Comune di Cagliari
Sindaco
Emilio Floris
Assessorato al Turismo
Giovanni Giagoni
Dirigente dell’Area Servizi al Cittadino
Ada Lai
Dirigente del Servizio Cultura
Bruno Soriga
Misterius
La Settimana Santa a Cagliari
Testi
Mauro Dadea
Immagini
Mario Lastretti
COMUNE DI CAGLIARI
© 2008
ISBN 88-7593-007-4
JANUS EDITRICE
Sommario
Calendario delle manifestazioni pag. 11
Le confraternite pag. 168
Arciconfraternita del Gonfalone pag. 168
Le origini pag. 13
Congregazione degli Artieri pag. 170
Una testimonianza ottocentesca pag. 14
Arciconfraternita della Solitudine pag. 171
Il Lunedì di Passione pag. 15
Arciconfraternita del Santo Cristo pag. 173
Il Venerdì di Passione pag. 18
Arciconfraternita dei Genovesi pag. 173
La Processione dei Misteri pag. 25
La Domenica delle Palme pag. 29
Arciconfraternita del Gonfalone pag. 175
Il Martedì santo pag. 32
Congregazione degli Artieri pag. 175
Un influsso giansenista pag. 39
Arciconfraternita del Santo Cristo pag. 176
Il Mercoledì santo pag. 40
Arciconfraternita della Solitudine pag. 178
Il Giovedì santo pag. 48
Arciconfraternita dei Genovesi pag. 183
Il Venerdì santo pag. 67
Il Sabato santo pag. 88
Domenica di Pasqua pag. 125
Lunedì dell’Angelo pag. 140
L’accompagnamento musicale
pag 157
Brevi riflessi per la Via Crucis
pag. 158
A Maria Addolorata pag. 162
Is cantoris de Cira Santa
pag. 165
Su toccu de Cira Santa pag. 167
Insegne penitenziali Is Monumentus Su nenniri
Bibliografia pag. 175
pag. 185
pag. 187
pag. 189
Venerdì santo. Chiesa cattedrale. Adorazione della Croce.
F
in dal proprio insediamento questa Amministrazione ha guardato con rispetto e interesse allo straordinario
patrimonio storico, culturale e umano costituito dai riti tradizionali celebrati a Cagliari nel corso della Settimana santa. Un complesso di cerimonie unico in Sardegna per ricchezza e fastosità, che oltre il valore identitario
e la rilevanza antropologica, chiaramente inestimabili, rappresenta anche - perché no - una risorsa turistica da
valorizzare in maniera adeguata, come altrove già avviene.
Dal contributo alla vita delle arciconfraternite che di questi eventi sono le principali protagoniste, al restauro
delle loro chiese e oratori, all’arricchimento delle rispettive dotazioni di arredi sacri, niente è stato trascurato dal
punto di vista fattivo.
La seconda linea d’azione seguita dalla Giunta, non meno importante della prima, è stata poi quella culturale. Far conoscere presuppone necessariamente conoscere, e in quest’ottica nel 2007, per le cure dell’assessore
Giorgio Pellegrini, è stata allestita negli spazi del Lazzaretto la mostra fotografica Dolorosas. Segni di Spagna in
Sardegna.
Il confronto tra le tradizioni quaresimali sarde e quelle iberiche, già nel catalogo di questa esposizione prestigiosa, veniva approfondito da Mauro Dadea nelle sue origini storiche e nei suoi risvolti simbolico-sacrali, con
ottimi e promettenti risultati.
Questo ha immediatamente suggerito di affidare allo stesso studioso una ricerca che analizzasse i riti della nostra Settimana santa nella loro globalità, così da dotare Cagliari di un volume ad essi, per la prima volta, esclusivamente dedicato.
Sulla Settimana santa cagliaritana, infatti, non mancavano anche in precedenza descrizioni e analisi; tuttavia ancora sommarie, incomplete, carenti di una soddisfacente indagine di genesi e significato delle singole cerimonie.
Cagliari dunque, grazie a questo volume illustrato dalle suggestive immagini di Mario Lastretti, dispone ora di
uno strumento culturale di cui si avvertiva la mancanza, e che fissa le tradizioni della nostra Settimana santa in
un ritratto fedele e ricco di preziosi dettagli.
Emilio Floris
Sindaco di Cagliari
È
stato scritto, con ragione, che durante il periodo pasquale Cagliari diventa “una piccola Siviglia”, la città
più famosa al mondo per i riti tradizionali rievocanti passione, morte e resurrezione di Gesù.
Quanto poco vi fosse di esagerato o improprio in una simile affermazione emerge ora, nel modo più chiaro e
incontestabile, dalle pagine di Misterius. La Settimana Santa a Cagliari, il nuovo libro di Mauro Dadea illustrato
dalle fotografie di Mario Lastretti.
Lo studio, che questo Assessorato ha da tempo auspicato e fortemente voluto, viene a colmare una lacuna palese
nella pur copiosa pubblicistica dedicata alla nostra città: nessuno infatti, fino a questo momento, aveva ancora
provveduto ad affrontare in maniera specifica il tema della Settimana Santa cagliaritana, pur così ricco di eventi
e contenuti da non avere rivali in Sardegna, descrivendolo in tutti i suoi appassionanti risvolti e analizzandone
in profondità significati e origini.
Dalle prime prove di canto dalle masse (gruppi) corali di San Giovanni e di San Giacomo, il giovedì dopo le
Ceneri; alle processioni dei Misteri dell’Arciconfraternita del Santo Cristo e della Congregazione degli Artieri, il
venerdì di passione e il martedì santo; a s’Incravamentu, su Scravamentu e s’Interru (la crocifissione, la deposizione e il trasporto funebre) di Gesù Cristo organizzati dall’Arciconfraternita della Solitudine, il giovedì, venerdì
e sabato santo; a s’Incontru (l’incontro) tra il Risorto e Maria, celebrato la domenica di Pasqua nei tre quartieri
storici di Marina, Stampace e Villanova; alle due processioni votive in onore di Sant’Efisio, del giovedì santo e
lunedì dell’Angelo, appannaggio speciale dell’Arciconfraternita del Gonfalone; a is Inserrus (la reposizione) dei
simulacri usati per le varie cerimonie, della domenica in Albis, ogni aspetto della tradizione pasquale cagliaritana viene puntualmente seguito secondo il fitto calendario disposto in apertura di volume.
Ne scaturisce un quadro dalle tinte più diverse, che alternando il sorriso della gioia alle lacrime del dolore, le
luci alle ombre, il buio allo splendore, si imprime nel profondo dell’anima con potenza ineguagliabile.
Possa dunque, questo elegante prodotto editoriale, far sì che Cagliari per prima si riappropri di valori culturali
e umani tanto preziosi ereditati dai padri, e ancora una volta far conoscere al mondo quanto la nostra città sia
bella e irripetibile.
Giovanni Giagoni
Assessore al Turismo del Comne di Cagliari
LA SETTIMANA SANTA A CAGLIARI
Calendario delle manifestazioni
Primo Giovedì di Quaresima
Ore 19, Chiesa di San Giovanni Battista
e Oratorio del Santo Cristo.
Raduno nelle rispettive sedi dell’Arciconfraternita della Solitudine e dell’Arciconfraternita del Santo Cristo,
che danno inizio alle prove di canto delle rispettive
masse corali. L’appuntamento si rinnova, alla stessa
ora, tutti i giorni feriali della quaresima.
Lunedì di Passione
Ore 17, Oratorio del Santo Cristo.
Vestizione di gala della Madonna Addolorata.
Venerdì di Passione
Ore 16, Oratorio del Santo Cristo.
Processione dei Misteri dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Domenica delle Palme
Ore 10, in tutte le parrocchie cittadine, con la benedizione delle palme, si commemora il solenne ingresso di
Gesù a Gerusalemme.
Ore 12, Chiesa di San Giovanni Battista.
Calata e solenne esposizione del Crocifisso.
Martedì Santo
Ore 15, Chiesa di San Michele Arcangelo.
Processione dei Misteri della Congregazione degli
Artisti.
Mercoledì Santo
Ore 17, Oratorio del Santo Cristo.
Vestizione a lutto della Madonna Addolorata.
Ore 17.30, Chiesa di Sant’Efisio a Stampace.
Vestizione a lutto della Madonna Addolorata; deposizione del Cristo morto nella lettiga processionale;
vestizione a lutto del simulacro di Sant’Efisio dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Giovedì Santo
Ore 15, Oratorio del Santo Cristo.
Rito de s’Incravamentu (crocifissione) a cura dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Ore 16, Chiesa di San Giovanni Battista.
Rito de s’Incravamentu a cura dell’Arciconfraternita
della Solitudine.
Ore 18, in tutte le parrocchie cittadine, Santa Messa in
Coena Domini e adorazione silenziosa dell’Eucarestia
riposta nei Monumentus o Sepolcri.
Ore 20, Chiesa di Sant’Efisio a Stampace.
Visita alle Sette chiese dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
11
Venerdì Santo
Ore 13, Chiesa di San Giovanni Battista e Cattedrale.
Innalzamento della Croce (processione del Crocifisso)
dell’Arciconfraternita della Solitudine.
Ore 16, Oratorio del Santo Cristo e Chiesa di San Lucifero.
Innalzamento della Croce (processione del Crocifisso)
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Ore 17, Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina.
Adorazione della Croce dell’Arciconfraternita dei Genovesi.
Ore 20, Chiesa di Sant’Efisio a Stampace.
Rito de s’Interru (corteo funebre) del Cristo morto a
cura dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Sabato Santo
Ore 8.30, Chiesa di San Lucifero.
Rito de su Scravamentu (deposizione dalla croce) a cura
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Ore 10, Cattedrale.
Rito de su Scravamentu a cura dell’Arciconfraternita
della Solitudine.
Ore 10, Oratorio del Santo Cristo.
Vestizione a festa della Vergine Gloriosa.
Ore 16.30, Chiesa di San Giovanni Battista e Cattedrale.
Rito de s’Interru (corteo funebre) o rientro del Cristo
morto a cura dell’Arciconfraternita della Solitudine.
Ore 16.30, Oratorio del Santo Cristo e Chiesa di San
Lucifero.
Rito de s’Interru o rientro del Cristo morto a cura dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Ore 24, Oratorio del Santo Cristo e Parrocchiale di San
Giacomo.
Uscita del Cristo Risorto e prima Santa Messa Pasquale.
12
Domenica di Pasqua
Ore 10, Corso Vittorio Emanuele.
Rito de s’Incontru (l’incontro tra Gesù risorto e Maria)
della parrocchia di Stampace.
Ore 11, Via Garibaldi.
Rito de s’Incontru della parrocchia di Villanova.
Ore 12, Via Roma.
Rito de s’Incontru della parrocchia di Marina.
Lunedì dell’Angelo
Ore 8, Chiesa di Sant’Efisio a Stampace e Cattedrale.
Processione per lo scioglimento del voto a Sant’Efisio
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Domenica in Albis
Ore 10.30, Parrocchiale di San Giacomo e Oratorio del Santo Cristo.
Processione de Is inserrus (ricollocazione dei simulacri) dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Primo lunedì dopo la Domenica in Albis
Ore 18.30, Chiesa di San Giovanni Battista.
Rito de Is inserrus a cura dell’Arciconfraternita della
Solitudine.
Misterius
La Settimana Santa a Cagliari
Come tutta la Sardegna anche Cagliari celebra la più
importante festa cristiana, la Pasqua (sa Pasca manna,
così chiamata in contrapposizione a sa Paschixedda, il
Natale), accompagnando le cerimonie previste dalla
liturgia ufficiale con altre di cui il popolo è geloso custode da secoli.
Sono rievocazioni della passione, morte e resurrezione di Cristo, tanto ricche e complesse quanto generalmente insospettate al grande pubblico.
Il loro linguaggio, da liturgico-simbolico e quindi veicolato in esclusiva dal clero, attraverso le forme della sacra rappresentazione diventa teatrale-imitativo,
immediatamente recepito dai fedeli perché da essi
addirittura interpretato con vitalità e immediatezza
straordinarie.
Durante la Quaresima e la Settimana santa, così, il
capoluogo e ogni altro centro dell’isola diventano un
immenso palcoscenico, dove le ultime vicende terrene
di Gesù vengono rievocate dalla gente in forma corale. Tutti partecipano al rito sia da protagonisti, direttamente (assumendo i panni di San Giovanni o della
Maddalena, di Nicodemo o di Giuseppe d’Arimatea)
o indirettamente (trasportando e accompagnando i simulacri di Gesù, della Madonna o delle Marie); sia da
comprimari, impersonando le folle di Gerusalemme
nel loro coinvolgimento o perfino nella loro indifferenza e nel loro disprezzo.
Nessuno può rimanere semplice spettatore e proprio
questo ha fatto sì che un simile patrimonio venisse
ostinatamente preservato dagli assalti della modernità, con le sue sussiegose riserve imposte da un laicismo dilagante. Un attaccamento così tenace, è ovvio,
non deriva sempre da una riflessione teologica consapevole, ma da motivazioni varie di carattere prevalentemente psicologico: l’individuo, nelle sofferenze di
Cristo e della Vergine, rivive ed elabora le proprie sofferenze, e nell’evento gioioso della resurrezione trova
un indispensabile motivo di fiducia e di speranza.
Le origini
Queste manifestazioni folcloriche, che nel corso del tempo hanno formato una complessa stratificazione dalla
genesi non sempre enucleabile, vengono fatte risalire al
pieno medioevo. L’uso liturgico, fin da questo periodo,
prevedeva la proclamazione del Passio la domenica della Palme (secondo Matteo), il martedì (secondo Marco),
mercoledì (secondo Luca) e venerdì (secondo Giovanni) della Settimana santa. Uno historicus ne sviluppava la trama mentre i dialoghi erano riservati a singoli
interpreti di Gesù e degli altri personaggi, compresa
la folla. La devozione popolare, ben presto, trasportò
questa forma di lettura dalla chiesa alla piazza, dalla
lingua latina dei testi sacri a quella volgare diffusa tra le
persone comuni, facendone una vera e propria rappresentazione sacra che andava sotto il nome di teatro dei
Misteri. Simili espressioni drammatiche, in Sardegna,
appartengono per la maggior parte al retaggio culturale della dominazione spagnola (XIV-XVIII secolo).
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Se ne hanno sia il tipo più complesso, supportato da
un testo scritto, come per il Cinquecento l’incompleta
Passione che Sigismondo Arquer compose nelle carceri
dell’Inquisizione a Toledo (1570 circa), per il Seicento
la Passión de Christo nuestro Señor del cagliaritano Juan
Francisco Carmona (1629) o, un secolo più tardi, Sa passione et morte de nostru Segnore Jesu Christu segundu sos
battor Evangelistas di Maurizio Carrus (1728); sia, tuttora diffuso in ogni parrocchia sarda, quello più semplice
che prevede s’Incravamentu (crocifissione) e su Scravamentu (deposizione dalla croce) di un Cristo ligneo a
braccia snodabili, commentati da un predicatore.
Data la scarsezza di fonti documentarie, rimane incerto il momento esatto in cui l’una e l’altra sacra rappresentazione siano state introdotte nell’isola. Si può
comunque osservare, a titolo d’esempio, come il crocifisso protagonista del triduo pasquale di Castelsardo presenti tratti all’apparenza tanto arcaici, di pretta
matrice gotica, da non poter essere datato oltre la metà
del XVI se non ancora al XV secolo.
Per rimanere nella Sardegna settentrionale, si ha quindi l’analogo simulacro articolato che si venera nella
chiesa della Misericordia di Alghero. Esso, secondo la
tradizione, sarebbe giunto nella cittadina catalana nel
1606, recuperato a seguito del naufragio di un veliero
proveniente da Alicante.
A Sassari infine, per il 1624, un documento si riferisce a crocifissione e deposizione drammatiche di Gesù
come ad altrettante cerimonie già da tempo regolarmente celebrate nella cattedrale cittadina.
Riguardo invece alla Sardegna meridionale e in particolare a Cagliari, quantomeno allo stato attuale della ricerca, sembrerebbe che simili consuetudini pasquali abbiano avuto inizio non prima dell’inoltrato XVII secolo.
Pur con tutte le riserve connesse ad argomentazioni
tanto rischiose, lo si potrebbe dedurre ex silentio da
una cronaca capitolare della cattedrale di Cagliari,
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compilata durante l’episcopato di don Alonso Lasso
Sedeño (1596-1604). In essa infatti, pur fra le tante minuzie riportate dai canonici soprattutto come promemoria a scopo retributivo, per la Settimana Santa del
1599 non si fa il minimo accenno a tali pur complesse
e defatiganti cerimonie.
Il dato potrebbe forse trovare riscontro in quanto tramandato dall’Arciconfraternita della Solitudine di Cagliari. Essa sostiene che il maestoso crocifisso con gli
arti snodabili e la statua della Madonna addolorata,
tuttora in uso nei riti paraliturgici del Venerdì e Sabato
santo celebrati in città, sarebbero giunti dalla Spagna
su commissione viceregia, appositamente per essere affidati allo stesso sodalizio fondato a quanto parrebbe
nel 1603 ed aggregato all’Arciconfraternita della Santissima Trinità di Roma nel 1616. La recente scoperta di
alcuni importanti documenti, conservati nell’Archivio
di Stato di Cagliari, confermerebbe la tradizione se non
altro sotto l’aspetto cronologico (ASC, Atti Notarili Legati, vol. 1295, not. Giovanni Battista Uda). Il 29 ottobre
e il 3 novembre 1619, infatti, furono registrati a Cagliari
due contratti tra Antonio Cugia e il pittore Antioco Piras. L’artista, per la somma di quaranta lire, si impegnava a fornire entro il successivo mese di gennaio il bulto
(simulacro) «ben fet, ben pintat y a perfection acabat» di un
crocifisso alto quanto lo stesso committente. Quest’ultimo, a propria volta, avrebbe dato il legname necessario
per costruire la croce. Di specifico rilievo quella parte
in cui entrambi gli atti specificavano come lo qual tot
sarebbe dovuto servire «per lo devallament de la creu que
te fa lo cap de la Soledad lo di joves sant de dit any primo vinent de 1620». Quasi che la cerimonia dovesse svolgersi
quell’anno per la prima volta, a cura del priore della
confraternita della Solitudine.
Se poi, in effetti, l’iniziativa e le risorse finanziarie siano venute dal governo spagnolo saranno altri documenti a doverlo auspicabilmente chiarire.
Una testimonianza ottocentesca
L’Arciconfraternita della Solitudine si è sempre impegnata ad animare i riti paraliturgici della Settimana santa celebrati in cattedrale, antica parrocchia del
quartiere di Castello. Nel corso del tempo le stesse
consuetudini sono state fatte proprie e ulteriormente
arricchite anche dalle altre tre parrocchie cittadine, facenti capo ai quartieri storici di Stampace, Marina e
Villanova.
L’apice del loro sviluppo si colloca nei primi decenni
dell’Ottocento. Da questo momento, come ogni altra
forma di cultura popolare, anch’esse furono travolte
dal ciclone della modernità, perdendo molto della loro
originaria fisionomia e ricchezza contenutistica.
Un quadro sintetico, ma abbastanza preciso, di come la
Settimana santa venisse celebrata nella capitale sarda
in questo periodo ci viene offerto per il 1836 da Vittorio Angius: «Nel venerdì di Passione tre confraternite
dai tre quartieri, nel martedì santo una quarta vanno
alle stazioni della Via Crucis in molte chiese, nelle quali
la massima parte dei confratelli passano da una porta
all’altra, eccettuata l’ultima che ascolta alcune meditazioni. Portano tutte sopra sei barelle il Cristo in altrettante diverse situazioni della passione, che dicono
volgarmente i Misteri, dopo i quali l’Addolorata. Due
piccole bande di soldati tengono i due estremi della
schiera. Due tamburi a suon di duolo apron la marcia.
