REGOLA
NON
BOLLATA
[1]
Questa è la prima Regola che il beato Francesco compose, e il signor papa Innocenzo gli
confermò senza bolla.
PROLOGO
[2]
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo! Questa è la vita del Vangelo di
Gesù Cristo, che frate Francesco chiese che dal signor papa Innocenzo gli fosse concessa e
confermata. Ed egli la concesse e la confermò per lui e per i suoi frati presenti e futuri.
[3]
Frate Francesco e chiunque sarà a capo di questa Religione, prometta obbedienza e
reverenza al signor papa Innocenzo e ai suoi successori.
E tutti gli altri frati siano tenuti ad obbedire a frate Francesco e ai suoi successori.
CAPITOLO I
CHE I FRATI VIVANO IN OBBEDIENZA, IN CASTITA'
E SENZA NULLA Dl PROPRIO
[4]
La regola e vita dei frati è questa, cioè vivere in obbedienza, in castità e senza nulla di
proprio, e seguire la dottrina e l'esempio del Signore nostro Gesù Cristo, il quale dice: «Se vuoi
essere perfetto, va', vendi tutto quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e
poi vieni e seguimi», e: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua
croce e mi segua»; e ancora: «Se qualcuno vuole venire a me e non odia il padre, la madre, la
moglie e i figli, i fratelli e le sorelle e anche la sua vita stessa non può essere mio discepolo».
E: «Chiunque avrà lasciato il padre o la madre, i fratelli o le sorelle, la moglie o i figli, le case
o i campi per amore mio, riceverà il centuplo e possederà la vita eterna».
CAPITOLO II
DELL'ACCETTAZIONE E DELLE VESTI DEI FRATI
[5]
Se qualcuno, per divina ispirazione, volendo scegliere questa vita, verrà
dai nostri frati, sia da essi benignamente accolto.
E se sarà deciso nell'accettare la nostra vita, si guardino bene i frati
dall'intromettersi nei suoi affari temporali, ma, quanto prima possono, lo
presentino al loro ministro.
Il ministro poi lo riceva con bontà e lo conforti e diligentemente gli esponga il
tenore della nostra vita. Dopo di che, il predetto, se vuole e lo può spiritualmente, senza impedimento, venda tutte le cose sue e procuri di distribuire tutto
ai poveri.
[6]
Si guardino i frati e il ministro dei frati dall'intromettersi in alcun modo
nei suoi affari, né accettino denaro né direttamente né per interposta persona.
Se tuttavia fossero nel bisogno, possono i frati ricevere le altre cose necessarie
al corpo, ma non denaro, come gli altri poveri, per ragione della necessità.
[7]
E quando sarà ritornato, il ministro gli conceda i panni della prova, per un
anno, e cioè due tonache senza cappuccio e il cingolo e i calzoni e il capperone
fino al cingolo. Finito l'anno e il periodo della prova, sia ricevuto all'obbedienza.
Dopo di che non potrà passare ad altra Religione, né andar vagando fuori dell'obbedienza, secondo la prescrizione del signor Papa, e secondo il Vangelo,
poiché nessuno che mette mano all'aratro e guarda indietro è adatto al regno di
Dio.
Se però venisse qualcuno che non può dar via le cose sue senza impedimento,
pur desiderandolo spiritualmente, le abbandoni, e ciò è sufficiente.
Nessuno sia ricevuto contro le norme e le prescrizioni della santa Chiesa.
[8]
Gli altri frati poi che hanno promesso obbedienza, abbiano una sola
tonaca con il cappuccio e un'altra senza cappuccio, se sarà necessario, e il
cingolo e i calzoni.
E tutti i frati portino vesti umili e sia loro concesso di rattopparle con stoffa di
sacco e di altre pezze con la benedizione di Dio, poiché dice il Signore nel
Vangelo: «Quelli che indossano abiti preziosi e vivono in mezzo alle delizie e
quelli che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re». E anche se sono
tacciati da ipocriti, tuttavia non cessino di fare il bene; né cerchino vesti
preziose in questo mondo perché possano avere una veste nel regno dei cieli.
CAPITOLO III
DEL DIVINO UFFICIO E DEL DIGIUNO
[9]
Dice il Signore: «Questa specie di demoni non si può scacciare se non con
la preghiera e col digiuno». E ancora: «Quando digiunate non prendete un'aria
melanconica come gli ipocriti».
[10] Perciò tutti i frati, sia chierici sia laici, recitino il divino ufficio, le lodi e
le orazioni come sono tenuti a fare.
I chierici recitino l'ufficio e lo dicano per i vivi e per i defunti, secondo la
consuetudine dei chierici. Per i difetti e le negligenze dei frati dicano, ogni giorno, il Miserere mei, Deus con il Pater noster.
Per i frati defunti dicano il De profundis con il Pater noster.
E possano avere soltanto i libri necessari per adempiere al loro ufficio. Anche ai
laici che sanno leggere il salterio, sia concesso di averlo; agli altri, invece, che
non sanno leggere, non sia concesso di avere alcun libro.
[11] I laici dicano il Credo in Dio e ventiquattro Pater noster con il Gloria al
Padre per il mattutino, cinque per le lodi, per l'ora di prima il Credo in Dio e
sette Pater noster, con il Gloria al Padre; per terza, sesta e nona, per ciascuna
di esse, sette Pater noster; per il vespro dodici, per compieta il Credo in Dio e
sette Pater noster con il Gloria al Padre; per i defunti sette Pater noster con il
Requiem aeternam; e per le mancanze e le negligenze dei frati tre Pater noster
ogni giorno.
[12] E similmente, tutti i frati digiunino dalla festa di Tutti i Santi fino al
Natale e dalla Epifania, quando il Signore nostro Gesù Cristo incominciò a
digiunare, fino alla Pasqua. Negli altri tempi poi, eccetto il venerdì, non siano
tenuti a digiunare secondo questa norma di vita. E secondo il Vangelo, sia loro
lecito mangiare di tutti i cibi che vengono loro presentati.
CAPITOLO IV
DEI RAPPORTI TRA I MINISTRI E GLI ALTRI FRATI
[13] Nel nome del Signore! Tutti i frati, che sono costituiti ministri e servi
degli altri frati, distribuiscano nelle province e nei luoghi in cui saranno, i loro
frati, e spesso li visitino e spiritualmente li esortino e li confortino. E tutti gli
altri miei frati benedetti diligentemente obbediscano loro in quelle cose che
riguardano la salute dell'anima e non sono contrarie alla nostra vita. E si
comportino tra loro come dice il Signore: «Tutto quanto desiderate che gli
uomini facciano a voi, fatelo voi pure a loro» e ancora: «Ciò che tu non vuoi sia
fatto a te, non farlo agli altri».
[14] E si ricordino i ministri e servi che il Signore dice: «Non sono venuto per
essere servito, ma per servire»; e che a loro è stata affidata la cura delle anime
dei frati, perciò se qualcuno di essi si perdesse per loro colpa e cattivo esempio,
nel giorno del giudizio dovranno rendere ragione davanti al Signore [nostro]
Gesù Cristo.
CAPITOLO V
DELLA CORREZIONE DEI FRATI NELLE LORO MANCANZE
[15]
Custodite, perciò, le vostre anime e quelle dei vostri fratelli, perché è terribile cadere
nelle mani del Dio vivente. Se poi qualcuno dei ministri comandasse a un frate, qualcosa contro
la nostra vita o contro la sua anima, il frate non sia tenuto ad obbedirgli, poiché non è
obbedienza quella in cui si commette delitto o peccato.
[16] Tuttavia, tutti i frati che sono sottoposti ai ministri e servi, considerino
con ponderazione e diligenza le azioni dei loro ministri e servi. E se vedranno
che qualcuno di essi vive secondo la carne e non secondo lo spirito, quale è
richiesto dalla rettitudine della nostra vita, dopo la terza ammonizione, se non
si sarà emendato, lo notifichino al ministro e servo di tutta la Fraternità nel
Capitolo di Pentecoste, senza che nulla lo impedisca.
[17] Se poi tra i frati, ovunque siano, ci fosse qualche frate che volesse
camminare secondo la carne e non secondo lo spirito, i frati, con i quali si trova,
lo ammoniscano, lo istruiscano e lo correggano con umiltà e diligenza. Che se,
dopo la terza ammonizione, quegli non avrà voluto emendarsi, Io mandino
oppure ne riferiscano al ministro e servo, e il ministro e servo lo tratti come gli
sembrerà meglio secondo Iddio.
[18] E si guardino tutti i frati, sia i ministri e servi sia gli altri, dal turbarsi e
dall'adirarsi per il peccato o il male di un altro, perché il diavolo per la colpa di
uno vuole corrompere molti, ma spiritualmente, come meglio possono, aiutino
chi ha peccato, perché non quelli che stanno bene hanno bisogno del medico,
ma gli ammalati.
[19] Similmente, tutti i frati non abbiano in questo alcun potere o dominio,
soprattutto fra di loro. Come dice infatti il Signore nel Vangelo: «I principi delle
nazioni le signoreggiano, e i grandi esercitano il potere su di esse; non cosi sarà
tra i frati; e chi tra loro vorrà essere maggiore, sia il loro ministro e servo; e
chi tra di essi è maggiore, si faccia come il minore».
[20] Nessun frate faccia del male o dica del male a un altro anzi per carità di
spirito volentieri si servano e si obbediscano vicendevolmente.
E questa è la vera e santa obbedienza del Signore nostro Gesù Cristo.
[21] E tutti i frati, ogni volta che si allontaneranno dai comandamenti del
Signore e andranno vagando fuori dell'obbedienza, come dice il profeta,
sappiano che essi sono maledetti fuori dall'obbedienza, fino a quando
rimarranno consapevolmente in tale peccato.
Se invece avranno perseverato nei comandamenti del Signore, che hanno
promesso di osservare seguendo il santo Vangelo e la loro forma di vita,
sappiano che sono nella vera obbedienza, e siano benedetti dal Signore.
CAPITOLO Vl
DEL RICORSO DEI FRATI Al LORO MINISTRI
E CHE NESSUN FRATE SIA CHIAMATO PRIORE
[22] I frati, in qualunque luogo sono, se non possono osservare la nostra vita,
quanto prima possono, ricorrano al loro ministro e glielo manifestino. Il ministro
poi procuri di provvedere ad essi, così come egli stesso vorrebbe si facesse per
lui, se si trovasse in un caso simile.
[23] E nessuno sia chiamato priore, ma tutti siano chiamati semplicemente
frati minori. E l'uno lavi i piedi all'altro.
CAPITOLO Vll
DEL MODO Dl SERVIRE E Dl LAVORARE
[24] Tutti i frati, in qualunque luogo si trovino presso altri per servire o per
lavorare, non facciano né gli amministratori né i cancellieri, né presiedano nelle
case in cui prestano servizio; né accettino alcun ufficio che generi scandalo o
che porti danno alla loro anima; ma siano minori e sottomessi a tutti coloro che
sono in quella stessa casa.
E i frati che sanno lavorare, Iavorino ed esercitino quel mestiere che già
conoscono, se non sarà contrario alla salute dell'anima e può essere esercitato
onestamente.
Infatti dice il profeta: «Mangerai il frutto del tuo lavoro; beato sei e t'andrà
bene»; e l'Apostolo: «Chi non vuol lavorare, non mangi»; e: «Ciascuno rimanga
in quel mestiere e in quella professione cui fu chiamato». E per il lavoro
prestato possano ricevere tutto il necessario, eccetto il denaro.
E quando sarà necessario, vadano per l'elemosina come gli altri poveri.
[25] E possano avere gli arnesi e gli strumenti adatti ai loro mestieri.
Tutti i frati cerchino di applicarsi alle opere buone; poiché sta scritto: Fa'
sempre qualche cosa di buono affinché il diavolo ti trovi occupato, e ancora:
L'ozio è il nemico dell'anima. Perciò i servi di Dio devono sempre dedicarsi alla
preghiera o a qualche opera buona.
[26] Si guardino i frati, ovunque saranno, negli eremi o in altri luoghi, di non
appropriarsi di alcun luogo e di non contenderlo ad alcuno.
E chiunque verrà da essi, amico o nemico, ladro o brigante, sia ricevuto con
bontà. E ovunque sono i frati e in qualunque luogo si incontreranno, debbano
rivedersi volentieri e con gioia di spirito e onorarsi scambievolmente senza
mormorazione.
[27] E si guardino i frati dal mostrarsi tristi all'esterno e oscuri in faccia come
gli ipocriti , ma si mostrino lieti nel Signore e giocondi e garbatamente amabili.
CAPITOLO Vlll
CHE I FRATI NON RICEVANO DENARO
[28]
Il Signore comanda nel Vangelo: «Attenzione, guardatevi da ogni malizia e avarizia»; e:
«Guardatevi dalle preoccupazioni di questo mondo e dalle cure di questa vita». Perciò, nessun
frate, ovunque sia e dovunque vada, in nessun modo prenda con sé o riceva da altri o permetta
che sia ricevuta pecunia o denaro, né col pretesto di acquistare vesti o libri, né per compenso di
alcun lavoro, insomma per nessuna ragione, se non per una manifesta necessità dei frati infermi;
poiché non dobbiamo avere né attribuire alla pecunia e al denaro maggiore utilità che ai sassi.
E il diavolo vuole accecare quelli che li desiderano e li stimano più dei sassi. Badiamo, dunque,
noi che abbiamo lasciato tutto, di non perdere, per sì poca cosa, il regno dei cieli.
E se troveremo in qualche luogo del denaro, non curiamocene, come della polvere che si
calpesta, poiché è vanità delle vanità e tutto è vanità.
E se per caso, Dio non voglia, capitasse che un frate raccogliesse o avesse della pecunia o del
denaro, eccettuato soltanto per la predetta necessità relativa agli infermi, tutti noi frati
riteniamolo un falso frate e apostata e un ladro e un brigante, e un ricettatore di borse, a meno
che non se ne penta sinceramente.
E in nessun modo i frati accettino né permettano di accettare, né cerchino, né facciano cercare
pecunia per elemosina, né soldi per qualche casa o luogo, né si accompagnino con persona che
vada in cerca di pecunia o di denaro per tali luoghi. Altri servizi invece, che non sono contrari
alla nostra forma di vita, i frati li possono fare nei luoghi con la benedizione di Dio.
Tuttavia, i frati, per una evidente necessità dei lebbrosi, possono chiedere l'elemosina per essi.
Si guardino però molto dalla pecunia. Similmente, tutti i frati si guardino di non andare in giro
per alcun turpe guadagno.
CAPITOLO IX
DEL CHIEDERE L'ELEMOSINA
[29] Tutti i frati si impegnino a seguire l'umiltà e la povertà del Signore nostro
Gesù Cristo, e si ricordino che nient'altro ci è consentito di avere, di tutto il
mondo, come dice l'apostolo, se non il cibo e le vesti, e di questi ci dobbiamo
accontentare.
[30] E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e
disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo
la strada.
[31] E quando sarà necessario, vadano per l'elemosina.
E non si vergognino, ma si ricordino piuttosto che il Signor nostro Gesù Cristo,
Figlio del Dio vivo , onnipotente, rese la sua faccia come pietra durissima, né si
vergognò; e fu povero e ospite, e visse di elemosine lui e la beata Vergine e i
suoi discepoli E quando gli uomini facessero loro vergogna e non volessero dare
loro l'elemosina, ne ringrazino Iddio, poiché per tali umiliazioni riceveranno
grande onore presso il tribunale del Signore nostro Gesù Cristo.
E sappiano che l'umiliazione è imputata non a coloro che la ricevono ma a coloro
che la fanno.
E l'elemosina è l'eredità e la giustizia dovuta ai poveri; l'ha acquistata per noi il
Signor nostro Gesù Cristo. E i frati che lavorano per acquistarla avranno grande
ricompensa e la fanno guadagnare e acquistare a quelli che la donano; poiché
tutte le cose che gli uomini lasceranno nel mondo, periranno, ma della carità e
delle elemosine che hanno fatto riceveranno il premio dal Signore.
[32] E con fiducia l'uno manifesti all'altro la propria necessità, perché l'altro
gli trovi le cose necessarie e gliele dia. E ciascuno ami e nutra il suo fratello,
come la madre ama e nutre il proprio figlio, in tutte quelle cose in cui Dio gli
darà grazia. E colui che non mangia non giudichi colui che mangia.
[33] E ogniqualvolta sopravvenga la necessità, sia consentito a tutti i frati,
ovunque si trovino, di prendere tutti i cibi che gli uomini possono mangiare, così
come il Signore dice di David, il quale mangiò i pani dell'offerta che non era
permesso mangiare se non ai sacerdoti. E ricordino ciò che dice il Signore:
«Badate a voi che non vi capiti che i vostri cuori siano aggravati dalla crapula e
dall'ubriachezza e dalle preoccupazioni di questa vita e che quel giorno piombi
su di voi all'improvviso, poiché cadrà come un laccio su tutti coloro che abitano
sulla faccia della terra». Similmente, ancora, in tempo di manifesta necessità
tutti i frati provvedano per le cose loro necessarie cosi come il Signore darà loro
la grazia, poiché la necessità non ha legge.
CAPITOLO X
DEI FRATI INFERMI
[34] Se un frate cadrà ammalato, ovunque si trovi, gli altri frati non lo lascino
senza avere prima incaricato un frate, o più se sarà necessario, che lo servano
come vorrebbero essere serviti essi stessi; però in caso di estrema necessità, lo
possono affidare a qualche persona che debba assisterlo nella sua infermità.
[35] E prego il frate infermo di rendere grazie di tutto al Creatore; e che
quale lo vuole il Signore, tale desideri di essere, sano o malato, poiché tutti
coloro che Dio ha preordinato alla vita eterna, li educa con i richiami stimolanti
dei flagelli e delle infermità e con lo spirito di compunzione, così come dice il
Signore: «lo quelli che amo, li correggo e li castigo».
Se invece si turberà e si adirerà contro Dio e contro i frati, ovvero chiederà con
insistenza medicine, desiderando troppo di liberare la carne che presto dovrà
morire, e che è nemica dell'anima, questo gli viene dal maligno ed egli è uomo
carnale, e non sembra essere un frate, poiché ama più il corpo che l'anima.
CAPITOLO Xl
CHE I FRATI NON FACCIANO INGIURIA NÉ DETRAZIONE,
MA Sl AMINO SCAMBIEVOLMENTE
[36] E tutti i frati si guardino dal calunniare alcuno, e evitino le dispute di
parole, anzi cerchino di conservare il silenzio, se Dio darà loro questa grazia. E
non litighino tra loro, né con gli altri, ma procurino di rispondere con umiltà,
dicendo: Sono servo inutile.
[37] E non si adirino, perché chiunque si adira col suo fratello, sarà
condannato al giudizio; chi avrà detto al suo fratello «raca», sarà condannato
nel Sinedrio; chi gli avrà detto «pazzo», sarà condannato al fuoco della Geenna.
E si amino scambievolmente, come dice il Signore: «Questo è il mio
comandamento: che vi amiate scambievolmente come io ho amato voi». E
mostrino con le opere l'amore che hanno fra di loro, come dice l'apostolo: «Non
amiamo a parola né con la lingua, ma con le opere e in verità». E non
oltraggino nessuno; non mormorino, non calunnino gli altri, poiché è scritto: «i
sussurroni e i detrattori sono in odio a Dio».
E siano modesti, mostrando
ogni mansuetudine verso tutti gli uomini. Non giudichino, non condannino; e
come dice il Signore, non guardino ai più piccoli peccati degli altri, ma pensino
piuttosto ai loro nell'amarezza della loro anima.
E si sforzino di entrare per la porta stretta, poiché dice il Signore: «Angusta èla
porta e stretta la via che conduce alla vita; e sono pochi quelli che la trovano».
CAPITOLO Xll
DEGLI SGUARDI IMPURI E DELLA COMPAGNIA DELLE DONNE
[38] 1 Tutti i frati, ovunque siano o vadano, evitino gli sguardi impuri e la
compagnia delle donne. 2 E nessuno si trattenga in consigli né cammini solo per
la strada né mangi alla mensa in unico piatto con esse.
3 I sacerdoti parlino con loro onestamente quando amministrano la penitenza o
per qualche consiglio spirituale.
4 E nessuna donna in maniera assoluta sia ricevuta all'obbedienza da alcun frate,
ma una volta datole il consiglio spirituale, essa faccia vita di penitenza dove
vorrà. 5 E tutti dobbiamo vigilare molto su noi stessi e dobbiamo mantenere le
nostre membra pure, poiché dice il Signore: «Chiunque avrà guardato una donna
per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei, nel suo cuore». E l'apostolo:
«Non sapete che le vostre membra sono tempio dello Spirito Santo?; perciò, se
uno violerà il tempio di Dio, Dio distruggerà lui».
CAPITOLO Xlll
DELL'EVITARE LA FORNICAZIONE
[39] Se un frate, per istigazione del diavolo, dovesse fornicare, sia spogliato
dell'abito, che per il turpe peccato ha perduto il diritto di portare, e lo deponga
del tutto, e sia espulso totalmente dalla nostra Religione. E dopo faccia
penitenza dei peccati.
CAPITOLO XIV
COME I FRATI DEVONO ANDARE PER IL MONDO
[40] Quando i frati vanno per il mondo, non portino niente per il viaggio, né
sacco, né bisaccia, né pane, né pecunia, né bastone. E in qualunque casa
entreranno dicano prima: Pace a questa casa. E dimorando in quella casa
mangino e bevano quello che ci sarà presso di loro. Non resistano al malvagio;
ma se uno li percuote su una guancia, gli offrano l'altra. E se uno toglie loro il
mantello, non gli impediscano di prendere anche la tunica. Diano a chiunque
chiede; e a chi toglie il loro, non lo richiedano.
CAPITOLO XV
CHE I FRATI NON POSSEGGANO BESTIE, NE VADANO A CAVALLO
[41] Ordino a tutti i miei frati sia chierici che laici, che vanno per il mondo o
dimorano nei luoghi, di non avere né presso di sé, né presso altri, né in nessun
altro modo, alcuna bestia.
E non sia loro lecito andare a cavallo se non vi siano costretti da infermità o da
grande necessità.
CAPITOLO XVI
Dl COLORO CHE VANNO TRA I SARACENI E GLI ALTRI INFEDELI
[42] Dice il Signore: «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate
dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe».
Perciò qualsiasi frate che vorrà andare tra i Saraceni e altri infedeli, vada con il
permesso del suo ministro e servo.
Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che sono idonei ad
essere mandati; infatti dovrà rendere ragione al Signore, se in queste come in
altre cose avrà proceduto senza discrezione.
[43] I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente
in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma
siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio a e confessino di essere
cristiani.
L'altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di
Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si
facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non
può entrare nel regno di Dio.
[44] Queste ed altre cose che piaceranno al Signore, possono dire ad essi e ad
altri; poiché dice il Signore nel Vangelo: «Chi mi riconoscerà davanti agli
uomini, io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli»; e: «Chiunque si
vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui,
quando tornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli».
[45] E tutti i frati, ovunque sono, si ricordino che si sono donati e hanno
abbandonato i loro corpi al Signore nostro Gesù Cristo. E per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili, poiché dice il Signore: «Colui che
perderà l'anima sua per causa mia la salverà per la vita eterna».
«Beati quelli che sono perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il
regno dei cieli. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi». E: «Se
poi vi perseguitano in una città fuggite in un'altra. Beati sarete, quando gli
uomini vi odieranno e vi malediranno e vi perseguiteranno e vi bandiranno e vi
insulteranno e il vostro nome sarà proscritto come infame e falsamente diranno
di voi ogni male per causa mia; rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché
grande è la vostra ricompensa nei cieli. E io dico a voi, miei amici: non
lasciatevi spaventare da loro e non temete coloro che uccidono il corpo e dopo
di ciò non possono far niente di più .
Guardatevi di non turbarvi. Con la vostra pazienza infatti salverete le vostre
anime .
E chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo».
CAPITOLO XVII
DEI PREDICATORI
[46] Nessun frate predichi contro la forma e le prescrizioni della santa Chiesa
e senza il permesso del suo ministro. E il ministro si guardi dal concederlo senza
discernimento. Tutti i frati, tuttavia, predichino con le opere. E nessun ministro
o predicatore consideri sua proprietà il ministero dei frati o l'ufficio della predi-
cazione, ma in qualunque ora gli fosse ordinato, lasci, senza alcuna
contestazione, il suo incarico.
[47] Per cui scongiuro, nella carità che è Dio, tutti i miei frati occupati nella
predicazione, nell'orazione, nel lavoro, sia chierici che laici, che cerchino di
umiliarsi in tutte le cose, di non gloriarsi, né godere tra sé, né esaltarsi dentro
di sé delle buone parole e delle opere anzi di nessun bene che Dio dice, o fa o
opera talora in loro e per mezzo di loro, secondo quello che dice il Signore:
«Non rallegratevi però in questo, perché vi stanno soggetti gli spiriti».
[48] E siamo fermamente convinti che non appartengono a noi se non i vizi e i
peccati. E dobbiamo anzi godere quando siamo esposti a diverse prove, e
quando sosteniamo qualsiasi angustia o afflizione di anima o di corpo in questo
mondo in vista della vita eterna. Quindi tutti noi frati guardiamoci da ogni
superbia e vana gloria; e difendiamoci dalla sapienza di questo mondo e dalla
prudenza della carne . Lo spirito della carne, infatti, vuole e si preoccupa molto
di possedere parole, ma poco di attuarle, e cerca non la religiosità e la santità
interiore dello spirito, ma vuole e desidera avere una religiosità e una santità
che appaia al di fuori agli uomini.
È di questi che il Signore dice: "In verità vi dico, hanno ricevuto la loro
ricompensa". Lo spirito del Signore invece vuole che la carne sia mortificata e
disprezzata, vile e abbietta, e ricerca l'umiltà e la pazienza e la pura e semplice
e vera pace dello spirito; e sempre desidera soprattutto il divino timore e la
divina sapienza e il divino amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
[49] E restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo
che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamogli grazie, perché procedono tutti
da Lui. E lo stesso altissimo e sommo, solo vero Dio abbia, e gli siano resi ed Egli
stesso riceva tutti gli onori e la reverenza, tutte le lodi e tutte le benedizioni,
ogni rendimento di grazia e ogni gloria, poiché suo è ogni bene ed Egli solo è
buono.
E quando vediamo o sentiamo maledire o fare del male o bestemmiare Dio, noi
benediciamo e facciamo del bene e lodiamo il Signore che è benedetto nei secoli. Amen.
CAPITOLO XVIII
COME I MINISTRI DEVONO RADUNARSI INSIEME
[50] Ciascun ministro possa riunirsi con i suoi frati, ogni anno, ovunque piaccia
a loro, nella festa di san Michele arcangelo, per trattare delle cose che
riguardano Dio. Ma tutti i ministri, quelli che sono nelle regioni d'oltremare e
oltr'alpe una volta ogni tre anni, e gli altri una volta all'anno, vengano al
Capitolo generale nella festa di Pentecoste, presso la chiesa di Santa Maria della
Porziuncola a meno che dal ministro e servo di tutta la fraternità non sia stato
ordinato diversamente.
CAPITOLO XIX
CHE I FRATI VIVANO CATTOLICAMENTE
[51] Tutti i frati siano cattolici, vivano e parlino cattolicamente. Se qualcuno
poi a parole o a fatti si allontanerà dalla fede e dalla vita cattolica e non se ne
sarà emendato, sia espulso totalmente dalla nostra fraternità.
[52] E riteniamo tutti i chierici e tutti i religiosi per padroni in quelle cose che
riguardano la salvezza dell'anima e che non deviano dalla nostra religione, e veneriamone l'ordine sacro, l'ufficio e il ministero nel Signore.
CAPITOLO XX
DELLA PENITENZA E DELLA COMUNIONE
DEL CORPO E DEL SANGUE DEL SIGNORE NOSTRO GESU' CRISTO
[53] I frati miei benedetti, sia chierici che laici, confessino i loro peccati ai
sacerdoti della nostra Religione. E se non potranno, si confessino ad altri
sacerdoti prudenti e cattolici, fermamente convinti e consapevoli che da
qualsiasi sacerdote cattolico riceveranno la penitenza e l'assoluzione, saranno
senza dubbio assolti da quei peccati, se procureranno di osservare umilmente e
fedelmente la penitenza loro imposta.
Se invece in quel momento non potranno avere un sacerdote, si confessino a un
loro fratello come dice l'apostolo Giacomo: «Confessate l’uno all’altro i vostri
peccati». Tuttavia per questo, non tralascino di ricorrere ai sacerdoti poiché
solo ai sacerdoti è concessa la potestà di legare e di sciogliere.
[54] E così contriti e confessati ricevano il corpo e il sangue del Signor nostro
Gesù Cristo, con grande umiltà e venerazione, ricordando le parole del Signore.
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna», e ancora:
«Fate questo in memoria di me».
CAPITOLO XXI
DELLA ESORTAZIONE E DELLA LODE CHE POSSONO FARE TUTTI I FRATI
[55] E questa o simile esortazione e lode tutti i miei frati, quando a loro
piacerà, possono annunciare ad ogni categoria di uomini, con la benedizione di
Dio:
Temete e onorate,
lodate e benedite,
ringraziate e adorate
il Signore Dio onnipotente
nella Trinità e nell'Unità,
Padre e Figlio e Spirito Santo,
creatore di tutte le cose.
Fate penitenza,
fate frutti degni di penitenza,
perché presto moriremo.
Date e vi sarà dato,
Perdonate e vi sarà perdonato;
E se non perdonerete agli uomini le loro offese,
il Signore non vi perdonerà i vostri peccati.
Confessate tutti i vostri peccati.
Beati coloro che muoiono nella penitenza,
poiché saranno nel regno dei cieli.
Guai a quelli che non muoiono nella penitenza,
poiché saranno figli del diavolo
di cui compiono le opere,
e andranno nel fuoco eterno,
Guardatevi e astenetevi da ogni male
e perseverate nel bene fino alla fine.
CAPITOLO XXII
AMMONIZIONE Al FRATI
[56] O frati tutti, riflettiamo attentamente che il Signore dice: «Amate i vostri
nemici e fate del bene a quelli che vi odiano», poiché il Signore nostro Gesù Cristo, di cui dobbiamo seguire le orme, chiamò amico il suo traditore e si offrì
spontaneamente ai suoi crocifissori. Sono, dunque, nostri amici tutti coloro che
ingiustamente ci infliggono tribolazioni e angustie, ignominie e ingiurie, dolori e
sofferenze, martirio e morte, e li dobbiamo amare molto poiché, a motivo di ciò
che essi ci infliggono, abbiamo la vita eterna.
[57] E dobbiamo avere in odio il nostro corpo con i suoi vizi e peccati, poiché
quando noi viviamo secondo la carne, il diavolo vuole toglierci l'amore del
[Signore nostro] Gesù Cristo e la vita eterna e vuole perdere se stesso con tutti
nell'inferno; poiché noi per colpa nostra siamo ignobili, miserevoli e contrari al
bene, pronti invece e volonterosi al male, perché, come dice il Signore nel
Vangelo: «Dal cuore procedono ed escono i cattivi pensieri, gli adulteri, le
fornicazioni, gli omicidi, i furti, la cupidigia, la cattiveria, la frode, la
impudicizia, l'invidia, le false testimonianze, la bestemmia, [la superbia], la
stoltezza, Tutte queste cose cattive procedono dal di dentro del cuore
dell'uomo, e sono queste cose che contaminano l'uomo».
Ora invece, da che abbiamo abbandonato il mondo, non abbiamo da fare altro
che seguire la volontà del Signore e piacere unicamente a Lui.
[58] Guardiamoci bene dall'essere la terra lungo la strada, o la terra sassosa, o
quella invasa dalle spine secondo quanto dice il Signore nel Vangelo: «Il seme è
la parola di Dio. Quello che cadde lungo la strada e fu calpestato sono coloro
che ascoltano la parola di Dio. e non la comprendono; e subito viene il diavolo e
porta via quello che è stato seminato nei loro cuori, perché non credano e siano
salvati. Quello poi che cadde nei luoghi sassosi, sono coloro che appena
ascoltano la parola, subito la ricevono con gioia; ma quando sopraggiunge una
tribolazione o una persecuzione a causa della parola, ne restano
immediatamente scandalizzati; anche questi non hanno radice in sé, sono
incostanti, perché credono per un certo tempo, ma nell'ora della tentazione
vengono meno. Quello che cadde tra le spine, sono coloro che ascoltano la
parola, ma le cure di questo mondo e la seduzione delle ricchezze e gli altri
affetti disordinati entrano nel loro animo e soffocano la parola, sicché rimangono infruttuosi. Infine il seme affidato alla terra buona, sono coloro che,
ascoltando la parola con buone, anzi ottime disposizioni, la intendono e la
custodiscono e portano frutti con la perseveranza».
[59] E perciò noi frati, così come dice il Signore, «lasciamo che i morti
seppelliscano i loro morti».
E guardiamoci bene dalla malizia e dall'astuzia di Satana, il quale vuole che
l'uomo non abbia la sua mente e il cuore rivolti a Dio; e, circuendo il cuore
dell'uomo con il pretesto di una ricompensa o di un aiuto, mira a togliere e a
soffocare la parola e i precetti del Signore dalla memoria, e vuole accecare il
cuore dell'uomo, attraverso gli affari e le preoccupazioni di questo mondo, e
abitarvi, così come dice il Signore: «Quando lo spirito immondo è uscito da un
uomo va per luoghi aridi e senz'acqua in cerca di riposo e non la trova; e allora
dice: Tornerò nella mia casa da cui sono uscito. E quando vi arriva, la trova
vuota, spazzata e adorna. Allora egli se ne va e prende con sé altri sette spiriti
peggiori di lui, poi entrano e vi prendono dimora, sicché l'ultima condizione di
quell'uomo diventa peggiore della prima.
[60] Perciò, tutti noi frati, stiamo bene in guardia, perché, sotto pretesto di
ricompensa, di opera da fare e di un aiuto, non ci avvenga di perdere o di
distogliere la nostra mente e il cuore dal Signore.
Ma, nella santa carità, che è Dio, prego tutti i frati, sia i ministri che gli altri,
che, allontanato ogni impedimento e messa da parte ogni preoccupazione e ogni
affanno, in qualunque modo meglio possono, si impegnino a servire, amare,
adorare e onorare il Signore Iddio, con cuore puro e con mente pura, ciò che
egli stesso domanda sopra tutte le cose.
[61] E sempre costruiamo in noi una casa e una dimora permanente a Lui, che
è il Signore Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, e che dice: «Vigilate
dunque e pregate in ogni tempo, affinché possiate sfuggire tutti i mali che
accadranno e stare davanti al Figlio dell'uomo. E quando vi mettete a pregare,
dite: Padre nostro che sei nei cieli. E adoriamolo con cuore puro, poiché
bisogna sempre pregare senza stancarsi mai; infatti il Padre cerca tali
adoratori. Dio è spirito, e bisogna che quelli che lo adorano, lo adorino in
spirito e verità». E a lui ricorriamo come al pastore e al vescovo delle anime
nostre, il quale dice: «lo sono il buon Pastore, che pascolo le mie pecore e do la
mia vita per le mie pecore». «Voi siete tutti fratelli. Non vogliate chiamare
nessuno padre vostro sulla terra, perché uno solo è il vostro Padre, quello che è
nei cieli. Né fatevi chiamare maestri, perché uno solo è il vostro maestro, che è
nei cieli, [Cristo]». «Se rimarrete in me e rimarranno in voi le mie parole,
domanderete quel che vorrete e vi sarà fatto. Dove sono due o tre riuniti nel
mio nome, ci sono io in mezzo a loro. Ecco, io sono con voi fino alla fine dei
secoli. Le parole che vi ho detto sono spirito e vita . lo sono la via, la verità e
la vita».
[62] Manteniamoci dunque fedeli alle parole, alla vita, alla dottrina e al santo
Vangelo di colui che si è degnato pregare per noi il Padre suo e manifestarci il
nome di lui, dicendo: «Padre, glorifìca il tuo nome» e: «Glorifica il Figlio tuo
perché il Figlio tuo glorifichi te». «Padre, ho manifestato il tuo nome agli
uomini, che mi hai dato, perché le parole che tu hai dato a me, io le diedi loro;
ed essi le hanno accolte e hanno riconosciuto che io sono uscito da te ed hanno
creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma
per quelli che mi hai dato, perché sono tuoi, e tutto ciò che è mio è tuo. Padre
santo, custodisci nel Nome tuo coloro che mi hai dato, affinché siano una cosa
sola come noi. Questo io dico nel mondo, affinché abbiano la gioia in se stessi.
Io ho comunicato loro la tua parola, e il mondo li ha odiati perché non sono del
mondo, come non sono del mondo io. Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma
che tu li guardi dal male. Rendili gloriosi nella verità. La tua parola è verità.
Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo. E per
loro io santifico me stesso, affinché anche loro siano santificali nella verità.
Non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che crederanno in me, per
la loro parola, affinché siano perfetti nell'unità, e il mondo conosca che tu mi
hai mandato e li hai amati, come hai amato me. Ed io renderò noto a loro il tuo
Nome, affinché l'amore col quale tu hai amato me sia in loro ed io in loro.
Padre, quelli che mi hai dato, voglio che dove io sono siano anch'essi con me,
perché contemplino la tua gloria nel tuo regno». Amen.
CAPITOLO XXIII
PREGHIERA E RENDIMENTO Dl GRAZIE
[63] Onnipotente, santissimo, altissimo e sommo Dio, Padre santo e giusto,
Signore Re del cielo e della terra, per te stesso ti rendiamo grazie, perché per
la tua santa volontà e per l'unico tuo Figlio con lo Spirito Santo hai creato tutte
le cose spirituali e corporali, e noi fatti a tua immagine e somiglianza hai posto
in Paradiso. E noi per colpa nostra siamo caduti.
[64] E ti rendiamo grazie, perché come tu ci hai creato per mezzo del tuo
Figlio, cosi per il santo tuo amore, col quale ci hai amato, hai fatto nascere lo
stesso vero Dio e vero uomo dalla gloriosa sempre vergine beatissima santa
Maria, e, per la croce, il sangue e la morte di Lui ci hai voluti redimere dalla
schiavitù.
[65] E ti rendiamo grazie, perché lo stesso tuo Figlio ritornerà nella gloria
della sua maestà per destinare i reprobi, che non fecero penitenza e non ti
conobbero, al fuoco eterno, e per dire a tutti coloro che ti conobbero e ti
adorarono e ti servirono nella penitenza: Venite, benedetti dal Padre mio,
entrate in possesso del regno, che vi è stato preparato fin dalle origini del
mondo.
[66] E poiché tutti noi miseri e peccatori, non siamo degni di nominarti,
supplici preghiamo che il Signore nostro Gesù Cristo Figlio tuo diletto, nel quale
ti sei compiaciuto, insieme con lo Spirito Santo Paraclito ti renda grazie così
come a te e a lui piace, per ogni cosa, Lui che ti basta sempre in tutto e per il
quale a noi hai fatto cose tanto grandi. Alleluia.
[67] E per il tuo amore supplichiamo umilmente la gloriosa e beatissima Madre
sempre vergine Maria, i beati Michele, Gabriele e Raffaele e tutti i cori degli
spiriti celesti: serafini, cherubini, troni, dominazioni, principati, potestà, virtù,
angeli, arcangeli; il beato Giovanni Battista, Giovanni evangelista, Pietro, Paolo,
e i beati Patriarchi, i profeti, i santi innocenti, gli apostoli, gli evangelisti, i
discepoli, i martiri, i confessori, le vergini, i beati Elia e Enoch e tutti i santi che
furono e saranno e sono, affinché, come a te piace, per tutti questi benefici
rendano grazie a Te, sommo vero Dio, eterno e vivo, con il Figlio tuo carissimo,
il Signore nostro Gesù Cristo e con lo Spirito Santo Paraclito nei secoli dei secoli.
Amen. Alleluia (1).
[68] E tutti coloro che vogliono servire al Signore Iddio nella santa Chiesa
cattolica e apostolica, e tutti i seguenti ordini: sacerdoti, diaconi, suddiaconi,
accoliti, esorcisti, lettori, ostiari, e tutti i chierici, e tutti i religiosi e le
religiose, tutti i conversi e i fanciulli, i poveri e i miseri, i re e i principi, i
lavoratori e i contadini, i servi e i padroni, tutte le vergini e le continenti e le
maritate, i laici, uomini e donne, tutti i bambini, gli adolescenti, i giovani e i
1
Ap 19,3-4.
vecchi, i sani e gli ammalati, tutti i piccoli e i grandi e tutti i popoli, genti,
razze e lingue, tutte le nazioni e tutti gli uomini d'ogni parte della terra, che
sono e saranno, noi tutti frati minori, servi inutili, umilmente preghiamo e
supplichiamo perché perseveriamo nella vera fede e nella penitenza, poiché
nessuno può salvarsi in altro modo.
[69] Tutti amiamo con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente,
con tutta la capacità e la fortezza, con tutta l'intelligenza, con tutte le forze,
con tutto lo slancio, tutto l'affetto, tutti i sentimenti più profondi, tutti i
desideri e la volontà il Signore Iddio, il quale a tutti noi ha dato e dà tutto il
corpo, tutta l'anima e tutta la vita; che ci ha creati, redenti, e ci salverà per sua
sola misericordia; Lui che ogni bene fece e fa a noi miserevoli e miseri, putridi e
fetidi, ingrati e cattivi.
[70] Nient'altro dunque dobbiamo desiderare, niente altro volere, nient'altro
ci piaccia e diletti, se non il Creatore e Redentore e Salvatore nostro, solo vero
Dio, il quale è il bene pieno, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene, che
solo è buono, pio, mite, soave e dolce, che solo è santo, giusto, vero, santo e
retto, che solo è benigno, innocente, puro, dal quale e per il quale e nel quale è
ogni perdono, ogni grazia, ogni gloria di tutti i penitenti e giusti, di tutti i santi
che godono insieme nei cieli.
[71] Niente dunque ci ostacoli, niente ci separi, niente si frapponga.
E ovunque, noi tutti, in ogni luogo, in ogni ora e in ogni tempo, ogni giorno e
ininterrottamente crediamo veramente e umilmente e teniamo nel cuore e
amiamo, onoriamo, adoriamo, serviamo, lodiamo e benediciamo, glorifichiamo
ed esaltiamo, magnifichiamo e rendiamo grazie all'altissimo e sommo eterno
Dio, Trinità e Unità, Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose e
Salvatore di tutti coloro che credono e sperano in lui, e amano lui che è senza
inizio e senza fine, immutabile, invisibile, inenarrabile, ineffabile
incomprensibile. ininvestigabile, benedetto, degno di lode, glorioso, sopraesaltato, sublime, eccelso, soave, amabile, dilettevole e tutto sopra tutte le
cose desiderabile nei secoli dei secoli. Amen.
CAPITOLO XXIV
CONCLUSIONE
(72)
Nel nome del Signore! Prego tutti i frati di imparare la lettera ed il contenuto delle cose
che in questa forma di vita sono state scritte a salvezza della nostra anima, e di richiamarle
frequentemente alla memoria. E prego Dio affinché egli stesso, che è onnipotente, trino e uno,
benedica tutti quanti insegnano, imparano, custodiscono, ritengono a memoria e praticano
queste cose, ogni volta che ricordano e fanno quelle cose che in essa sono state scritte per la
salvezza della nostra anima. E supplico tutti, baciando loro i piedi, che le amino molto, le
custodiscano e le conservino.
[73] E da parte di Dio onnipotente e del signor Papa, e per obbedienza io,
frate Francesco, fermamente comando e ordino che nessuno tolga o aggiunga
scritto alcuno a quelle cose che sono state scritte in questa vita, e che i frati
non abbiano un'altra Regola.
Gloria al Padre, e al Figlio e allo Spirito Santo, come era in principio e ora e
sempre e nel secoli dei secoli. Amen.
REGOLA
BOLLATA.
[74a] Onorio, vescovo, servo dei servi di Dio, ai diletti figli, frate Francesco e agli altri frati
dell'Ordine dei frati minori, salute e apostolica benedizione.
La Sede Apostolica suole accondiscendere ai pii voti e accordare benevolo favore agli onesti
desideri dei richiedenti. Pertanto, diletti figli nel Signore, noi, accogliendo le vostre pie
suppliche, vi confermiamo con l'autorità apostolica, la Regola del vostro Ordine, approvata dal
nostro predecessore papa Innocenzo, di buona memoria e qui trascritta, e l'avvaloriamo con il
patrocinio del presente scritto. La Regola è questa:
CAPITOLO I
[74]
NEL NOME DEL SIGNORE!
INCOMINCIA LA VITA DEI FRATI MINORI
[75]
La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore
nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità.
[76]
Frate Francesco promette obbedienza e reverenza al signor papa Onorio eä ai suoi
successori canonicamente eletti e alla Chiesa romana. E gli altri frati siano tenuti a obbedire a
frate Francesco e ai suoi successori.
CAPITOLO II
Dl COLORO CHE VOGLIONO INTRAPRENDERE QUESTA VITA
E COME DEVONO ESSERE RICEVUTI
[77]
Se alcuni vorranno intraprendere questa vita e verranno dai nostri frati, questi li
mandino dai loro ministri provinciali, ai quali soltanto e non ad altri sia concesso di ammettere i
frati. I ministri, poi, diligentemente li esaminino intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della
Chiesa. E se credono tutte queste cose e le vogliono fedelmente professare e osservare
fermamente fino alla fine; e non hanno mogli o, qualora le abbiano, esse siano già entrate in
monastero o abbiano dato loro il permesso con l'autorizzazione del vescovo diocesano, dopo aver
fatto voto di castità; e le mogli siano di tale età che non possa nascere su di loro alcun sospetto;
dicano ad essi la parola del santo Vangelo, che “vadano e vendano tutto quello che posseggono e
procurino di darlo ai poveri”. Se non potranno farlo, basta ad essi la buona volontà.
[78]
E badino i frati e i loro ministri di non essere solleciti delle loro cose temporali, affinché
dispongano delle loro cose liberamente, secondo l'ispirazione del Signore. Se tuttavia fosse loro
chiesto un consiglio i ministri abbiano la facoltà di mandarli da persone timorate di Dio, perché
con il loro consiglio i beni vengano elargiti ai poveri.
[79]
Poi concedano loro i panni della prova cioè due tonache senza cappuccio eä il cingolo e i
pantaloni e il capperone fino al cingolo a meno che qualche volta ai ministri non sembri
diversamente secondo Dio.
[80]
Terminato, poi, I'anno della prova, siano ricevuti all'obbedienza, promettendo di
osservare sempre questa vita e Regola. E in nessun modo sarà loro lecito di uscire da questa
Religione, secondo il decreto del signor Papa; poiché, come dice il Vangelo, “nessuno che mette
la mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio”.
[81]
E coloro che hanno già promesso obbedienza, abbiano una tonaca con il cappuccio e
un'altra senza, coloro che la vorranno avere. E coloro che sono costretti da necessità possano
portare calzature. E tutti i frati si vestano di abiti viliä e possano rattopparli con sacco e altre
pezze con la benedizione di Dio. Li ammonisco, però, e li esorto a non disprezzare e a non
giudicare gli uomini che vedono vestiti di abiti molli e colorati ed usare cibi e bevande delicate,
ma piuttosto ciascuno giudichi e disprezzi se stesso.
CAPITOLO III
DEL DIVINO UFFICIO E DEL DIGIUNO,
E COME I FRATI DEBBANO ANDARE PER IL MONDO
[82] I chierici recitino il divino ufficio, secondo il rito della santa Chiesa
romana, eccetto il salterio, e perciò potranno avere i breviari.
[83] l laici, invece, dicano ventiquattro Pater noster per il mattutino, cinque
per le lodi; per prima, terza, sesta, nona, per ciascuna di queste ore, sette; per
il Vespro dodici; per compieta sette; e preghino per i defunti.
[84] E digiunino dalla festa di Tutti i Santi fino alla Natività del Signore. La
santa Quaresima, invece, che incomincia dall'Epifania e dura ininterrottamente
per quaranta giorni, quella che il Signore consacrò con il suo santo digiuno ,
coloro che volontariamente la digiunano siano benedetti dal Signore, e coloro
che non vogliono non vi siano obbligati. Ma l'altra, fino alla Resurrezione del
Signore, la digiunino. Negli altri tempi non siano tenuti a digiunare, se non il
venerdì. Ma in caso di manifesta necessità i frati non siano tenuti al digiuno
corporale.
[85] Consiglio invece, ammonisco ed esorto i miei frati nel Signore Gesù Cristo
che, quando vanno per il mondo, non litighino ed evitino le dispute di parole, e
non giudichino gli altri; ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti e umili,
parlando onestamente con tutti, così come conviene. E non debbano cavalcare
se non siano costretti da evidente necessità o infermità
[86] In qualunque casa entreranno dicano, prima di tutto: Pace a questa casa;
e, secondo il santo Vangelo, è loro lecito mangiare di tutti i cibi che saranno
loro presentati.
CAPITOLO IV
CHE I FRATI NON RICEVANO DENARI
[87] Comando fermamente a tutti i frati che in nessun modo ricevano denari o
pecunia, direttamente o per interposta persona. Tuttavia, i ministri e i custodi,
ed essi soltanto, per mezzo di amici spirituali, si prendano sollecita cura per le
necessità dei malati e per vestire gli altri frati, secondo i luoghi e i tempi e i
paesi freddi, così come sembrerà convenire alla necessità, salvo sempre il
principio, come è stato detto, che non ricevano denari o pecunia.
CAPITOLO V
DEL MODO Dl LAVORARE
[88] Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino
con fedeltà e con devozione così che, allontanato l'ozio, nemico dell'anima, non
spengano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire
tutte le altre cose temporaIi. Come ricompensa del lavoro ricevano le cose
necessarie al corpo, per sé e per i loro fratelli, eccetto denari o pecunia, e
questo umilmente, come conviene a servi di Dio e a seguaci della santissima
povertà.
CAPITOLO Vl
[89]CHE I FRATI Dl NIENTE Sl APPROPRINO,
E DEL CHIEDERE L'ELEMOSINA E DEI FRATI INFERMI
[90] I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra cosa.
E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà
ed umiltà, vadano per l'elemosina con fiducia. Né devono vergognarsi, perché il
Signore si è fatto povero per noi in questo mondo. Questa è la sublimità
dell'altissima povertà quella che ha costituito voi, fratelli miei carissimi, eredi e
re del regno dei cieli, vi ha fatto poveri di cose e ricchi di virtù. Questa sia la
vostra parte di eredità, quella che conduce fino alla terra dei viventi. E,
aderendo totalmente a questa povertà, fratelli carissimi, non vogliate possedere
niente altro in perpetuo sotto il cielo, per il nome del Signore nostro Gesù
Cristo.
[91] E ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino familiari tra loro
reciprocamente. E ciascuno manifesti con fiducia all'altro le sue necessità,
poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più
premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?
[92] E se uno di essi cadrà malato, gli altri frati lo devono servire come
vorrebbero essere serviti essi stessi.
CAPITOLO Vll
DELLA PENITENZA DA IMPORRE Al FRATI CHE PECCANO
[93] Se dei frati, per istigazione del nemico, avranno mortalmente peccato,
per quei peccati per i quali sarà stato ordinato tra i frati di ricorrere ai soli
ministri provinciali, i predetti frati siano tenuti a ricorrere ad essi, quanto prima
potranno senza indugio.
[94] I ministri, poi, se sono sacerdoti, loro stessi impongano con misericordia
ad essi la penitenza; se invece non sono sacerdoti, la facciano imporre da altri
sacerdoti dell'Ordine, così come sembrerà ad essi più opportuno, secondo Dio.
[95] E devono guardarsi dall'adirarsi e turbarsi per il peccato di qualcuno,
perché l'ira ed il turbamento impediscono la carità in sé e negli altri.
CAPITOLO Vlll
DELLA ELEZIONE DEL MINISTRO GENERALE Dl QUESTA FRATERNITÀ
E DEL CAPITOLO Dl PENTECOSTE
[96] Tutti i frati siano tenuti ad avere sempre uno dei frati di quest'Ordine
come ministro generale e servo di tutta la fraternità e a lui devono fermamente
obbedire. Alla sua morte, l'elezione del successore sia fatta dai ministri
provinciali e dai custodi nel Capitolo di Pentecoste, al quale i ministri provinciali
siano tenuti sempre ad intervenire, dovunque sarà stabilito dal ministro
generale; e questo, una volta ogniä tre anni o entro un termine maggiore o
minore, così come dal predetto ministro sarà ordinato.
[97] E se talora ai ministri provinciali ed ai custodi all'unanimità sembrasse
che detto ministro non fosse idoneo al servizio e alla comune utilità dei frati, i
predetti frati ai quali è commessa l'elezione, siano tenuti, nel nome del Signore,
ad eleggersi un altro come loro custode. Dopo il Capitolo di Pentecoste, i
singoli ministri e custodi possano, se vogliono e lo credono opportuno,
convocare, nello stesso anno, nei loro territori, una volta i loro frati a capitolo.
CAPITOLO IX
DEI PREDICATORI
[98] I frati non predichino nella diocesi di alcun vescovo qualora dallo stesso
vescovo sia stato loro proibito. E nessun frate osi affatto predicare al popolo, se
prima non sia stato esaminato ed approvato dal ministro generale di questa
fraternità e non abbia ricevuto dal medesimo l'ufficio della predicazione.
[99] Ammonisco anche ed esorto gli stessi frati che, nella loro predicazione, le
loro parole siano ponderate e caste, a utilità e a edificazione del popolo,
annunciando ai fedeli i vizi e le virtù, la pena e la gloria con brevità di discorso,
poiché il Signore sulla terra parlò con parole brevi.
CAPITOLO X
DELL'AMMONIZIONE E DELLA CORREZIONE DEI FRATI.
[100] I frati, che sono ministri e servi degli altri frati, visitino ed ammoniscano i
loro frati e li correggano con umiltà e carità, non comandando ad essi niente
che sia contro alla loro anima e alla nostra Regola.
[101] I frati, poi, che sono sudditi, si ricordino che per Dio hanno rinnegato la
propria volontà. Perciò comando loro fermamente di obbedire ai loro ministri in
tutte quelle cose che promisero al Signore di osservare e non sono contrarie
all'anima e alla nostra Regola.
[102] E dovunque vi siano dei frati che si rendono conto e riconoscano di non
poter osservare spiritualmente la Regola, debbano e possono ricorrere ai loro
ministri.
I ministri, poi, li accolgano con carità e benevolenza e li trattino
con tale familiarità che quelli possano parlare e fare con essi così come parlano
e fanno i padroni con i loro servi; infatti, così deve essere, che i ministri siano i
servi di tutti i frati.
[103] Ammonisco, poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino i frati
da ogni superbia, vana gloria, invidia, avarizia, cure o preoccupazioni di questo
mondo, dalla detrazione e dalla mormorazione.
[104] E coloro che non sanno di lettere, non si preoccupino di apprenderle, ma
facciano attenzione che ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo
Spirito del Signore e la sua santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro
e di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nella infermità, e di amare
quelli che ci perseguitano e ci riprendono e ci calunniano, poiché dice il Signore:
“Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano;
beati quelli che sopportano persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi
è il regno dei cieli. E chi persevererà fino alla fine, questi sarà salvo”.
CAPITOLO Xl
CHE I FRATI NON ENTRINO NEI MONASTERI DELLE MONACHE
[105] Comando fermamente a tutti i frati di non avere rapporti o conversazioni
sospette con donne, e di non entrare in monasteri di monache, eccetto quelli ai
quali è stata data dalla Sede Apostolica una speciale licenza.
[106] Né si facciano padrini di uomini o di donne affinché per questa occasione
non sorga scandalo tra i frati o riguardo ai frati.
CAPITOLO Xll
Dl COLORO CHE VANNO TRA I SARACENI E TRA GLI ALTRI INFEDELI
[107] Quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare tra i Saraceni e tra
gli altri infedeli, ne chiedano il permesso ai loro ministri provinciali. I ministri
poi non concedano a nessuno il permesso di andarvi se non a quelli che
riterranno idonei ad essere mandati.
[108] Inoltre, impongo per obbedienza ai ministri che chiedano al signor Papa
uno dei cardinali della santa Chiesa romana, il quale sia governatore, protettore
e correttore di questa fraternità,
[109] affinché, sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa,
stabili nella fede cattolica, osserviamo la povertà, I'umiltà e il santo Vangelo del
Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso.
[109a]
Pertanto a nessuno, in alcun modo, sia lecito di invalidare
questo scritto della nostra conferma o di opporsi ad esso con audacia e
temerarietà. Se poi qualcuno presumerà di tentarlo, sappia che incorrerà nello
sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo. Dal
Laterano, il 29 novembre 1223, anno ottavo del nostro pontificato.
TESTAMENTO DI FRANCESCO D'ASSISI
[110] Il Signore dette a me, frate Francesco, d'incominciare a fare penitenza così: quando ero
nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra
loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu
cambiato in dolcezza d'animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.
[111] E il Signore mi dette tale fede nelle chiese che io così semplicemente pregavo e dicevo:
Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti
benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.
( * 111 * )
Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo,
qui e in tutte le tue chiese
che sono nel mondo intero,
e ti benediciamo,
perché con la tua santa croce hai redento il mondo.
[112] Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la
forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero
persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe
Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui
dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.
[113] E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio
considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E
faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in
questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo che essi ricevono ed essi soli
amministrano agli altri.
[114] E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e
collocati in luoghi preziosi. E dovunque troverò manoscritti con i nomi santissimi e le parole di
lui in luoghi indecenti, voglio raccoglierli, e prego che siano raccolti e collocati in luogo
decoroso.
[115] E dobbiamo onorare e venerare tutti i teologi e coloro che amministrano
le santissime parole divine, così come coloro che ci amministrano lo spirito e la
vita.
[116] E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa
dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la
forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con
semplicità, e il signor Papa me la confermò.
[117] E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri
tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca,
rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di
più.
[118] Noi chierici dicevamo l'ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano
i Pater noster, e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo
illetterati e sottomessi a tutti.
[119] Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente
che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all'onestà. Coloro
che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del
lavoro, ma per dare l'esempio e tener lontano l'ozio.
[120] Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla
mensa del Signore, chiedendo l'elemosina di porta in porta.
[121] Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: “Il Signore ti dia la
pace!”.
[122] Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere
abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non fossero come si addice
alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi
come forestieri e pellegrini.
[123] Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si
trovino, non osino chiedere lettera alcuna [di privilegio] nella curia romana, né
personalmen-te né per interposta persona, né per una chiesa né per altro luogo
né per motivo della predicazione, né per la persecuzione dei loro corpi; ma,
dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la
benedizione di Dio.
[124] E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e
a quel guardiano che gli piacerà di assegnarmi. E così voglio essere prigioniero
nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l'obbedienza e la sua
volontà, perché egli è mio signore.
[125] E sebbene sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un
chierico, che mi reciti l'ufficio, così come è prescritto nella Regola.
[126] E tutti gli altri frati siano tenuti a obbedire così ai loro guardiani e a
recitare l'ufficio secondo la Regola. E se si trovassero dei frati che non recitassero l'ufficio secondo la Regola, e volessero comunque variarlo, o non fossero
cattolici, tutti i frati, ovunque sono, siano tenuti, per obbedienza, ovunque
trovassero uno di essi, a consegnarlo al custode più vicino al luogo ove l'avranno
trovato. E il custode sia fermamente tenuto, per obbedienza, a custodirlo
severamente, come un uomo in prigione, giorno e notte, così che non possa
essergli tolto di mano, finché non lo consegni di persona nelle mani del suo
ministro. E il ministro sia fermamente tenuto, per obbedienza, a farlo scortare
per mezzo di tali frati che lo custodiscano giorno e notte come un prigioniero,
finché non lo consegnino al signore di Ostia, che è signore, protettore e
correttore di tutta la fraternità.
[127] E non dicano i frati: “Questa è un'altra Regola”“ Questa è un'altra Regola”, perché questa è un ricordo, un'ammonizione, un'esortazione e il mio
testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, miei fratelli
benedetti perché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo
promesso al Signore.
[128] E il ministro generale e tutti gli altri mini stri e custodi siano tenuti, per
obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole.
[129] E sempre tengano con sé questo scritto assieme alla Regola. E in tutti i
capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole.
[130] E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per
obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola e in queste parole
dicendo: “Così si devono intendere”“ Così si devono intendere”; ma, come il
Signore mi ha dato di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e
queste parole, così cercate di comprenderle con semplicità e senza commento e
di osservarle con sante opere sino alla fine.
[131] E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione
dell'altissimo Padre, e in terra sia ricolmo della benedizione del suo Figlio
diletto col santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti
i santi. Ed io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che io posso,
confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. [Amen].
** (vedi, più sotto, altra formattazione) **
TESTAMENTO DI SIENA: 1226.
[132] «Scrivi che benedico tutti i miei frati che sono ora nellíOrdine e quelli che vi entreranno
fino alla fine del mondo. Siccome non posso parlare a motivo della debolezza e per la sofferenza
della malattia, brevemente manifesto ai miei frati la mia volontà in queste tre esortazioni.
[133] Cioè: in segno di ricordo della mia benedizione e del mio testamento, sempre si amino
tra loro,
[134]
sempre amino ed osservino la nostra signora la santa povertà,
[135] e sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chierici della santa madre
Chiesa».
( ** 132ss ** )
TESTAMENTO DI SIENA: 1226.
«Scrivi che benedico tutti i miei frati che sono ora nellíOrdine e quelli che vi entreranno fino
alla fine del mondo. Siccome non posso parlare a motivo della debolezza e per la sofferenza
della malattia, brevemente manifesto ai miei frati la mia volontà in queste tre esortazioni.
Cioè: in segno di ricordo della mia benedizione e del mio testamento,
sempre si amino tra loro,
sempre amino ed osservino la nostra signora la santa povertà,
e sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chierici della santa madre Chiesa».
REGOLA DI VITA NEGLI EREMI.
[136] Coloro che vogliono condurre vita religiosa negli eremi, siano tre frati o al più quattro.
Due di essi facciano da madri ed abbiano due figli o almeno uno. I due che fanno da madri
seguano la vita di Marta, e i due che fanno da figli quella di Maria.
[137] E questi abbiano un chiostro, nel quale ciascuno abbia una sua piccola cella, nella quale
possa pregare e dormire.E sempre recitino compieta del giorno, subito dopo il tramonto del
sole, e cerchino di conservare il silenzio e dicano le ore liturgiche e si alzino per il mattutino, e
prima di tutto ricerchino il regno di Dio e la sua giustizia. Dicano prima ad un'ora conveniente e
dopo terza sciolgano il silenzio e possano parlare e recarsi dalle loro madri. E quando vorranno,
potranno chiedere ad esse l'elemosina, come dei poverelli, per amore di Dio. Poi dicano sesta e
nona e i vespri all'ora stabilita. E nel chiostro, dove dimorano, non permettano a nessuna
persona di entrare e neppure vi mangino. E quei frati che fanno da madri procurino di stare
lontani da ogni persona e, per obbedienza al loro ministro, custodiscano i loro figli da ogni
persona, così che nessuno possa parlare con essi. E questi figli non parlino con nessuna persona
se non con le loro madri e con il ministro e il loro custode, quando piacerà ad essi di visitarli,
con la benedizione del Signore Iddio.
[138] I figli però talora assumano l'ufficio di madri, come sembrerà loro opportuno disporre
per un necessario avvicendamento, e cerchino di osservare con attenzione e premura tutte le
cose sopraddette.
FORMA DI VITA DATA A S. CHIARA
[139] Poichè, per divina ispirazione, vi siete fatte figlie e ancelle dell'altissimo
sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo, scegliendo di
vivere secondo la perfezione del santo Vangelo, voglio e prometto, da parte mia
e dei miei frati, di avere sempre di voi, come di loro, cura e sollecitudine
speciale.
ULTIMA VOLONTA' SCRITTA A S. CHIARA
[140] Io, frate Francesco piccolo, voglio seguire la vita e la povertà
dell'altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima madre e
perseverare in essa sino alla fine. E prego voi, mie signore, e vi consiglio che
viviate sempre in questa santissima vita e povertà. E guardatevi attentamente
dall'allontanarvi mai da essa in nessuna maniera per insegnamento o consiglio di
alcuno.
AMMONIZIONI
I. Il corpo del Signore.
[141] Il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: "Io sono la via, la verità e la
vita; nessuno viene al Padre se non per me.Se aveste conosciuto me,
conoscereste anche il Padre mio; ma da ora in poi voi lo conoscete e lo avete
veduto". Gli dice Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gesù gli dice: "
Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto? Filippo, chi vede me,
vede anche il Padre mio".
Il Padre abita una luce inaccessibile, e Dio è spirito, e nessuno ha mai
visto Dio. Perciò non può essere visto che nello spirito, poiché è lo spirito che dà
la vita; la carne non giova a nulla. Ma anche il Figlio, in ciò per cui è uguale al
Padre, non può essere visto da alcuno in maniera diversa dal Padre e in maniera
diversa dallo Spirito Santo.
[142] Perciò tutti coloro che videro il Signore Gesù secondo l'umanità,
ma non videro né credettero, secondo lo spirito e la divinità, che egli è il vero
Figlio di Dio, sono condannati. E così ora tutti quelli che vedono il sacramento,
che viene santificato per mezzo delle parole del Signore sopra l'altare nelle
mani del sacerdote, sotto le specie del pane e del vino, e non vedono e non
credono, secondo lo spirito e la divinità, che è veramente il santissimo corpo e il
sangue del Signore nostro Gesù Cristo, sono condannati, perché è l'Altissimo
stesso che ne dà testimonianza, quando dice: " Questo è il mio corpo e il mio
sangue della nuova alleanza [che sarà sparso per molti"], e ancora: "Chi mangia
la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna".
[143] Per cui lo Spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, è lui che
riceve il santissimo corpo e il sangue del Signore. Tutti gli altri, che non
partecipano dello stesso Spirito e presumono ricevere il santissimo corpo e
sangue del Signore, mangiano e bevono la loro condanna. Perciò: Figli degli
uomini, fino a quando sarete duri di cuore? Perché non conoscete la verità e non
credete nel Figlio di Dio?
[144] Ecco ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale
discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in
apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull'altare nelle mani
del sacerdote. E come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche
ora si mostra a noi nel pane consacrato. E come essi con gli occhi del loro corpo
vedevano soltanto la carne di lui, ma, contemplandolo con gli occhi dello
spirito, credevano che egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e
vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che questo
è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero.
[145] E in tale maniera il Signore è sempre presente con i suoi fedeli,
come egli stesso dice: " Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo".
II. Il male della propria volontà.
[146] Disse il Signore a Adamo: " Mangia pure i frutti di qualunque
albero, ma dell'albero della scienza del bene e del male non ne mangiare".
Adamo poteva dunque mangiare i frutti di qualunque albero del Paradiso; egli,
finché non contravvenne all'obbedienza non peccò.
[147] Mangia, infatti dell'albero della scienza del bene colui che si
appropria la sua volontà e si esalta per i beni che il Signore dice e opera in lui; e
così, per suggestione del diavolo e per la trasgressione del comando, è diventato
per lui il frutto della scienza del male. Bisogna perciò che ne sopporti la pena.
III. L'obbedienza perfetta.
[148] Dice il Signore nel Vangelo: " chi non avrà rinunciato a tutto ciò
che possiede non può essere mio discepolo", e " Chi vorrà salvare la sua anima,
la perderà".
Abbandona tutto quello che possiede e perde il suo corpo colui che
sottomette totalmente se stesso all'obbedienza nelle mani del suo superiore. E
qualunque cosa fa o dice che egli sa non essere contro la volontà di lui, purché
sia bene quello che fa, è vera obbedienza.
[149] E se qualche volta il suddito vede cose migliori e più utili alla sua
anima di quelle che gli ordina il superiore, volentieri sacrifichi a Dio le sue e
cerchi invece di adempiere con l'opera quelle del superiore. Infatti questa è
l'obbedienza caritativa, perché compiace a Dio ed al prossimo.
[150] Se poi il superiore comanda al suddito qualcosa contro la sua
coscienza, pur non obbedendogli, tuttavia non lo abbandoni. E se per questo
dovrà sostenere persecuzione da parte di alcuni, li ami di più per amore di Dio.
Infatti, chi sostiene la persecuzione piuttosto che volersi separare dai suoi
fratelli, rimane veramente nella perfetta obbedienza, poiché sacrifica la sua
anima per i suoi fratelli.
[151] Vi sono infatti molti religiosi che, col pretesto di vedere cose
migliori di quelle che ordinano i loro superiori, guardano indietro e ritornano al
vomito della propria volontà. Questi sono degli omicidi e sono causa di
perdizione per molte anime con i loro cattivi esempi.
IV. Che nessuno si appropri la carica di superiore.
[152] Dice il Signore: " Non sono venuto per essere servito ma per
servire". Coloro che sono costituiti in autorità sopra gli altri, tanto devono
gloriarsi di quell'ufficio prelatizio, quanto se fossero deputati all'ufficio di lavare
i piedi ai fratelli. E quanto più si turbano se viene loro tolta la carica che se
fosse loro tolto il servizio di lavare i piedi, tanto più mettono insieme per sé un
tesoro fraudolento a pericolo della loro anima.
V. Che nessuno si insuperbisca, ma ognuno si glori nella croce del Signore.
[153] Considera, o uomo, in quale sublime condizione ti ha posto il
Signore Dio, poiché ti ha creato e formato a immagine del suo Figlio diletto
secondo il corpo e a similitudine di lui secondo lo spirito.
[154] E tutte le creature, che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la
propria natura, servono, conoscono e obbediscono al loro Creatore meglio di te.
E neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e
ancora lo crocifiggi quando ti diletti nei vizi e nei peccati. Di che cosa puoi
dunque gloriarti?
Infatti se tu fossi tanto sottile e sapiente da possedere tutta la scienza e
da saper interpretare tutte le lingue e acutamente perscrutare le cose celesti,
in tutto questo non potesti gloriarti; poiché un solo demonio seppe delle realtà
celesti e ora sa di quelle terrene più di tutti gli uomini insieme, quantunque sia
esistito qualcuno che ricevette dal Signore una speciale cognizione della somma
sapienza.
Ugualmente, se anche tu fossi il più bello e il più ricco di tutti, e se tu
operassi cose mirabili, come scacciare i demoni, tutte queste cose ti sono di
ostacolo e non sono di tua pertinenza, ed in esse non ti puoi gloriare per niente;
ma in questo possiamo gloriarci, nelle nostre infermità e nel portare sulle spalle
ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo.
VI. L'imitazione del Signore.
[155] Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per
salvare le sue pecore sostenne la passione della croce.
Le pecore del Signore l'hanno seguito nella tribolazione e persecuzione
nell'ignominia e nella fame, nella infermità e nella tentazione e in altre simili
cose; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna. Perciò è grande
vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi
vogliamo ricevere gloria e onore con il semplice raccontarle.
VII. La pratica del bene deve accompagnare la scienza.
[156] Dice l'apostolo: "La lettera uccide, lo spirito invece dà vita". Sono
morti a causa della lettera coloro che unicamente bramano sapere le sole
parole, per essere ritenuti i più sapienti in mezzo agli altri e potere acquistare
grandi ricchezze e darle ai parenti e agli amici.
Così pure sono morti a causa della lettera, quei religiosi che non vogliono
seguire lo spirito della divina Scrittura, ma piuttosto bramano sapere le sole
parole e spiegarle agli altri. E sono vivificati dallo spirito della divina Scrittura
coloro che ogni scienza che sanno e desiderano sapere, non l'attribuiscono al
proprio io, ma la restituiscono con la parola e con l'esempio all'altissimo Signore
Dio, al quale appartiene ogni bene.
VIII. Evitare il peccato d'invidia.
[157] Dice l'apostolo: "Nessuno può dire: Signore Gesù se non nello
Spirito Santo", e ancora: "Non c'è chi fa il bene, non ce n'è neppure uno".
Perciò, chiunque invidia il suo fratello riguardo al bene che il Signore dice
e fa in lui, commette peccato di bestemmia, poiché invidia lo stesso Altissimo, il
quale dice e fa ogni bene.
IX. Amare i nemici.
[158] Dice il Signore: "Amate i vostri nemici [e fate del bene a quelli che
vi odiano, e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano]". Infatti,
veramente ama il suo nemico colui che non si duole per l'ingiuria che quegli gli
fa, ma brucia nel suo intimo, per l'amore di Dio, a motivo del peccato dell'anima
di lui. E gli dimostri con le opere il suo amore.
X. La mortificazione del corpo.
[159] Ci sono molti che, quando peccano o ricevono un'ingiuria, spesso
incolpano il nemico o il prossimo. Ma non è così, poiché ognuno ha in suo potere
il nemico, cioè il corpo, per mezzo del quale pecca. Perciò e beato quel servo
che terrà sempre prigioniero un tale nemico affidato in suo potere e
sapientemente si custodirà dal medesimo; poiché, finché si comporterà così,
nessun altro nemico visibile o invisibile gli potrà nuocere.
XI. Non lasciarsi guastare a causa del peccato altrui.
[160] Al servo di Dio nessuna cosa deve dispiacere eccetto il peccato. E
in qualunque modo una persona peccasse e, a motivo di tale peccato, il servo di
Dio, non più guidato dalla carità, ne prendesse turbamento e ira, accumula per
se come un tesoro quella colpa. Quel servo di Dio che non si adira ne si turba
per alcunché, davvero vive senza nulla di proprio. Ed egli è beato perché,
rendendo a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, non gli
rimane nulla per sé.
XII. Come riconoscere lo Spirito del Signore.
[161] A questo segno si può riconoscere il servo di Dio, se ha lo spirito
del Signore: se, quando il Signore compie, per mezzo di lui, qualcosa di buono,
la sua "carne" non se ne inorgoglisce - poiché la "carne" è sempre contraria ad
ogni bene - ma piuttosto si ritiene ancora più vile ai propri occhi e si stima più
piccolo di tutti gli altri uomini.
XIII. La pazienza.
[162] Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio.
Il servo di Dio non può conoscere quanta pazienza e umiltà abbia in sé finché gli
si dà soddisfazione. Quando invece verrà il tempo in cui quelli che gli
dovrebbero dare soddisfazione gli si mettono contro, quanta pazienza e umiltà
ha in questo caso, tanta ne ha e non più.
XIV. La povertà di spirito.
[163] Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli.
Ci sono molti che, applicandosi insistentemente a preghiere e occupazioni,
fanno molte astinenze e mortificazioni corporali, ma per una sola parola che
sembri ingiuria verso la loro persona, o per qualche cosa che venga loro tolta,
scandalizzati, tosto si irritano. Questi non sono poveri in spirito, poiché chi è
veramente povero in spirito odia se stesso e ama quelli che lo percuotono nella
guancia.
XV. I pacifici.
[164] Beati i pacifici, poiché saranno chiamati figli di Dio.
Sono veri pacifici coloro che in tutte le contrarietà che sopportano in questo
mondo, per l'amore del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace
nell'anima e nel corpo.
XVI. La purezza di cuore.
[165] Beati i puri di cuore, poiché essi vedranno Dio.
Veramente puri di cuore sono coloro che disdegnano le cose terrene e cercano
le cose celesti, e non cessano mai di adorare e vedere il Signore Dio, vivo e
vero, con cuore e animo puro.
XVII. L'umile servo di Dio.
[166] Beato quel servo il quale non si inorgoglisce per il bene che il
Signore dice e opera per mezzo di lui, più che per il bene che dice e opera per
mezzo di un altro. Pecca l'uomo che vuol ricevere dal suo prossimo più di quanto
non vuole dare di sé al Signore Dio.
XVIII. La compassione per il prossimo.
[167] Beato l'uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua
fragilità, in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in
un caso simile.
[168] Beato il servo che restituisce tutti i suoi beni al Signore Iddio,
perché chi riterrà qualche cosa per sé, nasconde dentro di sé il denaro del
Signore suo Dio, e gli sarà tolto ciò che credeva di possedere.
XIX. L'umile servo di Dio.
[169] Beato il servo, che non si ritiene migliore, quando viene lodato ed
esaltato dagli uomini, di quando è ritenuto vile, semplice e spregevole, poiché
quanto l'uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più. Guai a quel religioso,
che è posto dagli altri in alto e per sua volontà non vuol discendere. E beato
quel servo, che non viene posto in alto di sua volontà e sempre desidera
mettersi sotto i piedi degli altri.
XX. Il buon religioso e il religioso vano.
[170] Beato quel religioso che non ha giocondità e letizia se non nelle
santissime parole e opere del Signore e, mediante queste, conduce gli uomini
all'amore di Dio con gaudio e letizia. Guai a quel religioso che si diletta in parole
oziose e frivole e con esse conduce gli uomini al riso.
XXI. Il religioso leggero e loquace.
[171] Beato il servo che, quando parla, non manifesta tutte le sue cose,
con la speranza di una mercede, e non è veloce a parlare, ma sapientemente
pondera di che parlare e come rispondere. Guai a quel religioso che non
custodisce nel suo cuore i beni che il Signore gli mostra e non li manifesta agli
altri nelle opere, ma piuttosto, con la speranza di una mercede, brama
manifestarli agli uomini a parole. Questi riceve già la sua mercede e chi ascolta
ne riporta poco frutto.
XXII. Della correzione fraterna.
[172] Beato il servo che è disposto a sopportare così pazientemente da
un altro la correzione, l'accusa e il rimprovero, come se li facesse a sé. Beato il
servo che, rimproverato, di buon animo accetta, si sottomette con modestia,
umilmente confessa e volentieri ripara. Beato il servo che non è veloce a
scusarsi e umilmente sopporta la vergogna e la riprensione per un peccato,
sebbene non abbia commesso colpa.
XXIII. La vera umiltà.
[173] Beato il servo che viene trovato così umile tra i suoi sudditi come
quando fosse tra i suoi padroni. Beato il servo che si mantiene sempre sotto la
verga della correzione. E' servo fedele e prudente colui che di tutti i suoi
peccati non tarda a punirsi, interiormente per mezzo della contrizione ed
esteriormente con la confessione e con opere di riparazione.
XXIV. La vera dilezione.
[174] Beato il servo che tanto è disposto ad amare il suo fratello quando
è infermo, e perciò non può ricambiargli il servizio, quanto l'ama quando è sano,
e può ricambiarglielo.
XXV. Ancora della vera dilezione.
[175] Beato il servo che tanto amerebbe e temerebbe un suo fratello
quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui, e non direbbe dietro
le sue spalle niente che con carità non possa dire in sua presenza.
XXVI. Che i servi di Dio onorino i chierici.
[176] Beato il servo che ha fede nei chierici che vivono rettamente
secondo le norme della Chiesa romana. E guai a coloro che li disprezzano.
Quand'anche infatti siano peccatori , tuttavia nessuno li deve giudicare, poiché
il Signore esplicitamente ha riservato solo a se stesso il diritto di giudicarli.
Invero, quanto più grande è il ministero che essi svolgono del santissimo
corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo che proprio essi ricevono ed essi
soli amministrano agli altri, tanto maggiore peccato commettono coloro che
peccano contro di essi, che se peccassero contro tutti gli altri uomini di questo
mondo.
( * 177a * )Cap. XXVII: De virtute effugante vitio.
1Ubi caritas est et sapientia, ibi nec timor nec ignorantia.
2Ubi est patientia et humilitas, ibi nec ira nec perturbatio.
3Ubi est paupertas cum laetitia, ibi nec cupiditas nec avaritia.
4Ubi est quies et meditatio, ibi neque sollicitudo neque vagatio.
5Ubi est timor Domini ad atrium suum custodiendum, ibi inimicus non potest
habere
locum ad ingrediendum.
6Ubi est misericordia est discretio, ibi nec superfluitas nec induratio.
XXVII. Come le virtù allontanano i vizi.
[177] Dove è amore e sapienza,
ivi non è timore né ignoranza.
Dove è pazienza e umiltà,
ivi non è ira né turbamento.
Dove è povertà con letizia,
ivi non è cupidigia né avarizia.
Dove è quiete e meditazione,
ivi non è affanno né dissipazione.
Dove è il timore del Signore a custodire la sua casa,
ivi il nemico non può trovare via d'entrata.
Dove è misericordia e discrezione,
ivi non è superfluità né durezza.
XXVIII. Il bene va nascosto perché non si perda.
[178] Beato il servo che accumula nel tesoro del cielo i beni che il
Signore gli mostra e non brama di manifestarli agli uomini con la speranza di
averne compenso, poiché lo stesso Altissimo manifesterà le sue opere a
chiunque gli piacerà. Beato il servo che conserva nel suo cuore i segreti del
Signore.
LETTERA AI FEDELI (Prima recensione)
Giubilo su quelli che fanno penitenza.
QUESTE SONO PAROLE DI VITA E DI SALVEZZA CHE
SE QUALCUNO LEGGERA' E METTERA' IN PRATICA
INCONTRERA' LA VITA E OTTERRA' LA SALVEZZA
DAL SIGNORE RIGUARDO A QUELLI CHE FANNO
PENITENZA.
Capitolo I°
[178/1]
Nel nome del Signore. Tutti coloro che amano il Signore con
tutto il cuore, tutta l'anima e la mente, con tutta la forza e amano i loro
prossimi come se stessi, e hanno in odio i loro corpi con i loro vizi e peccati, e
ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e fanno frutti degni
di penitenza.
[178/2]
Oh, come sono beati e benedetti quelli e quelle, quando fanno tali
cose e perseverano in esse; perché riposerà su di essi lo Spirito del Signore, e
farà presso di loro la sua abitazione e dimora; e sono figli del Padre celeste del
quale compiono le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù
Cristo.
Siamo sposi, quando l'anima fedele si unisce al Signore nostro Gesù Cristo
per virtù di Spirito Santo. Siamo suoi fratelli quando facciamo la volontà del
Padre che è nei cieli. Siamo madri, quando lo portiamo nel cuore e nel corpo
nostro per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza, lo
generiamo attraverso le opere sante, che devono risplendere agli altri in
esempio.
[178/3]
Oh, come è glorioso, santo e grande avere in cielo un Padre!
Oh, come è santo, fonte di consolazione, bello e ammirabile avere un tale
Sposo!
Oh, come è santo e come è caro, piacevole, umile, pacifico, dolce,amabile e
desiderabile sopra ogni cosa avere un tale fratello e un tale figlio, il Signore
nostro Gesù Cristo, il quale offrì la sua vita per le sue pecore, e pregò il Padre
dicendo: "Padre santo, custodiscili nel tuo nome, coloro che mi hai dato nel
mondo; erano tuoi e tu li hai dati a me. E le parole che desti a me le ho date a
loro; ed essi le hanno accolte ed hanno creduto veramente che sono uscito da
te, e hanno conosciuto che tu mi hai mandato. Io prego per essi e non per il
mondo.
Benedicili e santificali! E per loro io santifico me stesso. Non prego soltanto per
loro, ma anche per coloro che crederanno in me per la loro parola, perché siano
santificati nell'unità, come lo siamo anche noi. E voglio, Padre, che dove sono io
siano anch'essi con me, affinché contemplino la mia gloria nel tuo regno. Amen.
Cap II° . Guai a quelli che non fanno penitenza.
[178/4]
Tutti quelli e quelle, invece, che non vivono nella
penitenza, e non ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e
si abbandonano ai vizi e ai peccati e camminano dietro la cattiva concupiscenza
e i cattivi desideri della loro carne, e non osservano quelle cose che hanno
promesso al Signore, e servono con il proprio corpo al mondo, agli istinti carnali
ed alle sollecitudini del mondo e alle preoccupazioni di questa vita: costoro
sono prigionieri del diavolo del quale sono figli e fanno le opere; sono ciechi,
poiché non vedono la vera luce, il Signore nostro Gesù Cristo. Non hanno la
sapienza spirituale, poiché non posseggono il Figlio di Dio, che è la vera
sapienza del Padre; di loro è detto: " La loro sapienza è stata ingoiata" e: "
Maledetti coloro che si allontanano dai tuoi comandamenti. Essi vedono e
riconoscono, sanno e fanno ciò che è male, e consapevolmente perdono la loro
anima.
[178/5]
Vedete, o ciechi, ingannati dai vostri nemici, cioè dalla
carne, dal mondo e dal diavolo, che al corpo è cosa dolce fare il peccato e cosa
amara sottoporsi a servire Dio, poiché tutti i vizi e i peccati escono e procedono
dal cuore degli uomini, come dice il Signore nel Vangelo. E non avete niente in
questo mondo e neppure nell'altro. E credete di possedere a lungo le vanità di
questo secolo, ma vi ingannate, perché verrà il giorno e l'ora alla quale non
pensate, non sapete e ignorate. Il corpo si ammala, la morte si avvicina e così si
muore di amara morte.
[178/6]
E in qualsiasi luogo, tempo e modo l'uomo muore in peccato
mortale, senza aver fatto penitenza e dato soddisfazione, se poteva darla e non
lo ha fatto, il diavolo rapisce l'anima di lui dal suo corpo, con una angoscia e
tribolazione così grande, che nessuno può sapere se non colui che la prova.
E tutti i talenti e il potere e la scienza e sapienza, che credevano di
possedere sarà loro tolta. E lasciano tutto ai parenti ed agli amici. Ed ecco,
questi si sono già preso e spartito tra loro il patrimonio di lui, e poi hanno detto:
"Maledetta sia la sua anima, poiché poteva darci di più e procurarsi di più di
quanto si è procurato!" I vermi mangiano il cadavere, e così hanno perduto il
corpo e l'anima in questa breve vita e andranno all'inferno, dove saranno
tormentati eternamente.
Postscritto.
[178/7]
Tutti coloro ai quali perverrà questa lettera, li preghiamo,
nella carità che è Dio, che accolgano benignamente con divino amore queste
fragranti parole del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo scritto. E coloro
che non sanno leggere, se le facciano leggere spesso, e le imparino a memoria,
mettendole in pratica santamente sino alla fine, poiché sono spirito e vita.
E coloro che non faranno questo, dovranno renderne, ragione nel giorno
del giudizio, davanti al tribunale del Signore nostro Gesù Cristo.
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LETTERA AI FEDELI (Seconda recensione)
[179] Nel nome del Signore, Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen.
A tutti i cristiani religiosi, chierici e laici, uomini e donne, a tutti gli
abitanti del mondo intero, frate Francesco, loro servo e suddito, ossequio
rispettoso, pace dal cielo e sincera carità nel Signore.
[180] Poiché sono servo di tutti, sono tenuto a servire tutti e ad amministrare
le fragranti parole del mio Signore. E perciò, considerando che non posso
visitare personalmente i singoli, a causa della malattia e debolezza del mio
corpo, mi sono proposto di riferire a voi, mediante la presente lettera e
messaggio, le parole del Signore nostro Gesù Cristo, che è il Verbo del Padre, e
le parole dello Spirito Santo, che sono spirito e vita.
I. IL VERBO DEL PADRE
[181] L'altissimo Padre celeste, per mezzo del santo suo angelo Gabriele,
annunciò questo Verbo del Padre, così degno, così santo e glorioso, nel grembo
della santa e gloriosa Vergine Maria, e dal grembo di lei ricevette la vera carne
della nostra umanità e fragilità.
[182] Lui, che era ricco sopra ogni altra cosa, volle scegliere in questo mondo,
insieme alla beatissima Vergine, sua madre, la povertà.
