Liberatevi! di Gene Sharp Una lettura di Christian Rocca Le idee hanno conseguenze. Le idee hanno un potere formidabile. Le idee cambiano le cose. Quelle di un anziano professore di Boston possono addirittura abbattere una dittatura. Liberatevi ne è a prova più lampante. Fatene un uso prezioso. So perfettamente che molti di voi lo avranno comprato nella segreta speranza che il testo possa magari svelare la ricetta per liberarsi del proprio governo. Ma questo è un libro serio. Liberatevi è una guida pratica per pianificare strategicamente l’abbattimento delle dittature vere. Noi i governi li scegliamo nelle urne e da più di mezzo secolo nessuno tiene in carcere il paese, nessuno uccide i dissidenti, nessuno massacra gli oppositori. La stessa cosa, purtroppo, non si può dire per una parte del mondo meno fortunata. Liberatevi è il manuale di autoliberazione popolare che ha ispirato le rivolte arabe d’inizio 2011, la primavera nordafricana e mediorientale che ha travolto e fatto vacillare tirannie e regimi autoritari che sembravano inamovibili. Il giorno prima le rivoluzioni sembrano sempre impossibili. Il giorno dopo improvvisamente diventano inevitabili. In mezzo, tra l’impossibilità e l’inevitabilità, ci sono quelli che lottano quotidianamente per liberarsi dell’oppressore, che progettano la liberazione, che provano a cambiare il regime. Questo libretto di suggerimenti pratici e di consigli di lettura è rivolto proprio a loro. L’autore di Liberatevi è un oscuro signore di ottantatrè anni, nato in Ohio e residente a Boston. Si chiama Sharp, Gene Sharp. Un intellettuale, più che un rivoluzionario. Un guerriero nonviolento. Un Che Guevara pacifista. Un improbabile Lawrence d’Arabia del nuovo secolo. Timido, capelli bianchi, occhi blu. Sul muro dietro la scrivania della sua casa-ufficio di East Boston c’è un adesivo anti Milosevic, è scritto in serbo. Dice «Gotov Je!». «È finito», il despota è cotto. Gene Sharp si occupa di questo, di cuocere a fuoco lento i dittatori. Ai movimenti antiautoritari di tutto il mondo, il professore di Boston fornisce le munizioni della nonviolenza, le strategie per la libertà, i 198 metodi per minare le fondamenta dei regimi autoritari. Sharp coltiva orchidee nel giardino di casa e fatica ad accedere alle email personale senza consultare l’appunto che gli ha scritto l’assistente su un post-it giallo appiccicato sul Mac. Eppure senza di lui non ci sarebbe stata la rivoluzione via Twitter. Sharp è poco conosciuto in America, figuriamoci altrove. Eppure i militanti democratici tunisini lo hanno paragonato a Martin Luther King e al Mahtma Gandhi. Le idee di Gene Sharp hanno influenzato le rivoluzioni democratiche e nonviolente in Serbia alla fine degli anni Novanta, quelle colorate in Ucraina, in Georgia, in Kyrgyzstan negli anni successivi. E ora quelle tunisine ed egiziane, grazie al compendio delle tecniche di autoliberazione di massa contenute in questo volume che fa da indice guidato all’opera omnia del professore. Quattro anni fa è stato l’autocrate venezuelano Hugo Chavez ad accusare Sharp di aver ispirato le rivolte antigovernative nel suo paese. Nel 2007, in Vietnam, i militanti dell’opposizione democratica sono stati arrestati mentre distribuivano un suo libro del 1993, From Dictatorship to Democracy, un manuale di strategia per la liberazione dalle dittature (93 pagine scaricabili dal sito dell’Albert Einstein Institution). A Mosca, nel 2005, le librerie che vendevano la traduzione in russo del libro sono state distrutte da incendi dolosi. Gli scritti di Sharp, tradotti in 28 lingue, sono stati studiati dalle opposizioni in Zimbabwe, in Birmania e in Iran. Nel 2008 gli ayatollah islamici di Teheran hanno accusato Sharp di essere l’agente della Cia incaricato di guidare le operazioni segrete di infiltrazione americana in giro per il mondo. Dai dispacci diplomatici americani catturati da Wikileaks si scopre che la giunta birmana crede che Sharp sia l’ideologo di un complotto internazionale per far cadere il regime militare, ma anche che i dissidenti siriani sono stati addestrati dalle tecniche nonviolente che leggerete in questo libro. Tutto è cominciato nel 1997, ha raccontato il Wall Street Journal, quando un militante polaccoamericano, Marek Zelazkiewicz, ha fotocopiato le pagine di Sharp e le ha portate con sé nei Balcani, insegnando le tattiche di resistenza in Kosovo e poi a Belgrado. I testi di Sharp sono stati tradotti in serbo e distribuiti segretamente tra i militanti dell’opposizione, in particolare tra gli iscritti di Otpor, un gruppo di opposizione giovanile anti Milosevic. Otpor, grazie anche ai 42 milioni di dollari forniti dal governo americano, ha esportato le tecniche di opposizione apprese dal libro di Sharp nelle ex repubbliche sovietiche, organizzando seminari di resistenza democratica in Georgia, in Ucraina, in Ungheria. Nel 2000 la Casa Bianca guidata da Bill Clinton ha aperto un ufficio a Budapest per coordinare le attività dell’opposizione democratica serba, fornendo anche mezzi, strumenti e tecnologia per diffondere notizie e informazioni alternative a quelle del regime. Il metodo Sharp si