Nel giovedì sera e venerdì mattina di settimana santa
tutte le confraternite, alcune accompagnate da musica, sono in giro alla visita dei SS. Sepolcri formati i più
come palchi scenici con le loro decorazioni, nei quali è
rappresentata una qualche azione dei libri divini. Nel
dopo pranzo è nei tre quartieri bassi un concorso prodigioso alle chiese, dove si rappresenta la deposizione
di Cristo dalla Croce. Vedrai inalberata una gran croce
sur un palco presso al pulpito, sotto quella un simulacro della Vergine, e presso la Maddalena e il Giovanni
molti angiolini in carne ed ossa. Il predicatore, quando
a un certo punto del suo discorso spiega il desiderio di
Maria di riaver il corpo del figlio, vede tosto appressarsi due mascherati a ebrei, che figurano il Nicodemo
e il Giuseppe, i quali dopo e tra varie cerimonie metton
giù il Cristo dalla croce, e infin di tutto postolo in una
bara lo portano in processione per la città. Si procura
mettere in gran movimento la immaginazione, e non
ostante che la bramata illusione spesso manchi, pure
suol essere un gran piagnisteo. Accade un frequente
incontro di questi convogli funerei, ed è nella gente
una gran dissipazione. L’ultimo atto è nella domenica
di risurrezione: due confraternite sortono in pubblico, una col Risuscitato, l’altra con la Gloriosa, e vanno
all’incontro congiungendosi in qualche piazza. Chiederai quanto lucri da tali usi la pietà? Fatti i calcoli,
mi par che perda, ed è desiderato che si adottino altre
maniere meno materiali, e più commoventi».
La chiosa finale dello studioso e sacerdote scolopio
rappresenta un chiaro presagio di quella sostanziale tolleranza che le classi intellettuali e lo stesso clero, imbevuti di cultura positivista, da quel momento
avrebbero riservato a queste ingenue manifestazioni
di emotività e pietà popolare.
Nonostante gli ostacoli però, pur fra alterne vicende,
rispetto a due secoli or sono la situazione attuale non
appare particolarmente mutata.
Il Lunedì di Passione
Come nell’Ottocento infatti, ancora oggi, le celebrazioni cagliaritane della Pasqua si aprono il venerdì precedente la Domenica delle Palme, detto di Passione, con
l’uscita dei cosiddetti Misteri. A organizzarla è l’Arciconfraternita del Santo Cristo, che ha sede nell’omonimo oratorio seicentesco edificato presso la parrocchiale di San Giacomo, nel quartiere di Villanova.
I Misteri sono sette statue lignee, realizzate nel 1758
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dallo scultore sardo Giuseppe Antonio Lonis. Rappresentano i principali momenti della passione di Gesù e
nello specifico l’Agonia nell’orto, la Cattura, la Flagellazione, la Coronazione di spine, il Viaggio al Calvario
e la Crocifissione. A seguire la Madonna addolorata.
È proprio quest’ultimo simulacro, del tipo “a trespolo” (nel quale, cioè, sono scolpiti a tutto tondo solo la
testa, le mani e i piedi, mentre il resto del corpo è formato da un’intelaiatura lignea), il primo in assoluto
a entrare in scena, nell’impegnativa fase preparatoria
che prelude al corteo.
Nel tardo pomeriggio del Lunedì di Passione, l’ultimo prima della Domenica delle Palme, i confratelli del Santo Cristo aprono la nicchia che nel loro
oratorio custodisce la statua, la estraggono e la depongono ai piedi dell’altare maggiore. Viene quindi
il turno delle consorelle, che cerimoniosamente la
spogliano del suo abito ordinario per farle indossare una sontuosa veste di seta rossa con un mantello
blu. Nonostante risalga al XVIII secolo, certo a motivo dell’estrema fedeltà a una tradizione più antica,
l’abito di questa Madonna dei dolori conserva una
foggia tipicamente seicentesca con la falda plissettata, le strette maniche sbuffanti di pizzi, il candido e
vaporoso colletto a gorgiera.
Nei giorni immediatamente successivi vengono quindi calati dalle loro nicchie e preparati per essere condotti in processione anche gli altri sei Misteri.
Particolare cura ed impegno richiede l’allestimento
di quello che rappresenta la preghiera di Gesù nell’orto del Getzemani. Per il simulacro del Cristo inginocchiato a terra, infatti, viene creata una speciale
ambientazione scenografica inchiodando sulla portantina un grosso ramo d’ulivo. Anno dopo anno,
per i confratelli, è un punto d’onore trovarne uno
sempre più grande. Alle sue fronde viene quindi
appesa la figuretta di un angelo che porge a Gesù il
16
Lunedì di Passione. Oratorio del Santo Cristo.
Vestizione di gala della Madonna addolorata.
Lunedì di Passione. Oratorio del Santo Cristo.
Vestizione di gala della Madonna addolorata,
l’arciconfraternita in preghiera assiste alla cerimonia.
calice dell’amarezza. Queste cerimonie sono del tutto
assimilabili ad altre analoghe che si svolgono sia in
Spagna sia in vari centri dell’Italia meridionale.
In particolare a Trapani, cornice di una tra le processioni dei Misteri più sontuose al mondo, nei sei venerdì
di quaresima viene effettuata la scinnuta, cioè l’estrazione dalle rispettive nicchie di altrettante statue che,
una per volta, vengono portate in processione per la
città allo scopo di raccogliere offerte.
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Il Venerdì di Passione
Si ignora perchè l’Arciconfraternita del Santo Cristo dia
vita al corteo dei Misteri proprio nel Venerdì di Passione. Il motivo, comunque, viene probabilmente suggerito dal contratto di affidamento delle statue, stipulato
tra Giuseppe Antonio Lonis e l’arciconfraternita il 31
agosto 1758 (ASC, ANL, vol. 2447, cc. 99r-100v).
L’artista si impegnava a consegnare i propri lavori
perfettamente compiuti entro il 4 febbraio del successivo 1759, affinché la confraternita se ne potesse servire «para las processiones de la Via Crucis, que la misma
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archiconfraternidad acostumbra hazer cada quaresma en la
iglesia de Santa Rosalea de PP. Observantes (…) el primer
viernes de quaresma (…) y en los consecutivos».
A metà del Settecento, quindi, la processione dei Misteri
veniva effettuata in ciascun venerdì di quaresima, giorno commemorativo della morte di Gesù. Forse perchè
troppo gravoso, poi, l’impegno sarebbe stato concentrato all’ultimo venerdì precedente quello della Settimana
santa, in cui la confraternita era comunque impegnata
ad animare la cerimonia de su Scravamentu.
In virtù di un patto di reciproca assistenza e collabo-
Venerdì di Passione. Processione dei Misteri
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Avvio del corteo dall’oratorio confraternale.
Venerdì di Passione. Processione dei Misteri
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Mistero raffigurante l’orazione nell’orto
dei Getzemani, con scenografia costituita
da un vero tronco d’ulivo.
Venerdì di Passione. Processione dei Misteri
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Un devoto in abito penitenziale,
per adempimento votivo, porta a spalla
la pesante croce de s’Incravamentu impersonando il Cireneo.
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razione, chiamato “delle corrispondenze”, al faticoso
corteo organizzato dall’Arciconfraternita del Santo
Cristo partecipano oggi anche l’Arciconfraternita della Solitudine, insediata nella chiesa di San Giovanni
Battista, sempre a Villanova, quella del Gonfalone, titolare della chiesa di Sant’Efisio e la Congregazione
degli Artieri della chiesa di San Michele, entrambe a
Stampace.
Il tragitto dei Misteri si snoda per le strade dei più
antichi quartieri di Cagliari toccando progressivamente sette chiese. In ciascuna entra uno di essi, secondo l’ordine cronologico della passione, per una
visita al Santissimo accompagnata da una breve meditazione e il canto di un inno. Il simulacro viene
sempre accompagnato all’interno dell’edificio sacro
da quello dell’Addolorata, mentre gli altri sostano
all’esterno consentendo ai portatori qualche minuto
di riposo.
Il corteo, che prende avvio dall’oratorio del Santo
Cristo alle ore 16, è aperto da s’andadori (il messo)
della confraternita titolare, preceduto da uno o più
tamburini. Segue, affiancata da due portatori di fanale, la “croce dei misteri” o “degli attrezzi”, in origine lugubre insegna delle compagnie di penitenti o
flagellanti.
Vengono quindi i vari gruppi statuari, che i confratelli
si caricano a spalla montati su speciali portantine.
Tra il Cristo caduto sotto la croce e il Cristo crocifisso
coperto da un piccolo baldacchino viola, trova posto
la grande croce nuda in legno dipinto di nero de s’Incravamentu, portata per penitenza da un devoto che
impersona il Cireneo.
A seguire le consorelle, che procedono ai lati della strada in due file parallele, portando ciascuna una candela. Il loro corteo è aperto da un’altra croce dei misteri o
“di penitenza”, più semplice, ornata da puntali dorati
scolpiti in legno secondo forme barocche.
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Infine un ultimo drappello di confratelli, guidato personalmente dal priore, chiude il corteo con la statua
della Madonna addolorata. Un’unica spada d’argento
le trafigge il cuore.
Le varie tappe della processione sono scandite dalle
folte “masse” (gruppi) di cantori facenti capo all’arciconfraternita, suddivisi per tipologia vocale, che intonano lugubri cori adatti alla circostanza.
L’itinerario, di anno in anno, è suscettibile di piccole
variazioni. In genere però, passando per via Piccioni
e via San Giovanni, esso raggiunge dapprima la chiesa dedicata al Battista. Di qui, lungo la stessa via San
Giovanni, si immette nella piazza Costituzione, piazza
Martiri e via Manno, per scendere fino alla chiesa delle monache Cappuccine. Passando per via Cima, via
Manno, piazza Yenne e via Azuni, viene quindi raggiunta la parrocchiale di Sant’Anna. Toccata la vicina
chiesa di Sant’Efisio, riattraversata la piazza Yenne e
infilata a ritroso la via Manno, entra nella chiesa di
Sant’Antonio Abate. Risalito fino a piazza Costituzione, imbocca la via Garibaldi che viene percorsa fino al
portico Romero. Lungo via San Domenico raggiunge
la chiesa omonima, per poi tornare indietro fino alla
parrocchiale di San Giacomo.
Secondo la citata testimonianza dell’Angius, nel Venedì di Passione la stessa cerimonia veniva celebrata
anche da altre due confraternite negli altri principali
quartieri di Cagliari, Stampace e Marina. Nel primo
caso gli inventari di sacrestia testimoniano che, effettivamente, l’Arciconfraternita del Gonfalone ancora a
metà Ottocento possedeva anch’essa una serie dei Misteri, di cui non si conserva più alcuna traccia. Almeno
per il momento, invece, niente è dato sapere riguardo
al quartiere della Marina.
Venerdì di Passione. Processione dei Misteri dell’Arciconfraternita
del Santo Cristo. I sette simulacri discendono la via Manno.
21
Venerdì di Passione. Processione dei Misteri
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Mistero raffigurante l’Ecce Homo nella
stazione presso la chiesa di Sant’Antonio
Abate.
Venerdì di Passione. Processione dei Misteri
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Mistero raffigurante Gesù caduto sotto
la croce durante l’ascesa al Calvario.
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Venerdì di Passione. Processione dei Misteri
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Mistero raffigurante Gesù crocifisso nella
stazione presso la chiesa di San Domenico.
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La Processione dei Misteri
Il contratto del 1758, stipulato tra l’Arciconfraternita del
Santo Cristo di Cagliari e lo scultore Giuseppe Antonio
Lonis, arrivava a specificare perfino che «las expreciones» dei volti sarebbero dovute corrispondere «a cadauno de los dichos siete Misterios o passos de la Passion».
Mysterios o pasos, significativamente, sono gli stessi
nomi con cui questi gruppi statuari risultano tuttora
chiamati in Spagna, da dove il loro uso fu poi importato in Sardegna. Entrambi i termini, in genere ormai
non più compresi nel loro significato etimologico, riportano all’origine di questa particolare devozione
che si colloca in età tardomedievale.
L’esigenza di rievocare realisticamente la passione
di Gesù, ponendo l’accento sulle sue sofferenze e di
conseguenza sulla sua natura umana, segna il definitivo superamento delle antiche eresie cristologiche che
tendevano a negare la divinità del Figlio di Dio. Arianesimo, islamismo e in ultimo la predicazione degli
albigesi, fino a tutto il XIII secolo, avevano provocato
nella Chiesa una reazione concretizzatasi negli atti di
vari concili, e, a livello più immediato, in quelle peculiari manifestazioni artistiche che sempre presentavano il Cristo in tutto lo splendore della sua gloria
regale, anche inchiodato sulla croce.
A livello immediato la mutata temperie culturale e
il cambio di mentalità trova un’efficace esplicazione
simbolica nella personale vicenda biografica di San
Francesco d’Assisi (1182-1226). Se infatti l’aulico simulacro della chiesa di San Damiano, che segnò la sua
conversione, rappresenta un esempio tipico di crocifisso ieratico di tradizione bizantina, il nuovo tipo di
crocifisso che scaturì dalla predicazione sua e dei suoi
frati è quello presentato in tutta la spaventosa realtà di
una sofferenza mortale.
Ne scaturì, in tutta la Chiesa, un nuovo misticismo
sentimentale e patetico, totalmente immerso nella con-
templazione delle sofferenze alle quali Cristo si offrì
per la redenzione del mondo da giungere ben presto
ai più macabri sviluppi tassonomici.
In questa nuova atmosfera spirituale non pochi veggenti o semplici visionari, ben presto, cominciarono a
dichiarare di aver ricevuto per rivelazione celeste ragguagli esattissimi sui più minuti particolari della passione. Un caso emblematico, in questo senso, è rappresentato da Santa Brigida di Svezia (1303-1373), che nei
suoi scritti giunse ad enumerare con ogni precisione
i colpi di flagello ricevuti da Gesù, la quantità di ferite provocate sul suo capo dalla corona di spine, gli
schiaffi che gli furono assestati venendo sballottato da
un luogo all’altro nella notte del tradimento e tante altre minuzie di questo stesso tipo, certo più vicine alla
sensibilità del popolo di qualsiasi trattato teologico.
La curiosità devota dei fedeli, alimentata da una simile letteratura, parve non avere più limiti. Ben presto
si svilupparono e diffusero leggende e pratiche devozionali d’ogni tipo, che contemplavano tanti aspetti
del tutto apocrifi della passione: come il numero delle
cadute di Cristo mentre portava la croce e quello dei
passi da lui percorsi lungo la Via Dolorosa.
Quest’ultima pia pratica, in particolare, rimontava
alla frequentazione dei santuari di Terrasanta da parte dei pellegrini. Molti di essi non solo disegnavano
e misuravano gli edifici eretti a ricordo dei principali
episodi della vita di Gesù, magari con l’intenzione di
riprodurli una volta ritornati in patria, ma anche le distanze, appunto i passi (los pasos), che intercorrevano
tra gli uni e gli altri.
Alla visita dei santuari di Terrasanta i papi avevano
legato specifiche indulgenze, che progressivamente
furono estese anche alle riproduzioni che di essi si stavano realizzando in Occidente, una volta che i pellegrinaggi oltremare furono resi pressoché impossibili
dall’occupazione islamica.
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Venerdì di Passione. Processione dei Misteri dell’Arciconfraternita del
Santo Cristo.
Mistero raffigurante la Madonna addolorata nella stazione conclusiva del
corteo, presso la parrocchiale di San Giacomo.
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Sorsero così in tutta Europa complessi devozionali formati da più cappelle, dedicate specie ai singoli
momenti della passione di Cristo, che imitavano altrettanti luoghi memoriali esistenti in Palestina. Il più
antico finora documentato è quello che fu costruito
dopo il suo ritorno dalla Terrasanta, nel 1405, dal Beato Alvaro de Zamora, religioso domenicano, attorno
al convento della Scala Coeli presso Cordova. Constava di otto chiesette nelle quali il beato «trascorreva la
maggior parte della notte in preghiera». Un suo biografo le descrive così: «In uno degli oratori si vede
raffigurato Gesù Cristo in preghiera al giardino degli
ulivi; nell’altro la cattura da parte dei giudei, alla testa
dei quali si vede Giuda accostarsi per dare il bacio del
tradimento; nel terzo, la flagellazione; nel quarto, l’in-
coronazione di spine; nel quinto, Gesù Cristo in cima
a una scalinata, la canna in mano e un vecchio mantello scarlatto che gli era stato messo sulle spalle per
derisione, con Pilato che lo presenta ai giudei dicendo
loro: Ecce Homo; nel sesto, Gesù caricato della croce
che porta verso il Calvario; nel settimo, la crocifissione
e l’agonia; nell’ottavo, che era l’ultimo, si vede Gesù
Cristo steso sulle ginocchia della santa Vergine».
Non sempre le fasi prescelte risultavano le stesse ma
di solito il loro numero era di sette, su influenza delle sette ore canoniche in cui era diviso l’Ufficio della
Passione contenuto nelle edizioni più antiche del breviario, il libro di preghiera per eccellenza della Chiesa
cattolica. Si partiva con la compieta (dopo cena), che
commemorava la preghiera angosciosa di Gesù nel
Getzemani, proseguendo poi lungo l’intera giornata
secondo la successione temporale degli avvenimenti
riportata dai vangeli. Il “matutino” (al canto del gallo)
corrispondeva alla cattura di Cristo; l’ora prima (le 6
di mattina) al processo davanti a Pilato e alla flagellazione; l’ora terza (le 9 del mattino) alla coronazione di
spine e alla condanna; l’ora sesta (mezzogiorno) alla
salita al Calvario e alla crocifissione; l’ora nona (le 3
del pomeriggio) alla morte in croce; il vespro (l’ora
del tramonto) alla deposizione con la sepoltura. Nonostante fossero abbastanza numerosi, tali santuari
rappresentativi non erano diffusi capillarmente in tutto l’occidente cattolico e, di conseguenza, compiere il
pellegrinaggio prescritto per lucrare le indulgenze di
Terrasanta rimaneva comunque difficile.
Nacque così un tipo di pellegrinaggio spirituale che
poteva essere effettuato in qualsiasi luogo, fissando a
piacere la collocazione delle singole stazioni.
Nella sua forma primitiva questa pratica consisteva nel visitare il Venerdì santo sette (o anche nove)
chiese in ricordo degli spostamenti dolorosi di Cristo
durante la passione. Essa, probabilmente, si ispirava
all’antica consuetudine giubilare della visita alle basiliche di Roma, cui alla metà del Cinquecento fu dato
un nuovo straordinario impulso da San Filippo Neri
(1515-1595).
Questi, a sua volta, si basava sul metodo descritto da
Guillaume Pepin nella sua Expositio evangeliorum quadragesimalium, pubblicata a Parigi nel 1523, che invitava a meditare i tragitti di Cristo all’orto degli ulivi, alla
casa di Anna, a quella di Caifa, al pretorio di Pilato, al
palazzo di Erode, di nuovo al pretorio di Pilato e infine al monte Calvario.
Laddove non fossero esistite chiese in numero sufficiente, poi, si potevano erigere colonne della passione
lungo le strade, badando almeno di rispettare tra l’una
e l’altra quelle effettive distanze che intercorrevano tra
i presunti luoghi originali della Palestina, riportate da
specifici prontuari.
Tra la fine del XV e tutto il XVI secolo fu pubblicato un
gran numero di questi libretti, contraddistinti da una
grande libertà di scelta nel fissare le singole tappe di
ciascuno spostamento.
La maggior parte di essi vide la luce in Germania e
nelle Fiandre, che devono senza dubbio considerarsi i
luoghi d’origine di questa particolare devozione.
Durante il periodo della loro unificazione politica
e culturale sotto la corona dell’imperatore Carlo V
d’Asburgo (1500-1558), dai paesi nordici la devozione
agli spostamenti di Cristo durante la passione fu accolta con grande entusiasmo anche in Spagna, trovando riflesso fin negli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio
di Loyola (1491-1556), il fondatore della Compagnia
di Gesù.
Di qui, non a caso veicolata soprattutto dai Gesuiti, la
pia pratica fu progressivamente diffusa in tutti gli altri territori allora sottoposti alla dominazione iberica:
non solo il Regno di Sardegna o quello delle due Sicilie, ma anche l’America meridionale e le Filippine.
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Emblematico in tal senso, proprio per la nostra isola,
anche se ormai riferibile alla piena maturità della pratica, può considerasi il titolo di un libretto stampato a
Cagliari nel 1615 da Martin Saba e a Sassari, l’anno seguente, da Bartholomeo Gobetti: Via Sacra de los 1321
passos que Christo nuestro Señor anduvo desde el pretorio
de Pilatos asta el Calvario.
Giunta nel sud Europa, la commemorazione dei
tragitti o pasos dolorosi di Cristo si affiancò per poi
sovrapporsi ad analoghe pratiche devozionali già
esistenti fin dal medioevo: quelle processioni penitenziali che culminavano in sacre rappresentazioni
della passione di Gesù, dette in Italia Misteri e in
Spagna theatro de los Misterios. Esse prevedevano la
messa in scena di vari episodi della storia sacra, ad
opera di confraternite o compagnie penitenziali specializzate. Siccome si aveva difficoltà a cambiare le
scenografie, venivano allestiti tanti palchi quanti dovevano essere gli atti, e gli spettatori si spostavano
processionalmente dall’uno all’altro.