[183] E, prossimo alla passione, celebrò la pasqua con i suoi discepoli, e
prendendo il pane, rese grazie, lo benedisse e lo spezzò dicendo: " Prendete e
mangiate, questo è il mio corpo". E prendendo il calice disse: " Questo è il mio
sangue della nuova alleanza, che per voi e per molti sarà sparso in remissione
dei peccati". Poi pregò il Padre dicendo: " Padre, se è possibile passi da me
questo calice". E il suo sudore divenne simile a gocce di sangue che scorre per
terra. Depose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre dicendo: " Padre,
sia fatta la tua volontà; non come voglio io, ma come vuoi tu".
[184] E la volontà di suo Padre fu questa, che il suo figlio benedetto e glorioso,
che egli ci ha donato ed è nato per noi, offrisse se stesso, mediante il proprio
sangue, come sacrificio e vittima sull'altare della croce, non per sé, poiché per
mezzo di lui sono state create tutte le cose,ma in espiazione dei nostri peccati,
lasciando a noi l'esempio perché ne seguiamo le orme. E vuole che tutti siamo
salvi per mezzo di lui e che lo riceviamo col cuore puro e col nostro corpo
casto.
[185] Ma pochi sono coloro che lo vogliono ricevere ed essere salvati per mezzo
di lui, sebbene il suo giogo sia soave e il suo peso leggero.
II. DI QUELLI CHE NON VOGLIONO OSSERVARE I COMANDAMENTI DI DIO.
[186] Coloro che non vogliono gustare quanto sia soave il Signore e
preferiscono le tenebre alla luce, rifiutando di osservare i comandamenti di Dio,
sono maledetti; di essi dice il profeta: " Maledetti coloro che si allontanano dai
tuoi comandamenti". Invece, quanto sono beati e benedetti quelli che amano il
Signore e fanno così come dice il Signore stesso nel Vangelo: "Amerai il Signore
tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima, e il prossimo tuo come te stesso".
III. DELL'AMORE DI DIO E DEL SUO CULTO.
[187] Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e mente pura, poiché
egli stesso, ricercando questo sopra tutte le altre cose, disse: I veri adoratori
adoreranno il Padre nello spirito e nella verità. Tutti infatti quelli che lo
adorano, bisogna che lo adorino nello spirito della verità.
[188] Ed eleviamo a lui lodi e preghiere giorno e notte, dicendo: " Padre
nostro, che sei nei cieli", poiché bisogna che noi preghiamo sempre senza
stancarci.
IV. DELLA VITA SACRAMENTALE.
[189] Dobbiamo anche confessare al sacerdote tutti i nostri peccati e ricevere
da lui il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo. Chi non mangia la sua
carne e non beve il suo sangue, non può entrare nel regno di Dio. Lo deve però
mangiare e bere degnamente, poiché chi lo riceve indegnamente mangia e beve
la sua condanna, non discernendo il corpo del Signore, cioè non distinguendolo
dagli altri cibi.
[190] Facciamo, inoltre, frutti degni di penitenza. E amiamo i prossimi come
noi stessi. E se uno non vuole amarli come se stesso, almeno non arrechi loro del
male, ma faccia del bene.
V. DEL GIUDICARE CON MISERICORDIA.
[191] Coloro poi che hanno ricevuto l'autorità di giudicare gli altri, esercitino il
giudizio con misericordia, così come essi stessi vogliono ottenere misericordia
dal Signore; infatti il giudizio sarà senza misericordia per coloro che non hanno
usato misericordia.
[192] Abbiamo perciò carità e umiltà e facciamo elemosine, perché l'elemosina
lava l'anima dalle brutture dei peccati. Gli uomini infatti perdono tutte le cose
che lasciano in questo mondo, ma portano con se la ricompensa della carità e le
elemosine che hanno fatto, di cui avranno dal Signore il premio e la degna
ricompensa.
VI. DEL DIGIUNO CORPORALE E SPIRITUALE.
[193] Dobbiamo anche digiunare e astenerci dai vizi e dai peccati e da ogni
eccesso nel mangiare e nel bere ed essere cattolici. Dobbiamo anche visitare
frequentemente le chiese e venerare e usare reverenza verso i chierici, non
tanto per loro stessi, se sono peccatori, ma per l'ufficio e l'amministrazione del
santissimo corpo e sangue di Cristo, che sacrificano sull'altare e ricevono e
amministrano agli altri.
[194] E siamo tutti fermamente convinti che nessuno può essere salvato se non
per mezzo delle sante parole e del sangue del Signore nostro Gesù Cristo , che i
chierici pronunciano, annunciano e amministrano. Ed essi soli debbono
amministrarli e non altri.
Specialmente poi i religiosi, i quali hanno rinunciato al mondo, sono
tenuti a fare molte altre cose e più grandi, senza però tralasciare queste.
VII. DELL'AMORE VERSO I NEMICI.
[195] Dobbiamo avere in odio i nostri corpi con i vizi e i peccati, poiché il
Signore dice nel Vangelo: Tutte le cose cattive, i vizi e i peccati escono dal
cuore.
[196] Dobbiamo amare i nostri nemici e fare del bene a coloro che ci odiano.
Dobbiamo osservare i precetti e i consigli del Signore nostro Gesù Cristo.
Dobbiamo anche rinnegare noi stessi e porre i nostri corpi sotto il giogo del
servizio e della santa obbedienza, così come ciascuno ha promesso al Signore.
VIII. DELL'UMILTA' NEL COMANDARE.
[197] E nessun uomo si ritenga obbligato dall'obbedienza ad obbedire a
qualcuno la dove si commette delitto o peccato. E colui al quale è affidata
l'obbedienza e che è ritenuto maggiore sia come il minore e servo degli altri
fratelli, e usi e abbia nei confronti di ciascuno dei suoi fratelli quella
misericordia che vorrebbe fosse usata verso di sé qualora si trovasse in un caso
simile.
[198] E per il peccato commesso dal fratello non si adiri contro di lui, ma lo
ammonisca e lo conforti con ogni pazienza e umiltà.
IX. DEL FUGGIRE LA SAPIENZA CARNALE.
[199] Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto
dobbiamo essere semplici, umili e puri. Teniamo i nostri corpi in umiliazione e
dispregio, perché noi, per colpa nostra, siamo miseri, fetidi e vermi, come dice
il Signore per bocca del profeta: " Io sono un verme e non un uomo, l'obbrobrio
degli uomini e scherno del popolo".
Mai dobbiamo desiderare di essere sopra gli altri, ma anzi dobbiamo
essere servi e soggetti ad ogni umana creatura per amore di Dio.
X. DEL SERVO FEDELE CHE DIVIENE DIMORA DI DIO.
[200] E tutti quelli e quelle che si diporteranno in questo modo, fino a quando
faranno tali cose e persevereranno in esse sino alla fine, riposerà su di essi lo
Spirito del Signore, ed egli ne farà sua abitazione e dimora. E saranno figli del
Padre celeste, di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore
nostro Gesù Cristo.
Siamo sposi, quando l'anima fedele si congiunge a Gesù Cristo per l'azione
dello Spirito Santo. E siamo fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo,
che è in cielo. Siamo madri , quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro
corpo attraverso l'amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo
attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri.
[201] Oh, come è glorioso e santo e grande avere in cielo un Padre!
Oh, come è santo, consolante, bello e ammirabile avere un tale Sposo!
Oh, come è santo, come è delizioso, piacevole, umile, pacifico, dolce e
amabile e sopra ogni cosa desiderabile avere un tale fratello e figlio, il quale
offrì la sua vita per le sue pecore e pregò il Padre per noi, dicendo: " Padre
santo, custodisci nel tuo nome quelli che mi hai dato. Padre, tutti coloro che mi
hai dato nel mondo erano tuoi e tu li hai dati a me. E le parole che desti a me,
le ho date a loro; ed essi le hanno accolte e veramente hanno riconosciuto che
io sono uscito da te ed hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro
e non per il mondo. Benedicili e santificali. E per loro io santifico me stesso
affinché siano santificati nell'unità come lo siamo noi. E voglio, o Padre, che
dove io sono ci siano anch'essi con me, affinché vedano la mia gloria nel tuo
regno".
[202] A colui che tanto patì per noi, che tanti beni ha elargito e ci elargirà in
futuro, a Dio, ogni creatura che vive nei cieli, sulla terra, nel mare e negli
abissi, renda lode, gloria, onore e benedizione, poiché egli è la nostra virtù e la
nostra fortezza. Egli che solo è buono, solo altissimo, solo onnipotente,
ammirabile, glorioso e solo è santo, degno di lode e benedetto per gli infiniti
secoli dei secoli. Amen.
XI. DI COLORO CHE NON FANNO PENITENZA.
[203] Invece, tutti coloro che non vivono nella penitenza, e non ricevono il
corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e compiono vizi e peccati, e
che camminano dietro la cattiva concupiscenza e i cattivi desideri, e non
osservano quelle cose che hanno promesso, e servono con il proprio corpo il
mondo, gli istinti della carne, le cure e le preoccupazioni del mondo le cure di
questa vita, ingannati dal diavolo, di cui sono figli e ne compiono le opere,
costoro sono ciechi, poiché non vedono la vera luce, il Signore nostro Gesù
Cristo.
Questi non posseggono la sapienza spirituale, poiché non hanno in se il
Figlio di Dio, che è la vera sapienza del Padre. Di essi dice la Scrittura: " La loro
sapienza è stata divorata". Essi vedono, conoscono, sanno e fanno il male e
consapevolmente perdono le loro anime.
[204] Vedete, o ciechi, ingannati dai nostri nemici, cioè dalla carne, dal mondo
e dal diavolo, che al corpo è dolce fare il peccato ed è cosa amara servire Dio,
poiché tutte le cose cattive, vizi e peccati, escono e procedono dal cuore degli
uomini come dice il Signore nel Vangelo. E così non possedete nulla né in questo
mondo né nell'altro. Credete di possedere a lungo le vanità di questo secolo, ma
vi ingannate, perché verrà il giorno e l'ora che non pensate, non conoscete e
ignorate.
XII. IL MORIBONDO IMPENITENTE.
[205] Il corpo è infermo, si avvicina la morte, accorrono i parenti e gli amici e
dicono: " Disponi delle tue cose". Ecco, la moglie di lui, i figli, i parenti e gli
amici fingono di piangere. Ed egli, sollevando gli occhi, li vede piangere e,
mosso da un cattivo sentimento, pensando tra se dice: " Ecco, la mia anima e il
mio corpo e tutte le mie cose pongo nelle vostre mani". In verità questo uomo è
maledetto, poiché colloca la sua fiducia e affida la sua anima, il suo corpo e
tutti i suoi averi in tali mani. Perciò dice il Signore per bocca del profeta: "
Maledetto l'uomo che confida nell'uomo".
E subito fanno venire il sacerdote. Gli domanda il sacerdote: " Vuoi
ricevere la penitenza per tutti i tuoi peccati?". Risponde "Si". " Vuoi dare
soddisfazione con i tuoi mezzi, così come puoi, per tutte le colpe e per quelle
cose che hai defraudato e nelle quali hai ingannato gli uomini?". Risponde: "No".
E il sacerdote: "Perché no?". "Perché ho consegnato ogni mio avere nelle mani
dei parenti e degli amici". E incomincia a perdere la parola e così quel misero
muore.
Ma sappiamo tutti che ovunque e in qualsiasi modo un uomo muoia in
peccato mortale senza compiere la soddisfazione sacramentale, e può farlo e
non lo fa, il diavolo rapisce la sua anima dal suo corpo con una angoscia e
sofferenza così grandi che nessuno può sapere se non chi ne fa la prova. E tutti i
talenti e l'autorità e la scienza che credeva di possedere, gli sono portati via.
Egli li lascia ai parenti ed agli amici, ed essi prendono il patrimonio e se lo
dividono e poi dicono: "Maledetta sia la sua anima, poiché poteva darci e
acquistare più di quanto acquistò!". I vermi divorano il corpo; e così quell'uomo
perde l'anima e il suo corpo in questa breve vita e va all'inferno ove sarà
tormentato eternamente.
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
[206] Io frate Francesco, il più piccolo servo vostro, vi prego e vi scongiuro,
nella carità che è Dio, e col desiderio di baciarvi i piedi, che queste parole e le
altre del Signore nostro Gesù Cristo con umiltà e amore le dobbiate accogliere e
attuare e osservare. E coloro che non sanno leggere, se le facciano leggere
spesso, e le imparino a memoria, mettendole in pratica santamente sino alla
fine, perché sono spirito e vita. E coloro che non faranno ciò, ne renderanno
ragione nel giorno del giudizio davanti al tribunale di Cristo. E tutti quelli e
quelle che con benevolenza le accoglieranno e le comprenderanno e ne
invieranno copie ad altri, se in esse persevereranno fino alla fine, li benedica il
Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Amen.
LETTERA A TUTTI I CHIERICI
SULLA RIVERENZA DEL CORPO DEL SIGNORE.
Prima recensione
[207/a] Facciamo attenzione, noi tutti chierici, al grande peccato e
all'ignoranza che certuni hanno riguardo al santissimo corpo e sangue del Signore
nostro Gesù Cristo e ai santissimi nomi e alle sue parole scritte che, santificano
il corpo.
Sappiamo che non ci può essere il corpo se prima non è santificato dalla
parola.
Niente infatti possediamo e vediamo corporalmente in questo mondo
dello stesso Altissimo, se non il corpo e il sangue, i nomi e le parole medianti le
quali siamo stati creati e redenti "da morte a vita".
[208/a]
Tutti coloro, poi, che amministrano così santi misteri,
considerino tra sé, soprattutto chi li amministra illecitamente, quanto siano
miserandi i calici, i corporali e le tovaglie sulle quali si compie il sacrificio del
corpo e del sangue di lui. E da molti viene collocato e lasciato in luoghi
indecorosi, viene trasportato senza nessun onore e ricevuto senza le dovute
disposizioni e amministrato agli altri senza discrezione.
[209/a]
Anche i nomi e le parole di lui scritte talvolta vengono
calpestate, poiché "l'uomo carnale non comprende le cose di Dio".
Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che
lo stesso pio Signore si consegna nelle nostre mani e noi l'abbiamo a nostra
disposizione e ce ne comunichiamo ogni giorno? Ignoriamo forse che dobbiamo
venire nelle sue mani?
Orsù, di tutte queste cose e delle altre, subito e con fermezza
emendiamoci; e ovunque troveremo il santissimo corpo del Signore nostro Gesù
Cristo collocato e lasciato in modo illecito, sia rimosso di là e posto e custodito
in un luogo prezioso.
Ugualmente, ovunque siano trovati i nomi e le parole scritte del Signore
in luoghi sconvenienti, siano raccolte e debbano essere collocate in luogo
decoroso.
Queste cose sono tenuti ad osservarle fino alla fine, più di qualsiasi altra
cosa, tutti i chierici. E quelli che non faranno questo, sappiano che dovranno
rendere "ragione" davanti al Signore nostro Gesù Cristo "nel giorno del giudizio".
E coloro che faranno ricopiare questo scritto, perché esso sia meglio
osservato, sappiano che saranno benedetti dal Signore Iddio.
Seconda recensione
[207] Facciamo attenzione, noi tutti chierici, al grande peccato e
all'ignoranza che certuni hanno riguardo al santissimo corpo e sangue del Signore
nostro Gesù Cristo e ai santissimi nomi e alle sue parole scritte, che santificano
il corpo. Sappiamo che non ci può essere il corpo se prima non è santificato
dalla parola.
Niente infatti possediamo e vediamo corporalmente in questo mondo
dello stesso Altissimo, se non il corpo e il sangue, i nomi e le parole mediante le
quali siamo stati creati e redenti "da morte a vita".
[208] Tutti coloro, poi, che amministrano così santi ministeri,
considerino tra sé, soprattutto quelli che li amministrano senza discrezione,
quanto siano miserandi i calici, i corporali e le tovaglie sulle quali si compie il
sacrificio del corpo e del sangue del Signore nostro.
E da molti viene lasciato in luoghi indecorosi, viene trasportato senza
nessun onore e ricevuto senza le dovute disposizioni e amministrato agli altri
senza discrezione.
[209] Anche i nomi e le parole di lui scritte talvolta vengono calpestate,
perché "l'uomo carnale non comprende le cose di Dio".
Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che
lo stesso pio Signore si consegna nelle nostre mani e noi l'abbiamo a nostra
disposizione e ce ne comunichiamo ogni giorno? Ignoriamo forse che dobbiamo
venire nelle sue mani?
Orsù, di tutte queste cose e delle altre, subito e con fermezza
emendiamoci; e ovunque troveremo il santissimo corpo del Signore nostro Gesù
Cristo collocato e lasciato in modo illecito, sia rimosso di là e posto e custodito
in un luogo prezioso.
Ugualmente, ovunque siano trovati i nomi e le parole scritte del Signore
in luoghi sconvenienti, siano raccolte e debbano essere collocate in luogo
decoroso.
E sappiamo che è nostro dovere osservare tutte queste norme, sopra ogni
altra cosa, in forza dei precetti del Signore e delle costituzioni della Santa
Madre Chiesa.
E colui che non si diporterà in questo modo, sappia che dovrà rendere
"ragione" al Signore nostro Gesù Cristo "nel giorno del giudizio".
E coloro che faranno ricopiare questo scritto perché esso sia meglio
osservato, sappiano che saranno benedetti dal Signore Iddio.
LETTERA AI REGGITORI DEI POPOLI
[210] A tutti i podestà e consoli, magistrati e reggitori di ogni parte del mondo,
e a tutti gli altri ai quali giungerà questa lettera, frate Francesco, vostro servo
nel Signore Dio, piccolo e spregevole, a tutti voi augura salute e pace.
[211] Considerate e vedete che il giorno della morte si avvicina. Vi supplico
perciò, con tutta la reverenza di cui sono capace, di non dimenticare il Signore,
assorbiti come siete dalle cure e preoccupazioni di questo mondo, e di non
deviare dai suoi comandamenti, poiché tutti coloro che dimenticano il Signore e
si allontanano dai comandamenti di lui, sono maledetti e saranno dimenticati
da lui.
E quando verrà il giorno della morte, tutte quelle cose che credevano di
possedere saranno loro tolte. E quanto più sapienti e potenti saranno stati in
questo mondo, tanto maggiori saranno i tormenti che dovranno patire
nell'inferno.
[212] Perciò io con fermezza consiglio a voi, miei signori, che, messa da parte
ogni cura e preoccupazione, riceviate volentieri il santissimo corpo e sangue del
Signore nostro Gesù Cristo in sua santa memoria.
[213] E siete tenuti ad attribuire al Signore tanto onore fra il popolo a voi
affidato, che ogni sera si annunci, mediante un banditore o qualche altro segno,
che siano rese lodi e grazie all'onnipotente Signore Iddio da tutto il popolo. E se
non farete questo, sappiate che dovrete renderne ragione a Dio davanti al
Signore vostro Gesù Cristo nel giorno del giudizio.
Coloro che riterranno presso di se questo scritto e lo metteranno in
pratica, sappiano che saranno benedetti dal Signore Iddio.
LETTERA A TUTTO L'ORDINE.
[214] Nel nome della somma Trinità e della santa Unità del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo. Amen!
[215] A tutti i frati a cui debbo reverenza e grande amore, a frate... A., ministro
generale della Religione dei frati minori, suo signore, e agli altri ministri generali
che succederanno a lui, e a tutti i ministri e custodi e sacerdoti della stessa
fraternità, umili in Cristo, e a tutti i frati semplici che vivono nell'obbedienza,
primi e ultimi, frate Francesco, uomo di poco conto e fragile, vostro piccolo servo,
augura salute in Colui che ci ha redenti e ci ha lavati nel suo preziosissimo sangue.
Ascoltando il nome di lui, adoratelo con timore e riverenza proni verso terra:
Signore Gesù Cristo, Figlio dell'Altissimo è il suo nome, che è benedetto nei secoli.
[216] Ascoltate, miei signori, figli e fratelli, e prestate orecchio alle mie parole.
Inclinate l'orecchio del vostro cuore e obbedite alla voce del Figlio di Dio.
Custodite nella profondità del vostro cuore i suoi precetti e adempite
perfettamente i suoi consigli.
Lodatelo poiché è buono ed esaltatelo nelle opere vostre, poiché per questo vi
mandò per il mondo intero, affinché rendiate testimonianza alla voce di lui con la
parola e con le opere e facciate conoscere a tutti che non c'è nessuno Onnipotente
eccetto Lui. Perseverate nella disciplina e nella santa obbedienza, e adempite con
proposito buono e fermo quelle cose che gli avete promesso. Il Signore Iddio si
offre a noi come a figli.
I.
DELLA RIVERENZA VERSO IL CORPO DEL SIGNORE
[217] Pertanto, scongiuro tutti voi, fratelli, baciandovi i piedi e con tutto l'amore
di cui sono capace, che prestiate, per quanto potete, tutta la riverenza e tutto
l'onore al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, nel quale tutte
le cose che sono in cielo e in terra sono state pacificate e riconciliate a Dio
onnipotente.
II.
DELLA SANTA MESSA
[218] Prego poi nel Signore tutti i miei frati sacerdoti, che sono e saranno e
desiderano essere sacerdoti dell'Altissimo, che quando vorranno celebrare la Messa
puri, in purità offrano con riverenza il vero sacrificio del santissimo corpo e sangue
del Signore nostro Gesù Cristo, con intenzione santa e monda, non per motivi
terreni, né per timore o amore di alcun uomo, come se dovessero piacere agli
uomini. Ma ogni volontà, per quanto l'aiuta la grazia divina, si orienti a Dio, desiderando con la Messa di piacere soltanto allo stesso sommo Signore, poiché in essa
egli solo opera come a lui piace. Poiché è lui stesso che dice: «Fate questo in
memoria di me», se uno farà diversamente, diventa un Giuda traditore e si fa reo
del corpo e del sangue del Signore.
[219] Ricordatevi, fratelli miei sacerdoti, ciò che è scritto riguardo alla legge di
Mosè: colui che la trasgrediva, anche solo nelle prescrizioni materiali, per sentenza del Signore, era punito con la morte senza nessuna misericordia. Quanto
maggiori e più gravi pene meriterebbe di patire colui che avrà calpestato il Figlio
di Dio e contaminato il sangue dell'alleanza, nel quale è santificato, e recato
oltraggio allo Spirito della grazia. L'uomo, infatti, disprezza, contamina e calpesta
l'Agnello di Dio quando, come dice l'Apostolo, non distinguendo nel suo giudizio,
né discernendo il santo pane di Cristo dagli altri cibi o azioni, lo mangia indegnamente o, pur essendone degno, lo mangia con leggerezza e senza le dovute
disposizioni, sebbene il Signore dica per bocca del profeta: «Maledetto l'uomo, che
compie con frode l'opera di Dio». E il Signore condanna i sacerdoti che non
vogliono prendere a cuore con sincerità queste cose, dicendo: «Maledirò le vostre
benedizioni».
[220] Ascoltate, fratelli miei. Se la beata Vergine è così onorata, come è giusto,
perché lo portò nel suo santissimo seno; se il beato Battista tremò di gioia e non
osò toccare il capo santo del Signore; se è venerato il sepolcro, nel quale egli
giacque per qualche tempo; quanto deve essere santo, giusto e degno colui che
stringe nelle sue mani, riceve nel cuore e con la bocca ed offre agli altri perché ne
mangino, Lui non già morituro, ma eternamente vincitore e glorificato, sul quale
gli angeli desiderano volgere lo sguardo!
Badate alla vostra dignità, fratelli sacerdoti, e siate santi perché egli è santo. E
come il Signore Iddio vi ha onorato sopra tutti gli uomini, con l'affidarvi questo
ministero, così voi amatelo, riveritelo e onoratelo più di ogni altro uomo.
Grande miseria sarebbe, e miseranda meschinità se, avendo lui cosi presente, vi
curaste di qualunque altra cosa che esista in tutto il mondo.
[221] Tutta l'umanità trepidi, I'universo intero tremi e il cielo esulti, quando
sull'altare, nella mano del sacerdote, si rende presente Cristo, il Figlio del Dio
vivo. O ammirabile altezza e degnazione stupenda!
O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell'universo, Dio e Figlio di
Dio, così si umili da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di
pane!
Guardate, fratelli, I'umiltà di Dio, ed aprite davanti a lui i vostri cuori; umiliatevi
anche voi, perché siate da lui esaltati. Nulla, dunque, di voi trattenete per voi,
affinché totalmente vi accolga colui che totalmente a voi si offre.
III.
DELL'UNICA MESSA DELLA FRATERNITÀ
[222] Per questo motivo ammonisco ed esorto nel Signore, che nei luoghi in cui i
frati dimorano, si celebri una sola Messa al giorno, secondo le norme della santa
Chiesa.
[223] Se poi nel luogo vi fossero più sacerdoti, I'uno, per amore di carità, si
accontenti dell'ascolto della celebrazione dell'altro sacerdote, poiché il Signore
Gesù Cristo riempie di se stesso presenti ed assenti che sono degni di lui. Egli,
infatti, sebbene sembri essere in più luoghi, tuttavia rimane indivisibile e non conosce detrimento di sorta, ma uno e ovunque, come a lui piace, opera insieme con
il Signore Iddio Padre e con lo Spirito Santo Paraclito per tutti i secoli dei secoli.
Amen.
IV.
DELLA VENERAZIONE PER LA SACRA SCRITTURA
[224] E poiché chi è da Dio ascolta le parole di Dio, perciò noi, che in modo tutto
speciale siamo deputati ai divini uffici, dobbiamo non solo ascoltare e praticare
quello che Dio dice, ma anche, per radicare in noi l'altezza del nostro Creatore e
la nostra sottomissione a lui, custodire i vasi sacri e i libri liturgici, che contengono
le sue sante parole.
[225] Perciò, ammonisco tutti i miei frati e li incoraggio in Cristo perché, ovunque
troveranno le divine parole scritte, come possono, le venerino e, per quanto spetti
a loro, se non sono ben custodite o giacciono sconvenientemente disperse in
qualche luogo, le raccolgano e le ripongano in posto decoroso, onorando nelle sue
parole il Signore che le ha pronunciate. Molte cose infatti sono santificate
mediante le parole di Dio e in virtù delle parole di Cristo si compie il sacramento
dell'altare.
V.
CONFESSIONE DEL SANTO
[226] Ed ora confesso al Signore Dio Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, alla
beata sempre vergine Maria e a tutti i santi in cielo e in terra, a frate H. (Elia),
ministro della nostra Religione, come a mio venerabile signore, e ai sacerdoti del
nostro Ordine e a tutti gli altri miei frati benedetti, tutti i miei peccati.
Ho peccato molto per mia grave colpa, specialmente perché non ho
osservato la Regola, che ho promesso al Signore, e non ho detto l'ufficio, come la
Regola prescrive, sia per negligenza sia a causa della mia infermità, sia perché
sono ignorante e illetterato.
IV.
DELLA REGOLA E DELL'UFFICIO
[227] Perciò scongiuro, come posso, frate H. (Elia) ministro generale, mio signore
che faccia osservare da tutti inviolabilmente la Regola, e che i chierici dicano
l'ufficio con devozione, davanti a Dio, non preoccupandosi della melodia della
voce, ma della consonanza della mente, così che la voce concordi con la mente, la
mente poi concordi con Dio, affinché possano piacere a Dio, mediante la purezza
del cuore, piuttosto che accarezzare gli orecchi del popolo con la mollezza del
canto.
[228] Per quanto mi riguarda, io prometto di osservare fermamente tutte queste
cose, come Dio mi darà la grazia, e le insegnerò ai frati che sono con me perché le
osservino, riguardo all'ufficio e alle altre norme stabilite dalla Regola.
[229] Quei frati, poi, che non vorranno osservare queste cose, non li ritengo
cattolici, né miei frati; non li voglio neppure vedere né parlare con loro, finché
non abbiano fatto penitenza.
[230] Lo stesso dico anche per tutti gli altri che vanno vagando, incuranti della
disciplina della Regola; poiché il Signore nostro Gesù Cristo dette la sua vita per
non venir meno all'obbedienza del Padre santissimo.
[231] lo, frate Francesco, uomo inutile e indegna creatura del Signore Iddio, dico
in nome del Signore Gesù Cristo a frate H. (Elia), ministro di tutta la nostra Religione e a tutti i ministri generali che succederanno a lui, e agli altri custodi e
guardiani dei frati, che sono e saranno, che tengano presso di sé questo scritto, ad
esso si conformino e lo conservino scrupolosamente. E supplico gli stessi di
custodire con sollecitudine e di fare osservare con grande diligenza le cose che vi
sono scritte, secondo il beneplacito di Dio onnipotente, ora e sempre, finché
durerà questo mondo.
[232] E voi che farete queste cose siate benedetti dal Signore, e il Signore sia con
voi in eterno. Amen.
Vll.
PREGHIERA CONCLUSIVA
[233] *** vedi sotto alla formattazione
Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso Iddio concedi a noi miseri di fare, per
la forza del tuo amore, ciò che sappiamo che tu vuoi, e di volere sempre ciò che a
te piace, affinché, interiormente purificati, interiormente illuminati e accesi dal
fuoco dello Spirito Santo, possiamo seguire le orme del tuo Figlio diletto, il Signore
nostro Gesù Cristo, e, con l'aiuto della tua sola grazia, giungere a te, o Altissimo,
che nella Trinità perfetta e nella Unità semplice vivi e regni glorioso, Dio
onnipotente per tutti i secoli dei secoli. Amen.
[233] altra formattazione mia:
Onnipotente, eterno,
giusto e misericordioso Iddio
concedi a noi miseri di fare,
per la forza del tuo amore,
ciò che sappiamo che tu vuoi,
e di volere sempre ciò che a te piace,
affinché, interiormente purificati,
interiormente illuminati e accesi dal fuoco dello Spirito Santo,
possiamo seguire le orme del tuo Figlio diletto,
il Signore nostro Gesù Cristo,
e, con l'aiuto della tua sola grazia,
giungere a te, o Altissimo,
che nella Trinità perfetta e nella Unità semplice
vivi e regni glorioso,
Dio onnipotente per tutti i secoli dei secoli.
Amen.
LETTERA AD UN MINISTRO.
[234] A frate N... ministro. Il Signore ti benedica!
Io ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti sono di
impedimento nell'amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o
altri anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia.
E così tu devi volere e non diversamente. E questo tieni in conto di vera obbedienza da parte del
Signore Iddio e mia per te, perché io fermamente riconosco che questa è vera obbedienza. E
ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il
Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che diventino cristiani migliori.
[235] E questo sia per te più che stare appartato in un eremo.
E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in
questa maniera, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è
possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se
egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in
seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa
attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli.
[236]
E avvisa i guardiani, quando potrai, che tu sei deciso a fare così.
[237] Riguardo poi a tutti i capitoli della Regola che trattano dei peccati mortali, con l'aiuto
del Signore, nel Capitolo di Pentecoste, raccolto il consiglio dei frati, ne faremo un Capitolo solo
in questa forma:
Se qualcuno dei frati, per istigazione del nemico, avrà peccato mortalmente, sia tenuto per
obbedienza a ricorrere al suo guardiano, E tutti i frati, che fossero a conoscenza del peccato di
lui, non gli facciano vergogna né dicano male di lui, ma ne abbiano grande misericordia e
tengano assai segreto il peccato del loro fratello, perché non i sani hanno bisogno del medico,
ma i malati . E sempre per obbedienza siamo tenuti a mandarlo con un compagno dal suo custode. Lo stesso custode poi provveda misericordiosamente a lui, come vorrebbe si provvedesse a
lui medesimo, se si trovasse in un caso simile.
[238] E se fosse caduto in qualche peccato veniale, si confessi ad un fratello sacerdote. E se in
quel luogo non ci fosse un sacerdote, si confessi ad un suo fratello, fino a che possa trovare un
sacerdote che lo assolva canonicamente, come è stato detto. E questi non abbiano potere di
imporre altra penitenza all'infuori di questa: «Va' e non peccare più!».
[239] Questo scritto tienilo con te, affinché sia meglio osservato, fino al capitolo di
Pentecoste; là sarai presente con i tuoi frati. E queste e tutte le altre cose, che sono ancora
poco chiare nella Regola, sarà vostra cura di completarle, con l'aiuto del Signore Iddio.
PRIMA LETTERA AI CUSTODI.
[240] A tutti i custodi dei frati minori ai quali giungerà questa lettera, frate Francesco, vostro servo e piccolo nel Signore Iddio, augura salute con nuovi segni del cielo e della
terra, segni che sono grandi e straordinari presso il Signore e sono invece ritenuti in nessun
conto da molti religiosi e da altri uomini.
[241] Vi prego, più che se riguardasse me stesso, che, quando vi sembrerà conveniente e utile,
supplichiate umilmente i chierici di venerare sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del
Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo. I
calici, i corporali, gli ornamenti dellíaltare e tutto ciò che serve al sacrificio, devono essere preziosi. E se in qualche luogo trovassero il santissimo corpo del Signore collocato in modo
miserevole, venga da essi posto e custodito in un luogo prezioso, secondo le disposizioni della
Chiesa, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione.
[242] Anche gli scritti che contengono i nomi e le parole del Signore, ovunque fossero trovati
in luoghi sconvenienti, siano raccolti e collocati in luogo degno.
[243] E in ogni predica che fate, ricordate al popolo di fare penitenza e che nessuno può essere salvato se non colui che riceve il santissimo corpo e sangue del Signore , e che quando è
sacrificato dal sacerdote sullíaltare o viene portato in qualche parte, tutti, in ginocchio, rendano lode, gloria e onore al Signore Iddio vivo e vero.
E dovete annunciare e predicare la sua gloria a tutte le genti, cosi che ad ogni «ora» e quando
suonano le campane, sempre da tutto il popolo siano lese lodi e grazie a Dio onnipotente per
tutta la terra.
[244] E tutti i miei frati custodi ai quali giungerà questo scritto, che ne faranno copia e la
terranno presso di sé e la faranno trascrivere per i frati che hanno líufficio della predicazione e
della custodia dei frati, e che predicheranno sino alla fine le istruzioni contenute in questo
scritto, sappiano che hanno la benedizione del Signore Iddio e mia.
E reputino questo scritto come vera e santa obbedienza per loro. Amen.
**********************************************************************************************************************
SECONDA LETTERA AI CUSTODI.
[245] A tutti i custodi dei frati minori, ai quali perverrà questa lettera, frate Francesco, il più
piccolo dei servi di Dio, augura salute e pace santa nel Signore.
[246] Sappiate che ci sono delle realtà che, davanti al Signore sono altissime e sublimi, ma a
volte sono reputate dagli uomini vili e spregevoli; mentre altre, ri tenute care e nobili tra gli
uomini, sono invece ritenute vilissime e spregevoli al cospetto di Dio.
[247] Perciò vi supplico, nel Signore Dio nostro, per quanto posso, che vi preoccupiate di
consegnare ai vescovi e agli altri chierici, quelle lettere che trattano del santissimo corpo e
sangue del Signore nostro, e di custodire nella memoria quanto su questo argomento vi abbiano
raccomandato.
[248] Dell'altra lettera che vi invio perché la trasmettiate ai podestà, ai consoli e ai reggitori
dei popoli, nella quale è contenuto líinvito a proclamare in pubblico tra i popoli e sulle piazze le
lodi di Dio, procurate di fare subito molte copie e di consegnarle con diligenza a coloro ai quali
sono indirizzate.
LETTERA A FRATE LEONE
[249]
Frate Leone, il tuo frate Francesco ti augura salute e pace.
[250] Così dico a te, figlio mio, come una madre: che tutte le parole, che ci siamo scambiate
lungo la via, le riassumo brevemente in questa sola frase e consiglio anche se dopo ti sarà
necessario tornare da me per consigliarti - poiché così ti consiglio: in qualunque maniera ti
sembra meglio di piacere al Signore Dio e di seguire le sue orme e la sua povertà, fatelo con la
benedizione del Signore Dio e con la mia obbedienza.
E se ti è necessario per il bene della tua anima, per averne altra consolazione, e vuoi, o
Leone, venire da me, vieni!
LETTERA A FRATE ANTONIO.
[251]
A frate Antonio, mio vescovo, frate Francesco augura salute.
[252] Ho piacere che tu insegni la sacra teologia ai frati, purché in questa occupazione, non
estingua lo spirito dell'orazione e della devozione, come sta scritto nella Regola.
LETTERA A DONNA GIACOMINA
[253] A donna Jacopa, serva dell'Altissimo, frate Francesco poverello di Cristo, augura salute
nel Signore e la comunione dello Spirito Santo.
[254] Sappi, carissima, che Cristo benedetto, per sua grazia, mi ha rivelato che la fine della
mia vita è ormai prossima.
[255] Perciò, se vuoi trovarmi vivo, vista questa lettera, affrettati a venire a Santa Maria
degli Angeli, poiché se non verrai prima di tale giorno, non mi potrai trovare vivo.
E porta con te un panno di cilicio in cui tu possa avvolgere il mio corpo e la cera per la
sepoltura. Ti prego ancora di portarmi di quei dolci, che eri solita darmi quando mi trovavo
ammalato a Roma.
SALUTO ALLE VIRTU'
[256] Ave, regina sapienza,
il Signore ti salvi
con tua sorella, la santa e pura semplicità.
Signora santa povertà,
il Signore ti salvi
con tua sorella, la santa umiltà.
Signora santa carità,
il Signore ti salvi
con tua sorella, la santa obbedienza.
Santissime virtù,
voi tutte salvi il Signore
dal quale venite e procedete.
[257] Non c'è assolutamente uomo nel mondo intero,
che possa avere una sola di voi,
se prima non muore [a se stesso].
Chi ne ha una e le altre non offende,
tutte le possiede,
e chi anche una sola ne offende
non ne possiede nessuna e le offende tutte.
e ognuna confonde i vizi e i peccati.
[258] La santa sapienza
confonde Satana e tutte le sue insidie.
La pura santa semplicità
confonde ogni sapienza di questo mondo
e la sapienza della carne.
La santa povertà
confonde la cupidigia, I'avarizia
e le preoccupazioni del secolo presente.
La santa umiltà
confonde la superbia
e tutti gli uomini che sono nel mondo
e similmente tutte le cose che sono nel mondo.
La santa carità
confonde tutte le diaboliche e carnali tentazioni
e tutti i timori carnali.
La santa obbedienza
confonde tutte le volontà corporali e carnali
e ogni volontà propria,
e tiene il suo corpo mortificato per l'obbedienza
allo spirito e per l'obbedienza al proprio fratello;
e allora l'uomo è suddito e sottomesso
a tutti gli uomini che sono nel mondo,
e non soltanto ai soli uomini,
ma anche a tutte le bestie e alle fiere,
così che possano fare di lui quello che vogliono
per quanto sarà loro concesso dall'alto del Signore.
** Dal Saluto alla Beata Vergine Maria, ho ricopiato qui:
[260]
E saluto voi tutte, sante virtù,
che per grazia e illuminazione dello Spirito Santo
venite infuse nei cuori dei fedeli,
perché da infedeli
fedeli a Dio li rendiate.
SALUTO ALLA BEATA
VERGINE MARIA
[259] Ave, Signora, santa regina,
santa Madre di Dio, Maria
che sei vergine fatta Chiesa.
ed eletta dal santissimo Padre celeste,
che ti ha consacrata
insieme col santissimo suo Figlio diletto
e con lo Spirito Santo Paraclito;
tu in cui fu ed è ogni pienezza di grazia
e ogni bene.
Ave, suo palazzo,
ave, suo tabernacolo,
ave, sua casa.
Ave, suo vestimento,
ave, sua ancella,
ave, sua Madre.
[260] E saluto voi tutte, sante virtù,
che per grazia e illuminazione dello Spirito Santo
venite infuse nei cuori dei fedeli,
perché da infedeli
fedeli a Dio li rendiate.
[261] LODI DI DIO ALTISSIMO
Tu sei santo, Signore, solo Dio, che operi cose meravigliose.
Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo,
Tu sei re onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra.
Tu sei trino ed uno, Signore Dio degli dèi,
Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, il Signore Dio vivo e vero.
Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza,
Tu sei umiltà, Tu sei pazienza,
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine,
Tu sei sicurezza, Tu sei quiete.
Tu sei gaudio e letizia, Tu sei la nostra speranza, Tu sei giustizia,
Tu sei temperanza, Tu sei tutta la nostra ricchezza a sufficienza.
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine.
Tu sei protettore, Tu sei custode e nostro difensore,
Tu sei fortezza, Tu sei refrigerio.
Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede, Tu sei la nostra carità.
Tu sei tutta la nostra dolcezza,
Tu sei la nostra vita eterna,
grande e ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.
[262] BENEDIZIONE A FRATE LEONE
Il Signore ti benedica e ti custodisca,
mostri a te il suo volto
e abbia misericordia di te.
Rivolga verso di te il suo sguardo
e ti dia pace.
Il Signore benedica te,
frate Leone.
Nota autografa:
"Il beato Francesco scrisse di suo pugno questa benedizione
per me frate Leone.
Allo stesso modo fece lui, di sua mano,
il segno del Tau con la sua base".
AUDITE POVERELLE
PER LE POVERE SIGNORE
DEL MONASTERO DI S. DAMIANO
[263/1] Audite, poverelle dal Signore vocate,
ke de multe parte et provincie sete adunate:
vivate sempre en veritate
ke en obedientia moriate.
Non guardate a la vita de fore,
ka quella dello spirito è migliore.
Io ve prego per grand'amore
k'aiate discrecione de le lemosene ke ve dà el Segnore.
Quelle ke sunt adgravate de infirmitate
et l'altre ke per loro suò adfatigate,
tutte quante lo sostengate en pace
Ka multo venderi(te) cara questa fatiga,
ka cascuna serà regina en celo coronata cum la Vergene Maria.
CANTICO DI FRATE SOLE
[263] Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfane,
et nullu homo ène dignu Te mentovare.
Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo quale è iorno et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi' Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor'Acqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si', mi' Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.
Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterrano in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si', mi' Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate e benedicete mi' Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.
***
(vedi, più sotto, altra formattazione)
LODI PER OGNI ORA
[Rubrica: Incominciano le lodi composte dal beatissimo padre nostro Francesco. Egli le recitava
ad ogni ora del giorno e della notte e prima dell'Ufficio della beata Vergine Maria; e
incominciano così: «Santissimo Padre nostro, che sei nei cieli, ecc.». seguite dal Gloria. Poi si
dicano le seguenti lodi:]
[264]
Santo, santo, santo il Signore Dio onnipotente,
che è, che era e che verrà;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Tu sei degno, Signore Dio nostro,
di ricevere la lode, la gloria
e l'onore e la benedizione;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Degno è l'Agnello, che è stato immolato
di ricevere potenza e divinità,
sapienza e fortezza,
onore e gloria e benedizione;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Benediciamo il Padre e il Figlio con lo Spirito Santo;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Benedite il Signore, opere tutte del Signore;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Date lode al nostro Dio voi tutti suoi servi
voi che temete Dio, piccoli e grandi;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Lodino lui, glorioso, i cieli e la terra;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
E ogni creatura che è nel cielo
e sopra la terra e sotto terra,
e il mare e le creature che sono in esso;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Come era nel principio e ora e sempre
e nei secoli dei secoli. Amen.
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
[265] Preghiera: Onnipotente, santissimo, altissimo e sommo Iddio,
ogni bene, sommo bene, tutto il bene, che solo sei buono,
fa' che noi ti rendiamo ogni lode, ogni gloria,
ogni grazia, ogni onore, ogni benedizione e tutti i beni.
Fiat! Fiat! Amen.
( * 264 * ) LODI PER OGNI ORA
1. Santo, santo, santo il Signore Dio onnipotente,
che è, che era e che verrà;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
2. Tu sei degno, Signore Dio nostro,
di ricevere la lode, la gloria
e l'onore e la benedizione;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
3. Degno è l'Agnello, che è stato immolato
di ricevere potenza e divinità,
sapienza e fortezza,
onore e gloria e benedizione;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
4. Benediciamo il Padre e il Figlio con lo Spirito Santo;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
5. Benedite il Signore, opere tutte del Signore;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
6. Date lode al nostro Dio voi tutti suoi servi
voi che temete Dio, piccoli e grandi;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
7. Lodino lui, glorioso, i cieli e la terra;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
8. E ogni creatura che è nel cielo
e sopra la terra e sotto terra,
e il mare e le creature che sono in esso;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
9. Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo;
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
10. Come era nel principio e ora e sempre
e nei secoli dei secoli. Amen.
E lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
( * 265 * )
Preghiera:
Onnipotente, santissimo, altissimo e sommo Iddio,
ogni bene, sommo bene, tutto il bene, che solo sei buono,
fa' che noi ti rendiamo ogni lode, ogni gloria,
ogni grazia, ogni onore, ogni benedizione e tutti i beni.
Fiat! Fiat! Amen.
*** (vedi, più sotto, altra formattazione)
ESORTAZIONE ALLA LODE DI DIO
[ Lode di Dio nel luogo dell'eremita]
[265/a] Temete il Signore e rendetegli onore.
Il Signore è degno di ricevere la lode e l'onore,
Voi tutti che temete il Signore lodatelo.
Ave Maria piena di grazia il Signore è con te,
Lodatelo cielo e terra.
Lodate il Signore, o fiumi tutti.
Benedite il Signore o figli di Dio.
Questo è il giorno fatto dal Signore,
esultiamo e rallegriamoci in esso.
Alleluia, alleluia, alleluia! Il Re di Israele.
Ogni vivente dia lode al Signore.
Lodate il Signore perché è buono;
tutti voi che leggete queste parole, benedite il Signore.
Benedite il Signore, o creature tutte.
Voi tutti uccelli del cielo, lodate il Signore.
Servi tutti del Signore lodate il Signore.
Giovani e fanciulle lodate il Signore.
Degno è l'Agnello che è stato immolato
di ricevere la lode, la gloria e l'onore.
Sia benedetta la santa Trinità
e l'indivisa Unità.
San Michele arcangelo, difendici nel combattimento.
( * 265a * ) ESORTAZIONE ALLA LODE DI DIO
[ Lode di Dio nel luogo dell'eremita]
Temete il Signore e rendetegli onore.
Il Signore è degno di ricevere la lode e l'onore,
Voi tutti che temete il Signore lodatelo.
Ave Maria piena di grazia il Signore è con te,
Lodatelo cielo e terra.
Lodate il Signore, o fiumi tutti.
Benedite il Signore o figli di Dio.
Questo è il giorno fatto dal Signore,
esultiamo e rallegriamoci in esso.
Alleluia, alleluia, alleluia! Il Re di Israele.
Ogni vivente dia lode al Signore.
Lodate il Signore perché è buono;
tutti voi che leggete queste parole, benedite il Signore.
Benedite il Signore, o creature tutte.
Voi tutti uccelli del cielo, lodate il Signore.
Servi tutti del Signore lodate il Signore.
Giovani e fanciulle lodate il Signore.
Degno è l'Agnello che è stato immolato
di ricevere la lode, la gloria e l'onore.
Sia benedetta la santa Trinità
e l'indivisa Unità.
San Michele arcangelo, difendici nel combattimento.
265 ONNIPOTENTE
Onnipotente, santissimo, altissimo e sommo Iddio,
ogni bene, sommo bene, tutto il bene, che solo sei buono,
fa' che noi ti rendiamo ogni lode, ogni gloria,
ogni grazia, ogni onore, ogni benedizione e tutti i beni.
Fiat! Fiat! Amen.
** (vedi, più sotto, altra formattazione) **
PARAFRASI DEL PADRE NOSTRO
[266] O santissimo Padre nostro: creatore, redentore, consolatore e salvatore
nostro.
[267] Che sei nei cieli: negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza,
perché tu, Signore, sei luce, infiammandoli all'amore, perché tu, Signore, sei
amore, ponendo la tua dimora in loro e riempiendoli di beatitudine, perché tu,
Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il
quale non esiste alcun bene.
[268] Sia santificato il tuo nome: si faccia luminosa in noi la conoscenza di te,
affinché possiamo conoscere l'ampiezza dei tuoi benefici, l'estensione delle tue
promesse, la sublimità della tua maestà e la profondità dei tuoi giudizi.
[269] Venga il tuo regno: perché tu regni in noi per mezzo della grazia e ci
faccia giungere nel tuo regno, ove la visione di te è senza veli,
l'amore di te è perfetto,
la comunione di te è beata,
il godimento di te senza fine.
[270] Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra: affinché ti amiamo
con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta l'anima, sempre
desiderando te; con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni e
in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le nostre forze, spendendo tutte
le nostre energie e sensibilità dell'anima e del corpo a servizio del tuo amore e
non per altro; e affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi,
trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui
come dei nostri e nei mali soffrendo insieme con loro e non recando nessuna
offesa a nessuno.
[271] Il nostro pane quotidiano: il tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù
Cristo, dà a noi oggi: in memoria, comprensione e reverenza dell'amore che egli
ebbe per noi e di tutto quello che per noi disse, fece e patì.
[272] E rimetti a noi i nostri debiti: per la tua ineffabile misericordia, per la
potenza della passione del tuo Figlio diletto e per i meriti e l'intercessione della
beatissima Vergine e di tutti i tuoi eletti.
[273] Come noi li rimettiamo ai nostri debitori: e quello che non sappiamo
pienamente perdonare, tu, Signore, fa' che pienamente perdoniamo sì che, per
amor tuo, amiamo veramente i nemici e devotamente intercediamo presso di
te, non rendendo a nessuno male per male e impegnandoci in te ad essere di
giovamento a tutti.
[274] E non ci indurre in tentazione: nascosta o manifesta, improvvisa o
insistente.
[275] Ma liberaci dal male: passato, presente e futuro.
Gloria al Padre, ecc.
( ** altra formattazione ** ) :
PARAFRASI DEL PADRE NOSTRO
[266] O santissimo Padre nostro: creatore, redentore, consolatore e salvatore
nostro.
[267] Che sei nei cieli: negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza,
perché tu, Signore, sei luce, infiammandoli all'amore, perché tu, Signore, sei
amore, ponendo la tua dimora in loro e riempiendoli di beatitudine, perché tu,
Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il
quale non esiste alcun bene.
[268] Sia santificato il tuo nome: si faccia luminosa in noi la conoscenza di te,
affinché possiamo conoscere l'ampiezza dei tuoi benefici, I'estensione delle tue
promesse, la sublimità della tua maestà e la profondità dei tuoi giudizi.
[269] Venga il tuo regno: perché tu regni in noi per mezzo della grazia e ci
faccia giungere nel tuo regno, ove la visione di te è senza veli,
l'amore di te è perfetto,
la comunione di te è beata,
il godimento di te senza fine.
[270] Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra: affinché ti amiamo
con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta l'anima sempre desiderando
te; con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni e in ogni cosa
cercando il tuo onore; e con tutte le nostre forze spendendo tutte le nostre
energie e sensibilità dell'anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per
altro; e affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi, trascinando
tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei
nostri e nei mali soffrendo insieme con loro e non recando nessuna offesa a
nessuno.
[271] Il nostro pane quotidiano: il tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù
Cristo,
dà a noi oggi: in memoria, comprensione e reverenza dell'amore che egli
ebbe per noi e di tutto quello che per noi disse, fece e patì.
[272] E rimetti a noi i nostri debiti: per la tua ineffabile misericordia, per la
potenza della passione del tuo Figlio diletto e per i meriti e l'intercessione della
beatissima Vergine e di tutti i tuoi eletti.
[273] Come noi li rimettiamo ai nostri debitori: e quello che non sappiamo
pienamente perdonare, tu, Signore, fa' che pienamente perdoniamo sì che, per
amor tuo, amiamo veramente i nemici e devotamente intercediamo presso di
te, non rendendo a nessuno male per male e impegnandoci in te ad essere di
giovamento a tutti.
[274] E non ci indurre in tentazione: nascosta o manifesta, improvvisa o
insistente.
[275] Ma liberaci dal male: passato, presente e futuro. Amen.
Oratio Crucis
** (vedi, più sotto, un'altra formattazione e traduzione)
[276]
PREGHIERA DAVANTI AL CROCIFISSO
Altissimo glorioso Dio,
illumina le tenebre de lo core mio.
Et dame fede dricta,
speranza certa e carità perfecta,
senno e cognoscemento,
Signore,
che faccia lo tuo santo e verace comandamento. Amen.
( ** 276 ** : altra formattazione e traduzione )
PREGHIERA DAVANTI AL CROCIFISSO
Altissimo glorioso Dio,
illumina le tenebre del cuore mio.
Dammi fede retta,
speranza certa e carità perfetta,
sapienza e conoscenza.
Signore,
che io faccia la tua santa e verace volontà.
Amen.
PREGHIERA ABSORBEAT
[277]
Rapisca, ti prego, o Signore,
I'ardente e dolce forza del tuo amore
la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo,
perché io muoia per amore dell'amor tuo,
come tu ti sei degnato morire
per amore dell'amor mio.
DELLA VERA E PERFETTA LETIZIA.
[278]
Lo stesso [fra Leonardo] riferì che un giorno il beato Francesco, presso Santa
Maria [degli Angeli], chiamò frate Leone e gli disse: «Frate Leone, scrivi». Questi rispose:
«Eccomi, sono pronto». «Scrivi - disse - quale è la vera letizia».
«Viene un messo e dice che tutti i maestri di Parigi sono entrati nell'Ordine, scrivi: non è
vera letizia. Cosi pure che sono entrati nell'Ordine tutti i prelati d'Oltr'Alpe, arcivescovi e
vescovi, non solo, ma perfino il Re di Francia e il Re d'lnghilterra; scrivi: non è vera letizia. E se
ti giunge ancora notizia che i miei frati sono andati tra gli infedeli e li hanno convertiti tutti alla
fede, oppure che io ho ricevuto da Dio tanta grazia da sanar gli infermi e da fare molti miracoli;
ebbene io ti dico: in tutte queste cose non è la vera letizia».
«Ma quale è la vera letizia?».
«Ecco, io torno da Perugia e, a notte profonda, giungo qui, ed è un inverno fangoso e
così rigido che, alI'estremità della tonaca, si formano dei ghiacciuoli d'acqua congelata, che mi
percuotono continuamente le gambe fino a far uscire il sangue da siffatte ferite. E io tutto nel
fango, nel freddo e nel ghiaccio, giungo alla porta e, dopo aver a lungo picchiato e chiamato,
viene un frate e chiede: «Chi è?». Io rispondo: «Frate Francesco». E quegli dice: «Vattene, non è
ora decente questa, di andare in giro, non entrerai». E poiché io insisto ancora, I'altro risponde:
«Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali
che non abbiamo bisogno di te». E io sempre resto davanti alla porta e dico: «Per amor di Dio,
accoglietemi per questa notte». E quegli risponde: «Non lo farò. Vattene al luogo dei Crociferi e
chiedi là».
Ebbene, se io avrò avuto pazienza e non mi sarò conturbato, io ti dico che qui è la vera
letizia e qui è la vera virtù e la salvezza dell'anima».
VERSIONE VECCHIA DA ALESSANDRO DOMENICALE
TUTTA DA CAMBIARE,
eccetto 298 e 303, riportati anche in versione nuova e ritoccata
UFFICIO DELLA PASSIONE DEL SIGNORE
279
Incominciano i salmi, che il beatissimo padre nostro Francesco compose a onore e a
memoria e a lode della passione del Signore. E incominciano dalla compieta del Giovedì santo,
cioè da quella triste notte in cui il Signor nostro Gesù Cristo fu tradito e catturato. E nota, che
il beato Francesco recitava questo ufficio in questo modo: prima diceva l'orazione, che ci ha
insegnato il Signore e Maestro. Santissimo Padre nostro, ecc. insieme alle lodi Santo, santo,
santo. Terminate le lodi e l'orazione, incominciava questa antifona: Santa Maria. Prima diceva i
salmi dell'ufficio della Madonna, poi diceva gli altri salmi da lui scelti, e, alla fine di tutti i
salmi, recitava i salmi della passione. Terminato il salmo diceva questa antifona: Santa Maria
Vergine. Terminata l'antifona era finito l'ufficio.
COMPlETA
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo
280
Signore, ti ho raccontato la mia vita: e tu hai preso le mie lacrime e le hai poste davanti
a te (Sal 55, 9).
I miei nemici si sono uniti per perdermi (Sal 70, 10): hanno risposto col male al bene, con
l'odio all'amore (Sal 108, 5).
Invece di amarmi, dicevano ogni male di me: ma io pregavo ( Sal 108, 1 ).
Mio Padre santo, che sei Re del cielo e della terra, non allontanarti da me: il tempo della
tribolazione è prossimo, e non c'è chi mi aiuti (Gv. 17, 11; Mt. 11, 25; S 21, 12).
Ma se io ti avrò invocato fuggiranno i miei nemici: ecco, io so bene che tu sei il mio Dio
(Sal 55, l0).
Si sono fermati lontano da me anche i miei amici e i miei intimi (Sal 37, 12): tu hai
permesso che rimanessero lontani, ed essi si vergognarono di rne. Fui consegnato ai miei nemici,
né da essi mi liberai (Sal 87, 9).
Padre santo, non allontanare da me il tuo aiuto: Dio mio, guarda e vieni in mio soccorso
(Sal 21, 20).
Vieni in mio soccorso, Dio della mia salvezza (Sal 37, 23). Il Gloria.
281
Antifona: Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te, nata nel mondo, fra le donne,
figlia e ancella dell'altissimo Re, il Padre celeste, madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo,
sposa dello Spirito Santo; prega per noi con san Michele arcangelo e con tutte le virtù dei cieli, e
con tutti i santi, presso il tuo santissimo Figlio diletto, nostro Signore e Maestro.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, come in principio e ora e sempre e nei
secoli dei secoli. Amen.
282
Nota che questa antifona si recita ad ogni ora; e si recita come antifona, capitolo,
versetto e orazione, anche a mattutino e a ciascun'ora. Nient'altro egli diceva se non questa
antifona con i suoi salmi. E alla fine dell'ufficio il beato Francesco sempre recitava questa
benedizione: Benediciamo il Signore Iddio vivo e vero, e rendiamo a Lu la lode, la gloria, l'onore e
ogni bene per sempre. Amen. Amen. Fiat. Fiat (3) .
MATTUTINO
Antifona Santa Maria Vergine.
Salmo
283
non
I Signore, Dio della mia salvezza, giorno e notte sale a te il mio grido ( Sal 87, 1 ) .
2 Possa la mia preghiera entrare al tuo cospetto: porgi ad essa l'orecchio, Signore (Sal 87,
2-3).
3 Guarda all'anima mia e liberala: strappami dalle mani dei miei nemici (Sal 68, 19).
4 A te io devo la mia vita, tu sei la mia speranza fino dalla mia nascita, e sei il mio Dio;
allontanarti da me (Sal 21, 10-12).
6 Tu vedi ora la mia confusione e la furia spietata di chi mi oltraggia (Sal 68, 20).
8 Ho cercato chi mi fosse accanto in quest'ora di tribolazione: nessuno ci fu; ho cercato
chi mi
alcun
confortasse: non ho trovato alcuno (Sal 68, 21).
9 Gli iniqui, o Signore, sono insorti contro di me; i potenti vogliono la mia vita: senza
riguardo per te (Sal 85, 14).
10 Ormai sono computato tra i morti, un uomo che nessuno aiuta, libero tra i morti (Sal
87, 5).
Dio
11 Ma tu, Padre santo, sei il mio Re e il mio Dio (Sal 5, 3): vieni in mio soccorso, Signore,
della mia salvezza (Sal 37, 23).
Prima
Antifona. Santa Maria Vergine.
284
2).
1 Abbi pietà di me, Signore, abbi pietà di me, perché la mia anima confida in te (Sal 56,
2 Mi porrò pieno di speranza all'ornbra delle tue ali, fino a quando sia passato il turbine
dell'iniquità (Sal 56, 2).
3 Salirà il mio grido al Padre mio altissimo, al Dio che mi ama (Sal 56, 3).
4 Dal cielo egli opera la mia salvezza: e getta la confusione tra i miei nemici (Sal 56, 4).
5 Ha disteso la sua mano e la sua verità; ha strappato la mia vita alla potenza dei miei
nemici e
di quanti mi odiano:
il
6 di quanti mi avevano teso lacci e avevano umiliato la mia anima (Sal 56, 4; 17, 18; 56, 7).
7 Caddero, così, nella fossa che avevano scavato per me ( Sal 56, 7) .
8 Il mio cuore è pronto, Signore, il mio cuore è pronto: un inno io ti canterò (Sal 56, 8).
9 A me l'arpa, a me la cetra! Risorgi o mia gloria; io mi desterò all'alba (Sal 56, 9).
10 Ti loderò in mezzo a tutte le genti, Signore: perché la tua misericordia è grande come
cielo e la tua fedeltà tocca le nubi altissime (Sal 56, 10-11).
11Sii esaltato, Signore, sopra i cieli; e si stenda la tua gloria su tutta la terra (Sal 56, 12).
TERZA
Antifona. Santa Maria Vergine.
Salmo
285
1 Abbi pietà di me, Signore, perché i miei nemici mi calpestano e non mi dànno tregua in
alcun'ora del giorno:
2 e sono tanti coloro che mi fanno guerra! (Sal 55, 2-3).
3 Ogni loro pensiero è rivolto al mio male: fanno uso di ogni menzogna (Sal 40, 8-9).
4 Quelli che difendevano la mia anima, hanno fatto consiglio fra loro (Sal 70, 10):
5 uscivano fuori e parlavano fra di loro (Sal 40, 7).
6 Chi mi vede, mi deride: muove le labbra e scuote la testa (Sal 21, 8):
7 perché io sono verme, non uomo, un abietto, rifiuto per il popolo (Sal 21, 7).
8 I miei vicini disprezzano me, non i miei nemici; i miei familiari hanno paura (Sal 30, 12).
9 Padre santo, non togliermi il tuo aiuto: veglia tu a mia difesa (Sal 21, 20).
10 Affrettati in mio aiuto, Signore Dio della mia salvezza (Sal 37, 23).
SESTA
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo
286
1 Il mio grido sale al Signore:
2 a Lui salgono la mia preghiera e la mia miseria (Sal 141, 2-3).
3 Quando viene meno in me il mio spirito, tu conosci la mia strada.
4 Camminavo e mi tesero lacci; mi guardavo attorno e nessuno mi conosceva.
5 Non c'era più scampo per me;
6 e nessuno si prendeva cura della mia anima (Sal 141, 4-5).
7 Per tuo amore ho sopportato l'oltraggio e !a vergogna ha ricoperto il mio volto (Sal 68,
8-10).
8 Sono divenuto estraneo per i miei fratelli, sconosciuto ai figli di mia madre (Sal 68, 9).
9 Padre santo, per lo zelo della tua casa sono caduti su di me gli oltraggi dei tuoi nemici
(Sal
68, 10).
10 Contro di me si sono rallegrati e riuniti: su di me sono caduti i flagelli, senza saperne la
ragione (Sal 34, 15).
11 Più numerosi dei capelli del mio capo si sono fatti coloro che mi odiano senza motivo
(Sal
68 5)
12 Sono potenti i nemici che mi calunniano: quanto non ho rubato, lo dovrei restituire?
(Sal
68, 5).
13 Falsi testimoni mi hanno accusato di cose che ignoro:
14 mi hanno reso male per bene, mi hanno calunniato; perché ho seguito l'onestà (Sal 37,
21).
15 Tu sei il santissimo Padre mio, il mio Re, il mio Dio! (Sal 43, 5).
16 Vieni in mio soccorso, o Dio della mia salvezza (Sal 37, 23).
Nona
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo
287
1 Voi tutti che passate per la via, vedete se c'è un dolore simile al mio dolore! (Lam. 1,
12).
2 Ringhiosi come cani mi assediarono i miei nemici; mi hanno guardato e pesato:
3 si sono divisi i miei abiti, hanno tirato a sorte la mia veste (Sal 21, 17-19).
4 Hanno trapassato le mie mani e i miei piedi: hanno contato tutte le mie ossa (Sal 21, 14-16).
5 Gridavano contro di me come leoni ruggenti e affamati (Sal 21, 14).
6 Mi sono dissolto come acqua: le mie ossa sono state disgregate.
7 Il cuore si è liquefatto a guisa di cera nel mio petto;
8 1a mia forza si è disseccata a guisa di otre vuoto: la mia lingua si è attaccata al palato (Sal 21,
15-16).
9 Mi hanno nutrito con fiele, dissetato con aceto ( Sal 68, 22).
10 Mi hanno condotto alla polvere della morte aumentando il dolore delle mie ferite (Sal 21, 16;
68,
27).
11 Mi addormentai e risorsi. Il Padre mio santissimo mi ha accolto nella sua gloria (Sal 3, 6).
12 0 Padre santo, tu mi hai tenuto per mano, mi hai accompagnato nel fare la tua volontà, mi hai
assunto nella gloria (Sal 72, 24-25).
13 Infatti che cosa possiedo in cielo? E da te che cosa ho voluto sulla terra? (Sal 72 25).
14 Uomini, guardate! -- dice il Signore-- sono io il vostro Dio: sarò esaltato fra le genti e su tutta
la
terra (Sal 45, 11).
15 Benedetto sia il Signore, Dio d'Israele, che ha redento le anime dei suoi servi con il suo
preziosissimo sangue: non verranno mai meno coloro che in Lui sperano (Sal 33, 23).
16 E lo sappiamo che viene: viene a giudicare la giustizia ( Sal 95, 1 3 ) .
Vespero
Antifona. Santa Maria Vergine.
Salmo
288 1 Genti tutte, applaudite: gridate a Dio la vostra esultanza,
2 perché il Signore è grande e terribile, Re eccelso su tutta la terra (Sal 46, 2-3).
3 Egli, nostro Padre e nostro Re da tutta l'eternità, ha mandato dall'alto il Figlio suo
diletto: a
portare la salvezza nel mondo (Sal 73, 12).
4 Si allietino i cieli, esulti la terra, si gonfino di gioia i mari, di letizia ogni contrada del
mondo
(Sal 95, 11-12).
5 Cantate a Lui un canto nuovo: date a Dio tutta la gloria e tutto l'onore;
6 perché grande è il Signore e molto degno di lode; più terribile di tutti gli dei (Sal 95,
1-4).
7 Offrite al Signore, popoli delle genti, offrite al Signore la gloria e l'onore; offrite al
Signore la
gloria del suo nome (Sal 95, 7-8).
8 Offritegli i vostri corpi, e portate la sua santa croce: seguite fino in fondo i suoi
comandamenti (cfr. Lc. 14, 27).
9 Tutta la terra si scuota davanti a Lui: gridate a tutti i popoli che il Signore regna.
289 Fino a qui si dice dal Venerdì santo alla festa della Ascensione ogni giorno. Nella festa
dell'Ascensione si aggiungano questi versetti
10 E salì al cielo: e siede alla destra di Dio, Padre santissimo ( Ef. 4, 10; Credo) .
11 Sali più in alto dei cieli, o Dio; e la tua gloria si diffonda per tutta la terra (Sal 56, 12).
12 E sappiamo che egli viene: verrà a giudicare la giustizia ( Sal 95. 13) .
290
Dall'Ascensione all'Avvento si dice nello stesso modo, ogni giorno, questo salmo, cioè.
Genti tutte, con i sopraddetti versetti dicendo il Gloria dove finisce il salmo.
Questi salmi si recitano dal Venerdì santo alla domenica di Resurrezione. Ugualmente si recitano
dall'ottava della Pentecoste fino all'Avvento del Signore e dall'ottava dell'Epifania fino al Giovedì
santo, eccetto le domeniche e le feste principali, nelle quali non si dicono; negli altri giorni
invece sempre si dicono.
COMPIETA DEL SABATO SANTO
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo (69)
291 1 Degnati, o Dio, di liberarmi; Signore, affrettati a soccorrermi!
2 Siano confusi ed arrossiscano quelli che cercano l'anima mia.
3 Siano volti in fuga e svergognati coloro che godono della mia sventura.
4 Siano storditi per loro vergogna coloro che mi dicono: Ah! ah!
5 Esultino e si rallegrino in te tutti quelli che ti cercano.
6 Ripetano sempre: «Sia magnificato Iddio » coloro che amano la tua salvezza.
7 Io però sono misero e indigente; o Dio, abbi cura di me.
8 Mio aiuto e mia salvezza sei tu; Signore, non tardare!
Questo salmo si recita ogni giorno a Compieta fino all'ottava di Pentecoste.
AL MATTUTINO
DELLA DOMENICA Dl RESURREZIONE
Antifona. Santa Maria Vergine.
292 1 Cantate al Signore un cantico non prima udito, perché ha fatto cose meravigliose
( Sal 97, 1 ).
2 Ha santificato il figlio suo la sua mano, lo ha santificato il suo santo braccio (cfr. Gv. 10, 36,
Sal 97, 1).
3 Il Signore ha fatto conoscere la salvezza che viene da Lui: ha rivelato la sua giustizia al cospetto
di
tutte le genti (Sal 97, 2) .
4 In quel giorno ha fatto scendere la sua misericordia: durante la notte si è udito il suo cantico
(Sal 41,
9).
5 Questo è un giorno che ha fatto il Signore: esultiamo e rallegriamoci in esso (Sal 117, 24).
6 Benedetto colui che viene nel nome del Signore: Signore Iddio, nostra luce (Sal 117, 26-27).
7 Si allietino i cieli, esulti la terra, si commuovano le distese dei mari: godano i campi e quanto in
essi
vive (Sal 95, 11-12).
8 Date gloria al nome del Signore, o patrie di tutte le genti: date gloria al nome del Signore (Sal
95,
7-8).
293 Fino a qui si dice dalla domenica di Resurrezione alla festa dell'Ascensione, ogni giorno, a
ciascuna ora, eccetto il vespro e compieta e prima. Nella notte dell'Ascensione si aggiungano
questi versetti:
9 0 regni della terra, cantate a Dio, cantate al Signore che ascende sopra il cielo dei cieli, a
oriente.
10 Ecco, egli farà udire la forza della sua voce: date gloria a Dio per Israele: la sua potenza e la
sua forza sono tra le nubi.
11 Meraviglioso è il Signore nei suoi santi; il Dio di Israele, egli stesso darà potenza e forza al suo
popolo, il Signore benedetto (Sal 67, 33-36).
294
Questo salmo dall'Ascensione del Signore fino all'ottava di Pentecoste si dice ogni giorno
con i sopraddetti versetti a mattutino e terza e sesta e nona, dicendo il Gloria dove si dice il
Benedictus Deus, e non altrove. Ugualmente si recita soltanto a mattutino nelle domeniche e
nelle feste principali dall'ottava di Pentecoste fino al Giovedì santo, poiché in questo giorno il
Signore mangiò la pasqua con i suoi discepoli. Si può dire un altro salmo a mattutino o a vespro,
quando si vuole, e cioè Exaltabo te, Domine, come si ha nel salterio.
E questo dalla domenica di Resurrezione fino alla festa dell'Ascensione, e non oltre.
PRIMA
Antifona: Santa Maria Vergine .
Salmo. Abbi pietà di me, Signore, abbi pietà (v. p. 187).
TERZA, SESTA, NONA
Salmo: Cantate (v. p. 192).
Salmo: Genti tutte (v. p. 190).
III
295
Iniziano altri salmi, composti ugualmente dal beatissimo Padre nostro Francesco, da dirsi
in luogo dei sopraddetti salmi della passione del Signore, nelle domeniche e nelle principali feste
dall'ottava di Pentecoste fino all'Avvento e dall'ottava dell'Epifania fino al Giovedì Santo.
COMPIETA
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo: Degnati, o Dio, di liberarmi (Sal 69); (v. p. 191 ) .
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo: Cantate (v. p. 192).
PRIMA
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo: Abbi pietà di me, Signore, abbi pietà (v. p. 187).
TERZA
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo
296
1 Innalza i tuoi canti a Dio, o terra, e glorificalo.
2 Digli quanto terribili sono le opere del Signore, a confusione dei suoi nemici.
3 Ogni terra ti adori e ti innalzi i suoi canti ( Sal 65, 1-4) .
4 Venite, ascoltate, voi tutti che temete Iddio: vi narrerò quanto ha fatto per l'anima mia (Sal 65,
16).
5 Ho gridato a Lui la mia pena:
6 egli ha ascoltato la mia voce, salita fino al suo cospetto (Sal 17, 7).
7 Benedite il Signore nostro, popoli della terra; diffondete per ogni dove le sue lodi (Sal 65, 8):
8 e saranno benedette in Lui tutte le tribù della terra; tutte le genti lo esalteranno (Sal 71, 17).
9 Benedetto sia il Signore Dio d'Israele: egli solo sa fare cose mirabili.
10 Benedetta sia la maestà del suo nome, che riempirà il mondo. Fiat. Fiat (Sal 71, 18-19).
SESTA
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo
297
1 Ti ascolti il Signore nel giorno della tribolazione: ti protegga il nome del Dio di
Giacobbe.
2 Ti aiuti dal suo santuario, ti protegga da Sion;
3 si ricordi del tuo sacrificio;
4 ti accordi ciò che il tuo cuore desidera; conduca a compimento i tuoi propositi (Sal 19, 2-5).
5 Noi esulteremo nella salvezza che viene da te, il nome del Signore Dio nostro sarà la nostra
gloria
(Sal 19, 6).
6 Il Signore accolga i tuoi desideri: ora so che il Signore ci ha mandato il Figlio suo Gesù Cristo, e
che
giudicherà il mondo secondo giustizia (Sal 19, 7; 9, 9; cfr. Gv. 4, 9).
7 Il Signore è divenuto rifugio al povero, lo soccorre nelle necessità e nelle tribolazioni; sperino in
te
quanti conoscono il tuo nome ( Sal 9, 10-11 ).
8 Benedetto il Signore Dio mio: egli è divenuto mio soccorritore e mio rifugio nel giorno della pena
(Sal 58, 17-18) .
9 0 mio aiuto, a te io canterò: Dio è il mio aiuto, il mio Dio, la mia misericordia (Sal 58, 18).
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo
298
NONA
*** vedi subito sotto la nuova traduzione del n
con mia formattazione ***
298
1 In te ho sperato, Signore: che io non sia mai confuso. Nella tua giustizia liberami dal
male.
2 Porgi l'orecchio alla mia preghiera e salvami ( Sal 70, 1-2) .
3 Sii il Dio che mi protegge, che mi difende, che mi salva.
4 Perché tu sei, Dio, la mia pazienza: la mia speranza fino dai tempi della mia giovinezza (Sal 70,
3-5).
5 Dalla mia nascita tu sei la mia forza, la mia protezione: a te salirà sempre il mio canto (Sal 70,
6).
6 La mia bocca sia piena della tua lode: che io canti ogni giorno la tua gloria e la tua grandezza
(Sal
70, 8).
7 Ascoltami, Signore, perché dolce è la tua misericordia: guarda a me nella pienezza della tua
bontà
(Sal 68, 17).
8 Non distogliere il tuo volto dal tuo servo: nelle tribolazioni affrettati ad ascoltarmi (Sal 68, 18).
9 Sia benedetto il Signore Dio mio, mio patrono, mio rifugio nel giorno della tribolazione (Sal 143,
1;
58, 17).
10 O mio sostegno, a te io canterò, perché Dio è il mio aiuto, il mio Dio, la mia misericordia (Sal
58,
18).
*** 298 *** nuova traduzione del n 298
con mia formattazione :
* 298 *
TU SARAI SEMPRE LA MIA CANZONE
In te ho sperato, Signore,
che io non sia confuso in eterno.
Liberami e difendimi, nella tua giustizia.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera e salvami.
Sii per me il Dio mio protettore,
(Salmo XII)
come un luogo fortificato,
perché tu mi possa salvare.
Poiché tu sei, Signore, la mia pazienza;
o Signore, mia speranza fino dalla mia giovinezza.
Dalla mia nascita sei tu la mia forza,
mio protettore dal grembo di mia madre:
tu sarai sempre la mia canzone.
Della tua lode sia piena la mia bocca;
che io canti tutto il giorno
la tua gloria e la tua grandezza.
Esaudiscimi, Signore,
poiché benigna è la tua misericordia;
volgiti a me nella molteplicità della tua misericordia.
Non distogliere il tuo volto dal tuo servo:
sono nella tribolazione, affrèttati ad ascoltarmi.
Sia benedetto il Signore mio Dio,
poiché egli si è fatto mio difensore e rifugio
nel giorno della mia tribolazione.
O mio aiuto, a te voglio cantare,
poiché tu sei, o Dio,
la mia difesa, il mio Dio, la mia misericordia.
VESPRO
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo: Genti tutte (v. p. 190).
299
Iniziano altri salmi sempre composti dal beatissimo padre nostro Francesco, da recitarsi
in luogo dei precedenti salmi della Passione del Signore, dall'Avvento del Signore alla vigilia di
Natale e non più.
COMPIETA
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo (12)
300
1 Fino a quando, Signore, ti scorderai di me? Fino a quando distoglierai da me il tuo volto?
2 Per quanto tempo ancora l'anima mia sarà piena di ansietà e di dolore?
3 Fino a quando il mio nemico avrà il sopravvento su di me? Volgi a me il tuo sguardo ed
esaudiscimi,
Signore, Dio mio!
4 Dà luce ai miei occhi, perché non mi addormenti mai nella morte e il mio nemico possa dire:
«L'ho
vinto!».
5 Se io cadrò, esulteranno i miei nemici: ma io confido nella tua misericordia.
6 Esulterà il mio cuore in te, mia salvezza: canterò al Signore, che mi ha dato ogni bene, loderò il
nome del Signore altissimo.
MATTUTINO
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo
301 1 Io ti confesserò, Signore, Padre santissimo, Re del cielo e della terra: perché mi hai
consolato
(Is. 12, 1; cfr. Mt. 11, 25).
2 Tu sei il Dio mio salvatore: verrò a te con fiducia e senza timore (Is. 12, 2).
3 Mia fortezza e mia gloria è il Signore: la mia salvezza egli è divenuto (Sal 117, 14).
4 La tua mano, Signore, è forte, ha percosso il nemico; nella pienezza della tua gloria hai
sconfitto i
miei avversari ( Es. 1 5, 6-7 ) .
5 Vedano i deboli e gioiscano: cercate il Signore e l'anima vostra vivrà.
6 Lo lodino il cielo e la terra, il mare e ogni essere che in essi abita.
7 Poiché Dio salverà Sion, e saranno riedificate le città di Giuda.
8 E saranno abitate, e passeranno in eredità;
9 le generazioni dei servi di Dio possederanno Dio, coloro che amano il suo nome abiteranno in
essa
(Sal 68, 33, 35-37) .
PRIMA
Antifona: Santa Maria Vergine. Salmo: Abbi pietà di me, Signore, abbi pietà (v. p. 187).
TERZA
Antifona: Santa Maria Vergine. Salmo: Innalza i tuoi canti a Dio (v. p. 194).
SESTA
Antifona: Santa Maria Vergine. Salmo: Ti ascolti il Signore ( v. p. 195 ) .
NONA
Antifona: Santa Maria Vergine. Salmo: In te ho sperato, Signore (v. p. 195).
VESPRO
Antifona: Santa Maria Vergine. Salmo: Genti tutte (v. p. 190).
302
Nota che il salmo non si recita tutto, ma fino al verso: Commoveatur a facie eius... (
tutta la terra si scuota... ) . Si faccia attenzione di dire tutto il verso: Offritegli i vostri corpi.
Terminato questo verso si dice il Gloria. E questo si recita a Vespro ogni giorno, dall'Avvento fino
alla vigilia di Natale.
VESPRO DI NATALE
Antifona: Santa Maria Vergine.
Salmo
*** vedi subito sotto la nuova traduzione del n 303
con mia formattazione ***
303
di
1 Esultate in Dio, nostro alleato; dite la vostra gioia al Signore, Dio vivo e vero, in canto
esultanza (Sal 80. 2; 46, 2).
2 poiché il Signore è grande, è terribile: è Re potente su tutta la terra (Sal 46, 3).
3 Poiché il Padre che è nei cieli, nostro Re dall'eternità, ha mandato dall'alto il diletto
Figlio
suo: che nacque dalla beata Vergine Maria (Sal 73, 12; Cfr. Gv. 4, 9; Credo) .
4 Egli mi invocherà: «Il Padre mio sei tu». Ed io esalterò il mio Primogenito sopra tutti i
re
della terra (Sal 88, 27-28).
5 In quel giorno Dio ha fatto scendere la sua misericordia, durante la notte si è udito il
suo
cantico (Sal 41, 9).
6 Questo è un giorno che ha fatto il Signore: esultiamo e rallegriamoci in esso (Sal 117,
24).
7 Perché il santissimo bambino che amiamo ci è stato dato, e per noi è nato, lungo la via
e
deposto in una mangiatoia, perché non c'era posto in albergo ( Is. 9, 6; Lc. 2, 7).
8 Gloria a Dio nel vertice dei cieli; pace in terra agli uomini di buona volontà (Lc 2, 14).
9 Si allietino i cieli, esulti la terra, si commuova la distesa immensa dei mari: godano i
campi e
quanto in essi vive ( Sal 95, 11-12) .
10 Cantategli un inno mai prima udito; canti al Signore tutta la terra (Sal 95, 1) .
11 Perché grande è il Signore, e degno di ogni lode: terribile più che ogni altro dio (Sal
95,
4).
12 Date gloria e onore al Signore, o patrie di tutte le genti: date gloria al nome del
Signore
(Sal 95, 7).
13 Offritegli le vostre vite e portate la sua santa croce: e adempite fino in fondo i suoi
santi
comandamenti (Rm. 12, 1; Lc. 14, 27).
Questo salmo si recita dal Natale fino all'ottava dell'Epifania a ciascun'ora.
*** 303 *** nuova traduzione del n 303
con mia formattazione
SALMO PER IL VESPRO DI NATALE (Salmo XV)
1. Esultate in Dio nostro aiuto,
elevate il vostro canto di giubilo al Signore Dio, vivo e vero
con voce di esultanza.
2. Poiché eccelso e terribile è il Signore,
re grande su tutta la terra.
3. Poiché il santissimo Padre celeste, nostro Re dall’eternità,
ha mandato dall’alto il suo Figlio diletto,
ed egli è nato dalla beata Vergine santa Maria.
4. Egli mi ha invocato: “Il padre mio sei tu”;
ed io lo riconoscerò come primogenito, più alto dei re della terra.
5. In quel giorno il Signore ha mandato la sua misericordia,
nella notte si è udito il suo cantico.
6. Questo è il giorno fatto dal Signore:
esultiamo e rallegriamoci in esso.
7. Poiché il santissimo bambino diletto
ci è stato donato e per noi è nato, lungo la via
e deposto in una mangiatoia,
poiché non c’era posto nell’albergo.
8. Gloria al Signore Dio nell’alto dei cieli,
e pace in terra agli uomini di buona volontà.
9. Si allietino i cieli ed esulti la terra,
frema il mare e quanto contiene;
esulteranno i campi e tutte le cose che in essi si trovano.
10. Cantate a lui un cantico nuovo;
canti al Signore tutta la terra.
11. Poiché grande è il Signore e degno d’ogni lode,
è terribile sopra tutti gli dèi.
12. Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore la gloria e l’onore;
date al Signore la gloria per il suo nome.
13. Portate in offerta i vostri corpi
e caricatevi sulle spalle la sua santa croce
e seguite sino alla fine i suoi comandamenti.
BENEDIZIONE A FRATE BERNARDO.
Scrivi quello che sto per dire: "Il primo fratello datomi dal Signore è stato
frate Bernardo, che per primo cominciò a vivere la perfezione del santo Vangelo
e la realizzò fino in fondo quando distribuì tutti i suoi averi ai poveri. Per
questa e numerose altre prerogative, io sono tenuto ad amarlo più che
qualunque altro fratello della nostra famiglia religiosa. Pertanto, voglio e
ordino, per quanto sta in mio potere, che chiunque sia il ministro generale,
abbia ad amarlo ed onorarlo come un altro me stesso. E anche gli altri ministri
provinciali e i fratelli di tutta la nostra famiglia religiosa lo trattino come
tratterebbero me".
BENEDIZIONE A S. CHIARA E SORELLE.
[...] per consolarla, scrisse a lei una lettera, contenente la sua
benedizione, e l'assolse da ogni mancanza, se ne aveva commesse, riguardo a
direttive e comandi impartiti da lui e alle direttive e comandi del Figlio di Dio.
LETTR-VV
ossia notizia di lettere scritte da Francesco a :
* Frati di Francia
* Cittadini di Bologna
* Santa Chiara
Lettera ai fratelli di Francia
[...] scrisse il beato Francesco di propria mano una lettera [...] al
ministro e ai fratelli di Francia, esortandoli, non appena ricevessero la lettera,
a giubilare e innalzare lodi a Dio Trinità, dicendo: "Benediciamo il Padre e il
Figlio e lo Spirito santo!".
Lettera ai Bolognesi
Disse ancora frate Martino di Barton che un fratello stava raccolto in
preghiera a Brescia, nel giorno di Natale (1222), e fu ritrovato illeso sotto le
macerie della chiesa crollata durante quel terremoto predetto da San Francesco
e che lui aveva fatto annunciare dai fratelli in tutte le scuole di Bologna,
mediante una lettera stilata in scadente latino.
Lettera a S. Chiara sul digiuno
" In riferimento al quesito che mi proponi, rispondo così alla tua carità. Mi
chiedi quali feste il gloriosissimo padre nostro san Francesco ci ammonì di
celebrare con particolare solennità, consentendo di consumare per l'occasione
cibi migliori. Prudente come sei, saprai certamente che, eccettuate le sorelle
deboli e malate - a favore delle quali esorto e comando di usare un delicato
buonsenso nell'offrire qualunque cibo -, ognuna di noi che sia sana e forte
dovrebbe prendere sia nei giorni feriali che nei giorni festivi soltanto i cibi
consentiti durante la quaresima, digiunando ogni giorno, salvo le domeniche e il
Natale del Signore, quando dovremmo fare due pasti.
Anche nei giovedì che non cadano in periodi di digiuno, ciascuna può
comportarsi come preferisce, in modo che quella la quale non vuol digiunare,
non vi sia obbligata. Noi però che siamo sane, digiuniamo abitualmente tutti i
giorni dell'anno, fuorché le domeniche e il Natale. Non siamo però obbligate a
digiunare -come dice uno scritto del beato Francesco, - neppure nell'intero
tempo pasquale e nelle festività di santa Maria e dei santi Apostoli, purché
queste solennità non cadano di venerdì. Ma, come si è detto dinanzi, noi che
siamo in salute e vigorose, consumiamo solo cibi consentiti in quaresima".
LETTERA DI FRATE ELIA
Traduzione e note di
FELICIANO OLGIATI
[304] [LETTERA ENCICLICA DI FRATE ELIA,
A TUTTE LE PROVINCE DELL'ORDINE,
SULLA MORTE DI SAN FRANCESCO]
305
1. A frate Gregorio, suo fratello carissimo in Cristo, ministro della provincia di Francia, e a tutti gli
altri fratelli suoi e nostri, invia il suo saluto frate Elia peccatore.