è diffuso. Addestrare gli addestratori, è diventato lo slogan dei suoi discepoli. Nel 2003, sei mesi prima della rivoluzione delle rose, l’opposizione georgiana ha stabilito contatti con Otpor con un viaggio a Belgrado finanziato dalla Fondazione Open Society del finanziere americano George Soros. I militanti di Otpor hanno addestrato gli attivisti georgiani e in Georgia è nata Kmara, una versione locale di Otpor. I soldi sono arrivati da Soros e da una delle tante agenzie semi-indipendenti di cui si serve il Congresso di Washington per finanziare i gruppi democratici in giro per il mondo. In Ucraina è nato Pora, un altro gruppo democratico con forti legami con l’Otpor serbo e finanziato con 65 milioni di dollari dall’Amministrazione Bush. I militanti di Otpor, addestrati alle idee di Gene Sharp, sono diventati mercenari della democrazia, militanti della libertà, istruttori di tecniche anti regime. A spese del governo americano hanno girato il mondo per aiutare le opposizioni a organizzare una rivoluzione democratica. Nel 2005, quando il regime di Hosni Mubarak ha spento il sogno del movimento democratico egiziano, i leader dell’April 6 Youth Movement del Cairo non si sono abbattuti, anzi hanno cominciato a fantasticare sulla fine del tiranno. Le idee folli del professore di Boston sono servite ad alimentare questa speranza. I mercenari della democrazia hanno organizzato seminari segreti anche in Egitto, dove sono stati distribuiti i testi di Sharp. Le tattiche di protesta contro la dittatura sono state tradotte in arabo e i partecipanti hanno organizzato a loro volta seminari e workshop in giro per il paese e altrove, diffondendo a macchia d’olio i metodi di attacco ai punti deboli dei dittatori. «Quando il popolo non ha paura della dittatura – ha detto Sharp citando Gandhi – quella particolare dittatura è in un mare di guai». La democrazia non è una politica facile da imporre dall’esterno. Le strategie devono essere necessariamente diverse da paese a paese, calibrate su un ampio arco temporale e centrate sui diritti umani, sulla rappresentanza politica, sullo stato di diritto, sulla trasparenza, sulla tolleranza, sui diritti delle donne. Ma le tecniche di opposizione, specie se efficaci come quelle redatte dall’anziano professore di Boston, possono essere facilmente trasmesse ai dissidenti. Sharp ha provato sul campo queste tecniche, da militante dei diritti civili, da obiettore di coscienza, da organizzatore di sit-in, da osservatore delle proteste di Piazza Tien An Men, da animatore dell’Albert Einstein Institution (Einstein gli ha scritto la prefazione a un libro su Gandhi). Sharp le ha anche insegnate ad Harvard e a Dartmouth, in Massachusetts. Liberatevi è un libro fondamentale, ma da maneggiare con cura. Come si fa con i pacchetti di sigarette, in copertina andrebbe aggiunta un’avvertenza: l’improvvisazione può causare la morte. Per fare la rivoluzione, scrive Sharp, servono tempo, pazienza e soprattutto una meticolosa pianificazione strategica. I pianificatori devono conoscere il conflitto in corso, gli avversari, la società locale e i suoi bisogni. Devono avere dimestichezza con la natura, con i mezzi e con le tecniche nonviolente. Uno degli errori più frequenti dei movimenti d’opposizione, avverte Sharp, è dare per scontata la conoscenza delle tecniche nonviolente. Uno studio approfondito è necessario. Liberatevi è una guida alla lettura dei testi fondamentali, un manuale per evitare il disastro politico, una raccolta di regole per prevenire che la vecchia dittatura sia sostituita da una nuova. Le cose si cambiano a piccoli dosi, specie se il potere del regime è immenso o assoluto. Volere tutto subito non è mai una buona strategia, anzi è la ricetta più adatte per consolidare il regime. L’uso della violenza è un errore, scrive Sharp, perché legittima la risposta devastante del despota e fa giocare la partita su un campo dove la disparità di forze è insostenibile per i democratici. Anche marciare pacificamente contro l’esercito armato può trasformarsi in una catastrofe. Il libro di Sharp consiglia, nel caso, una forma di protesta simbolica, meno pericolosa, più efficace: restare in casa e dimostrare il dissenso svuotando le strade. Denunciare l’oppressione e protestare non è sufficiente. Aspettare l’intervento liberatore straniero, secondo Sharp, non è una buona cosa, perché le motivazioni straniere sono sempre ambigue e difficili da inquadrare. Questo non è sempre vero. Senza la copertura internazionale le tecniche di liberazione professate da Sharp non avrebbero avuto vita facile contro i dittatori dei Balcani, dell’Europa dell’Est, dell’Afghanistan, dell’Iraq e della Libia. La stessa cosa si può dire della liberazione dell’Europa dal nazifascismo. Senza il sostegno alleato oggi parleremmo tedesco o, forse, russo. Ma, allora come oggi, Sharp ha ragione quando dice che la liberazione non può essere imposta esclusivamente dall’alto. Gli oppositori ci devono essere. Si devono organizzare. Si devono liberare da soli. In fondo, ha detto Sharp commentando la rivoluzione in Nord Africa, «io c’entro poco, il merito è tutto del popolo egiziano».