Dopo il Concilio di Trento (1545-1563), per il loro carattere popolare che facilmente si prestava al diffondersi di errori interpretativi dei misteri della salvezza, e perfino alla loro involontaria messa in ridicolo,
queste manifestazioni teatrali furono tassativamente proibite dall’autorità ecclesiastica. Può citarsi, ad
esempio, il Sinodo celebrato nella diocesi siciliana di
Mazara, che nel 1575, sotto la minaccia di gravi pene,
metteva al bando le sacre rappresentazioni inscenate
da attori, invitando a sostituirle con corrispondenti
gruppi statuari.
Di qui dunque il doppio nome di misterios o passos con
cui, nella Cagliari di metà Settecento, ancora venivano
normalmente definiti i simulacri di questo stesso tipo
che l’Arciconfraternita del Santo Cristo aveva commissionato al Lonis.
Per quanto riguarda il momento in cui la processio28
ne dei Misteri fu impiantata anche in Sardegna, esso
parrebbe doversi considerare relativamente tardivo. Il
più antico elemento di un simile gruppo di sculture,
nell’isola, risulta infatti essere un Cristo flagellato della chiesa di San Francesco ad Alghero, di un tale verismo, nella sua raccapricciante scarnificazione, da essere conosciuto con il popolare nomignolo di Rosegat (il
“Rosicchiato”). Comunemente viene datato alla prima
metà del Seicento e ritenuto di provenienza catalana.
Relativamente a Cagliari, poi, la prima notizia della devota consuetudine si ha nel lascito stabilito da
Francesco Angelo Dessì, nel 1670, per il suo impianto
nella chiesa di Santa Croce in Castello, antico collegio dei padri Gesuiti, da cui nel 1795 essa fu quindi
trasferita in quella di San Michele a Stampace che ne
è tuttora la sede.
È probabile che notevoli difficoltà al diffondersi in
terra sarda di nuove pratiche religiose siano state
causate anche dall’inquisizione. Come scrive Angelo
Rundine, «una cura particolare era posta dagli inquisitori nel censurare le opere a contenuto devozionale
(…). La necessità di semplificare il messaggio religioso, infatti, esponeva spesso gli autori a raffigurazioni
agiografiche e catechistiche non sempre ortodosse. Gli
inquisitori si prefiggono in queste circostanze lo scopo
di correggere i comportamenti religiosi dei fedeli».
Esemplare, in questo senso, quanto accaduto a Sassari nel 1623. L’inquisitore Diego Gámiz dovette rispondere alle accuse di prevaricazione rivoltegli dal
visitatore Hernando de Villegas. Tra le altre cose gli
fu rimproverato di aver proceduto, senza l’autorizzazione del tribunale centrale dell’inquisizione spagnola (la Suprema), alla censura e al sequestro di un
libretto fatto stampare dal guardiano del convento
dei Cappuccini di Sassari.
Il Gámiz, nella propria memoria difensiva, esponeva
di essere stato invitato dai frati sassaresi ad assistere
a una processione che, dalla città, portava al loro convento posto fuori le mura. Durante il percorso, lungo
il quale erano state disposte “le stazioni della Via Crucis”, per pochi soldi veniva venduto ai fedeli un librillo
nel quale era riportato il «modo como se avian de andar
aquellas estaciones, lo que avian de rezar y contemplar en
ellas». La pubblicazione venne fornita anche all’inquisitore il quale, sfogliatala, la dichiarò subito proibita in
quanto stampata senza il nome dell’autore. Essa inoltre conteneva «milagros que avian sucedido y seguridad
que tenian de alcanzar el cielo los que las continuassen y
otras cosas», che al suo occhio acuto e sospettoso parvero irrimediabilmente apocriphas.
Di qui l’invito a sospendere la vendita del libro che il
padre guardiano tuttavia non accolse, sostenendo che
l’autore era provato e il suo contenuto «santissimo y
provechoso», per cui sarebbe stato addirittura un peccato togliere «aquel bien al pueblo».
Il giorno dopo Diego Gámiz ne fece esaminare il contenuto ai qualificatori del proprio ufficio, i quali vi
riscontrarono addirittura «algunas proposiciones» eretiche. Fu quindi emesso un editto che intimava a tutti
i possessori del testo di consegnarlo all’inquisizione.
Pochi giorni furono sufficienti per recuperarne un
gran numero di copie, segno dell’autentico terrore che
si aveva del poter incorrere per qualsiasi motivo nei
rigori del tribunale.
La Domenica delle Palme
Le processioni con le statue dei Misteri avevano l’evidente funzione di introdurre i fedeli nel clima della Settimana santa, preparandoli nello specifico ai giorni del
Triduo pasquale nei quali vengono direttamente rievocati tradimento, arresto, passione, morte e resurrezione
di Gesù. Il primo atto del dramma ha luogo la Domenica
delle Palme. Nelle prime ore del mattino in tutte le parrocchie cittadine si rievoca l’ingresso trionfale di Gesù a
Gerusalemme, con una processione nel corso della quale
i fedeli agitano rami di palma elegantemente intrecciati
con antica maestria. Terminati gli adempimenti liturgici, a mezzogiorno, gli appartenenti all’Arciconfraternita
della Solitudine si ritrovano nella chiesa di San Giovanni
Battista a Villanova, loro sede. Uno splendido crocifisso
a grandezza naturale che, ordinariamente, si conserva
nella terza cappella a sinistra, viene staccato dalla parete
ed adagiato nella cappella di fronte. Il braccio orizzontale della croce poggia sulla mensa dell’altare e quello superiore viene parzialmente introdotto all’interno del tabernacolo: segno teologico di Cristo che, nell’Eucarestia,
rinnova misticamente il proprio sacrificio consumato sul
Calvario, facendosi cibo per la vita spirituale dell’uomo.
A compiere l’operazione sono alcuni confratelli rivestiti
dell’abito penitenziale, che salgono sulle scale e toccano
il simulacro, coadiuvati da altri rimasti in borghese.
Il crocifisso viene quindi venerato da tutti i presenti, mentre la massa corale di San Giovanni esegue alcuni canti. Il
successivo Mercoledì santo, poi, nel corso di una cerimonia semipubblica, il simulacro verrà amorosamente lavato e profumato a cura delle consorelle. L’origine del rito è
incerta ma potrebbe risalire a una rievocazione simbolica
della cena di Betania, alcuni giorni prima della passione,
quando una donna venne a cospargere Gesù di un balsamo molto prezioso. Alle rimostranze degli apostoli per
il presunto spreco Gesù rispose di lasciar fare, ripetendo
l’annuncio della propria morte imminente: «Ha unto il
mio corpo in antecedenza, per la sepoltura» (Mc 14,8).
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Domenica delle Palme. Chiesa di San Giovanni Battista.
Calata del Crocifisso dell’Arciconfraternita della Solitudine.
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Domenica delle Palme. Chiesa di San Giovanni Battista.
Calata del Crocifisso dell’Arciconfraternita della Solitudine, il simulacro
deposto in una cappella laterale.
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Martedì santo. Processione dei Misteri della Congregazione degli Artisti.
I confratelli, nella chiesa di San Michele Arcangelo a Stampace, attendono
l’avviarsi del corteo.
Martedì santo. Processione dei Misteri della Congregazione degli Artisti.
Mistero raffigurante la Madonna addolorata nella discesa di via Azuni.
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Il Martedì santo
Si è già detto come la processione dei Misteri, a tutti gli effetti, rappresenti una forma embrionale di Via
Crucis molto più antica di quella suddivisa in quattordici stazioni, oggi generalmente praticata. Quest’ultima cominciò a diffondersi solo a partire dal secondo
quarto del XVIII secolo, grazie soprattutto all’opera del francescano San Leonardo da Porto Maurizio
(1676-1751) e del redentorista Sant’Alfonso Maria de’
Liguori (1696-1787), per poi prevalere nettamente.
A livello colloquiale si faceva perfino confusione, chiamando in modo improprio Via Crucis anche la proces-
sione dei Misteri. La prima, infatti, presupporrebbe la
meditazione del solo tragitto doloroso compiuto da
Gesù carico della croce, quindi dal pretorio di Pilato al Calvario, mentre la seconda, pur dimezzando il
numero delle stazioni, amplia idealmente il percorso
facendolo cominciare con la prima agonia patita dal
Signore nell’orto del Getzemani.
In genere, la processione dei Misteri risulta preferibilmente diffusa in quei luoghi caratterizzati dall’antica
presenza di case gesuitiche. La spiritualità ignaziana
doveva molto a questa pia pratica, come si evince dalla lettura degli Esercizi. In essi, ad esempio, il Loyola
raccomandava ai propri discepoli «la contemplazione
(…) di come Cristo Signore nostro andò da Betania verso Gerusalemme, fino all’ultima cena», sforzandosi di
«vedere il luogo. Qui sarà pertanto considerata la strada
da Betania a Gerusalemme, se larga, se stretta, se piana
etc.; similmente il luogo della cena, se grande, se piccolo, se di questa o quella forma». Il manuale ascetico,
poi, proseguiva meditando singolarmente anche tutti
gli altri spostamenti o misteri della passione di Cristo.
Punto di partenza della Via Dolorosa, dunque, per Sant’Ignazio era da considerarsi non l’Orto degli ulivi ma
Betania, un picolo villaggio negli immediati dintorni
di Gerusalemme. Qui Gesù e sua madre Maria, nei
giorni immediatamente precedenti la passione, si trovavano ospitati nella casa degli amici Lazzaro, Marta
e Maria. Proprio a Betania la tradizione apocrifa ambientava un episodio molto caro alla pietà popolare:
l’ultimo addio rivolto dal Figlio alla Madre prima dell’ultimo viaggio verso la Città santa, tanto più straziante in quanto perfettamente consapevole di quanto
sarebbe poi avvenuto.
A motivo di una controversa interpretazione dei riferimenti cronologici forniti dai vangeli, l’avvenimento
veniva riferito alla sera del martedì santo o al mattino
del giorno dopo. Questo forse spiega, unitamente al
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fatto che a fondarla siano stati i Gesuiti, come mai la
più antica processione dei Misteri celebrata a Cagliari
(dal 1670) si svolga nel pomeriggio del Martedì santo.
Il corteo prende avvio alle 15 dalla chiesa gesuitica di
San Michele a Stampace, sede dell’antichissima Congregazione degli Artieri o degli Artisti. I simulacri in uso,
pressoché identici a quelli appartenenti all’Arciconfraternita del Santo Cristo, furono realizzati anch’essi da
Giuseppe Antonio Lonis, negli anni finali del Settecento. Al loro trasporto lungo le vie cittadine collaborano
le arciconfraternite del Gonfalone, della Solitudine e del
Santo Cristo, cui fanno capo anche le masse corali di
accompagno. Con alla testa i tamburini, la “croce degli
attrezzi” propria del sodalizio e gli elementi del coro, la
processione discende la via Azuni per una prima sosta
obbligata nella chiesa di Sant’Anna, parrocchiale del
quartiere di Stampace. Da questo momento il percorso
varia di anno in anno anche se in genere, attraversata
piazza Yenne, imbocca via Manno per condurre al monastero delle Cappuccine. Passando per via De Candia
viene raggiunta la cattedrale. Di qui, scendendo lungo
la via Canelles e la via Mazzini, si arriva in piazza Costituzione, e, percorrendo via Sulis, fino alla parrocchiale
di San Giacomo. Comincia quindi il viaggio di ritorno
lungo via Principe Amedeo e la via Dettori, con prima
destinazione alla chiesa di Sant’Agostino. Risalite via
Baylle e via Azuni si arriva alla chiesa di Sant’Efisio,
per ritrovarsi ormai nottetempo al punto di partenza.
Anche in questo caso in ciascuna delle sette chiese entra
un solo Mistero per volta, accompagnato sempre dall’Addolorata, nel solito ordine: Agonia nel Getzemani;
Cristo catturato; Cristo flagellato; Ecce Homo; Salita al
Calvario; Cristo crocifisso; penitente che impersona il
Cireneo trasportando a spalla una grande croce nuda
di legno nero. Segue la Madonna addolorata, preceduta
dal corteo delle consorelle del Santo Cristo che inalberano la loro particolare croce di penitenza.
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Martedì santo. Processione dei Misteri
della Congregazione degli Artisti.
Devoto impersonante il Cireneo e tamburino
nella stazione presso la parrocchiale
di Sant’Anna.
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Martedì santo. Processione dei Misteri
della Congregazione degli Artisti.
Teoria dei sette simulacri lungo la salita
della via Manno.
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Martedì santo. Processione dei Misteri
della Congregazione degli Artisti.
Il corteo imbocca la porta dei Leoni,
primo avamposto del quartiere di Castello.
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Martedì santo. Processione dei Misteri
della Congregazione degli Artisti.
Sosta presso la chiesa cattedrale del Mistero
raffigurante Gesù alla colonna,
accompagnato dall’Addolorata.
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Martedì santo. Processione dei Misteri
della Congregazione degli Artisti.
Tappa conclusiva del corteo, nella discesa
di via Manno.
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Un influsso giansenista
Le due processioni cagliaritane dei Misteri non sono
sempre rimaste uguali a se stesse.
Come si legge sul contratto sottoscritto da Giuseppe
Antonio Lonis nel 1758, le statue dei «siete Misterios
o passos de la Passion», commissionategli dall’Arciconfraternita del Santo Cristo di Cagliari, avrebbero
dovuto rappresentare Despedida, Oracion del huerto,
Prision, Assotes, Coronacion de espinas, Cruz a cuestas
e Crucifixo.
La serie corrisponde quasi esattamente a quella del
Percorso o Tragitto doloroso di Cristo (Geistlich Strass)
eretto a Bassenheim, in Germania, nella prima metà
del Cinquecento. Esso comprendeva infatti un episodio descritto come “l’ultimo saluto di Gesù alla
Madre” e poi l’orazione nell’orto del Getzemani, la
flagellazione, l’incoronazione di spine, la condanna
a morte, la salita al Calvario e la crocifissione.
Sembrerebbe quindi che la statua della Madonna
addolorata, sia nei Misteri del Santo Cristo sia in
quelli di San Michele, originariamente rappresentasse l’estremo commiato tra Madre e Figlio – chiamato appunto nella consuetudine spagnola, Despedida de Jesus a la Santissima Virgen – alla partenza del
Salvatore per il suo definitivo viaggio alla volta di
Gerusalemme, prima di essere tradito.
L’Addolorata nei Misteri cagliaritani, considerandone anche la primaria ispirazione gesuitica, doveva pertanto aprire il corteo che oggi invece chiude.
Questo spiegherebbe lo strano particolare delle vesti
colorate d’uso quotidiano fatte indossare al simulacro, al posto di quelle nere a lutto credibilmente più
logiche e adatte stando esso – come nell’ordine attuale – al seguito del Crocifisso.
La retrocessione potrebbe essere avvenuta alla fine
del Settecento, quando anche la Chiesa sarda, governata per lo più da prelati piemontesi culturalmente
francofili, subì l’influenza del giansenismo. Questo
fu un movimento rigorista cattolico, sorto nel XVII
secolo in seno alla Chiesa francese, rimasto vitale
fino all’inoltrato Ottocento. La sua dottrina ascetica
ed austera, tra le altre cose, combatteva tutti quegli
aspetti della religiosità popolare basati sulla tradizione, le rivelazioni private o peggio la letteratura
apocrifa. Non ultime quelle devozioni emotive e
sentimentali – pure molto diffuse e care ai fedeli
– verso episodi della passione soltanto verosimili
ma non esplicitamente documentati dai testi sacri:
come appunto l’ultimo abbraccio di Gesù a Maria.
In Italia, in proposito, un’accesa polemica fu suscitata nel 1782 dal monaco benedettino Giuseppe Maria
Pujati, che ebbe l’appoggio del vescovo di Pistoia
Scipione de’ Ricci. La sua condanna si rivolgeva in
particolare contro le tre cadute di Gesù sotto il peso
della croce, gli incontri con Maria e con la Veronica, la sua deposizione dalla croce nel grembo della
Madre tuttora contemplate durante l’esercizio della
Via Crucis.
L’ipotesi di una normalizzazione giansenista del
corteo cagliaritano dei Misteri allo scadere del
XVIII secolo, d’altra parte, troverebbe conferma
nel raffronto tra il gruppo statuario appartenente
all’arciconfraternita del Santo Cristo e quello della chiesa di San Michele. Pur essendo opera dello
stesso artista, il Lonis, vi emerge una significativa
differenza tra i simulacri che rappresentano il sesto
episodio della serie originaria, la Cruz a cuestas o
Viaggio al Calvario. Il corrispondente Mistero del
Santo Cristo, realizzato nel 1758, raccoglie infatti
la tradizione extracanonica della caduta, mentre
quello di San Michele, successivo di quarant’anni
esatti (1798), rappresenta semplicemente Gesù che
cammina carico della croce, in totale conformità al
dettato evangelico.
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Il Mercoledì santo
Una prova del mutamento di ruolo tardivamente assegnato al simulacro della Vergine, nei due
gruppi cagliaritani dei Misteri, potrà forse essere
individuata nella complessa cerimonia che si svolge il Mercoledì santo, nell’oratorio del Santo Cristo, alle ore 17.
La Madonna addolorata, reduce dalla prima processione dei Misteri, viene nuovamente posta dai
confratelli ai piedi dell’altare maggiore. Le consorelle la spogliano degli indumenti colorati che aveva indossato per il Venerdì di Passione e, lasciatala
in camicia, l’avvolgono di cotone profumato.
È una vera e propria imbalsamazione, prefigurante le angosce mortali cui la Vergine dovrà presto
andare incontro. Rimossa la bambagia si procede a
un’accurata ripulitura del viso e a ravvivare l’acconciatura. In previsione dei dolorosi avvenimenti
ai quali è destinata ad assistere fin dall’indomani,
la statua viene quindi rivestita con le lugubri vesti
del lutto, ancora una volta secondo l’antica moda
spagnola. Si hanno così camicia e sottogonna nere;
blusa e gonna con plissettatura anteriore bianche;
cuffia che racchiude completamente i capelli; soggolo; lungo velo nero. Un fazzoletto bianco trapunto di croci nere, simbolo delle lacrime versate
da Maria sulle piaghe di suo Figlio, è poggiato su
entrambi gli avambracci, mentre le mani si intrecciano nello spasimo di una sofferenza tanto profonda quanto drammaticamente inane.
Mercoledì santo. Oratorio del Santo Cristo. Vestizione a lutto della
Madonna addolorata, il simulacro viene posto al centro del presbiterio.
Mercoledì santo. Oratorio del Santo Cristo. Vestizione a lutto della
Madonna addolorata, il simulacro è spogliato dei suoi abiti di gala.
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Durante lo svolgimento di queste operazioni gli
astanti recitano il rosario.
Alla fine il cotone usato per la simbolica composizione funebre viene distribuito ai fedeli come sacramentale.
Una vestizione analoga, a seguire, viene effettuata
dall’Arciconfraternita del Gonfalone nella chiesa
di Sant’Efisio a Stampace.
Alle 17,30 le consorelle estraggono dalla sua nicchia la statua della Madonna addolorata appartenente al sodalizio.
Anch’essa del tipo a trespolo, indossa sempre vesti nere che, impolverandosi di anno in anno, in
occasione della Settimana santa vengono cerimoniosamente mutate. Interessanti, anche in questo
caso, il colletto e i polsini in pizzo bianco, che
come il taglio dell’indumento, con blusa a corta
balza e gonna scampanata, appaiono di tipologia
già primo-ottocentesca: tale orizzonte cronologico, infatti, ben si accorda con quello assegnabile
al simulacro su base stilistica.
Probabilmente più antica, ed eredità di un’altra
statua simile ormai scomparsa, può invece essere
considerata l’ampia raggiera semicircolare in argento posta ad ornamento del capo, di gusto baroccheggiante.
Contemporaneamente, i confratelli provvedono a
collocare nella sua lettiga processionale un grande
simulacro del Cristo morto, e a vestire a lutto la
celebre statua di Sant’Efisio scolpita da Giuseppe
Antonio Lonis. Al simulacro del martire guerriero viene fatto indossare un mantello di seta nera,
mentre sull’elmo il solito vaporoso cimiero di piume a vivaci colori viene sostituito con un altro, a
sua volta nero. A una bandoliera nera viene ora
assicurata anche la spada d’argento pendente sul
fianco sinistro.
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Mercoledì santo. Oratorio del Santo Cristo. Vestizione a lutto della Madonna addolorata, imbalsamazione simbolica del simulacro con fasce di bambagia
profumata.