306 2. Prima che io incominci a parlare, un gemito mi sale dal cuore, e ben a ragione. Il mio ruggito è come
d'acque dilaganti, perché ciò che temevo mi è accaduto, a me ed a voi; e quello che mi spaventava si è
abbattuto, su di me e su di voi: Colui, che era la nostra consolazione, se ne è andafo lontano; colui che ci
portava tra le sue braccia come agnelli, si è recato in una regione lontana. Lui, che ha insegnato la via della
vita e dell'obbedienza a Giacobbe, e ha consegnato un testamento di pace per Israele, poiché era amato da Dio
e dagli uomini, è stato introdotto nelle dimore luminosissime del cielo.
Se per lui dobbiamo rallegrarci con tutta la gioia, per noi è solo rammarico, perché siamo rimasti senza di lui
mentre ci avvolgono le tenebre e ci copre l'ombra della morte.
Se per tutti è una perdita incolmabile, speciale pericolo è per me, che egli ha lasciato nel mezzo delle tenebre
circondato da troppe occupazioni e schiacciato da mali senza numero. E perciò vi scongiuro: piangete con me,
fratelli, perché il pianto mi opprime e piango per tutti voi Siamo, rimasti orfani senza padre privati di colui che
era la luce dei nostri occhi.
307
3. Veramente era vera luce la presenza del fratello e padre nostro Francesco, non solo per noi che
gli eravamo compagni nella medesima professione di vita, ma anche per quelli che erano lontani. Era infatti,
una luce suscitata dalla luce vera quella che illumina quanti erano nelle tenebre e sedevano nell'ombra della
morte per dirigere i loro passi sulla via della pace. Questo egli ha fatto, come vera luce meridiana. La luce che
veniva dall'alto illuminava il suo cuort e riscaldava la volontà di lui col fuoco del suo amore. Così infiammato,
egli predicaua il Regno di Dio e convertiva il cuore dei padri uerso i figli e gli stolti alla prudenza dei giusti e
preparava in tutto il mondo Mn popolo nuovo per il Signore. Il suo nome è celebrato fino ai più lontani confini,
e l'universo intero resta pieno di stupore per le sue mirabili imprese.
308
4. Perciò non vogliate, figli e fratelli miei, abbando- narvi ad una tristezza ecccssiva, perché Dio,
padre degli orfani vi conforterà con la sua santa consolazione. E se piangete, fratelli miei, su di uoi stessi
piangete e non su di lui. Noi, infatti, mentre siamo nella pienezza della nostra vita siamo nella morte, lui invece
e passato dalla morte alla vita. E siate ripieni di gioia perché, prima di partirsi
da noi, come un altro Giacobbe, ha benedetto tutti i suoi hgli ed ha perdonato a tutti qualsiasi colpa uno abbia
commesso o pensato contro di lui
309
5. Ed ora vi annuncio una grande gioia, uno straordinario miracolo. Non si è mai udito al mondo un
portento simile, fuorché nel Figlio di Dio, che è il Cristo Signore. Qualche tempo prima della sua morte, il
fratello e padre nostro apparve crocihsso, portando impresse nel suo corpo le cinque piaghe, che sono
veramente le stimmate di Cristo. Le mani e i piedi di lui erano trafitti come da chiodi penetrati dall'una e
dall'altra parte, e avevano delle cicatrici dal colore nero dei chiodi. Il suo fianco appariva trafitto da una lancia,
ed emetteva spesso gocciole di sangue
310
6. Mentre era in vita aveva aspetto dimesso e non c'era bellezza nel suo volto: non era rimasto in lui
membro che non fosse straziato. Le sue membra erano rigide, per la contrazione dei nervi, come avviene in un
uomo morto. Ma, dopo la morte il suo volto si fece bellissimo, splendente di mirabile candore e consolante a
vedersi. Le membra, prima rigide, divennero flessibili e pieghevoli qua e là come si volevano disporre, a guisa di
un tenero fanciullo.
311
7. Perciò, fratelli, benedite il Dio del cielo e proclamate la sua grandezza davanti a tutti, perché ha
fatto scendere su di noi la sua misericordia. Custodite il ricordo del padre e fratello nostro Francesco, a lode e
gloria di Colui, che lo ha reso grande tra gli uomini e lo ha glorificato tra gli angeli. Pregate per lui, come egli
medesimo ci ha chiesto prima di morire, e invocatelo, perché Dio renda anche noi partecipi con lui della sua
santa grazia. Amen.
312 8. Il padre e fratello nostro Francesco è tornato al Signore, nella prima ora della notte che precede il 4
ottobre, di domenica. O voi, dunque, fratelli carissimi, ai quali perverrà questa lettera, a imitazione del popolo
di Israele nel suo pianto su Mosé ed Aronne, suoi incliti condottieri, lasciamo libero sfogo alle lacrime, poiché
siamo stati privati del conforto di così grande padre.
313
9. Veramente, è cosa pia condividere il gaudio di Francesco, ma è cosa pia anche il piangere
Francesco. É sentimento filiale partecipare alla sua esultanza, perché egli non è morto, ma se n'è partito per il
grande mercato del cielo, recando con sé il sacchetto del suo denaro, e tornerà a casa nel plenilunio. Ma è
ancora da figli piangere la perdita di Francesco. Egli, che passava tra noi, come Aronne, porgendoci del suo
tesoro cose nuove e cose vecchie, e ci consolava in ogni nostra tribolazione, fu tolto di mezzo a noi, ed ora
siamo veramente orfani, senza padre. Ma sta scritto: A Te si abbandona il misero, dell'orfano tu sei sostegno.
Perciò, fratelli carissimi, pregate tutti senza stancarvi affinché, se la piccola brocca di creta è stata infranta
nella valle dei figli di Adamo, il Signore, che è il grande vasaio, si degni plasmarne un'altra, che sia meritevole
d'onore e stia sopra la moltitudine della nostra famiglia, e ci preceda alla battaglia, come vero Maccabeo.
314
10. Ma, poiché non è cosa superflua pregare per i defunti, pregate per lui il Signore. Ogni sacerdote
celehri tre Messe, ogni chierico reciti il Salterio, ogni fratello non sacerdote dica cinque (?) Pater noster I
chierici celebrino in comune una solenne veglia. Amen.
VERSIONE VECCHIA
DA ALESSANDRO DOMENICALE
Sezione seconda
VITA PRIMA
DI SAN FRANCESCO D'ASSISI
Traduzione e note di
ABELE CALUFETTI
e
FELICIANO OLGIATI
INDICE
Prologo
PARTE PRIMA
CAPITOLO I.
CAPITOLO II. Dio visita il suo spirito con una malattia e un sogno.
CAPITOI O III . Nasconde sotto il velo di allegorie
il segreto della sua trasformazione interiore
CAPITOLO IV. Venduta ogni cosa, si libera anche del denaro ricavato
CAPITOLO V. Il padre lo perseguita e lo tiene prigioniero.
CAPITOLO VI. La madre lo libera, ed egli si spoglia davanti al vescovo di Assisi .
.
CAPITOLO VII. Assalito dai briganti, è gettato nella neve,
poi si applica a servire i lebbrosi.
CAPITOI O VIII . Restaura la chiesa di San Damiano.
Forma di vita delle religiose che vi dimorano.
CAPITOLO IX. Francesco ripara la chiesa di Santa Maria
della Porziuncola, poi, sentendo leggere un brano
evangelico, lascia ogni cosa e inventa l'abito dei suoi frati.
CAPITOI O X. Francesco predica il Vangelo e annuncia la pace.
Conversione dei primi sei frati.
CAPITOLO XI. Spirito di profezia e predizioni di san Francesco.
CAPITOI.O XII. Francesco manda i frati a due a due nel mondo;
poco tempo dopo si ritrovano insieme .
CAPITOLO XIII. Quando ebbe undici frati, scrisse la prima Regola,
che fu approvata da Innocenzo III.
CAPITOL0 XIV. Ritorno del Santo da Roma nella valle
.
Spoletana
e
sua
sosta
nel
...................................................................................
»438
viaggio
CAPITOI.O XV. Fama del beato Francesco. Conversione di molti a Dio.
Come la sua istituzione fu chiamata « Ordine dei frati minori ».
Formazione di coloro che vi entravano .
CAPITOLO XVI. Dimora a Rivotorto e osservanza della povertà.
CAPITOLO XVII. Il beato Francesco insegna ai frati a pregare.
Obbedienza e purezza dei medesimi .
CAPITOLO XVIII. Il carro di fuoco e come il beato Francesco,
anche assente, vedeva i suoi frati.
CAPITOI.O XIX. La vigilanza sui suoi frati. Il disprezzo di se stesso.
La vera umiltà.
CAPITOLO XX. Desideroso del martirio Francesco prima cerca
di andare missionario nella Spagna poi in Siria.
Per suo merito, Dio moltiplica i viveri e scampa i naviganti dal naufragio.
CAPITOLO XXI. Francesco predica agli uccelli e tutte le creature gli obbediscono.
CAPITOLO XXII. San Francesco predica in Ascoli
e per mezzo di oggetti toccati da lui, gli ammalati guariscono.
CAPITOLO XXIII. Francesco guarisce uno zoppo a Toscanella e un paralitico a Narni .
CAPITOI.O XXIV. Francesco rende la vista a una cieca e a Gubbio risana un'altra
rattrappita .
CAPITOLO XXV. Francesco libera un frate dall'epilessia e a Sangemmi guarisce
un'indemoniata .
CAPITOLO XXVI. Anche a Città di Castello Francesco scaccia un demonio .
CAPITOLO XXVII. Purezza e costanza del suo spirito. Discorso davanti a papa Onorio III.
Affida se stesso e i suoi alla protezione del cardinale Ugolino, vescovo di Ostia.
CAPITOLO XXVIII. Spirito di carità e affettuosa compassione verso i poveri.
Episodio della pecora e degli agnellini..
CAPITOLO XXIX. Il suo grande amore per le creature a motivo del Creatore.
Suo ritratto fisico e morale.
CAPITOLO XXX. Il presepio di Greccio.
PARTE SECONDA
CAPITOLO I. Contenuto di questa parte. Beato transito e mirabile ascesa del Santo .
CAPITOLO II. Il desiderio più grande di Francesco, e come, aprendo il libro del Vangelo,
conobbe il volere di Dio nei suoi confronti .
CAPITOLO III. Visione di un uomo in fgura di Serafino crocifisso.
CAPITOI O IV. Fervore di san Francesco e sua malattia di occhi.
CAPITOLO V. Al cardinale Ugolino, vescovo di Ostia, che lo riceve benevolmente a Rieti,
il Santo predice la nomina a Sommo Pontefice .
CAPITOLo VI. Virtù dei frati che servivano san Francesco. Qual era il suo progetto di vita.
CAPITOIO VII. Ritorno di Francesco da Siena ad Assisi. La chiesa di Santa Maria
della Porziuncola e la henedizione ai frati .
CAPITOLO VIII. Ultime parole e atti prima della morte.
CAPITOLO IX. Pianto e gaudio dei frati che ammirano in lui
i segni della crocifissione. Le ali del Serafino.
CAPITOLO X. Il pianto delle Povere dame di San Damiano e la gloriosa sepoltura di
Francesco .
PARTE TERZA
Tratta della canonizzazione del beato padre Francesco e dei suoi miracoli .
I miracoli di san Francesco I. Paralitici guariti .
II. I ciechi ricuperano la vista .
III. Gli indemoniati liherati .
IV. Malati strappati alla morte e altri infermi guariti »
V. Lebbrosi mondati
VI. Muti e sordi sanati .
Epilogo
VITA PRIMA
DI SAN FRANCESCO D'ASSISI
QUESTA VITA PRIMA di san Francesco, che il francescano abruzzese Tommaso da Celano
(c. 1190/c. 1260) scriveva tra il 1228 e l'inizio del 1229, è la prima biograha del Poverello. E, al tempo stesso, è il capostipite di diverse altre Vite o Leggende non riportate
in questo volume, in quanto ne ripetono la matrice. Ciò vale soprattutto per la Vita di
san Francesco di Giuliano da Spira (c. 1232/1239), per la Leggenda versificata di Enrico
d'Avranches (c. 1232/1234), per la Leggenda corale dello stesso Tommaso (c. 1230/
/1232), mentre ci sfugge il testo della Leggenda «Quasi stella matutina » scritta da
Giovanni da Celano, fratello di Tommaso.
Il valore biografico e letterario della Vita prima è fuori discussione; ha pesato tuttavia
sulle sue vicende la decisione del Capitolo generale di Parigi del 1266, che ordinò di
distruggere tutte le precedenti biografie di Francesco, dopo che Bonaventura da
Bagnoregio, ministro generale, ebbe compilato la sua Leggenda maggiore (1263). L'opera
bonaventuriana riuniva in un solo corpo letterario la biografia del Santo, edulcorando le
testimonianze dirette che Tommaso, tra il 1228 e il 1253, aveva inserito nella sua
«trilogia» (Vita prima, Vita seconda e Trattato dei miracoli ) .
Ritrovata (in un manoscritto non molto valido) e pubblicata, per la prima volta, dai
Bollandisti nel 1768, la Vita prima si rivelò, in ambito moderno, un documento di grande
autorità, nonostante le sue preoccupazioni letterarie. Per la loro edizione critica, gli
editori di Quaracchi (in AF, X, pp. 1-117, ma si veda anche, ivi, M. Bihl, pp. III-XIX) non
hanno avuto a disposizione che una decina di manoscritti, alcuni dei quali mutili. Il
nostro volgarizzamento segue tale edizione.
Si veda anche Introduzione, qui, pp. 218-225.
VERSIONE VECCHIA DA ALESSANDRO DOMENICALE
PROLOGO
Nel nome del Signore. Amen.
Incomincia il prologo
alla vita del beato Francesco
315 1. Per ordine del glorioso signor papa Gregorio, mi sono accinto a narrare
diligentemente gli atti e la vita del beatissimo padre nostro Francesco. Ho cercato di farlo
con ordine e devozione, scegliendo sempre come maestra e guida la verità. Ma poiché
nessuno può ritenere a memoria tutte le opere e gli insegnamenti di lui, mi sono limitato
a trascrivere con fedeltà almeno quelle cose che io stesso ho raccolto dalla sua viva voce
o appreso dal racconto di testimoni provati e sinceri, stendendole nel miglior modo che
mi è stato possibile, sebbene tanto inferiore al merito del soggetto. Potessi davvero
essere degno discepolo di colui che evitò costantemente il linguaggio difficile e gli
ornamenti della retorica!
316 2. Ho diviso in tre parti e in vari capitoli il materiale raccolto, allo scopo di non
creare confusione tra episodi di tempi diversi, né dubbio circa la loro verità.
La prima parte segue l'ordine cronologico, e tratta soprattutto della purezza della
sua vita, delle sue virtù esemplari e dei suoi salutari insegnamenti. Ví sono inseriti anche
alcuni miracoli, tra i tanti che Dio si degnò compiere per mezzo di lui in vita.
La seconda narra gli avvenimenti dal penultimo anno della sua vita fino alla sua
beata morte.
La terza infine raccoglie molti miracoli operati in terra dal Santo, ma molti più ne
tace, da quando egli regna glorioso con Cristo in cielo.
Descrive pure il culto di venerazione, di onore e di lode che papa Gregorio,
felicemente regnante, e tutti i cardinali di santa Chiesa romana gli tributarono, quando
decisero di iscriverlo nel catalogo dei Santi.
Sia ringraziato Dio onnipotente, che nei suoi santi si mostra sempre ammirabile e
amabile.
Qui finisce il prologo
PARTE PRIMA
A lode e gloria di Dio onnipotente,
Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen.
Incomincia la vita
del beatissimo padre nostro Francesco
CAPITOLO I
COSTUMI MONDANI DELLA SUA GIOVINEZZA
317 1. Viveva ad Assisi, nella valle spoletana, un uomo di nome Francesco. Dai genitori
ricevette fin dalla infanzia una cattiva educazione, ispirata alle vanità del mondo. Imitando i loro esempi, egli stesso divenne ancor più leggero e vanitoso.
318 Questa pessima mentalità, infatti, si è diffusa tra coloro che si dicono cristiani: si è
fatto strada il sistema funesto, quasi fosse una legge, di educare i propri figli fin dalla
culla con eccessiva tolleranza e dissolutezza. Ancora fanciulli, appena cominciano a
balbettare qualche sillaba, si insegnano loro con gesti e parole cose vergognose e deprecabili. Sopraggiunto il tempo dello svezzamento, sono spinti non solo a dire, ma anche a
fare ciò che è indecente. Nessuno di loro, a quella età, osa comportarsi onestamente, per
timore di essere severamente castigato. Ben a ragione, pertanto, afferma un poeta
pagano: «Essendo cresciuti tra i cattivi esempi dei nostri genitori, tutti i mali ci
accompagnano dalla fanciullezza ». E si tratta di una testimonianza vera: quanto più i
desideri dei parenti sono dannosi ai figli, tanto più essi li seguono volentieri!
319 Raggiunta un'età un po' più matura, istintivamente passano a misfatti peggiori,
perché da una radice guasta cresce un albero difettoso, e ciò che una volta è degenerato,
a stento si può ricondurre al suo giusto stato. E quando varcano la soglia dell'adolescenza,
che cosa pensi che diventino? Allora rompono i freni di ogni norma: poiché è permesso
fare tutto quello che piace, si abbandonano senza riguardo ad una vita depravata.
Facendosi così volutamente schiavi del peccato, trasformano le loro membra in strumenti
di iniquità; cancellano in se stessi, nella condotta e nei costumi, ogni segno di fede
cristiana. Di cristiano si vantano solo del nome. Spesso gli sventurati millantano colpe
peggiori di quelle realmente commesse: hanno paura di essere tanto più derisi quanto più
si conservano puri
320 2. Ecco i tristi insegnamenti a cui fu iniziato quest'uomo, che noi Oggi veneriamo
come santo, e che veramente è santo!
Sciupò miseramente il tempo, dall'infanzia fin quasi al suo venticinquesimo anno. Anzi,
precedendo in queste vanità tutti i suoi coetanei, si era fatto promotore di mali e di
stoltezze. Oggetto di meraviglia per tutti, cercava di eccellere sugli altri ovunque e con
smisurata ambizione: nei giuochi, nelle raffinatezze, nei bei motti, nei canti, nelle vesti
sfarzose e morbide. E veramente era molto ricco ma non avaro, anzi prodigo; non avido di
denaro, ma dissipatore; mercante avveduto, ma munificentissimo per vanagloria; di più,
era molto cortese, accondiscendente e affabile, sebbene a suo svantaggio. Appunto per
questi motivi, molti, votati all'iniquità e cattivi istigatori, si schieravano con lui. Così,
circondato da facinorosi, avanzava altero e generoso per le piazze di Babilonia, fino a
quando Dio, nella sua bontà, posando il suo sguardo su di lui, non allontanò da lui la sua
ira e non mise in bocca al misero il freno della sua lode, perché non perisse del tutto.
321 La mano del Signore si posò su di lui e la destra dell'Altissimo lo trasformò, perché,
per suo mezzo, i peccatori ritrovassero la speranza di rivivere alla grazia, e restasse per
tutti un esempio di conversione a Dio,
CAPITOLO II
DIO VI S ITA I L S UO S PIR I TO
CON UNA MALATTIA E UN SOGNO
322 3. Ecco dunque quest'uomo vivere nel peccato con passione giovanile! Trascinato
dalla sua stessa età, dalle tendenze della gioventù e incapace di controllarsi, poteva soccombere al veleno dell'antico serpente(Cfr Ap 20,2). Ma la vendetta, o meglio la
misericordia divina, all'improvviso richiama la sua coscienza traviata mediante angustia
spirituale e infermità corporale, conforme al detto profetico: Assedierò la tua via di
spine, la circonderò con un muro (Os.2,6 ).
323 Colpito da una lunga malattia, come è necessario per la caparbietà umana, che
non si corregge se non col castigo, egli cominciò effettivamente a cambiare il suo mondo
interiore. Riavutosi un po', per ricuperare le forze, si mise a passeggiare qua e là per la
casa, appoggiato ad un bastone..
Un giorno uscì, ammirando con più attenzione la campagna circostante; ma tutto ciò che
è gradevole a vedersi: la bellezza dei campi, l'amenità dei vigneti, non gli dava più alcun
diletto. Era attonito di questo repentino mutamento e riteneva stolti tutti quelli che
hanno il cuore attaccato a beni di tal sorta.
324 4 Da quel giorno cominciò a far nessun conto di sé e a disprezzare ciò che prima
aveva ammirato ed amato. Non tuttavia in modo perfetto e reale, perché non era ancora
libero dai lacci della vanità, né aveva scosso a fondo il giogo della perversa schiavitù.
Abbandonare le consuetudini è infatti molto arduo: una volta impiantatesi nell'animo, non
si lasciano sradicare facilmente; lo spirito, anche dopo lunga lontananza, ritorna ai
primitivi atteggiamenti, e il vizio finisce per diventare una seconda natura. Pertanto
Francesco cerca ancora di sottrarsi alla mano divina; quasi immemore della correzione
paterna, arridendogli la fortuna, accarezza pensieri terreni: ignaro del volere di Dio,
sogna ancora grandi imprese per la gloria vana del mondo.
325 Un cavaliere di Assisi stava allora organizzando grandi preparativi militari: pieno di
ambizioni, per accaparrarsi maggior ricchezza e onore, aveva deciso di condurre le sue
truppe fin nelle Puglie. Saputo questo, Francesco, leggero d'animo e molto audace, trattò
subito per arruolarsi con lui: gli era inferiore per nobiltà di natali, ma superiore per
grandezza d'animo; meno ricco, ma più generoso.
326 5. La sua mente era tutta consacrata al compimento di simile progetto, e
aspettava ansioso l'ora di partire. Ma la notte precedente, Colui che l'aveva colpito con la
verga della giustizia lo visitò in sogno con la dolcezza della grazia; e poiché era avido di
gloria, lo conquise con lo stesso miraggio di una gloria più alta. Gli sembrò di vedere la
casa tappezzata di armi: selle, scudi, lance e altri ordigni bellici, e se ne rallegrava
grandemente, domandandosi stupito che cosa fosse. Il suo sguardo infatti non era abituato alla visione di quegli strumenti in casa, ma piuttosto a cataste di panno da vendere.
E mentre era non poco sorpreso davanti all'avvenimento inaspettato, si sente dire: «Tutte
queste armi sono per te e i tuoi soldati ». La mattina dopo, destandosi, si alzò con il
cuore inondato di gioia e, interpretando la visione come ottimo auspicio, non dubitava un
istante del successo della sua spedizione nelle Puglie. Tuttavia non sapeva quello che
diceva (Lc 9,33), ignorando ancora il compito che il Signore intendeva affidargli. Non gli
mancava comunque la possibilità di intuire che aveva interpretato erroneamente la visione, perché, pur avendo essa un rapporto con le imprese guerresche, di fatto non lo
entusiasmava né allietava come al solito; a fatica anzi gli riusciva di mettere in atto quei
suoi piani e realizzare il viaggio tanto desiderato.
327 In verità, molto a proposito si parla di armi subito all'inizio della missione di
Francesco, ed è assai conveniente armare il soldato che si accinge a combattere contro il
forte armato (Lc 11,21), perché, come nuovo Davide, liberi Israele, nel nome del Dio
degli eserciti (1Sam 17,45), dall'antico oltraggio dei nemici.
.
CAPITOLO III
NASCONDE SOTTO IL VELO DI ALLEGORIE
IL SEGRETO DELLA SUA TRASFORMAZIONE
328
6. Già cambiato spiritualmente, ma senza lasciar nulla trapelare all'esterno,
Francesco rinuncia a recarsi nelle Puglie e si impegna a conformare la sua volontà a quella
divina.
. Si apparta un poco dal tumulto del mondo e dalla mercatura, e cerca di custodire Gesù
Cristo nell'intimità del cuore. Come un mercante avveduto sottrae allo sguardo degli
scettici la perla trovata (Mt 13,45-46), e segretamente si adopra a comprarla con la
vendita di tutto il resto.
329 Vi era ad Assisi un giovane, che egli amava più degli altri. Poiché era suo coetaneo
e l'amicizia pienamente condivisa lo invitava a confidargli i suoi segreti, Francesco lo
portava con sé in posti adatti al raccoglimento dello spirito, rivelandogli di aver scoperto
un tesoro grande e prezioso. L'amico, esultante e incuriosito, accettava sempre volentieri
l'invito di accompagnarlo.
Alla periferia della città c'era una grotta, in cui essi andavano sovente, parlando del
«tesoro». L'uomo di Dio, già santo per desiderio di esserlo, vi entrava, lasciando fuori il
compagno ad attendere, e, pieno di nuovo insolito fervore, pregava il Padre suo in
segreto (Mt 6,6). Desiderava che nessuno sapesse quanto accadeva in lui là dentro e,
celando saggiamente a fin di bene il meglio, solo a Dio affidava i suoi santi propositi.
Supplicava devotamente Dio eterno e vero di manifestargli la sua via e di insegnargli a
realizzare il suo volere. Si svolgeva in lui una lotta tremenda, né poteva darsi pace finché
non avesse compiuto ciò che aveva deliberato. Mille pensieri l'assalivano senza tregua e la
loro insistenza lo gettava nel turbamento e nella sofferenza.
Bruciava interiormente di fuoco divino, e non riusciva a dissimulare il fervore della
sua anima. Deplorava i suoi gravi peccati, le offese fatte agli occhi della maestà divina.
Le vanità del passato o del presente non avevano per lui più nessuna attrattiva, ma non
si sentiva sicuro di saper resistere a quelle future. Si comprende perciò come, facendo
ritorno al suo compagno, fosse tanto spossato da apparire irriconoscibile.
330 7. Un giorno finalmente, dopo aver implorato con tutto il cuore la misericordia
divina, gli fu rivelato dal Signore come doveva comportarsi. E fu ripieno di tanto gaudio
da non poterlo contenere e da lasciare, pur non volendo, trasparire qualcosa agli uomini.
331
Il grande amore che gli invadeva l'anima non gli permetteva ormai di tacere;
tuttavia parlava in linguaggio enigmatico: cercava di esprimersi con gli altri nello stesso
modo figurato con cui l'abbiamo visto discorrere con l'amico preferito di un tesoro
nascosto. Diceva di rinunciare a partire per le Puglie, ma allo scopo di compiere
magnanime imprese nella sua patria. Gli amici pensavano che avesse deciso di maritarsi e
gli domandavano: «Vuoi forse prendere moglie, Francesco? ». Egli rispondeva: «Prenderò
la sposa più nobile e bella che abbiate mai vista, superiore a tutte le altre in bellezza e
sapienza».
E veramente sposa è la vera religione che egli abbracciò (Gc 1,27); e il Regno dei
Cieli è il tesoro nascosto(Mt 13,44) che egli cercò così ardentemente. Bisognava davvero
che si compisse pienamente la vocazione evangelica in colui che doveva essere ministro
fedele e autentico del Vangelo(Ef 3,7)!
CAPITOLO IV
VENDUTA OGNI COSA,
Sl LIBERA ANCHE DEL DENARO RICAVATO
332
8. Così il beato servo dell'Altissimo, sospinto e preparato dallo Spirito Santo,
essendo scoccata l'ora stabilita si abbandona all'impulso della sua anima: calpesta i beni
di questo mondo per la conquista di beni migliori. D'altronde non gli era più permesso
differire: una epidemia mortifera si era diffusa ovunque, paralizzando a molti le membra
in modo tale che avrebbe tolto loro anche la vita, se il Medico avesse tardato anche solo
per poco.
333 Francesco pertanto balza in piedi, fa il segno della croce, appronta un cavallo,
monta in sella e, portando con sé panni di scarlatto, parte veloce per Foligno. Ivi,
secondo la sua abitudine, vende tutta la merce, e, con un colpo di fortuna, perfino il
cavallo!
334 Sul cammino del ritorno, libero da ogni peso, pensa all'opera cui destinare quel
denaro. Convertito a Dio in maniera rapida e meravigliosa, sente tale somma troppo
ingombrante, la portasse pure per un'ora sola. Così, tenendone conto quanto l'arena, si
affretta a disfarsene. Avvicinandosi ad Assisi, si imbatte in una chiesa molto antica,
fabbricata sul bordo della strada e dedicata a San Damiano, allora in stato di rovina per
vecchiaia.
335
9. Il nuovo cavaliere di Cristo si avvicina alla chiesa, e vedendola in quella
miseranda condizione, si sente stringere il cuore. Vi entra con timore riverenziale e,
incontrandovi un povero sacerdote, con grande fede gli bacia le mani consacrate, gli offre
il denaro che reca con sé e gli manifesta i suoi proponimenti. Stupito per l'improvvisa
conversione, il sacerdote quasi non crede a quanto odono le sue orecchie e ricusa di
prendere quei soldi, temendo una burla. Infatti lo avevano visto, per così dire, il giorno
innanzi a far baldoria tra parenti e amici, superando tutti nella stoltezza. Ma Francesco
insiste e lo supplica ripetutamente di credere alle sue parole, e lo prega di accoglierlo
con lui a servire il Signore. E finalmente il sacerdote gli permette di rimanere con lui,
pur persistendo nel rifiuto del denaro, per paura dei parenti. Allora Francesco, vero
dispregiatore della ricchezza, lo getta sopra una finestrella, incurante di esso, quanto
della polvere.
Bramava, infatti, possedere la sapienza che è migliore dell'oro e ottenere la
prudenza che è più preziosa dell'argento (Pr 16,16).
CAPITOLO V
IL PADRE LO PERSEGUITA
E LO TIENE PRIGIONIERO
336 10. Mentre il servo dell'Altissimo. viveva in quel luogo, suo padre andava cercando
ovunque, come un diligente esploratore, notizie del figlio. Appena venne a conoscenza
che Francesco dimorava in quel luogo e viveva in quella maniera, profondamente
addolorato e colpito dal fatto inatteso, radunò vicini e amici e corse senza indugio dal
servo di Dio. Ma questi, che era ancora novizio nelle battaglie di Cristo, presentendo la
loro venuta e sentendo le grida dei persecutori, si sottrasse alla loro ira, nascondendosi in
un rifugio sotterraneo che si era preparato proprio in previsione di un simile pericolo.
In quella fossa, che era sotto la casa. ed era nota forse ad uno solo, rimase nascosto per
un mese intero non osando uscire che per stretta necessità. Mangiava nel buio del suo
antro il cibo che di tanto in tanto gli veniva offerto, e ogni aiuto gli era dato
nascostamente. Con calde lacrime implorava Dio che lo liberasse dalle mani di chi
perseguitava la sua anima (Sal 108,31; 141,7-8) e gli concedesse la grazia di compiere i
suoi voti. Nel digiuno e nel pianto invocava la clemenza del Salvatore e, diffidando di se
stesso, poneva tutta la sua fiducia in Dio.
Benché chiuso in quel rifugio tenebroso, si sentiva inondato da indicibile gioia, mai
provata fino allora. Animato da questa fiamma interiore, decise di uscire dal suo nascondiglio ed esporsi indifeso alle ingiurie dei persecutori.
337
11. Si leva prontamente e di scatto, pieno di zelo e di letizia, si munisce
dell'armatura necessaria per le battaglie del Signore: lo scudo della fede e un grande
coraggio, e s'incammina verso la città, accusandosi, nel suo divino entusiasmo, di essersi
attardato troppo per viltà.
338 Tutti quelli che lo conoscevano, vedendolo riapparire e mettendo a confronto il suo
stato attuale col passato, cominciarono a insultarlo, a chiamarlo mentecatto, a lanciargli
contro pietre e fango. Quell'aspetto, macerato dalla penitenza, e quell'atteggiamento
tanto diverso dal solito, li inducevano a pensare che tutti i suoi atti fossero frutto di fame
patita e di follia. Ma poiché la pazienza val più dell'arroganza (Qo 7,9), Francesco non si
lasciava disanimare né sconfiggere da insulto alcuno e ringraziava Dio per quelle prove.
Invano l'iniquo perseguita l'uomo retto, perché quanto più questi è combattuto tanto
maggiore è il trionfo della sua fortezza. L'umiliazione, disse qualcuno, rende più intrepido
il cuore generoso.
339 12. Quel vociare rumoroso e canzonatorio attorno a lui si diffondeva sempre di più
per le vie e le piazze della città e il clamore degli scherzi rimbalzava di qua e di là
toccando le orecchie di molti, finché giunse anche a quelle di suo padre. Questi, udito
gridare il nome del figlio e saputo che proprio contro di lui era diretto il dileggio dei
cittadini, subito andò da Francesco, non per liberarlo, ma per rovinarlo. Come il lupo
assale la pecora, senza più alcun ritegno, con sguardo truce e minaccioso, afferrandolo
con le mani, lo trascinò a casa. E, inaccessibile ad ogni senso di pietà, lo tenne
prigioniero per più giorni in un ambiente oscuro, cercando di piegarlo alla sua volontà,
prima con parole, poi con percosse e catene.
Ma il giovane dalle stesse sofferenze traeva forza e risolutezza per realizzare il suo santo
ideale. Né la debilitante reclusione né i martellanti rimbrotti gli fecero mai perdere la
pazienza.
340 Il cristiano infatti ha il mandato di rallegrarsi nelle tribolazioni: neppure sotto i
flagelli e le catene può abbandonare la sua linea di condotta e di spirito e lasciarsi sviare
dal gregge di Cristo. Non lo intimorisce il diluviare di molte acque (Sal 31,6), lui, che in
ogni angustia ha per rifugio il Figlio di Dio, il quale perché non riteniamo troppo pesante il
giogo delle nostre sofferenze, ci mostra quanto sono assai più grandi quelle che egli ha
sopportato per noi.
CAPITOLO VI
LA MADRE LO LIBERA,
ED EGLI SI SPOGLIA DAVANTI AL VESCOVO DI ASSISI
341 13. Affari urgenti costrinsero il padre ad assentarsi per un po' di tempo da casa, e
il servo di Dio rimase legato nel suo sgabuzzino. Allora la madre, essendo rimasta sola con
lui, disapprovando il metodo del marito, parlò con tenerezza al figlio, ma s'accorse che
niente poteva dissuaderlo dalla sua scelta. E l'amore materno fu più forte di lei stessa: ne
sciolse i legami, lasciandolo in libertà. Francesco, ringraziando Iddio onnipotente, senza
perdere un istante, se ne tornò al luogo dove aveva dimorato prima. Reso più sicuro
dall'esperienza delle lotte e tentazioni affrontate, appariva anche più sereno; le avversità
gli avevano maggiormente temprato lo spirito, e se ne andava ovunque libero e con
maggior fermezza.
342 Frattanto il padre rincasa e non trovandolo, accumulando peccati su peccati,
tempesta di rimproveri la moglie. Poi furente e imprecante, corre da Francesco a San
Damiano, nel tentativo di almeno allontanarlo dalla regione, se non gli riesce di piegarlo a
ritornare alla sua vita precedente.
Questa volta però, poiché chi teme il Signore è sicuro di trovare in Lui ogni forza (Pr
14,26), il figlio della grazia, appena sente che il padre terreno sta per sopraggiungere, gli
va incontro spontaneamente, gioioso, dichiarando di non aver più paura delle catene e
delle percosse, e di essere pronto a sopportare lietamente ogni male nel nome di Cristo.
343 14. Allora il padre, visto vano ogni sforzo per distoglierlo dal nuovo cammino,
rivolge tutto il suo interesse a farsi restituire il denaro. L'uomo di Dio aveva deciso di
usarlo per i poveri e per il restauro della cappella; ma, staccato com'era da esso, non si
lasciò sedurre dal miraggio apparente di poterne trarre del bene e non gli dispiacque
affatto privarsene. Ritrovò la borsa del denaro che egli, gran disprezzatore dei beni
terreni e assetato di quelli celesti, aveva scagliato in mezzo alla polvere della finestra. Il
ricupero della somma placò in parte come un refrigerio l'ira e l'avidità del padre.
Tuttavia impose al figlio di seguirlo davanti al vescovo della città, perché facesse
nelle mani del prelato la rinuncia e la restituzione completa di quanto possedeva.
Era ben lontano dal far resistenza, e aderì giubilante e sollecito a questa richiesta.
344 15. Comparso davanti al vescovo, Francesco non esita . né indugia per nessun
motivo: senza dire o aspettar parole, si toglie tutte le vesti e le getta tra le braccia di suo
padre, restando nudo di fronte a tutti. Il vescovo, colpito da tanto coraggio e
ammirandone il fervore e la risolutezza d'animo, immediatamente si alza, lo abbraccia e
lo copre col suo stesso manto. Comprese chiaramente di essere testimone di un atto
ispirato da Dio al suo servo, carico di un significato misterioso. Perciò da quel momento
egli si costituì suo aiuto, protettore e conforto, avvolgendolo con sentimento di grande
amore.
345 Il nostro atleta ormai si lancia nudo nella lotta contro il nemico nudo; deposto
tutto ciò che appartiene al mondo eccolo occuparsi solo della giustizia divina! Si addestra
così al disprezzo della propria vita, abbandonando ogni cura di se stesso, affinché sia
compagna della sua povertà la pace nel cammino infestato da insidie e solo il velo della
carne lo separi ormai dalla visione di Dio.
CAPITOLO VII
ASSALITO DAI BRIGANTI, É GETTATO NELLA NEVE,
POI SI APPLICA A SERVIRE I LEBBROSI
346 16. Vestito di cenci, colui che un tempo si adornava di abiti purpurei, se ne va per
una selva, cantando le lodi di Dio in francese Ad un tratto, alcuni manigoldi si precipitano
su di lui, domandandogli brutalmente chi sia. L'uomo di Dio risponde impavido e sicuro:
«Sono l'araldo del gran Re; vi interessa questo?». Quelli lo percuotono e lo gettano in una
fossa piena di neve, dicendo: «Stattene lì, zotico araldo di Dio!». Ma egli, guardandosi
attorno e scossasi di dosso la neve, appena i briganti sono spariti balza fuori dalla fossa e,
tutto giulivo, riprende a cantare a gran voce, riempiendo il bosco con le lodi al Creatore
di tutte le cose.
347 Finalmente arriva ad un monastero, dove rimane parecchi giorni a far da sguattero
di cucina. Per vestirsi ha un semplice camiciotto e chiede per cibarsi almeno un po' di
brodo; ma non trovando pietà e neppure qualche vecchio abito, riparte, non per sdegno,
ma per necessità, e si porta nella città di Gubbio. Qui da un vecchio amico riceve in dono
una povera tonaca. Qualche tempo dopo, divulgandosi ovunque la fama di Francesco, il
priore di quel monastero, pentitosi del trattamento usatogli, venne a chiedergli perdono,
in nome del Signore, per sé e i suoi confratelli.
348 I7. Poi, come vero amante della umiltà perfetta, il Santo si reca tra i lebbrosi e vive
con essi, per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione
e ne cura le piaghe virulente, come egli stesso dice nel suo Testamento: «Quando era
ancora nei peccati, mi pareva troppo amaro vedere i lebbrosi, e il Signore mi condusse tra
loro e con essi usai misericordia». La vista dei lebbrosi infatti, come egli attesta, gli era
prima così insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza i loro
ricoveri, si turava il naso con le mani. Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva
già cominciato, per grazia e virtù dell'Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre
viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se
stesso, gli si avvicinò e lo baciò Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più,
finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria.
349 Quand'era ancora nel mondo e viveva vita mondana, egli si occupava dei poveri, li
soccorreva generosamente nella loro indigenza e aveva affetto di compassione per tutti
gli afflitti. Una volta, che aveva respinto malamente, contro la sua abitudine, poiché era
molto cortese, un povero che gli aveva chiesto l'elemosina, pentitosi subito, ritenne
vergognosa villania non esaudire le preghiere fatte in nome di un Re così grande. Prese
allora la risoluzione di non negar mai ad alcuno, per quanto era in suo potere, qualunque
cosa gli fosse domandata in nome di Dio. E fu fedele a questo proposito, fino a donare
tutto se stesso, mettendo in pratica anche prima di predicarlo il consiglio evangelico: Dà
a chi ti domanda qualcosa e non voltar le spalle a chi ti chiede un prestito (Mt 5,42).
CAPITOLO VIII
RESTAURA LA CHIESA DI SAN DAMIANO.
FORMA DI VITA DELLE RELIGIOSE
CHE Vl DIMORANO
350 18. La prima opera cui Francesco pose mano, appena libero dal giogo del padre
terreno, fu di riedificare un tempio al Signore. Non pensa di costruirne uno nuovo, ma
restaura una chiesa antica e diroccata; non scalza le fondamenta, ma edifica su di esse,
lasciandone così, senza saperlo il primato a Cristo. Nessuno infatti potrebbe creare un
altro fondamento all'infuori di quello che già è stato posto: Gesù Cristo (1Cor 3,11).
Tornato perciò nel luogo in cui, come si è detto, era stata costruita anticamente la chiesa
di San Damiano, con la grazia dell'Altissimo in poco tempo la riparò con ogni diligenza.
351 É questo il luogo beato e santo nel quale ebbe felice origine, per opera di
Francesco stesso, l'Ordine glorioso delle «Povere Dame» e sante vergini, a quasi sei anni
dalla sua conversione. É là che donna Chiara, pure nativa di Assisi, pietra preziosissima e
fortissima, divenne la pietra basilare per tutte le altre pietre di questa famiglia religiosa.
L'Ordine minoritico era già felicemente sorto, quand'ella, conquistata a Dio dai
moniti incoraggianti di Francesco, divenne causa ed esempio di progresso spirituale per
innumerevoli anime.
Nobile di nascita, più nobile per
grazia; vergine nel corpo, purissima di spirito; giovane di età, matura per saggezza;
costante nel proposito, ardente ed entusiasta nell'amore a Dio; piena di sapienza e di
umiltà; Chiara di nome, più chiara per vita, chiarissima per virtù.
352 19. Su di lei sorse il nobile edificio di preziosissime perle, la cui lode non può
essere fatta da uomini, ma solo da Dio (Rm 2,29), perché non basterebbe il povero
pensiero e linguaggio umano a concepirla ed esprimerla. Infatti domina tra loro, sopra
ogni altra cosa, la virtù di una continua e mutua carità, che unisce così profondamente le
loro volontà che, perfino in una fraternità di quaranta o cinquanta persone, come sono in
qualche luogo l'identità del volere e del non volere fa di tante un'anima sola. In secondo
luogo, brilla in ognuna la perla dell'umiltà, la quale conservando i doni e i benefici
celesti, fa sì che esse meritino il dono di tutte le altre virtù. In terzo luogo, il giglio della
verginità e della castità effonde su tutte loro il suo meraviglioso profumo, tanto che,
dimentiche delle preoccupazioni terrene, desiderano soltanto meditare le realtà celesti.
Questa fragranza fa sorgere nei loro cuori tanto amore per il loro Sposo eterno, che
l'integrità del loro amore esclude ogni attaccamento alla vita di un tempo. In quarto
luogo, esse sono così fedeli al « titolo » della santissima povertà che a stento
accondiscendono alle necessità più urgenti del vitto e delle vesti.
20. In un quinto luogo, hanno ottenuto la grazia particolare della mortificazione e del
silenzio a tal punto, che non fanno praticamente alcuna fatica a dominare i sensi e a
frenare la lingua.
Alcune di
loro si sono così disabituate a parlare che, quando ne sono costrette per necessità,
dimenticano quasi il modo corretto di pronunciare le parole. In sesto luogo, tutte queste
virtù sono in loro adorne di una pazienza così meravigliosa che nessuna tribolazione o
molestia può spezzarne o mutarne l'anima. In settimo luogo infine, hanno meritato di
elevarsi alle altezze della contemplazione, ed è in questa che esse imparano ciò che
devono fare ed evitare, e gustano la felicità di stare nell'intimità con Dio, perseverando il
giorno e la notte nelle lodi e preghiere. L'eterno Iddio si degni coronare con la sua santa
grazia un inizio così santo con una mèta ancora più santa.
353 E bastino ora queste poche parole per le vergini consacrate a Dio e devotissime
ancelle di Cristo. La loro mirabile vita e la loro Regola encomiabile ricevuta da Papa
Gregorio, allora vescovo di Ostia, richiedono uno studio particolare e un libro distinto.
CAPITOLO IX
FRANCESCO
RIPARA LA CHIESA DI SANTA MARIA DELLA PORZIUNCOLA;
POI, SENTENDO LEGGERE UN BRANO EVANGELICO,
LASCIA OGNI COSA E INVENTA L' ABITO DEI SUOI FRATI
354 21. Smesso l'abito secolare e restaurata la predetta chiesa, il servo di Dio, si portò
in un altro luogo vicino alla città di Assisi e si mise a riparare una seconda chiesa in
rovina, quasi distrutta, non interrompendo la buona opera iniziata, prima d'averla
condotta completamente a termine.
355
Poi si trasferì nella località chiamata la Porziuncola, dove c'era un'antica chiesa in
onore della Beata Vergine Madre di Dio, ormai abbandonata e negletta. Vedendola in quel
misero stato, mosso a compassione, anche perché aveva grande devozione per la Madre di
ogni bontà, il Santo vi stabilì la sua dimora e terminò di ripararla nel terzo anno della sua
conversione.
L'abito che egli allora portava era simile a quello degli eremiti, con una cintura di cuoio,
un bastone in mano e sandali ai piedi.
356 22. Ma un giorno in cui in questa chiesa si leggeva il brano del Vangelo relativo al
mandato affidato agli Apostoli di predicare, il Santo, che ne aveva intuito solo il senso
generale, dopo la Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo
commentò punto per punto, e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo non devono
possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per
via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la
penitenza (Mt 10,7-10; Mc 6, 8-9; Lc 9,1-6), subito, esultante di spirito Santo, esclamò: «
Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore! ».
S'affretta allora il padre santo, tutto pieno di gioia, a realizzare il salutare ammonimento;
non sopporta indugio alcuno a mettere in pratica fedelmente quanto ha sentito: si scioglie
dai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, si accontenta di una sola tunica, sostituisce
la sua cintura con una corda. Da quell'istante confeziona. per sé una veste che riproduce
l'immagine della croce, per tener lontane tutte le seduzioni del demonio; la fa
ruvidissima, per crocifiggere la carne e tutti i suoi vizi (Gal 5,24) e peccati, e talmente
povera e grossolana da rendere impossibile al mondo invidiargliela!
357 Con altrettanta cura e devozione si impegnava a compiere gli altri insegnamenti
uditi.
Egli infatti non era mai stato un ascoltatore sordo del Vangelo, ma, affidando ad una
encomiabile memoria tutto quello che ascoltava, cercava con ogni diligenza di eseguirlo
alla lettera.
CAPITOLO X
FRANCESCO PREDICA IL VANGELO
E ANNUNCIA LA PACE
CONVERSIONE DEI PRIMI SEI FRATI
358 23. Da allora, con grande fervore ed esultanza, egli cominciò a predicare la
penitenza, edificando tutti con la semplicità della sua parola e la magnificenza del suo
cuore. La sua parola era come fuoco bruciante, penetrava nell'intimo dei cuori,
riempiendo tutti di ammirazione. Sembrava totalmente diverso da come era prima: tutto
intento al cielo, disdegnava guardare la terra. E, cosa curiosa, iniziò la sua predicazione
proprio dove, fanciullo, aveva imparato a leggere, e dove poi ebbe la prima gloriosa
sepoltura, così che un felice inizio fu coronato da una fine ancor più lieta. Insegnò dove
aveva imparato e terminò felicemente dove aveva incominciato.
359 In ogni suo sermone, prima di comunicare la parola di Dio al popolo, augurava la
pace, dicendo: « Il Signore vi dia la pace!» (2Ts 3,16). Questa pace egli annunciava
sempre sinceramente a uomini e donne, a tutti quanti incontrava o venivano a lui. In
questo modo otteneva spesso, con la grazia del Signore, di indurre i nemici della pace e
della propria salvezza, a diventare essi stessi figli della pace e desiderosi della salvezza
eterna.
360 24. Il primo tra quelli che seguirono l'uomo di Dio fu un abitante d'Assisi, devoto e
semplice di spirito. Dopo di lui frate Bernardo, raccogliendo questo messaggio di pace,
corse celermente al seguito del Santo di Dio per guadagnarsi il regno dei Cieli. Egli aveva
già più volte ospitato Francesco nella sua casa; ne aveva osservato e sperimentato la vita
e i costumi e, attratto dalla sua santità, cominciò a riflettere seriamente, finché si decise
ad abbracciare la via della salvezza. Lo vedeva passare le notti in preghiera, dormire
pochissimo e lodare il Signore e la gloriosa Vergine Madre sua, e, pieno di ammirazione
pensava: «Veramente quest'uomo è un uomo di Dio!» Si affretta perciò, a vendere tutti i
suoi beni, distribuendo il ricavato ai poveri, non ai parenti, e, trattenendo per sé solo il
titolo di una perfezione maggiore, mette in pratica il consiglio evangelico: Se vuoi essere
perfetto, va', vendi quello che hai, dàllo ai poveri, e avrai un tesoro in Cielo poi vieni e
seguimi!(Mt 19,21) Fatto questo, vestì l'abito e condivideva la vita di san Francesco, e
stette sempre con lui, fino a quando, cresciuti di numero, con l'obbedienza del pio padre,
fu inviato in altre regioni.
361 La sua conversione a Dio servì di modello per tutti quelli che vennero dopo di lui:
dovevano vendere i loro beni e distribuire il ricavato ai poveri. La venuta e la conversione
di un uomo così pio riempirono Francesco di una gioia straordinaria: gli parve che il
Signore avesse cura di lui, donandogli il compagno di cui ognuno ha bisogno e un amico
fedele.
362 25. Presto venne alla sua sequela un altro cittadino di Assisi, degno di ogni elogio
per la sua vita, che chiuse poco dopo ancor più santamente di come l'aveva incominciata.
Ed ecco sopraggiungere frate Egidio, uomo semplice, retto e timorato di Dio (Gb
1,8; 2,3), che, in tutta la sua lunga vita, praticò la santità, la giustizia, la pietà,
lasciandoci esempi di obbedienza perfetta, lavoro manuale, amore al raccoglimento e alla
contemplazione religiosa.
Dopo di lui arrivò un altro, e finalmente il loro numero divenne sette con frate
Filippo, al quale il Signore aveva toccato e purificato le labbra con il carbone ardente,
così che parlava di Dio con spirito mirabile. Interpretava la Scrittura, spiegando il
significato più recondito, senza aver studiato nelle scuole, simile a coloro che i principi
dei Giudei disprezzavano come ignoranti e illetterati.
CAPITOLO XI
SPIRITO DI PROFEZIA
E PREDIZIONI Dl SAN FRANCESCO
363 26. Il beato padre Francesco, ricolmo ogni giorno più della grazia dello Spirito
Santo, si adoperava a formare con grande diligenza e amore i suoi nuovi figli, insegnando
loro, con princìpi nuovi, a camminare rettamente e con passo fermo sulla via della santa
povertà e della beata semplicità.
Un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a
lui elargiti desiderava conoscere dal Signore che cosa sarebbe stato della sua vita e di
quella dei suoi frati. A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un luogo adatto per
la preghiera. Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la
terra, ripensando con amarezza gli anni passati malamente e ripetendo: «O Dio, sii
propizio a me peccatore!»(Lc 18,13). A poco a poco si sentì inondare nell'intimo del cuore
di ineffabile letizia e immensa dolcezza. Cominciò come a uscire da sé: l'angoscia e le
tenebre, che gli si erano addensate nell'animo per timore del peccato, scomparvero, ed
ebbe la certezza di essere perdonato di tutte le sue colpe e di vivere nello stato di grazia.
Poi, come rapito fuori di sé e trasportato in una grande luce, che dilatava lo spazio della
sua mente poté contemplare liberamente il futuro. Quando quella luce e quella dolcezza
dileguarono, egli aveva come uno spirito nuovo e pareva un altro.
364 Allora fece ritorno ai suoi frati e disse loro pieno di gioia: «Carissimi, confortatevi e
rallegratevi nel Signore; non vi rattristi il fatto di essere pochi; non vi spaventi la mia e
vostra semplicità, perché, come mi ha rivelato il Signore, Egli ci renderà una
innumerevole moltitudine e ci propagherà fino ai confini del mondo. Sono costretto a raccontarvi a vostro vantaggio quanto ho veduto; sarebbe più opportuno conservare il
segreto, se la carità non mi costringesse a parlarne. Ho visto una gran quantità di uomini
venire a noi, desiderosi di vivere con l'abito della santa Religione e secondo la Regola del
nostro beato Ordine. Risuona ancora nelle mie orecchie il rumore del loro andare e venire
conforme al comando della santa obbedienza! Ho visto le strade affollate da loro,
provenienti da quasi tutte le nazioni: accorrono francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi;
sopraggiunge la folla di altre varie lingue». Ascoltando queste parole, una santa gioia si
impadronì dei frati, per la grazia che Iddio concedeva al suo Santo, perché assetati come
erano del bene del prossimo, desideravano che ogni giorno venissero nuove anime ad
accrescere il loro numero per trovarvi insieme salvezza.
365 28. E Francesco riprese il suo discorso: «Per ringraziare con fedeltà e devozione il
Signore Dio nostro per tutti i suoi doni, o fratelli, e perché conosciate come dobbiamo
vivere ora e nel futuro, ascoltate la verità sugli avvenimenti futuri. All'inizio della vita del
nostro Ordine troveremo frutti dolci e deliziosi, poi ne avremo altri meno gustosi; infine
ne raccoglieremo di quelli tanto amari da non poterli mangiare, perché a motivo della
loro asprezza saranno immangiabili per tutti, quantunque siano estremamente belli e
profumati. Effettivamente, come vi dissi, il Signore ci farà crescere fino a diventate un
popolo assai numeroso; poi avverrà come di un pescatore che, gettando le reti nel mare o
in qualche lago, prende grande quantità di pesci (Lc 5,6), ma dopo averli messi tutti nella
sua navicella essendo troppi, sceglie i migliori e i più grossi da riporre nei vasi e portar
via, e abbandona gli altri».
Di quanta verità e chiarezza rifulgano queste predizioni del Santo è manifesto a
chiunque le consideri con spirito obiettivo e sincero. Ecco come lo spirito di profezia
riposava su san Francesco!
CAPITOLO XII
FRANCESCO
MANDA I FRATI A DUE A DUE NEL MONDO;
POCO TEMPO DOPO SI RITROVANO INSIEME
366 29. Nello stesso tempo entrò nell'Ordine una nuova e ottima recluta, così il loro
numero fu portato a otto. Allora il beato Francesco li radunò tutti insieme, e dopo aver
parlato loro a lungo del Regno di Dio, del disprezzo del mondo, del rinnegamento della
propria volontà, del dominio che si deve esercitare sul proprio corpo, li divise in quattro
gruppi, di due ciascuno e disse loro: « Andate, carissimi, a due a due per le varie parti del
mondo e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei peccati; e siate
pazienti nelle persecuzioni, sicuri che il Signore adempirà il suo disegno e manterrà le sue
promesse. Rispondete con umiltà a chi vi interroga, benedite chi vi perseguita, ringraziate
chi vi ingiuria e vi calunnia, perché in cambio ci viene preparato il regno eterno».
367 Ed essi, ricevendo con gaudio e letizia grande il precetto della santa obbedienza, si
prostravano davanti al beato padre, che abbracciandoli con tenerezza e devozione diceva
ad ognuno: «Riponi la tua fiducia nel Signore ed Egli avrà cura di te»(Sal 54,28) . Era la
frase che ripeteva ogni volta che mandava qualche frate ad eseguire l'obbedienza.
368 30. Allora frate Bernardo con frate Egidio partì per Compostella, al santuario di San
Giacomo, in Galizia; san Francesco con un altro compagno si scelse la valle di Rieti; gli
altri quattro, a due a due, si incamminarono verso le altre due direzioni.
369 Ma passato breve tempo, san Francesco, desiderando di rivederli tutti, pregò il
Signore, il quale raccoglie i figli dispersi d'Israele (Is 11,12), che si degnasse nella sua
misericordia di riunirli presto. E tosto, secondo il suo desiderio e senza che alcuno li
chiamasse, si ritrovarono insieme e resero grazie a Dio. Prendendo il cibo insieme
manifestano calorosamente la loro gioia nel rivedere il pio pastore e la loro meraviglia per
aver avuto il medesimo pensiero.
Raccontano poi i benefici ricevuti dal misericordioso Signore e chiedono e
ottengono umilmente la correzione e la penitenza dal beato padre per le eventuali colpe
di negligenza o di ingratitudine.
370 E così solevano fare sempre quando si recavano da lui; non gli nascondevano
neppure il minimo pensiero e i moti involontari dell'anima, e dopo aver compiuto tutto
ciò che era stato loro comandato, si ritenevano ancora servi inutili(Lc 17,10). E
veramente la «purezza di cuore» riempiva a tal punto quel primo gruppo di discepoli del
beato Francesco, che, pur sapendo operare cose utili, sante e rette, si mostrava del tutto
incapace di trarne vana compiacenza. Allora il beato Francesco, stringendo a sé i figli con
grande amore, cominciò a manifestare a loro i suoi propositi e ciò che il
Signore gli aveva rivelato.
371 31. Durante questo tempo si aggregarono a loro e si fecero discepoli di Francesco
altri quattro uomini degni e virtuosi. Perciò l'interesse per il movimento e la fama
dell'uomo di Dio cresceva sempre più tra il popolo. E veramente in quel tempo Francesco e
i suoi compagni provavano una immensa allegrezza e una gioia inesplicabile quando
qualcuno dei fedeli, chiunque e di qualunque condizione fosse, ricco, povero, nobile,
popolano, spregevole, onorato, prudente, semplice, chierico, indotto, laico, guidato dallo
spirito di Dio veniva a prender l'abito della loro santa religione.
Riscuotevano tutti la sincera ammirazione degli uomini del mondo, e l'esempio della
loro umiltà era per essi una provocazione a vivere meglio e a far penitenza dei propri
peccati.
Né l'umiltà della condizione, né la povertà che il mondo ritiene una infermità,
potevano impedire che fossero incorporati nella costruzione di Dio quelli che egli voleva
inserirvi, poiché Dio trova la sua compiacenza nello stare con i semplici e con quelli che il
mondo disprezza.
CAPITOLO XIII
QUANDO EBBE UNDICI FRATI,
SCRISSE LA PRIMA REGOLA,
CHE FU APPROVATA DA INNOCENZO III
372 32. Vedendo che di giorno in giorno aumentava il numero dei suoi seguaci,
Francesco scrisse per sé e per i frati presenti e futuri, con semplicità e brevità, una
norma di vita o Regola, composta soprattutto di espressioni del Vangelo, alla cui
osservanza perfetta continuamente aspirava. Ma vi aggiunse poche altre direttive
indispensabili e urgenti per una santa vita in comune.
373 Poi, con tutti i suddetti frati, si recò a Roma, desiderando grandemente che il
signor papa Innocenzo III, confermasse quanto aveva scritto.
In quel tempo si trovava a Roma il venerando vescovo d'Assisi, Guido, che aveva
particolare affetto e stima per Francesco e per tutti i suoi fratelli. Quando li vide, non
sapendo il motivo della loro venuta, si turbò molto, perché temeva che volessero lasciare
la loro patria, nella quale il Signore per mezzo di quei suoi servi operava già grandissimo
bene. Era infatti profondamente lieto di avere nella propria diocesi tanti uomini di quel
genere, perché dalla loro vita santa si attendeva grandi frutti. Come ebbe però udito il
motivo del viaggio e il loro proposito, si rallegrò assai nel Signore e si offrì di consigliarli e
aiutarli.
374 San Francesco si presentò anche al vescovo di Sabina, Giovanni di San Paolo, che
tra i principi e prelati della Curia romana, aveva fama di disprezzare le cose terrene e
amare le celesti. Egli l'accolse benevolmente e lodò il suo disegno.
33. Nondimeno, da uomo prudente, lo interrogava su molti punti e cercava di convincerlo
a scegliere la vita monastica o l'eremitica. Ma san Francesco ricusava con quanta più
umiltà poteva quegli argomenti, non perché li disprezzasse, ma perché si sentiva
trasportato da più alto desiderio seguendo con amore un altro ideale. Il vescovo ammirava
il suo zelo, tuttavia temendo che non potesse perseverare in un ideale così alto, gli
additava vie più piane. Infine, vinto dalla sua costanza, accondiscese alle sue preghiere e
si impegnò a promuovere la causa di lui davanti al Papa.
375 Era allora preposto alla Chiesa di Dio, il signor papa Innocenzo III, uomo che si era
coperto di gloria, dotto, ricco di eloquenza, ardente cultore della giustizia nel difendere
i diritti e gli interessi della fede cristiana. Questi. conosciuto il desiderio di quegli uomini
di Dio, dopo matura riflessione, diede il suo assenso alla loro richiesta, e lo completò
dandogli effetto; li incoraggiò con molti consigli e li benedisse, dicendo: «Andate con Dio,
fratelli, e come Egli si degnerà ispirarvi, predicate a tutti la penitenza. Quando il Signore
onnipotente vi farà crescere in numero e grazia, ritornerete lieti a dirmelo, ed io vi
concederò con più sicurezza altri favori e uffici più importanti ».
376 Veramente il Signore era con Francesco ovunque andasse, allietandolo con
rivelazioni e animandolo con i suoi benefici. Una notte ebbe questa visione: sul ciglio
della strada che stava percorrendo c'era un albero maestoso, robusto e bello, con un
tronco enorme e altissimo. Avvicinatosi per osservarne la bellezza e grandezza, egli stesso
all'improvviso crebbe tanto da poterne toccare la cima. Lo prese e con una sola mano lo
piegò agevolmente fino a terra. Così era avvenuto veramente: papa Innocenzo, che è
come l'albero più alto e potente del mondo, si era inchinato così benevolmente alla
preghiera del beato Francesco.
CAPITOLO XIV
RITORNO DEL SANTO
DA ROMA NELLA VALLE SPOLETANA
E SUA SOSTA NEL VIAGGIO
377 34. Francesco con i compagni, pieno d'esultanza per il dono di un così grande padre
e signore, ringraziò Iddio onnipotente, che innalza gli umili e conforta gli afflitti (Gb
5,11); fece subito visita alla basilica di San Pietro e, finita la sua preghiera, riprese con i
fratelli il cammino di ritorno verso la valle di Spoleto. Cammin facendo, andavano
ripensando gli innumerevoli e grandi benefici ricevuti da Dio clementissimo; la cortesia
con la quale erano stati accolti dal Vicario di Cristo, Pastore benevolo e universale della
Cristianità; ricercavano insieme qual fosse il modo migliore di adempiere i suoi consigli e
comandi, come osservare e custodire con sincerità e fedeltà la Regola; come dovevano
camminare santamente e religiosamente davanti all'Altissimo; infine come la loro vita e i
loro costumi, mediante la crescita nelle sante virtù, avrebbe potuto essere d'esempio agli
altri.
378 I nuovi discepoli di Cristo avevano già conversato a lungo in ispirito di umiltà di questi
santi argomenti, e il giorno volgeva al tramonto. Si trovavano, in quel momento, molto
stanchi e affamati, in un luogo deserto, e non potevano trovare nulla da mangiare, poiché
quel luogo era molto lontano dall'abitato. Ma all'improvviso, per divina provvidenza,
apparve un uomo recante del pane; lo diede loro e se ne andò. Nessuno di loro l'aveva mai
conosciuto, e perciò, pieni di ammirazione, si esortavano devotamente l'un l'altro a
confidare sempre di più nella divina misericordia. Dopo essersi ristorati con quel cibo,
proseguirono fino ad un luogo vicino a Orte, e qui si fermarono per circa quindici giorni.
Alcuni di loro si recavano in città a cercare il vitto necessario e riportavano agli altri
quanto erano riusciti a racimolare chiedendo l'elemosina di porta in porta, e lo
mangiavano insieme lieti e ringraziando il Signore. Se avanzava qualcosa, quando non
potevano donarla ai poveri, la riponevano in una fossa, che un tempo era servita da
sepolcro, per cibarsene il giorno seguente. Quel luogo era deserto e non vi passava quasi
nessuno.
379 35. Erano felicissimi di non vedere e di non possedere alcuna cosa vana o
dilettevole ai sensi. Cominciarono così a stringere un patto d'alleanza con la santa
povertà, e si proponevano di vivere con essa per sempre e ovunque, come in quel
momento, tanta era la consolazione che provavano mentre erano privi di tutto ciò che il
mondo ama. E poiché, liberi da ogni cura terrena, trovavano piacere solo nelle cose
celesti, deliberano irrevocabilmente di non sciogliersi mai, per nessuna tribolazione o
tentazione, dall'abbraccio della povertà.
380 Ma, sebbene non ci fosse per loro pericolo di sorta nella amenità della regione, che
pure può affievolire il vigore dello spirito, tuttavia, perché una lunga dimora non creasse
una parvenza di possesso, lasciarono quel luogo e, seguendo il padre, che era pieno di
felicità, entrarono nella valle Spoletana.
381 Si domandavano ancora e seriamente, da persone che si erano impegnate a vivere
sinceramente nella santità, se dovevano svolgere la loro vita tra gli uomini o ritirarsi negli
eremi. E Francesco, che, non fidandosi mai di se stesso, in ogni decisione cercava
ispirazione da Dio nella preghiera, scelse di vivere per Colui che morì per tutti, ben
consapevole di essere stato inviato da Dio a conquistare le anime che il diavolo tentava di
rapire.
CAPITOLO XV
FAMA DEL BEATO FRANCESCO.
CONVERSIONE DI MOLTI A DIO.
COME LA SUA ISTITUZIONE FU CHIAMATA
« ORDINE DEI FRATI MINORI ».
FORMAZIONE DI COLORO CHE Vl ENTRAVANO
382 36. Il valorosissimo soldato di Cristo passava per città e castelli annunciando il Regno
dei cieli, la pace, la via della salvezza, la penitenza in remissione dei peccati; non però
con gli artifici della sapienza umana, ma con la virtù dello Spirito (1Cor 2,4). Poiché ne
aveva ricevuto l'autorizzazione dalla Sede Apostolica, operava fiducioso e sicuro,
rifuggendo da adulazioni e lusinghe. Non era solito blandire i vizi, ma sferzarli con
fermezza; non cercava scuse per la vita dei peccatori, ma li percuoteva con aspri
rimproveri, dal momento che aveva piegato prima di tutto se stesso a fare ciò che
inculcava agli altri. Non temendo quindi d'esser trovato incoerente, predicava la verità
con franchezza, tanto che anche uomini dottissimi e celebri accoglievano ammirati le sue
ispirate parole, e alla sua presenza erano invasi da un salutare timore.
383 Uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano a gara a vedere e a sentire il Santo
di Dio, che appariva a tutti come un uomo di un altro mondo. Persone di ogni età e sesso
venivano sollecite ad ammirare le meraviglie che il Signore di nuovo compiva nel mondo
per mezzo del suo servo. La presenza o anche la sola fama di san Francesco sembrava
davvero una nuova luce mandata in quel tempo dal cielo a dissipare le caliginose tenebre
che avevano invaso la terra, così che quasi più nessuno sapeva scorgere la via della
salvezza. Erano infatti quasi tutti precipitati in una così profonda dimenticanza del
Signore e dei suoi comandamenti, che appena sopportavano di smuoversi un poco dai loro
vizi incalliti e inveterati.
384 37. Splendeva come fulgida stella nel buio della notte e come luce mattutina
diffusa sulle tenebre; così in breve l'aspetto dell'intera regione si cambiò e, perdendo il
suo orrore, divenne più ridente. E’ finita la lunga siccità, e nel campo già squallido cresce
rigogliosa la messe. Anche la vigna incolta comincia a coprirsi di fiori profumati e a
maturare, per grazia del Signore, i frutti soavi di bontà e di bene. Ovunque risuonano
azioni di grazie e inni di lode, e non pochi, lasciate le cure mondane, seguendo l'esempio
e l'insegnamento di san Francesco, impararono a conoscere amare e rispettare il loro
Creatore. Molti, nobili e plebei, chierici e laici, docili alla divina ispirazione, si recavano
dal Santo, bramosi di schierarsi per sempre con lui e sotto la sua guida. E a tutti egli,
come ricca sorgente di grazia celeste, dona le acque vivificanti che fanno sbocciare le
virtù nel giardino del cuore. Artista e maestro di vita evangelica veramente glorioso:
mediante il suo esempio, la sua Regola e il suo insegnamento, si rinnova la Chiesa di
Cristo nei suoi fedeli, uomini e donne, e trionfa la triplice milizia degli eletti.
385 A tutti dava una regola di vita, e indicava la via della salvezza a ciascuno secondo
la propria condizione.
386 38. É ora il momento di concentrare l'attenzione soprattutto sull'Ordine che
Francesco suscitò col suo amore e vivificò con la sua professione. Proprio lui infatti fondò
l'Ordine dei frati minori, ed ecco in quale occasione gli diede tale nome. Mentre si scrivevano nella Regola quelle parole: «Siano minori», appena l'ebbe udite esclamò: «Voglio
che questa Fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori». E realmente erano « minori »;
« sottomessi a tutti » e ricercavano l'ultimo posto e gli uffici cui fosse legata qualche
umiliazione, per gettare così. le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale si
potesse svolgere l'edificio spirituale di tutte le virtù.
387 E davvero su questa solida base edificarono, splendida. la costruzione della carità.
E come pietre vive, raccolte, per così dire, da ogni parte del mondo, crebbero in tempio
dello Spirito Santo. Com'era ardente l'amore fraterno dei nuovi discepoli di Cristo! Quanto
era forte in essi l'amore per la loro famiglia religiosa! Ogni volta che in qualche luogo o
per strada, come poteva accadere, si incontravano, era una vera esplosione del loro
affetto spirituale, il solo amore che sopra ogni altro amore è fonte di vera carità fraterna.
Ed erano casti abbracci, delicati sentimenti, santi baci, dolci colloqui, sorrisi modesti,
aspetto lieto, occhio semplice, animo umile, parlare cortese, risposte gentili, piena
unanimità nel loro ideale, pronto ossequio e instancabile reciproco servizio.
39. Avendo disprezzato tutte le cose terrene ed essendo immuni da qualsiasi amore
egoistico, dal momento che riversavano tutto l'affetto del cuore in seno alla comunità,
cercavano con tutto l'impegno di donare perfino se stessi per venire incontro alle
necessità dei fratelli. Erano felici quando potevano riunirsi, più felici quando stavano
insieme; ma era per tutti pesante il vivere separati, amaro il distacco, doloroso il
momento dell'addio. Questi docilissimi soldati non anteponevano comunque nulla ai
comandi della santa obbedienza; vi si preparavano anzi in anticipo, e si precipitavano ad
eseguire, senza discutere e rimosso ogni ostacolo, qualunque cosa veniva loro ordinata.
388 Da cultori fedeli della santissima povertà, poiché non possedevano nulla, non
s'attaccavano a nessuna cosa, e niente temevano di perdere. Erano contenti di una sola
tonaca talvolta rammendata dentro e fuori, tanto povera e senza ricercatezze da apparire
in quella veste dei veri crocifissi per il mondo, e la stringevano ai fianchi con una corda, e
portavano rozzi calzoni. Il loro santo proposito era di restare in quello stato, senza avere
altro. Erano perciò sempre sereni, liberi da ogni ansietà e pensiero, senza affanni per il
futuro; non si angustiavano neppure di assicurarsi un ospizio per la notte, anche se
pativano grandi disagi nel viaggio. Sovente, durante il freddo più intenso, non trovando
ospitalità, si rannicchiavano in un forno, o pernottavano in qualche spelonca.
389 Di giorno, quelli che ne erano capaci, si impegnavano in lavori manuali, o nei
ricoveri dei lebbrosi o in altri luoghi, servendo a tutti con umiltà e devozione. Non
volevano esercitare nessun lavoro che potesse dar adito a scandalo, ma sempre si
occupavano di cose sante e giuste, oneste e utili, dando esempio di umiltà e di pazienza a
tutti coloro con i quali si trovavano.
390 40. Amavano talmente la pazienza, che preferivano stare dove c'era da soffrire
persecuzioni che non dove, essendo nota la loro santità, potevano godere i favori del
mondo. Spesso, ingiuriati, vilipesi, percossi, spogliati, legati, incarcerati, sopportavano
tutto virilmente, senza cercare alcuna difesa; dalle loro labbra anzi non usciva che un
cantico di lode e di ringraziamento.
391 Non cessavano quasi mai di pregare e lodare il Signore; esaminando ogni loro
azione, ringraziavano Dio per il bene fatto e piangevano amaramente per le colpe e
negligenze commesse. Quando poi nella preghiera non avvertivano la usuale dolcezza, si
credevano abbandonati da Dio. E per non lasciarsi sorprendere dal sonno durante la loro
lunga preghiera, adoperavano diversi espedienti: alcuni si aggrappavano a delle funi, altri
si servivano di cilizi di ferro o di legno. Se talvolta pareva loro di essere stati meno sobri
del solito, per aver preso cibo e bevanda a sufficienza, oppure di aver oltrepassato sia pur
per poco la misura della stretta necessità per la stanchezza del viaggio, si punivano
aspramente con una astinenza di parecchi giorni. Si studiavano infine di domare gli istinti
della carne con tal rigore, da non esitare spesso a tuffarsi nel ghiaccio e a martoriare il
corpo tra i rovi acuminati rigandolo di sangue.
392 41. Avevano tanto disprezzo per i beni terreni, che a stento sopportavano di
accettare le cose più necessarie per vivere e, disabituati ormai da lungo tempo a qualsiasi
comodità corporale, affrontavano senza paura alcuna le più dure privazioni.
393 Ma mentre erano così severi con se stessi, il loro contegno era sempre garbato e
pacifico con tutti; e attendevano solo a opere di edificazione e di pace, evitando con
grande cura ogni motivo di mal esempio. Parlavano solamente quando era necessario, né
mai dicevano parole scorrette o vane. In tutta la loro vita e attività non si poteva trovare
nulla che non fosse onesto e retto. Dal loro atteggiamento traspariva sempre compostezza
e modestia; e mortificavano talmente i propri sensi che non vedevano né sentivano se non
quello che era essenziale e doveroso: sguardo rivolto a terra e mente fissa al cielo.
Gelosia, malizia, rancore, diverbi, sospetto, amarezza non trovavano posto in loro, ma
soltanto grande concordia, costante serenità, azioni di grazia e di lode.
Ecco i princìpi con i quali Francesco educava i suoi nuovi figli, e non semplicemente
a parole, ma soprattutto con le opere e l'esempio della sua vita.
CAPITOLO XVI
DIMORA A RIVOTORTO
E OSSERVANZA DELLA POVERTÀ
394 42. Il beato Francesco era solito raccogliersi con i suoi compagni in un luogo
presso Assisi, detto Rivotorto, ed erano felici, quegli arditi dispregiatori delle case
grandi e belle, di un tugurio abbandonato ove potevano trovare riparo dalle bufere,
perché, al dire di un santo, c'è maggior speranza di salire più presto in cielo dalle
baracche che dai palazzi.
Padre e figli se ne stavano così insieme, tra molti stenti e indigenze, non di
raro privi anche del ristoro del pane, contenti di qualche rapa che andavano a
mendicare per la pianura di Assisi. L'abitazione poi era tanto angusta, che a fatica vi
potevano stare seduti o stesi a terra, tuttavia «non si udiva mormorazione né
lamento; ognuno manteneva la sua giocondità di spirito e tutta la sua pazienza».
395 San Francesco ogni giorno, anzi di continuo esaminava diligentemente se
stesso e i suoi, perché non restasse in loro nulla di mondano e fosse evitata qualsiasi
negligenza. Con se stesso era particolarmente rigoroso e vigile, e se come avviene a
tutti, lo assaliva qualche tentazione della carne, si immergeva d'inverno nel ghiaccio,
finché il pericolo spirituale fosse scomparso. Gli altri, naturalmente, imitavano
fervidamente questo suo mirabile esempio di penitenza.
396 43. Insegnava loro non solo a combattere i vizi e a mortificare gli stimoli del
corpo, ma anche a conservare puri i sensi esterni, per i quali la morte entra
nell'anima.
Passando un giorno per quelle contrade con grande pompa e clamore
l'imperatore Ottone, che si recava a ricevere «la corona della terra», il santissimo
padre non volle neppure uscire dal suo tugurio, che era vicino alla via di transito, né
permise che i suoi vi andassero, eccetto uno il quale doveva annunciare con fermezza
all'imperatore che quella sua gloria sarebbe durata ben poco.
Siccome il glorioso Santo aveva la sua dimora nell'intimo del cuore, dove
preparava una degna abitazione a Dio, il mondo esteriore con il suo strepito non
poteva mai distrarlo, né alcuna voce interrompere la grande opera a cui era intento.
Si sentiva investito dall'autorità apostolica, e perciò ricusava fermamente di adulare
re e principi.
397 44. Cercava costantemente la santa semplicità, né ammetteva che l'angustia
del luogo impedisse le espansioni dello spirito. Scrisse perciò i nomi dei frati sui
travicelli della capanna, perché ognuno potesse riconoscervi il proprio posto per la
preghiera e il riposo, e la ristrettezza del luogo non turbasse il raccoglimento
dell'animo.
398
Mentre erano nel tugurio, capitò un giorno che un contadino vi giungesse col
suo asinello, e temendo di essere cacciato fuori, spinse l'asino dentro il tugurio,
incitandolo con queste parole: «Entra, che faremo un buon servizio a questo
ricovero!». Francesco nell'udire questo si rattristò, indovinando il pensiero di
quell'uomo: credeva infatti che i frati volessero fermarvisi e ingrandire la loro
abitazione, unendo casa a casa. E subito san Francesco abbandonò quel luogo, per
recarsi in un altro non distante, chiamato Porziuncola dove, come si disse, molto
tempo prima egli stesso aveva riparato la chiesa di Santa Maria. Non voleva avere
nulla di proprio, per poter possedere più pienamente tutto nel Signore.
CAPITOLO XVII
IL BEATO FRANCESCO
INSEGNA Al FRATI A PREGARE.
OBBEDIENZA E PUREZZA DEI MEDESIMI
399 45. In quel tempo i frati gli chiesero con insistenza che insegnasse loro a
pregare, perché, comportandosi con semplicità di spirito, non conoscevano ancora
l'ufficio liturgico. Ed egli rispose: «Quando pregate, dite: Padre nostro (Mt 6,9)! e: Ti
adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo e Ti benediciamo,
perché con la tua santa croce hai redento il mondo ». E questo gli stessi discepoli del
pio maestro si impegnavano ad osservare con ogni diligenza, perché si proponevano di
eseguire perfettamente non solo i consigli fraterni e i comandi di lui, ma perfino i
suoi segreti pensieri, se riuscivano in qualche modo a intuirli.
400 Infatti il beato padre insegnava loro che la vera obbedienza riguarda i pensieri
non meno che le parole espresse. i desideri non meno che i comandi. E cioè: «Se un
frate suddito, prima ancora di udire le parole del superiore, ne indovina l'intenzione,
subito deve disporsi all'obbedienza e fare ciò che al minimo segno gli sembrerà la
volontà di lui».
401 Fedeli alla esortazione di Francesco, essi, ogni volta che passavano vicino a
una chiesa, oppure anche la scorgevano da lontano, si inchinavano in quella direzione
e, proni col corpo e con lo spirito, adoravano l'Onnipotente, dicendo: «Ti adoriamo,
o Cristo, qui e in tutte le chiese». E, cosa non meno ammirevole, altrettanto
facevano dovunque capitava loro di vedere una croce o una forma di croce, per terra,
sulle pareti, tra gli alberi, nelle siepi.
402 46. Erano così pieni di santa semplicità, di innocenza! di purezza di cuore da
ignorare ogni doppiezza. Come unica era la loro fede, così regnava in essi l'unità degli
animi, la concordia degli intenti e dei costumi, la stessa carità, la pratica delle virtù,
la pietà degli atti, l'armonia dei pensieri.
403 Avevano scelto come confessore un sacerdote secolare che era tristamente
noto per le sue enormi colpe e degno del disprezzo di tutti a motivo della sua
depravata condotta; ma essi non vollero credere al male che si diceva di lui e
continuarono a confessargli i propri peccati, prestandogli la debita riverenza. Anzi,
avvenne un giorno che quel sacerdote, o forse un altro, dicesse a uno di loro: « Bada,
fratello, di non essere ipocrita»; quel frate si reputò davvero ipocrita e, per il
profondo dolore che ne sentiva, non sapeva più darsi pace, giorno e notte. Agli altri
che gli chiedevano il perché di tanto insolito lamento e mestizia, rispondeva: «Un
sacerdote mi ha detto questo, e io ne sono così afflitto da non poter pensare ad
altro!». Lo esortavano, per consolarlo, a non prestar fede a quelle parole; ma egli
replicava: «Che dite mai, fratelli? Può forse un sacerdote dire il falso? Se il sacerdote
non può mentire, bisogna credere che quanto mi ha detto è vero». E perseverò a
lungo in tale semplicità, finché Francesco stesso lo assicuro, spiegandogli le parole
del sacerdote e scusandone con sapiente intuito l'intenzione. Non c'era turbamento,
per grande che fosse, nell'animo dei confratelli che alla sua parola di fuoco non
svanisse e tornasse il sereno!
CAPITOLO XVIII
IL CARRO DI FUOCO
E COME IL BEATO FRANCESCO, ANCHE ASSENTE,
VEDEVA I SUOI FRATI
404 47. Poiché camminavano con semplicità davanti a Dio e con coraggio davanti
agli uomini, in quel tempo meritarono i santi frati la grazia di una rivelazione
soprannaturale. Animati dal fuoco dello Spirito Santo, pregavano cantando il «Pater
noster» su una melodia religiosa, non solo nei momenti prescritti, ma ad ogni ora,
perché non erano preoccupati dalle cure materiali.
405 Una volta che Francesco era assente, verso mezzanotte, mentre alcuni
dormivano e altri pregavano fervorosamente in silenzio, entrò per la porticina della
casa un carro di fuoco luminosissimo che fece due o tre giri per la stanza; su di esso
poggiava un grande globo, che a guisa di sole rischiarò le tenebre notturne. I frati che
vegliavano furono pieni di stupore, quelli che dormivano si destarono atterriti,
sentendosi tutti quanti invasi da quella luce, non solo nel corpo, ma anche nello
spirito. Riunitisi insieme, si domandavano il significato di quel misterioso fenomeno;
ma ecco, per la virtù di tanto fulgore ognuno vedeva chiaramente nella coscienza
dell'altro. Allora compresero e furono certi che si trattava dell'anima del beato
padre, raggiante di così grande splendore, e che essa si era meritato da Dio quel dono
straordinario di benedizione e di grazia, soprattutto a motivo della sua purezza e per
la sua sollecitudine paterna verso i suoi figli.
406 48. Spessissimo avevano avuto precisi e chiari indizi che Francesco, per la sua
santità, poteva leggere i segreti della loro anima. Quante volte infatti, per
rivelazione dello Spirito Santo, conobbe le vicende dei fratelli lontani, penetrò i cuori
e le coscienze! Quanti avvertì in sogno di quello che dovevano fare o evitare! A
quanti, che sembravano retti esteriormente, predisse il pericolo della perdizione,
mentre ad altri, conoscendo il termine delle loro opere malvagie, predisse la grazia
della salvezza! Qualcuno anzi, particolarmente puro e semplice, ebbe il dono e il
conforto speciale della apparizione del Santo in maniera davvero singolare.
407 Tra tanti fatti del genere, eccone uno appreso da testimoni degni di fede.
Frate Giovanni da Firenze, eletto da san Francesco ministro dei minori in Provenza,
aveva raccolto i suoi frati a capitolo. Il Signore Iddio gli concesse, nella sua bontà, la
grazia di parlare con tanto zelo da conquistare tutti ad un ascolto benevolo e
attento. Era presente tra loro un frate sacerdote, di nome Monaldo, famoso
specialmente per la vita virtuosa, fondata sull'umiltà, corroborata dalla preghiera
frequente e difesa dalla pazienza; ed anche frate Antonio al quale Iddio diede
«l'intelligenza delle sacre Scritture»(Lc 24,45) e il dono di predicare Cristo al mondo
intero con parole più dolci del miele. Ora, mentre Antonio predicava ai frati con
fervore e devozione grandissima sul tema: «Gesù Nazzareno, Re dei Giudei» (Gv
19,19), il detto frate Monaldo, guardando verso la porta della sala capitolare, vide il
beato Francesco sollevato in alto, con le braccia distese a forma di croce, in atto di
benedire i presenti. E tutti i presenti, sentendosi essi stessi investiti dalla
consolazione dello Spirito Santo, e ripieni di gaudio salutare, trovarono assai credibile
il racconto dell'apparizione e della presenza del gloriosissimo Padre.
408 49. Quanto alla conoscenza che egli aveva dei segreti dei cuori, tra le molte
prove che molti conobbero, ne riferirò una indubitabile sotto ogni aspetto. Un frate
di nome Riccerio, nobile di famiglia e più ancora di costumi, vero amante di Dio e
disprezzatore di se stesso, aveva il pio desiderio e la fortissima volontà di assicurarsi
la piena benevolenza del santo padre Francesco; ma d'altra parte lo tormentava il
timore che san Francesco lo detestasse segretamente, privandolo del suo affetto. Era
convinto questo frate, assai timorato, che chiunque era amato di particolare amore
da san Francesco, fosse anche degno di meritarsi la divina grazia, e che viceversa
fosse segno di condanna del Giudice divino, se non fosse accolto da lui con
benevolenza e amicizia. Ma non rivelava a nessuno questo suo inquietante e
persìstente pensiero.
50. Un giorno però il beato padre, mentre pregava nella cella, e quel fratello,
angosciato dal solito dubbio, stava avvicinandosi a quel «luogo», ne avvertì l'arrivo e
il turbamento che aveva nell'animo. Subito lo fece chiamare, e gli disse: «Non
lasciarti turbare da nessuna tentazione figliolo; nessun pensiero ti tormenti, perché
tu mi sei carissimo, e sappi che sei tra quelli a me più cari, e ben degno del mio
affetto e della mia amicizia. Vieni da me quando vuoi, liberamente come ad amico».
Restò attonito frate Riccerio, e da allora in poi, pieno di più grande venerazione,
quanto più vedeva crescere l'amore di san Francesco per lui, tanto più dilatava la sua
fiducia nella divina misericordia.
409 Quanto penosa dev'essere, padre santo, la tua assenza per quelli che disperano
di trovare sulla terra un altro simile a te! Aiuta con la tua intercessione, te ne
preghiamo, coloro che vedi avvolti nella micidiale macchia del peccato, tu che,
mentre eri già ripieno dello spirito dei giusti, e prevedevi l'avvenire e conoscevi le
realtà presenti, malgrado ciò, per mettere in fuga ogni forma di ostentazione, ti
ricoprivi con il manto della santa semplicità. Ma ritorniamo indietro, riprendendo
l'ordine storico della narrazione.
CAPITOLO XIX
LA VIGILANZA SUI SUOI FRATI.
IL DISPREZZO Dl SE STESSO.
LA VERA UMILTÀ
410 51. Il beatissimo uomo Francesco, ritornò corporalmente tra i suoi frati, dai
quali, come si disse, non era mai stato assente con lo spirito. Santamente curioso di
conoscere lo spirito dei suoi figli, sottoponeva a diligente esame la condotta di
ognuno, non lasciando impunita nessuna colpa, se vi scopriva qualcosa, anche
minima, di meno che retto Badava prima ai difetti dell'animo, poi a quelli esterni,
infine rimoveva tutte le occasioni che di solito conducono al peccato.
