro va in due direzioni. Una verso Ninive, cioè verso i pagani, dicendo che occorre convertirsi, pena la catastrofe. La seconda va verso Israele e dice che occorre gioire, come Dio, della salvezza e del perdono del nemico. Il primo insegnamento è ovvio, il secondo è duro. I profeti si sono sempre interessati alle nazioni pagane, ma quasi sempre per minacciarne la distruzione. Anche Giona si interessa di Ninive per minacciarne la distruzione, ma Dio cambia la sua minaccia in perdono. Questo è sorprendente. Occorre precisare maggiormente. Ninive non rappresentava soltanto il mondo pagano, ma il mondo degli oppressori. Il profeta Nahum (3,1-4) la descrive così: "Città sanguinaria, piena di menzogna, colma di rapine, non cessa di depredare... Affascinante e incantatrice, faceva mercato dei popoli con le sue tresche e delle nazioni con le sue malie". Ebbene, Dio ama anche questa città.. Dio ama anche gli oppressori, e se appena è possibile, li salva. Questa è la lezione sorprendente, dura da accettare da parte di un popolo oppresso, che sognava l'intervento punitivo di Dio. Qualcosa di simile possiamo scorgere, per esempio, nell'atteggiamento di Gesù nei confronti degli odiati pubblicani, prototipi degli oppressori stranieri. Possiamo concentrarci sulla figura di Giona per evidenziare tutte le contraddizioni della sua religiosità. Scoperto sulla nave, Giona confessa con orgoglio davanti ai marinai la sua fede: "Sono ebreo e servo del Signore". C'è qui tutta la distanza che separa i giudei monoteisti dai pagani politeisti. Ma c'è anche tutta la contraddizione di certa religiosità: Giona dice di servire il Signore e dimentica che gli sta disobbedendo. C'è una contraddizione fra le parole e la vita. E c'è una contraddizione ancora più profonda. Giona è ortodosso: conosce molto bene Dio e la sua professione di fede è perfetta. E' quella del catechismo tradizionale: "So che sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato" (4,2). Conosce Dio, ma non lo comprende, soprattutto non condivide il suo modo di agire. Lo conosce in astratto. Israele sa tutto su Dio, ma poi non lo comprende quando Egli agisce di conseguenza. E così non è soltanto Ninive che deve convertirsi, anche Giona deve convertirsi, anche Israele. E' appunto questo il significato dell'ultima scena, la più originale e sorprendente, verso la quale tende tutto il libro. Oltre al messaggio centrale che abbiamo individuato, ci sono altri aspetti minori, ma ugualmente interessanti. I niniviti non si convertono alla religione di Israele. A Dio basta che cessi la malvagità. Ninive non fu minacciata perché non adorava il vero Dio, ma perché la sua violenza era grande. I niniviti "Si convertirono dalla vita cattiva e dalle azioni violente" (3,8). Compare qui il termine hamas (violenza), che nei profeti sintetizza le ingiustizie sociali più diverse. Il racconto si apre con l'ordine di Dio (1,1) e si chiude con una sua domanda (4,10ss).Tra questi due estremi si sviluppa una storia completamente nelle sue mani. E' un'altra lezione. Che Giona cerchi di fuggire o di morire, ciò non impedisce che Dio raggiunga il suo scopo. Ancora: la parola che dà luogo alla salvezza viene da Israele, non direttamente da Dio. Israele corre sempre il pericolo di escludersi dalla gioiosa apertura di Dio, tuttavia resta pur sempre il tramite della salvezza. Dio non ha un'altra parola da dire, se non quella che ha già detto a Israele e che Israele deve portare al mondo. Il libro di Giona ha degli antecedenti o è nato improvvisamente, senza radici? Il libro costituisce senza dubbio un vertice ed una novità, ma le radici ci sono. Isaia 2,2-4 annuncia il pellegrinaggio dei popoli verso Sion, tema ripreso e sviluppato da Isaia 60 (cfr. Ag 2,6ss; Zacc 8,23;14,16ss). In questi passi c'è la speranza della conversione dei pagani che, quindi, sono visti positivamente, con simpatia. Manca però del tutto il contrasto fra i pagani che si convertono e un profeta di Israele che recalcitra. In altri passi - per esempio Geremia 18,7-8 - si parla di un pentimento di Dio, che desiste dalle sue minacce nei confronti dei popoli. Dio perdona loro, appena vede un po' di pentimento: "D'improvviso parlo contro un popolo e contro un regno, da sradicare, abbattere e annientare. Ma se quel popolo si converte dalla sua malvagità, mi pentirò del male che avevo pensato dì procurargli". Come si vede, questo concetto è esattamente illustrato dal libro di Giona, privato però dell'ultima scena. L'ultima scena è originale. E' tempo di concludere. L'autore ha scelto la forma della novella per spingere i suoi lettori a guardare con gioia e speranza il mondo, anche se distante e ostile, e a non ripiegarsi su se stessi. Si tratta di aderire profondamente, concretamente alla compassione di Dio. Questa non deve restare solo una professione di fede, ma diventare mentalità e azione. Non dire che è inutile darsi pena per questa città. Devi invece annunciarle coraggiosamente il giudizio e godere poi del suo eventuale ravvedimento. Ciascuno deve fare propria la domanda che Dio ha rivolto a Giona. Ti rattristi per un nonnulla e per un nonnulla gioisci, e io non dovrei rattristarmi per la distruzione del mondo e rallegrarmi per la sua salvezza? Si noti il sorprendente capovolgimento, che è sempre il segno della genialità di Dio (e degli uomini che di lui parlano): una storia di misericordia non rivolta ai peccatori, ma ai giusti. Anche loro devono convertirsi! Giustamente S. Gerolamo termina il suo commento ricordando la parabola del prodigo: "Si doveva rallegrarsi e far festa perché questo tuo fratello era morto ed è tornato vivo, era perduto ed è stato ritrovato" (Lc 15,32).