Mercoledì santo. Oratorio del Santo Cristo. Vestizione a lutto della Madonna addolorata, il simulacro indossa gli abiti neri.
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Mercoledì santo. Oratorio del Santo Cristo.
Vestizione a lutto della Madonna addolorata,
il simulacro al termine della cerimonia.
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Mercoledì santo. Oratorio del Santo Cristo. Vestizione a lutto della Madonna addolorata, la bambagia servita all’imbalsamazione simbolica del simulacro
viene distribuita ai fedeli come sacramentale.
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Mercoledì santo. Chiesa di Sant’Efisio a Stampace. Vestizione a lutto della Madonna addolorata dell’Arciconfraternita del Gonfalone, il simulacro è spogliato della sua veste ordinaria.
Mercoledì santo. Chiesa di Sant’Efisio a Stampace. Vestizione a lutto della Madonna addolorata dell’Arciconfraternita del Gonfalone, il simulacro indossa
la veste nera.
Mercoledì santo. Chiesa di Sant’Efisio a Stampace. Vestizione a lutto della Madonna addolorata dell’Arciconfraternita del Gonfalone, l’imposizione della
raggiera semicircolare in argento conclude la cerimonia.
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Il Giovedì santo
Per motivi organizzativi e pratici, non potendosi rispettare l’esatta successione cronologica degli avvenimenti riportata dai Vangeli, nei riti paraliturgici della
Settimana Santa cagliaritana la Vergine comincia a
soffrire le sue pene di Corredentrice fin dal Giovedì
santo. Così, mentre la Chiesa ufficialmente si appresta
a celebrare la messa in Coena Domini, che commemora
il sacramento dell’amore e l’istituzione dell’Eucaristia,
le confraternite procedono alla cerimonia de s’Incravamentu, la crocifissione di Gesù, che nella realtà storica
ebbe luogo il giorno successivo.
Nell’oratorio del Santo Cristo in San Giacomo, alle ore
15.30, una grande croce di legno nero viene posta al
centro dell’aula. Si estrae dal loculo sotto l’altare maggiore l’urna a vetri che custodisce un Cristo dalle braccia snodabili, il quale viene inchiodato alla croce. Un
sacerdote recita alcune preghiere e si comincia a rivestire il Crocifisso con fasce di bambagia intrisa di profumi, fino a ricoprirlo completamente. Subito dopo le
bende vengono tolte e il cotone distribuito ai presenti.
Viene quindi applicata la corona di spine. Il simulacro
infine, circondato di lumi, fiori e i piatti con su nenniri,
è fatto oggetto di una vera e propria veglia funebre,
accompagnata dai tristi cori dei confratelli.
Circa il cerimoniale seguito, è interessante notare
come esso proceda per elisioni, senza alcun rispetto
per quell’aristotelica “unità di tempo” tanto cara anche ai riformatori del teatro moderno: cosa che potrebbe pertanto indicarne l’incolta origine medievale.
Si assiste infatti alla crocifissione e immediatamente
dopo, saltando innalzamento della croce e deposizione, all’imbalsamazione del Cristo e al breve compianto che ne precedette la frettolosa sepoltura. Significativamente quest’ultimo rito, prolungato per tutta
la notte, viene chiamato de su Monumentu, nome che
nella lingua sarda antica designava la tomba. Di lì a
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poco (ore 16) un’analoga cerimonia sarà celebrata nella chiesa di San Giovanni Battista dall’Arciconfraternita della Solitudine. Il grande Cristo crocifisso con gli
arti snodabili viene prelevato dalla cappella laterale,
ove era stato deposto la Domenica delle Palme, per essere solennemente offerto alla venerazione dei fedeli
al centro dell’aula circondato da lumi, fiori e nenniris.
Un picchetto di confratelli monta la guardia d’onore
fino a notte inoltrata.
L’atmosfera luttuosa del contesto è accentuata dalla
presenza, in chiesa, della grande lettiga in legno laccato e dorato (in sardo sa lettéra) che, di lì a due giorni,
servirà a trasportare processionalmente il corpo del
Cristo morto dopo la cerimonia de su Scravamentu (la
deposizione dalla croce).
Solitamente custodita in un locale di sgombero, la lettiga tutti gli anni viene predisposta all’uso a cura della
Società del Cristo. È una libera associazione di fedeli
strettamente legata all’Arciconfraternita della Solitudine, che ha diritto a designarne il presidente. Ne possono far parte sia i confratelli sia quanti desiderano
concorrere al faticoso trasporto del Cristo e dell’Addolorata, nelle processioni del Venerdì e Sabato santo,
personalmente o versando una quota annuale come
contributo alle spese. Il suo presidente stabilisce i turni dei portatori e sovrintende ai cantori, avendo cura
che la precedenza sia sempre assicurata ai soci.
Secondo prescrizioni liturgiche di origine molto antica,
il Giovedì santo is Monumentus o sepolcri vengono allestiti non solo negli oratori confraternali, ma soprattutto
nelle chiese cittadine in cui, normalmente, sia conservata
l’Eucarestia.
Si tratta di altari effimeri sontuosamente addobbati nei
quali, a conclusione della messa in Coena Domini celebrata nel tardo pomeriggio del Giovedì santo, vengono temporaneamente riposte alcune ostie consacrate da consumarsi nei due successivi giorni aliturgici.
I confratelli del Gonfalone, in adempimento di un
voto formulato probabilmente nel XVII secolo, portano la bella statua di Sant’Efisio a visitarne sette. Si
tratta quindi di una Visita delle sette chiese nella sua
formulazione più consueta.
La suggestiva processione notturna, al lume delle fiaccole, prende avvio da Stampace alle ore 20.
Pur soggetto a variazioni annuali, l’itinerario tipo prevede una prima tappa nella chiesa di Sant’Antonio
Abate, in via Manno, raggiunta dopo aver percorso
via Sant’Efisio, via Azuni e piazza Yenne. Di qui, lungo la via Manno e la via Cima ci si reca al monastero
delle Cappuccine.
Percorsa a ritroso via Cima si sale in piazza Martiri e
attraversata piazza Costituzione, lungo viale Regina
Elena e Via San Giovanni, si giunge alla chiesa dedicata al Battista. Scendendo in vico San Giovanni e via
San Giacomo si visita quindi l’oratorio del Santo Cristo. Passando per la via Sulis si torna in piazza Costituzione, dalla quale si imbocca l’ultimo tratto del viale
Regina Margherita.
In cima a via San Salvatore da Horta si visita la chiesa
di Santa Rosalia, e dopo essere discesi lungo via Principe Amedeo, piazzetta Dettori e via Dettori si entra
nella chiesa del Santo Sepolcro. L’ultimo tratto di strada, attraverso via Savoia, piazza Yenne e via Azuni,
conduce alla parrocchiale di Sant’Anna, dalla quale si
fa ritorno a Sant’Efisio.
Il cerimoniale prevede che la statua del martire venga
introdotta in ciascuna chiesa e posta in adorazione di
fronte al “sepolcro” con l’Eucaristia o al “monumento” con il Cristo morto, mentre i fedeli ascoltano una
breve omelia proposta dal sacerdote accompagnatore.
Stando a un anonimo poema in lingua sarda logudorese, pubblicato a Cagliari nel 1787, questa processione
trarrebbe la sua origine da un fatto miracoloso. Sant’Efisio, in aspetto minaccioso, sarebbe apparso «in su
Porcxu de Bolonha» (oggi portico Lamarmora, nel quartiere di Castello) a un uomo che intendeva fare strage
degli abitanti di Cagliari, gettando un potentissimo
veleno nelle acquasantiere di tutte le chiese cittadine.
Impressionato, l’attentatore rinunciò al proposito e
corse a confessarsi rivelando l’intero l’accaduto. Era il
Giovedì santo di un anno imprecisato, ma dall’accenno all’odio inestinguibile nutrito dal tristo contro la
città di Cagliari si dovrebbe verosimilmente pensare
al pieno Seicento, fase acuta della dura controversia
campanilistica che oppose a lungo Capo di sopra e
Capo di sotto della Sardegna.
Da allora, in segno di riconoscenza, nel giorno anniversario dell’avvenimento l’Arciconfraternita del
Gonfalone conduce in visita alle Sette chiese la statua
di Sant’Efisio anziché, come sottolinea il poeta, quella
dell’Addolorata.
Il riferimento è alla nota tradizione pansarda de sas
chilcas (le ricerche): la notte del Giovedì santo, dopo la
messa in Coena Domini e la reposizione dell’Eucaristia
nei cosiddetti Sepolcri, in molti centri dell’isola le statue della Vergine dolorosa e delle altre Marie vengono
portate in processione notturna di chiesa in chiesa, a
rievocare l’angoscia che colse le discepole una volta
appresa la notizia dell’arresto di Gesù.
Diversa la versione della vicenda nota nell’Ottocento a Giovanni Spano. In origine, secondo il canonico,
protagonista della processione sarebbe stata la statua
comunemente nota come Sant’Efis sballiau, perché
stringe la palma del martirio con la mano destra anziché con la sinistra e indossa non l’armatura ma una
semplice tunica.
In questa foggia “alla greca” il santo protettore di Cagliari sarebbe apparso in sogno al vicerè Filippo Pallavicino di Saint Remy, nei primi anni della dominazione sabauda della Sardegna (1720 circa), per avvertirlo
di un tentato avvelenamento dei pozzi in Castello.
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Giovedì santo. Oratorio del Santo Cristo. S’Incravamentu, il simulacro del Cristo a braccia snodabili viene estratto dal loculo sotto l’altare per essere inchiodato alla croce.
Giovedì santo. Oratorio del Santo Cristo. S’Incravamentu, il Cristo crocifisso, avvolto nella bambagia profumata, viene simbolicamente imbalsamato.
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Giovedì santo. Oratorio del Santo Cristo. S’Incravamentu, veglia funebre del Cristo crocifisso deposto in su Monumentu (il sepolcro).
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Giovedì santo. Chiesa di San Giovanni Battista. S’Incravamentu del Cristo crocifisso dell’Arciconfraternita della Solitudine.
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Giovedì santo. Chiesa di San Giovanni Battista.
S’Incravamentu del Cristo crocifisso
dell’Arciconfraternita della Solitudine,
picchetto d’onore attorno al Crocifisso
solennemente esposto in su monumentu.
Giovedì santo. Visita alle Sette chiese
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Avvio del corteo dalla chiesa
di Sant’Efisio a Stampace.
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Giovedì santo. Visita alle Sette chiese dell’Arciconfraternita del Gonfalone. La processione percorre via Azuni.
Giovedì santo. Visita alle Sette chiese dell’Arciconfraternita del Gonfalone. Il simulacro di Sant’Efisio dinnanzi al sepolcro allestito nella chiesa di Sant’Antonio Abate.
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Giovedì santo. Visita alle Sette chiese dell’Arciconfraternita del Gonfalone. Sosta presso la chiesa delle monache Cappuccine.
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Giovedì santo. Visita alle Sette chiese dell’Arciconfraternita del Gonfalone. Ingresso nella chiesa di San Giovanni Battista.
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Giovedì santo. Visita alle Sette chiese
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Il corteo di fronte all’oratorio del Santo
Cristo.
Giovedì santo. Visita alle Sette chiese
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Il sepolcro allestito nella chiesa di Santa
Rosalia.
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Giovedì santo. Visita alle Sette chiese dell’Arciconfraternita del Gonfalone. Stazione presso la chiesa del Santo Sepolcro.
Giovedì santo. Visita alle Sette chiese dell’Arciconfraternita del Gonfalone. Di fronte al monumento a Carlo Felice.
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Pag. 64
Giovedì santo. Visita alle Sette chiese
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Sotto la torre dell’Elefante.
Pag. 65
Giovedì santo. Visita alle Sette chiese
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Ultima tappa del percorso, presso
la parrocchiale di Sant’Anna.
Giovedì santo. Visita alle Sette chiese
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Rientro nella chiesa di Sant’Efisio a Stampace.
Venerdì santo. Innalzamento della croce
dell’Arciconfraternita della Solitudine.
Nella chiesa di San Giovanni Battista
si attende l’avviarsi del corteo.
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Il Venerdì santo
La cerimonia in assoluto più amata, nell’odierna Settimana Santa cagliaritana, è il solenne trasporto del
Cristo crocifisso dalla chiesa di San Giovanni Battista
a Villanova verso la cattedrale, in Castello, effettuato
nel primo pomeriggio del Venerdì santo. Solitamente,
fin dalle prime ore del giorno, un folto gruppo di donne rimane in attesa, fuori dal portone, per assicurarsi
il privilegio di contribuire al trasporto del pesantissimo simulacro.
È la rivisitazione di un’antica azione drammatica chiamata “innalzamento della croce”, in origine il tragitto
di pochi metri fatto compiere al legno dopo la crocifissione, per essere piantato nel punto prestabilito.
Essa, nel corso del tempo, ha poi finito per confondersi con il viaggio al Calvario, prolungandosi perciò fino
ad oltre un chilometro di erta salita.
La processione, appannaggio dell’Arciconfraternita
della Solitudine, prende avvio da San Giovanni alle
ore 13. Il corteo è strutturato come quello che in antico
provvedeva ad accompagnare al patibolo i condannati
a morte. Due tamburini, in testa, suonano una marcia
funebre, seguiti da altrettanti stendardi neri sui quali
sono dipinti tutti i simboli della passione di Cristo. I
confratelli provvedono anche al trasporto di quattro
ornatissimi fanali in argento sbalzato che inquadrano,
al centro della strada, le due croci “di penitenza” dei
confratelli e delle consorelle.
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Le due file parallele di queste ultime, vestite completamente di nero e con il volto velato, accentuano l’atmosfera luttuosa del rito. Come in occasione dei funerali, ciascuna porta in mano una candela accesa.
La loro duplice schiera scura sembra quasi voler fare
da contrasto alla statua colossale del Crocifisso, trasportata da decine e decine di fedeli che le si assiepano attorno con le mani tese, cercando di toccarla.
In segno di venerazione i confratelli tendono sopra di
essa un ampio baldacchino: di colore bianco e ornato
di simboli eucaristici però, non a lutto, a significare
che la morte di Cristo deve considerarsi un dono per
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la vita, nella speranza della resurrezione. Viene quindi il simulacro della Madonna addolorata, ai cui piedi
due bambini in costume impersonano l’apostolo San
Giovanni e Maria Maddalena: sono quanto rimane
delle sacre rappresentazioni medievali impersonate
da attori, la cui possibile carica eversiva, agli occhi
dell’autorità ecclesiastica, venne stemperata e alla fine
neutralizzata nell’innocenza dei fanciulli.
Un tempo facevano parte delle processioni anche altri
personaggi in costume chiamati varones, che rappresentavano Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, ma da
tempo le loro figure sono state soppresse.
Venerdì santo. Innalzamento della croce
dell’Arciconfraternita della Solitudine.
Ingresso in piazza Costituzione.
Venerdì santo. Innalzamento della croce
dell’Arciconfraternita della Solitudine.
Le consorelle sotto la porta dei Leoni.
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Chiude il corteo la folta massa dei cantori in saio bianco, che ad ogni tappa intona una serie di lugubri e
struggenti inni ai patimenti di Cristo e di Maria, in
lingua italiana, quasi tutti settecenteschi e di matrice
colta. Dopo aver raccolto al suo passaggio centinaia
di persone, in corrispondenza all’ora della morte di
Gesù secondo i vangeli, le 15, il crocifisso fa il suo ingresso solenne in cattedrale. Dal 2007 è stata ripresa la
cerimonia del suo innalzamento, sopra il presbiterio,
interrotta da tempo ormai immemorabile. Ricevuta
l’adorazione e il bacio di tutti i presenti, il simulacro
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viene quindi calato e deposto al centro del transetto
settentrionale, dove rimane in venerazione fino al
giorno successivo. Subito dopo l’Addolorata, con tutta la confraternita, fa ritorno a San Giovanni.
In quegli stessi momenti, alle 4 del pomeriggio, dall’oratorio del Santo Cristo in Villanova l’omonima
confraternita guida un’altra processione del Crocifisso, che si svolge seguendo un cerimoniale del tutto analogo. Si hanno quindi il tamburino, la “croce
dei misteri” affiancata da due fanali, la massa corale,
il Cristo in croce posto sotto un baldacchino bianco.
Venerdì santo. Innalzamento della croce
dell’Arciconfraternita della Solitudine.
Il Cristo crocifisso, sotto un baldacchino
bianco, fa il suo ingresso nel quartiere
di Castello.
Venerdì santo. Innalzamento della croce
dell’Arciconfraternita della Solitudine.
La Madonna addolorata al seguito del Figlio.
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L’unica differenza consiste nel fatto che i bambini in
costume al seguito dell’Addolorata, che seguono il
Crocifisso separati dalle due file delle consorelle, sono
quattro anziché due per impersonare, oltre all’apostolo beneamato e alla Maddalena, anche Maria Salomè
e Maria di Cleofa. Meta del corteo è la parrocchiale di
San Lucifero, dove il Cristo viene deposto sui gradini
frontali del presbiterio.
Anticamente s’Incravamentu e su Scravamentu venivano
effettuati anche presso le parrocchie di Marina e Stampace. A conservarne memoria, però, oggi è solo quest’ultima, nella chiesa di Sant’Efisio. Alle ore 20 i confratelli
del Gonfalone, al lume delle fiaccole, compongono una
processione portando sulle spalle la lettiga di legno laccato e dorato in cui giace un grande Crocifisso a braccia
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snodabili, parzialmente rivestito dei lini funebri. Segue
l’Addolorata, con l’accompagno anche in questo caso
di due bambini travestiti da San Giovanni Evangelista
e Santa Maria Maddalena. Il corteo, in un suggestivo e
commovente gioco di luci, percorre le principali vie del
quartiere prolungandosi fino a notte inoltrata.
La cerimonia è quanto si conserva della tradizionale
crocifissione e conseguente deposizione drammatica
del Cristo, che nel 1827 il viaggiatore francese Charles
de Saint Severin descriveva come la più sontuosa e partecipata della città: «Le Vendredi saint, (…) dans l’eglise
de Sain-François du faubourg Stampace, eut lieu, au milieu
d’un concour général des fidèles, la cérémonie de la descente
de croix. Un prédicateur fit un sermon ànalogue à la circonstance, c’est à dire fort pathétique. Près du prédicateur était
placé sur une estrade un Christ énorme, au pied du quel étaient
deux personnages représentants, l’un saint Jean, disciple bien
aimé, et l’autre la Vierge. A chaque aspiration touchante de
l’orateur, on entendait les sanglots dans l’auditoire, et les deux
personnages s’essuyaient les yeux avec des voiles blancs. Après
la descente de croix, eut lieu dans toute la ville une procession,
ou les attributs et les personages de la Passion étaient figurés;
on porte à cette procession le Christ descendu de la croix, et
couché sur une sorte de palanquin». Un caso a parte, nel
quadro delle celebrazioni cittadine del Venerdì santo, è
rappresentato da quelle organizzate nella propria chiesa
di Monte Urpinu dall’Arciconfraternita dei Santi Giorgio
e Caterina, detta dei Genovesi. Essendo stato costituito
fin dall’origine su basi etniche, cioè con soggetti oriundi
liguri o discendenti da famiglia ligure, per motivi storici
e culturali l’importante sodalizio è sempre rimasto refrattario all’adozione di pratiche religiose spagnoleggianti. I
suoi membri, di conseguenza, in questo giorno adorano
la croce secondo il rito ufficialmente previsto dalla liturgia romana. Dopo il canto delle lamentazioni i confratelli
introducono in chiesa un Crocifisso processionale di medie dimensioni, opera dell’intagliatore genovese Anton
Maria Maragliano, compiendo lungo la navata le tre soste canoniche. Il simulacro viene quindi deposto ai piedi
dell’altare ed offerto all’adorazione dei fedeli.
Venerdì santo. Innalzamento della croce dell’Arciconfraternita della Solitudine. Poco prima delle tre del pomeriggio il Crocifisso fa il suo ingresso in
cattedrale.
Venerdì santo. Innalzamento della croce dell’Arciconfraternita della Solitudine. Il Crocifisso viene issato sul presbiterio della cattedrale.
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Venerdì santo. Innalzamento della croce dell’Arciconfraternita della Solitudine. Alle tre del pomeriggio, ora della morte di Cristo secondo i vangeli, il
Crocifisso è innalzato sul presbiterio della cattedrale.
Venerdì santo. Innalzamento della croce dell’Arciconfraternita della Solitudine. Il Crocifisso calato dal presbiterio della cattedrale.
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Venerdì santo. Innalzamento della croce dell’Arciconfraternita della Solitudine. Il Crocifisso deposto in adorazione nel transetto sinistro della cattedrale.