411 Alla. santa povertà riservava una cura tutta particolare e voleva che dominasse
sempre da signora, tanto da non tollerare neppure il più piccolo utensile, appena
s'accorgeva che si poteva farne a meno, temendo che vi si introducesse l'abitudine di
confondere il necessario col superfluo. Era solito dire che è impossibile sovvenire alla
necessità senza servire alla comodità. Raramente si cibava di vivande cotte, oppure
le rendeva insipide con acqua fredda, o le cospargeva di cenere! Quante volte,
mentre era pellegrino nel mondo a predicare il Vangelo, invitato a pranzo da grandi
signori che lo veneravano con grande affetto, mangiava appena un po' di carne in
ossequio alla parola evangelica di Cristo, poi, fingendo di mangiare faceva scivolare il
resto nel grembo, mettendosi una mano alla bocca perché nessuno s'accorgesse di
quello che faceva! Ci s'immagini poi se prendeva del vino, dato che rifiutava persino
l'acqua, quand'era assetato!
412 52. Ovunque fosse ospitato di notte, non voleva materassi o coperte sul suo
giaciglio, ma la nuda terra raccoglieva il suo nudo corpo avvolto solo nella tonaca.
Quando poi concedeva un po' di riposo al suo corpo fragile spesso stava seduto e non
disteso, servendosi per guanciale di un legno o di una pietra. E quando lo prendeva
desiderio di mangiare qualche cosa, come suole accadere a tutti, a stento si
concedeva poi di mangiarla.
413 Avendo un giorno mangiato un po' di pollo, perché infermo, riacquistate le
energie per camminare, si recò ad Assisi. Giunto alla porta della città, pregò un
confratello che era con lui di legargli una fune attorno al collo e di trascinarlo per
tutte le vie della città come un ladro, gridando: «Guardate questo ghiottone, che a
vostra insaputa si è rimpinzato da gaudente di carne di gallina!». A tale spettacolo,
molti, tra lacrime e sospiri, esclamavano: «Guai a noi miserabili che abbiamo vissuto
tutta la vita solo per la carne, nutrendo il cuore e il corpo di lussuria e di crapule!». E
tutti compunti, erano guidati a miglior condotta da quell'esempio straordinario.
414 53. E tante altre cose simili a queste egli compiva per praticare l'umiltà nel
modo più perfetto possibile, che insieme gli attiravano però amore imperituro presso
gli altri. Era libero da ogni sollecitudine per il corpo, trattandolo come un vaso
derelitto ed esponendolo alle ingiurie sempre preoccupato di non lasciarsi vincere dal
desiderio di alcuna cosa materiale per amore di lui. Vero spregiatore di se stesso, egli
con parole e con fatti ammaestrava utilmente gli altri al disprezzo di sé. Ma tutti lo
magnificavano e ne cantavano giustamente le lodi; solo lui si riteneva vilissimo e si
disprezzava cordialmente.
415 Spesso, quand'era da tutti esaltato, sentendosi ferito come da troppo acerbo
dolore, controbilanciava e scacciava l'onore degli uomini, incaricando qualcuno di
maltrattarlo. Chiamava per lo più qualche confratello e gli diceva: «Ti scongiuro per
obbedienza di coprirmi di ingiurie senza alcun riguardo e di dir la verità contro la
falsità di costoro che mi elogiano». E quando quel fratello, ci si immagini quanto
volentieri, lo chiamava villano, mercenario, buono a nulla, lui sorridendo e
applaudendo diceva: «Ti benedica il Signore, perché dici cose verissime e quali
convengono al figlio di Pietro di Bernardone». Con queste parole intendeva
rammentare l'umiltà delle sue origini.
416 54. Per farsi credere veramente degno di disprezzo e per dare agli altri
esempio di una confessione sincera, se per caso commetteva qualche mancanza, non
esitava a confessarla pubblicamente e sinceramente mentre predicava a tutto il
popolo. Anzi, se gli capitava di pensar male, sia pur minimamente, di qualcuno, o gli
sfuggiva qualche parola troppo forte, subito manifestava con tutta umiltà il suo
peccato a colui che aveva osato giudicare, chiedendogli perdono. Pur non potendogli
rimproverare proprio nulla, data la vigilanza che esercitava su di sé, la sua coscienza
non gli dava pace, finché non avesse sanato con rimedio appropriato la ferita
dell'anima. Bramava far progressi in qualsiasi specie di virtù, ma non voleva esser
notato, per fuggire l'ammirazione e non cadere nella vanagloria.
Miseri noi, che ti abbiamo perduto, padre santo, esemplare di ogni bene e di umiltà!
Per giusta condanna ti abbiamo perduto, perché trascurammo di conoscerti quando ti
avevamo tra noi!
CAPITOLO XX
DESIDEROSO DEL MARTIRIO
FRANCESCO PRIMA CERCA Dl ANDARE MISSIONARIO NELLA SPAGNA
POI IN SIRIA.
PER SUO MERITO, DIO MOLTIPLICA I VIVERI
E SCAMPA I NAVIGANTI DAL NAUFRAGIO
417
55. Animato da ardente amore di Dio, il beatissimo padre Francesco
desiderava sempre metter mano a grandi imprese, e, camminando con cuore
generoso la via della volontà del Signore, anelava raggiungere la vetta della santità.
418
Nel sesto anno dalla sua conversione ardendo di un intrattenibile desiderio
del martirio, decise di recarsi in Siria a predicare la fede e la penitenza ai Saraceni.
Si imbarcò per quella regione, ma il vento avverso fece dirottare la nave verso la
Schiavonia. Allora, deluso nel suo ardente desiderio e non essendoci per quell'anno
nessun'altra nave in partenza verso la Siria, pregò alcuni marinai diretti ad Ancona di
prenderlo con loro. Ne ebbe un netto rifiuto perché i viveri erano insufficienti. Ma il
Santo, fiducioso nella bontà di Dio, salì di nascosto sulla imbarcazione col suo
compagno. Ed ecco sopraggiungere, mosso dalla divina Provvidenza, un tale,
sconosciuto a tutti, che consegnò ad uno dell'equipaggio che era timorato di Dio,
delle vivande, dicendogli: «Prendi queste cose e dàlle fedelmente a quei poveretti
che sono nascosti nella nave, quando ne avranno bisogno ». E avvenne che, scoppiata
una paurosa burrasca, i marinai, affaticandosi per molti giorni a remare,
consumarono tutti i loro viveri; poterono salvarsi solo con i viveri del poverello
Francesco, i quali, moltiplicandosi per grazia di Dio, bastarono abbondantemente alla
necessità di tutti finché giunsero al porto di Ancona. I naviganti compresero ch'erano
stati scampati dai pericoli del mare per merito di Francesco, e ringraziarono
l'onnipotente Iddio, che sempre si mostra mirabile e misericordioso nei suoi servi.
419 56. Lasciato il mare, il servo dell'Altissimo Francesco si mise a percorrere la
terra, e solcandola col vomere della parola di Dio, vi seminava il seme di vita, che
produce frutti benedetti. E subito molti uomini, buoni e idonei chierici e laici,
fuggendo il mondo e sconfiggendo virilmente le insidie del demonio, toccati dalla
volontà e grazia divina abbracciarono la sua vita e il suo programma
420 Ma sebbene, a similitudine dell'albero evangelico producesse abbondanti e
squisiti frutti, ciò non bastava a spegnere in Francesco il sublime proposito e l'anelito
ardente del martirio. E così, poco tempo dopo intraprese un viaggio missionario verso
il Marocco, per annunciare al Miramolino e ai suoi correligionari la Buona Novella. Era
talmente vivo il suo desiderio apostolico, che gli capitava a volte di lasciare indietro
il compagno di viaggio affrettandosi nell'ebbrezza dello spirito ad eseguire il suo
proposito. Ma la bontà di Dio, che si compiacque benignamente di ricordarsi di me e
di innumerevoli altri, fece andare le cose diversamente resistendogli in faccia.
Infatti, Francesco, giunto in Spagna, fu colpito da malattia e costretto a interrompere
il viaggio.
421 57. Ritornato a Santa Maria della Porziuncola, non molto tempo dopo gli si
presentarono alcuni uomini letterati e alcuni nobili, ben felici di unirsi a lui. Da uomo
nobile d'animo e prudente, egli li accolse con onore e dignità, dando paternamente a
ciascuno ciò che doveva. E davvero poiché era dotato di squisito e raro
discernimento, teneva conto della condizione di ciascuno.
422 Ma non riesce ancora a darsi pace finché non attui, con tentativi ancor più
audaci il suo bruciante sogno. E nel tredicesimo anno dalla sua conversione, partì per
la Siria, e mentre infuriavano aspre battaglie tra cristiani e pagani, preso con sé un
compagno, non esitò a presentarsi al cospetto del Sultano. Chi potrebbe descrivere la
sicurezza e il coraggio con cui gli stava davanti e gli parlava, e la decisione e
l'eloquenza con cui rispondeva a quelli che ingiuriavano la legge cristiana? Prima di
giungere al Sultano, i suoi sicari l'afferrarono, l'insultarono, lo sferzarono, ed egli non
temette nulla: né minacce, né torture, né morte; e sebbene investito dall'odio
brutale di molti, eccolo accolto dal Sultano con grande onore! Questi lo circondava di
favori regalmente e, offrendogli molti doni, tentava di convertirlo alle ricchezze del
mondo; ma, vedendolo disprezzare tutto risolutamente come spazzatura, ne rimase
profondamente stupito, e lo guardava come un uomo diverso da tutti gli altri. Era
molto commosso dalle sue parole e lo ascoltava molto volentieri.
423 Ma in tutte queste cose il Signore non concedeva il compimento del desiderio
del Santo, riservandogli il privilegio di una grazia singolare.
CAPITOLO XXI
FRANCESCO PREDICA AGLI UCCELLI
E TUTTE LE CREATURE GLI OBBEDISCONO
424 58. Mentre, come si è detto, il numero dei frati andava aumentando, Francesco
percorreva la valle Spoletana. Giunto presso Bevagna, vide raccolti insieme
moltissimi uccelli d'ogni specie, colombe, cornacchie e « monachine ». Il servo di Dio,
Francesco, che era uomo pieno di ardente amore e nutriva grande pietà e tenero
amore anche per le creature inferiori e irrazionali, corse da loro in fretta, lasciando
sulla strada i compagni. Fattosi vicino, vedendo che lo attendevano, li salutò secondo
il suo costume. Ma notando con grande stupore che non volevano volare via, come
erano soliti fare, tutto felice, li esortò a voler ascoltare la parola di Dio. E tra l'altro
disse loro: «Fratelli miei uccelli, dovete lodare molto e sempre il vostro Creatore
perché vi diede piume per vestirvi, ali per volare e tutto quanto vi è necessario. Dio
vi fece nobili tra le altre creature e vi concesse di spaziare nell'aria limpida: voi non
seminate e non mietete, eppure Egli vi soccorre e guida, dispensandovi da ogni
preoccupazione». A queste parole, come raccontava lui stesso e i frati che erano stati
presenti, gli uccelli manifestarono il loro gaudio secondo la propria natura, con segni
vari, allungando il collo, spiegando le ali, aprendo il becco e guardando a lui. Egli poi
andava e veniva liberamente in mezzo a loro, sfiorando con la sua tonaca le testine e
i corpi. Infine li benedisse col segno di croce dando loro licenza di riprendere il volo.
Poi anch'egli assieme ai suoi compagni riprese il cammino, pieno di gioia e ringraziava
il Signore, che è venerato da tutte le creature con sì devota confessione.
425 Siccome poi era uomo semplice, non per natura ma per grazia divina, cominciò
ad accusarsi di negligenza, per non aver predicato prima di allora agli uccelli, dato
che questi ascoltavano così devotamente la parola di Dio; e da quel giorno cominciò
ad invitare tutti i volatili, tutti gli animali, tutti i rettili ed anche le creature
inanimate a lodare e ad amare il Creatore, poiché ogni giorno, invocando il nome del
Signore, si accorgeva per esperienza personale quanto gli fossero obbedienti.
426 59. Un giorno, recatosi ad Alviano a predicare e salito su un rialzo per essere
visto da tutti, chiese silenzio. Ma mentre tutti tacevano in riverente attesa, molte
rondini garrivano con grande strepito attorno a Francesco. Non riuscendo a farsi
sentire dal popolo per quel rumore rivolto agli uccelli, disse: «Sorelle mie rondini, ora
tocca a me a parlare, perché voi lo avete già fatto abbastanza; ascoltate la parola di
Dio, zitte e quiete, finché il discorso sia finito». Ed ecco subito obbedirono: tacquero
e non si mossero fino a predica terminata. Gli astanti, stupiti, davanti a questo segno
dicevano: «Veramente quest'uomo è un santo e un amico dell'Altissimo!». E facevano
a gara per toccargli le vesti con devozione, lodando e benedicendo Iddio. Era davvero
cosa meravigliosa, poiché perfino le creature prive di ragione sapevano intendere
l'affetto fraterno e il grande amore che Francesco nutriva per esse!
427 60. Una volta, presso Greccio, gli fu portato da un confratello un leprotto
preso vivo al laccio, e il santo uomo, commosso, disse: «Fratello leprotto, perché ti
sei fatto acchiappare? Vieni da me». Subito la bestiola, lasciata libera dal frate, si
rifugiò spontaneamente nel grembo di Francesco, come a un luogo assolutamente
sicuro. Rimasto un poco in quella posizione, il padre santo, accarezzandolo con
affetto materno, lo lasciò andare, perché tornasse libero nel bosco; ma quello, messo
a terra più volte, rimbalzava in braccio a Francesco, finché questi non lo fece portare
dai frati nella selva vicina. Lo stesso accadde con un coniglio animale difficilmente
addomesticabile, nell'isola del lago di Perugia .
428 61. Altrettanto affetto egli portava ai pesci, che, appena gli era possibile,
rimetteva nell'acqua ancor vivi, raccomandando loro di non farsi pescare di nuovo. Un
giorno standosi egli in una barchetta nel porto del piccolo lago di Piediluco, un
pescatore gli offrì con riverenza una tinca che aveva appena pescato; egli accolse
lietamente e premurosamente quel pesce, chiamandolo fratello poi lo ripose
nell'acqua fuori della barca e cominciò a lodare il nome del Signore. E per un po' di
tempo il pesce, giocando giulivo nell'acqua, non si allontanò, finché il Santo, finita la
preghiera, non gli diede il permesso di partirsene.
429 Ecco come il glorioso padre Francesco, camminando per la via dell'obbedienza
e della perfetta sottomissione alla volontà divina, si meritò sì grande potere da farsi
obbedire dalle creature! Perfino l'acqua infatti si mutò in vino per lui, quando giaceva
gravemente infermo nello Speco di Sant'Urbano (presso Stroncone). Appena ne bevve,
guarì e tutti capirono che si trattava davvero di un miracolo.
E veramente non può essere che un santo colui al quale le creature
obbediscono in questo modo e se ad un suo cenno cambiano natura gli stessi
elementi!
CAPITOLO XXII
SAN FRANCESCO PREDICA IN ASCOLI
E PER MEZZO Dl OGGETTI TOCCATI DA LUI,
GLI AMMALATI GUARISCONO
430 62. Nel tempo in cui, come si è detto, predicò agli uccelli, il venerabile padre
Francesco, percorrendo città e villaggi per spargere ovunque la semente della
benedizione, arrivò anche ad Ascoli Piceno. In questa città annunciò la parola di Dio
con tanto fervore, che tutti, pieni di devozione, per grazia del Signore, accorrevano a
lui, desiderosi di vederlo e ascoltarlo. La ressa della folla era straordinaria e ben
trenta, tra chierici e laici, si fecero suoi discepoli, ricevendo dalle sue stesse mani
l'abito religioso. Uomini e donne lo veneravano con tanta fede, che chiunque poteva
toccargli la veste si considerava sommamente fortunato.
431 Quand'egli entrava in una città, il clero gioiva, si suonavano le campane, gli
uomini esultavano, si congratulavano le donne, i fanciulli applaudivano, e spesso gli
andavano incontro con ramoscelli in mano e cantando dei salmi. L'eresia era coperta
di confusione, la fede della Chiesa trionfava; mentre i fedeli erano ripieni di giubilo,
gli eretici si rendevano latitanti. I segni della sua santità erano così evidenti, che
nessun eretico osava disputare con lui, mentre tutta la folla gli obbediva.
432 Egli riteneva sacrosanto dovere osservare, venerare e seguire in tutto e sopra
ogni cosa gli insegnamenti della santa Chiesa romana, nella quale soltanto si trova la
salvezza. Rispettava i sacerdoti e nutriva grandissimo amore per l'intera gerarchia
ecclesiastica.
433 63. I fedeli gli portavano pani da benedire e li conservavano a lungo, perché
cibandosene guarivano dalle più diverse malattie. Sovente, spinti dalla grande fede,
gli tagliuzzavano perfino la tonaca, per tenersene devotamente qualche parte, così
che a volte il santo uomo restava quasi spoglio. E cosa più mirabile, qualche oggetto
toccato dalla sua mano risanava gli infermi.
434 Così una donna incinta, abitante in un piccolo villaggio presso Arezzo, al
momento del parto fu assalita da spasimi tremendi rimanendo per molti giorni
sospesa tra la vita e la morte. I vicini e i parenti, avendo saputo che sarebbe passato
di lì san Francesco per recarsi in un eremo, lo attendevano con ansia; ma mentre essi
l'aspettavano, egli si era incamminato su un'altra strada a cavallo, perché era debole
e ammalato. Giunto alla mèta, fece ricondurre il cavallo a chi glielo aveva imprestato
per carità da frate Pietro; e frate Pietro passò proprio per la via dov'era la casa della
donna sofferente. Gli abitanti, appena lo videro, gli corsero incontro, credendolo san
Francesco. Quando s'accorsero che non era lui, rimasero grandemente delusi, ma poi
presero a domandarsi a vicenda se si poteva trovare qualche oggetto che il Santo
avesse toccato. Alla fine trovarono le redini che egli stesso aveva tenuto in mano
cavalcando. Estrassero allora il morso dalla bocca del cavallo, ne applicarono la
briglia sul corpo dell'inferma, la quale, scomparso d'incanto ogni pericolo, partorì
felicemente.
435 64. Gualfreduccio, cittadino di Città della Pieve, uomo pio e timorato di Dio,
come tutta la sua famiglia, era in possesso di una corda, di cui una volta si era servito
san Francesco per cingersi i fianchi. Capitò che parecchi abitanti di quella contrada,
uomini e donne, fossero colpiti da varie infermità e febbri, e Gualfreduccio andava
nelle loro case, e dava da bere agli ammalati dell'acqua in cui aveva immerso quella
corda o qualche sfilacciatura di essa, e tutti recuperavano la salute nel nome di
Cristo.
Questi sono un saggio dei miracoli che accadevano in assenza del beato padre; ma ne
avvenivano assai più numerosi, che non basterebbe neppure un lungo discorso a
narrarli tutti. Di quelli poi che Dio operò con la sua presenza ne riferiremo qualcuno
in quest'opera.
CAPITOLO XXIII
FRANCESCO GUARISCE UNO ZOPPO A TOSCANELLA
E UN PARALITICO A NARNI
436 65. Pellegrinando per diverse e vaste regioni ad annunciare il Regno dei Cieli,
Francesco giunse un giorno nella città di Toscanella. Qui, mentre, secondo il solito,
spargeva il seme della salvezza, un cavaliere del luogo gli offrì ospitalità nella sua
casa. Il figlioletto di lui, l'unico che aveva, era zoppo e tanto gracile da dover restare
ancora nella culla, pur avendo oltrepassato l'età dell'allattamento. Vedendo
quell'uomo di Dio così ripieno di santità, il cavaliere si gettò ai piedi di lui e
umilmente gli chiese che glielo guarisse. Il Santo si riteneva del tutto indegno e
incapace di una simile grazia e a lungo si rifiutò; ma poi, vinto dalle insistenti
implorazioni di quel poveretto, acconsentì. Dopo aver pregato, stese le mani sul
fanciullo, lo benedisse e lo invitò a levarsi; quello immediatamente, tra la gioia dei
presenti, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, balzò dal suo giaciglio e cominciò
a camminare perfettamente risanato.
437 66. Un analogo prodigio compì Francesco a Narni, dove rimase vari giorni. Ed
ecco come. Un cittadino di nome Pietro stava a letto da cinque mesi completamente
paralizzato; rimasto con i piedi, le mani e la testa completamente immobili, riusciva
soltanto a muovere la lingua e ad aprire gli occhi. Avendo saputo che era giunto in
città il servo dell'Altissimo, il povero infermo supplicò il vescovo del luogo che in
nome della misericordia divina si degnasse mandarglielo, essendo convinto che alla
sola vista del Santo sarebbe guarito. E così avvenne. Appena il beato Francesco gli fu
vicino e tracciò su di lui dal capo ai piedi un segno di croce, il paralitico ricuperò
piena salute.
CAPITOLO XXIV
FRANCESCO RENDE LA VISTA A UNA CIECA
E A GUBBIO RISANA UN ALTRA RATTRAPPITA
438 67. Una donna, pure abitante di Narni, colpita da cecità, riacquistò il dono
della vista mediante il segno di croce che il beato Francesco tracciò sui suoi occhi.
439 Anche un'inferma di Gubbio ebbe la gioia di essere miracolata da Francesco.
Aveva le mani rattrappite e non poteva far nulla. Quando seppe che il Santo era
arrivato in città, gli corse incontro, gli mostrò affranta le mani contorte,
supplicandolo che gliele toccasse. Egli, impietositosi, fece quanto gli si chiedeva e la
povera donna guarì. Questa, tutta lieta, tornò a casa, impastò con le proprie mani
una focaccia di farina con formaggio e l'offrì a Francesco, che per renderla felice ne
gradì un poco, dicendo alla donna di mangiare il resto con la sua famiglia.
CAPITOLO XXV
FRANCESCO LIBERA UN FRATE DALL' EPILESSIA
E A SANGEMINI GUARISCE UN INDEMONIATA
440 68. Non so come qualificare la malattia orrenda di cui soffriva un confratello,
alcuni l'attribuivano alla presenza di un diavolo maligno. Il poveretto spesso si
gettava a terra e, stralunando gli occhi in modo orribile, si ravvoltolava tutto con la
schiuma alla bocca; le sue membra ora si contraevano, ora si distendevano, or rigide,
or piegate e contorte. Altre volte, tutto teso e irrigidito con i piedi che gli toccavano
la testa, veniva levato in alto, quanto la statura di un uomo e poi subito gettato a
terra. Il santo padre Francesco ne ebbe compassione immensa, si recò da lui, lo
benedisse, pregando umilmente Iddio, e il malato ottenne pronta e completa salute e
non patì mai più un male del genere!
441 69. Un giorno Francesco, attraversando la diocesi di Narni per predicare la
parola di Dio, arrivò a Sangemini, dove fu ospitato con tre fratelli da un fedele, noto
per la sua grande devozione e virtù. Ma la moglie era indemoniata, e tutti gli abitanti
di quel territorio lo sapevano. L'uomo confidando profondamente nei meriti del
Santo, lo pregò di guarirgliela. Francesco, poiché preferiva nella sua semplicità
fuggire gli onori del mondo e essere vilipeso, non voleva compiere il prodigio; ma poi,
vedendo che si trattava della gloria di Dio e del bene di molti che invocavano il suo
atto di carità, finì per aderirvi. Chiamati i tre frati che erano con lui, li invitò a
mettersi ognuno in un angolo della stanza e disse: «Preghiamo il Signore, fratelli, per
questa donna, affinché sia liberata dal giogo del demonio, a lode di Dio. Stiamo uno
per ogni parte, perché il maligno non ci inganni e non ci scappi».
Dopo aver pregato, con la virtù dello Spirito Santo, si accostò all'ossessa, che era in
preda a convulsioni e urla tremende, dicendo: «Nel nome del Signore nostro Gesù
Cristo per obbedienza ti ordino, o demonio di lasciare questa creatura e di non osare
più tormentarla!». Aveva appena pronunciato quelle parole, che il diavolo se ne andò
rapidissimamente con gran fracasso e furore, tanto che il santo padre, per
l'improvvisa guarigione della donna e la pronta obbedienza di Satana, credette di
essersi illuso, e si affrettò ad allontanarsene con rossore, ciò operando la divina
Provvidenza, per impedirgli di cadere nell'orgoglio.
Per questo accadde che, passando Francesco un'altra volta per il medesimo
luogo in compagnia di frate Elia, quella donna, saputolo, accorse in fretta sulla
piazza, chiamandolo e pregandolo che si degnasse parlarle. Ma egli rifiutava tale
richiesta, ben sapendo ch'era essa quella donna dalla quale per virtù divina aveva
scacciato il demonio. Ma essa baciava le orme dei suoi piedi, ringraziando Dio e il suo
servo Francesco, che l'aveva liberata dal potere della morte. Infine, per le preghiere
di frate Elia, il Santo si persuase a parlarle, e da molti fu assicurato sia della suddetta
infermità sia della guarigione.
CAPITOLO XXVI
ANCHE A CITTÀ DI CASTELLO
FRANCESCO SCACCIA UN DEMONIO
442 70. C'era a Città di Castello una donna ossessa. Essendovi giunto il beato padre
Francesco, venne condotta a lui nella casa ove dimorava. Questa, digrignando i denti
e con lo sguardo bieco, emetteva grida orribili, come usano fare gli spiriti immondi.
Parecchi cittadini, accorsi insieme, supplicavano il Santo di liberarla poiché da tanto
tempo il nemico infernale la possedeva e tormentava in quella maniera, spaventando
tutti con le sue urla. Francesco volle costatare se era opera del demonio o imbroglio
della donna e le mandò innanzi un frate che stava con lui. Quella avvertì subito lo
scambio di persona e si mise a proferire scherni e insulti. Ma quando comparve il
Santo, che era rimasto nel frattempo nascosto a pregare, l'indemoniata, non potendo
resistere alla sua virtù, si gettò per terra tremando e contorcendosi pietosamente.
Francesco la chiamò a sé, dicendo: «Ti comando per obbedienza, spirito immondo, di
uscire da costei!». E il diavolo l'abbandonò immediatamente, senza alcun male.
443 Sia ringraziato Iddio onnipotente, che opera tutto in tutti! Tuttavia, siccome ci
siamo proposti di narrare non tanto i miracoli, che dimostrano la santità ma non
costituiscono la santità, bensì piuttosto lo specchio della sua vita esemplare,
riprendiamo il racconto delle opere che gli meritarono la salvezza eterna,
tralasciando i miracoli. anche perché sarebbe troppo lungo recensirli tutti.
CAPITOLO XXVII
PUREZZA E COSTANZA DEL SUO SPIRITO.
DISCORSO DAVANTI A PAPA ONORIO III.
AFFIDA SE STESSO E I SUOI ALLA PROTEZIONE
DEL CARDINALE UGOLINO, VESCOVO DI OSTIA
444 71. L'uomo di Dio Francesco si era abituato a cercare non il proprio interesse,
ma soprattutto quanto vedeva necessario alla salvezza del prossimo, e sopra ogni
altra cosa desiderava di essere liberato dal corpo e stare con Cristo (Fil 1,23). Per
questo il suo maggior impegno era di tenersi lontano dalle sollecitudini terrene, così
che neppure per un istante la polvere mondana potesse fare ombra e turbare la luce
e la pace della sua anima. Si rendeva insensibile a tutti i clamori esterni e,
raccogliendo tutti i suoi sensi esteriori e dominando ogni movimento dell'anima,
viveva assorto nel solo Signore. Come è detto della sposa nel Cantico dei Cantici:
Nelle fenditure della roccia e nei nascondigli dei dirupi era la sua abitazione(Ct
2,14).
445 Veramente con gioiosa devozione egli s'aggirava tra le dimore celesti, e in
completo annientamento di sé, dimorava a lungo come nascosto nelle piaghe del
Salvatore. Perciò cercava luoghi solitari per poter lanciare completamente la sua
anima in Dio; tuttavia, quando c'era bisogno, non esitava un istante a passare
all'azione per giovare alle anime e alla vita dei fratelli.
Suo porto sicuro era la preghiera non di qualche minuto, o vuota, o
pretenziosa, ma profondamente devota, umile e prolungata il più possibile. Se la
iniziava la sera, a stento riusciva a staccarsene il mattino. Era sempre intento alla
preghiera, quando camminava e quando sedeva, quando mangiava e quando beveva.
Di notte si recava, solo, nelle chiese abbandonate e sperdute a pregare; così, con la
grazia del Signore, riusciva a trionfare di molti timori e di angustie spirituali.
446 72. In quei luoghi doveva lottare corpo a corpo col demonio, che l'affrontava
per spaventarlo non solo con tentazioni interiori, ma anche esteriormente con strepiti
e rovine. Ma Francesco, da fortissimo soldato di Cristo, ben sapendo che il suo
Signore poteva tutto dovunque, non si lasciava per nulla intimorire, ma ripeteva in
cuor suo: «Non puoi, o maligno, scatenare contro di me le armi della tua malizia, in
questi luoghi più di quanto mi faresti se fossimo tra la folla ».
447 Era veramente fermo e costante nel bene, e null'altro cercava se non di
compiere la volontà di Dio. F. infatti quando anche predicava la parola del Signore
davanti a migliaia di persone, era tranquillo e sicuro, come se parlasse con il suo
fratello e compagno. Ai suoi occhi un'immensa moltitudine di uditori era come un
uomo solo, e con la stessa diligenza che usava per le folle predicava ad una sola
persona. Dalla purezza del suo cuore attingeva la sicurezza della sua parola, e anche
invitato all'improvviso, sapeva dire cose mirabili e mai udite prima.
448 Quando invece si preparava prima accuratamente il discorso, gli poteva
accadere che al momento di pronunciarlo non ricordasse più una parola né altro
poteva dire. Allora confessava a tutti candidamente e senza rossore che aveva
preparato tante cose, ma le aveva tutte dimenticate. Ed ecco, all'improvviso parlava
con tanta eloquenza da incantare gli uditori. Altre volte gli capitava di non riuscire a
parlare affatto; allora congedava l'uditorio con la benedizione, e questo valeva più
che se avesse tenuto una lunga predica.
449 73. Recatosi una volta a Roma, per problemi dell'Ordine, sentì grande desiderio
di predicare davanti a papa Onorio e ai cardinali. Venuto a saperlo, Ugolino, il
glorioso vescovo di Ostia, che nutriva particolare affetto e ammirazione per il Santo
di Dio, ne provò insieme gioia e timore, perché se ammirava il fervore di quel
sant'uomo, ne conosceva però anche la ingenua semplicità; ma, confidando nella
bontà dell'Onnipotente, che paternamente non lascia mai mancare ai suoi fedeli
quanto è necessario, lo condusse davanti al Papa e ai cardinali. E Francesco, ricevuta
la benedizione, alla presenza di così grandi principi incominciò a parlare senza
timore. E parlò con tanto fervore che, quasi fuori di sé per la gioia, mentre proferiva
le parole muoveva anche i piedi quasi saltellando, ma quel suo strano
comportamento, lungi dall'apparire un segno di leggerezza e dal suscitare riso,
provenendo dall'ardore del suo cuore, induceva gli animi a intrattenibile pianto di
compunzione. E molti di loro effettivamente ripieni di ammirazione per la grazia del
Signore e per l'intrepido coraggio di quell'uomo, furono presi da sincero dolore. Il
cardinal Ugolino però, dal canto suo pregava fervorosamente Iddio perché non
permettesse che la semplicità di quell'anima santa venisse disprezzata, anche perché
l'eventuale disdoro, come la gloria di Francesco, sarebbero caduti pure su di lui, che
era stato eletto «protettore» del nuovo Ordine religioso.
450 74. Francesco infatti si era legato a lui come un figlio al padre, come il figlio
unico alla madre, dormendo e riposando sicuro sul seno della sua clemenza. Si può
veramente dire che il cardinal Ugolino compiva l'ufficio di pastore della nuova
Fraternità, pur lasciandone il nome a san Francesco. Il beato padre proponeva quanto
era necessario, ma era Ugolino che provvedeva che venisse messo in esecuzione.
Quanti minacciavano i primi passi dell'Ordine per rovinarlo! Quanti cercavano di
soffocare l'eletta vigna che il Signore stava piantando nel mondo e di annientarne le
promettenti primizie! Ma tutti costoro furono vinti e trafitti dalla spada di quel
provvido signore e padre. Egli era infatti un fiume di eloquenza, un baluardo della
Chiesa un intrepido assertore della verità, ma ancora paterno sostegno degli umili.
Memorando e benedetto, quindi, il giorno in cui il servo di Dio si affidò a questo
Pastore di anime!
451 Mentre si trovava in Toscana, come legato pontificio un incarico che gli veniva
affidato spesso, il beato Francesco, che aveva ancora pochi compagni, passò per
Firenze, dove allora soggiornava il cardinale, con l'intento di recarsi in Francia. Non
erano ancora in quel tempo legati da una profonda amicizia, ma la fama della loro
santità era bastata ad unirli in un vincolo reciproco di affetto e di benevolenza.
452 75. D'altra parte, era costume del beato Francesco quando arrivava in qualche
città o territorio, di presentarsi al vescovo o ai sacerdoti del luogo; così, venuto a
sapere che là si trovava il suddetto prelato, si recò da lui con grande riverenza. Il
cardinal Ugolino, come usava fare con i religiosi, soprattutto con quelli che
professavano la beata povertà e la semplicità, lo accolse umilmente e devotamente.
E poiché nutriva particolare sollecitudine per i poveri, per venire incontro alla loro
povertà e sbrigare le loro cose si interessò con diligenza sul motivo della sua venuta
ascoltandolo con grande bontà. Vedendolo così staccato da ogni cosa terrena, più di
qualsiasi altro, e ripieno di quel fuoco divino che Gesù venne ad accendere sulla
terra, sentì la propria anima fondersi con la sua, gli domandò la carità delle sue
preghiere e gli offrì con sincera gioia la sua protezione. Quindi lo dissuase dal
continuare quel viaggio, raccomandandogli di attendere ai fratelli che Iddio gli aveva
affidato. Dal canto suo, Francesco fu ripieno di immenso gaudio, per aver incontrato
un signore così potente e, insieme così pieno di benevolenza, di affabilità e di senso
pratico; si prostrò ai suoi piedi e con sincera devozione gli affidò se stesso e i suoi
frati.
CAPITOLO XXVIII
SPIRITO Dl CARITÀ
E AFFETTUOSA COMPASSIONE VERSO I POVERI.
EPISODIO DELLA PECORA E DEGLI AGNELLINI
453 76. Padre dei poveri e povero lui stesso, Francesco, facendosi povero con i
poveri non poteva sopportare senza dolore di vedere qualcuno più povero di lui, non
per orgoglio, ma per intima compassione, e sebbene non vestisse che una sola tonaca
misera e rozza, spesso bramava spartirla con qualche bisognoso. Ma poiché era un
povero ricchissimo, spinto dalla sua struggente compassione, per poter aiutare i
poveri, quando il tempo era gelido, ricorreva ai ricchi chiedendo a prestito un
mantello o altri indumenti. Se questi glieli davano con maggior entusiasmo di quello
con cui egli li domandava, dichiarava: «Accetto di riceverli, ma a condizione che non
vi aspettiate mai più di riaverli ». E col cuore esultante ne rivestiva il primo indigente
che gli capitasse di incontrare.
454 Qualunque parola offensiva pronunciata contro i poveri lo feriva al cuore, e non
poteva soffrire che qualcuno insultasse o maledicesse qualunque creatura di Dio. Un
giorno udì un frate fare una insinuazione ad un poveretto che supplicava l'elemosina:
«Non vorrei che tu fossi ricco e ti fingessi bisognoso!». Come l'udì il padre dei poveri,
san Francesco, rimproverò molto duramente il frate che aveva pronunciato quelle
parole, e gli ordinò di spogliarsi davanti al mendicante e di chiedergli perdono,
baciandogli i piedi. Era solito dire: «Chi tratta male un povero fa ingiuria a Cristo, di
cui quello porta la nobile divisa, e che per noi si fece povero in questo mondo»(2Cor
8,9). Spesso perciò, incontrando qualche povero con carichi di legna o altri pesi,
prendeva sulle sue spalle quei pesi, sebbene fosse assai debole.
455 77. La sua carità si estendeva con cuore di fratello non solo agli uomini provati
dal bisogno, ma anche agli animali senza favella, ai rettili, agli uccelli, a tutte le
creature sensibili e insensibili. Aveva però una tenerezza particolare per gli agnelli,
perché nella Scrittura Gesù Cristo è paragonato, spesso e a ragione, per la sua umiltà
al mansueto agnello. Per lo stesso motivo il suo amore e la sua simpatia si volgevano
in modo particolare a tutte quelle cose che potevano meglio raffigurare o riflettere
l'immagine del Figlio di Dio.
456 Attraversando una volta la Marca d'Ancona, dopo aver predicato nella stessa
città, e dirigendosi verso Osimo, in compagnia di frate Paolo, che aveva eletto
ministro di tutti i frati di quella provincia, incontrò nella campagna un pastore, che
pascolava il suo gregge di montoni e di capre. In mezzo al branco c'era una sola
pecorella, che tutta quieta e umile brucava l'erba. Appena la vide, Francesco si
fermò, e quasi avesse avuto una stretta al cuore, pieno di compassione disse al
fratello: «Vedi quella pecorella sola e mite tra i caproni? Il Signore nostro Gesù
Cristo, circondato e braccato dai farisei e dai sinedriti, doveva proprio apparire come
quell'umile creatura. Per questo ti prego, figlio mio, per amore di Lui, sii anche tu
pieno di compassione, compriamola e portiamola via da queste capre e da questi
caproni ».
78. Frate Paolo si sentì trascinato dalla commovente pietà del beato padre; ma non
possedendo altro che le due ruvide tonache di cui erano vestiti, non sapevano come
effettuare l'acquisto; ed ecco sopraggiungere un mercante e offrir loro il prezzo
necessario. Ed essi, ringraziandone Dio, proseguirono il viaggio verso Osimo
prendendo con sé la pecorina. Arrivati a Osimo si recarono dal vescovo della città,
che li accolse con grande riverenza. Non seppe però celare la sua sorpresa nel vedersi
davanti quella pecorina che Francesco si tirava dietro con tanto affetto. Appena
tuttavia il servo del Signore gli ebbe raccontato una lunga parabola circa la pecora,
tutto compunto il vescovo davanti alla purezza e semplicità di cuore del servo di Dio,
ne ringraziò il Signore. Il giorno dopo, ripreso il cammino, Francesco pensava alla
maniera migliore di sistemare la pecorella, e per suggerimento del fratello che
l'accompagnava, l'affidò alle claustrali di San Severino, che accettarono il dono della
pecorina con grande gioia come un dono del cielo, ne ebbero amorosa cura per lungo
tempo, e poi con la sua lana tesserono una tonaca che mandarono a Francesco
mentre teneva un capitolo alla Porziuncola. Il Santo l'accolse con devozione e
festosamente si stringeva la tonaca al cuore e la baciava, invitando tutti ad allietarsi
con lui.
457 79. Un altro giorno, pellegrinando per la stessa Marca, con il medesimo frate
Paolo, che era ben felice d'accompagnarlo, si imbatterono in un uomo che portava al
mercato due agnelli da vendere, legati, belanti e penzolanti dalle spalle. All'udire
quei belati, il servo di Dio, vivamente commosso, si accostò, accarezzandoli, come
suol fare una madre con i figlioletti che piangono, con tanta compassione e disse al
padrone: «Perché tormenti i miei fratelli agnelli, tenendoli così legati e penzolanti?».
Rispose: «Li porto al mercato e li vendo: ho bisogno di denaro». E Francesco: «Che ne
avverrà?». E quello: «I compratori li uccideranno e li mangeranno». Nell'udire questo
il Santo esclamò: «Non sia mai! Prendi come compenso il mio mantello e dammi gli
agnelli ».
Quell'uomo fu ben felice di un simile baratto, perché il mantello, che Francesco
aveva ricevuto a prestito da un uomo proprio quel giorno per ripararsi dal freddo,
valeva molto di più delle due bestiole. Ma ricevuti gli agnellini, il Santo di nuovo si
rese conto del problema imbarazzante: «Come provvedervi? » e, per consiglio di frate
Paolo, li restituì al padrone, raccomandandogli di non venderli, di non recar loro
danno alcuno, ma di mantenerli e custodirli con cura.
CAPITOLO XXIX
IL SUO GRANDE AMORE PER LE CREATURE
A MOTIVO DEL CREATORE.
SUO RITRATTO FISICO E MORALE
458 80. Sarebbe troppo lungo, o addirittura impossibile narrare tutto quello che il
glorioso padre Francesco compì e insegnò mentre era in vita. Come descrivere il suo
ineffabile amore per le creature di Dio e con quanta dolcezza contemplava in esse la
sapienza, la potenza e la bontà del Creatore? Proprio per questo motivo, quando
mirava il sole, la luna, le stelle del firmamento, il suo animo si inondava di gaudio. O
pietà semplice e semplicità pia! Perfino per i vermi sentiva grandissimo affetto
perchè la Scrittura ha detto del Signore: lo sono verme e non uomo (Sal 21,6); perciò
si preoccupava di toglierli dalla strada, perché non fossero schiacciati dai passanti. E
che dire delle altre creature inferiori, quando sappiamo che, durante l'inverno, si
preoccupava addirittura di far preparare per le api miele e vino perché non morissero
di freddo? Magnificava con splendida lode la laboriosità e la finezza d'istinto che Dio
aveva loro elargito, gli accadeva di trascorrere un giorno intero a lodarle, quelle e
tutte le altre creature.
459 Come un tempo i tre fanciulli gettati nella fornace ardente invitavano tutti gli
elementi a glorificare e benedire il Creatore dell'universo, così quest'uomo, ripieno
dello spirito di Dio, non si stancava mai di glorificare, lodare e benedire, in tutti gli
elementi e in tutte le creature, il Creatore e governatore di tutte le cose.
460 81. E quale estasi gli procurava la bellezza dei fiori quando ammirava le loro
forme o ne aspirava la delicata fragranza! Subito ricordava la bellezza di quell'altro
Fiore il quale, spuntando luminoso nel cuore dell'inverno dalla radice di Iesse, col suo
profumo ritornò alla vita migliaia e migliaia di morti. Se vedeva distese di fiori, si
fermava a predicare loro e li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di
ragione, allo stesso modo le messi e le vigne, le pietre e le selve e le belle
campagne, le acque correnti e i giardini verdeggianti, la terra e il fuoco, l'aria e il
vento con semplicità e purità di cuore invitava ad amare e a lodare il Signore.
461
E finalmente chiamava tutte le creature col nome di fratello e sorella,
intuendone i segreti in modo mirabile e noto a nessun altro, perché aveva
conquistato la libertà della gloria riservata ai figli di Dio. Ed ora in cielo ti loda con
gli angeli, o Signore, colui che sulla terra ti predicava degno di infinito amore a tutte
le creature .
462 82. È impossibile comprendere umanamente la sua commozione, quando
proferiva il tuo Nome, o Dio! Allora, travolto dalla gioia e traboccante di castissima
allegrezza, sembrava veramente un uomo nuovo e di altro mondo. Per questo,
ovunque trovava qualche scritto, di cose divine o umane, per strada, in casa o sul
pavimento, lo raccoglieva con grande rispetto riponendolo in un luogo sacro o almeno
decoroso, nel timore che vi si trovasse il nome del Signore, o qualcosa che lo
riguardasse.
463 Avendogli una volta un confratello domandato perchè raccogliesse con tanta
premura perfino gli scritti dei pagani o quelli che certamente non contenevano il
nome di Dio, rispose: «Figlio mio, perché tutte le lettere possono comporre quel
nome santissimo; d'altronde, ogni bene che si trova negli uomini, pagani o no, va
riferito a Dio, fonte di qualsiasi bene!». Cosa ancor più sorprendente, quando faceva
scrivere messaggi di saluto o di esortazione, non permetteva che si cancellasse alcuna
parola o sillaba, anche se superflua o errata.
464 83. Quanto era incantevole, stupendo e glorioso nella sua innocenza, nella
semplicità della sua parola, nella purezza di cuore, nell'amore di Dio, nella carità
fraterna, nella prontezza dell'obbedienza, nella cortesia, nel suo aspetto angelico! Di
carattere mite, di indole calmo, affabile nel parlare, cauto nell'ammonire,
fedelissimo nell'adempimento dei compiti affidatigli, accorto nel consigliare, efficace
nell'operare, amabile in tutto. Di mente serena, dolce di animo, di spirito sobrio,
assorto nelle contemplazioni, costante nell'orazione e in tutto pieno di entusiasmo.
Tenace nei propositi, saldo nella virtù, perseverante nella grazia, sempre uguale a se
stesso. Veloce nel perdonare, lento all'ira, fervido di ingegno, di buona memoria, fine
nelle discussioni, prudente nelle decisioni e di grande semplicità. Severo con sé,
indulgente con gli altri.
465 Era uomo facondissimo, di aspetto gioviale, di sguardo buono, mai indolente e
mai altezzoso. Di statura piuttosto piccola, testa regolare e rotonda, volto un po'
ovale e proteso, fronte piana e piccola, occhi neri, di misura normale e tutto
semplicità, capelli pure oscuri, sopracciglia diritte, naso giusto, sottile e diritto,
orecchie dritte ma piccole, tempie piane, lingua mite, bruciante e penetrante, voce
robusta, dolce, chiara e sonora, denti uniti, uguali e bianchi, labbra piccole e sottili,
barba nera e rara, spalle dritte, mani scarne, dita lunghe, unghie sporgenti, gambe
snelle, piedi piccoli, pelle delicata, magro, veste ruvida, sonno brevissimo, mano
generosissima. Nella sua incomparabile umiltà si mostrava buono e comprensivo con
tutti, adattandosi in modo opportuno e saggio ai costumi di ognuno. Veramente più
santo tra i santi, e tra i peccatori come uno di loro. O Padre santissimo, pietoso e
amante dei peccatori, vieni dunque loro in aiuto, e per i tuoi altissimi meriti degnati
te ne preghiamo, di sollevare coloro che vedi giacere miseramente nella colpa!
CAPITOLO XXX
IL PRESEPIO Dl GRECCIO
466 84. La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più
ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare
fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima
e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.
467 Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue
opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione aveva
impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di
pensare ad altro.
468 A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione
quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il
giorno del Natale del Signore.
C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche
migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto
onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne.
Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso
faceva, lo chiamò a sé e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di
Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a
Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è
trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una
greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello». Appena l'ebbe ascoltato, il
fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto
l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
469 85. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono
qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari
della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per
illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò
tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto
secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si
pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente
risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio
è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La
gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo
mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati
cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e
di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucaristia sul presepio e
lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.
470 86. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta
con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce
tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il
neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare
Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e
quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di
tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva
«Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e
trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.
Vi si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti,
uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di
vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno
profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo,
il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il
ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata
quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.
471 87. Il fieno che era stato collocato nella mangiatoia fu conservato, perché per
mezzo di esso il Signore guarisse nella sua misericordia giumenti e altri animali. E
davvero è avvenuto che in quella regione, giumenti e altri animali, colpiti da diverse
malattie, mangiando di quel fieno furono da esse liberati. Anzi, anche alcune donne
che, durante un parto faticoso e doloroso, si posero addosso un poco di quel fieno,
hanno felicemente partorito. Alla stessa maniera numerosi uomini e donne hanno
ritrovato la salute.
Oggi quel luogo è stato consacrato al Signore, e sopra il presepio è stato
costruito un altare e dedicata una chiesa ad onore di san Francesco, affinché là dove
un tempo gli animali hanno mangiato il fieno, ora gli uomini possano mangiare, come
nutrimento dell'anima e santificazione del corpo, la carne dell'Agnello immacolato e
incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito ha donato se stesso
per noi. Egli con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna eternamente glorificato nei
secoli dei secoli. Amen.
Finisce la parte prima
della Vita e delle opere del beato Francesco.
PARTE SECONDA
Incomincia la parte seconda.
Ultimi due anni e felice transito
del beato padre nostro Francesco
CAPITOLO I
CONTENUTO DI QUESTA PARTE.
BEATO TRANSITO
E MIRABILE ASCESA DEL SANTO
472 88. Nella prima parte del nostro lavoro, condotto a termine con l'aiuto di Dio,
ci siamo soffermati sulla vita e sulle opere del beatissimo padre nostro Francesco fino
al diciottesimo anno della sua conversione; ora aggiungiamo brevemente le altre
notizie degne di fede, che abbiamo potuto raccogliere circa gli ultimi due anni della
sua vita. E vogliamo riferirne qui solo i dati essenziali, lasciando ad altri la via aperta
per una più ampia esposizione.
473 L'anno 1226, indizione XV, il 4 di ottobre, in giorno di domenica, in Assisi, sua
città natale, presso Santa Maria della Porziuncola, dove egli aveva fondato l'Ordine
dei frati minori, il beatissimo padre nostro Francesco, a vent'anni dalla sua piena
adesione a Cristo, seguendo la vita e gli esempi degli apostoli, si libera dal carcere
della carne, e portando a compimento la sua opera, se ne va felicemente nel
soggiorno dei beati. Tra inni e lodi il suo sacro corpo viene collocato e
riverentemente custodito in quella città, e a gloria di Dio rifulge per molti miracoli.
474 89. Poiché nella prima età era stato lasciato ignaro quasi del tutto delle realtà
divine, Francesco aveva trascorso parecchio tempo seguendo liberamente e
vogliosamente le passioni naturali; ma poi, quando la destra del Signore si volse verso
di lui, riuscì a districarsi dal peccato, e da allora, per grazia e virtù dell'Altissimo, fu
ripieno di sapienza divina più di tutti i suoi contemporanei. Infatti, in mezzo
all'avvilimento, non di pochi ma generale, in cui era caduta la dottrina evangelica, a
motivo dei costumi di coloro che la insegnavano, la Provvidenza di Dio mandò nel
mondo questo uomo, perché, come gli apostoli, fosse testimone della verità davanti a
tutti gli uomini. E realmente egli dimostrò con chiarezza, mediante la parola e
l'esempio, quanto fosse stolta la sapienza terrena, e in breve, sotto la guida di Cristo,
trascinò gli uomini, mediante la stoltezza della predicazione, alla autentica sapienza
divina.
475 Simile a un fiume del Paradiso, il nuovo evangelista di questo ultimo tempo, ha
diffuso con amorosa cura le acque del Vangelo per il mondo intero, e con le opere ha
additato la via e la vera dottrina del Figlio di Dio. Così in lui e per suo merito, il
mondo ritrovò una nuova giovinezza e una insperata esultanza, e il virgulto dell'antica
religione ha subito rinnovato rami, che erano ormai vecchi e decrepiti. Gli eletti
furono riempiti di uno spirito nuovo e dell'abbondanza della grazia, quando questo
santo servo di Cristo, come astro celeste, ha irradiato la luce della sua originale
forma di vita e dei suoi prodigi.
476 Tramite Francesco si sono rinnovati gli antichi miracoli, quando nel deserto di
questo mondo è stata piantata una vite feconda, che produce, mediante un modo di
vita nuovo, ma fedele agli antichi, fiori profumati di sante virtù e stende ovunque i
tralci della santa religione.
477 90. La fragilità della condizione umana, che aveva in comune con noi, non lo
trattenne nell'osservanza dei precetti comuni; ma, trascinato da un amore intenso,
volle camminare la via della perfezione e raggiunse la vetta della più sublime santità
e contemplò il termine di tutta la perfezione(Sal 118,96).
Perciò ogni persona, di qualsiasi condizione, sesso ed età, può trovare in lui
limpide direttive di sana dottrina e splendidi esempi di opere virtuose. Chi vuole,
dunque, metter mano a cose grandi e conquistare i doni più alti della via della
perfezione, guardi nello specchio della sua vita e imparerà ogni perfezione. Chi
invece preferisse un cammino meno arduo e esercizi più modesti, temendo di non
farcela a scalare la cima del monte, guardi ancora a lui: vi troverà gli insegnamenti
adatti anche a questo grado di vita spirituale. Chi infine va alla ricerca di rivelazioni
prodigiose e di miracoli, badi alla santità di Francesco e sarà accontentato.
478 Proprio la sua vita gloriosa illumina la perfezione dei primi santi di luce più
fulgida: lo provano e lo manifestano in modo evidentissimo la Passione di Gesù Cristo
e la croce di lui. E veramente il venerabile padre portava impressi nella carne i
cinque segni della passione e della croce, come se fosse stato appeso alla croce con
lo stesso Figlio di Dio. Questo sacramento è grande(Cfr Ef 5,32) e manifesta la
sublimità della prerogativa dell'amore; ma esso cela un arcano disegno e un sublime
mistero, noto solo a Dio, crediamo, e rivelato in parte dallo stesso Santo ad una sola
persona.
E perciò non conviene fermarsi più a lungo a lodare il Santo, dal momento che è
stato esaltato da Colui che è di tutti lode, il Signore, sorgente e splendore
inesauribile e che dà in premio l'eterna luce. Benedicendo, dunque, Iddio, santo, vero
e glorioso, riprendiamo la semplice narrazione dei fatti.
CAPITOLO II
IL DESIDERIO PIÙ GRANDE DI FRANCESCO,
E COME, APRENDO IL LIBRO DEL VANGELO,
CONOBBE IL VOLERE DI DIO
NEI SUOI CONFRONTI
479 91. Desiderando il beato e venerabile padre Francesco, occuparsi solo di Dio e
purificare il suo spirito dalla polvere del mondo che eventualmente l'avesse
contaminato nel suo stare con gli uomini, un giorno si ritirò in un luogo di
raccoglimento e di silenzio, abbandonando le folle che ogni giorno accorrevano
devotamente a lui per ascoltarlo e vederlo. Egli era solito dividere e destinare il
tempo che gli era concesso, per acquistar grazie, secondo che gli sembrava più
opportuno, una parte per il bene del prossimo, l'altra riservata alla contemplazione
solitaria. Prese pertanto con sé pochissimi compagni, tra i più intimi e partecipi della
sua vita, perché lo salvaguardassero dalle visite e dal disturbo degli uomini e fossero
custodi amorosi e fedeli della sua quiete. Rimase in quella solitudine per un certo
periodo, e avendo con la preghiera intima e la frequente contemplazione raggiunta
una straordinaria familiarità con Dio, bramava sapere che cosa di lui e in lui potesse
essere più gradito all'eterno Re.
480 Intanto studiava con tutta la sua mente e con tutto l'amore di conoscere quale
modo e quale via potevano essere più adatti per raggiungere una unione ancora più
perfetta col Signore Dio, secondo il disegno e il decreto della Sua volontà. E questa fu
sempre la sua unica filosofia, il suo supremo desiderio nel quale bruciò finché visse; e
chiedeva a tutti, ai semplici come ai sapienti, ai perfetti come agli imperfetti, come
poter raggiungere la via della verità e pervenire a mete sempre più alte.
481 92. In realtà, pur essendo egli perfettissimo tra i perfetti, non ammettendolo,
si stimava il più imperfetto di tutti. Aveva infatti gustato e provato personalmente
quanto è dolce, soave e buono il Dio d'Israele per i retti di cuore (Sal 72,1), che lo
cercano sempre con semplicità pura e con purezza vera. La dolcezza e soavità, che
egli sentiva infusa dall'alto nella sua anima, dono rarissimo concesso a pochissimi, lo
spingeva a dimenticare totalmente se stesso, e allora, riboccante di tale gaudio,
bramava con tutte le forze ascendere alla vita immortale degli spiriti eletti, dove
uscendo da se stesso col desiderio in parte si era già elevato. Ripieno dello spirito di
Dio, era pronto ad affrontare qualsiasi angustia di spirito, qualsiasi tormento nel
corpo, a patto che gli fosse concesso quanto bramava: che si compisse in lui
totalmente la misericordiosa volontà del Padre celeste.
482 A questo scopo, un giorno si accostò all'altare che era stato eretto in
quell'eremitorio, e vi depose sopra devotamente il libro dei Vangeli. Poi, prostrato in
preghiera non meno col cuore che col corpo, implorava umilmente Dio buono, padre
della misericordia e Dio di ogni consolazione (2Cor 1,3) che si degnasse manifestargli
il suo santissimo volere, e perché potesse condurre a compimento quello che un
tempo aveva intrapreso con semplicità e devozione, lo pregava e supplicava di
rivelargli alla prima apertura del libro quanto gli conveniva fare. Si conformava così a
quegli antichi grandi maestri di santità che avevano aigito, ispirati da Dio, in modo
analogo.
483 93. Terminata la preghiera, si alzò e con spirito di umiltà e contrizione di
cuore (Dn 3,9), fatto il segno della santa croce, prese il libro dall'altare e lo aprì con
riverenza e timore. Ora avvenne che alla apertura del libro, la prima cosa sulla quale
si posarono i suoi occhi fu la passione di nostro Signor Gesù Cristo, ma solo nel tratto
in cui viene predetta. Per timore che si trattasse di un caso fortuito, chiuse e
riaperse il libro una seconda e una terza volta, e risultò sempre un passo uguale o
somigliante. Il servo di Dio che era pieno dello Spirito di Dio, capì allora che sarebbe
entrato nel Regno dei Cieli solo attraverso innumerevoli tribolazioni, angustie e lotte.
Ma non si turbò il fortissimo soldato di Cristo al pensiero delle lotte che
l'attendevano, né si perse d'animo davanti alle battaglie del Signore che avrebbe
dovuto combattere sulla terra. Non poteva temere di soccombere davanti
all'avversario lui che non cedeva neppure davanti a se stesso dopo le lunghe e
sovrumane fatiche che aveva sostenuto. Era davvero di un fervore unico, e se nei
secoli passati si può trovare qualche suo emulo nei buoni propositi, tuttavia non si
riscontra chi lo uguagli nel fervore del desiderio. Gli riusciva più facile compiere le
cose più perfette che predicarle, poiché più che alle parole che rivelano la virtù ma
non fanno l'uomo virtuoso, impiegava tutte le sue forze in opere sante. Perciò, sicuro
e lieto cantava a sé e a Dio canti di letizia nel suo cuore (Ef 5,19). Per questo, a lui
che si è rallegrato tanto della rivelazione più piccola, ne viene elargita una ben
maggiore, ed essendo stato fedele nel poco, gli è dato autorità su molto(Mt 25,21).
CAPITOLO III
VISIONE DI UN UOMO
IN FIGURA DI SERAFINO CROCIFISSO
484 94. Allorché dimorava nel romitorio che dal nome del luogo è chiamato «Verna
», due anni prima della sua morte, ebbe da Dio una visione. Gli apparve un uomo, in
forma di Serafino, con le ali, librato sopra di lui, con le mani distese ed i piedi uniti,
confitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo, due si dispiegavano per
volare e due coprivano tutto il corpo.
A quell'apparizione il beato servo dell'Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione
infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e
sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo
guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel
vederlo confitto in croce nell'acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire,
triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con
ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato.
485 Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco:
nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che
aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso.
95. Le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano
visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla
parte opposta. Quei segni poi erano rotondi dalla parte interna delle mani, e
allungati nell'esterna, e formavano quasi una escrescenza carnosa, come fosse punta
di chiodi ripiegata e ribattuta. Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi
sporgenti sul resto della carne. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di
lancia, con ampia cicatrice, e spesso sanguinava, bagnando di quel sacro sangue la
tonaca e le mutande.
486 Ben pochi ebbero la fortuna di vedere la sacra ferita del costato del servo del
Signore stimmatizzato mentre egli era in vita. Ma fortunato frate Elia che, ancor
vivente il Santo, meritò di scorgerla almeno, e non meno fortunato frate Rufino che
la poté toccare con le proprie mani. Mentre una volta gli praticava una frizione sul
petto, la mano gli scivolò, come spesso capita, sul lato destro e così toccò quella
preziosa cicatrice. Francesco ne sentì grande dolore e allontanò la mano, gridando
che Dio lo perdonasse. Infatti con ogni cura teneva nascosto il prodigio agli estranei,
ma anche agli amici e ai confratelli, tanto che non ne seppero nulla per lungo tempo
perfino i suoi seguaci più intimi e devoti. Questo fedelissimo discepolo del Signore,
pur vedendosi ornato con tali meravigliosi segni, quasi perle preziosissime del Cielo e
coperto di gloria e onore più d'ogni altro uomo, non se ne gonfiò mai in cuor suo, né
mai cercò di vantarsene con alcuno per desiderio di gloria vana, al contrario,
temendo sempre che la stima degli uomini gli potesse rubare la grazia divina, si
industriava il più possibile di tenerla celata agli occhi di tutti.
487 96. Si era fatto Un programma di non manifestare quasi a nessuno il suo
straordinario segreto, nel timore che gli amici, non resistessero alla tentazione di
divulgarlo per amicizia, come suole accadere, e gliene venisse una diminuzione di
grazia. Aveva pertanto continuamente sulle labbra il detto del salmista: Nel mio
cuore ho riposto tutte le tue parole, per non peccare dinanzi a Te (Sal 118,11). Si era
addirittura accordato con i suoi fratelli e figli di ripetere questo versetto come segno
che intendeva troncare la conversazione coi borghesi che venivano da lui; a quel
segnale essi dovevano cortesemente licenziare i visitatori. Aveva sperimentato
quanto è nocivo all'anima comunicare tutto a tutti, e sapeva che non può essere
uomo spirituale colui che non possiede nel suo spirito segreti più numerosi e profondi
di quelli che potevano essere letti sul viso e giudicati in ogni loro parte dagli uomini.
Si era infatti imbattuto in persone che esteriormente mostravano d'essere d'accordo
con lui, mentre la pensavano diversamente: in sua presenza lo apprezzavano, in sua
assenza lo disprezzavano; e questi lo indussero a un giudizio di disapprovazione verso
di loro, e qualche volta gli resero un poco sospette anche persone che venivano a lui
con sentimenti retti.
Così purtroppo spesso avviene che la malignità cerca di screditare tutto ciò che
è puro, e poiché la menzogna è vizio di molti, si finisce per non credere più alla
sincerità dei pochi.
CAPITOLO IV
FERVORE DI SAN FRANCESCO
E SUA MALATTIA AGLI OCCHI
488 97. In quello stesso periodo, il suo corpo cominciò ad essere tormentato da
mali fisici diversi e più violenti. Soffriva infatti parecchie malattie in conseguenza
delle aspre penitenze cui già da anni sottoponeva il suo corpo. Esattamente per
diciott'anni, quanti erano passati da quando aveva cominciato le sue peregrinazioni
per varie e vaste regioni, impegnato a diffondere la parola evangelica, animato da
costante e ardente spirito di fede, quasi mai si era preoccupato di dare un po' di
riposo alle sue membra affrante. Aveva riempito la terra del Vangelo di Cristo. Era
capace di passare per quattro o cinque città in un sol giorno, annunciando a tutti il
Regno di Dio. Edificava gli uditori non meno con l'esempio che con la parola, si
potrebbe dire divenuto tutto lingua.
489 L'accordo tra lo spirito e la carne appariva in lui così perfetto, che
quest'ultima, invece di costituire un ostacolo al primo, lo precedeva nella corsa verso
la santità, come dice la Scrittura: Di Te ha sete la mia anima, e quanto anche la mia
carne (Sal 62,2). L'obbedienza assidua aveva finito per rendere volontaria questa
sottomissione, e questa docilità di ogni giorno l'aveva reso luogo proprio di una
grande virtù; infatti spesso la consuetudine si tramuta in natura.
490 98. Ma poiché è legge di natura ineluttabile che il corpo si consumi ogni giorno,
mentre lo spirito si può ringiovanire, avvenne che quell'involucro preziosissimo che
racchiudeva quel celeste tesoro, cominciò a cedere da tutte le parti e a indebolirsi
notevolmente. Siccome però, come dice la Scrittura: Quando un uomo ha finito,
allora comincia e quando sarà consumato opererà (Sal 18,6), si vide il suo spirito farsi
più pronto nella carne inferma. Tanto vivo era il suo amore per la salvezza delle
anime, che per conquistarle a Dio, non avendo più la forza di camminare, se ne
andava per le contrade in groppa ad un asinello. Spesso i confratelli con dolce
insistenza lo invitavano a ristorare un poco il suo corpo infermo, e troppo debole con
cure mediche, ma egli, che aveva lo spirito continuamente rivolto al cielo, declinava
ogni volta l'invito, poiché desiderava soltanto sciogliersi dal corpo per essere con
Cristo(Fil 1,23).
491 Anzi, poiché non aveva ancora completato nella sua carne quanto mancava
alla Passione di Cristo (Cof Col 1,24), sebbene ne portasse nel corpo le stimmate,
incorse in una gravissima malattia d'occhi, come se Iddio mandasse a lui un nuovo
segno della sua misericordia. E siccome quella malattia si aggravava di giorno in
giorno e sembrava peggiorare per la mancanza di ogni cura, frate Elia, che Francesco
aveva scelto come madre per sé e costituito padre per gli altri frati, lo costrinse a
non rifiutare i rimedi della medicina in nome del Figlio di Dio, che la creò, secondo la
testimonianza della Scrittura: l'Altissimo ha creato in terra la medicina e il savio non
la respingerà (Sir 38,4). A quelle parole Francesco obbedì.
CAPITOLO V
AL CARDINALE UGOLINO, VESCOVO DI OSTIA,
CHE LO RICEVE BENEVOLMENTE A RIETI,
IL SANTO PREDICE LA NOMINA A SOMMO PONTEFICE
492 99. Si provarono diversi medici con rimedi diversi, ma non se ne fece nulla;
allora Francesco si recò a Rieti, dove si diceva dimorasse uno specialista molto
esperto per la cura di quel male. A1 suo arrivo fu accolto benevolmente e con amore
da tutta la curia romana, che in quel periodo risiedeva in quella città, ma in modo
tutto particolare lo ricevette con tanta devozione il cardinale Ugolino, vescovo di
Ostia, famoso allora per rettitudine e santità di vita.
493 Il beato Francesco lo aveva scelto col consenso e beneplacito del papa Onorio
III, come signore e protettore del suo Ordine, proprio perché gli era cara la beata
povertà e onorava assai la santa semplicità. Questo prelato imitava la vita dei frati e,
desideroso di raggiungere la santità, era semplice con i semplici, umile con gli umili,
povero con i poveri. Era un frate tra i frati, tra i minori il più piccolo e, per quanto gli
era consentito, si ingegnava a diportarsi sempre come uno di loro nella sua vita e nei
suoi costumi. Era sollecito di dilatare ovunque l'Ordine minoritico e, d'altra parte, la
fama della sua vita santa contribuiva a diffonderlo maggiormente anche nelle regioni
più lontane. Il Signore gli aveva donato sapienza ed eloquenza, ed egli se ne serviva
per confutare e confondere i nemici della verità e della Croce di Cristo, ricondurre gli
erranti sulla retta via, ricomporre le liti e rinsaldare il vincolo della carità tra i
fratelli. Era nella Chiesa di Dio lampada che arde e illumina, saetta scelta, tenuta in
serbo per il momento opportuno. Quante volte, deposte le ricche vesti e indossatene
altre rozze, lo si vedeva andarsene a piedi scalzi come un frate minore, per portare
la pace. Ogni volta che gli si presentava l'occasione, si adoperava con ardore a
ristabilire questa pace tra l'uomo e il prossimo e tra l'uomo e Dio. Per questo il
Signore lo scelse poco tempo dopo come Pastore di tutta la sua santa Chiesa,
conferendogli autorità e potenza su tutti i popoli.
494 100. Perché si riconoscesse che questo avvenne per divina ispirazione e
volontà di Cristo, il beato padre Francesco lo profetizzò con le parole e lo significò
con i fatti molto tempo prima. Quando infatti l'Ordine e religione dei frati
incominciava, sostenuto dalla grazia di Dio, a dilatarsi, a innalzare nel cielo, come
cedro del Signore, la cima dei suoi meriti, e ad estendere, come vigna eletta, i suoi
santi tralci su tutta la terra, il beato Francesco si recò da papa Onorio III, capo della
Chiesa romana in quegli anni, supplicandolo umilmente di concedere a lui e ai suoi
frati in qualità di padre e signore, Ugolino, vescovo di Ostia. Il Pontefice esaudì la
richiesta del Santo, e ben volentieri delegò la sua giurisdizione sull'Ordine a Ugolino.
Questi la ricevette con umile riverenza e, come il servo fedele e prudente costituito
sopra la casa del Signore, si impegnò in tutti i modi ad assicurare il cibo della vita a
tutti coloro che erano stati affidati alle sue cure.
495 Perciò il beato padre, da parte sua, si studiava di essergli sempre docile e lo
venerava con amore e devozione. Poiché si lasciava condurre dallo Spirito di Dio, di
cui era ricolmo, il beato Francesco intuiva molto tempo prima ciò che poi si sarebbe
realizzato agli occhi di tutti. Ecco perché quando gli scriveva per cose relative
all'Ordine di cui condividevano la responsabilità, o più spesso per l'amore che gli
portava in Cristo, nelle sue lettere non si limitava mai a chiamarlo Vescovo di Ostia e
di Velletri, come usavano gli altri nei saluti di convenienza, ma, non senza ragione, lo
salutava: «Ugolino, vescovo di tutto il mondo!». Spesso poi lo salutava con
benedizioni mai udite prima e benché gli fosse sottomesso come figlio deferente,
talvolta, per ispirazione celeste, lo consolava con fare paterno, quasi a rafforzare su
di lui le benedizioni dei padri, fino alla venuta di colui che è il desiderio dei colli
eterni(Gen 49,26).
496 101. Il cardinale Ugolino, a sua volta, nutriva profondo affetto per il Santo;
gradiva quindi ogni sua parola e atto, anzi spesso si rasserenava tutto al solo vederlo.
Egli stesso afferma di non aver mai avuto turbamenti d'animo per quanto grandi, che
la vista e le parole di Francesco non bastassero ad eliminare, disperdendo le nubi
dello spirito ed ogni tristezza, e riportandovi la serenità e la gioia. Si diportava con
Francesco come il servo rispetto al suo padrone; lo ossequiava come un apostolo di
Cristo, e sovente, inchinandosi, lo riveriva, baciandogli le mani
497 Con devozione e sollecitudine si preoccupava di trovare un rimedio per far
ricuperare al beato padre la sanità degli occhi, perché lo riteneva un uomo santo e
giusto e necessario e molto utile alla Chiesa di Dio. Condivideva il timore e la
preoccupazione di tutta la famiglia dei frati per lui, e nella persona del Padre aveva
pietà dei figli. Perciò esortava il beato padre, a prendersi cura di sé e a non ricusare i
mezzi necessari, ricordandogli che questa trascuratezza gli poteva essere imputata a
peccato piuttosto che a merito.
In spirito di umile obbedienza a questi autorevoli ammonimenti, san Francesco
decise di avere con meno scrupolo un po' di riguardo per il suo male. Ma era ormai
troppo tardi. Il male si era tanto aggravato, che per ricavarne anche solo un piccolo
beneficio si richiedevano somma perizia medica e strazianti rimedi. Difatti, gli si
bruciarono con ferri roventi le parti del capo credute lese, si incisero delle vene, si
applicarono impiastri, si iniettarono collirii ma senza alcun miglioramento; anzi,
l'infermità parve peggiorare sempre più.
CAPITOLO VI
VIRTÙ DEI FRATI
CHE SERVIVANO SAN FRANCESCO.
QUAL ERA IL SUO PROGETTO Dl VITA
498 102. Il Santo sopportò tutte queste infermità per quasi due anni, con ogni
pazienza e umiltà, in tutto rendendo grazie a Dio. Ma per poter attendere con
maggior libertà e devozione a Dio, e percorrere le celesti dimore nelle frequenti
estasi e potersi finalmente collocare in cielo davanti al dolcissimo e serenissimo
Signore dell'universo, ben provvisto di meriti, affidò la cura della sua persona ad
alcuni frati, veramente degni della sua predilezione
499 Erano uomini assai virtuosi, devoti a Dio, cari ai santi del cielo e amati dagli
uomini sulla terra, e su di essi il beato Francesco si appoggiava come casa su quattro
colonne. Ne ometto i nomi per riguardo alla loro modestia, virtù che, da veri
religiosi, amano molto cordialmente. La modestia infatti è il decoro di tutte le età,
testimone di innocenza, indizio d'un cuore puro, verga di disciplina, gloria particolare
della coscienza, garanzia della buona riputazione, pregio e coronamento della
perfetta rettitudine. Questa virtù era loro comune e li rendeva graditi e amabili a
tutti.
Ciascuno poi aveva una virtù propria: il primo era particolarmente discreto, il
secondo mirabilmente paziente, il terzo di encomiabile semplicità, l'ultimo era
robusto di corpo e mite di animo. Essi con ogni diligenza, cura e buona volontà
difendevano il raccoglimento spirituale del beato padre, curavano la sua malattia
senza risparmiarsi pene e fatiche, felici di dedicarsi totalmente al servizio di lui.
500 103. Francesco, sebbene già fosse arricchito di ogni grazia davanti a Dio e
risplendesse per le sue sante opere davanti agli uomini, pensava di intraprendere un
cammino di più alta perfezione, e suscitare nuove guerre affrontando direttamente
da valorosissimo soldato il nemico. Si proponeva, sotto la guida di Cristo, di compiere
opere ancora più grandi, e sperava proprio, mentre le sue energie fisiche andavano
esaurendosi rapidamente di giorno in giorno, di riportare nel nuovo attacco un pieno
trionfo. Il vero coraggio infatti non conosce limiti di tempo, dal momento che
aspettava una ricompensa eterna. Perciò bramava ardentemente ritornare alle umili
origini del suo itinerario di vita evangelica e, allietato di nuova speranza per la
immensità dell'amore, progettava di ricondurre quel suo corpo stremato di forze alla
primitiva obbedienza dello spirito. Perciò allontanava da sé tutte le cure e lo strepito
delle considerazioni umane che gli potevano essere di ostacolo, e pur dovendo, a
causa della malattia, temperare necessariamente l'antico rigore, diceva:
«Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o
nessun profitto!». Non lo sfiorava neppure il pensiero di aver conquistato il traguardo
e, perseverando instancabile nel proposito di un santo rinnovamento, sperava sempre
di poter ricominciare daccapo. Voleva rimettersi al servizio dei lebbrosi ed essere
vilipeso, come un tempo; si proponeva di evitare la compagnia degli uomini e
rifugiarsi negli eremi più lontani, affinché, spogliato di ogni cura e deposta ogni
sollecitudine per gli altri, non ci fosse tra lui e Dio che il solo schermo della carne.
501 104. Vedeva molti avidi di onori e di cariche, e detestandone la temerità,
cercava di ritrarli da questa peste con il suo esempio. Diceva infatti che è cosa buona
e accetta a Dio assumersi il governo degli altri, ma sosteneva che dovevano
addossarsi la cura delle anime solo quelli che in quell'ufficio non cercano nulla per sé,
ma guardano sempre in tutto al volere divino; coloro cioè che niente antepongono
alla propria salute spirituale e non cercano l'applauso dei sudditi ma il loro profitto,
non la stima degli uomini, ma unicamente la gloria di Dio; coloro che non aspirano
alla prelatura, ma la temono, e se viene loro data non montano in superbia ma si
sentono più umili e, quando viene loro revocata, non si avviliscono ma ne godono.
Diceva ancora che soprattutto in un'epoca di malvagità e di iniquità come questa, c'è
grave pericolo nella prelatura e maggior vantaggio nell'essere governati. Provava
grande amarezza nel vedere che alcuni, abbandonato quello che avevano così bene
incominciato, dimenticavano la semplicità antica per seguire nuovi indirizzi. Perciò si
lamentava di alcuni, che un tempo erano tutti intenti a mete più elevate ed ora si
erano abbassati a cose vili e futili, abbandonati i veri gaudi dell'anima, si affannavano
a rincorrere frivolezze e realtà prive d'ogni valore nel campo di una malintesa libertà.
Per questo implorava la divina clemenza per la liberazione dei suoi figli e la
scongiurava con la devozione più grande perché li conservasse fedeli alla loro
vocazione.
CAPITOLO VII
RITORNO Dl FRANCESCO DA SIENA AD ASSISI.
LA CHIESA Dl SANTA MARIA DELLA PORZIUNCOLA
E LA BENEDIZIONE AI FRATI
502 105. Sei mesi prima della sua morte, dimorando a Siena per la cura degli occhi,
cominciò ad ammalarsi gravemente per tutto il corpo. A seguito di una rottura dei
vasi sanguigni dello stomaco, a causa della disfunzione del fegato, ebbe abbondanti
sbocchi di sangue, tanto da far temere imminente la fine. Frate Elia, a quella notizia,
accorse in fretta da lontano e, al suo arrivo, Francesco migliorò al punto che poté
lasciare Siena e recarsi con lui alle Celle presso Cortona. Ma dopo pochi giorni
dall'arrivo, il male riprese il sopravvento: gli si gonfiò il ventre, si inturgidirono
gambe e piedi, e lo stomaco peggiorò talmente che gli riusciva quasi impossibile
ritenere qualsiasi cibo. Chiese allora a frate Elia il favore di farlo riportare ad Assisi.
Da buon figliuolo questi eseguì la richiesta del caro padre prendendo tutte le
precauzioni necessarie, anzi ve lo accompagnò personalmente. L'intera città esultò
alla venuta del Santo e tutti ne lodavano Iddio, poiché tutto il popolo sperava che il
Santo finisse i suoi giorni tra le mura della sua città, e questo era il motivo di tale
esultanza.
503 106. E, certamente per divino volere, avvenne che quell'anima santa, liberata
dall'involucro corporale, volasse al cielo proprio nel luogo in cui, mentre era nel
corpo, aveva ricevuto la prima rivelazione delle verità soprannaturali ed aveva capito
la divina chiamata. Sapeva certamente che il Regno di Dio è in ogni parte della terra
e credeva veramente che ovunque i fedeli possono ricevere i suoi doni; ma
l'esperienza gli aveva insegnato che quel luogo che conteneva la chiesetta di Santa
Maria della Porziuncola era favorito e onorato da grazie celesti più abbondanti e da
frequenti visite di spiriti angelici. Pertanto diceva spesso ai frati: «Guardatevi, figli
miei, dal non abbandonare mai questo luogo. Se ne foste scacciati da una parte,
rientratevi dall'altra, perché questo luogo è veramente santo e abitazione di Dio. Qui,
quando eravamo pochi, l'Altissimo ci ha moltiplicati qui ha illuminato con la sua
sapienza i cuori dei suoi poverelli; qui ha acceso il fuoco del suo amore nelle nostre
volontà. Qui, chi pregherà con devozione, otterrà ciò che avrà chiesto, e chi lo
profanerà sarà maggiormente punito. Perciò, figli, stimate degno di ogni onore
questo luogo, dimora di Dio, e con tutto il vostro cuore, con voce esultante qui
inneggiate al Signore».
504 107. Intanto le sue condizioni si aggravavano sempre i più, tutte le forze lo
abbandonavano, e Francesco fu costretto all'immobilità. Eppure, quando un frate gli
domandò un giorno se preferisse sopportare quella sofferenza grave e incessante o il
martirio del carnefice, rispose: «O figlio, e sempre stato ed è per me più caro e dolce
e gradito ciò che al Signore mio Dio più piace avvenga in me, e alla sua volontà
soltanto voglio costantemente e in tutto trovarmi concorde, obbediente e docile. Ma
se dovessi fare un paragone, dovrei dire che sopportare anche solo per tre giorni
questa malattia mi sarebbe più doloroso di qualsiasi martirio; non parlo,
evidentemente, in riferimento al premio ma solo alla molestia che questa forma di
passione arreca ». O uomo due volte martire, che amorosamente e sorridendo di gioia
sopportava quello che per gli altri tutti era troppo spaventoso e doloroso a vedersi!
Non c'era in lui ormai membro alcuno che non fosse straziato da un solo dolore, e il
calore vitale l'abbandonava sempre più, preludio della fine imminente. Medici e frati
non riuscivano a capacitarsi come potesse il suo spirito continuare a vivere in una
carne ormai morta e tanto consunta che non possedeva più se non la pelle aderente
alle ossa.
505 108. Quando sentì che stava per giungere il momento della sua partenza da
questa terra,--come gli era stato anche indicato da una rivelazione divina due anni
prima,-- convocati attorno a sé i suoi frati che desiderava rivedere, impartì a
ciascuno la benedizione, conforme a quanto gli veniva indicato dal cielo, come un
tempo il patriarca Giacobbe benedisse i suoi figli, o meglio ancora come un altro
Mosé, che accingendosi a salire sul Sinai mostratogli da Dio, elargì copiose
benedizioni al popolo d'Israele.
506 Alla sua sinistra stava frate Elia e tutti attorno gli altri suoi figli. Egli allora
incrociò le braccia per porre la destre sul capo di frate Elia ed, essendo cieco,
domandò: « Su chi tengo la mia mano? ». «Su frate Elia », gli risposero. «Così voglio
anch'io», disse, e aggiunse: «Ti benedico, o figlio, in tutto e per tutto; e come
l'Altissimo, sotto la tua direzione, rese numerosi i miei fratelli e figlioli, così su te e
in te li benedico tutti. In cielo e in terra ti benedica Iddio, Re di tutte le cose. Ti
benedico come posso e più di quanto è in mio potere, e quello che non posso fare io,
lo faccia in te Colui che tutto può. Si ricordi Dio del tuo lavoro e della tua opera e ti
riservi la tua mercede nel giorno della retribuzione dei giusti. Che tu possa trovare
qualunque benedizione desideri e sia esaudita qualsiasi tua giusta domanda». «Addio
figli miei tutti, vivete nel timore di Dio e rimanete in Lui sempre, perché sta per
sopraggiungere su di voi una prova e tribolazione assai grande e paurosa. Beati quelli
che persevereranno nelle sante opere intraprese; non pochi purtroppo si separeranno
da loro a causa degli scandali. Quanto a me mi affretto verso il Signore; ho fiducia di
giungere al mio Dio cui ho servito devotamente nel mio spirito ».
507 Dimorava allora il Santo nel palazzo del vescovo di Assisi, e pregò i frati di
trasportarlo in fretta a Santa Maria della Porziuncola, volendo rendere l'anima a Dio
là dove, come abbiamo detto, per la prima volta aveva conosciuto chiaramente la via
della verità.
CAPITOLO VIII
ULTIME PAROLE E ATTI
PRIMA DELLA MORTE
508 109. Erano ormai trascorsi vent'anni dalla sua conversione e, come gli era stato
comunicato per divina rivelazione, la sua ultima ora stava per scadere. Era avvenuto
così. Mentre il beato Francesco e frate Elia dimoravano insieme a Foligno, una notte
apparve in sogno a frate Elia un sacerdote bianco-vestito, di aspetto grave e
venerando, che gli disse: «Va, fratello, e avverti Francesco che, essendosi compiuti
diciott'anni da quando rinunciò al mondo per seguire Cristo, gli rimangono solo due
anni e poi il Signore lo chiamerà a sé nell'altra vita ».
509 Così dunque stava per compiersi esattamente quanto la parola di Dio aveva
annunciato due anni prima. Da pochi giorni riposava in quel luogo tanto bramato, e
sentendo che l'ora della morte era ormai imminente, chiamò a sé due suoi frati e figli
prediletti, perché a piena voce cantassero le Lodi al Signore con animo gioioso per
l'approssimarsi della morte, anzi della vera vita. Egli poi, come poté intonò il salmo di
David: Con la mia voce al Signore grido aiuto, con la mia voce supplico il Signore (Sal
141,1).
510 Uno dei frati che lo assistevano, molto caro al Santo e molto sollecito di tutti i
frati, vedendo questo e conoscendo che la fine era vicina, gli disse: «Padre amato,
già i tuoi figli stanno per rimanere orfani e privi della luce dei loro occhi! Ricordati
dei figli che lasci orfani, perdona tutte le loro colpe e dona ai presenti e agli assenti
il conforto della tua benedizione». E Francesco: « Ecco, Dio mi chiama, figlio. Ai miei
frati presenti e assenti, perdono tutte le offese e i peccati e tutti li assolvo, per
quanto posso, e tu, annunciando questo, benedicili da parte mia ».
511 110. Poi si fece portare il libro dei Vangeli, pregando che gli fosse letto il
brano del Vangelo secondo Giovanni, che inizia con le parole: Sei giorni prima della
Pasqua, sapendo Gesù ch'era giunta l'ora di passare da questo mondo al Padre(Gv
12,1; 13,1). Questo stesso passo si era proposto di leggergli il ministro, ancora prima
di averne l'ordine, e lo stesso si presentò alla prima apertura del libro, sebbene quel
volume contenesse tutta intera la Bibbia.
512 E dato che presto sarebbe diventato terra e cenere, volle che gli si mettesse
indosso il cilicio e venisse cosparso di cenere. E mentre molti frati, di cui era padre e
guida, stavano ivi raccolti con riverenza e attendevano il beato «transito» e la
benedetta fine, quell'anima santissima si sciolse dalla carne, per salire nell'eterna
luce, e il corpo s'addormentò nel Signore.
513 Uno dei suoi frati e discepoli, molto celebre, del quale non dico il nome,
perché essendo tuttora vivente non vuole trarre gloria da un sì grande privilegio, vide
l'anima del santissimo padre salire dritta al cielo al di sopra di molte acque; ed era
come una stella, grande come la luna, splendente come il sole e trasportata da una
candida nuvoletta.
514 111. Mi si lasci, dunque, esclamare così: «Quanto glorioso è questo Santo, di
cui un discepolo contemplò l'anima ascendere in cielo. Bella come la luna,
splendente come il sole (Ct 6,9), mentre ascendeva raggiava di gloria in mezzo ad
una nube candida. O vera luce del mondo, che rifulgi più del sole nella Chiesa di
Cristo, già ci hai nascosto i tuoi raggi e, ritirandoti nella splendida patria celeste, hai
scambiato la nostra compagnia di miseri mortali con quella degli angeli e dei beati! O
insigne specchio della nostra religione, non deporre con la tua carne mortale la cura
dei tuoi figli. Tu sai bene in quali pericoli li hai lasciati, ora che nelle innumerevoli
fatiche e nelle frequenti prove non ci sei più tu che con la tua benevola presenza in
ogni momento li confortavi e li rianimavi. O padre santissimo, veramente
misericordioso, sempre pronto alla compassione e al perdono per i tuoi figli erranti!
Ti benediciamo, dunque, padre amoroso, unendo la nostra alla benedizione
dell'Altissimo, il quale è sempre Dio benedetto su tutte le cose. Amen.
CAPITOLO IX
PIANTO E GAUDIO DEI FRATI,
CHE AMMIRANO IN LUI .
I SEGNI DELLA CROCIFISSIONE
LE ALI DEL SERAFINO
515 112. Ed ecco, la gente accorre in massa, e glorifica Dio, dicendo: «Lodato e
benedetto sii tu, Signore, nostro Dio, che a noi indegni hai affidato questo prezioso
deposito. Lode e gloria a Te, Trinità ineffabile!». A frotte accorre tutto il popolo
d'Assisi e dei dintorni, per vedere i prodigi divini, che il Signore di maestà aveva
manifestato nel santo suo servo. Ciascuno innalzava un inno di giubilo, come il cuore
gli dettava, tutti poi benedicevano l'onnipotenza del Salvatore, che aveva esaudito il
loro desiderio. Ma i figli si dolevano d'essere stati privati di un tale padre e sfogavano
il loro dolore con lacrime e sospiri .