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Venerdì santo. Innalzamento della croce dell’Arciconfraternita della Solitudine. La Madonna addolorata fa ritorno alla chiesa di San Giovanni Battista.
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Venerdì santo. Innalzamento della croce dell’Arciconfraternita del Santo Cristo. La testa del corteo in attesa della partenza, di fronte all’oratorio confraternale.
Venerdì santo. Innalzamento della croce dell’Arciconfraternita del Santo Cristo. La processione, con la Madonna addolorata, sfila in via Eleonora d’Arborea.
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Venerdì santo. Innalzamento della croce dell’Arciconfraternita del Santo Cristo. Quattro bambini impersonano il discepolo beneamato San Giovanni
Evangelista, Santa Maria Maddalena, Maria Salomè e Maria di Cleofa.
Venerdì santo. Innalzamento della croce dell’Arciconfraternita del Santo Cristo. Il Crocifisso, deposto in adorazione, sulla scalinata del presbiterio nella
parrocchiale di San Lucifero.
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Venerdì santo. Processione del Cristo morto
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Attesa della partenza nella chiesa
di Sant’Efisio a Stampace.
Venerdì santo. Processione del Cristo morto
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Il simulacro del Crocifisso con le
braccia snodabili composto in sa lettéra
(la lettiga).
Venerdì santo. Processione del Cristo morto
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Il corteo di fronte alla torre dell’Elefante.
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Venerdì santo. Processione del Cristo morto
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
La Madonna addolorata con due bambini
che impersonano San Giovanni Evangelista
e Santa Maria Maddalena.
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Venerdì santo. Chiesa dei Santi Giorgio
e Caterina. Adorazione della croce
dell’Arciconfraternita dei Genovesi,
ingresso del Crocifisso.
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Venerdì santo. Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina. Adorazione della croce dell’Arciconfraternita dei Genovesi, il Crocifisso deposto ai piedi del presbiterio.
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Venerdì santo. Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina. Adorazione della croce dell’Arciconfraternita dei Genovesi, il Crocifisso riceve l’omaggio dei fedeli.
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Il Sabato santo
Nella testimonianza degli evangelisti Gesù morì
sulla croce alle tre del pomeriggio di un venerdì.
Poco dopo gli fu squarciato il cuore con un colpo di
lancia e fu deposto. Ormai incombeva il tramonto
e con esso l’obbligo dell’assoluto riposo sabbatico
imposto agli ebrei dalla legge mosaica. Il corpo del
Crocifisso venne quindi ripulito alla meglio, avvolto in un lenzuolo e frettolosamente racchiuso in un
sepolcro scavato presso il luogo del supplizio. Il Sabato santo, nella realtà storica, fu un giorno di silenzio e di attesa. Attesa della resurrezione, avvenuta
nelle prime ore della Domenica di Pasqua.
Non così nelle tradizionali rievocazioni cagliaritane
della passione. Per motivi pratici, posticipando di
molte ore l’effettiva successione cronologica degli
eventi, esse dedicano la mattina di questo giorno
alla cerimonia de su Scravamentu.
Alle 8.30 nella parrocchiale di San Lucifero, a cura
dei confratelli del Santo Cristo che in questo momento rappresentano Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, il Crocifisso con le braccia snodabili viene
schiodato dal suo patibolo e deposto in un’elegante lettiga. Le consorelle, quindi, stendono sul catafalco un sottile velo di pizzo bianco. Legandone le
quattro estremità con fiocchi neri simboleggiano la
chiusura del sepolcro, che rimarrà esposto al centro
della chiesa fino a sera. Giusto privilegio da sempre
riservato a mani femminili, poiché come narrato dai
vangeli «le donne che avevano accompagnato Gesù
dalla Galilea, avendo seguito Giuseppe da vicino,
guardarono bene la tomba e come era stato deposto
il corpo di Lui», mentre gli apostoli erano fuggiti.
Alle 10 la stessa cerimonia viene ripetuta in cattedrale. L’Arciconfraternita della Solitudine vi ha
trasportato la lettiga processionale. Alla presenza
dell’arcivescovo si cantano le lodi mattutine, men88
tre alcuni confratelli montano la guardia d’onore
attorno al Cristo morto, ancora solennemente esposto nella cappella di re Martino. Il simulacro viene
quindi trasportato in processione lungo la navata
laterale sinistra, per trovare posto nel mezzo dell’aula. Seguendo le indicazioni del predicatore quaresimalista si effettua su Scravamentu: il simulacro
viene schiodato dalla croce e deposto nella lettiga.
Coperta dal solito velo bianco quest’ultima rimane in venerazione ai piedi del presbiterio, mentre i
chiodi e la corona di spine vengono portati via.
Contemporaneamente, nell’oratorio del Santo Cristo, si comincia a respirare un’atmosfera di gioia.
Le consorelle, appena ritornate da su Scravamentu,
vestono a festa la Vergine Gloriosa. Operazione abbastanza semplice. Gli si deve soltanto far indossare
un manto celeste e ravvivare l’acconciatura, cui viene sovrapposto un velo bianco fermato da una corona imperiale. I confratelli, nel mentre, estraggono
dalla sua nicchia la statua del Risorto.
L’unità di tempo torna ad essere stravolta nel pomeriggio. Alle 16.30 l’Arciconfraternita della Solitudine risale in Castello per la cerimonia de s’Interru,
il rientro del Cristo morto. Una staffetta di confratelli si è già presentata in cattedrale entro le 15, a
reclamare il possesso del simulacro che altrimenti,
secondo la tradizione, passerebbe di diritto al capitolo canonicale. Nucleo del corteo è in questo caso
la Madonna addolorata. Convenzionalmente, l’immediata successione cronologica rispetto agli eventi
del mattino si esprime con i due bambini impersonanti San Giovanni e la Maddalena, che riportano sul
simbolico monte Calvario i tre chiodi e la corona di
spine. Di fronte alla bara Maria dismette la sontuosa
raggiera in argento di cui solitamente è adorna, per
indossare il serto di rovi con cui suo Figlio era stato
deriso e martoriato.
Sabato santo. Chiesa di San Lucifero. Su Scravamentu (la deposizione) dell’Arciconfraternita del Santo Cristo, il Crocifisso sui gradini del presbiterio.
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È come se si riprendesse una scena dal punto esatto
in cui era stata interrotta, dando corso a una cerimonia precedentemente elusa: il corpo morto di Gesù,
avvolto nella sindone, viene quindi accompagnato
al sepolcro con una lunga processione notturna per
le vie della città.
Stavolta ai confratelli spetta il compito di trasportare
la lettiga con il Cristo e la grande croce rimasta nuda,
mentre i fedeli si alternano a sostenere le aste del baldacchino. Nelle stesse ore sfilano in processione per
le strade di Villanova anche i confratelli del Santo
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Cristo, che riportano nel loro oratorio la lettiga con
Gesù morto prelevata nella chiesa di San Lucifero. Il
tempo del dolore, però, è ormai terminato.
Al rientro del mesto corteo, subito dopo un breve riposo, l’Arciconfraternita del Santo Cristo si ritrova
improvvisamente in festa. Alle 23.45 sono già state
preparate le statue del Cristo Risorto e della Vergine
Gloriosa. Gesù liberato da morte viene trasportato
processionalmente nella vicina parrocchiale di San
Giacomo, dove la messa di mezzanotte celebra fin
dai primi istanti la Domenica di Resurrezione.
Sabato santo. Chiesa di San Lucifero. Su Scravamentu dell’Arciconfraternita del Santo Cristo, il simulacro del Cristo viene schiodato dalla croce.
Sabato santo. Chiesa di San Lucifero. Su Scravamentu dell’Arciconfraternita del Santo Cristo, il Cristo composto in sa lettéra (la lettiga).
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Sabato santo. Chiesa di San Lucifero. Su Scravamentu dell’Arciconfraternita del Santo Cristo, sa lettéra ricoperta da un velo bianco a simboleggiare la
chiusura del sepolcro.
Chiesa cattedrale. Su Scravamentu dell’Arciconfraternita della Solitudine, trasporto de sa lettéra.
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Sabato santo. Chiesa cattedrale.
Su Scravamentu dell’Arciconfraternita
della Solitudine, picchetto d’onore attorno
al Crocifisso deposto nel transetto sinistro.
Sabato santo. Chiesa cattedrale.
Su Scravamentu dell’Arciconfraternita
della Solitudine, il Crocifisso viene
trasportato nella navata centrale.
Sabato santo. Chiesa cattedrale.
Su Scravamentu dell’Arciconfraternita
della Solitudine, il simulacro del Cristo
è schiodato dalla croce.
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Sabato santo. Chiesa cattedrale. Su Scravamentu dell’Arciconfraternita della Solitudine, i confratelli depongono il Cristo dalla croce.
Sabato santo. Chiesa cattedrale. Su Scravamentu dell’Arciconfraternita della Solitudine, il Cristo composto in sa lettéra attorniato dalla massa corale di
San Giovanni.
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Sabato santo. Oratorio del Santo Cristo.
Vestizione della Vergine Gloriosa, il simulacro
è spogliato delle sue vesti ordinarie.
Sabato santo. Oratorio del Santo Cristo.
Vestizione della Vergine Gloriosa, il simulacro
indossa le vesti di gala.
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Sabato santo. Oratorio del Santo Cristo. Vestizione della Vergine Gloriosa, sistemazione dell’acconciatura.
Sabato santo. Oratorio del Santo Cristo. Vestizione della Vergine Gloriosa, l’imposizione della corona imperiale conclude la cerimonia.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo
morto dell’Arciconfraternita della Solitudine.
I confratelli tornano in cattedrale
per riprendere in consegna il Crocifisso.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo morto dell’Arciconfraternita della Solitudine.
Due bambini, impersonanti San Giovanni Evangelista e Santa Maria Maddalena, riportano sul simbolico Monte Calvario la corona di spine e i chiodi
della crocifissione.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo morto dell’Arciconfraternita della Solitudine. L’Addolorata, in cattedrale, di fronte al feretro del Figlio.
Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo morto dell’Arciconfraternita della Solitudine. Sa lettéra (la lettiga) con il Crocifisso lascia la cattedrale.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo morto dell’Arciconfraternita della Solitudine. Il corteo in uscita dalla porta dell’Aquila.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo morto dell’Arciconfraternita della Solitudine. La croce, ormai vuota, portata a spalle da un confratello.
Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo morto dell’Arciconfraternita della Solitudine. Il corteo ai piedi del bastione Saint Remy.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo morto dell’Arciconfraternita della Solitudine. Processione notturna lungo le vie del quartiere di Villanova.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo morto dell’Arciconfraternita della Solitudine. L’Addolorata segue il feretro del Figlio.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo
morto dell’Arciconfraternita della Solitudine.
Sa lettéra nella chiesa di San Giovanni
Battista, tappa conclusiva del corteo.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo morto dell’Arciconfraternita del Santo Cristo. Fedeli in attesa presso l’oratorio confraternale.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo morto dell’Arciconfraternita del Santo Cristo. La Madonna addolorata, di ritorno dalla chiesa di San Lucifero,
sfila in piazza Costituzione.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo morto dell’Arciconfraternita del Santo Cristo. Il corteo imbocca via Garibaldi.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo morto dell’Arciconfraternita del Santo Cristo. La massa corale di San Giacomo.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo
morto dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
L’Addolorata accompagna alla tomba
il feretro del Figlio.
Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo
morto dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
La croce ormai nuda portata a spalle
da un devoto.
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Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo
morto dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Il corteo lungo le vie del quartiere
di Villanova.
Sabato santo. S’Interru o rientro del Cristo
morto dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Arrivo del feretro all’oratorio confraternale,
simboleggiante il sepolcro.
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Sabato santo. Uscita del Cristo risorto dell’Arciconfraternita del Santo Cristo. L’oratorio confraternale nei minuti precedenti la mezzanotte di Pasqua.
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Sabato santo. Uscita del Cristo risorto
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
L’uscita del simulacro dall’oratorio confraternale simboleggia la resurrezione di Gesù.
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Sabato santo. Uscita del Cristo risorto
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Una breve sosta del simulacro, di fronte
alla parrocchiale di San Giacomo,
simboleggia la discesa di Gesù agli inferi
subito dopo la resurrezione.
Sabato santo. Uscita del Cristo risorto
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
L’ingresso del simulacro nella parrocchiale
di San Giacomo, ancora immersa
nella penombra del lutto, rappresenta
il ricongiungersi del Risorto
con la sua Chiesa e l’apparizione ai discepoli.
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Sabato santo. Uscita del Cristo risorto
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Con l’arrivo del simulacro ai piedi
del presbiterio, la chiesa si illumina a giorno
in segno di giubilo e dopo tanto dolore
può finalmente avere inizio la messa
della mezzanotte di Pasqua.
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Domenica di Pasqua
Fra le tradizioni sarde legate alla Settimana Santa, ha
mostrato maggiore vitalità e risulta ancora conservata
in quasi tutti i centri dell’isola quella detta de s’Incontru. “L’incontro” per antonomasia, quello che, secondo
i vangeli apocrifi, sarebbe avvenuto subito dopo la sua
resurrezione tra Gesù e la Vergine Maria. I testi canonici
designano come prima testimone dell’evento centrale
del cristianesimo una semplice discepola, Maria Maddalena. La pietà dei primi fedeli, però, evidentemente
non poteva ammettere che un figlio avesse riservato la
primizia di una simile gioia ad altri che alla propria madre: di qui la correzione in un certo qual senso apportata alle narrazioni evangeliche ufficiali.
Ecco quanto ad esempio ne scriveva nei suoi Ejercicios
espitituales (1548) Sant’Ignazio di Loyola, facendosi portavoce di una pia convinzione che, in ambito cattolico,
era universalmente condivisa: «Della Risurrezione di
Cristo nostro Signore e della sua prima apparizione.
Apparve alla Vergine Maria; il che, sebbene non si dica
nella Scrittura, si ritiene comunque per detto, dicendosi
che apparve a tanti altri; poiché la Scrittura suppone
che abbiamo intelletto, come sta scritto: “Siete anche
voi senza intelletto?”».
Protagonisti della rievocazione drammatica sono due
simulacri caratterizzati da un’iconografia molto precisa. Quello di Gesù risorto lo rappresenta seminudo,
coperto solo da un lenzuolo funebre drappeggiato in
ampie volute rigonfie, che suggeriscono lo sconvolgimento fisico degli elementi al momento della resurrezione: un’espressione di serena grandezza è il segno
della vittoria del Cristo sulla morte, ribadita anche dal
vessillo crocesignato da lui stretto nella mano destra.
La Madonna invece, se fino al giorno prima era stata
rappresentata in gramaglie e con il volto solcato dalle
lacrime, le mani intrecciate l’una nell’altra in un gesto
convulso di dolore, ora appare vestita di bianco, ornata
di una preziosa corona, il volto che esprime una gioia
piena di stupore e le braccia spalancate nell’atto di chi
si accinge a stringere al proprio seno il Figlio ritrovato.
La suggestiva cerimonia, a Cagliari, viene celebrata per
ben tre volte con minimi scarti di orario, a cura delle tre
parrocchie storiche di Marina, Stampace e Villanova.
Quest’ultima è quella che solitamente vede il maggiore
afflusso di fedeli.
Alle 10,30 della Domenica di Pasqua le statue di Gesù
Risorto e della Vergine Gloriosa, uscite rispettivamente
dalla parrocchiale di San Giacomo e dall’oratorio del
Santo Cristo a Villanova portate a spalla dai confratelli
del Santo Cristo, si incontrano alla metà di via Garibaldi. Appena giunte l’una presso l’altra, alla statua del
Figlio, secondo l’antico cerimoniale di corte spagnolo,
vengono fatti compiere tre inchini o riverenze che la
statua della Madre ricambia subito dopo. Quindi, affiancati, i due simulacri vengono portati a San Giacomo, per la celebrazione della solenne messa cantata.
Con circa mezz’ora di anticipo, sull’opposto crinale
del colle di Castello, la stessa cerimonia viene celebrata dalla parrocchia di Sant’Anna a Stampace. Alle 10 la
Gloriosa, trasportata dalla Congregazione degli Artieri,
esce dalla chiesa di Sant’Anna velata di nero; contemporaneamente il Risorto lascia la chiesa di Sant’Efisio in
spalla ai confratelli del Gonfalone. L’incontro avviene
nel corso Vittorio Emanuele all’altezza del punto in cui,
un tempo, sorgeva la chiesa di San Francesco, antico
teatro di tutte le cerimonie della Settimana santa del
quartiere di Stampace. Qui la Madonna smette il velo
nero e cinge una corona imperiale d’argento, in segno
di giubilo. Fatte le solite riverenze e posti fianco a fianco, i due simulacri marciano quindi verso la parrocchiale di Sant’Anna.
La mattinata di Pasqua, seguendo un analogo cerimoniale, termina con s’Incontru della parrocchia di Sant’Eulalia alla Marina. Il Risorto è trasportato da volontari in
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126
Domenica di Pasqua
S’Incontru (l’incontro) della parrocchia di San Giacomo a Villanova.
Il Cristo risorto risale la via Garibaldi.
Domenica di Pasqua
S’Incontru della parrocchia di San Giacomo a Villanova. La Vergine Gloriosa discende la via Garibaldi, mentre i confratelli del Santo Cristo spargono sulla strada i fiori e le erbe profumate de s’arramadura (l’infiorata).
saio nero, figura degli antichi confratelli dell’Orazione
e della Morte che avevano sede nella chiesa del Santo
Sepolcro; la Gloriosa da altri in sacco bianco con mantellina rossa, veste degli antichi confratelli del Sangue
di Cristo della chiesa di Santa Lucia. Punto d’incontro
dei due simulacri è la Via Roma, di fronte alla chiesa di
San Francesco di Paola. Espletato il cerimoniale del saluto e imboccata la via Napoli, i due simulacri vengono
quindi condotti a Sant’Eulalia dove verrà celebrata la
messa solenne di mezzogiorno.
127
Domenica di Pasqua.
S’Incontru della parrocchia di San Giacomo
a Villanova.
Un triplice reciproco inchino dei rispettivi
simulacri rappresenta il primo saluto tra il
Cristo risorto e la Vergine Gloriosa.
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Domenica di Pasqua. S’Incontru della parrocchia di San Giacomo a Villanova. I simulacri affiancati, nel simbolico abbraccio tra Madre e Figlio risorto.
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Domenica di Pasqua. S’Incontru
della parrocchia di San Giacomo a Villanova.
Il Cristo risorto e la Vergine Gloriosa
procedono verso San Giacomo,
per la celebrazione della messa di Pasqua.
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Domenica di Pasqua. S’Incontru
della parrocchia di Sant’Anna a Stampace.
Il Cristo risorto, accompagnato
dall’Arciconfraternita del Gonfalone,
percorre il corso Vittorio Emanuele.
Domenica di Pasqua. S’Incontru
della parrocchia di Sant’Anna a Stampace.
La Vergine Gloriosa, con la Congregazione
degli Artieri, ancora velata a lutto è in attesa
del Figlio sul luogo dell’antica chiesa
di San Francesco a Stampace.
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Pag. 134
Domenica di Pasqua. S’Incontru della parrocchia di Sant’Anna a Stampace.
Il saluto del Risorto a sua Madre.
Pag. 135
Domenica di Pasqua.
S’Incontru della parrocchia di Sant’Anna
a Stampace. La Vergine Gloriosa, deposto
il lutto, riabbraccia simbolicamente
il Figlio risorto.
Domenica di Pasqua.
S’Incontru della parrocchia
di Sant’Anna a Stampace.
I simulacri procedono processionalmente
verso Sant’Anna per la celebrazione
della messa pasquale.
136
Domenica di Pasqua.
S’Incontru della parrocchia
di Sant’Eulalia alla Marina.
Il Cristo risorto in via Roma.
137
Domenica di Pasqua. S’Incontru
della parrocchia di Sant’Eulalia alla Marina.
Arrivo della Vergine Gloriosa.
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Domenica di Pasqua. S’Incontru della parrocchia di Sant’Eulalia alla Marina. Abbraccio simbolico tra Maria e il Risorto di fronte alla chiesa di San Francesco di Paola.
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Lunedì dell’Angelo
Quale vero e proprio interludio alle celebrazioni cagliaritane del periodo pasquale, il Lunedì dell’Angelo,
si inserisce la processione votiva con cui l’Arciconfraternita del Gonfalone conduce da Stampace in Cattedrale la statua di Sant’Efisio scolpita dal Lonis.
L’origine della cerimonia rimonta al 1793, quando al
martire guerriero fu attribuita la salvezza di Cagliari
dall’assedio nel quale era stata stretta dalla flotta dell’ammiraglio francese Troguet, al tempo della grande
rivoluzione giacobina.
Il corteo, formato dai confratelli e dalle consorelle
del Gonfalone al gran completo, prende avvio dalla
chiesa di Sant’Efisio alle otto del mattino. Dopo aver
percorso via Sant’Efisio e via Azuni, attraversata la
piazza Yenne si inerpica in via Manno. A metà della
salita svolta in via Cima per una tradizionale sosta
140
presso il monastero delle Cappuccine. Qui la statua
del santo viene deposta ai piedi dell’altare maggiore,
di fronte a una grata dietro la quale le monache cantano in suo onore alcuni inni. La processione riprende infilando successivamente la porta dei Leoni e la
porta dell’Aquila, aperte nei baluardi meridionali del
Castello. Risalita via Canelles si giunge in cattedrale,
dove viene celebrata la santa messa di ringraziamento
stabilita dal voto. Dopo il canto dei goccius (laudi), infine, ripercorrendo il tragitto fatto all’andata, il corteo
rientra a Sant’Efisio.
Lunedì dell’Angelo. Processione votiva dell’Arciconfraternita del Gonfalone. Il corteo si dirige verso la cattedrale salendo la via Manno.
Lunedì dell’Angelo. Processione votiva dell’Arciconfraternita del Gonfalone. Sant’Efisio alla grata nel monastero delle Cappuccine.
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Lunedì dell’Angelo. Processione votiva
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Ingresso in Castello attraverso la porta
dei Leoni.
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Lunedì dell’Angelo. Processione votiva dell’Arciconfraternita del Gonfalone. Celebrazione della messa in cattedrale.
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Lunedì dell’Angelo. Processione votiva
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Sant’Efisio lascia la cattedrale.
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Lunedì dell’Angelo. Processione votiva
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
La processione sulla via del ritorno,
lungo via Canelles.
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Lunedì dell’Angelo. Processione votiva
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Uscita dalla porta dei Leoni.
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Lunedì dell’Angelo. Processione votiva dell’Arciconfraternita del Gonfalone. In piazza Martiri.
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Lunedì dell’Angelo. Processione votiva dell’Arciconfraternita del Gonfalone. Il lungo corteo di confratelli e consorelle discende via Manno.
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Lunedì dell’Angelo. Processione votiva
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
In piazza Yenne.
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Lunedì dell’Angelo. Processione votiva
dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Rientro alla chiesa di Sant’Efisio a Stampace.
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La Domenica in Albis
Gli impegni quaresimali della varie confraternite di
Cagliari si concludono ufficialmente nei primi giorni
subito dopo l’ottava di Pasqua, dedicati a is inserrus (le
chiusure). Le statue utilizzate per i riti della Settimana santa, rimaste esposte alla venerazione dei fedeli
fino a quel momento, vengono ricollocate nelle nicchie
chiuse con sportelli a vetri in cui aggiungeranno altri
dodici mesi ai loro secoli.
Un tempo, come tuttora avviene in Spagna e in vari
centri specie del meridione d’Italia, anche a Cagliari
questa cerimonia assumeva aspetti di particolare solennità. Oggi l’unica ad averla conservata in forma
pubblica è l’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Alle 10.30 della Domenica in Albis confratelli e conso-
relle, in abiti civili, si riuniscono nella parrocchiale di
San Giacomo. I simulacri del Risorto e della Gloriosa,
dopo una breve processione lungo le strade del quartiere di Villanova, vengono riportati nell’oratorio del
sodalizio. Il giorno dopo, in forma semipubblica, tornano entrambi nelle proprie nicchie. Analogamente,
nel tardo pomeriggio dello stesso primo lunedì dopo
l’ottava di Pasqua, vengono ricollocati nelle rispettive
cappelle della chiesa di San Giovanni anche i simulacri del Crocifisso e dell’Addolorata appartenenti all’Arciconfraternita della Solitudine.
Domenica in Albis. Is Inserrus (le riposizioni) dell’Arciconfraternita
del Santo Cristo. I simulacri del Cristo risorto e della Vergine Gloriosa
sui due lati del presbiterio nella parrocchiale di San Giacomo.
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Domenica in Albis. Is Inserrus
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Il Risorto e la Gloriosa escono
dalla parrocchiale di San Giacomo.
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Domenica in Albis. Is Inserrus
dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Breve processione dei due simulacri lungo
le strade del quartiere di Villanova.
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Domenica in Albis. Is Inserrus dell’Arciconfraternita del Santo Cristo. Rientro del corteo in piazza San Giacomo.
154
Domenica in Albis. Is Inserrus dell’Arciconfraternita del Santo Cristo. I simulacri del Risorto e della Gloriosa vengono riportati nell’oratorio confraternale.
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Domenica in Albis. Is Inserrus dell’Arciconfraternita del Santo Cristo. Il Risorto e la Gloriosa, nell’oratorio confraternale, attendono di essere ricollocati
nelle rispettive nicchie.
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L’accompagnamento musicale
Il momento storico in cui le commemorazioni drammatiche della passione e morte di Cristo furono introdotte
in Sardegna, generalmente, viene fatto corrispondere
alla dominazione spagnola (XIV-XVII secolo).
Se il discorso è senza dubbio valido per cerimonie
complesse quali la processione dei Misteri, gli studiosi mantengono qualche riserva circa le sacre rappresentazioni della crocifissione e deposizione dalla
croce (s’Incravamentu e su Scravamentu) che hanno
come protagonista un simulacro di Cristo a braccia
snodabili.
La probabile esistenza di tradizioni anche più antiche,
cui quelle spagnole si sarebbero sovrapposte, viene
argomentato sulla base del repertorio etnomusicale,
che in molti centri dell’isola conserva una propria originalità senza riscontri nella tradizione iberica. Basti
pensare all’evidente arcaicità di canti quali il Miserere e lo Stabat Mater, che vengono intonati durante la
Settimana Santa a Bosa, Tresnuraghes, Cuglieri, Santu Lussurgiu, Aidomaggiore o Castelsardo.
Cagliari, in questo senso, costituisce un caso a parte
di segno diametralmente opposto.
L’antica capitale del Regno di Sardegna, città marittima aperta per definizione agli scambi e alle più aggiornate suggestioni culturali provenienti dall’esterno, oggi conserva un repertorio tradizionale di canti
per la Settimana Santa interamente in lingua italiana
e quindi senza dubbio di gran lunga posteriore al periodo spagnolo.
Anzi l’esame dei testi e delle melodie corali, tutti di
matrice colta e ricchi di richiami operistici, li rivela in
gran parte risalenti al pieno Settecento e all’Ottocento, ormai fusi in un insieme del quale, almeno per ora,
non è agevole individuare le origini e le progressive
stratificazioni. Dal punto di vista letterario, allo stato
attuale della ricerca, possono esservi riconosciuti con
certezza due componimenti presudometastasiani e
uno di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori.
Nella testimonianza di Francesco Alziator, ancora nel
1963, di questi cori cagliaritani non esistevano «né
parole né partiture scritte», che venivano quindi tramandate «di generazione in generazione da parte di
corifei spesso analfabeti ed assolutamente ignari di
qualunque nozione teorica di musica».
La successiva trascrizione quantomeno delle prime, grazie alle formidabili capacità mnemoniche di
alcuni cantori anziani, dieci anni più tardi consentì
a Ignazio Onnis di sottoporle per la prima volta a
un’attenta analisi testuale.
Il risultato, piuttosto clamoroso, fu l’attribuzione a
Pietro Metastasio (1698-1782) di almeno una parte
dei canti cagliaritani, come quello intitolato: Tomba
che chiudi in seno, riscontrati presenti in «un libricino,
“La Via Crucis”, composto da San Leonardo da Porto
Maurizio e “Versetti” del Metastasio, di edizione e
data incerte ma con l’“imprimatur” del Mons. Can.
L. Rinaldi Vic. Gen. Neapolis».
In effetti, specie a partire dall’ultimo tratto del XVIII
secolo, circolarono in Italia vari libretti devozionali
di alterno pregio tipografico, quali ad esempio una
Via Crucis esposta nella maniera che la diresse il Padre
Leonardo dal Porto Maurizio Missionario Apostolico in
occasione della erezione di essa fatta in molti luoghi pii
e adornata di figure in ciascheduna Stazione e di versetti
sacri composti dal Sig(nor) Abate Pietro Metastasio, Lucca, presso Dom(enico) Maresc(andoli), s.d. Da questi,
come si vede, risulterebbe la paternità metastasiana
di un esteso commentario poetico alle quattordici
stazioni della Via Crucis, nella sua forma classica consolidatasi a partire dall’inizio del Settecento:
157
Brevi riflessi per la Via Crucis
Invito
A Gesù Crocifisso
Teco vorrei Signore
Oggi portar la croce
Nella tua doglia atroce
Io ti vorrei seguir.
Ma sono infermo e lasso,
Donami tu coraggio,
Acché nel mesto viaggio
Non abbiami a smarrir.
II Stazione
Gesù è caricato della croce
So che del suo supplizio
Appare reo ch’il porta;
So che la pena è scorta
Del già commesso error.
Ma se Gesù si vede
Di croce caricato
Paga l’altrui peccato
Sol per immenso amor.
V Stazione
Gesù è aiutato dal Cireneo
Se di tue crude pene
Son’io Signore il reo
Non deve il Cireneo
La croce tua portar.
S’io sol potei per tutti
Di croce caricarti
Potrò nell’aiutarti
Per uno sol bastar.
Tu col divin tuo sangue
Vammi segnando i passi
Ch’io laverò quei sassi
Col mesto lagrimar.
Né temerò smarrirmi
Pel monte del dolore
Quando il tuo santo amore
Mi insegni a camminar.
III Stazione
Gesù cade la prima volta
Chi porta in pugno il mondo
A terra è già caduto
Né gli si porge aiuto?
Oh Ciel! Che crudeltà!
Se cade l’uomo ingrato
Tosto Gesù il conforta
Ed è per Gesù morta
Al mondo ogni pietà?
VI Stazione
Gesù è asciugato dalla Veronica
Sì vago è il tuo tormento,
Bel volto del mio bene,
Che quasi in te diviene
Amabile il dolor.
In cielo che sarai
Se in rozzo velo impresso
Da tante pene oppresso
Spiri sì dolce amor?
I Stazione
Gesù è condannato a morte
Se il mio Signor diletto
A morte hai condannato
Spiegami almen, Pilato,
Qual fosse il suo fallir.
Che se poi l’innocenza
Error da te s’appella
Per colpa così bella
Potessi anch’io morir!
IV Stazione
Gesù incontra la sua SS.ma Madre
Sento l’amaro pianto
De la dolente Madre
Che gira tra le squadre
In traccia del suo ben.
Sento l’amato Figlio
Che dice: Madre, addio.
Più fier del dolor mio
Il tuo mi passa il sen.
VII Stazione
Gesù cade la seconda volta
Sotto i pesanti colpi
Della ribalda scorta
Un nuovo inciampo porta
A terra il mio Signor.
Più teneri de’ cuori
Siate voi, duri sassi,
Né più ingombrate i passi
Al vostro Creator.
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VIII Stazione
Gesù parla alle pie donne
Figlie non più su queste
Piaghe che porto impresse
Ma sopra di voi stesse
Vi prego a lagrimar.
Serbate il vostro pianto,
O sconsolate donne,
Quando la rea Sionne
Vedrete rovinar.
XI Stazione
Gesù è inchiodato sulla croce
Vedo sul duro tronco
Disteso il mio Diletto
E il primo colpo aspetto
Da l’empia crudeltà.
Quelle vezzose mani
Che al torno sembran fatte
Ahi! che il martel le batte
Senz’ombra di pietà.
XII Stazione
Gesù muore in croce
Veder l’orrenda morte
Del suo Signor non puole
Onde si copre, il sole,
E mostra il suo dolor.
Trema commosso il mondo,
Il sacro vel si spezza,
Piangon per tenerezza
I duri marmi ancor.
IX Stazione
Gesù cade la terza volta
L’ispido monte mira
Il Redentor languente
E sa che inutilmente
Per molti ha da salir.
Quest’orrido pensiero
Sì al vivo il cor gli tocca
Che languido trabocca
E sentesi morir.
XIII Stazione
Gesù è deposto dalla croce
Tolto di croce il Figlio
L’avide braccia stende
L’afflitta Madre e prende
In grembo il morto ben!
Versa per gli occhi il core
In lagrime disciolto:
Bacia quel freddo volto
E se lo stringe al sen.
X Stazione
Gesù è spogliato delle sue vesti
L’arca di Dio non mai
Del vel si vide scarca
E ignudo il Dio de l’arca
Vedrassi e senza vel?
Se nudità sì bella
Or ricoprir non sanno
Dite, mio Dio, che fanno
I Serafini in ciel?
XIV Stazione
Gesù è posto nel sepolcro
Tomba che chiudi in seno
Il mio Signor già morto,
Finch’Ei non sia risorto
Non partirò da te!
Alla spietata morte
Allor dirò con gloria:
Dov’è la tua vittoria,
Il tuo poter dov’è?
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A Cagliari i cantori facenti capo alle arciconfraternite
della Solitudine e del Santo Cristo, durante le cerimonie della Settimana Santa, con cospicue varianti e sempre come singole liriche avulse dal loro contesto originario intonano alcune parti di questa composizione,
in particolare la prima strofa dell’Invito (Teco vorrei Signore, C(anzoniere) S(olitudine) n. 6) e quelle relative
alle stazioni I (Se il mio Signor diletto, C.S. n. 5), II (Chi
porta il suo supplizio, C.S. n. 7), III (Chi porta in pugno il
mondo, C.S. n. 8), IV (Sento l’amaro pianto, C.S. n. 9), VI
(Sì vago è il tuo tormento, C.S. n. 10), XI (Vedo sul duro
tronco, C.S. n. 13), XII (Veder l’orrenda morte, C.S. n. 19),
XIII (Tolto di croce il Figlio, C.S. n. 22) e XIV (Tomba che
chiudi in seno, C.S. n. 23).
Non furono quindi adottate le strofe relative alle stazioni V e VII-X, forse perché troppo esplicitamente
descrittive di alcuni episodi della Via Crucis, laddove
i due sodalizi cagliaritani, custodi di tradizioni molto
più antiche rispetto a tale pia pratica, facevano uso di
questi canti nel corso della processione dei Misteri e
della processione del Cristo morto, cioè di due cerimonie sostanzialmente diverse.
La lirica dedicata A Cristo Crocifisso è composta di sedici strofe di due quartine in metro settenario, legate tra
loro dalla rima tronca finale del quarto e dell’ottavo
verso, che hanno rima baciata nel secondo e terzo verso, nel sesto e nel settimo, secondo lo schema abbc deec.
Lo schema metrico, quindi, è quello della canzonetta
chiabreresca che Pietro Metastasio riportò in auge con
varie sue composizioni, tra le quali famosissima La libertà pubblicata nel 1733.
Il nome del poeta cesareo fu riferito a queste strofe già
dai suoi contemporanei, come si può evincere dal frontespizio della Via Crucis qui riportato in principio di
discorso. Infatti, nonostante l’esemplare in questione
difetti di indicazione cronologica, essa potrà approssimativamente ricavarsi da vari elementi interni. San
160
Leonardo da Porto Maurizio (1676-1751) fu il maggior
propagatore della devozione alla Via Crucis, che nel
1750 ottenne il permesso di erigere perfino nel Colosseo di Roma. Egli fu beatificato nel 1796, data pertanto
assumibile quale terminus ante quem per la stampa dell’opera. Tale elemento collima con quanto noto circa
Domenico Marescandoli, stampatore attivo a Lucca
nei due decenni a cavallo tra XVIII e XIX secolo.
Può inoltre citarsi, a titolo d’esempio, anche la testimonianza costituita dall’opera di Giacomo Insanguine,
detto Monopoli (1728-1795), autore di Quattro Stazioni
dalle Canzoncine sopra la Via Crucis del Sig.r Pietro Metastasio. Della questione ebbe comunque ad occuparsi
lo stesso sommo poeta del Settecento italiano, direttamente interpellato in proposito dall’amico padre
Costantino Morri (o Morra) di Bologna. In una lettera
del 23 dicembre 1765 il Metastasio gli scriveva: «All’Illustrissimo P(ad)re Signore e Padrone Colendissimo
il P(ad)re Costantino Morri, Bologna S. Domenico. Illustrissimo P(ad)r(e) Sig(nor) Padrone Colendissimo,
ricevei, a dispetto delle inondazioni d’Italia, la prima
spedizione delle Poesie del mio riveritissimo P(ad)r(e)
Morri. Me ne congratulai seco, gli espressi la mia riconoscenza e la mia mortificazione per l’inaspettata
dedica a me assolutamente non dovuta: onde spero
che la mia lettera avrà risparmiato a lui l’incomodo
della seconda spedizione. Che il mio Romolo abbia fatto fortuna seco mi piace ma non m’insuperbisce: un
giudice così parziale mi convince più dell’amor suo
che del merito mio. I Brevi riflessi per la Via Crucis ecc.
ed A Maria Addolorata sono componimenti ch’io non
ho mai veduti non che scritti: e sono molto sorpreso
della generosità di chi me gli attribuisce. Non si stanchi di riamarmi, e di far uso de’ Suoi invidiabili talenti,
e mi creda sempre di V(ostra) S(ignoria) Illustrissima
devotissimo obbligatissimo servitore. Vienna 23. xbre
(1)765. Pietro Metastasio».
Pietro Metastasio, dunque, disconobbe recisamente e
non senza sarcasmo la paternità di questa modestissima opera, avendo d’altra parte dimostrato fin dal
1730, con l’azione sacra La Passione di Gesù Cristo eseguita per la prima volta con musica del Caldara nella
Cappella Imperiale di Vienna, con quanta profondità
d’ispirazione e padronanza tecnica incomparabilmente maggiori il suo genio potesse accostarsi alla tematica specifica.
Nel secondo titolo accennato nella lettera, A Maria
Addolorata, invece, forse potrà essere riconosciuto un
altro componimento poetico di assai discussa paternità, libera parafrasi dello Stabat Mater latino, realizzato
anch’esso sullo stesso identico metro della canzonetta precedente e con ogni verosimiglianza dalla stessa
persona, stante l’identità stilistica e lessicale riscontrabile tra le due.
Si tratta dello Stava Maria dolente, in dieci strofe, da taluni attribuito a Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (16961787) ma a torto, poiché esso non compare in nessun
luogo delle opere del vescovo nolano.
La prima notizia circa la sua esistenza è che fu musicato da Antonio Lotti, vissuto dal 1666 al 1740. Nel 1903
l’impresa fu ripetuta da Riccardo Zandonai e nel 1915
da Carlo Valsuani.
Quaresima. Chiesa di San Giovanni Battista. Prove di canto della massa
corale di San Giovanni.
161
A Maria Addolorata
1. Stava Maria dolente
Senza respiro e voce
Mentre pendeva in croce
Del mondo il Redentor.
E nel fatale istante
Crudo, materno affetto
Le trafiggeva il petto
Le lacerava il cor.
4. Per cancellare i falli
D’un popol empio e ingrato
Vide Gesù piagato
Languire e spasimar.
Vide tra crudi spasmi
Il Figlio suo diletto
China la fronte al petto
E l’anima spirar.
8. Ah! Tu che delle vergini
Regina in ciel t’assidi
Ah! Tu propizia arridi
Ai voti del mio cor.
Del buon Gesù spirante,
Che su quel tronco langue,
La croce, il fiele, il sangue
Fa ch’io rammenti ognor.
2. Qual di quell’alma bella
Fosse lo strazio indegno
No che l’umano ingegno
Immaginar nol può.
Vedere un Figlio, un Dio,
che palpita, che muore,
Sì barbaro dolore
Qual madre mai provò?
5. O dolce Madre, o pura
Fonte di santo amore,
parte del tuo dolore
fa che mi scenda in cor.
Fa che il pensier profano
Sdegnosamente io sprezzi
E a sospirar m’avvezzi
Sol di celeste ardor.
9. Del Salvator rinnova
In me lo scempio atroce:
Il sangue, il fiel, la croce,
Tutto provar mi fa.
Ma ne l’estremo giorno
Quand’Ei verrà, sdegnato,
rendalo a me placato,
Maria, la tua pietà.
3. Alla funesta scena
Chi tiene il pianto a freno
Ha un cuor di tigre in seno
O cuore in sen non ha.
Chi può mirare in tante
Pene una Madre, un Figlio,
e non bagnare ciglio
e non sentir pietà?