516 Pure, una gioia misteriosa temperava la loro mestizia e la novità del miracolo
riempiva le loro menti di straordinario stupore. Così il lutto si cambiò in cantico e il
pianto in giubilo. Infatti mai avevano udito né letto quello che ora vedevano con i
loro occhi, e a stento ci avrebbero creduto se non ne avessero avuto davanti una
prova così evidente. Veramente in Francesco appariva l'immagine della croce e della
Passione dell'Agnello immacolato (1Pt 1,19) che lavò i peccati del mondo: sembrava
appena deposto dal patibolo, con le mani e i piedi trafitti dai chiodi e il lato destro
ferito dalla lancia (Gv 19,34). Vedevano ancora la sua carne, che prima era bruna,
risplendere ora di un bel candore, una bellezza sovrumana, che comprovava in lui il
premio della beata resurrezione. Ammiravano infine il suo volto simile a quello di un
angelo (At 6,15), quasi fosse vivo e non morto, e le altre sue membra divenute
morbide e flessibili come quelle di un bimbo. Niente contrazione dei nervi,
indurimento della pelle, irrigidimento del corpo, come suole accadere per chi è
morto, ma la stessa mobilità di movimenti degli esseri viventi!
517 113. Mentre risplendeva davanti a tutti per sì meravigliosa bellezza e la sua
carne si faceva sempre più diafana, era meraviglioso scorgere al centro delle mani e
dei piedi, non i fori dei chiodi, ma i chiodi medesimi formati di carne dal color del
ferro e il costato imporporato dal sangue. E quelle stimmate di martirio non
incutevano timore a nessuno, bensì conferivano decoro e ornamento, come pietruzze
nere in un pavimento candido.
518 I suoi frati e figli accorrevano solleciti e piangendo baciavano le mani e i piedi
del padre amoroso che li aveva lasciati, ed anche quel lato destro sanguinante,
ricordo di Colui che versando sangue e acqua dal suo petto aveva riconciliato il
mondo (Gv 19,34; Rm 5,10) con il Padre. Ognuno dei fedeli stimava grandissimo
privilegio se riusciva, non dico a baciare ma anche solo a vedere le sacre stimmate di
Cristo che Francesco portava impresse nel suo corpo (Cfr Gal 6,17). Chi a tal vista non
avrebbe gioito più che pianto, versato lacrime di gaudio piuttosto che di tristezza?
Qual cuore di ferro o di pietra avrebbe resistito all'emozione, non si sarebbe aperto
all'amore di Dio, non si sarebbe munito di buona volontà? Chi poteva essere così
insensibile o cieco da non comprendere in maniera lampante che quel Santo, che era
insignito sulla terra di così eccezionale grazia divina, doveva essere pure in cielo
contrassegnato da indicibile gloria?
519 114. O dono davvero speciale e testimonianza di predilezione, che il soldato sia
onorato con quelle stesse armi gloriose che si addicono al solo re! O prodigio degno di
memoria eterna, o sacramento meraviglioso, degno di perenne e devoto rispetto,
poiché esso rappresenta in maniera visibile alla nostra fede l'ineffabile mistero per il
quale il sangue dell'Agnello immacolato, sgorgando a fiotti da cinque ferite, lavò i
peccati del mondo! O eccelso splendore di quella croce che è fonte di vita e dà la
vita ai morti e il suo peso preme così soavemente e punge con tale dolcezza che in
essa la carne morta rivive e lo spirito infermo si ristora! Quanto ti ha amato
Francesco, se tu l'hai così mirabilmente decorato! Sia benedetto e glorificato Dio,
unico e sapiente, che rinnova i suoi miracoli per confortare i deboli e mediante le
meraviglie visibili conquistarne gli animi all'amore di quelle invisibili! O meravigliosa
e amorosa disposizione divina, che per fugare ogni dubbio sulla novità del prodigio,
ha compiuto prima con infinita misericordia in Colui che venne dal cielo quello che
poi avrebbe realizzato nell'uomo della terra! E veramente il padre della misericordia
(2Cor 1,3) ha voluto mostrare di qual premio sia degno colui che si sarà impegnato ad
amarlo con tutto il cuore: essere cioè accolto tra le schiere più elette e vicine a Dio,
quelle degli angeli.
520 Quel premio anche noi, senza alcun dubbio, potremo raggiungerlo se, come il
Serafino, terremo due ali diritte sopra il capo (Ez 1,23), se cioè, sull'esempio del
beato Francesco, conserveremo in ogni opera buona purezza d'intenzione e
rettitudine d'azione, così da rivolgerle a Dio, impegnandoci senza stanchezza a
seguire in tutto il suo volere. É necessario che queste ali siano congiunte, coprendo il
capo(Ez 1,23), poiché il Padre dei lumi non gradirebbe l'opera buona, se non fosse
unita alla purità d'intenzione. Ha detto infatti il Signore: Se il tuo occhio è sano,
tutto il tuo corpo sarà illuminato, ma se il tuo occhio è torbido, il tuo corpo sarà
nelle tenebre(Mt 6,23). Occhio semplice poi non è quello che non vede ciò che va
visto, per mancanza di conoscenza della virtù, e neppure quello che vede ciò che non
va veduto, perché non ha intenzione pura. É chiaro infatti che nel primo caso non
sarebbe semplice, ma cieco, e nel secondo è malvagio. E le penne di queste ali
indicano l'amore di Dio Padre misericordioso che salva e il timore di Cristo, giusto
giudice; due disposizioni queste che devono staccare le anime degli eletti dalle cose
terrene, reprimendo le cattive tendenze e suscitando casti sentimenti. Il secondo
paio di ali simboleggia il duplice precetto della carità verso il prossimo: confortare
l'anima con la parola di Dio e aiutare il corpo con i mezzi materiali. Difficilmente esse
si congiungono, perché assai di rado un'unica persona può attendere ai due compiti;
le loro penne rappresentano le diverse opere per svolgere la funzione di consiglio e
soccorso al prossimo. Le ultime due ali devono coprire il corpo ogni volta che questo,
denudato a causa del peccato, viene di nuovo rivestito dell'innocenza mediante il
pentimento e la confessione. Le loro penne raffigurano tutti i buoni affetti e desideri
suscitati nell'anima dalla detestazione delle colpe e dal desiderio di giustizia.
521 115. Tutto questo realizzò a perfezione il beato padre Francesco, che ebbe
figura e forma di Serafino e, perseverando a vivere crocifisso, meritò di volare
all'altezza degli spiriti celesti. E veramente non si staccò mai dalla croce, perché non
si sottrasse mai a nessuna fatica e sofferenza, pur di realizzare in sé e di sé la volontà
del Signore.
522 I frati che vissero con lui, inoltre sanno molto bene come ogni giorno, anzi ogni
momento affiorasse sulle sue labbra il ricordo di Cristo; con quanta soavità e
dolcezza gli parlava, con quale tenero amore discorreva con Lui. La bocca parlava per
l'abbondanza dei santi affetti del cuore, e quella sorgente di illuminato amore che lo
riempiva dentro, traboccava anche di fuori. Era davvero molto occupato con Gesù.
Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli
occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra. Quante volte, mentre sedeva
a pranzo, sentendo o pronunciando lui il nome di Gesù, dimenticava il cibo temporale
e, come si legge di un santo, «guardando, non vedeva e ascoltando non udiva». C'è di
più, molte volte, trovandosi in viaggio e meditando o cantando Gesù, scordava di
essere in viaggio e si fermava a invitare tutte le creature alla lode di Gesù. Proprio
perché portava e conservava sempre nel cuore con mirabile amore Gesù Cristo, e
questo crocifisso, perciò fu insignito gloriosamente più di ogni altro della immagine di
Lui, che egli aveva la grazia di contemplare, durante l'estasi, nella gloria indicibile e
incomprensibile seduto alla «destra del Padre», con il quale l'egualmente altissimo
Figlio dell'Altissimo, assieme con lo Spirito Santo vive e regna, vince e impera, Dio
eternamente glorioso, per tutti i secoli. Amen!
CAPITOLO X
IL PIANTO DELLE POVERE DAME Dl SAN DAMIANO
E LA GLORIOSA SEPOLTURA Dl FRANCESCO
523 116. I suoi frati e figli insieme alle folle accorse dai paesi vicini per avere la
gioia di partecipare ai solenni funerali, passarono l'intera notte in cui Francesco morì,
pregando e salmodiando; ed era tale la dolcezza dei canti e lo splendore delle luci da
far pensare ad una veglia di angeli.
All'indomani all'alba arrivarono i cittadini di Assisi con tutto il clero e,
prelevando il sacro corpo, lo trasportarono onorevolmente in città tra inni e canti e
squilli di trombe. Celebrando insieme la solennità di quelle esequie, tutti si erano
muniti di rami d'ulivo e di altri alberi e procedevano cantando a piena voce preghiere
e lodi al Signore nello splendore di innumerevoli ceri. I figli portavano il loro Padre, il
gregge seguiva il suo pastore, che li aveva preceduti incontro al Pastore universale.
524 Quando giunsero al luogo dove egli aveva fondato l'Ordine religioso delle sacre
vergini e Donne Povere, deposero il sacro corpo nella chiesa di San Damiano, dove
dimoravano quelle sue figlie dilette ch'egli aveva conquistate al Signore e fu aperta la
piccola grata attraverso la quale le ancelle di Cristo sogliono ricevere nei tempi
stabiliti l'Eucarestia. Fu aperto anche il feretro, che conteneva quel tesoro di celesti
virtù, portato ora da pochi, lui che era solito portare molti durante la sua vita . Ed
ecco, donna Chiara, che era veramente chiara per ricchezza di meriti, prima madre
di tutte le altre, perché era stata la prima pianticella di quella religiosa famiglia,
viene con le figlie a vedere il Padre che più non parla con loro e non ritornerà più tra
loro, perché se ne va altrove.
117. E guardandolo, piangendo e gemendo, con voce accorata, espressero così il loro
cordoglio trepidante e devoto: «O Padre, che cosa faremo ora noi, misere? Perché ci
abbandoni desolate? A chi ci affidi, così desolate? Perché non ci hai dato la gioia di
precederti nel Regno dei beati e invece ci lasci qui nel dolore? Come potremo vivere
nel nostro monastero, ora che più non verrai, come un tempo a visitarci? Con te se ne
va per noi, sepolte al mondo, ogni nostro conforto! Chi ci soccorrerà in questa
povertà di beni spirituali e materiali? O padre dei poveri, amante della povertà, chi ci
aiuterà nelle tentazioni? Tu lo potevi, perché ne avevi provate e superate tante! Chi
ci sosterrà nel momento delle tribolazioni, o tu che sei stato il nostro aiuto nelle
molte tribolazioni che già sperimentammo? O amarissimo distacco, tremenda
partenza; o morte inesorabile che uccidi migliaia di figli e di figlie, privandoli del loro
santissimo padre, mentre ti affretti a strapparci per sempre colui per merito del
quale il nostro buon volere, se pure ne abbiamo, raggiunse la sua migliore fioritura!
».
Ma il verginale pudore poneva un freno al pianto, né sembrava conveniente
piangere a dirotto su colui, il cui transito aveva richiamato schiere di angeli e
allietava tutti gli eletti del cielo! Così, sospese tra l'afflizione e la gioia insieme,
baciavano quelle splendide mani, ornate dalle stimmate raggianti come gemme
preziose. E dopo che ebbero rimosso il sacro corpo, fu richiusa quella porta che non
s'aprirà mai più a sì grande ferita. O quanto più grande il dolore di tutti alla vista
dell'accorato e filiale lamento di quelle vergini! Quanti, soprattutto, i gemiti dei figli
in pianto! Tutti partecipavano al dolore di ognuno di loro, così che non c'era nessuno
che riuscisse a trattenere le lacrime, al vedere quegli angeli di pace piangere così
desolatamente (Cfr Is 33,7).
525 118. Giunti finalmente in città, con gioiosa esultanza tumularono il venerabile
corpo in un luogo già sacro, ma ora più sacro, perché santificato dalla presenza delle
spoglie di Francesco. Qui egli, a gloria dell'onnipotente e sommo Iddio, continua a
illuminare il mondo con i miracoli, come prima l'aveva illuminato con la sua santa
predicazione. Siano rese grazie a Dio. Amen.
526 Ecco, o padre santissimo e benedetto: ho cercato di accompagnarti, come era
doveroso, con lodi che fossero degne di te, benché in una maniera veramente
insufficiente, ed ho scritto narrando qualcosa della tua vita.
Ricordati, o pietoso, dei tuoi poveri figli, ai quali non resta quasi più alcun
conforto ora che sei scomparso tu, che eri l'unico loro sostegno. Poiché sebbene tu,
che di loro sei la parte più nobile e principale, sei ammesso tra i cori angelici e
collocato sul trono glorioso degli apostoli, essi invece giacciono ancora nel fango,
come chiusi in un carcere oscuro; essi ti supplicano gementi: «Mostra, o padre, al
divin Figlio del sommo Padre le venerande stimmate di lui che tu hai sul costato;
mostra i segni della croce nelle tue mani e nei tuoi piedi, perché egli stesso, a sua
volta, si degni misericordiosamente di mostrare le sue ferite al Padre, il quale
certamente a quella vista sarà sempre benigno con noi miseri! Amen. Fiat! Fiat! ».
Qui finisce
la parte seconda
PARTE TERZA
Tratta della canonizzazione
del beato padre Francesco
e dei suoi miracoli
527 119. Il gloriosissimo padre Francesco, dunque, nel ventesimo anno della sua
conversione, concluse degnamente quella vita che aveva così felicemente
cominciato, e rese beatamente la sua anima a Dio. Nel cielo, coronato di gloria e di
onore e assiso tra i Cherubini, intercede con amorosa premura davanti al trono di Dio
per coloro che ha lasciato quaggiù. E come potrebbe restare senza risposta la
preghiera di questo eletto? Nelle sue stimmate è raffigurato Cristo che, uguale al
Padre, siede alla destra della divina Maestà, ed è splendore della sua gloria e figura
della sostanza di Dio, dopo aver espiati i nostri peccati(Eb 1,3). Non sarà esaudito
colui che, reso simile a Cristo Gesù nella condivisione della sua passione e morte,
porta nelle mani, nei piedi e nel costato le stesse ferite di Lui?
E veramente egli già allieta di nuovo gaudio il mondo e offre a tutti i mezzi
della vera salvezza. Irradia la terra con la luce fulgidissima dei miracoli, la illumina
come astro fulgente. Il mondo compiangeva se stesso quando fu privato della sua
presenza e per la sua morte gli pareva d'essere precipitato in un abisso di tenebre. Ma
ora, al sorgere di questa luce nuova, investito da raggi più fulgenti, come nel
meriggio, il mondo sente che tutta la tenebra si è dileguata. Il pianto è cessato,
rinasce la gioia, e le virtù tornano a fiorire per suo merito. Sia ringraziato Iddio! Dai
quattro punti cardinali stanno arrivando coloro che, beneficati dal suo patrocinio,
testimonieranno la verità di questa affermazione.
Proprio per questo, Francesco, singolare amatore delle realtà celesti, finché
visse quaggiù non volle mai possedere nulla di proprio, per poter possedere
totalmente e più gioiosamente il sommo Bene; ed ora è divenuto partecipe del tutto,
lui che non volle attaccarsi ad alcuna parte, ed ha scambiato il tempo con l'eternità.
Ovunque e a tutti viene in aiuto, e a tutti è presente e, da vero amante dell'unità,
ignora i danni della parzialità.
120. Quando viveva ancora tra i peccatori, percorreva predicando il mondo intero;
ora che regna tra gli angeli in cielo, vola più rapidamente del pensiero, come araldo
dell'Altissimo, a portare benefici salutari ai popoli. Perciò l'umanità intera lo onora,
lo venera, lo glorifica e lo loda, perché davvero tutti hanno parte a questo bene che
è per tutti.
529 Chi potrebbe narrare quanti e quali miracoli il Signore si è degnato operare per
mezzo suo in ogni parte del mondo? Innumerevoli, per esempio, sono quelli compiuti
nella sola Francia, dove il sovrano, la regina e tutti gli altri magnati accorrono a
baciare con riverenza il guanciale usato da Francesco nella sua infermità. Là, anche i
sapienti e i maggiori letterati del mondo, più numerosi in Parigi che altrove,
venerano, ammirano e onorano con umiltà e devozione Francesco, l'illetterato,
l'amico della semplicità, dal cuore incomparabilmente sincero e nobile. E quanto gli
si addice questo nome di «Francesco», a lui che ebbe cuore franco e nobile più di
ogni altro!
E che dire delle altre parti del mondo, dove, in virtù dei suoi poveri indumenti,
guariscono malattie e infermità, e moltitudini di uomini e di donne sono liberati dai
loro malanni alla sola invocazione del suo nome ?
530 121. Anche alla sua tomba è un continuo fiorire di nuovi miracoli e con la
preghiera insistente si ottengono meravigliosi benefici spirituali e corporali: i ciechi
ricuperano la vista, i sordi l'udito, i muti la favella, gli storpi riprendono a camminare
speditamente, il gottoso ritorna agile, il lebbroso è mondato, l'idropico torna normale
e altri sofferenti di vari acciacchi riacquistano la salute desiderata Così quel corpo
che è morto risana i corpi vivi, come da vivo risuscitava le anime morte!
531 Queste meraviglie giungono all'orecchio del romano Pontefice, primo di tutti i
vescovi, guida dei cristiani capo del mondo, pastore della Chiesa, Unto del Signore e
Vicario di Cristo. Se ne rallegra sommamente, tripudia ed esulta perché vede la
Chiesa di Dio rinnovarsi nel suo tempo mediante gli antichi miracoli in modi nuovi e
proprio per opera del figlio suo, che si era portato nel seno, riscaldato nel grembo,
allattato con la sua parola, educato con il cibo della salvezza. Le odono anche gli
altri prelati e pastori del gregge cristiano, difensori della fede, amici dello Sposo,
suoi collaboratori, sostegni del mondo i venerandi cardinali, e ne godono con la
Chiesa e con il sommo Pontefice e ne lodano il Signore, che nella sua ineffabile
provvidenza e divina grazia e bontà infinita, ha scelto proprio le cose stolte e vili
secondo il mondo (1Cor 1,26) per attirare i grandi. Ascolta e applaude tutta la terra e
l'intera cristianità sovrabbonda di esultanza ed è pervasa di santa consolazione.
532 122. Ma all'improvviso l'orizzonte si oscura, esplodono nuove perturbazioni
sociali e religiose. Violente discordie e gelosie lacerano la serenità e la pace e
riaccendono la lotta all'interno della Chiesa. Il popolo romano, solitamente sedizioso
e altero, infuria contro la gente confinante e osa pure profanare le cose sacre. Il
magnanimo papa Gregorio si adopera con tutte le forze per arginare il male, frenare
l'odio e la violenza e difendere la Chiesa, come una torre ben salda. Ma i pericoli
aumentano, le stragi si fanno più frequenti; anche nel resto del mondo i perversi
insorgono superbamente contro Dio. Che fare? Il Pontefice, ponderate saggiamente le
circostanze presenti e le possibilità future, decide di abbandonare Roma ai rivoltosi,
per liberare e difendere almeno le altre regioni.
533 Si reca, dunque, a Rieti, dove è accolto con grande onore, quindi a Spoleto,
sempre riverito e onorato da tutti. Qui si trattiene alcuni giorni, e pur vigilando
sempre su gli interessi della Chiesa, si reca, in compagnia dei venerandi cardinali, a
far visita amichevole a certe ancelle di Cristo, sepolte per il mondo. La santa vita,
l'altissima povertà e la gloriosa istituzione di quelle sante vergini suscitano in lui e nei
suoi accompagnatori profonda commozione, li provocano al disprezzo del mondo e li
stimolano ad una vita più coerente con le esigenze del loro stato.
O umiltà, amabile nutrice di ogni virtù! Il principe del mondo cattolico,
successore di san Pietro apostolo, si degna far visita alle Donne Povere, si reca da
quelle umili e nascoste prigioniere! Un gesto di degnazione papale indubbiamente
conforme al carattere cristiano, ma senza precedenti nella storia.
534 123. Poi papa Gregorio si affretta a raggiungere Assisi, dove è custodito per lui
l'inclito tesoro che spazzerà via la dolorosa tribolazione. Al suo arrivo tutta la regione
è in giubilo, la città è pervasa di gioia, una grande folla accorre festante, e quel
giorno luminoso si riempie di letizia sincera. Tutti vengono ad incontrare il Pastore
supremo con solenne corteo. Anche il pio gruppo dei poveri frati gli si fa incontro, e
ciascuno canta inni all'Unto del Signore.
Appena arrivato al convento, il Vicario di Cristo subito si porta a salutare e a
rendere omaggio riverente al sepolcro di san Francesco. Sospira, si batte il petto,
piange e, in atto di grande devozione, piega il venerando capo su quella tomba.
535 Quindi dà apertura al solenne processo per la canonizzazione, convocando a
tale scopo spesse volte i venerandi cardinali. Or ecco, da ogni parte accorrono molti
che erano stati liberati dai loro mali per intercessione di Francesco. Si testimoniano i
suoi miracoli, si discutono si verificano e si approvano! Per un breve intervallo il Papa
deve correre a Perugia per impegni d'ufficio improrogabili; poi con maggiore e
speciale benevolenza torna ad Assisi per continuare l'importantissima causa. Di nuovo
a Perugia, finalmente, il Papa convoca il sacro collegio dei cardinali nelle sue camere
e celebra il sacro concistoro. Sono tutti d'accordo e unanimi; leggono i miracoli con
venerazione e lodano con grandissimi elogi la vita e la santità del beato padre.
536 124. «La santità di questo uomo -- essi affermano -- non ha bisogno della
verifica dei miracoli, noi stessi l'abbiamo vista con i nostri occhi (Cfr 1Gv 1,1) e
toccata con le nostre mani e vagliata alla luce della verità». Tutti tripudiano,
gioiscono e piangono insieme, e quelle lacrime sono per loro pienezza di benedizione.
E senza più indugio si fissa il giorno di grazia che riempirà il mondo di gaudio
salutare.
537 È già spuntato quel giorno solenne che rimarrà venerando in ogni tempo, e
avvolse di allegrezza la terra e il cielo. Vescovi, abati, prelati accorrono e si
riuniscono giungendo dalle regioni più lontane della terra; è presente anche un re e
grande moltitudine di conti e magnati. Si forma allora un pomposo corteo, e tutti, al
seguito del Signore del mondo, entrano solennemente nella città di Assisi.
Arrivati nel luogo preparato per quella solenne celebrazione, i cardinali, i
vescovi e gli abati si dispongono accanto al Papa, e dietro a loro un folto stuolo di
sacerdoti e di chierici, la sacra e gioiosa assemblea dei religiosi e la schiera delle
religiose avvolte di umiltà, e poi la folla immensa dei fedeli. Accorrono da ogni parte
persone di tutte le età, felici di essere presenti a così grande raduno: il bimbo vicino
all'uomo fatto, il servo vicino al padrone (Gb 3,19).
538 125. Domina al centro il sommo Pontefice, lo sposo della Chiesa di Cristo,
attorniato da tanta varietà di figli, con la corona sul capo in segno di gloria e di
santità. Adorno delle infule papali e dei paramenti sacri allacciati con fibbie d'oro
scintillanti di pietre preziose, l'Unto del Signore appare nello splendore della sua
gloria, rilucente di oro e di gemme istoriate, e attira gli sguardi di tutti. Lo
circondano cardinali e vescovi, similmente ornati di splendidi monili sulle vesti
candide, tanto da presentare quasi lo spettacolo celestiale e gioioso degli eletti.
539 Tutto il popolo attende una parola di gioia e di letizia nuova (Ger 25,10), dolce
e inneggiante, di perenne conforto e benedizione. Parla per primo papa Gregorio,
rivolto a tutta l'assemblea e annuncia con voce vibrante e affettuosa commozione le
meraviglie di Dio. Poi tesse un nobilissimo elogio del padre Francesco, commovendosi
fino alle lacrime mentre rievoca la purità della sua vita. Tema del suo discorso è il
passo del Siracide: Come la stella del mattino tra le nubi e come splende la luna nel
plenilunio, e come sole raggiante, così egli rifulse nel tempio di Dio(Sir 50,6-7).
Terminato quell'elogio, fedele e degno di fede, uno dei suddiaconi del
Pontefice, di nome Ottaviano, dà lettura davanti a tutti i fedeli dei miracoli del
Santo, e il cardinale diacono Ranieri, noto per ingegno e virtù, ne fa il commento con
eloquenza e viva emozione. Il Papa esulta e traendo dal petto profondi sospiri e
singhiozzi, lascia libero corso alle lacrime; e così tutti i prelati presenti, tanto da
bagnare di lacrime i sacri paramenti. E tutto il popolo piange, in amorosa e
impaziente attesa del grande annuncio.
540 126. Ed ecco: le mani levate verso il cielo, il beato Pontefice con voce tonante
grida e dice: «A lode e gloria dell'onnipotente Iddio, Padre e Figlio e Spirito
Santo, e ad onore della Chiesa romana, mentre veneriamo sulla terra il
beatissimo padre Francesco che il Signore ha glorificato nei cieli, dopo aver
raccolto il parere dei nostri fratelli (i cardinali) e degli altri prelati,
decretiamo che il suo nome sia iscritto nel Catalogo dei Santi e se ne
celebri la festa il giorno della sua morte ».
541 Appena terminato il solenne annuncio, i cardinali insieme col papa intonano ad
alta voce il «Te Deum ». La folla risponde cantando in coro le lodi del Signore. La
terra echeggia di voci immense, l'aria si riempie di inni di gioia, il suolo si bagna di
lacrime. Si elevano cantici nuovi, e nella melodia dello spirito esultano tutti i servi di
Dio. Si cantano con voci modulate inni spirituali, sostenuti dal dolce suono degli
strumenti. L'atmosfera è pregna di soavi profumi e la melodia rimbalza più festosa,
penetrando i cuori col suo incanto. Il giorno è radioso, illuminato da più splendidi
colori. Ondeggiano verdeggianti rami d'ulivo misti a fresche chiome d'altri alberi;
l'apparato di festa riverbera luminosità su tutti, e la benedizione di pace inonda di
gioia tutti i cuori.
542 Finalmente il beato papa Gregorio lascia il trono e attraverso gradini più umili
discende nel santuario per offrire doni e sacrifici, e bacia con gioioso trasporto la
tomba del Santo e consacrato a Dio; innalza molteplici preghiere e celebra i sacri
misteri. Lo circondano i frati, lodando, adorando e benedicendo Iddio che ha fatto
cose grandi sulla terra. Alle divine lodi si unisce il popolo che, in onore della altissima
Trinità, canta il suo ringraziamento a san Francesco. Amen.
Queste cose avvennero in Assisi, nel secondo anno del pontificato di Gregorio IX, il 16
luglio (1228).
I MIRACOLI DI SAN FRANCESCO
Nel nome di Cristo iniziano i miracoli del santissimo padre nostro Francesco
543 127. Invocando umilmente la grazia del Signor nostro Gesù Cristo, nell'intento
di eccitare la doverosa devozione dei contemporanei e corroborare la fede dei
posteri, prendiamo a narrare brevemente, ma secondo verità, i miracoli che, come
abbiamo sopra ricordato, furono letti e annunziati al popolo, presente il Signor papa
Gregorio.
PARALITICI GUARITI
544 Il giorno medesimo in cui il santo corpo di Francesco, come un preziosissimo
tesoro, fu sepolto cosparso di aromi celesti più che terrestri, venne condotta sulla
sua tomba una fanciulla, che già da un anno aveva il collo orribilmente piegato da
una parte e il capo aderente alla spalla, così che non poteva guardare in alto se non
di traverso e a gran fatica. Le misero per qualche istante il capo sotto l'urna in cui
riposava il corpo del Santo, immediatamente, per i meriti di lui, la fanciulla eresse il
collo e il capo riprese la sua posizione normale, tanto che essa, colta da spavento per
l'improvvisa trasformazione, cominciò a fuggire e a piangere. Sulla spalla si vedeva
come una fossa dovuta evidentemente alla posizione innaturale del capo durante la
lunga infermità
545 128. Nel territorio di Narni viveva un fanciullo con una tibia talmente
deformata che non poteva muoversi se non appoggiandosi su due stampelle. Era
povero e viveva di elemosine, poiché era ammalato da molti anni e non conosceva
neppure suo padre e sua madre. Per i meriti del beatissimo padre nostro Francesco
riacquistò piena salute, e camminava liberamente, senza bastone, lodando e
benedicendo Iddio e il suo servo fedele.
546 129. Un abitante di Foligno, di nome Nicolò, era paralizzato alla gamba
sinistra. Straziato dal dolore, aveva speso più di quanto potesse in medici, fino a
indebitarsi, nella speranza di ricuperare la salute. Vedendo che tutte le cure non
approdavano a nulla e rincrudendosi il dolore al punto che con i suoi ripetuti urli
nella notte impediva il sonno anche ai vicini, decise finalmente di votarsi a Dio e a
san Francesco, e si fece condurre sul sepolcro di lui. Vi rimase una notte intera in
preghiera. Ed ecco, poté tornare a casa con le proprie gambe, senza bastone, il cuore
pieno di gioia.
547 130. Un altro fanciullo aveva una gamba contorta in maniera tale che il
ginocchio aderiva al petto e il calcagno alla coscia. I genitori lo portarono al sepolcro
del Santo, e intanto il padre si era rivestito di un aspro cilicio, mentre la madre si
impegnava in una dolorosa penitenza per lui. Guarì così rapidamente e
completamente, che poteva correre tutto sano e lieto per la piazza, rendendo grazie
a Dio e al beato Francesco.
548 131. Nella città di Fano c'era un rattrappito, che aveva le tibie ulcerate,
ripiegate all'indietro e appiccicate al corpo e talmente maleodoranti che nessuno si
sentiva disposto ad accoglierlo in ospedale. Egli implorò la misericordia del
beatissimo padre Francesco, e poco dopo ebbe la gioia di vedersi completamente
ristabilito.
549 132. Una bambina di Gubbio dalle mani rattrappite, già da un anno aveva
perduto l'uso di tutte le membra. La balia, fiduciosa di ottenerne la guarigione, la
porta alla tomba di san Francesco, recando con sé anche una figura di cera della
misura della bimba. Dopo otto giorni di attesa, ecco avverarsi il miracolo: la piccola
inferma ricupera l'uso delle sue membra, così da essere ritenuta idonea alle faccende
di prima.
550 133. Un ragazzo di Montenero, incapace di camminare e di star seduto perché
paralizzato dalla cintola in giù, giaceva da più giorni privo di forze davanti alla chiesa
che custodiva il corpo del Santo. Ma un giorno riuscì ad entrare in chiesa e si trascinò
fino a toccare il sepolcro, e subito si sentì guarito e uscì fuori sano e salvo.
Raccontava questo ragazzo che, mentre se ne stava presso la tomba del glorioso
Santo, gli si parò innanzi, proprio sopra il sepolcro, un giovane vestito da frate, con
delle pere in mano, il quale offrendogli una pera, lo incoraggiò ad alzarsi. Lui,
prendendo la pera, aveva risposto: «Come vedi, sono rattrappito e non posso alzarmi
». Intanto mangiò la pera e stese la mano per prendere una seconda pera che il
giovane gli offriva incoraggiandolo ancora una volta ad alzarsi. Ma l'infermo, ancora
appesantito dal male non riusciva a mettersi in piedi. Mentre però stendeva la mano,
il giovane frate gli lasciò prendere la pera, intanto gli prese la mano, lo condusse
fuori e sparì. Ed egli, vedendosi sano e guarito aveva incominciato subito a gridare
con tutta la voce, raccontando a tutti quello che gli era accaduto.
551
134. Una donna di Coccorano che era priva dell'uso di tutte le membra, ad
eccezione della lingua, venne trasportata su barella di stuoie al sepolcro del Santo.
Dopo una breve sosta, si rialzò completamente guarita. Anche un altro cittadino di
Gubbio portò, dentro una cesta, un suo figlioletto davanti al sepolcro del Santo. Era
talmente deformato, che aveva le tibie del tutto atrofizzate e ripiegate sui femori.
Lo riebbe completamente guarito.
552 135. C'era a Narni un povero mendicante, di nome Bartolomeo. Una volta si
era addormentato sotto un noce; al risveglio ebbe la dolorosa sorpresa di trovarsi
paralizzato e di non poter più camminare. Crescendo il male di giorno in giorno, la
gamba e il piede colpiti si assottigliarono, si piegarono e si inaridirono in modo tale,
che il poveretto non avvertiva più né tagli né ustioni. Ma una notte gli appare in
sogno il beato Francesco, vero amico dei poveri e padre dei miseri, invitandolo a
recarsi a un bagno campestre, perché, commosso da tanta miseria, aveva deciso di
guarirlo. L'infermo, destatosi, non sapendo cosa fare racconta per filo e per segno la
visione al vescovo della città, il quale lo consiglia di fare come gli era stato detto in
sogno e lo benedice. Così, aiutandosi col suo bastone, si avvia barcollante, come
meglio può verso il luogo indicato dal Santo. Mentre se ne va, triste e stremato per lo
sforzo, ode una voce: «La pace del Signore sia con te! Coraggio, io sono colui al quale
ti sei votato!». Il bagno è ormai vicino, ma è notte ed egli sbaglia strada; e la solita
voce lo avverte e gli indica la direzione giusta. Ed ecco appena arriva e si immerge
nel bagno, una mano gli tocca il piede e un'altra mano la gamba riportandoli
dolcemente alla posizione normale. Sentendosi guarito, balza fuori dall'acqua lodando
e benedicendo l'onnipotenza del Creatore e il beatissimo suo servo Francesco, che gli
aveva fatto una grazia così grande. Infatti erano sei anni che viveva in quello stato
miserando, ed era molto anziano.
II
I CIECHI RICUPERANO LA VISTA
553 136. Una donna di nome Sibilla, da molti anni cieca, viene un giorno condotta,
cieca e triste, sulla tomba del Santo. Ricupera istantaneamente la vista e se ne torna
a casa lieta e giuliva.
Così anche un uomo di Spello ricupera la vista, da tempo perduta, davanti al
sepolcro del Santo.
C'è a Camerino, una donna cieca all'occhio destro. I parenti le applicano
sull'occhio leso un panno toccato dal beato Francesco, facendo un voto; subito
esauditi, cantano a Dio e al Santo il loro gioioso ringraziamento.
Un caso analogo capita ad una donna di Gubbio, che non finisce di rallegrarsi
per avere riavuta la vista in seguito a un voto fatto.
Un assisano cieco da cinque anni, che era stato amico di Francesco in vita, e
continuava a pregarlo, ricordandogli la passata amicizia, si ritrovò guarito al solo
contatto col sepolcro di lui.
Un certo Albertino di Narni aveva perduto completamente la vista e le
palpebre gli scendevano fino agli zigomi. Appena fece voto al beato Francesco, fu
prontamente guarito; allora fece i suoi preparativi e venne a visitare il sepolcro di
lui.
III
GLI INDEMONIATI LIBERATI
554 137. Viveva a Foligno un uomo di nome Pietro. Postosi in cammino per visitare
il santuario di San Michele arcangelo, non si sa se per adempiere un voto o per
soddisfare una penitenza impostagli,--arrivato ad una fonte, stanco e assetato, prese
a bere dell'acqua; e gli sembrò d'avere ingoiato dei demoni. Ed effettivamente da
quell'istante rimase ossesso per tre anni, dicendo e compiendo cose orrende. Si portò
alla tomba del santissimo padre Francesco, e vi giunse ancora strapazzato dai
demoni, più che mai furiosi contro di lui; appena toccò il sepolcro, fu, con evidente e
chiaro miracolo, liberato del tutto e per sempre.
555 138. Una volta il Santo apparve a una donna di Narni che era furiosa e talmente
fuori di sé che faceva e diceva cose spaventose e sconce, e le disse: «Fatti un segno
di croce». Quella rispose di esserne impedita. Allora Francesco stesso glielo impresse
sulla fronte, e all'istante fu liberata dalla pazzia e da ogni influsso demoniaco.
Innumerevoli sono stati gli infelici, uomini e donne che, tormentati in vari modi
e con molteplici inganni dai demoni, furono liberati in virtù dei meriti del glorioso
padre. Ma siccome tali persone possono essere sovente vittime piuttosto di illusioni,
ne abbiano fatto soltanto un rapido accenno, per passare al racconto di fatti più
importanti e mirabili.
IV.
MALATI STRAPPATI ALLA MORTE E
ALTRI INFERMI GUARITI
556 139. Matteo, un bambino di Todi, da otto giorni giaceva in un letto più morto
che vivo: bocca ermeticamente chiusa, occhi serrati, volto, mani e piedi anneriti
come un paiolo al fuoco. Tutti pensavano che non c'era più nulla da sperare.
Vomitava inoltre sangue marcio e con tali convulsioni che sembrava dovesse
rovesciare gli intestini. Un giorno la madre si prostra in preghiera, invocando il nome
e l'aiuto di san Francesco. Quando si alza, il bambino comincia ad aprire gli occhi, a
vederci e a succhiare il latte. Poco dopo, caduta quella pelle nera, la carne ritorna al
suo colorito normale e riprende vigore e sanità.
Appena lo vede fuori pericolo, la madre lo interroga: «Chi ti ha guarito, figlio
mio?». Il fanciullo balbettando risponde: «Ciccu, Ciccu». Di nuovo lo interrogano: «A
chi devi questa grazia?». E il bimbo replica: « Ciccu, Ciccu! » dimezzando in questo
modo il nome di Francesco, poiché era ancora piccino e incapace di parlare bene.
557 140. Un giovane, precipitando al suolo da grande altezza, perdette la favella e
rimase totalmente paralizzato. Per tre giorni non mangiò né bevve; e poiché non
dava più segni di vita, tutti lo credevano morto. Sua madre non ricorse ai medici, ma
ne implorò la guarigione dal beato Francesco, facendo anche un voto. Riebbe il figlio
guarito. e subito cominciò a innalzare lodi all'onnipotente e misericordioso Salvatore.
558 Mancino, un altro giovane, colpito da malattia mortale e ritenuto inguaribile da
tutti, invoca il nome di Francesco, così come può, e istantaneamente guarisce in
modo perfetto.
Gualtiero, un fanciullo di Arezzo, sempre febbricitante e tormentato da due
ascessi, dichiarato inguaribile dai medici, per un voto fatto a san Francesco dai
genitori. ricupera l'auspicata salute.
Un altro giovane è moribondo. Si decide di fare una figura di cera in onore di
san Francesco per impetrare la grazia della vita; non è ancora finito il lavoro, che
quel giovanetto viene liberato da ogni male.
141. Una donna, inferma da molti anni e completamente immobilizzata nel suo letto,
appena ebbe fatto un voto a Dio e al beato Francesco, si rialzò guarita e in grado di
attendere a tutte le sue occupazioni.
Nella città di Narni viveva una donna che da otto anni aveva una mano
inaridita, del tutto inutilizzabile. Un giorno le apparve il beato padre e, toccandole la
mano malata, gliela rese atta al lavoro come l'altra.
Un giovane della stessa città, infermo da dieci anni, s'era talmente gonfiato
che era ormai inutile qualsiasi farmaco. La madre fece un voto al beato Francesco, e
subito riacquistò piena salute.
Analogamente un idropico di Fano, col corpo paurosamente tumefatto, fu
guarito in maniera perfetta per i meriti del glorioso servo di Dio.
Un abitante di Todi soffriva di gotta artritica talmente brutta, che non poteva
neppure sedersi né starsene disteso su di un letto. La veemenza della malattia lo
gettava in preda a continui brividi, così da sembrare prossimo alla morte. Chiamò
medici, moltiplicò bagni e farmaci; ma tutto era inutile. Un giorno però, alla
presenza di un sacerdote, fece un voto a san Francesco implorando la grazia della
guarigione. E subito si vide guarito.
559 142. A Gubbio, una donna paralitica ripete per tre volte il nome del beato
Francesco, e subito è guarita.
Un certo Bonifacio, colpito alle mani e ai piedi da strazianti dolori, non può
muoversi né camminare, e perde del tutto sonno e appetito. Viene un giorno da lui
una donna e lo consiglia ed esorta a votarsi al beato Francesco, se vuole essere subito
liberato. Quell'uomo, dapprima quasi impazzito a causa degli spasimi, si rifiuta
dicendo: «Non lo credo un Santo». Poi cedendo all'insistenza della donna, formula un
voto così: «Mi affido all'intercessione di Francesco e lo considero Santo, se entro tre
giorni mi libererà dalla mia malattia». E viene subito esaudito, ricuperando la
possibilità di camminare, l'appetito e il sonno, e rende gloria a Dio onnipotente.
560 143. I sanitari si dichiaravano impotenti davanti ad un uomo che era stato
trafitto al capo da una freccia la cui punta di ferro era penetrata nel cranio
attraverso la cavità dell'occhio. L'infelice con umile devozione si vota al santo di Dio,
Francesco, con viva speranza d'essere liberato per sua intercessione. Mentre dorme
per un poco, viene Francesco nel sonno e gli dice di farsi strappare quella punta di
ferro dalla nuca. All'indomani, operando nella maniera indicata dal Santo, si riesce a
liberarlo con facilità.
561 144. A Spello, un uomo, di nome Imperatore, è affetto da un'ernia così grave
che gli escono gli intestini dal ventre e, nell'impossibilità di farli rientrare, l'infelice è
costretto per molto tempo a sostenerli con un guanciale. Ricorre ai medici, ma di
fronte al prezzo richiesto, lui che aveva denaro appena sufficiente per il vitto di un
solo giorno, perde ogni fiducia nel loro aiuto. Finalmente ricorre all'aiuto celeste, e
incomincia a supplicare per strada, in casa e ovunque il beato Francesco. In
brevissimo tempo, per grazia di Dio e per i meriti del beato Francesco, guarisce
pienamente.
562 145. Un frate del nostro Ordine, della Marca di Ancona, aveva una fistola al
bacino e ai fianchi. Per la gravità della situazione non c'era più speranza che potesse
guarire ad opera di nessun medico. Allora egli domandò il permesso di recarsi a
visitare la tomba del beato padre, con filiale fiducia che, per i meriti di lui, avrebbe
ottenuto la guarigione. Ma il ministro provinciale non gli permise di partire, temendo
che lo strapazzo del viaggio, a causa della neve e della pioggia caduta
abbondantemente in quella regione, gli portasse maggior danno. L'infermo ne rimase
angosciato. Ma ecco che una notte gli apparve lo stesso santo padre Francesco, che
gli disse: « Figliuolo, non rattristarti; togliti la pelliccia che indossi, butta via
l'impiastro e le fasciature, osserva la tua Regola e sarai sanato!». Il frate, appena si
levò al mattino, eseguì tutto questo; e poté ringraziare Iddio per l'immediata
guarigione ottenuta.
V
LEBBROSI MONDATI
563 146. A San Severino, nella Marca d'Ancona, abitava un giovane di nome Atto.
Era talmente coperto da ulcere che, per giudizio dei medici era ritenuto da tutti un
vero lebbroso. Le membra erano tutte tumefatte e ingrossate, e a causa della
dilatazione e del rigonfiamento delle vene, tutto gli appariva deformato. Camminare
gli era impossibile, e doveva starsene sempre inchiodato nel giaciglio del suo dolore,
con disperata afflizione dei genitori. Specialmente il padre suo, straziato da quel
diuturno eccessivo dolore, non sapeva più che cosa fare. Ma finalmente gli venne in
mente di raccomandarlo e votarlo al beato Francesco, e gli fece questa proposta:
«Figlio mio, vuoi fare un voto al glorioso Francesco, che rifulge per molti miracoli,
perché voglia liberarti dal tuo male?». Rispose: «Sì, babbo!». Il padre si fece subito
portare un foglio di papiro, prese le misure dell'altezza e grossezza del figlio, e poi gli
disse: «Alzati, fai voto al beato Francesco che, se guarirai, ogni anno e per tutta la
tua vita, andrai pellegrino alla sua tomba, recandogli un cero alto come te». Il
giovane obbedì alla richiesta paterna, si alzò come poté e a mani giunte incominciò a
invocare la misericordia dei beato Francesco. Presa la misura del papiro, si alzò
appena finita la preghiera, ed era completamente guarito dalla lebbra. Cominciò a
camminare, dando lode a Dio e al beato Francesco.
Nella città di Fano, un giovane di nome Bonomo, ritenuto da tutti i medici
lebbroso e paralitico, appena viene offerto molto devotamente dai genitori al beato
Francesco è liberato dalla lebbra e dalla paralisi e riacquista piena salute .
VI
MUTI E SORDI SANATI
565 147. A Città della Pieve c'è un fanciullo, povero e mendicante, sordomuto
dalla nascita; ha la lingua tanto corta che tutti la ritengono addirittura mozza. Una
sera si reca a casa di un concittadino, di nome Marco, e con gesti, come sogliono fare
i muti, gli indica che vorrebbe essere suo ospite: piega il capo da una parte
accostando la guancia alla mano, indicando chiaramente che vorrebbe dormire in
casa di lui. Quell'uomo è felice di accoglierlo nella sua casa e volentieri lo prende con
sé, perché lo sa abile al servizio, di buon carattere e, benché sordo e muto dalla
nascita, in grado di comprendere gli ordini dai cenni. Una sera quell'uomo, alla
presenza del fanciullo, dice alla moglie: «Questo sì che sarebbe un grande miracolo,
se il beato Francesco gli rendesse udito e favella!».
148. E aggiunge: «Prometto a Dio che se il beato Francesco compirà questo miracolo,
io, per amor suo, avrò carissimo questo giovinetto e provvederò a mantenerlo per
tutto il tempo della sua vita».
Cosa meravigliosa! Appena finita quella preghiera, il fanciullo si mette a parlare,
esclamando: «Viva san Francesco!», e con lo sguardo elevato al cielo, soggiunge:
«Vedo Francesco qui sopra, che è venuto a donarmi la guarigione!». Ma, aggiunge
ancora: «Che cosa dirò io ora alla gente?». E quell'uomo gli risponde: «Loderai Iddio e
salverai molti ». Allora si alza e corre pieno di esultanza a gridare a tutti il grande
miracolo. Accorrono in massa quelli che avevano veduto prima il piccolo sordomuto e,
pieni di ammirazione e di stupore, elevano lodi al Signore e al beato Francesco.
Intanto la lingua del fanciullo si snoda e cresce, tornando alla misura normale, e
comincia a parlare così speditamente e chiaramente come se avesse da sempre l'uso
della parola.
566 149. Un altro fanciullo, chiamato Villa, è muto e incapace di camminare. Sua
madre ricorre all'aiuto divino portando sul sepolcro di san Francesco una immagine
votiva di cera. Al suo ritorno a casa, trova il figlioletto in perfetta salute, che
cammina e parla.
567 Un uomo della diocesi di Perugia, muto e costretto a tenere la bocca sempre
spalancata e spaventosamente ansimante, a causa della gola enormemente gonfiata,
arriva un giorno alla tomba di san Francesco e, nell'atto di salire i gradini a toccarla,
vomita sangue. Ed ecco, subito liberato completamente, comincia a parlare, ed apre
e chiude la bocca in maniera normale: è guarito!
568 150. Anche una donna, colpita da gravissimo dolore alla gola, così da avere la
lingua inaridita e attaccata al palato per l'arsura, non è in grado di parlare, né di
bere, né di mangiare, e qualsiasi medicamento si rivela perfettamente inutile. Allora,
dall'intimo del suo cuore, poiché non può parlare, si vota fiduciosa a san Francesco.
Immediatamente l'apparato palatale si spezza e le esce dalla gola un sasso rotondo,
che mostra a tutti, ed è interamente liberata dal suo male.
569 A Greccio, un giovane, avendo perso l'udito, la memoria e la favella insieme,
non può intendere né sentire nulla. I genitori, che hanno una grande fiducia in san
Francesco, fanno voto a lui con suppliche sincere. Quasi subito il loro figlio, per
grazia singolarissima del padre santo, ricupera l'uso di tutti i suoi sensi.
A lode, gloria e onore del Signor nostro Gesù Cristo, il cui regno e l'impero
rimane stabile e imperituro nei secoli dei secoli. Amen.
Fine
[ EPILOGO ]
570 151. Abbiamo narrato qualcuno dei miracoli del beatissimo padre nostro
Francesco, e molti ne abbiamo omessi. Lasciamo ad altri che vorranno seguire i suoi
passi, di meritarsi con la loro ricerca la grazia di nuove benedizioni.
Egli, che ha mirabilmente rinnovato il mondo con la parola e l'esempio, con la
vita e la dottrina, si degni di beneficare con altri carismi i cuori di coloro che amano
sinceramente Iddio.
571 Ed io, per amore del Crocifisso povero e delle sue sacre stimmate, che il beato
padre Francesco portò nel suo corpo, prego tutti quelli che leggeranno, vedranno e
udranno la mia narrazione, di ricordarsi presso Dio di me peccatore Amen.
Benedizione, onore e ogni lode al solo sapiente Iddio, che tutto compie con sapienza
in tutti e sempre a sua gloria. Amen. Amen. Amen!
LETTERA DI GRECCIO
Traduzione di
VERGILIO GAMBOSO
L'IMPORTANZA di questa lettera -- che si dichiara scritta da Greccio (11 agosto
1246) da tre compagni di Francesco, e precisamente Leone, Rufino e Angelo -- non è
tale da fare passare in secondo ordine l'infinità di discussioni che ha sollevato.
Soprattutto perché non risulta chiaramente, oggi, l'individuazione dei materiali
biografici che i firmatari hanno inteso inviare << in allegato >>.
La lettera ci è stata tramandata, concordemente, in apertura della cosiddetta
Leggenda dei tre compagni, a partire dalla fine del secolo XIII o inizio del XIV. Essa
palesa tuttavia un'evidente estraneità con una Leggenda che segue un andamento
strettamente cronologico, aderendo alla trama della Vita prima di Tommaso da
Celano, sia pure con diversità di toni e di dettati. Le intenzioni dichiarate dei
compagni di Greccio erano di non scrivere una Vita di Francesco, bensì di portare un
contributo nuovo, inedito, raccogliendo << come da un prato rigoglioso, un mazzo di
fiori, quelli che ci sono parsi i più belli, senza però disporli in ordine cronologico >>.
Il materiale inviato sembra, pertanto, doversi riconoscere, sostanzialmente, nella
seconda parte della Vita seconda di Tommaso da Celano (1246/1247), a cui la
raccolta -- intimata dal Capitolo Generale di Genova del 1244 e da Crescenzio da
Iesi -- era destinata. Tale parte presenta, infatti, senza seguire alcun ordine
cronologico, tutta una serie di fatti, gesti, volontà di Francesco che ben sembrano
corrispondere alle intenzioni dei compagni di Greccio, anche se questo non significa
che essa abbia incorporato tutta, o esclusivamente, la documentazione venuta da
Greccio.
Queste ragioni hanno indotto a situare detta lettera in autonomia dalla
cosiddetta Leggenda dei tre compagni, e prima della Vita seconda di Tommaso da
Celano. Il volgarizzamento ha tenuto presente le due recenti edizioni critiche date
da L. Di Fonzo, L'anonimo perugino tra le fonti francescane del sec. XIII, Roma 1972,
pp. [234 - 236]; Th. Desbonnets, La << Legenda trium sociorum >>. Edition critique, in
AFH, LXVII (1974), pp. 89-90. Si veda anche Introduzione, qui pp. 225 - 233.
572 Al reverendo padre in Cristo, frate Crescenzio, per grazia di Dio ministro
generale, frate Leone, frate Rufino e frate Angelo, che in passato furono compagni,
senza esserne meritevoli, del beato padre Francesco, esprimono la loro doverosa e
devota riverenza nel Signore.
573 Poiché per disposizione del Capitolo generale testè celebrato e vostra, i frati
sono tenuti a comunicare alla paternità vostra i miracoli e i prodigi del beatissimo
padre Francesco che essi conoscono o che possono reperire,
574 noi, che siamo vissuti più a lungo insieme con lui, malgrado non ne fossimo
degni, abbiamo ritenuto opportuno di presentare alla santità vostra, guida la verità,
alcune tra le molte gesta di lui, delle quali siamo stati spettatori o di cui abbiamo
attinto notizie da altri santi frati. E specialmente da frate Filippo, visitatore delle
Povere Dame, frate Illuminato dell'Arce, frate Masseo da Marignano e frate Giovanni,
compagno del venerabile frate Egidio, che raccolse numerose informazioni sia da
frate Egidio stesso che da frate Bernardo, di santa memoria, primo compagno del
beato Francesco.
575 Non ci accontentiamo però di narrare solo dei miracoli, i quali palesano ma
non fanno la santità; nostro intento è anche di mostrare alcuni aspetti salienti della
sua santa vita e la intenzione della divina volontà, allo scopo di lodare e glorificare il
sommo Dio e il santo padre Francesco, e di edificare quanti vogliono seguire i suoi
esempi.
576 Non ci proponiamo tuttavia di scrivere una vita, dal momento che della sua
vita e dei miracoli che Dio ha compiuto per mezzo di lui sono già state redatte delle
<<leggende >>; bensì abbiamo colto, come da un prato rigoglioso, un mazzo di fiori,
quelli che ci sono parsi i più belli, senza però disporli in ordine cronologico. E di
proposito abbiamo tralasciato molti fatti, già raccontati in modo veridico ed
elegante nelle leggende su ricordate: in esse voi potrete far inserire, se lo riterrete
opportuno, questi nostri ricordi. Siamo invero persuasi che, se a quei valenti biografi
fossero stati noti i presenti ricordi, non li avrebbero passati sotto silenzio; anzi, li
avrebbero, almeno in parte, abbelliti con il loro stile, tramandandoli così alla
memoria dei posteri.
577 Possa la santa paternità vostra stare sempre bene nel Signore Gesù Cristo; nel
quale noi, figli devoti, ci raccomandiamo alla santità vostra con umiltà e devozione.
Dal luogo di Greccio, 11 agosto dell'anno del Signore 1246.
VITA SECONDA
DI SAN FRANCESCO D'ASSISI
di Tommaso da Celano
PROLOGO
Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. Amen
Al ministro generale
dell'Ordine dei frati minori
578
1. La venerata assemblea dell'ultimo Capitolo generale e vostra Paternità reverendissima,
assistiti da Dio, hanno creduto bene di ordinare a noi, per quanto incapaci, di scrivere i fatti e persino
le parole del glorioso nostro padre Francesco, a conforto dei presenti ed a memoria dei posteri. Noi
l'abbiamo potuto conoscere meglio degli altri per lunga esperienza, frutto di assidua comunione di vita
e di scambievole familiarità. Perciò ci siamo affrettati ad obbedire con umile devozione, perché non
possiamo in alcun modo trasgredire questi ordini santi.
579 Ma, ad un esame più attento delle nostre deboli forze, abbiamo giusto timore che una materia di
tanta importanza, se non viene esposta come merita, per colpa nostra, possa dispiacere agli altri.
Temiamo infatti che questo cibo gustosissimo diventi insipido per l'incapacità di chi lo prepara, e che il
nostro tentativo possa essere imputato più a presunzione che ad obbedienza.
Se fosse soltanto la vostra benevolenza, o beato padre, a giudicare il frutto di un così notevole
impegno, e non fosse destinato al pubblico, accoglieremmo con animo gratissimo ogni suggerimento di
rettifica oppure la gioia dell'approvazione. Infatti, chi in tanta varietà di parole e di fatti potrebbe
soppesare ogni cosa con bilancia di precisione, in modo che risultino tutti concordi sui singoli punti
quanti ne vengono a conoscenza?
580
Ma, poiché desideriamo sinceramente il bene di tutti e di ciascuno, preghiamo i lettori a voler
giudicare con benevolenza, e a compatire o a supplire la semplicità di chi riferisce i fatti, in modo che
la stima dovuta alla persona di cui parliamo rimanga sempre intatta.
La nostra memoria di persone incolte, resa labile dal correre del tempo, non è in grado di
ritrarre esattamente i voli di parole sublimi né le meraviglie delle sue azioni: a fatica le potrebbe
afferrare una mente pronta ed esercitata, anche se accadessero in quel momento. Pertanto l'autorità
di chi ce lo ha ordinato ripetutamente, valga a scusare presso tutti i difetti dovuti alla nostra
incapacità.
581
2. Questo libro contiene anzitutto alcuni episodi meravigliosi relativi alla conversione di
Francesco, che non sono stati inseriti nelle Vite già composte, perché non erano stati portati a
conoscenza dell'autore.
582
Vogliamo inoltre esporre e mettere in luce, con attenzione e precisione, ciò che il santissimo
padre Francesco ha voluto per sé ed i suoi--il suo ideale generoso, amabile, perfetto--in ogni esercizio
della scienza celeste, e alla ricerca amorosa della più alta perfezione: ciò che fu sempre oggetto delle
sue effusioni sante davanti a Dio e dei suoi esempi davanti agli uomini. Abbiamo inserito, qua e là,
alcuni miracoli secondo l'opportunità. Infine, scriviamo quanto ci riporta la memoria con stile semplice
e dimesso, desiderosi di andare incontro a chi è meno agile di mente, ed anche, se possibile, di piacere
ai dotti.
Vi preghiamo dunque, benignissimo padre, di volere consacrare con la vostra benedizione
questi doni, piccoli ma non indifferenti, del nostro lavoro, frutto di non poche e laboriose ricerche;
come pure di correggere gli errori e togliere il superfluo, in modo che quanto, a vostro autorevole
giudizio, sarà riconosciuto esatto, col vostro nome, veramente Crescenzio, cresca ovunque e si
moltiplichi in Cristo. Amen.
Qui finisce il prologo
PARTE PRIMA
Incomincia il
« Memoriale nel desiderio dell'anima »
delle azioni e delle parole
del santissimo nostro padre Francesco
LA SUA CONVERSIONE
CAPITOLO I
PRIMA VIENE CHIAMATO GIOVANNI, POI FRANCESCO.
PROFEZIE DELLA MADRE E PREDIZIONI
DI LUI STESSO A SUO RIGUARDO.
SUA PAZIENZA NELLA PRIGIONIA
583
3. Il servo e amico dell'Altissimo, Francesco, ebbe questo nome dalla divina Provvidenza,
affinché per la sua originalità e novità si diffondesse più facilmente in tutto il mondo la fama della sua
missione. La madre lo aveva chiamato Giovanni, quando rinascendo dall'acqua e dallo Spirito Santo, da
figlio d'ira era divenuto figlio della grazia.
Specchio di rettitudine, quella donna presentava nella sua condotta, per così dire, un segno
visibile della sua virtù. Infatti, fu resa partecipe, come privilegio, di una certa somiglianza con l'antica
santa Elisabetta, sia per il nome imposto al figlio, sia anche per lo spirito profetico. Quando i vicini
manifestavano la loro ammirazione per la generosità d'animo e l'integrità morale di Francesco,
ripeteva, quasi divinamente ispirata: « Cosa pensate che diverrà, questo mio figlio? Sappiate, che per i
suoi meriti diverrà figlio di Dio ».
In realtà, era questa l'opinione anche di altri, che apprezzavano Francesco, già grandicello, per
alcune sue inclinazioni molto buone. Allontanava da sé tutto ciò che potesse suonare offesa a qualcuno
e, crescendo con animo gentile, non sembrava figlio di quelli che erano detti suoi genitori.
Perciò il nome di Giovanni conviene alla missione che poi svolse, quello invece di Francesco
alla sua fama, che ben presto si diffuse ovunque, dopo la sua piena conversione a Dio. Al di sopra della
festa di ogni altro santo, riteneva solennissima quella di Giovanni Battista, il cui nome insigne gli aveva
impresso nell'animo un segno di arcana potenza.
Tra i nati di donna non sorse alcuno maggiore di quello, e nessuno più perfetto di questo tra i
fondatori di Ordini religiosi. È una coincidenza degna di essere sottolineata.
584
4. Giovanni profetò chiuso ancora nel segreto dell'utero materno, Francesco predisse il futuro
da un carcere terreno, ignaro ancora del piano divino.
Si combatteva tra Perugia ed Assisi. In uno scontro sanguinoso Francesco fu fatto prigioniero
assieme a molti altri e, incatenato, fu gettato con loro nello squallore del carcere. Ma, mentre i
compagni muoiono dalla tristezza e maledicono la loro prigionia, Francesco esulta nel Signore,
disprezza e irride le catene. Afflitti come sono, lo rimproverano di essere pieno di gioia anche nel
carcere, e lo giudicano svanito e pazzo. Ma Francesco risponde con tono profetico: «Di cosa pensate
che io gioisca? Ben altro è il mio pensiero: un giorno sarò venerato come santo in tutto il mondo». In
realtà è così: si è avverato completamente ciò che ha predetto.
Vi era tra i compagni di prigionia un cavaliere superbo, un caratteraccio insopportabile. Tutti
cercano di emarginarlo, ma la pazienza di Francesco non si spezza: a furia di sopportare
quell'intrattabile, ristabilisce la pace fra tutti. Era un animo capace di ogni grazia e, fino da allora,
come vaso eletto di virtù, esalava attorno i suoi carismi.
CAPITOLO II
RIVESTE UN CAVALIERE POVERO, ED ANCORA SECOLARE
HA UNA VISIONE RELATIVA ALLA SUA VOCAZIONE
585
5. Fu liberato dalla prigione poco tempo dopo e divenne più compassionevole con i bisognosi.
Propose anzi di non respingere nessun povero, chiunque fosse e gli chiedesse per amor di Dio.
Un giorno incontrò un cavaliere povero e quasi nudo: mosso a compassione, gli cedette
generosamente, per amor di Cristo, le proprie vesti ben curate, che indossava.
È stato, forse, da meno il suo gesto di quello del santissimo Martino? Eguali sono stati il fatto e
la generosità, solo il modo è diverso: Francesco dona le vesti prima del resto quello invece le dà alla
fine, dopo aver rinunciato a tutto. Ambedue sono vissuti poveri ed umili in questo mondo e sono
entrati ricchi in cielo. Quello, cavaliere ma povero, rivestì un povero con parte della sua veste, questi,
non cavaliere ma ricco, rivestì un cavaliere povero con la sua veste intera. Ambedue, per aver
adempiuto il comando di Cristo, hanno meritato di essere, in visione, visitati da Cristo, che lodò l'uno
per la perfezione raggiunta e invitò l'altro, con grandissima bontà, a compiere in se stesso quanto
ancora gli mancava.
586
6. Infatti, subito dopo, gli appare in visione uno splendido palazzo, in cui scorge armi di ogni
specie ed una bellissima sposa. Nel sonno, Francesco si sente chiamare per nome e lusingare con la
promessa di tutti quei beni. Allora, tenta di arruolarsi per la Puglia e fa ricchi preparativi nella
speranza di essere presto insignito del grado di cavaliere. Il suo spirito mondano gli suggeriva una
interpretazione mondana della visione, mentre ben più nobile era quella nascosta nei tesori della
sapienza di Dio.
587
E infatti un'altra notte, mentre dorme, sente di nuovo una voce, che gli chiede premurosa
dove intenda recarsi. Francesco espone il suo proposito, e dice di volersi recare in Puglia per
combattere. Ma la voce insiste e gli domanda chi ritiene possa essergli più utile, il servo o il padrone.
« Il padrone », risponde Francesco.
« E allora--riprende la voce--perché cerchi il servo in luogo del padrone? ».
E Francesco: « Cosa vuoi che io faccia, o Signore? ».
« Ritorna--gli risponde il Signore-- alla tua terra natale, perché per opera mia si adempirà
spiritualmente la tua visione ». Ritornò senza indugio, fatto ormai modello di obbedienza e trasformato
col rinnegamento della sua volontà da Saulo in Paolo. Quello venne gettato a terra e sotto i duri colpi
disse parole soavi, Francesco invece mutò le armi mondane in quelle spirituali, ed in luogo della gloria
militare ricevette una investitura divina. Così a quanti--ed erano molti--si stupivano della sua letizia
inconsueta, rispondeva che sarebbe divenuto un gran principe.
CAPITOLO III
UNA COMPAGNIA DI GIOVANI
LO ELEGGE SUO SIGNORE PER UN BANCHETTO.
SUA TRASFORMAZIONE
588
7. Cominciò a trasformarsi in uomo perfetto, del tutto diverso da quello di prima. Ma,
ritornato a casa, i figli di Babilonia ripresero a seguirlo, e sebbene contro sua volontà, lo trascinarono
su una strada ben diversa da quella che egli intendeva percorrere. La compagnia dei giovani di Assisi,
che un tempo lo avevano avuto guida della loro spensieratezza cominciò di nuovo a invitarlo ai
banchetti, nei quali si indulge sempre alla licenza ed alla scurrilità. Lo elessero re della festa, perché
sapevano per esperienza che, nella sua generosità, avrebbe saldato le spese per tutti. Si fecero suoi
sudditi per sfamarsi ed accettarono di ubbidire, pur di saziarsi. Francesco non rifiutò l'onore offertogli,
per non essere bollato come avaro, e pur continuando nelle sue devote meditazioni, non dimenticò la
cortesia. Preparò un sontuoso banchetto con abbondanza di cibi squisiti: quando furono pieni sino al
vomito, si riversarono nelle piazze della città insudiciandole con le loro canzoni da ubriachi.
Francesco li seguiva, tenendo in mano come signore lo scettro. Ma poiché da tempo con tutto
l'animo si era reso completamente sordo a quelle voci e cantava in cuor suo al Signore, se ne distaccò a
poco a poco anche col corpo. Allora, come riferì egli stesso, fu inondato di tanta dolcezza divina, da
non potersi assolutamente muovere né parlare. Lo pervase un tale sentimento interiore che trascinava
il suo spirito alle cose invisibili, facendogli giudicare di nessuna importanza, assolutamente frivola ogni
cosa terrena.
Veramente stupenda è la bontà del Signore, che elargisce magnifici doni a chi compie le più
umili azioni; che salva e fa progredire, anche nei gorghi dell'inondazione, ciò che gli appartiene. Cristo
infatti nutrì con pani e pesci le folle, non rifiutò ai peccatori la sua mensa. Quando lo richiesero come
re, fuggì e salì sul monte a pregare.
Sono misteri di Dio questi, che Francesco asseconda ed anche a sua insaputa è portato alla
sapienza perfetta.
CAPITOLO IV
VESTITO DA POVERO, MANGIA CON I POVERI
DAVANTI ALLA CHIESA DI SAN PIETRO
E LA SUA OFFERTA
589
8. Fino da allora dimostrava di amare intensamente i poveri e questi inizi lodevoli lasciavano
prevedere cosa sarebbe stato, una volta giunto a perfezione. Spesso si spogliava per rivestire i poveri,
ai quali cercava di rendersi simile, se non ancora a fatti almeno con tutto l'animo. Si recò una volta in
pellegrinaggio a Roma, e, deposti, per amore di povertà, i suoi abiti fini, si ricoprì con gli stracci di un
povero. Si sedette quindi pieno di gioia tra i poveri, che sostavano numerosi nell'atrio, davanti alla
chiesa di San Pietro e, ritenendosi uno di essi, mangiò con loro avidamente. Avrebbe ripetuto più e più
volte azioni simili, se non gli avessero incusso vergogna i conoscenti. Si accostò poi all'altare del
Principe degli Apostoli e, stupito delle misere offerte dei pellegrini, gettò là denaro a piene mani.
Voleva, con questo gesto, indicare che tutti devono onorare in particolare modo colui che Dio stesso ha
onorato al di sopra degli altri.
590
Spesso, anche ai sacerdoti poverelli donava arredi sacri e rendeva a tutti, pur di infimo grado,
il debito onore. Ed è chiaro: aderendo in modo totale alla fede cattolica e destinato ad assumere la
missione apostolica, fu, sin dal principio, pieno di riverenza per i ministeri sacri e i ministri di Dio.
CAPITOLO V
MENTRE È IN PREGHIERA,
IL DEMONIO GLI MOSTRA UNA DONNA
E QUALE FU LA RISPOSTA DEL SIGNORE.
IL SUO COMPORTAMENTO CON I LEBBROSI
591
9. Così facendo, Francesco, benché ancora in abito secolare, aveva già un animo religioso.
Lasciava i luoghi pubblici e frequentati, desideroso della solitudine, e qui, spessissimo era
ammaestrato dalla visita dello Spirito Santo. Era infatti strappato via e attratto da quella sovrana
dolcezza che lo pervase fin da principio in un modo così pieno, da non lasciarlo più finché visse.
Ma, mentre frequentava luoghi appartati, ritenendoli adatti alla preghiera, il diavolo tentò di
allontanarlo con una astuzia maligna. Gli raffigurò nel cuore una donna, sua concittadina,
mostruosamente gibbosa: aveva un tale aspetto da suscitare orrore a tutti. E lo minacciò di renderlo
uguale se non la piantava coi suoi propositi. Ma, confortato dal Signore, ebbe la gioia di una risposta
piena di grazia e di salvezza: «Francesco,--gli disse Dio in spirito--lascia ormai i piaceri mondani e vani
per quelli spirituali, preferisci le cose amare alle dolci e disprezza te stesso, se vuoi conoscermi.
Perché gusterai ciò che ti dico, anche se l'ordine è capovolto». Subito, si sentì come indotto a seguire il
comando del Signore e spinto a farne la prova.
592
Fra tutti gli orrori della miseria umana, Francesco sentiva ripugnanza istintiva per i lebbrosi.
Ma, ecco, un giorno ne incontrò proprio uno, mentre era a cavallo nei pressi di Assisi. Ne provò grande
fastidio e ribrezzo; ma per non venire meno alla fedeltà promessa, come trasgredendo un ordine
ricevuto, balzò da cavallo e corse a baciarlo. E il lebbroso, che gli aveva steso la mano, come per
ricevere qualcosa, ne ebbe contemporaneamente denaro e un bacio. Subito risalì a cavallo, guardò qua
e là - la campagna era aperta e libera tutt'attorno da ostacoli - , ma non vide più il lebbroso. Pieno di
gioia e di ammirazione, poco tempo dopo volle ripetere quel gesto: andò al lebbrosario e, dopo aver
dato a ciascun malato del denaro, ne baciò la mano e la bocca.
Così preferiva le cose amare alle dolci, e si preparava virilmente a mantenere gli altri
propositi.
CAPITOLO VI
UNA IMMAGINE DEL CROCIFISSO GLI PARLA
ED EGLI LE RENDE ONORE
593
10. Era già del tutto mutato nel cuore e prossimo a divenirlo anche nel corpo, quando, un
giorno, passò accanto alla chiesa di San Damiano, quasi in rovina e abbandonata da tutti. Condotto
dallo Spirito, entra a pregare, si prostra supplice e devoto davanti al Crocifisso e, toccato in modo
straordinario dalla grazia divina, si ritrova totalmente cambiato. Mentre egli è così profondamente
commosso, all'improvviso--cosa da sempre inaudita!--l'immagine di Cristo crocifisso, dal dipinto gli
parla, movendo le labbra, « Francesco, - gli dice chiamandolo per nome - va', ripara la mia casa che,
come vedi, è tutta in rovina ». Francesco è tremante e pieno di stupore, e quasi perde i sensi a queste
parole. Ma subito si dispone ad obbedire e si concentra tutto su questo invito. Ma, a dir vero, poiché
neppure lui riuscì mai ad esprimere la ineffabile trasformazione che percepì in se stesso, conviene
anche a noi coprirla con un velo di silenzio.
594
Da quel momento si fissò nella sua anima santa la compassione del Crocifisso e, come si può
piamente ritenere, le venerande stimmate della Passione, quantunque non ancora nella carne, gli si
impressero profondamente nel cuore.
11. Cosa meravigliosa, mai udita! chi non è colpito da meraviglia? E chi, o quando mai ha udito
qualcosa di simile? Nessuno potrà dubitare che Francesco, prossimo a tornare alla sua patria, sia
apparso realmente crocifisso, visto che con nuovo e incredibile miracolo Cristo gli ha parlato dal legno
della Croce, quando--almeno all'esterno--non aveva ancora del tutto rinunciato al mondo! Da quel
momento, appena gli giunsero le parole del Diletto il suo animo venne meno. Più tardi, l'amore del
cuore si rese palese mediante le piaghe del corpo.
Inoltre, da allora, non riesce più a trattenere le lacrime e piange anche ad alta voce la
passione di Cristo, che gli sta sempre davanti agli occhi. Riempie di gemiti le vie, rifiutando di essere
consolato al ricordo delle piaghe di Cristo. Incontrò un giorno, un suo intimo amico, ed avendogli
manifestato la causa del dolore, subito anche questi proruppe in lacrime amare.
595
Intanto si prese cura di quella immagine, e si accinse, con ogni diligenza, ad eseguirne il
comando. Subito offrì denaro ad un sacerdote, perché provvedesse una lampada e l'olio, e la sacra
immagine non rimanesse priva, neppure per un istante, dell'onore, doveroso, di un lume. Poi, si dedicò
con impegno al resto, lavorando con intenso zelo a riparare la chiesa. Perché, quantunque il comando
del Signore si riferisse alla Chiesa acquistata da Cristo col proprio sangue, non volle di colpo giungere
alla perfezione dell'opera, ma passare a grado a grado dalla carne allo spirito.
CAPITOLO VII
LA PERSECUZIONE DEL PADRE E DEL FRATELLO
596
12. Quando il padre lo vide perseverare nelle opere di bontà, cominciò a perseguitarlo ed a
straziarlo, ovunque lo incontrasse, con maledizioni. Allora il servo di Dio chiamò un uomo di umile
condizione e semplice assai, e lo pregò che, facendo le veci del padre, quando questi moltiplicava le
sue maledizioni egli di rimando lo benedicesse. Così tradusse in pratica e dimostrò con i fatti cosa
significhi la parola del Salmista: Essi malediranno e tu benedirai.
597
Dietro consiglio del vescovo della città, uomo molto pio che non riteneva giusto utilizzare per
usi sacri denaro di male acquisto, I'uomo di Dio restituì al padre la somma, che voleva spendere per il
restauro della chiesa. E davanti a molti che si erano lì riuniti e in ascolto: « D'ora in poi, --esclamò-potrò dire liberamente: Padre nostro, che sei nei cieli, non padre Pietro di Bernardone. Ecco, non solo
gli restituisco il denaro, ma gli rendo pure tutte le vesti. Così, andrò nudo incontro al Signore ».
O anima nobile di un uomo, al quale ormai basta solo Cristo! Si accorsero allora che l'uomo di
Dio, sotto le vesti portava il cilizio, gioioso non tanto di apparire quanto di essere virtuoso.
598
Anche il fratello, seguendo l'esempio del padre, lo investiva con parole velenose. Un mattino,
d'inverno, vide Francesco intento a pregare, coperto di poveri cenci e tutto tremante di freddo. E
rivolto, quel perverso, ad un concittadino, gli disse: « Di' a Francesco che ti venda un soldo di sudore ».
«Lo venderò sì, io, a ben caro prezzo al mio Signore », rispose molto allegro e sorridente l'uomo di Dio,
che l'aveva udito.
Niente di più vero! Perché ha guadagnato in questo mondo non solo cento, ma mille volte
tanto, e nell'altro ha ottenuto per sé e per molti la vita eterna.
CAPITOLO VIII
SUPERA LA VERGOGNA E PROFETIZZA
A RIGUARDO DELLE POVERE VERGINI
599
13. Da allora si adopera a trasformare il suo tenore di vita, rendendolo, da raffinato austero e
a riportare alla bontà naturale il suo corpo un po' infrollito.
Un giorno andava per le vie d'Assisi mendicando olio per le lampade di San Damiano, la chiesa
che stava allora riparando. Sul punto di entrare in una casa, vedendo davanti alla porta un gruppo di
amici che giocava, rosso di vergogna, si ritirò. Ma, volgendo il suo nobile spirito al cielo si rinfacciò
tanta viltà e divenne giudice severo di se stesso. All'istante, ritorna alla casa e, dopo aver esposto con
voce sicura a tutti il motivo della sua vergogna, quasi inebriato di spirito, chiede in lingua francese
l'olio di cui ha bisogno e l'ottiene..
Animava tutti, con grande zelo, a restaurare quella chiesa, e sempre parlando in francese
predisse chiaramente, davanti a tutti, che lì accanto sarebbe sorto un monastero di vergini consacrate
a Cristo. Del resto, ogni volta che era pieno dell'ardore dello Spirito Santo, parlava in lingua francese
per esprimere il calore esuberante del suo cuore, quasi prevedendo che sarebbe stato venerato da quel
popolo con particolare onore e devozione.
CAPITOLO IX
CERCA Dl PORTA IN PORTA LA CARITA'
600
14. Da quando iniziò a servire al Signore di tutti, amò sempre di fare le cose comuni, evitando
ovunque la singolarità, sentina di tutti i vizi. Mentre attendeva con grande impegno a riparare la
chiesa, come Cristo gli aveva ordinato, era passato da una vita contrassegnata dalla delicatezza ad una
di sacrificio e dedita al lavoro. Il sacerdote, che curava la chiesa, vedendolo stremato dall'assidua
fatica, commosso, cominciò a passargli ogni giorno qualcosa del suo vitto, anche se non molto saporito,
perché era povero. Ma Francesco, pur comprendendo ed apprezzando la delicata bontà del sacerdote
disse a se stesso: «Non troverai sempre questo sacerdote che ti somministri tali cibi. Né è bene
assuefarti a questo tenore di vita: ritorneresti gradatamente a ciò che hai disprezzato, per finire di
nuovo nella mollezza. Levati dunque, presto, e chiedi di porta in porta un po' di companatico». Così,
se ne andò per Assisi, chiedendo di porta in porta qualche cibo cotto. Quando vide la scodella piena dei
più diversi rimasugli, da prima sentì un brivido di orrore; ma, poi, ricordatosi del Signore, vinse se
stesso e mangiò quel guazzabuglio con gaudio dello spirito. Tutto lenisce l'amore e rende
assolutamente dolce ciò che è amaro.
CAPITOLO X
FRATE BERNARDO RINUNCIA AI SUOI BENI
601
15. Bernardo, un cittadino di Assisi, che poi divenne figlio di perfezione, volendo seguire il
servo di Dio nel disprezzo totale del mondo, lo scongiurò umilmente di dargli il suo consiglio. Gli espose
dunque il suo caso: «Padre, se uno dopo avere a lungo goduto dei beni di qualche signore, non li
volesse più tenere, cosa dovrebbe farne, per agire nel modo più perfetto?». Rispose l'uomo di Dio:
«Deve restituirli tutti al padrone, da cui li ha ricevuti». E Bernardo: «So che quanto possiedo mi è stato
dato da Dio e, se tu me lo consigli, sono pronto a restituirgli tutto». Replicò il Santo: «Se vuoi
comprovare coi fatti quanto dici, appena sarà giorno, entriamo in chiesa prendiamo il libro del Vangelo
e chiediamo consiglio a Cristo».
Venuto il mattino, entrano in una chiesa e, dopo aver pregato devotamente, aprono il libro del
Vangelo, disposti ad attuare il primo consiglio che si offra loro. Aprono il libro, e il suo consiglio Cristo
lo manifesta con queste parole: Se vuoi essere perfetto, va', vendi quanto possiedi e dallo ai poveri.
Ripetono il gesto, e si presenta il passo: Non prendete nulla per il viaggio. Ancora una terza volta, e
leggono: Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso. Senza indugio Bernardo eseguì tutto e non
tralasciò neppure un iota. Molti altri, in breve tempo, si liberarono dalle mordacissime cure del mondo
e, sotto la guida di Francesco, ritornarono all'infinito bene nella patria vera. Ma sarebbe troppo lungo
dire come ciascuno abbia raggiunto il premio della chiamata divina.
CAPITOLO XI
LA PARABOLA CHE EGLI RACCONTÒ AL SIGNOR PAPA
602
16. Quando si presentò con i compagni a papa Innocenzo per chiedergli l'approvazione della
sua regola di vita, questi giudicò l'ideale che si era prefisso superiore alle forze umane. Ma, da uomo
prudentissimo com'era, gli disse: «Prega, figlio mio, Cristo perché ci manifesti, per mezzo tuo, la sua
volontà e, una volta conosciutala, possiamo acconsentire con più sicurezza ai tuoi pii desideri».
Il Santo obbedì al comando del sommo Pastore e ricorse con tutta fiducia a Cristo. Pregò con
insistenza ed esortò pure i compagni a supplicare devotamente Dio. In breve, mentre pregava ottenne
la risposta e comunicò ai figli novità salutari. Vennero così a sapere che Cristo gli aveva detto
familiarmente, in parabola: «Francesco, dirai al Papa così:--Viveva in un deserto una donna povera, ma
molto bella. Un re se ne innamorò per il suo incantevole aspetto, strinse relazione con lei gioiosamente
e ne ebbe figli bellissimi. Una volta adulti ed educati nobilmente, la madre disse loro: "Non
vergognatevi, o miei diletti, per il fatto di essere poveri, perché siete tutti figli di quel grande re.
Andate dunque gioiosi alla sua corte e chiedetegli quanto vi occorre". Meravigliati e lieti a quelle
parole, animati dall'assicurazione di essere di stirpe reale e futuri eredi, stimarono ricchezza la loro
estrema povertà, e si presentarono al re con fiducia e senza paura, perché nel volto riproducevano il
suo volto. Vedendo che gli rassomigliavano, il re chiese, meravigliato di chi fossero figli. Ed avendogli
risposto che erano figli di quella donna povera e sola nel deserto, li abbracciò: "Siete figli miei ed
eredi; non abbiate timore; perché, se alla mia mensa si nutrono estranei, è certamente più giusto che
si nutrano quelli che hanno diritto a tutta l'eredità". Ordinò poi alla donna di mandare alla sua corte
tutti i figli generati da lui, perché vi fossero allevati». Il Santo, traboccante di gioia a motivo della
parabola, riferì subito al Papa il solenne oracolo.
603
17. La.donna simboleggia Francesco, non per la mollezza della condotta, ma per i numerosi
suoi figli. Il deserto è il mondo, allora incolto e sterile di virtù. L'abbondante e splendida figliolanza è il
copioso numero di frati, ricchi di ogni virtù. Il re: il Figlio di Dio e a lui corrispondono nell'aspetto,
somiglianti per la santa povertà, quelli, che, messo da parte ogni rossore, si sfamano alla mensa del re:
contenti della imitazione di Cristo, vivendo di elemosina, pur attraverso il disprezzo del mondo, sanno
che un giorno saranno felici.
Il Papa ascoltò con meraviglia la parabola e riconobbe senza incertezze che Cristo aveva
parlato in quell'uomo. Si ricordò di un sogno fatto pochi giorni prima e illuminato dallo Spirito Santo,
affermò che si sarebbe realizzato proprio in lui. Aveva sognato infatti che la Basilica del Laterano stava
per crollare e che un religioso, piccolo e spregevole, la puntellava con le sue spalle, perché non
cadesse. «Ecco, pensò: questi è colui che con l'azione e la parola sosterrà la Chiesa di Cristo».
È questo il motivo, per cui il signor Papa assecondò con tanta facilità la sua domanda e, da
quel momento, anima veramente piena di Dio, amò sempre il servo di Cristo con particolare
benevolenza. Esaudì subito le richieste, e promise amabilmente che avrebbe aggiunto più importanti
concessioni.
Francesco, allora, usando della facoltà concessagli, cominciò a spargere semi di virtù,
predicando con maggior fervore tutt'attorno, per città e villaggi.
SANTA MARIA DELLA PORZIUNCOLA
CAPITOLO XII
L'AMORE DEL SANTO
E DELLA BEATA VERGINE PER QUESTO LUOGO.
COME I FRATI Vl ABITAVANO
604
18. Il servo di Dio, Francesco, piccolo di statura, umile di spirito e minore di professione,
mentre viveva qui sulla terra scelse per sé e per i suoi una piccola porzione di mondo: altrimenti, senza
usare nulla di questo mondo, non avrebbe potuto servire Cristo. E furono di certo ispirati da Dio quelli
che, anticamente, chiamarono Porziuncola il luogo che toccò in sorte a coloro che non volevano
assolutamente possedere nulla su questa terra.
Sorgeva in questo luogo una chiesa dedicata alla Vergine Madre, che, per la sua particolare
umiltà,. meritò, dopo il Figlio, di essere Sovrana di tutti i Santi. Qui ebbe inizio l'Ordine dei minori, e
s'innalzò ampia e armoniosa, come poggiata su fondamento solido, la loro nobile costruzione Il Santo
amò questo luogo più di ogni altro, e comandò ai frati di venerarlo con particolare devozione. Volle
che fosse sempre custodito come specchio dell'Ordine in umiltà e altissima povertà, riservandone ad
altri la proprietà e ritenendone per sé ed i suoi soltanto l'uso.
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19. Vi era osservata in tutto una rigidissima disciplina: nel silenzio e nel lavoro, come pure in
tutti gli altri ordinamenti della vita regolare. Nessun frate poteva entrarvi liberamente, se non quelli
espressamente incaricati: raccolti qui da ogni parte, il Santo li voleva esempio di devozione a Dio e
perfetti in tutto. Era assolutamente vietato l'accesso ad ogni secolare. Non voleva che i frati che qui
abitavano--in numero ristretto--fossero solleticati dal prurito di notizie mondane e, interrompendo la
contemplazione dei beni celesti, fossero trascinati dai cicaloni ad occuparsi delle cose terrene. Non
era permesso ad alcuno dire, in questo luogo, parole oziose, né riferire quelle dette da altri. Se uno, a
volte, mancava in questo, veniva messo in guardia a non ripeterlo mai più da un castigo salutare. I frati
che vi dimoravano, erano impegnati giorno e notte nelle lodi divine, e conducevano una vita angelica,
fragrante di soave odore.
E giustamente. Perché il luogo, a detta degli antichi abitanti, era chiamato, con altro nome,
Santa Maria degli Angeli. Il Padre diceva di sapere per divina rivelazione che la beata Vergine, fra tutte
le chiese innalzate a suo onore, amava quella con particolare predilezione; e perciò il Santo la
preferiva a tutte le altre.
CAPITOLO XIII
UNA VISIONE
606
20. Un santo frate, prima della sua conversione, aveva avuto, a proposito di Santa Maria degli
Angeli una visione degna di essere riferita. Stava osservando innumerevoli uomini, che con gli occhi
dolorosamente spenti e la faccia rivolta al cielo, erano inginocchiati attorno alla detta chiesa. Tutti,
con voce di pianto e le mani protese in alto, gridavano a Dio, chiedendo luce e misericordia. Ed ecco,
scese dal cielo uno splendore, che irradiandosi su tutti, donò a ciascuno la luce e la salvezza
desiderata.
TENORE DI VITA DI SAN FRANCESCO E DEI FRATI
CAPITOLO XIV
IL RIGORE DELLA DISCIPLINA
607
21. Il coraggioso soldato di Cristo non aveva mai alcun riguardo per il suo corpo e lo esponeva,
come non suo, a tutte le asprezze sia di fatti che di parole. Chi volesse enumerare ciò che ha patito,
supererebbe l'elenco dello scritto apostolico, nel quale vengono narrate le sofferenze dei Santi. E, allo
stesso modo, anche i suoi primi discepoli, senza eccezione, si sottoponevano a tutti i disagi, cosi da
ritenere addirittura peccato l'aspirare ad altro che alle consolazioni spirituali. Indossavano, come fosse
un vestito, corsaletti e cinture di ferro, e sarebbero venuti meno, spossati dalle veglie e dai lunghi
digiuni, se non avessero attenuato tanto rigore dietro assiduo ammonimento dell'accorto pastore.
CAPITOLO XV
DISCREZIONE DI SAN FRANCESCO
608
22. Una notte, una di quelle pecorelle, mentre le altre dormivano, si mise a gridare: «Muoio,
fratelli, ecco, muoio di fame!». Il saggio pastore si alzò immediatamente e si affrettò a portare l'aiuto
opportuno alla pecorella infermiccia. Ordinò di preparare la mensa, anche se con cibi alla buona, dove
l'acqua, come il più delle volte, suppliva alla mancanza di vino. Proprio lui cominciò a mangiare per
primo ed invitò a quel dovere di carità gli altri frati, perché il poverino non avesse ad arrossire.
Preso il cibo col timore del Signore, affinché fosse completo l'atto di carità, il Padre tenne ai
figli un lungo discorso sulla virtù della discrezione. Prescrisse di offrire sempre a Dio un sacrificio
condito di prudenza, ammonendoli accortamente di tener conto, nel servizio divino, delle proprie
forze. Perché, diceva, è come peccare il sottrarre senza discrezione al corpo il necessario, come pure
dargli il superfluo, sotto la spinta della gola. Poi soggiunse: «Carissimi, ciò che ho fatto mangiando,
sappiate che è stato fatto non per bramosia, ma per doverosa attenzione e perché me lo ha imposto la
carità fraterna. La carità vi sia di esempio, non il cibo, perché questo soddisfa la gola, quella invece lo
spirito».
CAPITOLO XVI
LA SUA CONOSCENZA DEL FUTURO
E COME AFFIDÒ L' ORDINE ALLA CHIESA ROMANA.
UNA VISIONE
609
23. Il padre santo progrediva continuamente in meriti e virtù. E poiché la sua prole cresceva
ovunque in numero e grazia ed estendeva sino ai confini della terra i suoi tralci, ricchi a meraviglia di
frutti ubertosi, cominciò a riflettere sempre più spesso, preoccupato come la giovane pianta potesse
conservarsi e crescere stretta nel vincolo della unità.
Vedeva, già allora, che molti, come lupi, infierivano contro il piccolo gregge,--vecchi incalliti
nel male--, spinti a nuocere unicamente dalla novità.
Prevedeva pure che tra gli stessi figli potevano sorgere difficoltà a danno della pace e
dell'unità, e lo turbava il pensiero che, come spesso avviene tra gli eletti, vi sarebbero stati alcuni
inorgogliti nella loro mentalità carnale, pronti alle contese e facili allo scandalo.
610
24. Mentre rivolgeva questi e simili pensieri nella sua mente, una notte, nel sonno, ebbe
questa visione. Vide una gallina piccola e nera, simile ad una colomba domestica, con zampe e piedi
rivestiti di piume. Aveva moltissimi pulcini, che per quanto si aggirassero attorno a lei, non riuscivano
a raccogliersi tutti sotto le sue ali. Quando si svegliò, l'uomo di Dio, e riprese i suoi pensieri, spiegò
personalmente la visione. « La gallina, commentò, sono io, piccolo di statura e di carnagione scura, e
debbo unire alla innocenza della vita una semplicità di colomba: virtù, che quanto è più rara nel
mondo, tanto più speditamente si alza al cielo. I pulcini sono i frati, cresciuti in numero e grazia, che
la forza di Francesco non riesce a proteggere dal turbamento degli uomini e dagli attacchi delle
lingue maligne ».
611
«Andrò dunque, e li raccomanderò alla santa Chiesa Romana: in tale modo i malevoli saranno
colpiti dalla verga della sua potenza e i figli di Dio, ovunque, godranno di piena libertà, a maggior
beneficio della salvezza eterna. Da questo i figli riconosceranno le tenere premure della madre e ne
seguiranno, con particolare devozione, le orme venerande.. La sua protezione difenderà l'Ordine dagli
attacchi dei maligni, e il figlio di Belial non passerà impunemente per la vigna del Signore. Persino
lei, che è santa, emulerà la gloria della nostra povertà e non permetterà che il torbido della superbia
possa offuscare i grandi pregi dell'umiltà. Conserverà illesi tra di noi i vincoli della carità e della pace,
colpendo con rigore e severità chi è causa di discordia.
Alla sua presenza fiorirà sempre la santa osservanza della purezza evangelica e non consentirà
che svanisca neppure per un istante il buon odore della vita».
Fu questa la vera e unica intenzione che ebbe il Santo nel volere tale raccomandazione, e
questi gli argomenti santissimi della prescienza dell'uomo di Dio riguardo alla necessità di affidarsi alla
Chiesa per il tempo futuro.
CAPITOLO XVII
CHIEDE IL SIGNORE D' OSTIA
COME SOSTITUTO DEL PAPA
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25. Si portò dunque a Roma, dove il signor papa Onorio e tutti i Cardinali lo accolsero con
grande devozione. Ed a ragione, perché si ripercuoteva visibilmente nella sua vita e nelle parole il
profumo della sua fama, e non era quindi possibile non venerarlo. Predicò davanti al Papa ed ai
Cardinali con animo franco e pieno di ardore, attingendo dalla pienezza del cuore, come gli suggeriva
lo Spirito. Alla sua parola si commossero quelle altezze e, traendo profondi sospiri dall'intimo, lavarono
con lacrime l'uomo interiore.
Terminato il discorso e dopo qualche istante di cordiale colloquio col Papa, alla fine così
espose la sua richiesta: «Non è facile, Signore, come sapete, per gente povera e umile avere accesso a
così grande maestà. Avete nelle mani il mondo e gli impegni molto importanti non permettono di
dedicarsi alle minuzie. Per questo, Signore,--continuò --chiedo al tenerissimo affetto di vostra Santità
di concederci come papa il Signore d'Ostia, qui presente; così, rimanendo sempre intatta la dignità
della vostra preminenza, i frati potranno rivolgersi a lui in tempo di necessità, ed essere, con
vantaggio, difesi e governati».
Il Papa gradì una richiesta tanto santa, e subito prepose all'Ordine, secondo la domanda
dell'uomo di Dio, il Signor Ugolino, allora vescovo d'Ostia. Il santo cardinale accettò con amore il
gregge, che gli era stato affidato, lo allevò premurosamente, e ne fu insieme pastore ed alunno sino
alla beata fine.
È a questa particolare sottomissione che si deve la prerogativa di amore e la sollecitudine,
che, da sempre, la Chiesa Romana non cessa di testimoniare all'Ordine dei minori.
Fine della Parte prima
PARTE SECONDA
Introduzione
613 26.Tramandare le azioni gloriose degli antenati è segno d'onore verso di loro, ma è anche una
prova di amore per i figli, che non li hanno conosciuti personalmente. Dal ricordo delle loro gesta sono
indotti al bene e convinti a migliorarsi, mentre testimonianze indimenticabili rendono vivi ai loro occhi
i padri ormai lontani nel tempo. Ne possiamo trarre anzitutto--frutto certamente non piccolo--la
coscienza della nostra pochezza, quando mettiamo a confronto l'abbondanza dei loro meriti e la nostra
miseria.
Ora io ritengo che Francesco sia stato come uno specchio santissimo della santità del Signore e
immagine della sua perfezione. Tutte le sue parole ed azioni hanno per così dire, un profumo divino.
Chi le esamina con diligenza e le segue umilmente, raggiunge ben presto a questa scuola di saggezza la
sua altissima sapienza. Per questo motivo, dopo avere premesso, anche se con stile dimesso e quasi di
corsa, alcuni episodi riguardanti la sua persona, ritengo non superfluo aggiungere fra tanti qualche
altro cenno, per esaltare il Santo e risvegliare il nostro amore intorpidito.
LO SPIRITO DI PROFEZIA DEL BEATO FRANCESCO
CAPITOLO I
614
27. Il beato padre, come elevato al di sopra delle cose terrene, aveva assoggettato con potere
meraviglioso tutto quanto esiste nel mondo. Tenendo fisso sempre l'occhio della intelligenza in quella
somma luce, non solo conosceva per divina rivelazione ciò che doveva fare, ma prevedeva
profeticamente molti fatti, penetrava i segreti dei cuori, conosceva ciò che avveniva lontano,
prevedeva e narrava in anticipo il futuro. Alcuni esempi comprovano quanto affermiamo.
CAPITOLO II
SMASCHERA UN FRATE RITENUTO SANTO
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28. Vi era un frate, all'apparenza di grande santità e di vita integerrima però molto singolare.
Si dedicava continuamente alla preghiera, ed osservava con tanto rigore il silenzio che di solito si
confessava non a voce, ma con gesti. Si infiammava alle parole della Scrittura e, dopo l'ascolto, dava
segni di una meravigliosa dolcezza interiore. In breve, era stimato da tutti tre volte santo. Or avvenne
che il beato padre un giorno si recò in quel luogo, vide il fratello e ascoltò quelli che lo proclamavano
santo. E mentre tutti lo magnificavano ed esaltavano: «Basta, fratelli! -- esclamò --. Non state a
lodarmi delle finzioni diaboliche. Sappiate con certezza che è tentazione del demonio e perfido
inganno. Ne sono certo e la prova più sicura è che non vuole confessarsi ».
I frati rimasero costernati e particolarmente il vicario del Santo. « E come, andavano
ripetendo, può essere che sotto tanti segni di perfezione vi sia una tale mistificazione?». E il Padre di
rimando: «Comandategli di confessarsi due o almeno una volta la settimana: se non lo farà, sappiate
che ho detto il vero».
Il vicario lo prese in disparte, dapprima scambiò con lui cordiali e liete parole e finalmente gli
ordinò di confessarsi. Ma quegli rifiutò con sdegno, e ponendosi un dito sulla bocca fece capire col
cenno del capo che in nessun modo si sarebbe confessato. I frati ammutolirono, temendo lo scandalo
del falso santo. Poco tempo dopo uscì spontaneamente dall'Ordine, ritornò alla vita mondana ed al suo
vomito, e infine, dopo innumerevoli peccati, morì senza pentimento.
Si deve sempre evitare la singolarità: non è altro che un bel precipizio. Lo dimostra
chiaramente il caso di tanti, amanti della singolarità, che si innalzano al cielo e scendono in fondo
all'abisso. Considera inoltre il valore di una confessione sincera, che non solo è fonte ma anche
espressione di santità.
CAPITOLO III
CASO SIMILE CONTRO LA SINGOLARITÀ
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29. Un fatto simile avvenne ad un altro frate, Tommaso da Spoleto. Tutti credevano
fermamente e giuravano che fosse santo, ma il santo padre lo riteneva un uomo perverso; l'apostasia
dimostrò alla fine la verità del suo giudizio. Non durò a lungo, perché non resiste molto una virtù
basata sulla frode. Uscì dall'Ordine ed è morto fuori di esso: ora si è accorto della sua riprovevole
condotta.
CAPITOLO IV
PREVEDE LA DISFATTA DEI CRISTIANI
PRESSO DAMIATA
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30. Al tempo in cui l'esercito cristiano stringeva d'assedio Damiata, era presente anche il Santo
con alcuni compagni: avevano attraversato il mare desiderosi del martirio.
Un giorno avuta notizia che i nostri si disponevano a battaglia, si addolorò fortemente e rivolto
al compagno disse: «Il Signore mi ha mostrato che, se avverrà oggi lo scontro, andrà male per i
cristiani. Ma se dico questo, sarò creduto pazzo; se taccio, mi rimorde la coscienza. Cosa ne pensi? ».
«Padre,--rispose il compagno--, non dare importanza al giudizio degli uomini; del resto non sarebbe la
prima volta oggi che sei giudicato pazzo. Libera la tua coscienza e abbi timore di Dio piuttosto che
degli uomini».
Allora il Santo balza fuori e per il loro bene scongiura i cristiani a non dar battaglia, e minaccia
la disfatta. Ma essi presero a scherzo ciò che era verità, indurirono il loro cuore e rifiutarono ogni
avvertimento. Si avanza, si attacca, si combatte e si passa al contrattacco da parte dei nemici.
Durante la battaglia il Santo con l'animo sospeso invita il compagno ad alzarsi e ad osservare; e poiché
non vede nulla una prima ed una seconda volta, glielo ordina per la terza volta. Ed ecco: tutto
l'esercito cristiano è in fuga, mettendo fine alla guerra non col trionfo, ma con la vergogna. I nostri
subirono tale disfatta da perdere seimila uomini tra morti e prigionieri.
Il Santo era vinto dalla compassione, né minore era il loro pentimento per l'accaduto.
Soprattutto compiangeva gli Spagnoli, che vedeva ridotti a ben pochi a causa del loro maggiore slancio
nel combattere.
Riflettano bene a ciò tutti i principi di questo mondo e sappiano che non è facile combattere
contro Dio, cioè contro la volontà divina. L'ostinazione di solito porta a funesta rovina, perché
confidando nelle proprie forze non merita l'aiuto celeste. Se infatti si deve sperare la vittoria dall'alto
bisogna pure attaccare battaglia solo dietro ispirazione divina.
CAPITOLO V
SCOPRE I PENSIERI SEGRETI Dl UN FRATE
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31. Il Santo ritornava dai paesi d'Oltremare con un compagno, Leonardo d'Assisi. Sentendosi
stanco morto dal viaggio, montò momentaneamente su un asino. Il compagno che seguiva a piedi e non
era meno stanco, cominciò a borbottare tra sé, preso da un certo risentimento umano: «Non giocavano
certo a pari e caffo i genitori di costui ed i miei. Ecco, lui va a cavallo ed io, a piedi, gli guido l'asino».
Mentre rimuginava questi pensieri, il Santo balzò da cavallo: «No, non è giusto, fratello--gli
dice--che io vada a cavallo e tu a piedi, perché nel mondo sei stato più nobile e importante di me ».
Il frate rimase di stucco e arrossì sentendosi scoperto dal Santo. Cadde ai suoi piedi: tra
lacrime abbondanti gli espose tutto il suo pensiero e chiese perdono.
CAPITOLO VI
VEDE UN DIAVOLO SULLA SCHIENA Dl UN FRATE.
SUO ATTEGGIAMENTO CONTRO CHI SI ALLONTANA
DALL'' UNITÀ DEI FRATELLI
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32. Vi era un altro frate assai stimato dagli uomini, ma ancora più ricco di grazia presso Dio.
Invidioso dei suoi meriti, il padre di ogni invidia pensò di tagliare alle radici l'albero, che sembrava
ormai toccare il cielo e strappargli di mano la corona. Gli gira attorno, lo turba, scuote e vaglia le sue
attitudini per trovare un inciampo adatto al frate. Gli immette così nell'animo il desiderio di isolarsi
sotto pretesto di maggiore perfezione, affinché cada più facilmente quando gli piomberà addosso, e
trovandosi solo non abbia chi lo sollevi nella caduta.
In breve, si stacca dalla vita religiosa dei fratelli, e se ne va per il mondo forestiero e
pellegrino. Dall'abito che portava ricavò una piccola tonaca, col cappuccio non cucito, e così se ne
andava errabondo, disprezzando in tutto se stesso. Ma mentre andava vagando in questo modo, presto
vennero meno le consolazioni divine, ed egli si trovò agitato da tentazioni tempestose: le acque gli
arrivavano sino al collo e, desolato nello spirito e nel corpo, era come un uccello che si precipita nella
rete. Già come sull'orlo di una voragine, stava per precipitare nel baratro, quando la Provvidenza
paternamente ebbe compassione di lui e rivolse il suo sguardo amoroso all'infelice. Ammaestrato dalla
tribolazione, rientrò finalmente in se stesso e disse: «Ritorna, o misero, alla tua vita religiosa, perché
lì è la tua salvezza ». E senza indugiare un istante, si alzò e si avviò in fretta al grembo materno.
33. Quando giunse a Siena, tra quei frati c'era anche Francesco. Ma --cosa incredibile! --appena
il Santo lo scorse, si allontanò per rinchiudersi con passo frettoloso nella sua cella. I frati si
domandavano turbati il motivo di tale comportamento. E il Santo disse loro: «Perché vi meravigliate
della mia fuga, se non ne comprendete il motivo? Io ho fatto ricorso alla preghiera per salvare il
fratello smarrito. Ho visto nel mio figlio qualcosa che molto giustamente mi dispiacque. Ma ormai per
grazia del mio Cristo ogni inganno è svanito».
Il frate si inginocchiò e con rossore confessò la sua colpa. Gli disse il Santo: «Ti perdoni il
Signore; ma in futuro guardati di non separarti mai più, col pretesto della santificazione, dal tuo
Ordine e dai fratelli». Da quel giorno il frate prese ad amare l'Istituto e la fraternità, preferendo
soprattutto quelle comunità in cui era in vigore maggiormente la regolare osservanza.
Oh, quali meraviglie compie il Signore nel consesso e nella comunità dei giusti! In essa chi è
tentato trova aiuto chi cade viene rialzato, il tiepido viene stimolato. In essa il ferro si aguzza col
ferro ed il fratello, con l'aiuto del fratello diviene saldo come una roccaforte. Inoltre, se è vero che la
folla del mondo è di ostacolo a vedere Gesù, è anche certo che non lo impedisce affatto il coro celeste
degli angeli. Soltanto non fuggire: sii fedele sino alla morte e riceverai la corona della vita.
ALTRO CASO SIMILE
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34. Qualche tempo dopo avvenne un fatto non molto diverso. Un altro frate non voleva
ubbidire al vicario del Santo, ma seguiva come suo superiore un confratello. Il Santo, che era presente,
lo ammonì per mezzo di una terza persona, ed egli si gettò ai piedi del vicario e, lasciato il maestro
che si era scelto, promise obbedienza a colui che il Santo gli assegnò come superiore. Francesco trasse
un profondo sospiro, e rivolto al compagno, che aveva mandato per avvisarlo: «Ho visto, fratello--gli
disse--sul dorso del frate disobbediente un diavolo che lo stringeva al collo. Sottomesso e tenuto a
briglia da un tale cavaliere, dopo aver scosso il morso dell'obbedienza, si lasciava guidare dalla sua
volontà e capriccio. Ma quando ho pregato il Signore per lui, subito il demonio si è allontanato
confuso».
Tanto penetrante era lo sguardo di questo uomo, che pur avendo occhi deboli per le cose
materiali, li aveva perspicaci per quanto riguarda lo spirito.
E quale meraviglia che venga oppresso da una ignobile soma chi rifiuta di portare il Signore
della gloria? Non c'è, dico, altra scelta: o portare un peso leggero, dal quale piuttosto tu stesso sarai
portato, oppure essere schiavo della iniquità, che ti aderisce al collo come una macina da asino, più
pesante di una massa di piombo.
CAPITOLO VII
LIBERA GLI ABITANTI DI GRECCIO DAI LUPI
E DALLA GRANDINE
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35. Il Santo si fermava volentieri nell'eremo di Greccio, sia perché lo vedeva ricco di povertà,
sia perché da una celletta appartata, costruita sulla roccia prominente, poteva dedicarsi più
liberamente alla contemplazione delle cose celesti. È proprio questo il luogo, dove qualche tempo
prima aveva celebrato il Natale del Bambino di Betlemme, facendosi bambino col Bambino.
Ora, gli abitanti del luogo erano colpiti da diversi mali: torme di lupi rapaci attaccavano
bestiame e uomini, e inoltre, la grandine stroncava ogni anno messi e viti. Un giorno Francesco,
mentre predicava, disse: «A gloria e lode di Dio Onnipotente, ascoltate la verità che vi annunzio. Se
ciascuno di voi confesserà i suoi peccati e farà degni frutti di penitenza, vi do la mia parola che questo
flagello si allontanerà definitivamente ed il Signore, guardando a voi con amore, vi arricchirà di beni
temporali. Ma -- continuò -- ascoltate anche questo: vi avverto pure che se, ingrati dei benefici,
ritornerete al vomito, si risveglierà la piaga, raddoppierà la pena e la sua ira infierirà su di voi più
crudelmente di prima ».
36 Da quel momento, per i meriti e le preghiere del padre santo, cessarono le calamità,
svanirono i pericoli, e i lupi e la tempesta non recarono più molestia. Anzi, ciò che più meraviglia,
quando la grandine batteva i campi dei vicini e si appressava al loro confine, o cessava lì o si dirigeva
altrove.
Ma nella tranquillità crebbero di numero e si arricchirono troppo di beni materiali. Ed il
benessere portò le conseguenze solite: affondarono il volto nel grasso e furono accecati dalla
pinguedine o meglio dallo sterco della ricchezza. E così, ricaduti in colpe maggiori, si dimenticarono di
Dio che li aveva salvati. Ma non impunemente, perché il giusto castigo del Signore colpisce meno
severamente chi cade nel peccato una volta di chi è recidivo. Si risvegliò contro di essi il furore di Dio
ed ai flagelli di prima si aggiunse la guerra e venne dal cielo una epidemia che fece innumerevoli
vittime. Da ultimo, un incendio vendicatore distrusse tutto il borgo.
È ben giusto che chi volge la schiena ai benefici, vada in perdizione.
CAPITOLO VIII
MENTRE PREDICA AGLI ABITANTI Dl PERUGIA,
PREDICE LA GUERRA CIVILE. LODE DELLA CONCORDIA
622
37. Alcuni giorni dopo il Padre scese dalla cella suddetta e rivolto ai frati presenti disse con
voce di pianto: «I Perugini hanno arrecato molto danno ai loro vicini ed il loro cuore si è insuperbito,
ma per loro ignominia. Perché si avvicina la vendetta di Dio e questi ha già in pugno la spada». Attese
alcuni giorni, poi in fervore di spirito si diresse verso Perugia. I frati poterono dedurre con tutta
sicurezza che aveva avuto in cella una visione. Giunto a Perugia, cominciò a parlare al popolo che si
era dato convegno. E poiché i cavalieri impedivano l'ascolto della parola di Dio, giostrando, secondo
l'uso ed esibendosi in spettacoli d'arme, il Santo, molto addolorato, li apostrofò: «O uomini miseri e
stolti, che non riflettete e non temete la punizione di Dio! Ma ascoltate ciò che il Signore vi annunzia
per mezzo di questo poverello. Il Signore vi ha innalzati al di sopra di quanti abitano attorno, e per
questo dovreste essere più benevoli verso il prossimo e più riconoscenti a Dio. E invece, ingrati per
tanto beneficio, assalite con le armi in pugno i vicini, li uccidete e li saccheggiate. Ebbene, vi dico:
non la passerete liscia! Il Signore a vostra maggiore punizione vi porterà a rovina con una guerra
fratricida, che vedrà sollevarsi gli uni contro gli altri. Sarete istruiti dallo sdegno giacché nulla avete
imparato dalla benevolenza».
Poco tempo dopo scoppia la contesa: si impugnano le armi contro i vicini di casa, i popolani
infieriscono contro i cavalieri e questi, a loro volta, contro il popolo: furono tali l'atrocità e la strage,
che ne provarono compassione anche i confinanti, che pure erano stati danneggiati.
Castigo ben meritato! Si erano allontanati da Dio Uno e Sommo: era inevitabile che neppure
tra loro rimanesse l'unità. Non vi può essere per uno Stato un legame più forte di un amore convinto a
Dio, unito ad una fede sincera e senza ipocrisie.
CAPITOLO IX
PREDICE AD UNA DONNA LA CONVERSIONE DEL MARITO
623
38. Mentre il servo di Dio si recava alle Celle di Cortona, una nobildonna di Volusiano gli andò
incontro in tutta fretta. Dopo lungo cammino, finalmente lo raggiunse ansimante, perché era persona
molto delicata e gracile. Quando il padre santissimo la vide così sfinita e trafelata, ne ebbe
compassione e le chiese: « Cosa desideri, donna? ». « Padre, che tu mi benedica ». E il Santo: « Sei
sposata o no? ».
«Padre,--rispose--ho un marito molto crudele, che mi è di ostacolo nel servire Gesù Cristo. È
questo il mio vero tormento: a causa sua non posso mantenere i buoni propositi che il Signore mi ispira.
Perciò ti chiedo, o Santo di pregare per lui, affinché Dio nella sua misericordia gli muti il cuore ».
Il Padre rimase ammirato della donna dotata di un animo virile e così piena di senno pur
essendo di giovane età. E le rispose molto commosso: «Va, figlia benedetta, e sappi che tuo marito in
futuro ti sarà di consolazione ». E aggiunse: « Gli dirai da parte di Dio e mia, che ora è tempo di
salvezza, ma più tardi di giustizia ». E la benedisse. La donna se ne tornò a casa ed incontrato il marito
riferì quanto le era stato ordinato. Lo Spirito Santo scese improvvisamente su di lui, e trasformatolo da
vecchio in uomo nuovo, lo indusse a rispondere con tutta dolcezza: «Donna, serviamo il Signore e
salviamo le nostre anime qui nella nostra casa ».
«A me pare--soggiunse la moglie--che dovremmo porre come fondamento, per così dire, nella
nostra anima la continenza, e poi edificarvi sopra le altre virtù ».
« Sì, piace anche a me, come precisamente a te », concluse il marito.
Vissero molti anni in castità, e poi passarono da questa vita beatamente nello stesso giorno,
uno come olocausto del mattino e l'altro sacrificio della sera.
Donna invidiabile, che ha piegato così il marito alla vera vita! Si avvera in lei il detto
dell'Apostolo: il marito non credente si salva per mezzo della moglie credente. Ma queste donne, come
dice un proverbio assai comune, oggi si possono contare sulle dita.
CAPITOLO X
IL SANTO CONOSCE IN SPIRITO
CHE UN FRATE HA SCANDALIZZATO UN CONFRATELLO
E NE PREDICE L' USCITA DALL'' ORDINE
624 39. Una volta giunsero due frati dalla Terra di Lavoro ed il più anziano era stato spesso di scandalo
all'altro. Non era, veramente, un compagno ma un tiranno Il più giovane però sopportava tutto con
mirabile silenzio per amor di Dio.
Giunti ad Assisi, il più giovane si recò da Francesco, perché gli era familiare. Il Santo, tra
l'altro, gli chiese: «Come si è comportato verso di te il tuo compagno in questo viaggio?». «Abbastanza
bene in tutto, rispose il frate ». E il Santo di rimando: « Guardati, fratello, dal mentire sotto pretesto
di umiltà. Perché so come si è comportato verso di te; ma aspetta un poco e vedrai».
Il frate si meravigliò moltissimo che in spirito fosse venuto a conoscere fatti accaduti a tanta
distanza. Non molto tempo dopo, il frate che aveva dato scandalo al compagno, lasciò la vita religiosa
e se ne uscì.
Senza dubbio è segno di animo perverso e chiaro indizio di poco buon senso viaggiare assieme
ad un buon compagno e non essere dello stesso sentimento.
CAPITOLO XI
CONOSCE CHE UN GIOVANE
CHIEDE Dl ENTRARE NELL' ORDINE
SENZA VOCAZIONE DIVINA
625
40. Nello stesso tempo venne ad Assisi un giovane della nobiltà di Lucca desideroso di entrare
nell'Ordine. Presentato a Francesco, in ginocchio implorava a calde lacrime che lo accettasse. Ma,
osservandolo attentamente, l'uomo di Dio conobbe per illuminazione del Signore che non era mosso
dallo spirito: «Uomo miserabile e carnale, -- gli disse il Santo--, perché pensi di poter mentire allo
Spirito Santo e a me? Tu piangi lacrime carnali e il tuo cuore non è con Dio. Vai pure, perché non c'è
niente di spirituale in te ».
Aveva appena terminato queste parole, quando annunziarono che alla porta stavano i suoi
genitori, giunti per riprendere il figlio e riportarlo a casa. Ed egli, uscito loro incontro, se ne ritornò
volontariamente. I frati rimasero meravigliati e glorificavano Dio nel suo servo.
CAPITOLO XII
PREDICE AD UN ECCLESIASTICO DA LUI GUARITO
CASTIGHI PEGGIORI SE RICADRÀ NEL PECCATO
626
41. Nel tempo in cui il santo padre giaceva ammalato nel palazzo del vescovo di Rieti, era
pure costretto in un letto, perché infermo e attanagliato dai dolori, un canonico, di nome Gedeone,
uomo sensuale e mondano. Fattosi portare da Francesco, lo scongiurò con lacrime a voler fare su di lui
il segno della croce.
Rispose il Santo: «Come posso benedirti se da gran tempo sei vissuto secondo i desideri della
carne e senza timore del giudizio di Dio?». E continuò: «Ecco, io ti segno nel nome di Cristo. Ma tu
ricordati che subirai pene maggiori se, una volta guarito, ritornerai al tuo vomito». E concluse: «Il
peccato della ingratitudine riceve sempre castighi più gravi ».
Tracciato su di lui un segno di croce, subito l'ammalato, che giaceva fino a quel momento
rattrappito, si alzò sano, ed esclamò esultante: « Eccomi guarito! ». Molti sono testimoni che le ossa
della sua schiena scricchiolarono, come i legni secchi quando sono spezzati a mano. Ma passato poco
tempo, dimenticatosi di Dio, si abbandonò di nuovo alla sensualità. Una sera si trovava a cena da un
canonico suo collega e si fermò quella notte a casa di lui. All'improvviso crollò su tutti il tetto della
casa; ma, mentre gli altri scamparono alla morte, lui solo, lo sventurato, fu schiacciato sotto il peso
delle macerie e morì.
E non è meraviglia se, come aveva predetto il Santo, fu colpito da un castigo più grave del
primo: perché si deve essere grati per il perdono ricevuto, e offende doppiamente la ricaduta nel
peccato.
CAPITOLO XIII
LA TENTAZIONE DI UN FRATE
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42. Durante la permanenza del Santo nello stesso luogo, un frate della custodia della Marsica-uomo di spirito--, era provato da gravi tentazioni. « Oh--pensò in cuor suo--se avessi con me qualcosa
di Francesco, anche solo un pezzettino delle sue unghie, credo che di certo svanirebbe tutta questa
burrasca di tentazioni e ritornerebbe, con l'aiuto di Dio, il sereno ».
Ottenuto il permesso, si reca al luogo ove era Francesco ed espone il motivo ad uno dei
compagni del Padre. «Non credo--gli risponde--che mi sarà possibile darti un ritaglio delle sue unghie,
perché quando gliele tagliamo, comanda di buttarle via e di non conservare nulla». Proprio in quel
momento chiamano il frate e gli dicono di recarsi dal Santo, che lo desiderava: « Figlio mio,--gli dice -cerca le forbici per tagliarmi subito le unghie ». Quello presentò lo strumento che teneva già in mano a
questo scopo e, raccogliendo i ritagli avanzati, li consegnò al frate, che li aveva chiesti. Questi li prese
con devozione, li conservò ancor più devotamente, e subito fu liberato da ogni tentazione.
CAPITOLO XIV
UN UOMO OFFRE LA STOFFA
CHE IL SANTO AVEVA CHIESTO
AL SUO GUARDIANO IN PRECEDENZA
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43. Trovandosi nello stesso luogo, vestito di una tonachetta consunta, il Padre dei poveri disse
ad uno dei compagni, che aveva scelto come suo guardiano: «Vorrei, fratello, se ti fosse possibile, che
tu mi trovassi la stoffa sufficiente per una tonaca».
A questa domanda, il frate ripensò più volte come provvedere la stoffa tanto necessaria e
chiesta così umilmente. Il mattino dopo, sul fare dell'alba, si avvia alla porta diretto alla città per
comperare la stoffa, ed ecco un uomo seduto sulla soglia e che fa cenno di parlargli e gli dice:
«Accetta da me per amore di Dio questa stoffa per sei tonache: una tienila per te, e distribuisci le
altre come meglio ti piace, per la salvezza dell'anima mia ». Tutto contento il frate ritornò da
Francesco e gli parlò di quell'offerta venuta dal cielo. «Accetta pure le tonache, -- rispose il Padre -perché è stato inviato proprio a questo scopo, per soccorrere in tale modo la mia necessità ». E
concluse: «Sia ringraziato Colui che non sembra pensare ad altri che a noi ».
CAPITOLO XV
INVITA IL SUO MEDICO A PRANZO
MENTRE I FRATI SONO SPROVVISTI DI TUTTO
E IL SIGNORE PROVVEDE ABBONDANTEMENTE AL NECESSARIO.
LA PROVVIDENZA DI DIO VERSO I SUOI
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44. Trovandosi Francesco in un eremo presso Rieti , era visitato ogni giorno dal medico per la
cura degli occhi.
Una volta il Santo disse ai compagni: « Invitate il medico e preparategli un buon pranzo ».
«Padre,--rispose il guardiano--te lo diciamo con rossore, ci vergogniamo ad invitarlo, tanto
siamo poveri in questo momento».
«Volete forse che ve lo ripeta? » insistette il Santo.
Il medico era presente e intervenne: «Io, fratelli carissimi, stimerò delizia la vostra penuria ».
I frati in tutta fretta dispongono sulla tavola quanto c'è in dispensa: un po' di pane, non molto
vino e per rendere più sontuoso il pranzo, la cucina manda un po' di legumi. Ma la mensa del Signore
nel frattempo si muove a compassione della mensa dei servi. Bussano alla porta e corrono ad aprire:
c'è una donna che porge un canestro pieno zeppo di bel pane, di pesci e di pasticci di gamberi, e sopra
abbondanza di miele ed uva.
A tale vista i poveri commensali sfavillarono di gioia, e messa da parte per il giorno dopo
quella miseria, mangiarono di quei cibi prelibati. Il medico commosso esclamò: « Né noi secolari e
neppure voi frati conoscete veramente la santità di questo uomo». E si sarebbero di certo pienamente
sfamati, ma più che il cibo li aveva saziati il miracolo.
Così l'occhio amoroso del Padre non disprezza mai i suoi, anzi assiste con più generosa
provvidenza chi è più bisognoso. Il povero si pasce ad una mensa più ricca di quella del re, quanto Dio
supera in generosità l'uomo.
LIBERA FRATE RICCERIO DA UNA TENTAZIONE
630
44a. Un frate di nome Riccerio, nobile di costumi quanto di nascita, aveva tanta stima dei
meriti di Francesco da credere che uno avrebbe meritato la grazia divina, se avesse goduto della
benevolenza del Santo, in caso contrario, sarebbe andato incontro all'ira di Dio. Per questo aspirava
ardentemente ad acquistarsi la sua amicizia, ma temeva grandemente che il Santo trovasse in lui
qualcosa di vizioso, anche se nascosto, e che ciò lo allontanasse ancor più dalla sua grazia. Questo
timore lo torturava di continuo né riusciva a manifestarlo ad alcuno. Ma un giorno, turbato come
sempre, si avvicinò alla cella nella quale Francesco stava in preghiera. Conoscendo nello stesso tempo
il suo arrivo ed il suo stato d'animo, l'uomo di Dio lo chiamò a sé e gli disse con benevolenza: « Nessun
timore, nessuna tentazione ti turbi mai più, figlio mio, perché mi sei carissimo. E fra quanti mi sono
più cari, ti amo di un amore particolare. Vieni a me senza timore, quando ti piace, e da me riparti con
tutta libertà a tuo piacimento».
Il frate restò pieno di meraviglia e di gioia alle parole del Santo e da allora in poi sicuro del suo
affetto, crebbe anche, come era suo convincimento, nella grazia del Salvatore.
CAPITOLO XVI
ESCE DALLA CELLA PER BENEDIRE DUE FRATI
AVENDONE CONOSCIUTO IL DESIDERIO
PER DIVINA ISPIRAZIONE
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45. San Francesco era solito passare l'intera giornata in una cella isolata e non ritornava tra i
frati se non quando urgeva la necessità del mangiare. Non andava però nemmeno allora ad ore fisse,
perché il desiderio prepotente della contemplazione lo assorbiva assai spesso completamente.
Un giorno arrivarono da lontano all'eremo di Greccio due frati di vita santa e gradita a Dio:
volevano unicamente vedere il Santo e riceverne la benedizione lungamente desiderata. Essendo giunti
e non trovandolo, perché si era già ritirato dal luogo comune nella sua cella, furono presi da grande
tristezza. E poiché si prevedeva una lunga attesa non sapendo con certezza quando sarebbe uscito,
presero la via del ritorno afflitti, attribuendo ciò alle loro colpe. I compagni del Santo li
accompagnavano, cercando di alleviare la loro tristezza. Quando furono lontani un tiro di sasso,
all'improvviso si udi alle loro spalle il Santo che chiamava ad alta voce, e poi disse ad uno dei
compagni: « Di' ai miei frati che sono venuti qui, di guardare verso di me ». I frati si voltarono verso di
lui, ed egli tracciando un segno di croce li benedisse con grandissimo affetto.
Ed essi tanto più contenti quanto più vantaggiosamente avevano raggiunto l'intento per mezzo
di un miracolo, ritornarono a casa lodando e benedicendo il Signore.
CAPITOLO XVII
CON LA PREGHIERA
FA SCATURIRE ACQUA DA UNA ROCCIA
PER DISSETARE UN CONTADINO
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46. Francesco voleva un giorno recarsi ad un eremo per dedicarsi più liberamente alla
contemplazione; ma, poiché era assai debole, ottenne da un povero contadino di poter usare del suo
asino.
Si era d'estate, ed il campagnolo che seguiva il Santo arrampicandosi per sentieri di montagna,
era stanco morto per l'asprezza e la lunghezza del viaggio. Ad un tratto, prima di giungere all'eremo, si
sentì venir meno riarso dalla sete. Si mise a gridare dietro al Santo, supplicandolo di avere
misericordia di lui, perché senza il conforto di un po' d'acqua sarebbe certamente morto.
Il Santo, sempre compassionevole verso gli afflitti, balzò dall'asino, e inginocchiato a terra alzò
le mani al cielo e non cessò di pregare fino a quando si sentì esaudito. «Su, in fretta--gridò al
contadino--là troverai acqua viva, che Cristo misericordioso ha fatto scaturire ora dalla roccia per
dissetarti ».
Mirabile compiacenza di Dio, che si piega così facilmente ai suoi servi! L'uomo bevve l'acqua
scaturita dalla roccia per merito di chi pregava e si dissetò alla durissima selce. Non vi era mai stato in
quel luogo un corso d'acqua, né si trovò dopo, per quante ricerche siano state fatte.
Quale meraviglia, se un uomo ripieno di Spirito Santo riunisce in sé le opere mirabili di tutti i
giusti? Non è certo cosa straordinaria, se ripete azioni simili a quelle di altri Santi chi ha il dono di
essere unito a Cristo per una grazia particolare.
CAPITOLO XVIII
IL SANTO NUTRE ALCUNI UCCELLINI
ED UNO DI ESSI MUORE PER LA SUA INGORDIGIA
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47. Un giorno Francesco era seduto a mensa con i frati, quando entrarono due uccellini,
maschio e femmina, che poi ritornarono ogni giorno per beccare a piacimento le briciole dalla tavola
del Santo, preoccupati di nutrire i loro piccoli. Il Santo ne è lieto, li accarezza come sempre e dà loro a
bella posta la razione di cibo quotidiano. Ma un giorno, padre e madre presentano i loro figlioletti ai
frati, essendo come stati allevati a loro spese e, affidandoli alle loro cure, non si fanno più vedere. I
piccoli familiarizzano con i frati, si posano sulle loro mani e si aggirano in casa non come ospiti, ma di
famiglia. Evitano le persone secolari, perché si sentono allievi solamente dei frati. Il Santo osserva
stupito ed invita i frati a gioirne: «Vedete--dice-- cosa hanno fatto i nostri fratelli pettirossi, come se
fossero intelligenti? Ci hanno detto:--Ecco, frati, vi presentiamo i nostri piccoli, cresciuti con le vostre
briciole. Disponete di loro come vi piace: noi andiamo ad altro focolare--».
Così avendo presa piena dimestichezza coi frati, prendevano tutti insieme il cibo. Ma
l'ingordigia ruppe la concordia, perché il maggiore cominciò con superbia a perseguitare i più piccoli. Si
saziava egli a volontà e poi scacciava gli altri dal cibo. «Guardate--disse il Padre--questo ingordo: pieno
e sazio lui, è invidioso degli altri fratelli affamati. Avrà di certo una brutta morte». La sua parola fu
seguita ben presto dalla punizione: salì quel perturbatore della pace fraterna su un vaso d'acqua per
bere, e subito vi morì annegato. Non si trovò gatto o bestia, che osasse toccare il volatile maledetto
dal Santo.
È veramente un male che desta orrore l'egoismo degli uomini, se persino negli uccelli viene
punito in questo modo. Ed è pure da temersi la condanna dei Santi, poiché le tiene dietro con tanta
facilità il castigo.
CAPITOLO XIX
SI REALIZZA COMPLETAMENTE
QUANTO AVEVA PREDETTO DI FRATE BERNARDO
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48. In altra occasione fece questa predizione di frate Bernardo, che era stato il secondo ad
entrare nell'Ordine: «Vi dico che per mettere alla prova frate Bernardo sono stati designati demoni
molto scaltri e peggiori degli altri spiriti. Ma quantunque cerchino in tutti i modi di fare precipitare l'
astro dal cielo, ben diversa sarà la conclusione. Subirà certo tribolazione, tentazioni ed afflizioni, ma
alla fine riporterà vittoria di tutto». Aggiunse ancora: «Presso a morire, svanita ogni burrasca e vinta
ormai ogni tentazione, fruirà di una pace e di una tranquillità meravigliosa. E terminato il suo corso,
passerà felicemente a Cristo ».
In realtà avvenne così: vari miracoli resero celebre la sua morte e si avverò in pieno la parola
del Santo. Per questo, i frati alla sua morte confessarono: «Davvero, noi non abbiamo conosciuto
questo fratello, mentre viveva ».
Ma lasciamo ad altri il compito di tessere le lodi di questo Bernardo.
CAPITOLO XX
UN FRATE TENTATO
DESIDERA UN AUTOGRAFO DEL SANTO
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49. Mentre il Santo era sul monte della Verna, chiuso nella sua cella, un confratello desiderava
ardentemente di avere a sua consolazione uno scritto contenente parole del Signore con brevi note
scritte di proprio pugno da san Francesco. Era infatti convinto che avrebbe potuto superare o almeno
sopportare più facilmente la grave tentazione, non della carne ma dello spirito, da cui si sentiva
oppresso.
Pur avendone un vivissimo desiderio, non osava confidarsi col Padre santissimo ma ciò che non
gli disse la creatura, glielo rivelò lo Spirito.
Un giorno Francesco lo chiama: « Portami--gli dice-- carta e calamaio, perché voglio scrivere le
parole e le lodi del Signore, come le ho meditate nel mio cuore ».
Subito gli portò quanto aveva chiesto, ed egli, di sua mano, scrisse le Lodi di Dio e le parole
che aveva in animo. Alla fine aggiunse la benedizione del frate e gli disse: « Prenditi questa piccola
carta e custodiscila con cura sino al giorno della tua morte ».
Immediatamente fu libero da ogni tentazione, e lo scritto, conservato, ha operato in seguito
cose meravigliose.
CAPITOLO XXI
DONA ALLO STESSO FRATE LA SUA TONACA
COME DESIDERAVA
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50. Riguardo allo stesso frate è rimasto famoso un altro fatto mirabile del padre santo. Mentre
infatti era ammalato nel palazzo episcopale di Assisi, detto frate pensò tra sé e sé: «Ecco che il Padre
si avvicina alla morte, e come sarei contento se, una volta morto, potessi avere la tonaca del Padre
mio!».
Come se il desiderio del cuore si fosse espresso con la bocca, poco dopo Francesco lo chiama:
«Ti do questa tonaca,--gli dice--prendila, da oggi è tua. Io la porterò finché vivo, ma alla mia morte
deve passare a te ».
Meravigliato di tanta intuizione del Padre, il frate accettò finalmente consolato la tonaca, che
più tardi fu portata in Francia per devozione.
CAPITOLO XXII
DI NOTTE DIETRO SUA RICHIESTA
VIENE TROVATO UN PO' DI PREZZEMOLO
TRA ERBE SELVATICHE
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51. Negli ultimi tempi della sua malattia, una notte chiese umilmente di mangiare del
prezzemolo, provandone vivo desiderio. Ma il cuoco, che era stato invitato a portargliene, rispose che
a quell'ora non avrebbe trovato nulla nell'orto: «Nei giorni passati -- disse -- di continuo ho raccolto una
quantità di prezzemolo e tanto ne ho tagliato che riesco a mala pena a trovarne un filo in piena luce
del giorno. Tanto più non riuscirò a riconoscerlo tra le altre erbe ora in piena notte».
«Vai fratello,--gli rispose il Santo--non ti dispiaccia, e portami le prime erbe che toccherai con
la tua mano».
Andò il frate nell'orto e portò in casa un mazzo di erbe che aveva strappato a caso senza nulla
vedere. I frati osservano quelle erbe selvatiche, le passano in rassegna con molta attenzione, ed ecco
in mezzo, prezzemolo tenero e ricco di foglie.
Avendone mangiato un poco, il Santo provò molto conforto e rivolto ai frati: «Fratelli miei,-disse--obbedite al primo comando, senza aspettare che venga ripetuto. E non portate come pretesto la
impossibilità, perché se da parte mia vi comandassi anche qualcosa al di sopra delle forze,
l'obbedienza troverebbe la forza necessaria ».
Ecco fino a qual punto lo spirito profetico faceva risaltare in lui il dono dello spirito!
CAPITOLO XXIII
PREDICE UNA CARESTIA
NEL TEMPO SUCCESSIVO ALLA SUA MORTE
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52. Gli uomini santi a volte sono portati, per impulso dello Spirito Santo, a manifestare alcune
cose che li riguardano, o perché la gloria di Dio esige che si riveli un colloquio o lo richiede il dovere
della carità, a edificazione del prossimo.
Per questo, un giorno il beato padre riferì ad un frate, che amava moltissimo, queste parole,
che proprio allora aveva riportate dal suo incontro personale intimo con la Maestà Divina: « Ora--disse-vive sulla terra un servo di Dio, in vista del quale il Signore non permetterà che la fame infierisca sugli
uomini, sino a quando vivrà».
Non vi è nulla di vanità in questo, ma è il racconto santo che la carità ha suggerito a nostro
bene con parole sante, modeste: quella carità, che non cerca il suo interesse.
E non poteva essere taciuto con un silenzio inutile la prerogativa di un così grande amore di
Cristo per il suo servo.
Abbiamo infatti visto tutti coi nostri occhi come siano trascorsi nella pace e nella quiete i
tempi, sino a quando è stato in vita il servo di Cristo e quale abbondanza vi sia stata di ogni bene. Non
si pativa fame della parola di Dio, perché i predicatori erano allora soprattutto pieni di fervore ed i
cuori di quanti ascoltavano erano graditi a Dio. Chi portava l'abito religioso rifulgeva per esempi di
santità. L'ipocrisia dei sepolcri imbiancati non aveva ancora intaccato anime così sante, né quanti
sanno mascherarsi avevano sparso col loro insegnamento tante novità e tante favole.
Giustamente quindi abbondavano i beni materiali, poiché tutti amavano così sinceramente
quelli eterni.
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53. Ma con la sua morte, si invertì completamente l'ordine delle cose e tutto mutò: ovunque
guerre e sommosse e molti Stati furono subito devastati dall'infuriare di epidemie diverse. Anche
l'orrore della carestia si diffuse in lungo e in largo, causando con la sua crudeltà, che supera tutti gli
altri mali, numerosissimi morti. La necessità infatti mutò in cibo tutto in quel momento e veniva
triturato dal dente dell'uomo anche ciò che i bruti solitamente rifiutavano. Si preparava infatti il pane
con gusci di noci e corteccia d'albero. Qualcuno ha chiaramente ammesso che l'amore paterno sotto la
spinta della fame non era rimasto afflitto, per usare un eufemismo, per la morte del figlio.
Ma affinché sia del tutto palese chi fosse quel servo fedele, per amore del quale la collera
divina aveva trattenuto la sua mano, lo rivelò Francesco stesso. Pochi giorni dopo la sua morte, al frate
al quale ancora in vita aveva predetto la calamità, manifestò in modo chiaro che era lui il servo di Dio.
Infatti una notte il frate nel sonno si sentì chiamare ad alta voce: «Fratello, è imminente la
carestia, che il Signore non ha permesso che venisse sulla terra, finché io ero vivo». Il frate si svegliò a
quella voce e riferì più tardi l'accaduto. Tre notti dopo il Santo gli apparve nuovamente e gli ripeté la
stessa cosa.
CAPITOLO XXIV
LA CHIAROVEGGENZA DEL SANTO E LA NOSTRA IGNORANZA
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54. Nessuno deve meravigliarsi se questo profeta del nostro tempo si distingueva per tali
privilegi: il suo intelletto, libero dalla nebbia densa delle cose terrene e non più soggetto alle lusinghe
della carne, saliva leggero alle altezze celesti e si immergeva puro nella luce. Irradiato in tal modo
dallo splendore della luce eterna, attingeva dalla Parola increata ciò che riecheggiava nelle parole.
Oh, quanto siamo diversi oggi, noi che avvolti dalle tenebre ignoriamo anche le cose necessarie!
E quale la causa, se non perché siamo amici della carne ed anche noi ci imbrattiamo di
mondanità? Se invece assieme alle mani, innalzassimo i nostri cuori al cielo, se stabilissimo la nostra
dimora nei beni eterni, verremmo forse a conoscere ciò che ignoriamo: Dio e noi stessi.
Chi vive nel fango, vede necessariamente solo fango; mentre non è possibile che l'occhio fisso
al cielo non comprenda le realtà celesti.
LA POVERTÀ
CAPITOLO XXV
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55. Mentre si trovava in questa valle di lacrime, il beato padre disprezzava le povere
ricchezze comuni ai figli degli uomini e aspirava di tutto cuore alla povertà, desiderando più alta
gloria. E poiché osservava che la povertà, mentre era stata intima del Figlio di Dio, veniva pressoché
rifiutata da tutto il mondo, bramò di sposarla con amore eterno. Perciò innamorato della sua bellezza,
per aderire più fortemente alla sposa ed essere due in un solo spirito, non solo lasciò padre e madre,
ma si distaccò da tutto. Da allora la strinse in casti amplessi e neppure per un istante accettò di non
esserle sposo. Ripeteva ai suoi figli che questa è la via della perfezione, questo il pegno e la garanzia
delle ricchezze eterne. Nessuno fu tanto avido di oro, quanto lui di povertà, né alcuno più preoccupato
di custodire un tesoro, quanto lui la gemma evangelica. Il suo sguardo in questo si sentiva
particolarmente offeso, se nei frati--o in casa o fuori-- vedeva qualcosa di contrario alla povertà.
E in realtà, dall'inizio della sua vita religiosa sino alla morte, ebbe come sua ricchezza una
tonaca sola, cingolo e calzoni: non ebbe altro. Il suo aspetto povero indicava chiaramente dove
accumulasse le sue ricchezze. Per questo, lieto, sicuro, agile alla corsa, godeva di aver scambiato con
un bene che valeva cento volte le ricchezze destinate a perire.
LA POVERTA' DELLE CASE
CAPITOLO XXVI
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56. Insegnava ai suoi a costruirsi piccole abitazioni e povere, di legno non di pietra, e cioè
piccole capanne, di forma umile. Spesso, parlando della povertà, ricordava ai frati il detto evangelico:
«Le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo nidi, ma il Figlio di Dio non ebbe dove posare il capo ».
CAPITOLO XXVII
COMINCIA A DEMOLIRE UNA CASA
PRESSO LA PORZIUNCOLA
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57. Una volta si doveva tenere il Capitolo presso Santa Maria della Porziuncola. Mentre era
imminente il tempo fissato, il popolo di Assisi osservò che non vi era una abitazione adatta e,
all'insaputa dell'uomo di Dio, assente in quel periodo, costruì una casa per il Capitolo, nel minor tempo
possibile.
Quando il Padre ritornò, guardò con meraviglia quella casa e ne fu molto amareggiato e
addolorato. Subito, per primo, si accinse ad abbatterla. Salì sul tetto e con mano vigorosa rovesciò
lastre e tegole. Pure ai frati comandò di salire e di togliere del tutto quel mostro contrario alla
povertà. Perché, diceva, qualunque cosa troppo vistosa fosse stata tollerata in quel luogo, ben presto
si sarebbe diffusa per l'Ordine e sarebbe stata presa come esempio da tutti.
Ed avrebbe demolito dalle fondamenta la casa, se i soldati presenti non si fossero opposti al
fervore del suo spirito, dichiarando che apparteneva non ai frati, ma al Comune.
CAPITOLO XXVIII
DA UNA CASA DI BOLOGNA
FA USCIRE ANCHE GLI INFERMI
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58. Un'altra volta, stava tornando da Verona con l'intenzione di passare per Bologna, quando
udi che vi era stata costruita una nuova casa dei frati. Poiché la voce diceva «casa dei frati», egli
cambiò direzione e passò altrove non andando a Bologna. Mandò poi a dire ai frati di uscire subito da
quella casa. Per questo motivo, lasciato il luogo non vi rimasero neppure i malati, ma furono fatti
uscire assieme agli altri.
Né fu dato permesso di ritornarvi sino a quando il Signor Ugolino, allora vescovo di Ostia e
Legato in Lombardia, predicando proclamò davanti a tutti che la suddetta casa era sua. Ne è testimone
e riferisce il fatto uno che trovandosi ammalato, fu in quella occasione allontanato dalla casa.
CAPITOLO XXIX
RIFIUTA DI ENTRARE IN UNA CELLA
CHIAMATA CON IL SUO NOME
645
59 Non voleva che i frati abitassero in alcun luogo per quanto piccolo, se non constava con
certezza chi ne fosse il proprietario. Infatti nei suoi figli pretese sempre la condizione di pellegrini,
cioè che si raccogliessero sotto tetto altrui, passassero da un luogo all'altro pacificamente e sentissero
nostalgia della patria.
Avvenne che nell'eremo di Sarteano un frate chiedesse ad un confratello da dove venisse.
«Dalla cella di frate Francesco», rispose. Come l'udi, il Santo disse: «Poiché hai dato alla cella il nome
di Francesco, facendola mia proprietà, cerca un altro che vi abiti, perché io non vi rimarrò più». E
continuò: « Il Signore, quando rimase nel deserto, dove pregò e digiunò per quaranta giorni, non si
fece costruire una cella né casa alcuna, ma dimorò sotto una roccia del monte. Noi lo possiamo
seguire, secondo la forma prescritta, non possedendo nulla di proprio, quantunque non ci sia possibile
vivere senza l'uso di abitazioni ».
LA POVERTÀ NELL' ARREDAMENTO
CAPITOLO XXX
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60. Questo uomo non solo aborriva il lusso delle case, ma provava pure grande orrore per
l'abbondanza e la ricercatezza delle suppellettili. Non vedeva di buon occhio nulla che sapesse di
mondanità o nelle mense o nel vasellame. Tutto doveva proclamare quasi in canto il loro stato di esuli
e di pellegrini.
CAPITOLO XXXI
LA MENSA PREPARATA A GRECCIO NEL GIORNO DI PASQUA:
FRANCESCO SI PRESENTA COME PELLEGRINO
SEGUENDO L' ESEMPIO DI CRISTO
647
61. Un giorno di Pasqua, nell'eremo di Greccio i frati avevano preparata la mensa in modo più
accurato del solito, con tovaglie bianche e bicchieri di vetro. Anche il Padre scende dalla cella per
mangiare e vede la mensa rialzata da terra e preparata con inutile ricercatezza. Ma se la mensa ride,
egli non sorride affatto.
Di nascosto e adagio adagio ritrae il passo, si pone in testa il cappello di un povero, presente in
quel momento, e con un bastone in mano se ne esce fuori. E alla porta aspetta che i frati comincino a
mangiare, perché erano soliti non aspettarlo quando non giungeva al segnale fissato.
Hanno appena cominciato e quel vero povero si mette a gridare dalla porta: «Per amore del
Signore Iddio, fate l'elemosina a questo pellegrino povero e ammalato».
«Entra pure qui, tu, per amore di colui che hai invocato», gli rispondono i frati.
Entra subito e si presenta ai commensali. Quale stupore dovette destare il pellegrino in quei
comodi cittadini!
Gli danno, a sua richiesta, una scodella ed egli, seduto solo per terra, la pone sulla cenere.
«Ora sì,--esclama-- sto seduto come un frate minore!» E rivolto ai frati: «Gli esempi della povertà del
Figlio di Dio devono stimolare noi più degli altri religiosi. Ho visto una mensa preparata con
ricercatezza ed ho pensato che non fosse quella di poveri che vanno di porta in porta ».
Il seguito del fatto dimostra come Francesco fu simile a quel pellegrino, che nello stesso giorno
era solo in Gerusalemme, e nondimeno con le sue parole rese ardente il cuore dei discepoli.
CAPITOLO XXXII
CONTRO IL DESIDERIO SMODATO DEI LIBRI
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62. Insegnava a cercare nei libri la testimonianza del Signore, non il valore materiale;
l'edificazione non la bellezza. In ogni caso voleva che se ne avessero pochi e fossero sempre a
disposizione dei frati che ne avessero bisogno. Un ministro gli chiese licenza di tenere alcuni libri
lussuosi e molto costosi. Si sentì rispondere: «Per i tuoi libri non voglio perdere il libro del Vangelo, che
ho promesso di osservare. Tu farai come vorrai, ma non voglio che stendi un tranello con il mio
permesso ».
LA POVERTA' NEI LETTI
CAPITOLO XXXIII
EPISODIO DEL SIGNORE D' OSTIA E SUA LODE
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63. Nei giacigli e nei letti abbondava così ricca povertà che se uno poteva avere qualche
povero panno consunto sulla paglia, lo considerava un letto nuziale.
Mentre si teneva il Capitolo a Santa Maria della Porziuncola, il Signor di Ostia con largo seguito
di cavalieri e di ecclesiastici si recò là a fare visita ai frati. Al vedere come i frati dormivano per terra
ed osservando i letti,--che avresti creduto covili di fiere--scoppiò in lacrime amare: « Ecco, dove
dormono i frati! » esclamò di fronte a tutti, ed aggiunse: «Cosa sarà di noi miseri, che usiamo
malamente di tante cose superflue?».
Tutti i presenti, commossi sino alle lacrime, si allontanarono assai edificati.
Questi era il Signore d'Ostia, che fatto poi porta massima della Chiesa, si oppose sempre ai
nemici, fino a che rese al cielo, come ostia santa, I'anima beata.
O cuore generoso, o viscere di carità! Posto in alto, si affliggeva di non avere alti meriti,
mentre in realtà era più insigne per la virtù che per la dignità.
CAPITOLO XXXIV
COSA GLI ACCADDE UNA NOTTE
PER UN GUANCIALE DI PIUME
650
64. Poiché abbiamo fatto cenno ai letti, viene a mente un altro episodio forse utile a
ricordarsi.
Da quando convertito a Cristo aveva dimenticato volontariamente le cose terrene, il Santo non
volle più coricarsi su un materasso, né avere sotto il capo un cuscino di piume. Né infermità né
ospitalità offertagli da altri potevano infrangere questa barriera di severità.
Gli capitò però nell'eremo di Greccio, che, essendo ammalato agli occhi più del solito, fu
costretto controvoglia a servirsi di un modesto cuscino. Durante la prima notte sul far del giorno, il
Santo chiama il compagno e gli dice « Fratello, non ho potuto dormire questa notte e neppure stare in
piedi a pregare. Mi trema il capo, si piegano le ginocchia e mi sento scosso in tutto il corpo come se
avessi mangiato pane di loglio. Credo--aggiunse--che vi sia il diavolo in questo cuscino che ho sotto il
capo. Toglilo via, perché non voglio più avere il diavolo sotto la testa».
Il frate cerca di consolare il Padre, che continua a lamentarsi sottovoce, e prende a volo il
cuscino, che gli è stato gettato, per portarlo via. Sta per uscire, quando alI'improvviso perde la parola,
ed è colto da tanto orrore e bloccato in tale modo che non riesce a muoversi dal luogo né ad articolare
minimamente le braccia.
Poco dopo fu chiamato dal Santo, che si era accorto del fatto: fu così liberato e, tornato
indietro, raccontò quello che gli era accaduto. «Ieri sera--gli disse il Santo-- mentre recitavo compieta,
ho capito con tutta chiarezza che il diavolo stava per venire alla mia cella». E aggiunse: «Il nostro
nemico è molto astuto e di sottile ingegno: non potendo nuocere dentro all'anima, offre materia di
malcontento almeno al corpo».
Facciano bene attenzione quelli che dispongono cuscini da ogni lato, così da appoggiarsi sul
soffice ovunque si rivoltino. Il diavolo segue volentieri la molta ricchezza, gode di stare vicino a letti di
gran pregio, particolarmente quando non si è costretti da necessità e lo vieta l'ideale professato.
E al contrario l'antico serpente rifugge dall'uomo spoglio d'ogni cosa, sia perché sdegna la
compagnia del povero, sia perché teme l'altezza della povertà. Se il frate riflette che sotto le piume
c'è il diavolo, il suo capo sarà contento della paglia.
ESEMPI DI AVVERSIONE AL DENARO
CAPITOLO XXXV
SEVERA CORREZIONE AD UN FRATE
CHE LO HA TOCCATO CON LE MANI
651
65. Francesco, sommamente innamorato di Dio, aveva un grande disprezzo per tutte le cose
terrene, ma soprattutto detestava il denaro. Cominciò a disprezzarlo in modo tutto particolare fino
dagli inizi della sua conversione e raccomandava ai seguaci di fuggirlo come il diavolo in persona.
Aveva suggerito loro questo accorgimento, di fare lo stesso conto del denaro e dello sterco.
Un giorno entrò a pregare in Santa Maria della Porziuncola un secolare e depose la sua offerta
in denaro presso la croce. Appena questi uscì, un frate la prese semplicemente con la mano e la gettò
sul muretto della finestra. La cosa fu riferita al Santo, ed il frate vedendosi scoperto in fallo, corse per
averne il perdono e si prostrò a terra in attesa della punizione. Il Santo lo accusò e rimproverò
aspramente per avere toccato il denaro e gli comandò di togliere con la bocca la moneta dalla finestra
e di deporla sempre con la bocca fuori casa, su sterco d'asino. Il frate eseguì volentieri l'ordine ed i
presenti furono pieni di timore. Tutti impararono a disprezzare ancor più il denaro, che era stato
paragonato così allo sterco, e venivano animati a questo atteggiamento ogni giorno da nuovi esempi.
CAPITOLO XXXVI
CASTIGO Dl UN FRATE
CHE HA RACCOLTO DA TERRA DEL DENARO
652
66. Una volta due frati, camminando insieme giungono presso un ospedale dei lebbrosi. Sulla
strada scorgono del denaro e si fermano discutendo cosa fare di quello sterco. Uno di essi, ridendosi
degli scrupoli del fratello, vorrebbe raccoglierlo per offrirlo a quelli che servono, a pagamento, i
lebbrosi. Ma glielo impedisce il compagno, col dirgli che è ingannato da falsa pietà. Ricorda pure al
temerario la parola della Regola, dalla quale risulta abbastanza chiaro che il denaro trovato deve
essere calpestato come polvere; ma quello, testardo di natura, rifiuta gli avvertimenti. Trascurando la
Regola, si china e raccoglie la moneta. Ma non sfugge al castigo divino: sull'istante è reso muto, batte i
denti e non riesce a dire una parola.
A questo modo il castigo mise in luce la sua insania, e quel superbo punito imparò ad obbedire
alla legge del padre. Infine, gettato via quel puzzo disgustoso, le sue labbra impure si purificarono alle
acque della penitenza e si aprirono alla lode.
Lo conferma il vecchio proverbio: Correggi lo stolto e ti sarà amico.
CAPITOLO XXXVII
RIMPROVERA UN FRATE
CHE VORREBBE METTERE DA PARTE DEL DENARO
CON IL PRETESTO DELLA NECESSITÀ
653
67. Il vicario del Santo, frate Pietro di Cattanio aveva osservato che a Santa Maria della
Porziuncola arrivava un gran numero di frati forestieri e che le elemosine non erano così abbondanti da
bastare alle necessità. Si rivolse allora a Francesco e gli disse: «Non so, fratello, cosa debba fare,
perché non posso provvedere a sufficienza ai molti frati, che giungono qui a frotte da ogni parte.
Permetti, ti prego, che si conservi parte dei beni dei novizi, che vengono all'Ordine, per farvi ricorso e
spenderli al momento opportuno ».
«Fratello carissimo,--rispose il Santo--Dio ci liberi da una tale pietà, che per un uomo,
chiunque sia, ci comportiamo in modo empio verso la Regola».
E quello: « Allora, cosa debbo fare? ».
«Spoglia--rispose--l'altare della Vergine e portane via i vari arredi, se non potrai soddisfare
diversamente le esigenze di chi ha bisogno. Credimi, le sarà più caro che sia osservato il Vangelo del
Figlio suo e nudo il suo altare piuttosto che vedere l'altare ornato e disprezzato il Figlio. Il Signore
manderà poi chi possa restituire alla Madre quanto ci ha dato in prestito».
CAPITOLO XXXVIII
DENARO MUTATO IN SERPENTE
654
68. Passava una volta l'uomo di Dio con un compagno attraverso la Puglia e, presso Bari,
s'imbatté sulla strada in una gran borsa, chiamata fonda dai commercianti, gonfia di monete. Il
compagno richiama l'attenzione del Santo e con insistenza vorrebbe indurlo a prendere da terra la
borsa, per darne il denaro ai poveri. Esalta la pietà per i poveri e loda l'opera di misericordia che si
compirebbe elargendo quella somma.
Il Santo si rifiuta assolutamente e afferma che è una astuzia del diavolo. «Non si deve, figlio,-dice--portare via ciò che è di altri. Donare la roba altrui non merita gloria, ma va punito perché è
peccato».
Si allontanano poi presi dalla fretta di terminare il viaggio iniziato. Ma il compagno, deluso
nella sua pietà poco illuminata, non è contento e insiste nel proporre la trasgressione.
Il Santo accetta di ritornare sul luogo, non per fare quanto il frate desidera, ma per mostrare a
quello stolto il mistero di Dio. Chiama un giovane, che era seduto sull'orlo di un pozzo lungo la strada,
affinché sulla parola di due o tre testimoni si manifesti il segreto della Trinità. E ritornati tutti e tre
alla fonda, la vedono rigonfia di denaro.
Il Santo ordina che nessuno si avvicini, per poter manifestare con la preghiera l'astuzia del
demonio e, portatosi a un tiro di sasso, si immerge in devota preghiera. Poi ritornato ordina al
compagno di sollevare la borsa, che in seguito al suo pregare racchiudeva un serpente in vece del
denaro.
Il frate trema sconcertato, e preso non so da quale presentimento, rivolge nell'animo pensieri
ben diversi da prima. Ma infine, allontanando ogni dubbiosità del cuore per rispetto alla santa
obbedienza, afferra la borsa. Ed ecco, un grosso serpente sguscia dalla borsa e rende palese al frate
l'inganno diabolico. Concluse il Santo: «Il denaro, o fratello, per i servi di Dio non è altro che il diavolo
ed un serpente velenoso».
LA POVERTA' DEI VESTITI
CAPITOLO XXXIX
IL SANTO RIMPROVERA CON LA PAROLA E L' ESEMPIO
CHI SI VESTE CON RAFFINATA DELICATEZZA
655
69. Rivestito di virtù dall'alto, Francesco era interiormente caldo di fuoco divino, più di
quanto lo fosse all'esterno per il vestito del corpo. Detestava chi nell'Ordine indossava molte vesti ed
usava senza necessità indumenti delicati. Asseriva inoltre che dà segno di spirito estinto colui che
accampa la necessità, mosso non dalla ragione ma dai sensi.
«Quando lo spirito -- diceva -- si intiepidisce e si raffredda gradatamente, è inevitabile che la
carne ed il sangue cerchino ciò che è loro proprio. Cosa rimane infatti quando l'anima non trova più i
suoi piaceri, se non che la carne si rivolga ai suoi? Allora l'istinto naturale maschera il momento della
necessità e la mentalità carnale forma la coscienza».
E aggiungeva: « Ammettiamo pure che un mio frate si trovi in vera necessità, che lo colpisca
un qualsiasi bisogno: quale ricompensa ne avrà, se cerca in tutta fretta di soddisfarli e di allontanarli
da sé? Gli è capitata un'occasione di merito, ma ha dimostrato bellamente di non gradirla ». Con
queste e simili parole inchiodava quelli che erano intolleranti delle ristrettezze, perché il non
sopportarle pazientemente non vuole dire altro che desiderare nuovamente l'Egitto.
Inoltre non voleva che per alcun motivo i frati avessero più di due tonache, che tuttavia
permetteva di rinforzare cucendovi pezze.
Comandava di avere in orrore gli indumenti delicati e rimproverava in modo durissimo, davanti
a tutti, quanti venivano meno. E per confondere questi tali col suo esempio, cucì del sacco ruvido sulla
propria tonaca; anche in morte chiese che la tonaca per le esequie fosse ricoperta di sacco grossolano.
Tuttavia ai frati stretti da malattia o altra necessità, permetteva che portassero sotto,
aderente alla pelle, una tonaca morbida, in modo però che all'esterno l'abito si conservasse sempre
ruvido e vile.
Diceva infatti: «Tanto si mitigherà il rigore e trionferà la tiepidezza, che i figli di un padre
povero non si vergogneranno di portare abiti di scarlatto, mutandone solo il colore». Ne deriva che non
è a te, o Padre, che mentiamo noi figli degeneri, ma la nostra iniquità mente piuttosto a se stessa.
Ecco infatti, che diventa più chiara della luce e cresce ogni giorno più.
CAPITOLO XL
CHI SI ALLONTANA DALLA POVERTA',
SARÀ PUNITO DALLA MISERIA
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70. A volte il Santo era solito anche ripetere: «Quanto i frati si allontaneranno dalla povertà,
altrettanto il mondo si allontanerà da loro, e cercheranno, ma non troveranno. Ma se rimarranno
abbracciati alla mia signora povertà, il mondo li nutrirà, perché sono stati dati al mondo per la sua
salvezza».
E ancora: «Vi è un patto tra il mondo ed i frati: i frati si obbligano a dare al mondo il buon
esempio, ed il mondo a provvedere alle loro necessità. Se, rompendo i patti, i frati ritireranno da parte
loro il buon esempio, il mondo per giusto castigo ritrarrà la mano».
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Per riguardo alla povertà, l'uomo di Dio aveva paura del gran numero di frati, perché se non in
realtà, almeno in apparenza anche ciò è segno di ricchezza. Perciò diceva: «Oh, potesse venire, dico,
venga il giorno in cui il mondo vedendo i frati minori assai di raro, ne abbia stima per il loro piccolo
numero!».
Stretto da un legame indissolubile a madonna Povertà, non mirava alla sua dote presente, ma
a quella futura.
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Cantava pure con più fervido affetto e gaudio più lieto i salmi che magnificano la povertà,
come quello che dice: La speranza dei poveri non sarà delusa in eterno, e l'altro: Vedano i poveri e si
rallegrino.
DEL CHIEDERE L'ELEMOSINA
CAPITOLO XLI
ELOGIO DEL CHIEDERE L' ELEMOSINA
659
71.
Il Padre usava molto più volentieri delle elemosine raccolte di porta in porta che di
quelle fatte spontaneamente. Diceva che vergognarsi di mendicare è contrario alla salvezza, mentre
ribadiva, nel mendicare è santa la vergogna che non ritrae il piede. Per lui era meritevole di lode il
rossore, che spunta su un volto sensibile, ma non altrettanto l'imbarazzo che confonde. A volte
esortando i suoi a domandare la carità, usava queste parole: «Andate, perché in questo ultimo tempo i
frati minori sono stati dati al mondo, affinché gli eletti compiano verso di essi azioni degne di essere
premiate dal Giudice: Ciò che avete fatto ad uno di questi miei fratelli minori l'avete fatto a me. Per
questo diceva che il suo ordine aveva ricevuto un singolare privilegio dal Grande Profeta, che ne aveva
indicato così chiaramente il nome.
E pertanto voleva che i frati abitassero non solo nelle città, ma anche negli eremi, affinché
tutti vi trovassero occasione di merito e fosse tolta ai malvagi ogni apparenza di scusa.
CAPITOLO XLII
ESEMPIO DEL SANTO NEL CHIEDERE L' ELEMOSINA
660
72. Per non offendere neppure una volta quella santa sposa, il servo del Dio altissimo si
comportava solitamente così: se, invitato da persone facoltose, prevedeva di essere onorato con
mense piuttosto copiose, prima andava elemosinando alle case vicine tozzi di pane e poi, così ricco di
povertà, correva a sedersi a tavola.
A chi gli chiedeva perché facesse così, rispondeva che per un feudo di un'ora, non voleva
lasciare una eredità stabile. « È la povertà--diceva--che ci ha fatti eredi e re del regno dei cieli, non le
vostre false ricchezze ».
CAPITOLO XLIII
COME SI COMPORTÒ IN CASA DEL SIGNOR D' OSTIA
E SUA RISPOSTA AL VESCOVO
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73. Un giorno Francesco fece visita al papa Gregorio, di veneranda memoria, quando era
ancora di dignità inferiore. Avvicinandosi l'ora del pranzo, andò ad elemosinare e, di ritorno, dispose
sulla tavola del vescovo frustoli di pane nero.
Il vescovo, quando li vide, sentì piuttosto vergogna, soprattutto a causa dei nuovi invitati. Il
Padre con volto lieto distribuì ai cavalieri e ai cappellani commensali i tozzi di pane: tutti li
accettarono con particolare devozione, e alcuni di essi ne mangiarono, altri li conservarono per
riverenza. Finito il pranzo, alzatosi, il vescovo chiamò nella sua stanza l'uomo di Dio, e protendendo le
braccia, lo strinse amorosamente: «Fratello mio,--gli disse--perché nella casa che è tua e dei tuoi
fratelli, mi hai fatto il torto di andare per l'elemosina?».
«Anzi,--rispose il Santo--vi ho reso onore, onorando un Signore più grande. Perché Dio si
compiace della povertà, e soprattutto della mendicità volontaria. Da parte mia ritengo dignità regale e
insigne nobilità seguire quel Signore, che pur essendo ricco si è fatto povero per noi ». E aggiunse:
«Trovo maggiori delizie in una mensa povera preparata con piccole elemosine, che in una ricca dove a
mala pena si conta il numero delle portate».
Il vescovo ne rimase moltissimo edificato e disse al Santo: «Figlio, fa pure ciò che ti sembra
bene, perché il Signore è con te ».
CAPITOLO XLIV
ESORTA CON L' ESEMPIO E LA PAROLA
A CHIEDERE L' ELEMOSINA
662
74. Da principio, sia per allenare se stesso alla mortificazione sia per indulgenza verso la
ritrosia dei frati, spesso andava per l'elemosina lui solo. Ma una volta, vedendo che molti non sentivano
l'esigenza della loro vocazione, disse: «Carissimi fratelli, il Figlio di Dio era più nobile di noi, eppure
per noi si è fatto povero in questo mondo. Per suo amore abbiamo scelto la via della povertà: non
dobbiamo sentirci umiliati di andare per l'elemosina. Non è mai decoroso per gli eredi del regno
arrossire della caparra della eredità celeste. Vi dico che molti nobili e sapienti si uniranno alla nostra
congregazione e si sentiranno onorati di chiedere l'elemosina. Pertanto voi, che ne siete la primizia,
gioite ed esultate, e non rifiutate di compiere ciò che trasmetterete da fare a quei santi.
CAPITOLO XLV
RIMPROVERO AD UN FRATE
CHE RIFIUTAVA DI MENDICARE
663
75. Francesco ripeteva spesso che il vero frate minore non dovrebbe lasciar passare molto
tempo, senza andare per l'elemosina. «E quanto è più nobile--diceva--un mio figlio, tanto più sia
pronto ad andare, perché in tale modo accumula meriti ».
Vi era in un luogo un certo frate che non si prestava per la questua, ma valeva per quattro a
tavola. Notando il Santo che era amico del ventre, partecipe del frutto, ma non della fatica, un giorno
lo riprese così: «Va' per la tua strada, frate mosca, perché vuoi mangiare il sudore dei tuoi fratelli e
rimanere ozioso nell'opera di Dio. Ti rassomigli a frate fuco, che lascia lavorare le api, ma vuole essere
il primo a mangiare il miele ».
Quell'uomo carnale, vedendosi scoperto nella sua voracità, ritornò al mondo, che non aveva
ancora abbandonato. Uscì dalla Religione e chi non aveva contato niente per la questua, non contò più
nulla come frate. Chi valeva molti a tavola, finì per essere un pluridemonio.
CAPITOLO XLVI
VA INCONTRO AD UN FRATE CHE PORTA L' ELEMOSINA
E GLI BACIA LA SPALLA
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76. Un'altra volta un frate se ne tornava con l'elemosina da Assisi alla Porziuncola. Giunto nelle
vicinanze del luogo, cominciò a cantare e a lodare Iddio ad alta voce. Appena lo udi il Santo balzò in
piedi, corse fuori e, baciata la spalla dei frate, si caricò la bisaccia sulle proprie spalle, ed esclamò:
«Sia benedetto il mio fratello, che va prontamente, questua con umiltà e ritorna pieno di gioia ».
CAPITOLO XLVII
INDUCE ALCUNI CAVALIERI A CHIEDERE L' ELEMOSINA
665
77. Mentre Francesco, pieno di malattie e quasi prossimo a morire, si trovava nel luogo di
Nocera, il popolo di Assisi mandò una solenne deputazione a prenderlo per non lasciare ad altri la
gloria di possedere il corpo dell'uomo di Dio. I cavalieri, che lo trasportavano a cavallo con molta
devozione raggiunsero la poverissima borgata di Satriano, proprio quando la fame e l'ora facevano
sentire il bisogno di cibo. Ma per quanto cercassero, non trovarono nulla da comprare. Allora i cavalieri
tornarono da Francesco e gli dissero: «È necessario che tu ci dia parte delle tue elemosine, perché qui
non riusciamo a trovare nulla da comprare ».
«Per questo motivo voi non trovate,--rispose il Santo --perché confidate più nelle vostre
mosche che in Dio ». Chiamava evidentemente mosche i denari. « Ma -- continuò--ripassate dalle case
dove siete già stati e chiedete umilmente l'elemosina, offrendo in luogo dei denari l'amore di Dio! Non
vergognatevi, perché dopo il peccato viene concesso tutto in elemosina e quel grande Elemosiniere
dona largamente e con bontà a tutti, degni e indegni».
Deposta la vergogna, i cavalieri andarono subito a chiedere la carità, e trovarono da comprare
assai più «per amore di Dio» che col denaro. Tutti offrirono a gara, con volto lieto, e non dominò più la
fame, dove prevalse la ricca povertà.
CAPITOLO XLVIII
AD ALESSANDRIA UN PEZZO Dl CAPPONE
VIENE CAMBIATO IN PESCI
666
78. Nella questua cercava più il vantaggio delle anime di chi donava, che un aiuto materiale
alla carne e voleva essere di esempio agli altri sia nel dare che nel ricevere.
Mentre si recava a predicare ad Alessandria di Lombardia, fu ospitato devotamente da un
uomo timorato di Dio e di lodevole fama, che lo pregò di mangiare, secondo quanto prescrive il
Vangelo, di tutto quello che gli fosse posto davanti. Ed egli acconsentì volentieri, vinto dalla
gentilezza dell'ospite.
Questi corre in tutta fretta e prepara con ogni cura all'uomo di Dio un cappone di sette anni.
Mentre il patriarca dei poveri è seduto a mensa e tutta la famiglia è in festa, improvvisamente si
presenta alla porta un figlio di Belial, che si fingeva mancante del necessario, ma era povero
soprattutto della grazia. Nel chiedere l'elemosina, mette avanti l'amore di Dio e con voce pietosa
domanda di essere aiutato in nome di Dio.
Appena il Santo ode il nome benedetto al di sopra di tutte le cose e per lui dolce più del
miele, prende molto volentieri una coscia del pollo che gli era stato servito e, messala su un pane, la
manda al mendicante. Ma, per dirla in breve, quel disgraziato mette via ciò che gli è stato donato per
poter screditare il Santo.
79 Il giorno dopo il Santo, come era solito, predica la parola di Dio al popolo, che si è
radunato. All'improvviso quello scellerato manda un grido, mentre cerca di mostrare a tutto il popolo il
pezzo di cappone. « Ecco--strilla --che uomo è questo Francesco che vi predica e che voi onorate come
santo: guardate la carne che mi ha data ieri sera, mentre mangiava ».
Tutti danno sulla voce a quel briccone e lo insultano come indemoniato, perché in realtà
sembrava a tutti essere pesce, ciò che lui sosteneva fosse invece una coscia di cappone. Infine anche
quel miserabile, stupito del miracolo, fu costretto ad ammettere che avevano ragione. Il disgraziato ne
sentì vergogna, e pentito espiò una colpa così palese: davanti a tutti chiese perdono al Santo,
manifestando l'intenzione perversa avuta. Anche la carne riprese il suo aspetto, dopo che il falso
accusatore si fu ricreduto.
QUELLI CHE RINUNZIANO AL MONDO
CAPITOLO XLIX
IL SANTO RIMPROVERA UN TALE
CHE HA DISTRIBUITO I SUOI BENI
NON Al POVERI MA Al PARENTI
667
80. A chi voleva entrare nell'Ordine il Santo insegnava a ripudiare anzitutto il mondo, offrendo
a Dio prima i beni esterni, poi a fare il dono interiore di se stessi. Non ammetteva all'Ordine se non chi
si era spogliato di ogni avere, senza ritenere nulla assolutamente, sia per la parola del santo Vangelo,
sia perché non fosse di scandalo il peculio personale.
668
81. Un giorno, dopo una predica del Santo nella Marca di Ancona, si presentò uno, che gli
chiese umilmente di entrare nell'Ordine. «Se ti vuoi unire ai poveri di Dio-- gli rispose Francesco-distribuisci prima i tuoi beni ai poveri del mondo». A queste parole quegli se ne andò e, guidato da
amore carnale, distribuì i suoi averi ai parenti, niente ai poveri. Ritornato ed avendo riferito al Santo la
sua generosa munificenza: «Va per la tua strada, frate mosca,--gli disse con ironia il Padre--perché non
sei ancora uscito dalla tua casa e dalla tua parentela. Ai tuoi consanguinei hai dato i tuoi beni, ed hai
defraudato i poveri: non sei degno dei poveri servi di Dio. Hai cominciato dalla carne ed hai posto un
fondamento rovinoso per un edificio spirituale».
Se ne ritornò quell'uomo carnale ai parenti e riprese i suoi beni, perché non avendo voluto
lasciarli ai poveri, aveva ben presto abbandonato il suo proposito di perfezione.
Quanti oggi si ingannano con questa messinscena della distribuzione dei loro beni e vogliono
dare inizio ad una vita di perfezione con un comportamento così mondano!
Infatti nessuno si consacra a Dio per arricchire i suoi parenti, ma per riscattare i suoi peccati
col prezzo della misericordia, e così acquistare la vita eterna col frutto di opere buone.
Inoltre insegnava spesso che «se i frati si trovavano in necessità » dovevano ricorrere ad
estranei piuttosto che ai postulanti, anzitutto per l'esempio, poi per evitare ogni specie di turpe
interesse.
CAPITOLO L
UNA VISIONE RELATIVA ALLA POVERTÀ
669
82. Piace qui riportare una visione del Santo, degna di essere ricordata.
Una notte, terminata finalmente una lunga preghiera, si assopì a poco a poco e si addormentò.
Quell'anima santa viene introdotta nel santuario di Dio, e vede in sogno, tra l'altro, una donna
di questo aspetto: la testa sembrava d'oro, il petto e le braccia d'argento, il ventre di cristallo e le
gambe di ferro. Era alta di statura, di complessione snella e armoniosa. Ma la donna, nonostante fosse
di bella presenza, indossava uno squallido mantello.
Al mattino, alzatosi, il Padre espose la visione a frate Pacifico, uomo santo, senza spiegarne il
significato. Molti l'hanno interpretato a loro piacimento. Ma non credo che sia fuori luogo tenere
l'interpretazione suggerita dallo Spirito Santo al predetto Pacifico, durante il racconto stesso.
«Questa donna di bella presenza--spiegò--è l'anima bella di san Francesco. La testa d'oro
significa la contemplazione e la conoscenza delle verità eterne; il petto e le braccia d'argento sono le
parole del Signore che meditava nel suo cuore e concretizzava nelle opere. Il cristallo rigido e
trasparente indica rispettivamente la sua sobrietà e castità; il ferro la sua tenace perseveranza. Infine
il povero mantello significa lo spregevole e minuscolo corpo, che riveste la sua anima preziosa ».
Tuttavia molti altri, che hanno lo spirito di Dio, per questa donna intendono la povertà, in
quanto sposa del Padre «Questa--affermano--l'ha resa d'oro il premio della gloria, d'argento la
divulgazione della fama, cristallina la professione di vivere senza denaro in perfetta coerenza dentro e
fuori, di ferro la perseveranza finale. Ma a questa nobile donna hanno intessuto uno straccio di
mantello gli uomini con la loro mentalità carnale ».
Altri, in numero maggiore, applicano questa visione all'Ordine, seguendo la successione dei
periodi secondo l'uso di Daniele.
Ma che si riferisca al Padre è evidente soprattutto dal fatto che non volle assolutamente
interpretarla, per non peccare di vanagloria. Mentre se andasse riferita all'Ordine, non l'avrebbe
passata sotto silenzio.
LA COMPASSIONE DI SAN FRANCESCO VERSO I POVERI
CAPITOLO LI
PROVA COMPASSIONE PER I POVERI
E INVIDIA PER I PIÙ POVERI Dl LUI
670
83. Chi potrebbe esprimere la compassione di questo uomo verso i poveri? Era certamente di
cuore buono per natura, ma lo divenne doppiamente per la carità che gli venne data dall'alto. Perciò
l'animo di Francesco si struggeva davanti ai poveri, e quando non poteva porgere la mano, donava
almeno il suo affetto.
Qualunque fosse il bisogno e qualsivoglia necessità vedeva in altri, rivolgendo l'animo con
rapida riflessione, li riferiva a Cristo. Così in tutti i poveri riconosceva il Figlio della Madonna povera e
portava nudo nel cuore Colui, che lei aveva portato nudo tra le braccia.
Anzi, mentre aveva allontanato da sé ogni invidia, non poté rimaner privo della sola invidia
della povertà. Se vedeva qualcuno più povero di lui, ne provava subito un sentimento di gelosia, e
cimentandosi in una gara di povertà, temeva di essere superato a suo confronto.
671
84. Una volta, mentre andava predicando, incontrò sulla strada un povero. Osservando la sua
nudità, si rivolse addolorato al compagno: «La miseria di questo uomo ci fa grande vergogna e
rimprovera sommamente la nostra povertà ».
« Perché, fratello? » chiese il compagno.
E il Santo con accento triste: «Ho scelto per mia ricchezza e mia donna la povertà; ma ecco
che rifulge maggiormente in costui. Non sai tu che si è sparsa per tutto il mondo la fama che noi siamo
i più poveri per amore di Cristo? Ma questo povero ci convince che le cose non stanno così».