6. Le barbare ferite
Prezzo del mio delitto
Del Figlio tuo trafitto
Passino, Madre, in me.
A me dovuti sono
Gli strazi che soffr’io.
Deh! Fa che possa anch’io
Pianger almen con te.
10. Gesù, che nulla nieghi
A chi tua Madre implora,
Del mio morir nell’ora
Non mi negar mercè.
E quando sia disciolto
Dal suo corporeo velo
Fa che il mio spirto in cielo
Vada a regnar con te.
7. Teco si strugge in lacrime
Quest’anima gemente
Che se non fu innocente
Piange il suo fallo almen.
Teco alla croce accanto
Star, cara Madre, io voglio,
Compagno a quel cordoglio
Che ti trafisse il sen.
162
Anche quest’opera, certo non a caso, è stata in parte
adottata nel canzoniere delle arciconfraternite della
Solitudine e del Santo Cristo, limitatamente alla prima (Stava Maria dolente, C.S. n. 16) e all’ultima strofa
(O dolce Madre, o pura, C.S. n. 24). Certamente riferibile
a Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, invece, è il canto O
fieri flagelli (C.S. nn. 2-3), pubblicato per la prima volta
nel 1732, tra le sue Canzoncine spirituali, con il titolo
Canzoncina sulla Passione di Gesù.
O fieri flagelli, che al mio buon Signore
Le carni squarciate con tanto dolore:
Non date più pene
Al caro mio bene,
Non più tormentate l’amato Gesù,
Ferite quest’alma che causa ne fu.
O spine pungenti, che al mio buon Signore
La testa pungete con tanto dolore:
Non date più pene
Al caro mio bene,
Non più tormentate l’amato Gesù,
Ferite quest’alma che causa ne fu.
O chiodi crudeli, che al mio buon Signore
Le mani passate con tanto dolore:
Non date più pene
Al caro mio bene,
Non più tormentate l’amato Gesù,
Ferite quest’alma che causa ne fu.
O lancia tiranna, che al mio buon Signore
Il fianco trafiggi con tanto furore:
Ti bastin le pene
Già date al mio Bene,
Non più tormentare l’amato Gesù,
Trafiggi quest’alma che causa ne fu.
A Cagliari se ne canta soltanto la prima strofa.
Alla temperie culturale settecentesca va riportato anche il canto Siam rei di mille errori (C.S. n. 27), il cui vero
titolo è Confessione di nostre miserie a Maria Santissima.
Siam rei di mille errori,
Abbiamo il Ciel nemico,
Dai giusti suoi rigori
Chi ci difenderà?
Volgi pietosa a noi,
Volgi gli sguardi tuoi,
Maria, speranza nostra,
Abbi di noi pietà.
Tu sei nella procella,
Alla smarrita prora,
Quella propizia stella
Che calma alfin le dà.
Rendi alle umane genti,
Da rie catene oppresse,
Rendi degl’innocenti
L’antica libertà.
Lo si ritrova musicato a cc. 13v-14 di uno spartito
del Fondo musicale manoscritto di Santa Maria della
Fava a Venezia, intitolato Laudi spirituali a due ed anche a tre voci poste in musica dalli Maestri Mayr, Salari ed
altri, ms., copia del XIX secolo. Il musicista bavarese
Johan Simon Mayr (1763-1845) dal 1791 al 1802 visse
a Venezia dove entrò in contatto con Francesco Salari
(1751-1828) e Giuseppe Antonio Capuzzi (1785-1818),
nel servizio comune come musici e compositori presso il Conservatorio dei Mendicanti della capitale veneta. Risale a questi anni la collaborazione cui si deve
il manoscritto in esame.
Per il momento rimane purtroppo sconosciuto l’autore
del testo poetico. Non sembra comunque improbabile
163
che questi avesse in mente, parafrasandola antifrasticamente, l’aria Son reo, l’error confesso dall’Atto II del
Mitridate Re di Ponto di Vittorio Amadeo Cigna-Santi, opera musicata tra gli altri da Wolfgang Amadeus
Mozart nel 1770.
Al repertorio operistico, stavolta però nei primi decenni dell’Ottocento, potrebbe a sua volta essersi ispirato chi compose Madre, un altro pezzo normalmente
eseguito durante le cerimonie della Settimana Santa
dai cantori cagliaritani (C.S. n. 11).
Madre ti lascio, a Dio!
L’ora bramata è giunta:
Unisci al dolor mio
L’angoscia del tuo cuor.
Io salirò la croce
Per l’uomo peccatore
Nella mia doglia atroce
Ti parlerò d’amor.
Madre, patir m’è caro
Per salvar la mia Madre.
Madre, il tuo pianto amaro
Unisci al mio dolor.
Il Padre mio, placato,
Ritornerà clemente
Pel figlio del peccato
Sarà pietoso il Ciel.
Il modello, in questo caso, potrebbe eventualmente
essere ricercato nel libretto della Semiramide, composto da Gaetano Rossi e posto in musica da Gioacchino Rossini nel 1823. Di più recente origine parrebbe
invece considerabile l’ultimo pezzo del canzoniere in
uso alle arciconfraternite della Solitudine e del Santo
164
Cristo che sia stato possibile identificare. Si tratta del
canto Solchiamo il mare infido, particolarmente caro a
don Giovanni Bosco. Il santo lo inserì nella 118esima
edizione del suo Il giovane provveduto per la pratica dei
suoi doveri, ma già da tempo faceva parte del repertorio salesiano: esso infatti risulta citato in «Bollettino
Salesiano», XI, 1, gennaio 1878.
Solchiamo un mare infido
Di un mondo traditore
Al sospirato lido
Chi mai ci condurrà?
Maria pietosa e bella,
Del mar lucente stella,
Maria speranza nostra
Guida per noi sarà.
Il senso lusinghiero
Ci entrò nel cor ribelle
Aspro nemico e fiero
Chi lo distruggerà?
Maria pietosa e bella,
Del mar lucente stella,
Maria speranza nostra
Guida per noi sarà.
La canzonetta, anch’essa talvolta attribuita a Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, a Cagliari viene eseguita limitatamente alla prima strofa (C.S. 25).
Il fatto che nel repertorio esaminato siano presenti liriche ottocentesche concorda con quanto, circa la loro
adozione nei riti della Settimana Santa cagliaritana,
può essere dedotto dal riscontro di varie fonti.
A titolo d’esempio Giuseppe Melis Atzeni, dottore in
teologia, persona molto nota e influente nella Cagliari
di fine Settecento (fu tra l’altro direttore del “Giornale di Sardegna” dal 13 agosto 1795 al 31 marzo 1796),
nel 1793 diede alla luce, presso la Reale Stamperia di
Cagliari, una Cantata per la Processione delle Sette chiese
effettuata il Giovedì santo dall’Arciconfraternita del Gonfalone, con la statua di Sant’Efisio.
Il baccelliere in medicina Fedele Meloni, membro della Confraternita del Santo Cristo, nel 1796 diede alle
stampe, presso la tipografia di Bernardo Titard, Stampadori de sa Illustrissima Ciutadi de Casteddu, una cantata in lingua sarda campidanese cui prendevano parte
Maria, Giovanni e la Maddalena.
E ancora nel 1821 l’epigono d’Arcadia Ausonide Alfesibeo, pseudonimo del sacerdote cagliaritano Francesco
Pintor (1773-1831), segretario degli arcivescovi Cadello e Navoni, pubblicò presso la tipografia Timon una
cantata dal titolo La solitudine della Gran Madre di Dio
dopo la morte del Figlio celebrata dal Sodalizio dello stesso
titolo nelle pietose stazioni. A musicare il testo provvide
il maestro Giovanni Garbati, che fu prima viola nella
cappella del Duomo e nell’orchestra del Teatro Civico
fino al 1833. Si tratta forse di una riedizione della sua
La solitudine della Gran Madre di Dio al sepolcro del Redentore, già pubblicata a Cagliari nel 1817.
Sembrerebbe dunque che fino all’inoltrato XIX secolo l’accompagnamento delle processioni quaresimali
cagliaritane potesse giovarsi di canti i cui testi e le cui
musiche, di anno in anno, venivano composti appositamente.
All’adozione e successiva stabile repertoriazione delle
forme corali tuttora in uso, di conseguenza, si dovrebbe essere giunti piuttosto avanti nel corso dell’Ottocento, come d’altra parte sembrerebbe indicarne la
struttura melodica apparentemente già tributaria della grande lezione rossiniana e verdiana.
Il loro impianto parrebbe derivare da molteplici fattori. Tra questi, principalmente, l’azione dei missionari
Redentoristi, probabili veicoli delle liriche alfonsiane,
e il favorevole sostrato tecnico-culturale fornito dalla
presenza a Cagliari, fin dal Settecento, di un teatro per
musica in pianta stabile. Come osservava Enrico Serra, infatti, ancora in tempi recenti molti tra i cantori cagliaritani «sono stati e sono valenti coristi che, si sono
affermati nel campo dell’arte canora e nella lirica che
in città, ha avuto sempre appassionati cultori e valenti
critici».
Is cantoris de Cira Santa
L’esecuzione del repertorio, che tanto interesse e commozione continua a suscitare durante le processioni
quaresimali, è affidato ai due Gruppi Cantori di San
Giovanni e di San Giacomo: Is cantoris de Cira Santa.
Fanno capo, rispettivamente, alle chiese di San Giovanni Battista e del Santo Cristo nel quartiere di Villanova, e pur contando tra le proprie fila numerosi confratelli rimangono comunque distinti dai due sodalizi
ospitanti. A comporli, in maggioranza, sono devoti e
appassionati provenienti da Cagliari e dintorni, individui di ogni età (dai bambini agli anziani ottantenni)
che tutte le sere, ciascun giorno feriale della quaresima, sono disposti a sacrificare molte ore del loro tempo libero in prove estenuanti per la salvaguardia di
un’antica e nobile tradizione.
Ogni massa o gruppo di cantori conta oltre un centinaio di elementi divisi in cinque gruppi vocali:
soprani, secondi soprani (contralti), tenori, secondi
tenori (baritoni), bassi. Ciascuna è guidata da un
capo massa e ciascun gruppo da un capo gruppo che
dirige l’esecuzione delle singole voci. Una particolare figura, l’intonatore, canta il primo verso di ogni
brano e svolge nel coro un compito di fondamentale
importanza. L’intervento di questi gruppi nelle processioni, come scriveva Nicola Valle, è caratterizzato
da «un cantare di petto, senza ricerca di effetti, senza
165
raffinatezza; come si addice a gente del tutto sprovvista di qualunque nozione di canto, animata solo dal
proprio entusiasmo, e guidata dal gesto del corifeo,
ch’è un modesto corista anziano, anche lui ignaro di
musica, cui solo l’età e la lunga pratica hanno conferito il diritto di dirigere e istruire i compagni, dei
quali ha la fiducia e il rispetto».
Un tempo le masse di cantori si riferivano direttamente alle varie parrocchie cittadine. Ancora nei primi
decenni del Novecento coesistevano il gruppo cantori di Stampace e quello di Villanova. Scomparso il
primo, negli anni Trenta, il secondo nel 1954 si scisse
portando così alla situazione attuale.
166
Quaresima. Oratorio del Santo Cristo. Prove di canto della massa corale
di San Giacomo.
Martedì santo. Chiesa di San Michele Arcangelo a Stampace.
I tamburini delle arciconfraternite della Solitudine e del Santo Cristo.
Su toccu de Cira Santa
Nelle testimonianze di primo Ottocento le varie processioni della Settimana Santa cagliaritana risultavano
aperte dal suono cadenzato di un tamburo. Il lugubre
motivo eseguito prendeva in lingua sarda il nome di
toccu ’e Cira Santa (rintocco della Settimana Santa).
Il musicologo Guido Giacomelli, sul finire del XIX secolo, riportava in proposito un curioso aneddoto. Il tenore
cagliaritano Mario De Candia (1810-1883), intimo amico del compositore Giacomo Meyerbeer (1791-1864), gli
avrebbe fatto sentire, fischiettandole, sedici battute di
un’arietta popolare della propria città. Si trattava di una
sorta di preludio, per piffero e tamburo, che da tempo
immemorabile veniva eseguito proprio durante le processioni della Settimana Santa. Il motivo, allora già in
disuso nella capitale sarda, è potuto giungere fino a noi
perché piacque tanto al musicista tedesco che questi,
orchestrandolo, ne fece l’introduzione alla propria opera L’Africaine, pianificata già nel 1845 ma rappresentata
postuma all’Opéra di Parigi solo nel 1865.
L’uso del tamburo nei cortei quaresimali, ripristinato
solo in tempi recenti, per vari decenni era stato sostituito dal più modesto frastuono de sa matracca, robusta tavola di legno munita di maniglie mobili che, agitata sapientemente, nel triduo pasquale sostituisce le
campane legate in segno di lutto.
167
Le confraternite
A Cagliari come altrove, pur tenendo conto di più o
meno accentuate differenziazioni locali, le cerimonie
della Settimana Santa consistono nelle antiche pratiche di pietà che ogni anno dovevano essere compiute
dalle confraternite.
Nate nel medioevo e fortemente rivitalizzate dopo il
concilio di Trento (1545-1563), rappresentavano libere
associazioni di fedeli istituite per fini di culto, di misericordia e di beneficenza. A formarne le fila erano
ecclesiastici ma soprattutto laici appartenenti ad ogni
classe sociale, tra i quali in origine prevaleva l’analfabetismo. I confratelli, di conseguenza, per le loro
devozioni comunitarie non potevano utilizzare testi
scritti, e specie nei tempi liturgici forti li sostituivano
impegnandosi ad allestire eventi spettacolari, i drammi sacri, comunque capaci di spingere alla meditazione e alla preghiera.
La prima cunfraria o germendadi cagliaritana fu quella
del Santo Monte, istituita nel 1530 con bolla di papa
Clemente VII. A volerne la nascita, durante la predicazione quaresimale di quell’anno, fu il carmelitano
fra Desiderio San Martino di Palermo, allo scopo di
procurare cibo e assistenza medica ai poveri, provvedere della necessaria dote le fanciulle indigenti, soccorre i carcerati nei loro bisogni materiali e morali,
assistere nelle ultime ore quanti fossero stati condannati a morte.
Un tempo più numerose, oggi le confraternite che
danno vita alla Settimana Santa cagliaritana sono ridotte a quattro, equamente divise tra i quartieri storici
di Stampace e Villanova. Stampacine sono quella del
Gonfalone, che è anche la più antica fra le superstiti,
con sede nella chiesa di Sant’Efisio; e la Congregazione degli Artieri, insediata in un proprio oratorio annesso alla chiesa di San Michele Arcangelo. Le altre, a
Villanova, sono quella della Solitudine, cui appartiene
168
la chiesa di San Giovanni Battista; e quella del Santo Cristo, proprietaria dell’omonimo oratorio attiguo
alla parrocchiale di San Giacomo.
Un discorso a parte richiede invece l’Arciconfraternita dei Santi Giorgio e Caterina dei Genovesi, originariamente insediata in via Manno, nella parte alta del
quartiere della Marina, e dal secondo dopoguerra traslata in una nuova chiesa alle falde del Monte Urpinu,
zona di espansione edilizia recente.
Arciconfraternita del Gonfalone
Presso l’antica chiesa di Sant’Efisio a Stampace, fondata nella seconda metà del XIII secolo, il pontefice
Paolo III, nel 1539, istituì una confraternita intitolata
al Martire. Essa, nel 1618, fu aggregata all’Arciconfraternita del Gonfalone della Santissima Vergine del Riscatto, a Roma, mentre papa Pio VI, nel 1796, la eresse
in arciconfraternita.
Suo scopo era promuovere la devozione a Sant’Efisio,
custodirne e salvaguardarne il tempio stampacino,
concorrere alla raccolta di fondi per il riscatto degli
schiavi caduti nelle mani dei corsari barbareschi.
Venuta meno quest’ultima esigenza, oggi l’impegno
del sodalizio è rivolto principalmente all’organizzazione dei complessi festeggiamenti in onore del santo titolare, tra i quali la fastosa processione che ogni
anno, il 1 maggio, parte verso Nora per sciogliere il
voto formulato dalla municipalità cagliaritana durante la peste del 1656.
Di recente l’arciconfraternita ha ridato vita alla tradizionale processione delle Sette chiese il Giovedì santo,
che era stata soppressa ormai da vari decenni.
L’abito dei confratelli è una lunga veste azzurro indaco
con bottoni bianchi, stretta alla vita da un cingolo pure
bianco dal quale pende il rosario detto di San Bonaventura. Nelle processioni penitenziali il capo è ricoperto da un cappuccio azzurro solitamente rovesciato
169
all’indietro. Nelle occasioni solenni si aggiungono i
guanti e la mozzetta bianchi, con bottoni azzurri.
Le consorelle, più austere, indossano invece camicetta e guanti bianchi, lungo abito nero cinto dal cingolo
bianco con rosario di San Bonaventura, e ricoprono i
capelli con un velo di trina nera.
Loro distintivo è una placca rotonda di colore azzurro
con al centro la croce greca avente il braccio verticale
rosso e quello orizzontale bianco, applicata all’altezza
del cuore.
Congregazione degli Artieri
Nell’ambito delle congregazioni mariane gesuitiche si
colloca la Congregazione degli Artieri o degli Artisti
(così, anticamente, venivano chiamati gli artigiani),
fondata nel 1586, sotto l’invocazione della Natività
della Santissima Vergine, nella chiesa di Santa Croce
in Castello. A seguito della soppressione dei Gesuiti,
nel 1773, passò per qualche tempo nella chiesa della
Speranza, in quella di San Domenico, per poi essere
trasferita nel 1795 in quella di San Michele a Stampace, dove tuttora ha sede. Per i suoi prevalenti fini di
culto partecipava solo alle processioni penitenziali, indossando cappuccio e lunga veste di tela cruda cinta
da una grossa corda con rosario camaldolese.
Dal 1670, il Martedì santo, dava vita alla processione
dei Misteri, soppressa nel 1969 e ripristinata solo da
pochi anni grazie ai Cuccurus Cottus, un’associazione
culturale stampacina che ha voluto raccogliere l’eredità dell’antico sodalizio.
Pag. 169
Lunedì dell’Angelo. Abito dei confratelli e delle consorelle del Gonfalone.
Martedì santo. Abito della Congregazione degli Artieri.
Sabato santo. Abito dei confratelli e delle consorelle della Solitudine.
170
Arciconfraternita della Vergine della Solitudine
La Confradia de nuestra Señora de la Soledad fu istituita
forse nel 1603 presso la chiesa di San Bardilio, oggi
non più esistente, che sorgeva nei pressi dell’attuale
cimitero di Bonaria. All’epoca era proprietà dell’ordine Trinitario e non è pertanto casuale che, nel 1616,
una bolla di papa Paolo V disponesse l’aggregazione
della confraternita cagliaritana all’arciconfraternita
della Santissima Trinità di Roma. Suoi scopi precipui,
infatti, erano il riscatto degli schiavi, il soccorso e la
conversione dei prigionieri, l’assistenza, sepoltura e
suffragio dei condannati alla pena capitale.
L’istituzione inoltre, fin dagli inizi, sarebbe stata inca-
ricata direttamente dal governo viceregio di animare i
riti paraliturgici della Settimana Santa cagliaritana.
L’abito dei confratelli consiste in una lunga veste bianca con sparato e polsini di volants, stretta ai fianchi da
una fascia di seta nera. Le mani sono coperte da guanti neri e il capo da un cappuccio bianco ripiegato all’indietro. Nel 1878 papa Pio IX eresse il sodalizio in
arciconfraternita, ammettendovi anche le donne che
indossano abito nero con mantella e velo dello stesso
colore, abbassato sul viso.
L’insegna è un medaglione metallico rotondo, sospeso al collo da un nastro nero, al centro del quale su
sfondo bianco campeggia una croce potenziata con
171
172
il braccio verticale rosso e quello orizzontale blu. È il
simbolo dell’ordine della Santissima Trinità, nel cui
seno la confraternita ebbe origine, e rappresenta con il
cerchio bianco la perfezione ed onnipotenza di Dio Padre, con il braccio rosso la discesa di Dio Spirito Santo
e con quello azzurro l’incarnazione di Dio Figlio, che
pur essendo di natura divina assunse forma umana
accettando di giacere nella mangiatoia di Betlemme e
in ultimo di essere deposto in un sepolcro.
Da una bolla emessa nel 1697 da papa Innocenzo XII
si apprende che la confraternita, a quanto parrebbe fin
dal 1639, si era trasferita da quella di San Bardilio alla
chiesa di San Giovanni Battista a Villanova, all’interno
delle mura cittadine. Il mutamento di sede viene spiegato dalla memoria interna al sodalizio con la difficoltà di trasportare i pesantissimi simulacri protagonisti
della Settimana Santa da una chiesa tanto lontana fino
in cattedrale e viceversa.