O invidia, quale non si è mai vista! O emulazione, che i figli dovrebbero emulare! Questa non è
l'invidia che si affligge dei beni altrui o che si rabbuia ai raggi del sole. Non è quella che si contrappone
alla pietà e si torce per il livore. O forse tu pensi che la povertà evangelica non abbia nulla che susciti
invidia? Essa ha Cristo, e per mezzo di lui ha il tutto in tutte le cose. Perché allora sei così avido di
rendite, o ecclesiastico dei nostri giorni? Domani riconoscerai che Francesco è stato ricco, quando nella
tua mano troverai le rendite dei tormenti.
CAPITOLO LII
CORREGGE UN FRATE CHE SPARLA Dl UN POVERO
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85. Un altro giorno della sua predicazione, un poveretto, per di più infermo era al luogo
dov'era Francesco. Questi sentendo compassione per la duplice disgrazia, cioè miseria e malattia,
cominciò a parlare col compagno della povertà.
Era già passato, nei riguardi del sofferente, dalla commiserazione all'affetto del cuore, quando
il compagno lo interruppe: «Sì, fratello, è povero, ma forse in tutta la provincia non c'è nessuno più
ricco di desideri».
Il Santo lo rimproverò lì su due piedi e ingiunse al compagno che stava confessandogli la sua
colpa: «Su, presto: togliti la tonaca, inginocchiati ai piedi del povero e accusa apertamente la tua
colpa. E non soltanto gli chiederai perdono, ma in più insisterai che preghi per te!».
Il frate obbedì e quando ritornò, dopo aver compiuto la sua penitenza, il Santo gli disse:
«Quando vedi un povero, fratello, ti è messo innanzi lo specchio del Signore e della sua Madre povera.
Allo stesso modo nei malati devi considerare quali infermità si è addossato per noi! ».
Veramente, Francesco portava sempre sul cuore quel mazzetto di mirra, sempre fissava il
volto del suo Cristo, sempre rimaneva a contatto dell'Uomo dei dolori, che conosce tutte le
sofferenze!
CAPITOLO LIII
REGALA
IL MANTELLO AD UNA VECCHIERELLA
PRESSO CELANO
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86. Un inverno a Celano Francesco portava addosso. avvolto come un mantello, un panno che
gli aveva prestato un amico dei frati, di Tivoli.
Mentre alloggiava nel palazzo del vescovo dei Marsi, s'imbatté in una vecchierella, che
chiedeva l'elemosina. Slacciò subito il pezzo di stoffa dal collo e, quantunque appartenesse ad altri, lo
donò alla povera vecchierella, dicendo: «Va', fatti un vestito, ché ne hai veramente bisogno». La
vecchietta, piena di stupore,--non so se per timore o per la grande gioia--prende dalle sue mani il
panno e si allontana il più velocemente che può, lo taglia subito con le forbici per evitare, che
ritardando, abbia a doverlo restituire. Ma, visto che il pezzo di stoffa, una volta tagliato, non basta a
confezionare un vestito, fatta coraggiosa dalla benevolenza sperimentata poco prima, ritorna dal Santo
e gli espone come la stoffa è insufficiente. Questi allora si rivolge al compagno, che ne ha indosso
altrettanto, e gli dice: «Senti, fratello, quello che dice questa vecchierella? Sopportiamo il freddo per
amore di Dio e dona a questa poveretta il tuo panno perché possa terminare il suo vestito». Come
l'aveva dato lui, lo donò anche il compagno ed ambedue rimasero spogli, per rivestire la vecchietta.
CAPITOLO LIV
DONA IL MANTELLO AD UN ALTRO POVERO
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87. In altra circostanza, mentre ritornava da Siena, si imbatté in un povero. Il Santo disse al
compagno: «Fratello, dobbiamo restituire il mantello a questo poveretto, perché è suo. Noi l'abbiamo
avuto in prestito sino a quando non ci capitasse di incontrare uno più povero».
Il compagno, che aveva in mente il bisogno del Padre caritatevole, opponeva forte resistenza
perché non provvedesse all'altro trascurando se stesso.
«Io non voglio essere ladro--rispose il Santo--e ci sarebbe imputato a furto, se non lo dessimo
ad uno più bisognoso». L'altro cedette, ed egli donò il mantello.
CAPITOLO LV
ALTRO FATTO SIMILE
675
88. Un fatto simile accadde alle Celle di Cortona. Francesco aveva indosso un mantello nuovo,
che i frati avevano procurato proprio per lui, quando giunse un povero, che piangeva la morte della
moglie e la famiglia lasciata nella miseria.
«Ti dò questo mantello per amore di Dio--gli disse il Santo--a condizione che non lo ceda a
nessuno, se non te lo pagherà profumatamente ».
Corsero immediatamente i frati per prendersi il mantello e impedire che fosse dato via. Ma il
povero, reso ardito dallo sguardo del Santo, si mise a difenderlo con mani ed unghie come suo. Alla
fine, i frati riscattarono il mantello ed il povero se ne andò con il prezzo ricevuto.
CAPITOLO LVI
REGALA IL MANTELLO AD UNO
PERCHÉ NON ABBIA PIÙ' IN ODIO IL SUO PADRONE
676
89. Una volta il Santo incontrò un povero a Colle, nella campagna di Perugia. L'aveva già
conosciuto quando era ancora nel mondo, e gli disse: «Fratello, come stai?». Ma quello, con l'animo
pieno di livore, si mise a scagliare maledizioni contro il suo padrone, che gli aveva tolti i suoi averi:
«Sto proprio male, grazie al mio padrone: che il Signore Onnipotente lo maledica! ».
Francesco sentì pietà più per la sua anima che per il suo corpo, perché mostrava di covare un
odio mortale e gli disse: « Fratello, perdona per amore di Dio al tuo padrone: salverai la tua anima e
può darsi che ti restituisca il maltolto. Altrimenti hai perduto i tuoi beni e perderai anche l'anima»
«Non gli posso assolutamente perdonare, -- rispose l'altro -- se prima lui non mi restituisce
quanto mi ha preso».
Francesco aveva indosso un mantello. « Ecco,--gli propose--, ti dò questo mantello e ti prego di
perdonare al tuo padrone, per amore del Signore Dio ». Raddolcito e mosso da quella bontà, prese il
dono e perdonò i torti del padrone.
CAPITOLO LVII
REGALA AD UN POVERO UN LEMBO DELLA SUA VESTE
677
90. Un giorno un povero gli chiese l'elemosina ed egli, non avendo niente per le mani, scucì un
lembo della tonaca e lo regalò al povero.
Altre volte, allo stesso fine, si tolse perfino i calzoni. Tanta era la tenera compassione che
provava per i poveri e tanto l'affetto che lo spingeva a seguire le orme di Cristo povero.
CAPITOLO LVIII
FA DARE ALLA MADRE DI DUE FRATI, PERCHÉ POVERA,
LA PRIMA COPIA DEL NUOVO TESTAMENTO
CHE EBBE L' ORDINE
678
91. Un'altra volta venne dal Santo la madre di due frati, a chiedere fiduciosamente
l'elemosina. Provandone vivo dolore, il Padre si rivolse al suo vicario, frate Pietro di Cattanio:
«Possiamo dare qualcosa in elemosina a nostra madre?». Perché chiamava madre sua e di tutti i frati la
madre di qualsiasi religioso. Gli rispose frate Pietro: «In casa non c'è niente da poterle dare».
«Abbiamo solo--aggiunse --un Nuovo Testamento, che ci serve per le letture a mattutino, essendo noi
senza breviario».
Gli rispose Francesco: « Dà alla nostra madre il Nuovo Testamento: lo venda secondo la sua
necessità, perché è proprio lui che ci insegna ad aiutare i poveri. Ritengo per certo che sarà più gradito
al Signore l'atto di carità che la lettura ».
Così fu regalato il libro alla donna e fu alienato per questa santa carità il primo Testamento
che ebbe l'Ordine.
CAPITOLO LIX
DONA IL MANTELLO AD UNA POVERA DONNA
MALATA D' OCCHI
679
92. Mentre san Francesco si trovava nel vescovado di Rieti per curarsi gli occhi, una povera
donna di Machilone venne dal medico, perché anche lei aveva una malattia simile a quella del Santo.
Questi, parlando familiarmente al suo guardiano, cominciò a poco a poco a persuaderlo all'incirca
così:«Frate guardiano, dobbiamo restituire ciò che è di altri ».
«Certo, padre, se abbiamo qualcosa che non sia nostro ».
«Restituiamo--continuò--questo mantello, che abbiamo ricevuto in prestito da quella
poveretta, perché non ha nulla in borsa per le sue spese».
« Ma -- obbiettò il guardiano -- questo mantello è mio e non lo ho avuto in prestito da nessuno.
usalo finché vorrai, e quando non lo vuoi più usare, rendilo a me ». E in realtà il guardiano l'aveva
comprato poco prima, perché era necessario a san Francesco.
«Frate guardiano, -- continuò il Santo -- tu mi sei sempre stato cortese: ti prego, mostra ora la
tua cortesia ».
«Ebbene padre, --concluse il guardiano--fa come vuoi, come ti suggerisce lo Spirito».
Francesco chiamò allora un secolare molto affezionato e gli disse: «Prendi questo mantello e
dodici pani, va' da quella donna poverella e dille così: Il povero, al quale hai imprestato il mantello, ti
ringrazia, ma ora riprendi ciò che è tuo ».
Quello andò e riferì come gli era stato ordinato. La donna pensò che si volesse deriderla e gli
rispose arrossendo: «Lasciami in pace col tuo mantello! Non capisco di che cosa parli ».
L'altro insistette e gli lasciò tutto nelle mani. E la donna convinta che non c'era inganno, per
timore che le venisse tolta una fortuna così impensata, si alzò nottetempo e, senza pensare alla cura
degli occhi, se ne ritornò a casa col mantello.
CAPITOLO LX
GLI APPAIONO TRE DONNE LUNGO LA STRADA
E SCOMPAIONO DOPO AVERLO SALUTATO
IN UN MODO NUOVO
680
93. Riferirò in breve un fatto mirabile, di interpretazione dubbia, ma quanto a verità
certissimo.
Francesco, il povero di Cristo, mentre da Rieti era diretto a Siena per la cura degli occhi stava
attraversando la pianura presso Rocca Campiglia, in compagnia di un medico affezionato all'Ordine.
Ed ecco apparire lungo la strada al passaggio del Santo tre povere donne. Erano tanto simili di
statura, di età, di aspetto, che le avresti dette tre copie modellate su un unico stampo. Quando
Francesco fu vicino, esse, chinando il capo con riverenza gli rivolsero questo singolare saluto: « Ben
venga, signora povertà ». Il Santo si riempì subito di gaudio indicibile, perché non c'era per lui saluto
più gradito di quello che esse gli avevano rivolto.
Pensando dapprima che le donne fossero realmente povere, si rivolse al medico che
l'accompagnava: «Ti prego, per amore di Dio, fa' in modo che possa dare qualcosa a quelle poverette».
Quello prontissimo trasse fuori la borsa e, balzato di sella, diede a ciascuna alcune monete.
Proseguirono quindi un poco per la strada intrapresa, quando tutto ad un tratto volgendo
attorno lo sguardo, frate e medico, non videro ombra di donne in tutta la pianura. Altamente stupiti
aggiunsero anche questo fatto alle meraviglie del Signore, perché evidentemente non potevano essere
donne, quelle che erano volate via più rapide degli uccelli.
L'AMORE DI SAN FRANCESCO ALLA PREGHIERA
CAPITOLO LXI
IL TEMPO, IL LUOGO ED IL FERVORE
DELLA SUA PREGHIERA
681
94. Francesco, uomo di Dio, sentendosi pellegrino nel corpo lontano dal Signore, cercava di
raggiungere con lo spirito il cielo e, fatto ormai concittadino degli Angeli, ne era separato unicamente
dalla parete della carne. L'anima era tutta assetata del suo Cristo e a Lui si offriva interamente nel
corpo e nello spirito.
Delle meraviglie della sua preghiera diremo solo qualche tratto, per quanto abbiamo visto con
i nostri occhi ed è possibile esporre ad orecchio umano, perché siano d'esempio ai posteri.
Trascorreva tutto il suo tempo in santo raccoglimento, per imprimere nel cuore la sapienza;
temeva di tornare indietro se non progrediva sempre. E se a volte urgevano visite di secolari o altre
faccende, le troncava più che terminarle, per rifugiarsi di nuovo nella contemplazione. Perché a lui,
che si cibava della dolcezza celeste, riusciva insipido il mondo, e le delizie divine lo avevano reso di
gusto difficile per i cibi grossolani degli uomini.
Cercava sempre un luogo appartato, dove potersi unire non solo con lo spirito, ma con le
singole membra, al suo Dio. E se all'improvviso si sentiva visitato dal Signore, per non rimanere senza
cella, se ne faceva una piccola col mantello. E se a volte era privo di questo, ricopriva il volto con la
manica, per non svelare la manna nascosta.
Sempre frapponeva fra sé e gli astanti qualcosa, perché non si accorgessero del contatto dello
sposo: così poteva pregare non visto anche se stipato tra mille, come nel cantuccio di una nave.
Infine, se non gli era possibile niente di tutto questo, faceva un tempio del suo petto.
Assorto in Dio e dimentico di se stesso, non gemeva né tossiva, era senza affanno il suo respiro
e scompariva ogni altro segno esteriore.
682
95. Questo il suo comportamento in casa. Quando invece pregava nelle selve e in luoghi
solitari, riempiva i boschi di gemiti, bagnava la terra di lacrime, si batteva con la mano il petto; e lì,
quasi approfittando di un luogo più intimo e riservato, dialogava spesso ad alta voce col suo Signore:
rendeva conto al Giudice, supplicava il Padre, parlava all'Amico, scherzava amabilmente con lo Sposo.
E in realtà, per offrire a Dio in molteplice olocausto tutte le fibre del cuore, considerava sotto diversi
aspetti Colui che è sommamente Uno. Spesso senza muovere le labbra, meditava a lungo dentro di sé
e, concentrando all'interno le potenze esteriori, si alzava con lo spirito al cielo. In tale modo dirigeva
tutta la mente e l'affetto a quell'unica cosa che chiedeva a Dio: non era tanto un uomo che prega,
quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente.
Ma di quanta dolcezza sarà stato inondato, abituato come era a questi trasporti? Soltanto lui lo
sa, io non posso che ammirarlo. Solo chi ne ha esperienza, lo può sapere; ma è negato a chi non
l'esperimenta. Quando il suo spirito era nel pieno del fervore, egli con tutto l'esteriore e con tutta
l'anima completamente in deliquio si ritrovava già nella perfettissima patria del regno dei cieli.
Il Padre era solito non trascurare negligentemente alcuna visita dello Spirito: quando gli si
presentava, l'accoglieva e fruiva della dolcezza che gli era stata data, fino a quando il Signore lo
permetteva. Così, se avvertiva gradatamente alcuni tocchi della grazia mentre era stretto da impegni
o in viaggio, gustava quella dolcissima manna a varie e frequenti riprese. Anche per via si fermava,
lasciando che i compagni andassero avanti, per godere della nuova visita dello Spirito e non ricevere
invano la grazia.
CAPITOLO LXII
CELEBRAZIONE DEVOTA DELLE ORE CANONICHE
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96. Recitava le ore canoniche con riverenza pari alla devozione. E quantunque fosse malato
d'occhi, di stomaco, di milza e di fegato, non voleva appoggiarsi durante la salmeggiatura a muro o
parete, ma assolveva l'obbligo delle ore sempre in piedi e senza cappuccio, senza guardare attorno e
senza interruzioni.
Quando camminava a piedi, si fermava sempre per recitare le ore; se era a cavallo, scendeva a
terra.
Un giorno ritornava da Roma sotto una pioggia incessante: discese dal cavallo per dire l'Ufficio
e fermatosi ritto in piedi per lungo tempo, si bagnò tutto.
Ripeteva: « Se il corpo mangia tranquillo il suo cibo, destinato ad essere con lui pasto di vermi,
con quanta pace e tranquillità l'anima deve prendere il suo cibo, che è il suo Dio! ».
CAPITOLO LXIII
NELLA PREGHIERA ALLONTANA LE DISTRAZIONI
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97. Credeva di peccare gravemente, se mentre pregava era turbato da vani fantasmi. Quando
ciò capitava, ricorreva alla confessione per accusarsene subito. L'aveva resa così abituale questa
premura, che molto raramente era tormentato da questo genere di mosche.
Durante una quaresima, aveva fatto un piccolo vaso, per utilizzare i ritagli di tempo e non
perderne neppure uno. Ma un giorno, mentre recitava devotamente Terza, gli capitò di fermare per
caso gli occhi su quel vaso, e si accorse che l'uomo interiore era stato ostacolato nel fervore. Afflitto
perché la voce del cuore diretta all'orecchio divino aveva subìto una interruzione, finita Terza, disse ai
frati presenti: « Ah, lavoro inutile che ha avuto tanto potere di me da deviare a sé il mio spirito! Lo
sacrificherò al Signore, perché ha impedito il sacrificio diretto a lui ».
Detto ciò, afferrò il vaso e lo gettò nel fuoco, dicendo: « Vergogniamoci di lasciarci distrarre
da fantasie inutili quando nel tempo della preghiera parliamo col Gran Re ».
CAPITOLO LXIV
UN' ESTASI
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98. Spesso rimaneva assorto preso da tanta dolcezza di contemplazione, che rapito fuori di sé,
non faceva capire a nessuno ciò che esperimentava di sovrumano. Tuttavia anche da un solo fatto, che
una volta avvenne in pubblico, possiamo dedurre con quale frequenza dovesse essere profondamente
immerso nella dolcezza celeste.
Un giorno doveva attraversare sul dorso di un asino Borgo San Sepolcro, e poiché aveva fissato
di riposare in un lebbrosario, molti vennero a sapere del passaggio dell'uomo di Dio. Accorrono da ogni
parte, uomini e donne, desiderosi di vederlo e di toccarlo con la devozione consueta. E che dire? Lo
toccano e lo scuotono, gli tagliano pezzi dell'abito per conservarli. Ma Francesco sembra insensibile a
tutto e niente avverte, come un morto, di ciò che avviene. Lo conducono finalmente al luogo fissato, e
dopo aver lasciato alle spalle Borgo da un pezzo, come se provenisse da altro luogo, quel
contemplatore delle cose celesti chiese preoccupato quando sarebbero giunti a Borgo.
CAPITOLO LXV
SUO CONTEGNO DOPO LA PREGHIERA
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99. Quando ritornava dalle sue preghiere personali, durante le quali si trasformava quasi in un
altro uomo, cercava di conformarsi quanto più poteva agli altri, per il timore che, se appariva col volto
raggiante, il venticello dell'ammirazione non gli togliesse il merito guadagnato. Anzi spesso ripeteva ai
suoi intimi: «Quando il servo di Dio nella preghiera è visitato dal Signore con qualche nuova
consolazione, deve prima di terminare, alzare gli occhi al cielo e dire al Signore a mani giunte:--Tu, o
Signore, hai mandato dal cielo questa dolce consolazione a me indegno peccatore: io te la restituisco,
affinché tu me la metta in serbo, perché io sono un ladro del tuo tesoro--». E ancora: « Signore,
toglimi il tuo bene in questo mondo, e conservamelo per il futuro».
E continuava: « Così deve comportarsi, in modo che, quando esce dalla preghiera, si mostri
agli altri così poverello e peccatore, come se non avesse conseguito nessuna nuova grazia ». E
spiegava: «Per una mercede di poco valore capita di perdere un bene inestimabile e di provocare
facilmente il nostro benefattore a non ridarlo più».
Infine, era suo costume alzarsi a pregare così di nascosto e silenziosamente, che nessuno dei
compagni poteva accorgersi che si alzava o pregava. Quando invece alla sera si metteva a letto, faceva
rumore e quasi strepito, per far sentire a tutti che andava a coricarsi.
CAPITOLO LXVI
UN VESCOVO LO SORPRENDE IN PREGHIERA
E DIVENTA MUTO
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100. Il vescovo di Assisi andò un giorno, com'era sua consuetudine, per una visita amichevole
da Francesco, che stava pregando nel luogo della Porziuncola.
Appena entrato, si dirige con poco riguardo, senza essere stato invitato, alla cella del Santo e,
spinta la porticina, fa per entrare, quando, nello sporgere il capo, lo vede in preghiera: all'istante è
scosso da tremore e mentre le membra si irrigidiscono perde anche la parola. Subito, per volontà di
Dio, è respinto violentemente fuori e, sempre all'indietro, è trascinato lontano.
A mio parere, o il vescovo era indegno di assistere a quel segreto misterioso, o Francesco
meritava di godere più a lungo della grazia, che già pregustava. Pieno di stupore, il vescovo ritornò dai
frati e, confessata la sua colpa con un cenno di parola, riacquistò la favella.
CAPITOLO LXVII
COME UN ABATE SPERIMENTÒ L' EFFICACIA
DELLA SUA PREGHIERA
688
101. L'abate del monastero di San Giustino, nella diocesi di Perugia, incontrò un giorno
Francesco e, sceso velocemente da cavallo, si intrattenne brevemente con lui a parlare della salvezza
della sua anima. Quando alla fine si allontanò, gli chiese umilmente di pregare per lui. «Pregherò,
signore, volentieri», rispose Francesco.
L'abate si era allontanato di poco, quando il Santo, rivolto al compagno, gli disse: «Aspetta un
poco, perché voglio soddisfare il debito di ciò che ho promesso». Aveva infatti questa abitudine, di non
gettare dietro le spalle la preghiera richiesta ma di adempiere quanto prima una tale promessa.
Mentre il Santo supplicava il Signore, subito l'abate provò nello spirito un calore insolito ed una
dolcezza sconosciuta fino a quel momento e, rapito fuori dai sensi, gli sembrò proprio di venire meno.
Si fermò un istante, poi ritornato in se stesso, constatò la potenza della preghiera di san Francesco.
Per questo provò un amore sempre più grande per l'Ordine e riferì a molti il fatto come un
miracolo.
Questi sono i piccoli doni che devono farsi tra loro i servi di Dio, tale lo scambio vicendevole
che si addice loro riguardo al dare e al ricevere. Quel santo amore, che a volte è chiamato spirituale, è
contento del frutto dell'orazione; la carità tiene poco conto dei poveri doni terreni. Credo sia proprio
dell'amore santo aiutare ed essere aiutati nella lotta spirituale, raccomandare ed essere raccomandati
davanti al tribunale di Cristo.
Ma a quale grado di preghiera pensi che dovesse salire chi ha potuto in tale modo innalzare un
altro con i suoi meriti?
COMPRENSIONE DEL SANTO NELLA SACRA SCRITTURA
E POTENZA DELLE SUE PAROLE
CAPITOLO LXVIII
SUA SCIENZA E MEMORIA
689
102. Quantunque questo uomo beato non avesse ricevuta nessuna formazione di cultura
umana, tuttavia, istruito dalla sapienza che discende da Dio e, irradiato dai fulgori della luce eterna,
aveva una comprensione altissima delle Scritture. La sua intelligenza, pura da ogni macchia, penetrava
le oscurità dei misteri, e ciò che rimane inaccessibile alla scienza dei maestri era aperto all'affetto
dell'amante.
Ogni tanto leggeva nei Libri Sacri, e scolpiva indelebilmente nel cuore ciò che anche una volta
sola aveva immesso nell'animo. «Per lui, la memoria teneva il posto dei libri», perché il suo orecchio,
anche in una volta sola, afferrava con sicurezza ciò che l'affetto andava meditando con devozione.
Affermava che questo metodo di apprendere e di leggere è il solo fruttuoso, non quello di consultare
migliaia e migliaia di trattati. Riteneva vero filosofo colui che non antepone nulla al desiderio della
vita eterna. Affermava ancora che perviene facilmente dalla scienza umana alla scienza di Dio, colui
che, leggendo la Scrittura, la scruta più con l'umiltà che con la presunzione. Spesso scioglieva con una
sola frase questioni dubbie e senza profusioni di parole dimostrava grande intelligenza e profonda
penetrazione.
CAPITOLO LXIX
PREGATO DA UN FRATE PREDICATORE
ESPONE UN DETTO PROFETICO
690
103. Mentre dimorava presso Siena, vi capitò un frate dell'Ordine dei predicatori, uomo
spirituale e dottore in sacra teologia. Venne dunque a far visita al beato Francesco e si trattennero a
lungo insieme, lui e il Santo in dolcissima conversazione sulle parole del Signore. Poi il maestro lo
interrogò su quel detto di Ezechiele: Se non manifesterai all'empio la sua empietà, domanderò conto a
te della sua anima. Gli disse: «Io stesso, buon padre, conosco molti ai quali non sempre manifesto la
loro empietà, pur sapendo che sono in peccato mortale. Forse che sarà chiesto conto a me delle loro
anime?».
E poiché Francesco si diceva ignorante e perciò degno più di essere da lui istruito, che di
rispondere sopra una sentenza della Scrittura, il dottore aggiunse umilmente: «Fratello, anche se ho
sentito alcuni dotti esporre questo passo, tuttavia volentieri gradirei a questo riguardo il tuo parere».
«Se la frase va presa in senso generico,--rispose Francesco --io la intendo così: Il servo di Dio
deve avere in se stesso tale ardore di santità di vita, da rimproverare tutti gli empi con la luce
dell'esempio e l'eloquenza della sua condotta. Così, ripeto, lo splendore della sua vita ed il buon odore
della sua fama, renderanno manifesta a tutti la loro iniquità ».
Il dottore rimase molto edificato, per questa interpretazione, e mentre se ne partiva, disse ai
compagni di Francesco: «Fratelli miei, la teologia di questo uomo, sorretta dalla purezza e dalla
contemplazione, vola come aquila. La nostra scienza invece striscia terra terra ».
CAPITOLO LXX
DILUCIDAZIONI DATE ALLE DOMANDE DI UN CARDINALE
691
104. Un'altra volta, trovandosi a Roma in casa di un cardinale, fu interrogato su alcuni passi
oscuri, ed espose con tanta chiarezza quei concetti profondi, da far pensare che fosse sempre vissuto
in mezzo alle Scritture. Perciò il signor cardinale gli disse: «Io non ti interrogo come letterato, ma
come uomo che ha lo spirito di Dio. E per questo accetto volentieri il senso della tua risposta, perché
so che proviene da Dio solo».
CAPITOLO LXXI
ESORTATO ALLA LETTURA DELLA SCRITTURA,
ESPONE AD UN FRATE QUALE SIA LA SUA SCIENZA
692
105. Francesco era infermo e pieno di dolori da ogni parte. Vedendolo così, un giorno gli disse
un suo compagno: «Padre, tu hai sempre trovato un rifugio nelle Scritture; sempre ti hanno offerto un
rimedio ai tuoi dolori. Ti prego anche ora fatti leggere qualche cosa dai profeti: forse il tuo spirito
esulterà nel Signore ». Rispose il Santo: «E bene leggere le testimonianze della Scrittura, ed è bene
cercare in esse il Signore nostro Dio. Ma, per quanto mi riguarda, mi sono già preso tanto dalle
Scritture, da essere più che sufficiente alla mia meditazione e riflessione. Non ho bisogno di più, figlio:
conosco Cristo povero e Crocifisso ».
CAPITOLO LXXII
FRATE PACIFICO VEDE ALCUNE SPADE SPLENDENTI
SULLA PERSONA DEL SANTO
693
106. Vi era nella Marca d'Ancona un secolare, che dimentico di sé e del tutto all'oscuro di Dio,
si era completamente prostituito alla vanità. Era chiamato «il Re dei versi», perché era il più rinomato
dei cantori frivoli ed egli stesso autore di canzoni mondane. In breve, la gloria del mondo lo aveva
talmente reso famoso, che era stato incoronato dall'Imperatore nel modo più sfarzoso.
Mentre camminava così avvolto nelle tenebre e si tirava addosso il castigo avvinto nei lacci
della vanità, la pietà divina, mossa a compassione, pensò di richiamare ii misero, perché non perisse,
lui che giaceva prostrato a terra. Per disposizione della Provvidenza divina, si incontrarono, lui e
Francesco, presso un certo monastero di povere recluse.
Il Padre vi si era recato per far visita alle figlie con i suoi compagni, mentre l'altro era venuto a
casa di una sua parente con molti amici.
La mano di Dio si posò su di lui, e vide proprio con i suoi occhi corporei Francesco segnato in
forma di croce da due spade, messe a traverso, molto splendenti: l'una si stendeva dalla testa ai piedi,
I'altra, trasversale, da una mano all'altra, all'altezza del petto. Personalmente non conosceva il beato
Francesco; ma dopo un così notevole prodigio, subito lo riconobbe. Pieno di stupore, all'istante
cominciò a proporsi una vita migliore, pur rinviandone l'adempimento al futuro. Ma il Padre, quando
iniziò a predicare davanti a tutti, rivolse contro di lui la spada della parola di Dio. Poi, in disparte, lo
ammonì con dolcezza intorno alla vanità e al disprezzo del mondo, e infine lo colpì al cuore
minacciandogli il giudizio divino.
L'altro, senza frapporre indugi, rispose: «Che bisogno c'è di aggiungere altro? Veniamo ai fatti.
Toglimi dagli uomini, e rendimi al grande Imperatore!».
Il giorno seguente, il Santo lo vestì dell'abito e lo chiamò frate Pacifico, per averlo ricondotto
alla pace del Signore. E tanto più numerosi furono quelli che rimasero edificati dalla sua conversione,
quanto maggiore era stata la turba dei compagni di vanità.
Godendo della compagnia del Padre, frate Pacifico cominciò ad esperimentare dolcezze, che
non aveva ancora provate. Infatti poté un'altra volta vedere ciò che rimaneva nascosto agli altri: poco
dopo, scorse sulla fronte di Francesco un grande segno di Thau, che ornato di cerchietti multicolori,
presentava la bellezza del pavone.
CAPITOLO LXXIII
L' EFFICACIA DEI SUOI DISCORSI
E TESTIMONIANZA Dl UN MEDICO
694
107. Il predicatore del Vangelo Francesco, quando predicava a persone incolte, usava
espressioni semplici e materiali, ben sapendo che vi è più necessità di virtù che di parole. Tuttavia tra
persone spirituali e più colte cavava dal cuore parole profonde, che davano vita. Con poco spiegava ciò
che era inesprimibile, e unendovi movimenti e gesti di fuoco, trascinava tutti alle altezze celesti.
Non si serviva del congegno delle distinzioni, perché non dava ordine a discorsi, che non
ideava da se stesso. Alla sua parola dava voce di potenza Cristo, vera potenza e sapienza.
Un medico, persona colta ed eloquente, disse una volta: «Mentre ritengo parola per parola le
prediche degli altri, solo mi sfugge ciò che Francesco dice nella sua esuberanza. E, se cerco di
ricordare alcune parole, non mi sembrano più quelle che prima hanno stillato le sue labbra ».
CAPITOLO LXXIV
CON LA POTENZA DELLA SUA PAROLA,
PER MEZZO Dl FRATE SILVESTRO SCACCIA I DEMONI
695
108. Le sue parole conservavano tutta la loro efficacia non solo se pronunciate direttamente,
ma anche se trasmesse per mezzo di altri non ritornavano senza frutto.
Arrivò un giorno ad Arezzo, mentre tutta la città era scossa dalla guerra civile e minacciava
prossima la sua rovina. Il servo di Dio venne ospitato nel borgo fuori città, e vide sopra di essa demoni
esultanti, che rinfocolavano i cittadini a distruggersi fra di loro. Chiamò frate Silvestro, uomo di Dio e
di ragguardevole semplicità, e gli comandò: «Va' alla porta della città, e da parte di Dio Onnipotente
comanda ai demoni che quanto prima escano dalla città».
Il frate pio e semplice si affrettò ad obbedire, e dopo essersi rivolto a Dio con inno di lode,
grida davanti alla porta a gran voce: «Da parte di Dio e per ordine del nostro padre Francesco, andate
lontano di qui, voi tutti demoni!». La città poco dopo ritrovò la pace e i cittadini rispettarono i
vicendevoli diritti civili con grande tranquillità.
Più tardi parlando loro, Francesco all'inizio della predicazione disse: « Parlo a voi come a
persone un tempo soggiogate e schiave dei demoni. Però so che siete stati liberati per le preghiere di
un povero ».
CAPITOLO LXXV
LA CONVERSIONE DEL MEDESIMO FRATE SILVESTRO.
UNA SUA VISIONE
696 109. Credo che non sia fuori luogo aggiungere qui la conversione del predetto Silvestro, come sia
stato mosso dallo Spirito ad entrare nell'Ordine.
Silvestro era un sacerdote secolare della città di Assisi, e da lui un tempo l'uomo di Dio aveva
comprato pietre per riparare una chiesa. Quando vide, in quei giorni, frate Bernardo, che dopo il Santo
fu la prima pianticella dell'Ordine, lasciare completamente i suoi beni e darli ai poveri, si sentì acceso
da una cupidigia insaziabile e si lamentò col servo di Dio per le pietre, che un tempo gli aveva vendute,
come se non gli fossero state pagate completamente. Francesco, osservando che l'animo del sacerdote
era corroso dal veleno delI'avarizia, ebbe un sorriso di compassione. Ma, desiderando di portare in
qualunque modo refrigerio a quella arsura maledetta, gli riempì le mani di denaro, senza contarlo.
Prete Silvestro si rallegrò dei soldi ricevuti, ma più ancora ammirò la liberalità di chi donava.
Ritornato a casa, ripensò più volte a quanto gli era accaduto, biasimandosi santamente e
meravigliandosi di amare, pur essendo ormai vecchio, il mondo, mentre quel giovane disprezzava in
tale modo tutte le cose. Quando poi fu pieno di buone disposizioni, Cristo gli aprì il seno della sua
misericordia, gli mostrò quanto valessero le opere di Francesco, quanto fossero preziose davanti a lui e
come con il loro splendore riempissero tutta la terra.
Vide infatti, in sogno, una croce d'oro, che usciva dalla bocca di Francesco: la sua cima
arrivava ai cieli, bracci protesi lateralmente cingevano tutto attorno il mondo.
Il sacerdote, compunto a quella vista, scacciò ogni ritardo dannoso, lasciò il mondo e divenne
perfetto imitatore dell'uomo di Dio. Cominciò a condurre nell'Ordine una vita perfetta e la terminò in
modo perfettissimo con la grazia di Cristo.
Ma, quale meraviglia che Francesco sia apparso crocifisso, lui che ha amato tanto la croce?
Non è certo sorprendente che, essendo così radicata nel suo cuore la croce, che opera cose mirabili, e
venendo su da un terreno buono, abbia prodotto fiori, fronde e frutti meravigliosi! Nient'altro, di
specie diversa, poteva nascere da questa terra, che la croce gloriosa fin da principio aveva presa in
tale modo tutta per sé.
Ma ritorniamo al nostro argomento.
CAPITOLO LXXVI
UN FRATE VIENE LIBERATO DAGLI ASSALTI DEL DEMONIO
697
110. Un frate era da lungo tempo gravemente molestato da una tentazione di spirito, la quale
è più sottile e peggiore dello stimolo della carne. Finalmente, presentatosi a Francesco, si gettò
umilmente ai suoi piedi. Ma, scoppiato in pianto dirotto e amarissimo, non era capace di dire parola,
essendo impedito da forti singhiozzi. Il Padre ne sentì pietà, e comprendendo che era tormentato da
istigazioni maligne: «Io vi ordino, o demoni,--esclamò--in virtù di Dio di non tormentare più d'ora avanti
il mio fratello, come avete osato finora».
Subito si dissipò quel buio tenebroso, il frate si alzò libero e non sentì più alcun tormento,
come se ne fosse sempre stato esente.
CAPITOLO LXXVII
UNA SCROFA MALVAGIA UCCIDE A MORSI UN AGNELLO
698
111 Già da altre pagine risulta abbastanza chiaro che la sua parola era di una potenza
sorprendente anche a riguardo degli animali. Tuttavia toccherò appena un episodio che ho alla mano.
Il servo dell'Altissimo era stato ospitato una sera presso il monastero di San Verecondo, in
diocesi di Gubbio, e nella notte una pecora partorì un agnellino. Vi era nel chiuso una scrofa quanto
mai crudele, che, senza pietà per la vita dell'innocente, lo uccise con morso feroce.
Al mattino, alzatisi, trovano l'agnellino morto e riconoscono con certezza che proprio la scrofa
è colpevole di quel delitto. All'udire tutto questo, il pio padre si commuove, e ricordandosi di un altro
Agnello, piange davanti a tutti l'agnellino morto: «Ohimé, frate agnellino, animale innocente, simbolo
vivo sempre utile agli uomini! Sia maledetta quell'empia che ti ha ucciso e nessuno, uomo o bestia,
mangi della sua carne!».
Incredibile! La scrofa malvagia cominciò subito a star male, e dopo aver pagato il fio in tre
giorni di sofferenze, alla fine subì una morte vendicatrice. Fu poi gettata nel fossato del monastero,
dove rimase a lungo e, seccatasi come un legno, non servì di cibo a nessuno per quanto affamato.
CONTRO LE FAMILIARITÀ CON DONNE
CAPITOLO LXXVIII
SI DEVE EVITARE LA FAMILIARITÀ CON DONNE.
COME SI COMPORTAVA CON LORO
699
112. Comandava che fossero evitate del tutto le familiarità con donne, dolce veleno che
corrompe anche gli uomini santi. Temeva infatti che l'animo fragile si spezzasse presto e quello forte si
indebolisse. E ripeteva che, se non si tratta di una persona di virtù più che sperimentata, intrattenersi
familiarmente con esse senza esserne contagiati è tanto facile, quanto, secondo la Scrittura,
camminare sul fuoco senza scottarsi i piedi.
Per mostrare con i fatti ciò che diceva, presentava in se stesso un modello perfetto di virtù.
Le donne infatti gli erano così moleste, da far credere che si trattasse non di cautela o di esempio, ma
di paura o di orrore.
Quando la loro loquacità importuna dava origine a contesa, induceva al silenzio con un parlare
breve ed umile e il volto a terra. Altre volte fissava gli occhi al cielo, quasi volesse ricavarne ciò che
avrebbe risposto a quelle cicale mondane. Quelle invece, che avevano reso il loro animo dimora della
sapienza con una santa e perseverante devozione, le istruiva con meravigliosi, ma brevi discorsi.
Quando si intratteneva con una donna, parlava ad alta voce, in modo che tutti potessero udire.
Una volta confidò ad un compagno: «Ti confesso la verità, carissimo: se le guardassi in faccia, ne
riconoscerei solamente due. Dell'una e dell'altra mi è noto il volto, di altre no »..
Benissimo, Padre, perché guardarle non santifica nessuno. Ottimamente, ripeto, perché la loro
presenza non porta alcun vantaggio, ma moltissimo danno anche di tempo. Sono, queste cose, un
impedimento a chi vuole affrontare un viaggio arduo e contemplare il volto pieno di ogni grazia.
CAPITOLO LXXIX
UNA PARABOLA CONTRO GLI SGUARDI RIVOLTI ALLE DONNE
700
113. Era solito colpire gli occhi non casti con questa parabola.
Un re potentissimo inviò, in tempi successivi, due nunzi alla regina. Ritorna il primo e riferisce
semplicemente la risposta al suo messaggio. Ritorna l'altro, e dopo aver riferito in breve la risposta,
tesse una lunga storia della bellezza della sovrana. «A dir vero, Signore, ho proprio visto una donna
bellissima. Felice chi può goderne!».
«Servo malvagio,--lo investe il re--hai fissato i tuoi occhi impudichi sulla mia sposa? È chiaro
che tu avresti voluto far tuo un oggetto che hai esaminato così attentamente!».
Fa richiamare il primo e gli chiede: «Che ti sembra della regina?». «Molto bene di certo,-risponde il messo --perché ha ascoltato in silenzio ed ha risposto con saggezza ». «E non ti sembra
bella?». «Guardare a questo tocca a te. Mio compito era di riferire le parole ».
Il re pronuncia allora la sentenza: «Tu casto di occhi, più casto di corpo, rimani nel mio
appartamento. Costui invece, fuori di casa, perché non violi il mio talamo! ».
Ripeteva poi il Padre: «Quando si è troppo sicuri di sé, si è meno prudenti di fronte al nemico.
Se il diavolo può far suo un capello in un uomo, ben presto lo fa diventare una trave. E non desiste
anche se per lungo tempo non è riuscito a far crollare chi ha tentato, purché alla fine gli si arrenda.
Questo è il suo intento, e non si occupa di altro giorno e notte ».
CAPITOLO LXXX
ESEMPIO DEL SANTO CONTRO L' ECCESSIVA FAMILIARITÀ
701
114. Una volta Francesco era diretto a Bevagna, ma indebolito dal digiuno non era in grado di
arrivare al paese. Il compagno allora mandò a chiedere umilmente a una devota signora del pane e del
vino per il Santo. Appena la donna conobbe la cosa, assieme ad una figlia, vergine consacrata a Dio, si
avviò di corsa, per portare al Santo quanto era necessario. Ristorato e ripreso alquanto vigore, rifocillò
a sua volta madre e figlia con la parola di Dio. Ma nel parlare ad esse, non le guardò mai in faccia.
Mentre quelle ritornavano a casa, il compagno gli disse: «Perché fratello, non hai guardato la
santa vergine, che è venuta a te con tanta devozione? ». E il Padre: «Chi non dovrebbe aver timore di
guardare la sposa di Cristo? Se poi si predica anche con gli occhi ed il volto, essa da parte sua poteva
ben guardarmi, ma non occorreva che la guardassi io»..
Spesso parlando di queste cose, asseriva che è frivolo ogni colloquio con donne, fatta
eccezione della sola confessione o, come capita, di qualche brevissimo consiglio. E commentava: «Di
cosa dovrebbe trattare un frate minore con una donna, se non della santa penitenza o di un consiglio
di vita più perfetta, quando gliene faccia religiosa richiesta? ».
LE TENTAZIONI CHE AFFRONTÒ IL SANTO
CAPITOLO LXXXI
LE TENTAZIONI DEL SANTO E COME NE SUPERÒ UNA
702
115. Mentre crescevano i meriti di Francesco, cresceva pure il disaccordo con l'antico
serpente. Quanto maggiori erano i suoi carismi, tanto più sottili i tentativi e più violenti gli attacchi
che quello gli moveva. E quantunque lo avesse spesso conosciuto per esperienza come valoroso
guerriero, che non veniva meno neppure un istante nel combattimento, tuttavia tentava ancora di
aggredirlo, pur risultando quegli sempre vincitore.
Ad un certo momento della sua vita, il Padre subì una violentissima tentazione di spirito,
sicuramente a vantaggio della sua corona. Per questo, era angustiato e pieno di sofferenza,
mortificava e macerava il corpo, pregava e piangeva nel modo più penoso. Questa lotta durò più anni.
Un giorno, mentre pregava in Santa Maria della Porziuncola, udi in spirito una voce: «Francesco, se
avrai fede quanto un granello di senapa, dirai al monte che si sposti ed esso si muoverà ».
«Signore, -- rispose il Santo ---qual è il monte, che io vorrei trasferire?».
E la voce di nuovo: «Il monte è la tua tentazione ».
«O Signore, --rispose il Santo in lacrime--avvenga a me, come hai detto».
Subito sparì ogni tentazione e si sentì libero e del tutto sereno nel più profondo del cuore.
CAPITOLO LXXXII
IL DIAVOLO LO CHIAMA PER TENTARLO Dl LUSSURIA,
MA IL SANTO LO VINCE
703
116. Nell'eremo dei frati di Sarteano il maligno, che sempre invidia il progresso spirituale dei
figli di Dio, ebbe addirittura questa presunzione.
Vedendo che il Santo attendeva continuamente alla sua santificazione, e non tralasciava il
guadagno di oggi soddisfatto di quello del giorno precedente, una notte, mentre pregava nella sua
celletta, lo chiamò per tre volte:
«Francesco, Francesco, Francesco».
«Cosa vuoi?».
E quello: «Nel mondo non vi è nessun peccatore, che non ottenga la misericordia di Dio, se
pentito. Ma chiunque causa la propria morte con una penitenza rigida non troverà misericordia in
eterno ».
Il Santo riconobbe subito, per rivelazione, l'astuzia del nemico, come cercava di indurlo alla
tiepidezza. Ma, cosa crederesti? Il nemico non tralasciò di rinnovargli un altro assalto. Vedendo che in
tale modo non era riuscito a nascondere il laccio, ne prepara un altro, cioè uno stimolo carnale. Ma
inutilmente, perché non poteva essere ingannato dalla carne, chi aveva scoperto l'inganno dello
spirito. Gli manda dunque il diavolo, una violentissima tentazione di lussuria.
Appena il Padre la nota, si spoglia della veste e si flagella con estrema durezza con un pezzo di
corda. «Orsù, frate asino,--esclama--così tu devi sottostare, così subire il flagello! La tonaca è
dell'Ordine, non è lecito appropriarsene indebitamente. Se vuoi andare altrove, va' pure ».
117. Ma poiché vedeva che con i colpi della disciplina la tentazione non se ne andava, mentre tutte le
membra erano arrossate di lividi, aprì la celletta e, uscito nell'orto, si immerse nudo nella neve alta.
Prendendo poi la neve a piene mani la stringe e ne fa sette mucchi a forma di manichini, si colloca poi
dinanzi ad essi e comincia a parlare così al corpo:
«Ecco, questa più grande è tua moglie; questi quattro, due sono i figli e due le tue figlie; gli
altri due sono il servo e la domestica, necessari al servizio. Fa' presto, occorre vestirli tutti, perché
muoiono dal freddo. Se poi questa molteplice preoccupazione ti è di peso, servi con diligenza
unicamente al Signore ».
All'istante il diavolo confuso si allontanò, ed il Santo ritornò nella sua cella, glorificando Dio.
Un frate di spirito, che allora attendeva alla preghiera, osservò tutto, perché splendeva la
luna in cielo. Ma, quando più tardi il Santo si accorse che un frate l'aveva visto nella notte, molto
spiaciuto, gli ordinò di non svelare l'accaduto a nessuno, fino a che fosse in vita.
CAPITOLO LXXXIII
LIBERA UN FRATE TENTATO.
VANTAGGI DELLA TENTAZIONE
704
118. Una volta un frate, che era tentato, sedeva tutto solo vicino al Santo e gli disse: «Prega
per me, Padre buono: sono convinto che sarò subito liberato dalle mie tentazioni, se ti degnerai di
pregare per me. Sono proprio afflitto oltre le mie forze, e so che anche tu lo hai capito».
«Credimi figlio -- gli rispose Francesco--: proprio per questo ti ritengo ancor più servo di Dio, e
sappi che più sei tentato e più mi sei caro ». E soggiunse: «Ti dico in verità che nessuno deve ritenersi
servo di Dio, sino a quando non sia passato attraverso prove e tribolazioni. La tentazione superata è,
in un certo senso, l'anello, col quale il Signore sposa l'anima del suo servo.
«Molti si lusingano per meriti accumulati in lunghi anni, e godono di non avere mai sostenuto
prove. Ma sappiamo che il Signore ha tenuto in considerazione la loro debolezza di spirito, perché
ancor prima dello scontro, il solo terrore li avrebbe schiacciati. Infatti i combattimenti difficili vengono
riservati solo a chi ha un coraggio esemplare».
LOTTA COI DEMONI
CAPITOLO LXXXIV
I DEMONI LO PERCUOTONO. BISOGNA EVITARE LE CORTI
705
119. Questo uomo non soltanto veniva attaccato da
azzuffava con lui corpo a corpo.
Satana con tentazioni, ma anche si
Una volta il signor Leone, cardinale di Santa Croce, lo pregò di rimanere un po' di tempo con
lui a Roma. Francesco scelse una torre solitaria, che essendo all'interno fatta a volta, presentava nove
vani simili alle stanzette di un eremo.
La prima notte, dopo aver pregato Dio, si accingeva a riposare, quando fattisi vivi i demoni gli
mossero una lotta spietata. Lo fustigarono per lunghissimo tempo e tanto duramente da lasciarlo alla
fine quasi mezzomorto.
Quando se ne andarono, ripreso finalmente il respiro il Santo chiama il compagno, che dormiva
sotto un'altra volta: «Fratello,--gli dice appena arrivato--voglio che tu rimanga vicino a me, perché ho
paura ad essere solo. Poco fa i demoni mi hanno percosso». Il Santo era preso da tremore e da
agitazione in tutto il corpo, come uno in preda ad una violentissima febbre.
120. Passarono così tutta la notte svegli, e Francesco disse al compagno: « I demoni sono i
castaldi di nostro Signore, ed egli stesso li incarica di punire le nostre mancanze. È segno di grazia
particolare, se non lascia nulla di impunito nel suo servo, finché è vivo in questo mondo.
«Io, a dir vero, non mi ricordo di una colpa, che per misericordia di Dio non abbia espiata col
pentimento, perché, nella sua paterna bontà, si è sempre degnato mostrarmi, mentre meditavo e
pregavo, cosa gli piacesse e cosa l'offendesse. Ma forse ha permesso che mi assalissero i suoi castaldi,
perché non do buon esempio agli altri col fermarmi nel palazzo dei nobili.
«I miei frati, che dimorano in luoghi miseri, vedendo che me ne sto con i cardinali penseranno
che io abbondi di delizie. Perciò, fratello, ritengo più giusto che rifugga dai palazzi chi è posto ad
esempio degli altri, e renda forti quelli che soffrono ristrettezza, condividendo gli stessi disagi».
Giunti così al mattino raccontarono tutto al cardinale e lo salutarono.
Lo ricordino bene i frati che vivono a palazzo, e sappiano che sono figli abortivi, sottratti al
seno della loro madre. Non condanno l'obbedienza, ma biasimo l'ambizione, l'ozio, le delizie. Infine,
anche a tutte le obbedienze possibili metto innanzi nel modo più assoluto Francesco.
Almeno si tolga ciò che, essendo gradito agli uomini, dispiace a Dio.
CAPITOLO LXXXV
UN ESEMPIO RIGUARDO ALLO STESSO ARGOMENTO
706
121. Mi viene a mente un episodio, che, a mio parere, non si può tralasciare.
Un frate, vedendo che alcuni religiosi si intrattenevano in una corte, sedotto da non so quale
vanagloria, volle anche lui farsi «palatino» come loro. E mentre bruciava dal desiderio di quella vita
principesca, una notte vide in sogno i predetti confratelli, fuori della abitazione dei frati e separati
dalla loro comunità. Inoltre, chini su un truogolo da maiali, lurido e ripugnante, stavano mangiando dei
ceci, mescolati a sterco umano.
A tale vista, il frate stupì altamente e, alzatosi alla prima luce dell'alba, non si curò più della
corte.
CAPITOLO LXXXVI
TENTAZIONI CHE Il SANTO SUBI' IN UN LUOGO SOLITARIO.
VISIONE DI UN FRATE
707
122. Il Santo giunse una volta con il compagno ad una chiesa, lontano dall'abitato. Desiderando
pregare tutto solo, avvisò il compagno: «Fratello, vorrei rimanere qui da solo questa notte. Tu va
all'ospedale e torna da me per tempo domattina ».
Rimasto dunque solo, rivolse a Dio lunghe e devotissime preghiere, e alla fine guardò attorno,
dove potesse reclinare il capo per dormire. Ma subito turbato nello spirito cominciò a sentirsi
oppresso dallo spavento e dal tedio e a tremare in tutto il corpo. Sentiva chiaramente che il diavolo
dirigeva contro di lui i suoi assalti, e udiva folle di demoni che scorazzavano con strepito sul tetto
dell'edificio.
Immediatamente si alzò e, uscito fuori, si fece il segno della croce, esclamando: «Da parte di
Dio Onnipotente vi comando, demoni, che riversiate sul mio corpo tutto ciò che è in vostro potere. Lo
sopporto volentieri, perché non ho un nemico peggiore del mio corpo: mi farete così giustizia del mio
avversario e gli infliggerete la punizione in vece mia ».
Quelli, che si erano riuniti per atterrire il suo animo, incontrando uno spirito più pronto anche
se in una carne debole, subito si dileguarono confusi dalla vergogna.
123. Fattosi giorno, ritorna il compagno, e trovando il Santo prostrato davanti all'altare,
aspetta fuori del coro e anche lui nel frattempo si mette a pregare fervorosamente, davanti ad una
croce. Rapito in estasi, vede fra tanti seggi in cielo uno più bello degli altri, ornato di pietre preziose e
tutto raggiante di gloria. Ammira dentro di sé quel nobile trono, e va ripensando tacitamente a chi
possa appartenere. Ma nel frattempo sente una voce che gli dice: «Questo trono appartenne ad un
angelo che è precipitato, ed ora è riservato all'umile Francesco ».
Rientrato in se stesso, il frate vede Francesco che ritorna dalla preghiera. Gli si prostra subito
dinnanzi, con le braccia in forma di croce, e si rivolge a lui non come ad uno che viva sulla terra, ma
quasi ad un essere che regni già in cielo: « Prega per me il Figlio di Dio, Padre, che non tenga conto dei
miei peccati ».
L'uomo di Dio gli tende la mano e lo rialza, sicuro che nella preghiera ha ricevuto una visione.
Alla fine, mentre si allontanano dal luogo, il frate chiede a Francesco: « Padre, cosa ne pensi
di te stesso? ». Ed egli rispose: « Mi sembra di essere il più grande peccatore, perché se Dio avesse
usata tanta misericordia con qualche scellerato, sarebbe dieci volte migliore di me».
A queste parole, subito lo Spirito disse interiormente al frate: «Conosci che è stata vera la tua
visione da questo: perché questo uomo umilissimo sarà innalzato per la sua umiltà a quel trono che è
stato perduto per la superbia ».
CAPITOLO LXXXVII
UN FRATE LIBERATO DALLA TENTAZIONE
708
124. Un frate di spirito e che viveva da molti anni nell'Ordine, era afflitto da una forte
tentazione della carne e sembrava quasi inghiottito nel vortice della disperazione. Ogni giorno gli si
raddoppiava la pena, mentre la coscienza, più scrupolosa che delicata, lo spingeva a confessarsi di un
nonnulla. Perché, a dir vero, non ci si dovrebbe confessare con tanta premura di avere una tentazione,
ma se mai di aver ceduto, anche poco, alla tentazione. Egli poi provava tanta vergogna, che per timore
di rivelare tutto ad un solo sacerdote-- tanto più che erano solo ombre-- divideva in più parti le sue
ansie e ne confidava un po' agli uni e un po' agli altri.
Ma mentre un giorno stava passeggiando con Francesco, gli dice il Santo: «Fratello, ti ordino di
non confessare più a nessuno la tua tribolazione. E non aver paura, perché ciò che avviene attorno a
te, senza il tuo consenso, ti sarà attribuito a merito, non a colpa. Ogni volta che sarai nell'angustia, dì
con il mio permesso sette Pater Noster ».
Meravigliato come il Santo avesse conosciuto tutto, fu ricolmo di gioia e poco dopo si trovò
libero da ogni tormento.
LA VERA LETIZIA DELLO SPIRITO
CAPITOLO LXXXVIII
LA LETIZIA SPIRITUALE E SUA LODE.
IL MALE DELLA MALINCONIA
709
125. Questo Santo assicurava che la letizia spirituale è il rimedio più sicuro contro le mille
insidie e astuzie del nemico. Diceva infatti: «Il diavolo esulta soprattutto, quando può rapire al servo di
Dio il gaudio dello spirito. Egli porta della polvere, che cerca di gettare negli spiragli, per . quanto
piccoli della coscienza e così insudiciare il candore della mente e la mondezza della vita. Ma-continuava-- se la letizia di spirito riempie il cuore, inutilmente il serpente tenta di iniettare il suo
veleno mortale. I demoni non possono recare danno al servo di Cristo, quando lo vedono santamente
giocondo. Se invece l'animo è malinconico, desolato e piangente, con tutta facilità o viene sopraffatto
dalla tristezza o è trasportato alle gioie frivole ».
Per questo il Santo cercava di rimanere sempre nel giubilo del cuore, di conservare l'unzione
dello spirito e l'olio della letizia. Evitava con la massima cura la malinconia, il peggiore di tutti i mali,
tanto che correva il più presto possibile all'orazione, appena ne sentiva qualche cenno nel cuore.
«Il servo di Dio--spiegava--quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito per
pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza.
Perché, se permane nella tristezza, crescerà quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una
ruggine indelebile, se non verrà tolta con le lacrime.
CAPITOLO LXXXIX
ASCOLTA UN ANGELO SUONARE LA CETRA
710 126. Al tempo in cui soggiornava a Rieti per la cura degli occhi, chiamò un compagno che, prima
d'essere religioso, era stato suonatore di cetra, e gli disse: «Fratello, i figli di questo mondo non
comprendono i piani di Dio. Perché anche gli strumenti musicali, che un tempo erano riservati alle lodi
di Dio, sono stati usati dalla sensualità umana per soddisfare gli orecchi. Io vorrei, fratello, che tu in
segreto prendessi a prestito una cetra, e la portassi qui per dare a frate corpo, che è pieno di dolori,
un po' di conforto con qualche bel verso». Gli rispose il frate: «Mi vergogno non poco, padre, per
timore che pensino che io sono stato tentato da questa leggerezza».
Il Santo allora tagliò corto: «Lasciamo andare allora, fratello. È bene tralasciare molte cose
perché sia salvo il buon nome ».
La notte seguente, mentre il Santo era sveglio e meditava su Dio, all'improvviso risuona una
cetra con meravigliosa e soavissima melodia. Non si vedeva persona, ma proprio dal continuo variare
del suono, vicino o lontano si capiva che il citaredo andava e ritornava. Con lo spirito rivolto a Dio, il
Padre provò tanta soavità in quella melodia dolcissima, da credere di essere passato in un altro mondo.
Al mattino alzatosi, il Santo chiamò il frate e dopo avergli raccontato tutto per ordine,
aggiunse: «Il Signore che consola gli afflitti, non mi ha lasciato senza consolazione. Ed ecco che mentre
non mi è stato possibile udire le cetre degli uomini, ne ho sentita una più soave ».
CAPITOLO XC
QUANDO IL SANTO ERA LIETO Dl SPIRITO,
CANTAVA IN FRANCESE
711
127. A volte si comportava così. Quando la dolcissima melodia dello spirito gli ferveva nel
petto, si manifestava all'esterno con parole francesi, e la vena dell'ispirazione divina, che il suo
orecchio percepiva furtivamente traboccava in giubilo alla maniera giullaresca.
Talora--come ho visto con i miei occhi--raccoglieva un legno da terra, e mentre lo teneva sul
braccio sinistro, con la destra prendeva un archetto tenuto curvo da un filo e ve lo passava sopra
accompagnandosi con movimenti adatti come fosse una viella, e cantava in francese le lodi del
Signore.
Bene spesso tutta questa esultanza terminava in lacrime ed il giubilo si stemperava in
compianto della passione del Signore. Poi il Santo, in preda a continui e prolungati sospiri ed a
rinnovati gemiti, dimentico di ciò che aveva in mano, rimaneva proteso verso il cielo.
CAPITOLO XCI
RIPRENDE UN FRATE TRISTE E
GLI INSEGNA COME DEBBA COMPORTARSI
712
128. Un giorno vide un suo compagno con una faccia triste e melanconica. Sopportando la cosa
a malincuore, gli disse: «Il servo di Dio non deve mostrarsi agli altri triste e rabbuiato, ma sempre
sereno. Ai tuoi peccati, riflettici nella tua stanza e alla presenza di Dio piangi e gemi. Ma quando
ritorni tra i frati, lascia la tristezza e conformati agli altri ». E poco dopo: «Gli avversari della salvezza
umana hanno molta invidia di me e siccome non riescono a turbarmi direttamente, tentano sempre di
farlo attraverso i miei compagni ».
Amava poi tanto l'uomo pieno di letizia spirituale, che per ammonimento generale fece
scrivere in un capitolo queste parole: « Si guardino i frati di non mostrarsi tristi di fuori e rannuvolati
come degli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore, ilari e convenientemente graziosi »..
CAPITOLO XCII
COME SI DEVE TRATTARE IL CORPO
PERCHÉ NON MORMORI
713
129.
Il Santo disse pure una volta: «si deve provvedere a frate corpo con discrezione,
perché non susciti una tempesta di malinconia. E affinché non gli sia di peso vegliare e perseverare
devotamente nella preghiera, gli si tolga l'occasione di mormorare. Potrebbe infatti dire: -- Vengo
meno dalla fame, non posso portare il peso del tuo esercizio--. Se poi, dopo aver consumato vitto
sufficiente borbottasse, sappi che il giumento pigro ha bisogno degli sproni e l'asinello svogliato
attende il pungolo».
Fu questo l'unico insegnamento, nel quale la condotta del Padre non corrispose alle parole.
Perché soggiogava il suo corpo, assolutamente innocente, con flagelli e privazioni e gli moltiplicava le
percosse senza motivo. Infatti il calore dello spirito aveva talmente affinato il corpo, che come l'anima
aveva sete di Dio, così ne era sitibonda in molteplici modi anche la sua carne santissima.
LA LETIZIA FATUA
CAPITOLO XCIII
CONTRO LA VANAGLORIA E L' IPOCRISIA
714
130. Mentre teneva in grande pregio la gioia spirituale, evitava con cura quella vana, convinto
che si deve amare diligentemente ciò che aiuta a progredire, e allo stesso modo si deve evitare ciò che
è dannoso. La vanagloria, la stroncava ancora in germe, non permettendo che rimanesse neppure un
istante ciò che potesse offendere gli occhi del suo Signore. Spesso infatti quando si sentiva molto
elogiare, se ne addolorava e gemeva assumendo subito un aspetto triste.
Un inverno, il Santo aveva il povero corpo coperto di una sola tonaca, rafforzata con pezze
molto grossolane. Il guardiano, che era anche suo compagno, comprò. una pelle di volpe e gliela portò
dicendo: « Padre, tu soffri di milza e di stomaco: prego la tua carità nel Signore di permettere di
cucire all'interno della tonaca questa pelle. Se non la vuoi tutta, almeno accettane una parte in
corrispondenza dello stomaco ». Francesco rispose: «Se vuoi che porti sotto la tonaca questa pelliccia,
fammene porre un'altra della stessa misura all'esterno. Cucita al di fuori sarà indizio della pelle
nascosta sotto ».
Il frate ascoltò, ma non era del parere, insistette, ma non ottenne di più. Alla fine il guardiano
si arrese, e fece cucire una pelliccia sull'altra, perché Francesco non apparisse di fuori diverso da
quello che era dentro.
O esempio di coerenza, identico nella vita e nelle parole! Lo stesso dentro e fuori, da suddito e
da superiore! Tu non desideravi alcuna gloria né esterna né privata, perché ti gloriavi solamente del
Signore. Ma, per carità, non vorrei offendere chi usa pellicce, se oso dire che una pelle prende il posto
dell'altra. Sappiamo infatti che sentirono bisogno di tuniche di pelle, perché si trovarono spogli
dell'innocenza.
CAPITOLO XCIV
SI ACCUSA DI IPOCRISIA
715
131. Una volta, intorno a Natale, si era radunata molta folla per la predica presso l'eremo di
Poggio. Francesco esordi a questo modo: «Voi mi credete un uomo santo e perciò siete venuti qui con
devozione. Ebbene, ve lo confesso, in tutta questa quaresima, ho mangiato cibi conditi con lardo.
E così più di una volta attribuì a gola, ciò che invece aveva concesso alla malattia.
CAPITOLO XCV
SI ACCUSA DI VANAGLORIA
716
132. Con eguale fervore subito svelava e confessava candidamente davanti a tutti il
sentimento di vanagloria, che a volte si impossessava del suo spirito.
Un giorno, una vecchierella gli andò incontro, mentre attraversava Assisi e gli chiese
l'elemosina. Il Santo non aveva altro che il mantello e subito glielo donò generosamente. Ma,
avvertendo che nell'animo stava infiltrandosi un sentimento di vano compiacimento, subito davanti a
tutti confessò di averne provato vanagloria.
CAPITOLO XCVI
PAROLE DEL SANTO CONTRO I SUOI AMMIRATORI
717
133.
Cercava con ogni cura di nascondere nel segreto del suo cuore i doni del Signore,
perché non voleva che, se gli erano occasione di gloria umana, gli fossero pure causa di rovina. E
spesso quando molti lo proclamavano santo, rispondeva così: «Posso avere ancora figli e figlie: non
lodatemi come fossi sicuro ! Non si deve lodare nessuno, fino a che è incerta la sua fine. Quando Colui
che mi ha concesso il mutuo--così continuava--volesse ritirarlo, rimarrebbe solo il corpo e l'anima,
come li hanno pure gli infedeli ». Questa era la risposta a chi lo lodava.
Rivolto poi a sé diceva: « Se l'Altissimo avesse concesso grazie così grandi ad un ladrone,
sarebbe più riconoscente di te, Francesco! ».
CAPITOLO XCVII
PAROLE DEL SANTO
CONTRO QUELLI CHE LODANO SE STESSI
718
134. Ripeteva spesso ai frati: « Nessuno deve lusingarsi con ingiusto vanto per quelle azioni,
che anche il peccatore potrebbe compiere. Il peccatore--spiegava--può digiunare, pregare, piangere,
macerare il proprio corpo. Ma una sola cosa non gli è possibile: rimanere fedele al suo Signore. Proprio
di questo dobbiamo gloriarci, se diamo a Dio la gloria che gli spetta, se da servitori fedeli attribuiamo
a lui tutto il bene che ci dona.
«Il peggiore nemico dell'uomo è la sua carne: è del tutto incapace di ripensare al passato per
pentirsene, niente sa prevedere per tutelarsi. Unica sua preoccupazione è approfittare senza scrupoli
del tempo presente. E ciò che è peggio--aggiungeva--essa si usurpa e attribuisce a propria gloria
quanto non è stato dato a lei, ma all'anima. La carne raccoglie lode dalle virtù e plauso, da parte della
gente, dalle veglie e dalle preghiere. Niente lascia all'anima e anche dalle lacrime cerca profitto ».
OCCULTAMENTO DELLE STIMMATE
CAPITOLO XCVIII
RISPOSTA A CHI LO INTERROGAVA A QUESTO RIGUARDO
E CON QUANTA PREMURA LE COPRIVA
719
135. Non è possibile passare sotto silenzio con quanta premura ha coperto e nascosto i gloriosi
segni del Crocifisso, degni di essere venerati anche dagli spiriti più grandi.
Da principio, quando il vero amore di Cristo aveva già trasformato nella sua stessa immagine
l'amante, cominciò a celare e ad occultare il tesoro con tanta cautela, da non farlo scoprire per lungo
tempo neppure ai suoi intimi. Ma la divina Provvidenza non permise che rimanesse sempre nascosto e
non giungesse agli occhi dei suoi cari. Anzi il fatto di trovarsi in punti delle membra visibili a tutti non
permise che continuasse a rimanere occulto.
Uno dei compagni una volta, vedendo le stimmate nei piedi, gli disse: «Cosa è ciò, buon
fratello?».
« Pensa ai fatti tuoi », gli rispose.
720
136. Un'altra volta lo stesso frate gli chiese la tonaca per sbatterla. Vedendola macchiata di
sangue, disse al Santo, dopo averla restituita: «Che sangue è quello, di cui sembra macchiata la
tonaca?». Il Santo mettendosi un dito sull'occhio, rispose: «Domanda cosa sia questo, se non sai che è
un occhio!».
Per questo raramente si lavava tutte intiere le mani, ma bagnava soltanto le dita, per non
manifestare la cosa ai presenti. Ancor più raramente si lavava i piedi, e quanto di raro altrettanto di
nascosto. Se uno gli chiedeva di baciargli la mano, la presentava a metà: tendeva solo le dita e quel
tanto indispensabile per porvi un bacio. Capitava anche che invece della mano porgesse la manica.
Per non lasciare vedere i piedi, portava calzerotti di lana dopo aver posto sulle ferite una pelle
per mitigarne la ruvidezza. E benché non potesse nascondere del tutto ai compagni le stimmate delle
mani e dei piedi, sopportava però a malincuore che altri le osservasse. Per questo, anche gli stessi
compagni con molta prudenza, quando per necessità il Santo scopriva le mani, volgevano altrove lo
sguardo.
CAPITOLO XCIX
UN FRATE RIESCE A VEDERLE CON UN PIO INGANNO
721
137. Mentre Francesco si trovava a Siena, nell'inverno o nella primavera del 1226, giunse colà
un frate da Brescia. Desiderava molto vedere le stimmate del Padre e scongiurò con insistenza frate
Pacifico a ottenergli questa possibilità.
Questi gli rispose: « Quando starai per ripartire di qui, gli chiederò che dia da baciare le mani.
Appena le avrà date, io ti farò un cenno cogli occhi, e tu potrai vederle».
Quando furono pronti per il ritorno, si recarono ambedue dal Santo. Inginocchiatisi, Pacifico
dice a Francesco: «Ti preghiamo di benedirci, carissima madre, e dammi la tua mano da baciare!».
Subito la bacia, mentre egli l'allunga con riluttanza, e fa cenno al compagno di guardarla. Poi chiede
l'altra, la bacia e la mostra all'altro.
Quando stavano allontanandosi, venne al Padre il sospetto che gli avessero teso un pio
inganno, come era in realtà. E giudicando empia quella che era soltanto una pia curiosità, richiamò
subito frate Pacifico: «Ti perdoni il Signore --gli disse --perché ogni tanto mi rechi grandi pene ».
Pacifico si prostrò subito e gli chiese umilmente: «Quale pena ti ho recata, carissima madre?».
Francesco non rispose e la cosa finì nel silenzio.
CAPITOLO C
UN FRATE VEDE LA FERITA DEL COSTATO
722
138. Le ferite delle mani e dei piedi erano note ad alcuni per la posizione stessa delle
membra, accessibile alla vista di tutti. Nessuno invece fu degno di vedere, finché il Santo fu vivo, la
ferita del costato, eccettuato uno solo e per una sola volta. Quando faceva sbattere la tonaca, si
copriva col braccio destro la ferita del costato. Altre volte applicava al fianco trafitto la mano sinistra
e così copriva quella santa ferita.
Un suo compagno però mentre un giorno gli faceva un massaggio, lasciò scivolare la mano sulla
ferita causandogli un grande dolore.
Un altro frate che cercava curiosamente di sapere ciò che era nascosto agli altri, disse al
Santo: «Vuoi, Padre, che ti sbattiamo la tonaca?». «Ti ricompensi il Signore-- rispose Francesco--perché
ne ho proprio bisogno».
Mentre si spogliava, il frate osservando attentamente vide ben chiara la ferita sul costato.
Costui è il solo che l'ha vista mentre era vivo; degli altri nessuno se non dopo morte.
CAPITOLO CI
LA VIRTU' DEVE RIMANERE NASCOSTA
723
139. In questo modo Francesco aveva rifiutato ogni gloria che non sapesse di Cristo e aveva
inflitto un ripudio radicale al plauso umano. Ben sapeva che il prezzo della fama diminuiva quello
segreto della coscienza; e sapeva pure che non è minore perfezione custodire le virtù acquisite che
acquistarne delle nuove.
Ahimé! per noi invece la vanità è stimolo maggiore della carità ed il plauso del mondo prevale
sull'amore di Cristo. Non distinguiamo gli affetti, non esaminiamo di che spirito siamo. Pensiamo che
sia voluto dalla carità ciò che invece è frutto solo di vanagloria. Pertanto se abbiamo fatto anche solo
un po' di bene, non siamo in grado di portarne il peso, ce ne liberiamo del tutto durante la vita e così
lo perdiamo nel viaggio verso l'ultimo lido. Sopportiamo pazienti di non essere buoni, ma non ci
rassegniamo a non sembrarlo né a non essere creduti tali. Così viviamo completamente nella ricerca
della stima degli uomini, perché non siamo altro che uomini.
L'UMILTA'
CAPITOLO CII
UMILTA' Dl FRANCESCO NEL CONTEGNO, NEL SENTIRE
E NEI SUOI COSTUMI CONTRO L' AMOR PROPRIO
724
140. Di tutte le virtù è custode e decoro l'umiltà. Se questa non è messa come fondamento
dell'edificio spirituale, quando esso sembra innalzarsi si avvia alla rovina.
Francesco ne era provvisto con particolare abbondanza, affinché non mancasse nulla ad uno
già ricco di tanti doni. Nella stima di sé non era altro che un peccatore, mentre in realtà era onore e
splendore di ogni santità. Sulla virtù delI'umiltà cercò di edificare se stesso, per gettare un fondamento
secondo l'insegnamento di Cristo. Dimentico dei meriti, aveva davanti agli occhi solo i difetti, mentre
rifletteva che erano assai più le virtù che gli mancavano di quelle che aveva. Unica sua grande
ambizione, diventare migliore in modo da aggiungere nuove virtù, non essendo soddisfatto di quelle già
acquisite.
Umile nel contegno, più umile nel sentimento, umilissimo nella propria stima. Da nulla si
poteva distinguere che questo principe di Dio aveva la carica di superiore, se non da questa
fulgidissima gemma, che cioè era il minimo tra i minori. Questa la virtù, questo il titolo, questo il
distintivo che lo indicava ministro generale. La sua bocca non conosceva alcuna alterigia, i suoi gesti
nessuna pompa, i suoi atti nessuna ostentazione.
Pur conoscendo per rivelazione divina la soluzione di molti problemi controversi, quando li
esponeva metteva innanzi il parere degli altri. Credeva che il consiglio dei compagni fosse più sicuro ed
il loro modo di vedere più saggio E affermava che non ha lasciato tutto per il Signore, chi mantiene il
gruzzolo del proprio modo di pensare. Infine, per sé preferiva il biasimo alla lode, perché questa lo
spingeva a cadere, la disapprovazione invece lo obbligava ad emendarsi.
CAPITOLO CIII
SUA UMILTA' COL VESCOVO DI TERNI E CON UN CONTADINO
725
141. Aveva predicato una volta al popolo di Terni ed il vescovo della città, mentre alla fine
della predicazione gli rivolgeva parole di elogio davanti a tutti, si espresse così: «In questa ultima ora
Dio ha illuminato la sua Chiesa con questo uomo poverello e di nessun pregio, semplice e senza
cultura. Perciò siamo tenuti a lodare sempre il Signore, ben sapendo che non ha fatto così con nessun
altro popolo ».
Udite queste parole, il Santo accettò con incredibile piacere che il vescovo lo avesse indicato
spregevole con parole tanto chiare, ed entrati in chiesa, si gettò ai suoi piedi, dicendo: «In verità,
signor vescovo, mi hai fatto grande onore, perché mentre altri me lo tolgono, tu solo hai lasciato
intatto ciò che è mio. Hai separato, voglio dire, il prezioso dal vile, da uomo prudente come sei, dando
lode a Dio e a me la mia miseria».
726
142. Non soltanto con i maggiori di lui si mostrava umile il servo di Dio, ma anche con i pari e
gli inferiori, più disposto ad essere ammonito e corretto, che ad ammonire gli altri.
Un giorno, montato su un asinello, perché debole e infermo non poteva andare a piedi,
attraversava il campo di un contadino, che stava lavorando. Questi gli corse incontro e gli chiese
premuroso se fosse frate Francesco. Avendogli risposto umilmente che era proprio lui quello che
cercava: «Guarda --disse il contadino -- di essere tanto buono quanto tutti dicono che tu sia, perché
molti hanno fiducia in te. Per questo ti esorto a non comportarti mai diversamente da quanto si spera
».
Francesco, a queste parole, scese dall'asino e, prostratosi, davanti al contadino, più volte gli
baciò i piedi umilmente ringraziandolo che si era degnato di ammonirlo.
In conclusione, aveva raggiunto tanta celebrità da essere ritenuto da moltissimi santo, eppure
si riteneva vile davanti a Dio e agli uomini. Non insuperbiva né della fama né della santità, che lo
distingueva, ma neppure dei così numerosi e santi frati e figli che gli erano stati dati come inizio della
ricompensa per i suoi meriti.
CAPITOLO CIV
IN UN CAPITOLO RINUNCIA AL GOVERNO DELL' ORDINE
E SUA PREGHIERA
727
143. Per conservare la virtù della santa umiltà, pochi anni dopo la sua conversione, rinunciò in
un Capitolo alla presenza di tutti, all'ufficio di governo dell'Ordine: «Da oggi avanti sono morto per voi.
Ma ecco fra Pietro di Cattanio, al quale io e voi tutti dobbiamo obbedire ».
E inchinatosi subito davanti a lui, promise «obbedienza e riverenza». I frati piangevano,
prorompendo per il dolore in alti gemiti, vedendosi come divenuti orfani di tanto padre.
Francesco si alzò, e con le mani giunte e gli occhi elevati al cielo: «O Signore,--pregò--ti
raccomando la famiglia, che sino ad ora tu mi hai affidata. Ed ora, non potendo io averne cura per le
infermità che tu sai, dolcissimo Signore l'affido ai ministri. Siano tenuti a renderne ragione a te o
Signore, nel giorno del giudizio, se qualche frate o per loro negligenza o cattivo esempio oppure anche
per una severità eccessiva, sarà perito ».
Da quel momento rimase suddito sino alla morte, comportandosi più umilmente di qualsiasi
altro frate.
CAPITOLO CV
RINUNCIA AI SUOI COMPAGNI
728
144. In altra circostanza rinunciò, mettendoli a disposizione del vicario, a tutti i suoi compagni
con queste parole: «Non voglio sembrare singolare con questo privilegio di libertà, ma i frati mi
accompagnino di luogo in luogo, come il Signore li ispirerà ». E aggiunse: « Ho visto tempo fa un cieco
che aveva come guida di viaggio un cagnolino».
Questa era appunto la sua gloria: mettere da parte ogni apparenza di singolarità e
ostentazione, perché abitasse in lui la virtù di Cristo.
CAPITOLO CVI
CONTRO QUELLI CHE AMBISCONO LE CARICHE.
DESCRIZIONE DEL FRATE MINORE
729
145. Vedeva che alcuni desideravano ardentemente le cariche dell'Ordine, delle quali si
rendevano indegni, oltre al resto, anche per la sola ambizione di governare. E diceva che questi non
erano frati minori, ma avevano dimenticato la loro vocazione ed erano decaduti dalla gloria.
Confutava poi con abbondanza di argomenti alcuni miserabili, che sopportavano a malincuore di essere
rimossi dai vari uffici, perché più che l'onere cercavano l'onore.
Un giorno disse al suo compagno: « Non mi sembrerebbe di essere frate minore se non fossi
nella disposizione che ti descriverò. Ecco--spiegò--essendo superiore dei frati vado al capitolo, predico,
li ammonisco, e alla fine si grida contro di me: --Non è adatto per noi un uomo senza cultura e
dappoco. Perciò non vogliamo che tu regni su di noi, perché non sei eloquente, sei semplice ed
ignorante. Alla fine sono scacciato con obbrobrio, vilipeso da tutti. Ti dico: se non ascolterò queste
parole conservando lo stesso volto, la stessa letizia di animo, lo stesso proposito di santità, non sono
per niente frate minore».
E aggiungeva: « Il superiorato è occasione di caduta, la lode di precipizio. L'umiltà del suddito
invece porta alla salvezza dell'anima. Perché allora volgiamo l'animo più ai pericoli che ai vantaggi,
quando abbiamo la vita per acquistarci meriti?».
CAPITOLO CVII
VUOLE CHE I FRATI SIANO SOGGETTI AL CLERO
E NE SPIEGA IL MOTIVO
730
146. Francesco voleva che i suoi figli vivessero in pace con tutti e verso tutti senza eccezione
si mostrassero piccoli.
Ma insegnò con le parole e con l'esempio ad essere particolarmente umili coi sacerdoti
secolari.
«Noi - ripeteva - siamo stati mandati in aiuto del clero per la salvezza delle anime, in modo
da supplire le loro deficienze. Ognuno riceverà la mercede non secondo l'autorità, ma secondo il lavoro
svolto. Sappiate - continuava - che il bene delle anime è graditissimo al Signore, e ciò si può
raggiungere meglio se si è in pace che in discordia con il clero.
«Se poi essi ostacolano la salvezza dei popoli, a Dio spetta la vendetta, ed egli darà a ciascuno
la paga a suo tempo. Perciò siate sottomessi all'autorità, affinché, per quanto sta in voi, non sorga
qualche gelosia. Se sarete figli della pace, guadagnerete al Signore clero e popolo. Questo è più
gradito a Dio, che guadagnare solo la gente, con scandalo del clero».
E concludeva: «Coprite i loro falli, supplite i vari difetti, e quando avrete fatto questo, siate
più umili ancora ».
CAPITOLO CVIII
RISPETTO DIMOSTRATO AL VESCOVO DI IMOLA
731
147. Essendosi recato a Imola, città della Romagna, si presentò al vescovo della diocesi per
chiedergli il permesso di predicare.
«Basto io--rispose il vescovo--a predicare al mio popolo». Francesco chinò il capo e uscì
umilmente. Ma poco dopo, eccolo dentro di nuovo.
«Che vuoi, frate? -- riprese il vescovo --. Cosa domandi ancora?».
«Signore,--rispose Francesco--se un padre scaccia il figlio da una porta, deve necessariamente
entrare da una altra ».
Vinto dalla sua umiltà, il vescovo con volto lieto lo abbracciò, esclamando: «D'ora in poi tu e i
tuoi frati predicate pure nella mia diocesi, con mio generale permesso, perché la tua santa umiltà lo
ha meritato ».
CAPITOLO CIX
IL SUO CONTEGNO UMILE CON SAN DOMENICO E VICEVERSA.
IL LORO RECIPROCO AMORE
732
148. Si trovarono insieme a Roma, in casa del cardinale d'Ostia che poi fu Sommo Pontefice, le
fulgide luci del mondo san Francesco e san Domenico.
Sentendoli parlare fra loro del Signore con tanta dolcezza, alla fine il vescovo disse: « Nella
Chiesa primitiva i pastori erano poveri e persone di carità, senza cupidigia. Perché--chiese-- tra i vostri
frati quelli che emergono per dottrina e buon esempio, non li facciamo vescovi e prelati?».
Fra i due Santi sorse una gara, non per precedersi nella risposta, ma perché l'uno proponeva
all'altro l'onore ed anzi voleva costringerlo a parlare per primo. In realtà si superavano a vicenda nella
venerazione che nutrivano reciprocamente.
Alla fine vinse l'umiltà in Francesco, perché non si mise avanti e vinse pure in Domenico,
perché ubbidì umilmente e rispose per primo.
Disse dunque Domenico al vescovo: « Signore, i miei frati, se lo capiscono, sono già posti in
alto grado, e per quanto sta in me non permetterò che ottengano altra dignità ». Dopo questa breve e
convinta risposta, Francesco si inchinò al vescovo e disse a sua volta: « Signore, i miei frati proprio per
questo sono stati chiamati Minori, perché non presumano di diventare maggiori. Il nome stesso
insegna loro a rimanere in basso ed a seguire le orme dell'umiltà di Cristo, per essere alla fine innalzati
più degli altri al cospetto dei Santi. Se volete--continuò--che portino frutto nella Chiesa di Dio,
manteneteli e conservateli nello stato della loro vocazione, e riportateli in basso anche contro loro
volontà. Per questo, Padre, ti prego: affinché non siano tanto più superbi quanto più poveri e non si
mostrino arroganti verso gli altri, non permettere in nessun modo che ottengano cariche». Queste
furono le risposte dei Santi.
733
149 Cosa ne dite, voi figli di santi? La gelosia e l'invidia provano che siete figli degeneri, e
non meno l'ambizione degli onori dimostra che siete spuri. Vi mordete e divorate a vicenda. Ma la
guerra e le liti non provengono che dalle passioni. Voi dovete lottare contro le potenze delle tenebre,
avete una dura battaglia contro gli eserciti dei demoni, e invece vi combattete a vicenda.
I Padri si guardano con affetto, pieni di saggezza, con la faccia rivolta verso il propiziatorio. I
figli invece trovano gravoso anche solo vedersi. Cosa farà il corpo, se ha il cuore diviso? Certamente,
l'insegnamento della pietà cristiana porterebbe nel mondo intiero maggior frutto, se un più forte
vincolo di carità unisse i ministri della parola di Dio. Perché a dir vero, ciò che diciamo o insegniamo è
reso sospetto da questo soprattutto, che in noi segni evidenti rendono palese un certo lievito di odio.
So pure che non sono in causa i giusti, che vi sono dall'una e dall'altra parte, ma i malvagi. E a buon
diritto crederei che si dovrebbero estirpare perché non corrompano i Santi.
Cosa dovrei poi dire di quelli che hanno grandi aspirazioni? I Padri hanno raggiunto il regno
non per la via della grandezza, ma dell'umiltà. I figli invece si aggirano nel cerchio dell'ambizione e non
cercano neppure la via della città loro dimora. Ma cosa ne deriva? Se non seguiamo la loro via, non ne
conseguiremo neppure la gloria.
Non sia mai, Signore! Fa` che siamo umili sotto le ali di umili maestri, fa' che si vogliano bene
quelli che sono consanguinei di spirito, e possa tu vedere i figli dei tuoi figli, la pace in Israele.
CAPITOLO CX
I DUE SANTI SI RACCOMANDANO A VICENDA
734
150. Terminate le risposte dei servi di Dio, come abbiamo riferito, il Signor di Ostia rimase
molto edificato del loro parere e ringraziò di cuore Dio.
Al momento di separarsi, Domenico pregò Francesco che si degnasse di cedergli la corda di cui
era cinto. Francesco si mostrava restio, rifiutando con umiltà pari alla carità con cui Domenico
insisteva. Tuttavia vinse la santa perseveranza del richiedente, che cinse la corda sotto la tunica
interiore con grandissima devozione. Poi si presero la mano e si raccomandarono caldamente a
vicenda. E il Santo disse al Santo: «Frate Francesco vorrei che il mio e il tuo diventassero un solo
Ordine e che noi vivessimo nella Chiesa con la stessa regola ».
Da ultimo, quando si lasciarono, san Domenico disse ai molti che erano lì presenti: «In verità vi
dico, che gli altri religiosi dovrebbero seguire questo santo uomo, Francesco, tanta è la perfezione
della sua santità».
L'OBBEDIENZA
CAPITOLO CXI
PER PRATICARE LA VERA OBBEDIENZA
VUOLE AVERE SEMPRE UN GUARDIANO
735
151. Desiderando questo mercante astutissimo guadagnare in più modi e ridurre a merito tutta
la vita terrena, volle essere guidato dalle redini dell'obbedienza e sottomettersi al governo altrui. E
così non solo rinunciò all'ufficio di generale, ma per una obbedienza più perfetta, chiese un guardiano
personale da considerare suo speciale superiore.
Disse infatti a frate Pietro di Cattanio, al quale aveva già promesso santa obbedienza: «Ti
prego, per amore di Dio, di incaricare uno dei miei compagni a fare le tue veci a mio riguardo, in modo
che gli obbedisca devotamente come a te. Conosco il frutto dell'obbedienza e so che non passa un
momento di tempo senza frutto colui che ha sottomesso il proprio collo al giogo di un altro».
La sua domanda fu accettata e, ovunque, rimase suddito fino alla morte, obbedendo sempre
con riverenza al suo guardiano.
Un giorno disse ai suoi compagni: «Tra le altre grazie, che la bontà divina si è degnata
concedermi, mi ha dato anche questa, che obbedirei con la stessa diligenza ad un novizio di una sola
ora, se mi fosse dato come guardiano, e ad uno che fosse molto vecchio di religione ed esperto». E
concluse: «Il suddito deve considerare nel suo superiore non l'uomo, ma Colui per amore del quale si è
reso suddito. Inoltre quanto più è insignificante chi comanda, tanto più è meritevole l'umiltà di chi
obbedisce ».