Arciconfraternita del Santo Cristo
L’Arciconfraternita del Santo Cristo ha sede nell’omonimo oratorio seicentesco edificato presso la parrocchiale di San Giacomo, nel quartiere di Villanova. Fu
eretta nel 1616 ed immediatamente aggregata all’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso della chiesa di
San Marcello, a Roma.
Suo scopo era l’aumento della devozione al miracoloso Crocifisso di San Giacomo e in genere alla passione
di Cristo, cui si univa anche una fervida attività assistenziale e caritativa.
A motivo dell’intitolazione specifica, essa fin da subito ricevette l’incarico di portare la croce in tutte le
processioni pubbliche, nelle quali perciò ha sempre la
precedenza, e di promuovere nel quartiere di Villanova la devozione alla Via Crucis, nella sua forma ancora
embrionale nota come “processione dei Misteri”.
L’abito ordinario dei confratelli è un camice bianco
chiuso sul petto da una fila di bottoni e dotato di polsini. Attorno alla vita viene stretto un cingolo bianco
dal quale pende un rosario nero. Il capo è ricoperto
da un cappuccio bianco rovesciato all’indietro. Le insegne consistono in un piccolo crocifisso dorato, sospeso al collo da un nastro rosso, e in una placca di
stoffa cucita all’altezza del cuore, che reca stampate
una nuda croce nera drizzata sul Calvario con la scritta: Hic abscondita est fortitudo nostra. Nei giorni di festa
solenne il cingolo viene sostituito da una fascia di seta
rossa e si indossano guanti bianchi. La veste, inoltre, si
arricchisce di una mozzetta bianca orlata di rosso, con
al petto una placca in cui lo stemma dell’arciconfraternita è naturalisticamente riprodotto a colori.
Le consorelle, al contrario, indossano una lunga veste
nera con mantella, entrambe profilate di bianco, e si
ricoprono la testa con un velo nero. Portano alla vita
una fascia di seta bianca con rosario e alle mani guanti dello stesso colore. Anch’esse tuttavia si contraddistinguono per il collare di nastro rosso da cui pende
un crocifisso dorato.
Arciconfraternita dei Santi Giorgio e Caterina
Dall’originario gremio o associazione dei mercanti liguri operanti nel porto di Cagliari, nel 1587, sorse la
Confraternita dei Santi Giorgio e Caterina, detta dei
Genovesi. Suo scopo era promuovere il culto pubblico
dei due santi titolari, patroni rispettivamente di Genova e Alassio, e garantire l’assistenza reciproca tra i
confratelli. In modo particolare se, durante i loro viaggi commerciali, fossero caduti schiavi dei pirati musulmani. Nel 1591 papa Gregorio XVI la eresse in arciconfraternita e la aggregò alla primaria Arciconfraternita
di San Giovanni Battista dei Genovesi a Roma.
Nel 1599 il sodalizio, originariamente ospitato nella
chiesa di Santa Maria di Gesus, cominciò a costruirsi
una sede propria a Sa Costa, l’attuale via Manno.
173
Il sontuoso edificio fu distrutto dai bombardamenti
del 1943 e ricostruito lontano, a Monte Urpinu, dove
l’arciconfraternita al presente ha sede. Nei propri statuti mantiene tuttora il suo originario carattere di associazione costituita su base etnica, riservata perciò solo
agli oriundi liguri, e di conseguenza non ha alcun ruolo
nelle manifestazioni paraliturgiche pubbliche della Settimana Santa cagliaritana. Da secoli tuttavia, con puntualità e tenacia, celebra anch’essa gli eventi della Quaresima e della Pasqua assicurando una veste di particolare
174
solennità ai riti ufficialmente previsti dal Messale Romano. Il suo abito è un camice di tela fine bianca stretto alla
vita da una larga fascia di seta rossa, completato da una
mozzetta di velluto cremisi ricamata in oro.
Pag. 172
Sabato santo. Abito dei confratelli e delle consorelle del Santo Cristo.
Venerdì santo. Abito dell’Arciconfraternita dei Genovesi
Domenica di Pasqua. Croce di penitenza dell’Arciconfraternita del
Gonfalone.
Insegne penitenziali
Fin dalle origini i cortei confraternali o delle compagnie di flagellanti, a imitazione di quelli liturgici solenni, sono stati aperti da un crocifisso o da una croce.
Lo scopo, naturalmente, era quello di richiamare tutti
alla penitenza, a fronte degli atroci patimenti subiti
dal Figlio di Dio per la salvezza dell’uomo.
Nel corso dei secoli, però, questa specifica insegna
penitenziale fu spesso completamente travisata dalla vanità umana, e piegata piuttosto a simboleggiare
il potere e la ricchezza del sodalizio d’appartenenza.
Essa, così, assunse talvolta dimensioni smisurate, caricandosi di ornamenti nei quali la temperie barocca
credette di poter sfogare tutta la propria esuberanza
decorativa.
Cagliari, per vari motivi, è rimasta sostanzialmente
estranea a questa spirale perversa di emulazione reciproca, per cui sia le croci sia le altre insegne penitenziali inalberate dalle sue confraternite si distinguono
in genere per semplicità e modestia, giusto il loro carattere memoriale della passione di Gesù.
Arciconfraternita del Gonfalone
In testa ai cortei dell’Arciconfraternita del Gonfalone svetta un’alta e monumentale croce di legno nero
profilato di rosso, al cui braccio superiore è appeso il
cartiglio con la motivazione della condanna inflitta a
Cristo: J(esus) N(azarenus) R(ex) J(udaeorum). Pur tipologicamente derivata da modelli più antichi, il palese
carattere neoclassico dei capicroce dorati, che riproducono una palmetta ionica, ne colloca la realizzazione nei decenni iniziali dell’Ottocento.
Congregazione degli Artieri
L’insegna penitenziale della Congregazione degli Artieri deriva tipologicamente dai trofei d’armi rinascimentali di ascendenza classica. È una semplice croce di
175
legno nero, liscia, alla quale sono applicati in elegante
simmetria triangolare alcuni tra gli strumenti usati per
crocifiggere Gesù: il cartiglio con la motivazione della
sentenza, il martello che confisse i chiodi, la canna con
in cima la spugna servita a lenire la sete del Crocifisso,
la lancia che gli trafisse il costato, le tenaglie e le scale
usate per la sua deposizione.
Tipico supporto iconico alla meditazione dei misteri
dolorosi, le arma Christi fin dal tardo Trecento hanno
conosciuto un successo che ha visto in età barocca
i suoi fasti maggiori. Nella sostanziale atipicità che
lo contraddistingue, tuttavia, sembrerebbe arrischiato voler assegnare al trofeo cagliaritano una cronologia troppo precisa: l’ottimo stato di conservazione
lo suggerirebbe databile a non prima del XIX secolo.
Con ogni verosimiglianza, perciò, si tratterebbe della fedele replica di un modello più antico, eventualmente sostituito per motivi funzionali.
Arciconfraternita del Santo Cristo
Alla tipologia delle arma Christi appartiene anche la
più interessante tra le croci penitenziali cagliaritane, posseduta dall’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Il trofeo, chiamato “croce degli attrezzi”, appare identico in ogni particolare ad analoghi esemplari spagnoli
e dell’Italia meridionale, detti comunemente “croci dei
misteri”. Su una croce lignea alta circa due metri sono
raggruppati in armonica composizione i vari strumenti
utilizzati per il martirio di Cristo, scolpiti a tutto tondo
in forme miniaturistiche: il metaforico calice dell’agonia
nell’orto degli ulivi; la lanterna usata all’atto del tradimento e della cattura; la spada di cui era armato Simon
Pietro con l’orecchio da lui staccato a Malco, uno degli
aggressori; la mano del servo che schiaffeggiò Gesù
mentre veniva interrogato dal sommo sacerdote Caifa; il
gallo che cantò al triplice rinnegamento di Pietro; la colonna e le sferze della flagellazione; la corona di spine; il
176
cartello con la motivazione della condanna; il martello e i
tre chiodi della crocifissione; i dadi usati per la spartizione delle vesti; la canna con in cima la spugna che dissetò
Gesù; la lancia con cui gli venne aperto il costato; le scale
e le tenaglie della sua deposizione. Passo dopo passo il
cammino doloroso di Cristo viene quindi ripercorso, tramite i suoi simboli, dal Getzemani fino al sepolcro.
La presenza in tutto il mondo cattolico di analoghe insegne penitenziali trova spiegazione nella ripresa di un
modello comune, rappresentato dalla croce dei misteri di un’insigne confraternita romana: essa godeva di
una tale venerazione, probabilmente perché arricchita
di speciali indulgenze, da venire riprodotta su un tipo
di medaglia devozionale che, quantomeno a giudicare
dai numerosi esemplari ancora esistenti, dovette conoscere nel corso del Settecento una straordinaria diffusione. La croce cagliaritana, tuttavia, parrebbe doversi
considerare più recente di almeno un secolo. Essendo
essa inalberata dai confratelli, le consorelle portano in
processione una croce di penitenza più semplice e leggera, in legno nero e ornata da puntali dorati scolpiti
secondo forme barocche. Al centro del braccio superiore compare il velo della Veronica mentre da quello orizzontale pende, piegato a formare una grande lettera M,
un largo nastro di pizzo bianco. Quest’ultimo, presente
in tutte le croci di penitenza cagliaritane, in origine rappresentava la Sacra Sindone o la benda usata per la deposizione di Gesù, mentre il suo particolare drappeggio intendeva simboleggiare la compartecipazione di
Maria al sacrificio redentore del Figlio. A questa croce
sono quindi sospesi i due strumenti attraverso i quali la pietà femminile poté manifestarsi nel corso della
passione: il drappo con cui, secondo i vangeli apocrifi,
da una donna di Gerusalemme fu asciugato il volto di
Cristo durante la sua ascesa al Calvario; e i lini con cui
le sue più fedeli discepole ne avvolsero il corpo per la
sepoltura.
177
Arciconfraternita della Solitudine
Due consimili croci lignee, di piccole dimensioni e sobriamente decorate, aprono le fila dei confratelli e delle
consorelle della Solitudine. Non presentano particolarità di rilievo e appaiono di fattura piuttosto recente. Alla
testa delle processioni dell’arciconfraternita, piuttosto,
sono due grandi stendardi di tela nera, unici a Cagliari,
sui quali le arma Christi sono state dipinte a colori cupi.
Quelli attualmente in uso, come informava nel 1992
Enrico Serra, «sono stati rifatti da qualche anno dalla
mano esperta dell’insigne pittore padre Ignazio Cabiddu minore cappuccino, in sostituzione di altri due più
antichi uguali ma ormai logori e quasi inservibili». Sul
primo, su un lato, si staglia una grande croce nuda con
il suo cartiglio. Dal braccio orizzontale, cui si appoggiano la canna con in cima la spugna e la lancia di Longino, pendono a sinistra il velo della Veronica e a destra
la veste inconsutile rossa, con i dadi usati per tirarla a
sorte tra i soldati di guardia al Crocifisso. Sul lato opposto, al centro campeggia la colonna della flagellazione,
con in cima il gallo del triplice rinnegamento di Pietro e
alla base una delle corde usate per legare Gesù.
Tutt’attorno si dispongono il profilo beffardo di un
anziano ebreo, che indossa il turbante e porta al collo
una lanterna accesa, identificabile con uno dei sommi
sacerdoti che sottoposero Cristo a un estenuante interrogatorio notturno; un altro profilo di personaggio
più giovane colto nell’atto di sputare, in cui può riconoscersi uno fra quanti vilipesero il prigioniero; infine
la brocca e il catino con i quali Pilato intese sgravarsi
la coscienza dall’ingiusta condanna di un innocente.
Anche sull’altro stendardo, su un lato, campeggia la
croce con il cartello recante la motivazione della condanna, al cui braccio verticale è infilata la corona di
spine. Ai tre chiodi, infissi all’altezza di mani e piedi
del Crocifisso, sono appesi il martello, le tenaglie e le
due scale della deposizione, mentre in alto si dispon178
Pag. 176
Martedì santo. Croce “dei Misteri” o “degli attrezzi” della Congregazione
degli Artieri.
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Venerdì di Passione. Croce “dei Misteri” o “degli attrezzi” dell’Arciconfraternita del Santo Cristo.
Venerdì di Passione. Croce di penitenza delle consorelle del Santo Cristo.
Sabato santo. Croci di penitenza dei confratelli e delle consorelle della
Solitudine.
gono simmetricamente una mano con l’indice puntato, forse quella di Pilato nell’indicare Cristo con le
parole Ecce Homo, e un’altra, aperta, di quel servo di
Caifa che schiaffeggiò Gesù. Il lato posteriore è invece occupato, al centro, da uno degli ulivi del Getzemani, fra le cui fronde si osserva l’angelo che recò a
Cristo agonizzante il simbolico calice dell’amarezza.
Alla base dell’albero sono invece una coppia di fiaccole accese, usate all’atto dell’arresto, e una coppia di
trombe: sarebbero quelle che, secondo una leggenda
medievale, gli ebrei avrebbero suonato per festeggiare
l’avvenuta cattura del Nazareno.
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Venerdì santo. Stendardi di passione dell’Arciconfraternita della Solitudine, raffiguranti i misteri della cattura e del processo di Gesù.
180
Sabato santo. Stendardo di passione
dell’Arciconfraternita della Solitudine,
raffigurante i misteri della crocifissione.
181
Sabato santo. Stendardo di passione dell’Arciconfraternita della Solitudine, raffigurante i misteri della deposizione dalla croce.
182
Arciconfraternita dei Genovesi
Atipica nel contesto cagliaritano, e non a caso identica ad analoghi esemplari liguri, è la croce penitenziale dell’Arciconfraternita dei Santi Giorgio e Caterina. Consiste in un prezioso crocifisso processionale
di medie dimensioni, opera insigne dell’intagliatore
genovese Anton Maria Maragliano (1664-1739), arricchita di grandi puntali a foglia di palma in argento
filigranato.
Venerdì santo. Il Crocifisso processionale dell’Arciconfraternita dei
Santi Giorgio e Caterina, detta dei Genovesi.
183
Giovedì santo. Monumentu o Sepolcro allestito nella chiesa delle monache Cappuccine.
184
Is Monumentus
Fin dal medioevo le rubriche del messale prescrivono che il Giovedì santo, al termine della messa
in Coena Domini, il Santissimo Sacramento appena
consacrato venga riposto non nel solito tabernacolo
ma in una cappella appositamente allestita. «Hodie
paretur locus aptus in aliqua cappella ecclesiae, vel altari: et decenter quoad fieri potest, ornetur cum velis et
luminibus: ubi calix cum hostia, ut supra reservata, reponatur in capsula».
Questi altari effimeri con veli e lumi posti a corona di un’urna, normalmente, ancora oggi sono
detti “sepolcri”, in lingua sarda monumentus. La
denominazione, del tutto impropria, risale all’antica consuetudine (corretta con decreto della Sacra
Congregazione dei Riti Maxima redemptionis nostrae
mysteria, del 16 novembre 1955) di anticipare di un
giorno tutte le cerimonie della Settimana santa, per
cui il mistero della resurrezione, soppressa la veglia
pasquale, finiva per essere celebrato già la mattina
del Sabato santo, e la crocifissione e morte di Cristo,
scalando, erano rievocate non più il Venerdì ma il
Giovedì santo. Quella che in origine era stata una
pratica reposizione del Santissimo per i due giorni aliturgici precedenti la Pasqua, di conseguenza,
venne vissuta a lungo dai fedeli come una vera e
propria cerimonia esequiale del corpo di Gesù.
La realizzazione dei “sepolcri”, secondo la naturale
tendenza del sentimento umano che trova nella pietà
funeraria uno dei contesti nei quali, più agevolmente,
può concretizzarsi in simboli, nel tempo prese quindi
l’aspetto di una sfida tra chiese, per riuscire a far mostra dell’allestimento più sontuoso.
Alcuni documenti, relativamente a Cagliari, lasciano intuire quale fosse la ricchezza di simili strutture
nei decenni iniziali del XVII secolo.
Un contratto del 29 marzo 1617, ad esempio, impe-
gnava i pintors Montserrat Carena e Miquel Angel
Mainas a dipingere per Pere Joan Otger «la caxa eo
sepoltura de Nostre Senior denant la iglesia dels pares
escapuchins». Sul frontale dell’urna sarebbero dovuti comparire il Cristo morto con due angeli, e sullo
sfondo della cappella Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea, la Vergine addolorata, San Giovanni Evangelista e le tre Marie, a ricomporre un classico compianto di tradizione gotica (ASC, Atti Notarili Sciolti,
vol. 492, not. Giacomo Manca).
Simile il caso dei fusters (falegnami) Vinsensio Sasso
e Salvador Orpino. Essi, il 2 marzo 1629, si accordarono con i guardiani della chiesa dei Santi Giorgio
e Caterina dei Genovesi, a Sa Costa, per realizzare
entro la quaresima un monument in legname ricoperto di carta nera dipinta a finto oro, che appena trascorsa la Pasqua avrebbero anche smontato (ASC,
ANL, vol. 1169, c. 106). La somma pattuita, ben cento
lire escluso il legname, indica che ai due artigiani si
chiedeva di innalzare un grande catafalco.
Secondo Vittorio Angius, ancora nel 1836, is Monumentus della Settimana santa cagliaritana erano «formati i più come palchi scenici con le loro decorazioni, nei quali è rappresentata una qualche azione dei
libri divini». L’emulazione reciproca e il lusso smodato nell’allestimento dei cosiddetti “sepolcri” furono
esplicitamente proibiti dal nuovo rituale per la Settimana santa, approvato da papa Pio XII nel 1955. Più
di recente, poi, la lettera circolare della Congregazione
per il Culto Paschalis sollemnitatis, del 16 gennaio 1988,
ha riaffermato che in questa occasione «il tabernacolo
o custodia non deve avere la forma di un sepolcro. Si
eviti il termine stesso di “sepolcro”: infatti la cappella
della reposizione viene allestita non per rappresentare
“la sepoltura del Signore”, ma per custodire il pane
eucaristico per la comunione, che verrà distribuita il
venerdì nella passione del Signore».
185
Giovedì santo. Monumentu o Sepolcro allestito nella chiesa di Sant’Efisio a Stampace.
Giovedì santo. Su nénniri.
186
A seguito di così tassativi pronunciamenti del Magistero, attualmente gli altari o cappelle “della reposizione” appaiono di gran lunga ridimensionati
e semplificati rispetto al passato. Tra chi li prepara
permane comunque la cura di farli belli e fantasiosi,
mai ripetitivi, con piccole innovazioni all’interno di
una tradizione ben consolidata.
Su nenniri
Ornamento tipico dei cosiddetti “sepolcri” allestiti
per il Giovedì santo, in tutta la Sardegna, sono i piatti contenenti su nenniri. Con questa parola di incerta
etimologia si indicano fasci di grano o altro cereale fatto germogliare al buio su uno strato di ovatta
umida, che per assenza di fotosintesi clorofilliana
cresce esile e pallido in lunghi steli verticali. Legati
con nastri colorati e uniti a fiori, is nenniris vengono
disposti attorno all’urna della reposizione o attorno
ai crocifissi de is Monumentus. Finita la Pasqua, poi, li
si porta nei campi dove trovano rispettosa sepoltura
a scopo propiziatorio o vengono bruciati.
Le tradizioni pasquali conoscono la preparazione
de su nenniri anche nell’Italia meridionale: come in
Puglia dove viene chiamato lu’rene dlu subbuleche (il
grano del sepolcro), o come in Sicilia, dove prende il
nome di sepulcre o lavuredda (sepolcro o lavoretto).
Gli studiosi ritengono il “grano del sepolcro” una sopravvivenza dei “giardini di Adone”. Questo tipico
rituale fertilistico riservato alle donne, di origine fenicio-punica ma adottato anche da greci ed etruschi,
consisteva nel coltivare piccole quantità di cereali
o legumi all’interno di vasi, che venivano gettati in
mare all’equinozio di primavera. Così si festeggiava il
giovane amante di Venere che, con la sua morte e resurrezione, era considerato simbolo del risveglio della
natura dopo il lungo letargo invernale.
187
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Finito di stampare in Cagliari nel mese di marzo del 2008 per i tipi delle Arti Grafiche Pisano.
Testi in carattere Palatino.
Carta Larius silk da centosettanta grammi
delle Cartiere Burgo
con una tiratura di 1000 copie.
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