CAPITOLO CXII
RITRATTO DEL VERO OBBEDIENTE.
LE TRE SPECIE Dl OBBEDIENZA
736
152
In altra circostanza, Francesco si trovava seduto in mezzo ai compagni, e disse
sospirando: « A malapena c'è in tutto il mondo qualche religioso, che obbedisca perfettamente al suo
superiore ». Sorpresi, i compagni gli chiesero: «Spiegaci, Padre, quale sia la perfetta e somma
obbedienza ».
Ed egli raffigurò il vero obbediente in un corpo morto: « Prendi un corpo esanime e ponilo dove
ti piace: vedrai che non rifiuta se mosso, non mormora ovunque sia posto, non reclama se viene
allontanato. Se lo poni sulla cattedra, non guarderà in alto ma in basso. Se viene collocato nella
porpora, sembrerà doppiamente pallido. Questi--esclamò --è il vero obbediente: colui che non giudica
perché sia rimosso, non si cura dove sia messo, non insiste per essere trasferito. Innalzato ad una
carica, mantiene l'umiltà che gli è abituale. Più è onorato e più si reputa indegno ».
Un'altra volta parlando dello stesso argomento, chiamò propriamente licenze quelle concesse
dietro domanda, sacre ubbidienze quelle imposte e non richieste. L'una e l'altra --diceva--sono buone,
ma la seconda è più sicura. Però la più perfetta di tutte, in cui non ha nessuna parte la carne e il
sangue, riteneva fosse l'ubbidienza, per cui si va «per divina ispirazione tra gli infedeli», sia per la
salvezza del prossimo, sia per desiderio del martirio. Chiedere questa, la giudicava cosa molto gradita
a Dio.
CAPITOLO CXIII
NON SI DEVE COMANDARE
PER OBBEDIENZA CON LEGGEREZZA
737
153. Riteneva che si dovesse comandare in nome delI'obbedienza raramente, e non scagliare
da principio il dardo, che dovrebbe essere l'ultima arma. «Non si deve--ripeteva--mettere subito mano
alla spada». Ma chi non si affretta ad eseguire il precetto dell'obbedienza, non teme Dio e non tiene in
nessun conto gli uomini.
Niente di più vero. Cos'è infatti l'autorità in mano ad un superiore temerario, se non una spada
in mano ad un pazzo? E d'altra parte, c'è un caso più disperato di un religioso che disprezza
l'obbedienza?
CAPITOLO CXIV
GETTA NEL FUOCO IL CAPPUCCIO Dl UN FRATE,
CHE ERA VENUTO SPINTO DA DEVOZIONE
MA SENZA PERMESSO
738
154. Una volta tolse il cappuccio ad un frate, che era venuto da solo senza obbedienza e lo
fece gettare in un gran fuoco. Nessuno si mosse per togliere il cappuccio, perché temevano il volto
alquanto adirato del Padre. Allora il Santo ordinò di estrarlo dalle fiamme ed era perfettamente illeso.
Forse questo è avvenuto per i meriti del Santo, ma probabilmente anche per il merito del
frate, perché era stato avvinto dal devoto desiderio di vedere il padre santissimo. Gli era però mancata
la discrezione, unica guida delle virtù.
IL BUONO E IL CATTIVO ESEMPIO
CAPITOLO CXV
IL BUON ESEMPIO DI UN FRATE E
IL COSTUME DEI PRIMI FRATI
739
155. Affermava che i frati minori sono stati mandati dal Signore in questo ultimo tempo per
offrire esempi di luce a chi è avvolto dal buio dei peccati. E ripeteva che all'udire le opere virtuose dei
santi frati dispersi nel mondo, si sentiva come inebriato di soavissimo profumo e cosparso di unguento
prezioso.
Un frate di nome Barbaro una volta offese con una parola ingiuriosa un confratello alla
presenza di un nobile dell'isola di Cipro. Ma appena si accorse che il confratello ne era rimasto
piuttosto offeso, si accese di ira contro se stesso, e preso dello sterco d'asino se lo mise in bocca per
masticarlo: «Mastichi sterco questa lingua, che ha sputato veleno di ira sul mio fratello».
A tale vista, il cavaliere ne fu sbigottito, poi rimase molto edificato. Da quel momento mise se
stesso ed i suoi beni a disposizione dei frati con grande generosità.
Tutti i frati osservavano immancabilmente questa usanza: se per caso uno scagliava contro un
altro una parola che fosse causa di turbamento, subito si prostrava per terra e accarezzava con santi
baci i piedi dell'offeso, anche contro sua volontà.
Il Santo gongolava di gioia nell'udire tali cose, perché vedeva che i suoi figli da soli praticavano
esempi di santità e ricolmava delle più elette benedizioni quei frati, che con la parola e l'esempio
inducevano i peccatori all'amore di Cristo. Traboccante com'era di zelo per le anime, voleva che anche
i suoi figli gli rassomigliassero completamente.
CAPITOLO CXVI
MALEDIZIONE E PENA DEL SANTO
PER ALCUNI FRATI Dl CATTIVA CONDOTTA
740
156. La sua terribile sentenza di maledizione colpiva quelli che con opere inique e cattivi
esempi violavano la santità dell'Ordine.
Gli fu riferito un giorno che erano stati ricevuti dal vescovo di Fondi, due frati, i quali, sotto
pretesto di un maggior disprezzo di sé, coltivavano una barba più lunga del conveniente. Il vescovo li
aveva apostrofati: «Badate bene di non deturpare con la presunzione di queste novità la bellezza
dell'Ordine».
Il Santo si alzò di scatto, e levando le mani al cielo, col volto inondato di lacrime, proruppe in
queste parole di preghiera o piuttosto di maledizione: «Signore Gesù Cristo, tu che hai scelto i dodici
Apostoli, dei quali anche se uno venne meno, gli altri però rimasero fedeli ed hanno predicato il santo
Vangelo animati dall'unico Spirito, tu, o Signore, in questa ultima ora, memore della antica
misericordia.
hai fondato l'Ordine dei frati a sostegno della tua fede e perché per loro mezzo si adempisse il mistero
del tuo Vangelo. Chi dunque ti darà soddisfazione per loro, se quelli che hai mandato a questo scopo,
non solo non mostrano a tutti esempi di luce, ma piuttosto le opere delle tenebre?
«Da Te, o Signore santissimo, e da tutta la curia celeste e da me tuo piccolo siano maledetti
quelli che col loro cattivo esempio confondono e distruggono ciò che un tempo tu hai edificato per
mezzo dei santi frati di questo Ordine e non cessi di edificare!».
Dove sono quelli che si dichiarano felici della sua benedizione e si vantano di essersi
accaparrati a loro piacimento la sua amicizia? Se, Dio non voglia, si troverà che hanno mostrato le
opere delle tenebre con pericolo del prossimo, senza pentirsene, guai a loro, guai di dannazione
eterna!
741 157. « I frati più buoni--diceva--si sentono confusi per le opere dei frati cattivi, e anche se essi
personalmente non hanno peccato, vengono giudicati dall'esempio dei malvagi. Proprio per questo mi
trafiggono con una spada acuta e me la ripassano tutto il giorno per le viscere ». Era soprattutto per
questo motivo che si sottraeva alla compagnia dei frati, perché non gli capitasse di udire riguardo
all'uno o all'altro qualcosa di spiacevole, che gli rinnovasse il dolore.
E continuava: «Verrà tempo, in cui questa diletta Religione di Dio sarà talmente infamata dai
cattivi esempi, che si proverà vergogna a uscire in pubblico. Quelli che verranno in quelle circostanze
all'Ordine, vi saranno condotti unicamente dall'azione dello Spirito Santo, non li contaminerà né la
carne né il sangue e saranno veramente benedetti da Dio. Non compiranno azioni di grande merito,
per il raffreddarsi della carità, la virtù che spinge i santi ad agire fervorosamente. Però
sopraggiungeranno per loro tentazioni immense, e quanti allora avranno superato la prova, saranno
migliori dei loro predecessori. Ma guai a quelli, che soddisfatti della sola apparenza di vita religiosa,
intorpidiranno nell'ozio e non rimarranno saldi nelle tentazioni permesse per provare i giusti! Perché
soltanto chi avrà superato la prova, dopo essere stato nel frattempo tribolato dalla malizia degli empi,
riceverà la corona di vita ».
CAPITOLO CXVII
DIO GLI RIVELA LO STATO DELL' ORDINE
E CHE NON VERRA'' MAI MENO
742
158. Il Santo trovava grandissima consolazione nelle visite del Signore e da esse veniva
assicurato che le fondamenta del suo Ordine sarebbero rimaste sempre stabili. Riceveva anche la
promessa che sicuramente nuovi eletti avrebbero preso il posto di chi si perdeva. Essendo turbato per i
cattivi esempi, e avendo fatto ricorso un giorno, così amareggiato, alla preghiera, si sentì apostrofato a
questo modo dal Signore: «Perché tu, omiciattolo, ti turbi? Forse io ti ho stabilito pastore del mio
Ordine in modo tale che tu dimenticassi che io ne rimango il patrono principale? Per questo io ho scelto
te, uomo semplice, perché quelli che vorranno, seguano le opere che compirò in te e che devono
essere imitate da tutti gli altri. Io vi ho chiamati: vi conserverò e pascolerò, supplirò con nuovi religiosi
il vuoto lasciato dagli altri, al punto di farli nascere se non fossero già nati. Non turbarti dunque, ma
attendi alla tua salvezza perché se l'Ordine si riducesse anche a soli tre frati, rimarrà il mio aiuto
sempre stabile ».
Da quel giorno era solito affermare che la virtù di un solo frate santo supera una quantità, sia
pur grande, di imperfetti, come un solo raggio di luce dissipa le tenebre più fitte.
CONTRO L' OZIO E GLI OZIOSI
CAPITOLO CXVIII
DIO GLI RIVELA QUANDO È SUO SERVO
E QUANDO NON LO È
743
159. Dal momento in cui Francesco rigettò le cose caduche e cominciò ad aderire strettamente
al Signore, non volle perdere nemmeno una particella di tempo. Aveva già accumulato abbondanza di
meriti nei tesori del Signore, eppure era sempre come all'inizio, sempre più pronto ad ogni esercizio
spirituale. Riteneva gran peccato non fare qualcosa di bene e giudicava un retrocedere il non
progredire sempre.
Mentre dimorava in una cella a Siena, una notte chiamò a sé i compagni che dormivano: «Ho
invocato il Signore-- spiegò loro-- perché si degnasse indicarmi quando sono suo servo e quando no.
Perché non vorrei essere altro che suo servo. E il Signore, nella sua immensa benevolenza e
degnazione, mi ha risposto ora:--Riconosciti mio servo veramente, quando pensi, dici, agisci
santamente--. Per questo vi ho chiamati, fratelli, perché voglio arrossire davanti a voi, se a volte avrò
mancato in queste tre cose ».
CAPITOLO CXIX
PENITENZA PREVISTA ALLA PORZIUNCOLA
PER LE PAROLE OZIOSE
744
160. In altra circostanza, alla Porziuncola, considerando che il frutto dell'orazione svanisce
quando è seguita da conversazioni inutili, prescrisse questo rimedio per evitare il difetto delle parole
oziose: «Qualunque frate proferisca una parola oziosa o inutile sia tenuto a dire subito la sua colpa e a
recitare per ogni parola oziosa un Pater Noster. Voglio poi che, se il frate confesserà spontaneamente
la colpa, dica il Pater Noster per la sua anima. se invece sarà prima redarguito da un altro, lo applichi
per l'anima di chi lo ha richiamato ».
CAPITOLO CXX
LABORIOSITÀ DEL SANTO E DISGUSTO PER GLI OZIOSI
745
161. Quanto ai fannulloni, che non si applicano con impegno ad alcun lavoro, diceva che sono
destinati ad essere rigettati dalla bocca del Signore. Nessun ozioso poteva comparire alla sua
presenza, senza essere da lui biasimato aspramente. In realtà egli, modello di ogni perfezione, faticava
e lavorava con le sue mani, preoccupato di non perdere un attimo di quel dono preziosissimo che è il
tempo.
«Voglio--disse una volta--che tutti i miei frati lavorino e stiano occupati, e chi non sa impari
qualche mestiere». E eccone il motivo: «Affinché--continuava--siano meno di peso agli uomini, e
nell'ozio la lingua o il cuore non vadano vagando tra cose illecite ».
Il guadagno poi o la mercede del lavoro, non lo lasciava all'arbitrio di chi lavorava, ma del
guardiano o della famiglia religiosa.
CAPITOLO CXXI
LAMENTO RIVOLTO AL SANTO
CONTRO GLI OZIOSI E I GOLOSI
746
162. Mi sia permesso, o padre santo, di elevare ora al cielo un lamento per quelli che si dicono
tuoi. Molti hanno in odio gli esercizi delle virtù, e volendo riposare prima ancora di lavorare,
dimostrano di essere figli non di Francesco, ma di Lucifero. Abbiamo più abbondanza di gente che si dà
ammalata che di combattenti, mentre, essendo nati per il lavoro, dovrebbero ritenere la loro vita una
milizia. Non amano rendersi utili con il lavoro, non son capaci con la contemplazione. Dopo che hanno
causato turbamento in tutti con la loro vita singolare, lavorando più con le mascelle che con le mani,
detestano chi li riprende apertamente e non permettono di essere toccati neppure con la punta delle
dita.
Ma ancor più mi colpisce la loro impudenza, perché, al dire di san Francesco, a casa loro
sarebbero vissuti solo a costo di molto sudore, ed ora senza faticare, si nutrono col sudore dei poveri.
Prodigio di scaltrezza! Non fanno niente e ti sembrano sempre occupati. Conoscono bene gli
orari della tavola, e se a volte li stuzzica troppo la fame, accusano il sole di essersi addormentato. Ed
io, buon padre, dovrei credere degne della tua gloria le mostruosità di questi uomini? Ma non lo sono
neppure della tua tonaca! Tu hai sempre insegnato ad accumulare in questo tempo malsicuro e fugace
ricchezze di meriti, perché non capiti di dover mendicare nella vita futura. Questi invece, destinati a
finire poi in esilio, non hanno neppure il vero gusto della patria. Questo morbo infierisce tra i sudditi,
perché i superiori fingono di non vedere, come se fosse possibile sostenere i loro vizi e non
condividerne il castigo.
I MINISTRI DELLA PAROLA DI DIO
CAPITOLO CXXII
QUALITÀ DEL PREDICATORE
747 163. Voleva che i ministri della parola di Dio attendessero agli studi sacri e non fossero impediti
da nessun altro impegno. Diceva infatti che sono stati scelti da un gran re per bandire ai popoli gli
editti che ascoltano dalla sua bocca.
« Il predicatore--diceva--deve prima attingere nel segreto della preghiera ciò che poi riverserà
nei discorsi. Prima deve riscaldarsi interiormente, per non proferire all'esterno fredde parole». È un
ufficio, sottolineava, degno di riverenza, e tutti devono venerare quelli che lo esercitano: «Essi sono la
vita del corpo, gli avversari dei demoni, essi sono la lampada del mondo ».
Riteneva poi i dottori in sacra teologia degni di particolari onori. Per questo una volta fece
scrivere come norma generale: «Dobbiamo onorare e venerare tutti i teologi e quanti ci dispensano la
parola di Dio come quelli che ci somministrano spirito e vita».
748
E scrivendo una volta al beato Antonio, fece iniziare la lettera così: « A frate Antonio, mio
vescovo ».
CAPITOLO CXXIII
CONTRO QUELLI CHE SONO AVIDI DI UNA LODE VANA.
SPIEGAZIONE DI UN PASSO PROFETICO
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164. Però diceva che sono da compiangersi i predicatori, che vendono spesso il loro ministero
per un soldo di vanagloria. E cercava a volte di guarire il loro gonfiore con questo rimedio: «Perché vi
gloriate della conversione degli uomini, quando li hanno convertiti con le loro preghiere i miei frati
semplici? ». Ed anzi commentava così il passo che dice: Perfino la sterile ha partorito numerosi figli:
«La sterile è il mio frate poverello, che non ha il compito di generare figli nella Chiesa. Ma nel giudizio
ne avrà dato alla luce moltissimi, perché in quel giorno il giudice ascriverà a sua gloria quelli, che ora
converte con le sue preghiere personali. Quella invece che ne ha molti comparirà sterile perché il
predicatore, che è fiero di molti figli come se li avesse generati lui, capirà allora che in essi non c'è
niente di suo».
Riguardo poi a quelli che ci tengono a sentirsi lodare più come retori che come predicatori, e
che parlano con discorsi leccati ma senza animo, non li amava molto. E affermava che fanno una
cattiva spartizione del tempo, perché danno tutto alla predicazione niente alla devozione. In altre
parole, lodava quel predicatore che ogni tanto si preoccupa di se stesso e si nutre personalmente della
sapienza.
LA CONTEMPLAZIONE DEL CREATORE NELLE CREATURE
CAPITOLO CXXIV
AMORE DEL SANTO PER LE CREATURE SENSIBILI
E INSENSIBILI
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165. Desiderando questo felice viandante uscire presto dal mondo, come da un esilio di
passaggio, trovava non piccolo aiuto nelle cose che sono nel mondo stesso. Infatti si serviva di esso
come di un campo di battaglia contro le potenze delle tenebre, e nei riguardi di Dio come di uno
specchio tersissimo della sua bontà.
In ogni opera loda l'Artefice; tutto ciò che trova nelle creature lo riferisce al Creatore. Esulta
di gioia in tutte le opere delle mani del Signore, e attraverso questa visione letificante intuisce la
causa e la ragione che le vivifica. Nelle cose belle riconosce la Bellezza Somma, e da tutto ciò che per
lui è buono sale un grido: « Chi ci ha creati è infinitamente buono ». Attraverso le orme impresse nella
natura, segue ovunque il Diletto e si fa scala di ogni cosa per giungere al suo trono.
Abbraccia tutti gli esseri creati con un amore e una devozione quale non si è mai udita,
parlando loro del Signore ed esortandoli alla sua lode. Ha riguardo per le lucerne, lampade e candele,
e non vuole spegnerne di sua mano lo splendore, simbolo della Luce eterna. Cammina con riverenza
sulle pietre, per riguardo a colui, che è detto Pietra. E dovendo recitare il versetto, che dice: Sulla
pietra mi hai innalzato, muta così le parole per maggiore rispetto: «Sotto i piedi della Pietra tu mi hai
innalzato».
Quando i frati tagliano legna, proibisce loro di recidere del tutto l'albero, perché possa
gettare nuovi germogli. E ordina che l'ortolano lasci incolti i confini attorno all'orto, affinché a suo
tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato.
Vuole pure che nell'orto un’aiuola sia riservata alle erbe odorose e che producono fiori, perché
richiamino a chi li osserva il ricordo della soavità eterna.
Raccoglie perfino dalla strada i piccoli vermi, perché non siano calpestati, e alle api vuole che
si somministri del miele e ottimo vino, affinché non muoiano di inedia nel rigore dell'inverno.
Chiama col nome di fratello tutti gli animali, quantunque in ogni specie prediliga quelli
mansueti.
Ma chi potrebbe esporre ogni cosa? Quella Bontà « fontale », che un giorno sarà tutto in tutti,
a questo Santo appariva chiaramente fin d'allora come il tutto in tutte le cose.
CAPITOLO CXXV
LE CREATURE GLI RICAMBIANO IL SUO AMORE.
IL FUOCO NON LO BRUCIA
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166. Tutte le creature da parte loro si sforzano di contraccambiare l'amore del Santo e di
ripagarlo con la loro gratitudine. Sorridono quando le accarezza, danno segni di consenso quando le
interroga, obbediscono quando comanda. Sia sufficiente qualche esempio.
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Al tempo della sua malattia d'occhi, trovandosi costretto a permettere che lo si curasse, viene
chiamato un chirurgo, che giunge portando con sé il ferro per cauterizzare. Ordina che sia messo nel
fuoco, sino a che sia tutto arroventato. Il Padre, per confortare il corpo già scosso dal terrore, così
parla al fuoco: «Frate mio fuoco, di bellezza invidiabile fra tutte le creature, l'Altissimo ti ha creato
vigoroso, bello e utile. Sii propizio a me in quest'ora, sii cortese!, perché da gran tempo ti ho amato
nel Signore. Prego il Signore grande che ti ha creato di temperare ora il tuo calore in modo che io
possa sopportare, se mi bruci con dolcezza ».
Terminata la preghiera, traccia un segno di croce sul fuoco e poi aspetta intrepido. Il medico
prende in mano il ferro incandescente e torrido, mentre i frati fuggono vinti dalla compassione. Il
Santo invece si offre pronto e sorridente al ferro.
Il cautere affonda crepitando nella carne viva, e la bruciatura si estende a poco a poco
dall'orecchio al sopracciglio. Quanto dolore gli abbia procurato il fuoco, ce lo testimoniano le parole
del Santo, che lo sapeva meglio di tutti. Infatti, quando ritornarono i frati che erano fuggiti, il Padre
disse sorridendo: «Pusillanimi e di poco coraggio, perché siete fuggiti? In verità vi dico, non ho provato
né l'ardore del fuoco né alcun dolore della carne». E rivolto al medico: «Se la carne non è bene
cauterizzata, brucia di nuovo», gli disse.
Il medico, che conosceva ben diverse reazioni in casi simili, magnificò il fatto come un
miracolo di Dio: «Vi dico, frati, che oggi ho visto cose mirabili ».
A mio giudizio, il Santo era ritornato alla innocenza primitiva, e quando lo voleva, diventavano
con lui miti anche gli elementi crudeli.
CAPITOLO CXXVI
UN UCCELLINO Sl POSA NELLE SUE MANI
753
167. Francesco stava attraversando su una piccola barca il lago di Rieti, diretto all'eremo di
Greccio e un pescatore gli fece omaggio di un uccellino acquatico, perché se ne rallegrasse nel
Signore.
Il Padre lo prese con piacere e, aprendo le mani, lo invitò con bontà a volersene andare
liberamente. Ma l'uccellino rifiutò, accovacciandosi nelle sue mani come dentro a un nido. Il Santo
rimase con gli occhi alzati in preghiera e poi, dopo lungo tempo, ritornato in se stesso come da
lontano, gli ordinò di riprendere senza timore la libertà di prima.
E l'uccellino, avuto il permesso con la benedizione, se ne volò via, dando col movimento del
corpo segni di gioia.
CAPITOLO CXXVII
IL FALCO
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168. Mentre Francesco, rifuggendo come era sua abitudine dalla vista e dalla compagnia degli
uomini, si trovava in un eremo, un falco che aveva lì il suo nido strinse con lui un solenne patto di
amicizia. Ogni notte col canto e col rumore preannunciava l'ora in cui il Santo era solito svegliarsi per
le lodi divine. Cosa graditissima, perché con la grande premura che dimostrava nei suoi riguardi,
riusciva a scuotere da lui ogni ritardo di pigrizia.
Quando poi il Santo era indebolito più dei solito da qualche malattia, il falco si mostrava
riguardoso e non dava così presto il segnale del risveglio Ma come fosse istruito da Dio, solo verso il
mattino faceva risuonare con tocco leggero la campana della sua voce.
Non è meraviglia se le altre creature veneravano chi più di tutti amava il Signore
CAPITOLO CXXVIII
LE API
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169. Era stata un tempo costruita una celletta su un monte, e qui il servo di Dio passò
quaranta giorni in durissima penitenza. Quando, trascorso il periodo di tempo, se ne partì, la cella
rimase vuota senza che altri prendesse il suo posto, essendo il luogo isolato. E rimase pure lì il vasetto
di terra, che gli serviva per bere.
Un giorno vi si recarono alcune persone per devozione al Santo: il vaso era pieno di api, che
con arte mirabile vi stavano formando le cellette dei favi. Certamente volevano indicare la dolcezza
della contemplazione, di cui si era inebriato in quel luogo il Santo di Dio.
CAPITOLO CXXIX
IL FAGIANO
756
170. Un nobile della terra di Siena mandò in regalo a Francesco ammalato un fagiano. Il Santo
lo accettò con piacere, non per desiderio di mangiarlo, ma perché, come avveniva sempre in questi
casi, ne provava gioia per l'amore che aveva al Creatore. E gli disse: « Sia lodato il nostro Creatore,
frate fagiano! ». Poi rivolto ai frati continuò: « Proviamo ora se frate fagiano vuole rimanere con noi o
se preferisce ritornare ai luoghi abituali e più adatti a lui ».
Un frate, per ordine del Santo, lo portò lontano in una vigna, ma egli se ne ritornò
rapidamente alla .cella del Padre. Lo fece porre una seconda volta ancora più lontano, ma ritornò con
la più grande celerità alla porta della cella e, quasi facendo violenza si introdusse sotto le tonache dei
frati, che erano lì sulla soglia. Allora il Santo ordinò che fosse nutrito con cura, mentre lo abbracciava
e lo vezzeggiava con dolci parole.
Vedendo ciò un medico assai devoto di Francesco lo chiese ai frati, non per mangiarlo ma
voleva mantenerlo per venerazione verso il Santo. In breve, se lo portò a casa. ma il fagiano, come se
fosse rimasto offeso per essere stato separato dal Santo, non volle assolutamente toccare cibo fino a
che rimase lontano. Stupito il medico glielo riportò subito e gli raccontò tutto l'accaduto. Appena ii
fagiano, deposto a terra, scorse il Padre suo, abbandonò ogni tristezza e comincio a mangiare
gioiosamente.
CAPITOLO CXXX
LA CICALA
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171. Alla Porziuncola, su un fico posto accanto alla cella del Santo stava una cicala, che
cantava frequentemente con la soavità consueta. Un giorno il Padre, allungando verso di lei la mano,
la invitò dolcemente: «Sorella mia cicala, vieni a me! ». Come se comprendesse, subito gli volò sulle
mani, e Francesco le disse: «Canta, sorella mia cicala, e loda con gioia il Signore tuo creatore! ».
Essa obbedì senza indugio. Cominciò a cantare e non cessò fino a quando l'uomo di Dio unì la propria
lode al suo canto, e le ordinò di ritornare al suo posto. Qui rimase di continuo per otto giorni, come se
vi fosse legata. Quando il Padre scendeva dalla cella, l'accarezzava sempre con le mani e le ordinava di
cantare. Ed essa era sempre pronta ad obbedire al suo comando.
« Diamo ormai licenza alla nostra sorella cicala--disse un giorno Francesco ai suoi compagni--. Ci ha
rallegrati abbastanza fino ad ora con la sua lode: la nostra carne non deve trovarvi un motivo di
vanagloria ». E subito avuta la sua licenza, si allontanò e non si rivide più in quel luogo.
Davanti a questi fatti, i frati rimanevano grandemente ammirati..
LA CARITÀ
CAPITOLO CXXXI
LA CARITÀ DEL SANTO. PER LA SALVEZZA DELLE ANIME
SI DIMOSTRA ESEMPIO DI PERFEZIONE
758
172. La forza dell'amore aveva reso Francesco fratello di tutte le altre creature; non è quindi
meraviglia se la carità di Cristo lo rendeva ancora più fratello di quanti sono insigniti della immagine
del Creatore.
Diceva infatti che niente è più importante della salvezza delle anime, e lo provava molto
spesso col fatto che l'Unigenito di Dio si è degnato di essere appeso alla croce per le anime. Da qui
derivava il suo impegno nella preghiera, il suo trasferirsi da un luogo all'altro per predicare, la sua
grande preoccupazione di dare buon esempio.
Non si riteneva amico di Cristo, se non amava le anime che Egli ha amato. Ed era appunto
questo il principale motivo per cui venerava i dottori di sacra Teologia, perché come collaboratori di
Cristo esercitavano con lui lo stesso ufficio.
Ma al di sopra di ogni misura, amava di un amore particolarmente intimo, con tutto l'affetto
del cuore, i frati, come familiari di una fede speciale e uniti dalla partecipazione alla eredità eterna.
759
173. Quando gli facevano notare il rigore della sua vita, rispondeva di essere stato dato come
modello all'Ordine, per incoraggiare come aquila i suoi piccoli al volo. Perciò, quantunque la sua carne
innocente, che già spontaneamente si assoggettava allo spirito, non avesse bisogno di castigo per colpe
commesse, tuttavia moltiplicava le sue penitenze per dare l'esempio, e batteva vie difficili solo per
incoraggiare gli altri.
E ben a ragione. Perché si guarda più ai fatti che alle parole dei superiori. Con i fatti, Padre,
tu convincevi più soavemente, persuadevi con più facilità ed anche presentavi la prova più
convincente.
Se i superiori parlassero anche la lingua degli uomini e degli angeli, ma non accompagnano le
parole con esempi di carità, a me giovano poco, a se stessi niente. In realtà, quando chi corregge non
è temuto in nessun modo e il capriccio tiene luogo della ragione, bastano forse i sigilli alla salvezza?
Tuttavia si deve mettere in pratica ciò che essi dicono autorevolmente, affinché la corrente
d'acqua giunga alle aiuole, anche se i canali rimangono aridi. E di tanto in tanto si raccolga la rosa
dalle spine, in modo che il maggiore serva al minore.
CAPITOLO CXXXII
LA SUA PREMURA PER I SUDDITI
760
174. E inoltre chi possiede la stessa premura di Francesco per i sudditi? Egli alzava sempre le
mani al cielo in favore dei veri Israeliti, e a volte, dimentico di sé, provvedeva prima alla salvezza dei
fratelli. Si prostrava ai piedi della Maestà divina, offriva un sacrificio spirituale per i suoi figli, e
pregava Dio a beneficarli. Vegliava con trepido amore sul piccolo gregge, che si era condotto dietro,
perché non gli capitasse che, dopo aver lasciato questo mondo, perdesse anche il cielo. Ed era
convinto che un giorno sarebbe rimasto senza gloria, se nello stesso tempo non ne avesse reso
meritevoli e partecipi quanti gli erano stati affidati, e che il suo spirito dava alla luce con dolore
maggiore di quello provato dalle viscere materne.
CAPITOLO CXXXIII
LA SUA COMPASSIONE PER GLI INFERMI
761
175. Dimostrava una grande compassione per gli infermi e una tenera sollecitudine per le loro
necessità. Se a volte la bontà dei secolari gli mandava qualche corroborante per la sua salute, lo
regalava agli altri ammalati, mentre ne aveva bisogno più di tutti. Faceva proprie le loro sofferenze e
li consolava con parole di compassione, quando non poteva recare loro soccorso.
Mangiava perfino nei giorni di digiuno, perché gli infermi non provassero rossore, e non si
vergognava nei luoghi pubblici della città di questuare carne per un frate ammalato . Tuttavia
ammoniva i sofferenti a sopportare pazientemente le privazioni e a non gridare allo scandalo, se non
erano soddisfatti in tutto. Per cui in una Regola fece scrivere così: « Prego tutti i miei frati infermi,
che nelle loro infermità non si adirino né si turbino contro Dio o contro i fratelli. Non chiedano con
insistenza le medicine, né desiderino troppo di risanare il corpo, che è nemico dell'anima e destinato a
morire presto. Di ogni cosa sappiano rendere grazie a Dio, in modo da essere quali li vuole il Signore.
Perché quelli che Dio ha preordinati alla vita eterna, li ammaestra col pungolo dei flagelli e delle
malattie. Ha detto infatti:--lo correggo e castigo quelli che amo--».
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176. Una volta venne a conoscenza che un frate ammalato aveva desiderio di mangiare un
po' d'uva. Lo accompagnò in una vigna, e sedutosi sotto una vite, per infondergli coraggio, cominciò
egli stesso a mangiarne per primo.
CAPITOLO CXXXIV
LA SUA COMPASSIONE PER GLI INFERMI DI SPIRITO.
Dl QUELLI CHE AGISCONO DIVERSAMENTE
763
177. Amava con maggiore bontà e sopportava con pazienza quelli che sapeva turbati da
tentazioni e deboli di spirito, come bambini fluttuanti. Per cui, evitando le correzioni aspre, dove non
vedeva un pericolo, risparmiava la verga per riguardo alla loro anima. E soleva dire che è dovere del
superiore, padre e non tiranno, prevenire l'occasione della colpa e non permettere che cada chi poi
difficilmente potrebbe rialzarsi, una volta caduto.
Oh, quanto è degna di compassione la nostra stoltezza! Non soltanto non rialziamo o
sosteniamo i deboli, ma a volte li spingiamo a cadere. Giudichiamo di nessuna importanza sottrarre al
Sommo Pastore una pecorella, per la quale sulla croce gettò un forte grido con lacrime. Ma ben
diversamente tu, padre santo, preferivi emendare gli erranti e non perderli !.
Sappiamo tuttavia che i mali della propria volontà sono in alcuni talmente radicati da
richiedere il cauterio, non l'unguento. Infatti è chiaro che per molti è più utile l'essere stritolati con
verga di ferro, che essere accarezzati con le mani. Ma l'olio ed il vino, la verga e il bastone, lo zelo e
l'indulgenza, la bruciatura e l'unzione, il carcere ed il grembo materno, ogni cosa ha il suo tempo.
Tutto ciò richiede il Dio delle vendette e il Padre delle misericordie: però preferisce la misericordia al
sacrificio.
CAPITOLO CXXXV
I FRATI SPAGNUOLI
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178. Questo uomo santissimo era meravigliosamente rapito in Dio e traboccava di gioia,
quando giungeva sino a lui il buon odore dei suoi figli.
Avvenne che un ecclesiastico spagnuolo, persona pia, ebbe la fortuna di incontrarsi e di parlare
con san Francesco. Tra le altre cose che riferì riguardo ai frati che si trovavano in Spagna, rese felice il
Santo con questa notizia:
«I tuoi frati nel nostro paese vivono in un povero eremo, e si sono dati questo regime di vita: metà
attendono ai lavori domestici e metà alla contemplazione. Ogni settimana, il gruppo degli attivi passa
alla contemplazione e quello dei contemplativi all'esercizio del lavoro.
«Un giorno era già stata preparata la tavola, e, dato il segnale per chiamare gli assenti,
arrivano tutti, eccetto uno, del gruppo contemplativo. Dopo un po' vanno alla sua cella per chiamarlo a
tavola, ma egli già si nutriva alla mensa ben più lauta del Signore.
«Era prostrato con la faccia a terra, le braccia aperte in forma di croce e non dava segno di
vita né col respiro né con altro movimento. Due candelabri accesi, uno al capo e l'altro ai piedi,
illuminavano la cella con una luce sfolgorante, in modo meraviglioso.
«Lo lasciano in pace per non turbare l'estasi e non svegliare la diletta, sino a che non voglia.
Però i frati cercano di osservare attraverso le fessure della cella, stando dietro il muro e spiando per
le inferriate. Per essere brevi, mentre ivi, gli amici sono intenti ad ascoltare colei che se ne stava nel
giardino, all'improvviso scompare tutto quel bagliore ed il frate ritorna in se stesso. Subito si alza e,
recatosi a tavola, si accusa di essere giunto in ritardo.
«Ecco--concluse l'ecclesiastico spagnuolo--quanto è accaduto nella nostra terra!».
Francesco non stava in sé dalla gioia, inebriato com'era dal profumo dei suoi figli. Subito si
mise a lodare il Signore e come se il sentire parlare bene dei frati fosse l'unica sua gloria, esclamò dal
più profondo del cuore: «Ti ringrazio, Signore, che santifichi e guidi i poveri, perché mi hai riempito di
gioia con queste notizie! Benedici, ti prego, con la più ampia benedizione e santifica con una grazia
particolare tutti quelli che rendono odorosa di buoni esempi la loro professione religiosa! ».
CAPITOLO CXXXVI
CONTRO QUELLI CHE VIVONO MALAMENTE NEGLI EREMI.
TUTTO DEVE ESSERE IN COMUNE
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179. Abbiamo conosciuto da questi fatti la carità del Santo, virtù che porta a godere dei
successi delle persone care. Però siamo convinti che nello stesso tempo siano stati rimproverati assai
quelli che negli eremitori vivono in modo diverso.
Molti infatti trasformano il luogo della contemplazione in ozio e il modo di vivere eremitico,
istituito per consentire alle anime la perfezione, lo riducono ad un luogo di piacere.. Questa è oggi la
norma dei nostri anacoreti: vivere ciascuno secondo il proprio capriccio.
Certo questo rimprovero non è per tutti. Sappiamo che vi sono dei santi ancora viventi nella
carne, che nell'eremo seguono ottime leggi. Sappiamo pure che i padri che li hanno preceduti sono
stati fiori di rara bellezza. Voglia il cielo che gli eremiti del nostro tempo non tralignino da quello
splendore primitivo, che per la sua santità merita una lode eterna!
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180. Inoltre, quando Francesco esortava tutti alla carità, li invitava a dimostrare affabilità e
cortese dimestichezza. Voglio – diceva - che i miei frati si dimostrino figli della stessa madre, e che si
prestino a vicenda generosamente la tonaca, la corda o ciò che uno avrà chiesto all'altro. Mettano in
comune libri e tutto ciò che può essere gradito ed anzi, direi di più; li costringano ad accettarli ».
Ed anche a questo riguardo era il primo a darne l'esempio, per non dire cosa alcuna che prima
non adempisse in lui il Cristo.
CAPITOLO CXXVII
CEDE LA TONACA A DUE FRATI DELLA FRANCIA
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181. Capitò a due frati della Francia, uomini di grande santità, di incontrare Francesco; ne
provarono una gioia incredibile, tanto più che da lungo tempo erano tormentati da questo desiderio.
Dopo tenere effusioni di affetto ed uno scambio soave di parole, furono spinti dalla loro ardente
devozione a chiedere a Francesco la tonaca. Il Santo se ne spogliò subito, rimanendo seminudo e gliela
diede devotissimamente; poi indossò con pio scambio quella più povera di uno di loro.
Era pronto a dare non soltanto simili cose, ma a dare tutto se stesso, e quando gli veniva
chiesto, lo donava con la massima gioia.
LA DETRAZIONE
CAPITOLO CXXXVIII
PUNIZIONE DEI DETRATTORI
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182. Infine, come ogni animo ripieno di carità, così anche Francesco detestava chi era odioso a
Dio. Ma fra tutti gli altri viziosi, aborriva con vero orrore i detrattori e diceva che portano sotto la
lingua il veleno, col quale intaccano il prossimo. Perciò evitava i maldicenti e le pulci mordaci, quando
li sentiva parlare, e rivolgeva altrove l'orecchio, come abbiamo visto noi stessi, perché non si
macchiasse con le loro chiacchiere.
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Un giorno udi un frate che denigrava il buon nome di un altro, e rivoltosi al suo vicario frate
Pietro di Cattanio, proferì queste terribili parole: «Incombono gravi pericoli all'Ordine, se non si
rimedia ai detrattori. Ben presto il soavissimo odore di molti si cambierà in puzzo disgustoso, se non
si chiudono le bocche di questi fetidi. Coraggio. muoviti, esamina diligentemente e, se troverai
innocente un frate che sia stato accusato, punisci l'accusatore con un severo ed esemplare castigo!
Consegnalo nelle mani del pugile di Firenze, se tu personalmente non sei in grado di punirlo! »
(chiamava pugile fr. Giovanni di Firenze, uomo di alta statura e dotato di grande forza).
«Voglio--diceva ancora--che con la massima diligenza abbia cura, tu e tutti i ministri, che non
si diffonda maggiormente questo morbo pestifero».
A volte, addirittura, riteneva giusto che si spogliasse della tonaca chi aveva spogliato suo
fratello della gloria del buon nome, e che non dovesse alzare gli occhi a Dio, se prima non restituiva
ciò che aveva portato via.
Da qui ne era derivato che i frati di quel tempo, quasi rifiutassero in modo particolare questo
vizio, avevano stabilito fra di loro il patto di evitare attentamente tutto ciò potesse nuocere o
suonasse offesa all'onore degli altri.
Cosa giusta e veramente ottima! Cos'è infatti il detrattore se non il fiele degli uomini,
fermento di malvagità, disonore del mondo? Cos'è l'uomo doppio di lingua, se non lo scandalo
dell'Ordine, il veleno del chiostro religioso, la disgregazione dell'unità?
Ahimè, la terra abbonda di animali velenosi ed è impossibile che una persona onesta sfugga i
morsi degli invidiosi! Si promettono premi ai delatori e, distrutta l'innocenza, si dà a volte la palma alla
falsità. Ecco, quando uno non riesce a vivere della sua onestà, guadagna vitto e vesti devastando
l'onestà altrui.
770
183. A questo riguardo ripeteva spesso Francesco: «Il detrattore dice così:--Mi manca la
perfezione della vita, non ho il prestigio della scienza, né doni particolari: perciò non trovo posto né
presso Dio né presso gli uomini. So io cosa fare: getterò fango sugli eletti e mi acquisterò il favore dei
grandi. So che il mio superiore è un uomo e alle volte fa uso del mio stesso metodo, cioè sradicare i
cedri perché nella selva grandeggi unicamente il pruno. Miserabile!, nutriti pure di carne umana e rodi
le viscere dei fratelli, giacché non puoi vivere diversamente! ».
Costoro si preoccupano di apparire buoni, non di diventarlo, accusano i vizi altrui ma non
depongono i propri. Sanno soltanto adulare quelli, dalla cui autorità desiderano di essere protetti, e
diventano muti quando pensano che le lodi non raggiungano l'interessato. Vendono a prezzo di lodi
funeste il pallore della loro faccia emaciata, per sembrare spirituali, in modo da giudicare tutto e non
essere giudicati da nessuno. Godono della fama di essere santi, senza averne le opere, del nome di
angeli ma non ne hanno la virtù.
RITRATTO DEL MINISTRO GENERALE
E DEGLI ALTRI MINISTRI
CAPITOLO CXXXIX
COME DEBBA COMPORTARSI CON I COMPAGNI
771 184. Quando Francesco stava per giungere al traguardo della sua chiamata al Signore, un frate
sempre premuroso delle cose divine, mosso da affetto per l'Ordine gli domandò: «Padre, tu passerai da
questa vita, e la famiglia che ti ha seguito rimane abbandonata in questa valle di lacrime. Indica uno,
se conosci che esista nell'Ordine, che soddisfi il tuo spirito e al quale si possa addossare con tranquillità
il peso di ministro generale ». Francesco, accompagnando le singole parole con sospiri rispose: «Non
conosco alcuno capace di essere guida di un esercito così vario e pastore di un gregge tanto numeroso.
Ma voglio dipingervi e, come si dice, modellare la figura, nella quale si veda chiaramente quale deve
essere il padre di questa famiglia».
772
185. «Deve essere -- proseguì --un uomo di vita quanto mai austera, di grande discrezione e
lodevole fama. Un uomo che non conosca simpatie particolari, perché, mentre predilige una parte, non
generi scandalo in tutta la comunità. Si applichi con zelo alla preghiera e sappia distribuire
determinate ore alla sua anima e altre al gregge che gli è affidato. Così, di primo mattino deve
premettere il sacrificio della Messa e raccomandare con lunga preghiera se stesso ed il suo gregge alla
protezione divina. Dopo l'orazione poi, Si metta a disposizione dei religiosi, disposto a lasciarsi
importunare da tutti, pronto a rispondere e a provvedere a tutti con affabilità. Deve essere una
persona, che non presenti alcun angolo oscuro di turpe favoritismo e che abbia per i piccoli ed i
semplici la stessa premura che ha per i maggiori e i dotti Anche ammettendo che emerga per cultura,
tuttavia ancor più nella sua condotta sia il ritratto della virtuosa semplicità e coltivi la virtù. Deve
avere in orrore il denaro, principale rovina della nostra vita religiosa e della perfezione e, come capo
di un Ordine povero, presentandosi modello agli altri, non abusi mai di alcuna somma di denaro».
E continuò: «Gli deve bastare personalmente l'abito ed un registro, per i frati invece un
portapenne ed il sigillo, Non sia collezionista di libri, né molto dedito alla lettura, per non sottrarre
all'ufficio il tempo che dedica allo studio. Consoli gli afflitti, essendo l'ultimo rifugio per i tribolati,
perché non avvenga che, non trovando presso di lui rimedi salutari, gli infermi si sentano sopraffatti
dal morbo della disperazione. Umíli se stesso, per piegare i protervi alla mitezza, e lasci cadere parte
del suo diritto, per conquistare un'anima a Cristo. Quanto ai disertori dell'Ordine, come a pecorelle
smarrite, non chiuda loro le viscere della sua misericordia, ben sapendo che sono violentissime le
tentazioni, che possono spingere a tanto.
772
186. «Vorrei che tutti l'onorassero come rappresentante di Cristo, e si provvedesse a tutte le
sue necessità con ogni benevolenza. Da parte sua non dovrebbe lasciarsi solleticare dagli onori, né
provare più gusto dei favori che delle ingiurie. Se a volte, perché debole o stanco, avesse bisogno di un
cibo più abbondante, sarebbe opportuno lo prendesse non di nascosto, ma in luogo pubblico per
togliere ad altri il rossore di dovere provvedere alla propria debolezza fisica.
«È suo compito soprattutto indagare nel segreto delle coscienze per estrarre la verità dalle
vene più occulte, ma non presti orecchio a chi fa pettegolezzi. Infine, deve essere tale da non
macchiare in nessun modo l'aspetto virile della giustizia per la smania di mantenere la carica, e che
senta più un peso che un onore sì alto ufficio. Guardi tuttavia che l'eccessiva bontà non generi
rilassamento, né la condiscendenza colpevole il dissolvimento della disciplina, in modo da essere
amato da tutti, ma anche non meno temuto da quanti operano il male.
«Vorrei anche che avesse come collaboratori persone fornite di onestà e che si presentino,
come lui, esempio di ogni virtù: rigidi contro le attrattive mondane, forti contro le difficoltà, e tanto
convenientemente affabili, da accogliere con santa affabilità quanti ricorrono a loro.
«Ecco--concluse--come dovrebbe essere il ministro generale dell'Ordine».
CAPITOLO CXL
I MINISTRI PROVINCIALI
773
187. Il beato padre pretendeva tutti questi requisiti anche nei ministri provinciali, quantunque
nel ministro generale le singole qualità debbano eccellere in modo particolare. Li voleva affabili verso
gli inferiori, e tanto benigni e sereni che i colpevoli non avessero timore di affidarsi al loro affetto.
Come pure, che fossero moderati nei comandi, benevoli nelle mancanze, più facili a sopportare che a
ritorcere le offese, nemici dichiarati dei vizi e medici per i peccatori. In una parola, esigeva in essi una
condotta tale che la loro vita fosse specchio di disciplina per tutti gli altri. Però voleva anche che
fossero circondati di ogni onore ed affetto, come coloro da portano il peso delle preoccupazioni e delle
fatiche.
E diceva che sono degni di grandissimi premi davanti a Dio quelli che con tale animo e tale
norma governano le anime loro affidate.
CAPITOLO CXLI
RISPOSTA DEL SANTO
A UNA DOMANDA RIGUARDO Al MINISTRI
774
188. Fu interrogato una volta da un frate perché avesse rinunciato alla cura di tutti i frati e li
avesse affidati a mani altrui, come se non gli appartenessero in nessun modo. «Figlio,-- rispose--io amo
i frati come posso. Ma se seguissero le mie orme, li amerei certamente di più e non mi renderei
estraneo a loro. Vi sono alcuni tra i prelati, che li trascinano per altre strade, proponendo loro gli
esempi degli antichi e facendo poco conto dei miei ammonimenti. Ma si vedrà alla fine cosa fanno ».
E poco dopo, mentre era molto ammalato, nella veemenza dello spirito, si drizzò sul lettuccio:
«Chi sono--esclamò--questi che mi hanno strappato dalle mani l'Ordine mio e dei frati? Se andrò al
Capitolo generale, mostrerò loro qual'è la mia volontà ».
Insisté il frate: «Non cambierai forse anche quei ministri provinciali, che così a lungo hanno
abusato della libertà?». Il Padre gemendo diede questa terribile risposta: «Vivano pure come a loro
piace, perché la perdizione di pochi è di minor danno che quella di molti!».
Non si riferiva a tutti, ma ad alcuni che per l'eccessiva lunghezza di superiorato sembravano
pretenderlo come eredità.
A qualunque categoria poi di superiori regolari, raccomandava questo soprattutto: di non
mutare le usanze se non in meglio, di non mendicare né cattivarsi favori; di non esercitare un potere,
ma compiere un dovere.
LA SANTA SEMPLICITÀ
CAPITOLO CXLII
IN CHE CONSISTA LA VERA SEMPLICITÀ
775
189. Il Santo praticava personalmente con cura particolare e amava negli altri la santa
semplicità, figlia della grazia, vera sorella della sapienza, madre della giustizia. Non che approvasse
ogni tipo di semplicità, ma quella soltanto che, contenta del suo Dio, disprezza tutto il resto.
E' quella che pone la sua gloria nel timore del Signore, e che non sa dire né fare il male. La
semplicità che esamina se stessa e non condanna nel suo giudizio nessuno, che non desidera per sé
alcuna carica, ma la ritiene dovuta e la attribuisce al migliore. Quella che non stimando un gran che le
glorie della Grecia, preferisce l'agire all'imparare o all'insegnare. È la semplicità che in tutte le leggi
divine lascia le tortuosità delle parole, gli ornamenti e gli orpelli, come pure le ostentazioni e le
curiosità a chi vuole perdersi, e cerca non la scorza ma il midollo, non il guscio ma il nòcciolo, non
molte cose ma il molto, il sommo e stabile Bene.
È questa la semplicità che il Padre esigeva nei frati letterati e in quelli senza cultura, perché
non la riteneva contraria alla sapienza, ma giustamente sua sorella germana, quantunque ritenesse che
più facilmente possono acquistarla e praticarla coloro che sono poveri di scienza. Per questo, nelle
Lodi che compose riguardo alle virtù, dice: «Ave, o regina sapienza. Il Signore ti salvi con la tua
sorella, la pura santa semplicità».
CAPITOLO CXLIII
FRATE GIOVANNI IL SEMPLICE
776
190. Mentre Francesco passava accanto ad un borgo nelle vicinanze di Assisi, gli andò incontro
un certo Giovanni, uomo semplicissimo che stava arando nel campo, e gli disse «Voglio che tu mi faccia
frate, perché da molto tempo desidero servire Dio». Il Santo ne provò gioia, considerando la sua
semplicità, e rispose secondo il suo desiderio: «Se vuoi, fratello, diventare nostro compagno, dà ai
poveri ciò che possiedi e ti accoglierò dopo che ti sarai espropriato di tutto».
Immediatamente scioglie i buoi e ne offre uno a Francesco. «Questo bue--dice --diamolo ai
poveri! Perché questa è la parte che ho diritto di ricevere dai beni di mio padre». Il Santo sorrise e
approvò la sua grande semplicità.
Appena i genitori e i fratelli più piccoli seppero la cosa, accorsero in lacrime, addolorati più di
rimanere privi del bue che del congiunto. «Coraggio,--rispose loro il Santo--ecco, vi restituisco il bue e
mi prendo il frate». Lo condusse con sé, e dopo averlo vestito dell'abito religioso, lo prese come
compagno particolare in grazia della sua semplicità.
Quando Francesco stava in qualche luogo a meditare, il semplice Giovanni ripeteva in sé e
imitava subito tutti i gesti o i movimenti che egli faceva. Se sputava, sputava; se tossiva, tossiva; univa
i sospiri ai sospiri ed il pianto al pianto. Se il Santo levava le mani al cielo, le alzava egli pure,
fissandolo con diligenza come un modello e facendo sua ogni mossa.
Il Santo se ne accorse e gli chiese una volta, perché facesse così. «Ho promesso--rispose--di
fare tutto ciò che fai tu. Sarebbe pericoloso per me trascurare qualche cosa». Francesco si rallegrò di
quella schietta semplicità, ma gli proibì con dolcezza di fare più così in futuro.
Dopo non molto tempo in questa purità passò con semplicità al Signore. E quando Francesco
proponeva alla imitazione la sua vita--ciò che avveniva di frequente-, lo chiamava con grande
piacevolezza non frate Giovanni, ma san Giovanni.
Osserva ora che è segno distintivo della pia semplicità vivere secondo le leggi dei maggiori,
seguire sempre gli esempi e gli insegnamenti dei Santi. Chi concederà ai saggi di questo mondo di
imitare con tanto trasporto Francesco, ora che egli è glorificato in cielo, quanto ne ebbe questo frate
semplice nell'imitarlo mentre era sulla terra ? E in realtà, dopo aver seguito il Santo da vivo, lo ha
preceduto nella eterna vita.
CAPITOLO CXLIV
SUA PREMURA PER L' UNIONE TRA I FIGLI.
UNA PARABOLA A QUESTO RIGUARDO
777
191. Fu suo desiderio costante e vigile premura mantenere tra i figli il vincolo dell'unità, in
modo che vivessero concordi nel grembo di una sola madre quelli che erano stati attratti dallo stesso
spirito e generati dallo stesso padre. Voleva che si fondessero maggiori e minori, che i dotti si
legassero con affetto fraterno ai semplici, che i religiosi pur lontani tra loro si sentissero uniti dal
cemento dell'amore.
778
Una volta raccontò loro questa parabola ricca di significato. « Ecco, supponiamo che si faccia
un Capitolo generale di tutti i religiosi che sono nella Chiesa ! Poiché vi sono dotti e ignoranti, sapienti
ed altri che sanno piacere a Dio, pur essendo senza cultura, viene incaricato a parlare uno dei sapienti
e uno dei semplici».
Il sapiente riflette--non per niente è dotto!--e pensa tra sé: « Non è questo il luogo di fare
sfoggio di dottrina, perché vi sono qui luminari di scienza, e neppure farmi notare per ricercatezza
nell'esporre cose sottili fra persone di ingegno sottilissimo. Forse sarà più fruttuoso parlare con
semplicità».
Arriva il giorno fissato e si radunano insieme tutte le comunità dei santi assetate di udire il
discorso. Avanza il sapiente vestito di sacco, la testa cosparsa di cenere e, con meraviglia di tutti,
predicando più con l'atteggiamento, dice brevemente: « Abbiamo promesso grandi cose, maggiori sono
promesse a noi; osserviamo quelle ed aspiriamo a queste. Il piacere è breve, la pena eterna, piccola la
sofferenza, infinita la gloria. Molti i chiamati, pochi gli eletti, ma tutti avranno la retribuzione!».
Scoppiano in lacrime gli ascoltatori col cuore compunto e venerano come santo quel vero
sapiente.
«Ecco--esclama in cuor suo il semplice--questo sapiente mi ha portato via tutto ciò che avevo
stabilito di fare e di dire. Ma so io cosa fare. Conosco alcuni versetti dei salmi. Farò io la parte del
sapiente, giacché lui ha fatto quella del semplice ». Giunge la sessione del giorno dopo, il frate
semplice si alza a parlare e propone come tema un salmo. E, infervorato dallo Spirito di Dio, parla con
tanto calore, acume e dolcezza, seguendo il dono dell'ispirazione celeste, che tutti sono pieni di
stupore ed esclamano giustamente: «Con i semplici parla il Signore ».
192. Dopo aver esposto la parabola, l'uomo di Dio la commentava così: «La grande assemblea è
il nostro Ordine, quasi un sinodo generale che si raccoglie da ogni parte del mondo sotto una sola
norma di vita. In questo i sapienti traggono a loro vantaggio le qualità proprie dei semplici, perché
vedono persone senza cultura cercare con ardore le cose celesti e, pur senza istruzione umana,
raggiungere per mezzo dello Spirito la conoscenza delle realtà spirituali.
«In questo Ordine anche i semplici traggono profitto da ciò che è proprio dei sapienti, quando
vedono umiliarsi con loro allo stesso modo uomini illustri, che potrebbero vivere carichi di onori in
questo mondo. Da qui -- concluse -- risalta la bellezza di questa beata famiglia, che per le sue
molteplici qualità forma la gioia del padre di famiglia».
CAPITOLO CXLV
COME IL SANTO VOLEVA LA TONSURA
779
193. Quando Francesco si faceva la tonsura, spesso ripeteva a chi gli tagliava i capelli: «Bada di
non farmi una corona troppo larga! Perché voglio che i miei frati semplici abbiano parte nel mio capo».
Voleva appunto che l'Ordine fosse aperto allo stesso modo ai poveri e illetterati, e non soltanto
ai ricchi e sapienti. «Presso Dio--diceva--non vi è preferenza di persone, e lo Spirito Santo, ministro
generale dell'Ordine, si posa egualmente sul povero ed il semplice».
Avrebbe voluto inserire proprio questa frase nella Regola, ma non fu possibile perché era già
stata confermata con bolla.
CAPITOLO CXLVI
QUALE GENERE Dl ESPROPRIAZIONE RICHIEDEVA
DALLE PERSONE DOTTE
CHE VOLEVANO ENTRARE NELL' ORDINE
780
194. Una volta disse che un uomo di grande cultura, se vuole entrare nell'Ordine, deve
rinunciare in qualche modo anche alla scienza, per offrirsi nudo alle braccia del Crocifisso, dopo essersi
espropriato di questa forma di possesso.
«La scienza-- spiegò--rende numerose persone restie alla perfezione, perché dona loro una
certa rigidità, che non si piega agli insegnamenti umili. Per questo vorrei che un uomo letterato mi
facesse prima questa preghiera:" Ecco, fratello, ho vissuto a lungo nel mondo e non ho conosciuto
veramente il mio Dio. Ti prego, concedimi un luogo lontano dallo strepito degli uomini, dove possa
ripensare nel dolore ai miei anni e dove, raccogliendo le dissipazioni del mio cuore, possa riformare in
meglio lo spirito". Secondo voi--continuò--quale diverrebbe uno che incominciasse così? Certamente ne
uscirebbe come un leone libero dalle catene, pronto a tutto, e la linfa- spirituale assorbita in principio
aumenterebbe in lui con un progresso continuo. Alla fine, gli si potrebbe affidare con sicurezza il
ministero della parola, certi che riverserebbe sugli altri il fervore che lo brucia».
Insegnamento veramente santo! Cosa ci può essere di più necessario per chi proviene da un
ambiente così diverso, che rimuovere e togliere del tutto con la pratica dell'umiltà gli affetti mondani
da lungo tempo consolidati e impressi nell'animo? Ben presto diverrebbe perfetto chi entrasse nella
scuola della perfezione.
CAPITOLO CXLVII
COME I DOTTI DEVONO DEDICARSI ALLO STUDIO.
IL SANTO APPARE AD UN COMPAGNO
CHE Sl DEDICAVA ALLA PREDICAZIONE
781
195. Provava vivo dolore se uno si dedicava alla scienza trascurando la virtù, soprattutto se
non rimaneva stabile nella vocazione in cui era quando da principio fu chiamato «I miei frati--diceva-che si lasciano attrarre dalla curiosità della scienza, si troveranno le mani vuote nel giorno della
retribuzione. Preferirei che si irrobustissero maggiormente con le virtù in modo da avere con loro il
Signore nell'angustia, una volta giunta l'ora della tribolazione. Perché --continuò--sta per giungere una
tribolazione tale che i libri, buoni a nulla, saranno abbandonati negli armadi e nei ripostigli ».
Non diceva questo perché gli dispiacessero gli studi della Scrittura, ma per distogliere tutti da
una premura eccessiva di imparare, e perché preferiva che fossero tutti buoni per carità piuttosto che
saputelli per curiosità.
Presentiva anche che sarebbe venuto presto il tempo, in cui la scienza sarebbe stata occasione
di rovina, e al contrario sostegno dello spirito l'aver atteso alla vita spirituale.
782
Un frate laico desiderava aver un salterio e ne chiese licenza a Francesco. Ma egli invece del
salterio gli presentò della cenere.
783
Ad uno dei suoi compagni che si dedicava un tempo alla predicazione, apparve in visione dopo
morte e glielo proibì, ordinandogli di seguire la via della semplicità. E Dio è testimone che, dopo
questa visione, il frate provò tanta dolcezza, che per numerosi giorni ebbe l'impressione che gli
risuonassero direttamente all'orecchio le parole stillanti rugiada del Padre.
LE DEVOZIONI PARTICOLARI DEL SANTO
CAPITOLO CXLVIII
SUA COMMOZIONE NEL SENTIRE NOMINARE L' AMORE Dl DlO
784
196. Penso che non sia inutile né indegno toccare di passaggio e in breve le devozioni
particolari di san Francesco. Questo uomo praticava tutte le devozioni, perché godeva dell'unzione
dello Spirito, tuttavia provava uno speciale affetto verso alcune forme particolari di pietà.
Fra le altre parole, che ricorrevano spesso nel parlare, non poteva udire l'espressione « amore
di Dio » senza provare una certa commozione. Subito infatti, al suono di questa espressione «amore di
Dio» si eccitava, si commoveva e si infiammava, come se venisse toccata col plettro della voce la
corda interiore del cuore.
È una prodigalità da nobili, ripeteva, offrire questa ricchezza in cambio dell'elemosina e sono
quanto mai stolti quelli che l'apprezzano meno del denaro. Da parte sua, osservò infallibilmente sino
alla morte il proposito, che aveva fatto quando era ancora nel mondo, di non respingere alcun povero
che gli chiedesse per amore di Dio.
Una volta un povero gli chiese la carità per amore di Dio. Siccome non aveva nulla, il Santo
prese di nascosto le forbici e si preparò a spartire la sua misera tonaca. E l'avrebbe certamente fatto
se non fosse stato scoperto dai frati, ai quali però ordinò di provvedere con altro compenso al povero.
Diceva: « Dobbiamo amare molto l'amore di Colui che ci ha amati molto ».
CAPITOLO CXLIX
LA SUA DEVOZIONE AGLI ANGELI.
COSA FACEVA PER AMORE Dl SAN MICHELE
785
197. Venerava col più grande affetto gli angeli, che sono con noi sul campo di battaglia e con
noi camminano in mezzo all'ombra della morte. Dobbiamo venerare, diceva questi compagni che ci
seguono ovunque e allo stesso modo invocarli come custodi. Insegnava che non si deve offendere il loro
sguardo, né osare alla loro presenza ciò che non si farebbe davanti agli uomini. E proprio perché in
coro si salmeggia davanti agli angeli, voleva che tutti quelli che potevano si radunassero nell'oratorio
e lì salmeggiassero con devozione.
Ripeteva spesso che si deve onorare in modo più solenne il beato Michele, perché ha il compito
di presentare le anime a Dio. Perciò ad onore di san Michele, tra la festa dell'Assunzione e la sua,
digiunava con la massima devozione per quaranta giorni. E diceva: «Ciascuno ad onore di così glorioso
principe dovrebbe offrire a Dio un omaggio di lode o qualche altro dono particolare».
CAPITOLO CL
SUA DEVOZIONE ALLA NOSTRA SIGNORA
ALLA QUALE AFFIDÒ IN MODO PARTICOLARE L'ORDINE
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198. Circondava di un amore indicibile la Madre di Gesù, perché aveva reso nostro fratello il
Signore della maestà. A suo onore cantava lodi particolari, innalzava preghiere, offriva affetti tanti e
tali che lingua umana non potrebbe esprimere, Ma ciò che maggiormente riempie di gioia, la costituì
Avvocata dell'Ordine e pose sotto le sue ali i figli, che egli stava per lasciare, perché vi trovassero
calore e protezione sino alla fine.
Orsù, Avvocata dei poveri! Adempi verso di noi il tuo ufficio di Protettrice fino al tempo
prestabilito dal Padre.
CAPITOLO CLI
LA SUA DEVOZIONE AL NATALE DEL SIGNORE
E COME VOLEVA CHE IN TALE GIORNO
Sl PORTASSE SOCCORSO A TUTTI
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199. Al di sopra di tutte le altre solennità celebrava con. ineffabile premura il Natale del
Bambino Gesù, e chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato
ad un seno umano. Baciava con animo avido le immagini di quelle membra infantili, e la compassione
del Bambino, riversandosi nel cuore, gli faceva anche balbettare parole di dolcezza alla maniera dei
bambini. Questo nome era per lui dolce come un favo di miele in bocca.
Un giorno i frati discutevano assieme se rimaneva l'obbligo di non mangiare carne, dato che il
Natale quell'anno cadeva in venerdì. Francesco rispose a frate Morico: «Tu pecchi, fratello, a chiamare
venerdì il giorno in cui è nato per noi il Bambino. Voglio che in un giorno come questo anche i muri
mangino carne, e se questo non è possibile, almeno ne siano spalmati all'esterno.
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200. Voleva che in questo giorno i poveri ed i mendicanti fossero saziati dai ricchi, e che i buoi
e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più abbondante del solito. «Se potrò parlare
all'imperatore -- diceva -- lo supplicherò di emanare un editto generale, per cui tutti quelli che ne
hanno possibilità, debbano spargere per le vie frumento e granaglie, affinché in un giorno di tanta
solennità gli uccellini e particolarmente le sorelle allodole ne abbiano in abbondanza».
Non poteva ripensare senza piangere in quanta penuria si era trovata in quel giorno la Vergine
poverella. Una volta, mentre era seduto a pranzo, un frate gli ricordò la povertà della beata Vergine e
l'indigenza di Cristo suo Figlio. Subito si alzò da mensa, scoppiò in singhiozzi di dolore, e col volto
bagnato di lacrime mangiò il resto del pane sulla nuda terra.
Per questo chiamava la povertà virtù regale, perché rifulse con tanto splendore nel Re e nella
Regina.
Infatti ai frati, che adunati a Capitolo gli avevano chiesto quale virtù rendesse una persona più
amica a Cristo: « Sappiate--rispose, quasi aprendo il segreto del suo cuore--che la povertà è una via
particolare di salvezza. Il suo frutto è molteplice, ma solo da pochi è ben conosciuto ».
CAPITOLO CLII
LA SUA DEVOZIONE AL CORPO DEL SIGNORE
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201. Ardeva di amore in tutte le fibre del suo essere verso il sacramento del Corpo del Signore,
preso da stupore oltre ogni misura per tanta benevola degnazione e generosissima carità. Riteneva
grave segno di disprezzo non ascoltare ogni giorno la Messa, anche se unica, se il tempo lo permetteva.
Si comunicava spesso e con tanta devozione da rendere devoti anche gli altri. Infatti, essendo colmo di
reverenza per questo venerando sacramento, offriva il sacrificio dl tutte le sue membra, e, quando
riceveva l'agnello immolato, immolava lo spirito in quel fuoco, che ardeva sempre sull'altare del suo
cuore.
Per questo amava la Francia, perché era devota del Corpo del Signore, e desiderava morire in
essa per la venerazione che aveva dei sacri misteri.
Un giorno volle mandare i frati per il mondo con pissidi preziose, perché riponessero in luogo il
più degno possibile il prezzo della redenzione, ovunque lo vedessero conservato con poco decoro. ).
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Voleva che si dimostrasse grande rispetto alle mani del sacerdote, perché ad esse è stato
conferito il divino potere di consacrare questo sacramento. «Se mi capitasse - diceva spesso - di
incontrare insieme un santo che viene dal cielo ed un sacerdote poverello, saluterei prima il prete e
correrei a baciargli le mani. Direi infatti: Ohi! Aspetta, san Lorenzo, perché le mani di costui toccano
il Verbo di vita e possiedono un potere sovrumano!»
CAPITOLO CLIII
LA SUA DEVOZIONE ALLE RELIQUIE DEI SANTI
202. Zelantissimo com'era del culto divino, questo uomo non trascurava di onorare
debitamente nulla di ciò che si riferisce a Dio.
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Mentre si trovava a Monte Casale, in territorio di Massa, comandò ai frati di trasportare con la
massima riverenza le sante reliquie da una chiesa completamente abbandonata alla loro casa. Sentiva
pena che già da troppo tempo fossero rimaste senza venerazione. Ma, essendo egli partito di lì per
urgente motivo, i figli dimenticarono l'ordine del Padre e non tennero in gran conto il merito
dell'obbedienza.
Un giorno, mentre i frati si preparavano a celebrare la Messa, tolsero, come d'uso, la coperta
dell'altare: trovarono ossa bellissime, che spandevano un soave profumo, e rimasero assai stupiti a
quello spettacolo mai visto.
Ritornato poco dopo il Santo, si informò diligentemente se avevano eseguito il suo comando.
Ma i frati confessarono umilmente la loro colpa, di aver trascurata l'obbedienza, e con la penitenza
ottennero anche il perdono. Il Santo esclamò: «Sia benedetto il Signore mio Dio, che ha compiuto lui
stesso ciò che avreste dovuto fare voi!».
Considera ora attentamente quanto sia stato devoto Francesco, osserva quale sia la premura
di Dio per la nostra polvere e intona un canto di lode alla santa obbedienza. Perché se alla voce del
Santo non si è piegato l'uomo, alle sue preghiere ha obbedito Dio.
CAPITOLO CLIV
LA SUA DEVOZIONE ALLA CROCE E UN SEGRETO MISTERIOSO
792
203. Infine, chi potrebbe spiegare o chi potrebbe capire come la sua unica gloria sia stata
nella croce del Signore? Solo lo può sapere chi, unico, ha avuto la grazia di provarlo.
Certo, anche se ne avessimo qualche leggera esperienza, le nostre parole, insudiciate come
sono dall'uso di cose comuni e senza valore, non sarebbero in grado di esprimere così grandi
meraviglie. E forse, proprio per questo si è dovuto manifestare nella carne, perché sarebbe stato
impossibile esprimerlo a parole.
Parli dunque il silenzio, dove vien meno la parola, perché dove non soccorre l'espressione,
anche la cosa segnata grida da sé. Solo questo ascolti l'orecchio umano, che non è ancora in tutto
chiaro per qual motivo sia apparso nel Santo questo mistero; infatti quel tanto che è stato da lui
rivelato non si può comprendere che in funzione del futuro. Sarà veritiero e degno di fede, colui al
quale saranno testimoni natura, legge e grazia.
LE POVERE DAME
CAPITOLO CLV
COME VOLEVA CHE I FRATI SI COMPORTASSERO CON LORO
793
204. Non è giusto tralasciare il ricordo dell'edificio spirituale, molto più nobile di quello
materiale, che il Padre dopo la riparazione della chiesa, innalzò in quel luogo sotto la guida dello
Spirito Santo, per accrescere la città celeste.
E non si può credere che Cristo gli abbia parlato dal legno della Croce in un modo così
stupendo da incutere timore e dolore in chi ne sente parlare, solo per riparare un'opera cadente,
destinata a perire. Ma, come un tempo aveva predetto lo Spirito Santo, lì doveva sorgere un Ordine di
sante vergini, destinato ad essere trasferito a suo tempo, come massa scelta di pietre vive, per
restaurare la casa celeste.
Veramente, dopo che le vergini di Cristo cominciarono a raccogliersi in quel luogo provenendo
da varie parti del mondo e vi fecero professione di somma perfezione osservando una povertà
altissima, nello splendore di ogni virtù, il Padre sottrasse loro a poco a poco la sua presenza fisica.
Tuttavia intensificò la sua premura amandole ancor più nello Spirito Santo.
Infatti, quando il Padre, dalle numerose prove di altissima perfezione che avevano date, le
conobbe pronte a sostenere per Cristo ogni danno terreno ed ogni sacrificio e decise a non deviare mai
dalle sante norme ricevute, promise fermamente a loro ed alle altre, che avrebbero professata la
povertà nella stessa forma di vita, che avrebbe dato il suo aiuto e consiglio e quello dei suoi frati in
perpetuo. Finché visse, mantenne sempre scrupolosamente queste promesse e, prossimo a morire,
comandò con premura che si continuasse sempre: perché, diceva, un solo e medesimo spirito ha fatto
uscire i frati e quelle donne poverelle da questo mondo malvagio.
794
205. E poiché i frati un giorno mostravano meraviglia, perché non visitasse più spesso
personalmente quelle ancelle di Cristo, così sante, rispose: «Non crediate, carissimi, che io non le ami
pienamente. Se infatti fosse una colpa prendersi cura di loro in Cristo, non sarebbe ancora più grave
l'averle sposate a Cristo? Non averle chiamate, certo, non sarebbe stata colpa, ma non averne cura
dopo averle chiamate, sarebbe enorme crudeltà. Ma vi do l'esempio perché anche voi facciate come io
ho fatto. Non voglio che alcuno si offra spontaneamente a fare loro visita, ma ordino che siano
incaricati del loro servizio quelli che lo fanno contro voglia e sono maggiormente riluttanti, e soltanto
persone di spirito, provati da una degna e lunga vita religiosa».
CAPITOLO CLVI
RIPRENDE ALCUNI
CHE ANDAVANO VOLENTIERI Al MONASTERI
795
206. Un frate aveva in monastero due figlie di perfetta condotta religiosa. Un giorno si offrì
volentieri per portare là un piccolo e povero dono da parte del Santo, ma questi lo riprese con estrema
durezza, con parole che qui non posso riferire. E così, il dono fu inviato per mezzo di un altro, che non
voleva saperne, ma poi accondiscese.
Un altro frate d'inverno, mosso da compassione, si recò ad un altro monastero, non tenendo
conto della proibizione del Santo, così tassativa. Quando Francesco lo venne a sapere, lo fece
camminare senza tonaca per parecchie miglia, nel freddo intensissimo della neve.
CAPITOLO CLVII
LA PREDICA FATTA PIÙ CON L' ESEMPIO
CHE CON LA PAROLA
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207. Mentre si trovava presso San Damiano, il Padre fu supplicato più volte dal suo vicario di
esporre alle sue figlie la parola di Dio e, alla fine, vinto da tanta insistenza, accettò.
Quando furono riunite come di consueto per ascoltare la parola del Signore, ma anche per
vedere il Padre, Francesco alzò gli occhi al cielo, dove sempre aveva il cuore e cominciò a pregare
Cristo. Poi ordinò che gli fosse portata della cenere, ne fece un cerchio sul pavimento tutto attorno
alla sua persona, ed il resto se lo pose sul capo.
Le religiose aspettavano e, al vedere il Padre immobile e in silenzio dentro al cerchio di
cenere, sentivano l'animo invaso dallo stupore. Quando, ad un tratto, il Santo si alzò e nella sorpresa
generale in luogo del discorso recitò il salmo Miserere. E appena finito, se ne andò rapidamente fuori.
Per questo comportamento carico di significato, le serve del Signore provarono tanta
contrizione, che scoppiarono in un profluvio di lacrime e a stento si trattennero dal punirsi con le loro
stesse mani.
Col fatto aveva insegnato loro a stimarsi cenere, e inoltre che il suo cuore non provava altro
sentimento a loro riguardo che non fosse conforme a questo pensiero.
Questa era la sua condotta con le religiose, queste le sue visite utilissime, rare però e
giustificate da necessità. Questa la sua volontà per tutti i frati: essi dovevano servirle per amore di
Cristo, di cui sono serve, ma in modo da guardarsi sempre, come uccelli, dai lacci tesi davanti a loro.
ELOGIO DELLA REGOLA DEI FRATI
CAPITOLO CLVIII
PAROLE Dl ELOGIO PER LA REGOLA
E COME UN FRATE LA PORTAVA CON SÉ
797
208. Francesco era zelantissimo per la vita comune e la Regola, e lasciò una particolare
benedizione a quanti ne zelavano l'osservanza.
Questa, ripeteva, è il libro della vita, speranza di salvezza, midollo del Vangelo, via della
perfezione, chiave del Paradiso, patto di eterna alleanza. Voleva che tutti ne avessero il testo e la
conoscessero molto bene, e ne facessero sempre oggetto di meditazione con l'uomo interiore, come
sprone contro l'indolenza ed a memoria delle promesse giurate. Insegnò ad averla sempre davanti agli
occhi, come richiamo alla propria condotta, e, ciò che più importa, a morire con essa.
798
Si ricordò di questo insegnamento un frate laico, che a nostro avviso è da venerare nel numero
dei martiri, e conseguì la palma di una gloriosa vittoria. Mentre era trascinato al martirio dai Saraceni,
si inginocchiò e tenendo con la estremità delle mani la Regola, disse al compagno: «Fratello carissimo,
mi accuso davanti alla Maestà Divina e davanti a te di tutte le colpe che ho commesso contro questa
santa Regola».
Alla breve confessione tenne dietro la spada e così terminò la vita col martirio. Più tardi si rese
celebre con miracoli e prodigi.
Era entrato nell'Ordine così giovinetto, che a stento poteva sopportare il digiuno prescritto
dalla Regola. Eppure così fanciullo portava sulla nuda carne il cilizio ! Giovane felice, che ha
cominciato santamente, per concludere ancora più felicemente la sua vita!
CAPITOLO CLIX
UNA VISIONE CHE GLORIFICA LA REGOLA
799 209. Una volta il padre santissimo ebbe dal cielo una visione, che si riferisce alla Regola.
Al tempo in cui i frati tenevano adunanze per discutere la conferma della Regola, il Santo, che
era molto preoccupato della cosa, fece questo sogno. Gli sembrava di aver raccolto da terra
sottilissime briciole di pane e di doverle distribuire a molti frati affamati, che gli stavano attorno. E
siccome esitava temendo che briciole così fini, come piccoli granelli di polvere, gli sfuggissero dalle
mani, si udi una voce che gli gridava dall'alto: «Francesco, con tutte le briciole forma una sola ostia e
dàlla da mangiare a chi vuole». Egli obbedì e quelli che non la ricevevano con devozione, o
disprezzavano il dono ricevuto, subito apparivano chiaramente colpiti dalla lebbra.
Al mattino il Santo raccontò tutto ai compagni, dolente di non capire il significato misterioso
della visione. Ma poco dopo, mentre vegliava in preghiera, gli giunse dal cielo questa voce:
«Francesco, le briciole della notte scorsa sono le parole del Vangelo, l'ostia è la Regola, la lebbra
l'iniquità ».
Per quanto riguarda la fedeltà che avevano giurata, i frati di quel tempo non la ritenevano
dura o gravosa, ma erano prontissimi a fare in tutto più del dovere. Del resto, è chiaro che non vi può
essere tiepidezza o pigrizia dove lo stimolo dell'amore sprona sempre più in alto.
LE MALATTIE Dl SAN FRANCESCO
CAPITOLO CLX
COLLOQUIO CON UN FRATE
RIGUARDO AL DOVERE DI CURARE IL CORPO
800
210. Francesco, araldo di Dio, si incamminò sulle vie di Cristo attraverso numerose pene e
gravi malattie, e non ritrasse il piede sino a quando coronò il buon inizio con una fine ancora più santa.
Infatti, sebbene privo di forze e con il corpo tutto rovinato, mai ebbe una pausa nella corsa
verso la perfezione, mai permise che si addolcisse il rigore della disciplina. Tanto è vero, che anche
quando il corpo era sfinito, non si sentiva di usargli qualche riguardo senza rimorso di coscienza.
Un giorno dovendo lenire, sia pure contro volontà, le sofferenze del corpo con vari medicinali,
perché i dolori erano superiori alle sue forze, si rivolse con fiducia ad un frate, perché sapeva che gli
avrebbe dato un consiglio saggio.
«Cosa ne pensi, figlio carissimo, del fatto che la mia coscienza mi rimprovera spesso della cura
che ho per il corpo? Forse teme che io gli sia troppo indulgente perché è ammalato, e cerchi di
soccorrerlo con medicamenti rari. Non già che il corpo provi diletto in qualche cosa, perché rovinato
com'è da lunga malattia ha perduto ogni gusto».
211. Il figlio rispose al Padre con grande accortezza, conoscendo che il Signore gli suggeriva le
parole: « Dimmi, Padre, se credi: non è stato pronto il tuo corpo ad obbedire ai tuoi ordini?».
«Gli rendo testimonianza, figlio, che fu obbediente in tutto, in nulla si è risparmiato, ma si
precipitava quasi di corsa ad ogni comando. Non ha sfuggito nessuna fatica, non ha rifiutato nessun
sacrificio, purché gli fosse possibile obbedire. In questo, io e lui, siamo stati perfettamente d'accordo,
di servire senza riserva alcuna Cristo Signore ».
E il frate: « Dov'è dunque, Padre, la tua generosità, dov'è la pietà e la tua somma discrezione?
È questa la riconoscenza che si dimostra agli amici fedeli, ricevere da loro un beneficio e non
ricambiarlo nel tempo della necessità? Quale servizio a Cristo tuo Signore hai potuto fare sino ad ora
senza l'aiuto del corpo? Come tu stesso dici, non ha affrontato per questo ogni pericolo?».
«Sì, lo ammetto, figlio -- rispose il Padre --. E verissimo!».
«E allora--proseguì il frate--è ragionevole che tu venga meno in così grande necessità ad un
amico tanto fedele, che per te ha esposto se stesso e tutti i suoi beni sino alla morte? Lungi da te,
Padre, aiuto e sostegno degli afflitti, lungi da te questo peccato contro il Signore! ».
«Benedetto anche tu, figlio mio--concluse il Santo-- perché sei venuto incontro ai miei dubbi
con rimedi così saggi e salutari!».
E rivolgendosi al corpo, cominciò a dirgli tutto lieto: « Rallegrati, frate corpo, e perdonami:
ecco, ora sono pronto a soddisfare i tuoi desideri, mi accingo volentieri a dare ascolto ai tuoi
lamenti!».
Ma cosa avrebbe potuto recare conforto a quel povero corpo quasi estinto? Cosa offrirgli a
sostegno, essendo in ogni sua parte in rovina? Francesco era già morto a questo mondo, ma Cristo
viveva in lui. Le delizie del mondo erano per lui una croce, perché portava radicata nel cuore la Croce
di Cristo. E appunto per questo le stimmate rifulgevano all'esterno nella carne, perché dentro la sua
radice gli si allungava profondissima nell 'animo.
CAPITOLO CLXI
PROMESSA FATTAGLI DAL SIGNORE PER LE SUE INFERMITÀ
212. È incredibile come le sue forze potessero resistere, essendo tutto il corpo stremato dai
dolori. E tuttavia queste sue tribolazioni, non le chiamava pene ma sorelle.
Certamente molte sono le ragioni delle sue sofferenze.
801
Anzitutto, per renderlo più glorioso nel trionfo, l'Altissimo gli affidò compiti difficili non solo al
principio del suo servizio, ma continuò a dargli occasione di gloria anche quando era già veterano.
Poi, in ciò ha lasciato un esempio ai suoi seguaci, in quanto non ha fatto niente con meno
fervore perché maturo di anni, e niente con meno rigore perché ammalato. E neppure senza motivo fu
la sua perfetta purificazione in questa valle di lacrime: con essa ha pagato sino all'ultimo spicciolo se
vi era rimasto qualcosa da bruciare, in modo da volare poi, purificatissimo, in cielo
Ma la principale ragione dei suoi dolori penso sia stata, come egli affermava di altri, la
speranza di ricevere nel sopportarli una grande ricompensa.
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213. Una notte, essendo sfinito più del solito per le gravi e diverse molestie delle sue malattie,
cominciò nelI'intimo del suo cuore ad avere compassione di se stesso. Ma, affinché lo spirito sempre
pronto non provasse, neppure per un istante, alcuna debolezza umana per il corpo, invocò Cristo e col
suo aiuto tenne saldo lo scudo della pazienza. Mentre pregava così impegnato in questa lotta, Signore
gli promise la vita eterna con questa similitudine:
«Supponi che la terra e l'universo intiero sia oro prezioso di valore inestimabile e che, tolto
ogni dolore, ti venga dato per le tue gravi sofferenze un tesoro di tanta gloria che, a suo confronto, sia
un niente l'oro predetto, neppure degno di essere nominato; non saresti tu contento e non
sopporteresti volentieri questi dolori momentanei? ».
«Certo sarei contento--rispose il Santo--e sarei contento smisuratamente!».
«Esulta dunque,--conclude il Signore--perché la tua infermità è caparra del mio regno e per il
merito della pazienza devi aspettarti con sicurezza e certezza di aver parte allo stesso regno ».
Quanta esultanza pensi che abbia provato questo uomo, beato per una promessa così felice?
Con quanta pazienza, non solo, ma anche con quanto amore avrà abbracciato le sofferenze fisiche?
Soltanto lui lo sa adesso perfettamente, perché allora non fu in grado di esprimerlo. Tuttavia ne fece
qualche cenno ai compagni, come poté.
803 In quella circostanza compose alcune Lodi delle creature, in cui le invita a lodare come è loro
possibile, il Creatore.
IL TRANSITO DEL PADRE SANTO
CAPITOLO CLXII
ESORTAZIONE E BENEDIZIONE DEI FRATI PRIMA Dl MORIRE
804
214. Alla morte dell'uomo--dice il saggio--sono svelate tutte le sue opere. È appunto ciò che
vediamo gloriosamente compiuto nel Santo. Percorrendo con animo pronto la via dei comandamenti di
Dio, giunse attraverso i gradi di tutte le virtù alla più alta vetta, e rifinito a regola d'arte, come un
oggetto in metallo duttile, sotto il martello di molteplici tribolazioni, raggiunse il limite ultimo di ogni
perfezione.
Fu allora soprattutto che brillarono maggiormente le sue mirabili azioni, e rifulse chiaramente
alla luce della verità che tutta la sua vita era stata divina, quando, dopo aver calpestato le attrattive
di questa vita mortale, se ne volò libero al cielo. Infatti, dimostrò di stimare una infamia vivere,
secondo il mondo, amò i suoi sino alla fine, accolse la morte cantando.
Quando sentì vicini gli ultimi giorni, nei quali alla luce effimera sarebbe succeduta la luce
eterna, mostrò con l'esempio delle sue virtù che non aveva niente in comune con il mondo. Sfinito da
quella malattia così grave, che mise termine ad ogni sua sofferenza, si fece deporre nudo sulla terra
nuda, per essere preparato in quell'ora estrema, in cui il nemico avrebbe potuto ancora sfogare la sua
ira, a lottare nudo con un avversario nudo.
In realtà aspettava intrepido il trionfo e con le mani unite stringeva la corona di giustizia.
Posto così in terra, e spogliato della veste di sacco, alzò, come sempre il volto al cielo e, tutto fisso
con lo sguardo a quella gloria, coprì con la mano sinistra la ferita del lato destro, perché non si
vedesse. Poi disse ai frati: «Io ho fatto il mio dovere; quanto spetta a voi, ve lo insegni Cristo! ».
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215. A tale vista, i figli proruppero in pianto dirotto e, traendo dal cuore profondi sospiri, quasi
vennero meno sopraffatti dalla commozione.
Intanto, calmati in qualche modo i singhiozzi, il suo guardiano, che aveva compreso per divina
ispirazione il desiderio del Santo, si alzò in fretta, prese una tonaca, i calzoni ed il berretto di sacco:
«Sappi--disse al Padre-- che questa tonaca, i calzoni ed il berretto, io te li do in prestito, per santa
obbedienza! E perché ti sia chiaro che non puoi vantare su di essi nessun diritto, ti tolgo ogni potere di
cederli ad altri ».
Il Santo sentì il cuore traboccare di gioia, perché capì di aver tenuto fede sino alla fine a
madonna Povertà. Aveva infatti agito in questo modo per amore della povertà, così da non avere in
punto di morte neppure l'abito proprio, ma uno ricevuto in prestito da altri.
Aveva poi l'abitudine di portare in testa un berretto di sacco per coprire le cicatrici riportate
nella cura degli occhi, mentre gli sarebbe stato necessario un copricapo di lana qualsiasi, purché fine e
morbidissima.
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216. Poi il Santo alzò le mani al cielo, glorificando il suo Cristo, perché poteva andare
libero a lui senza impaccio di sorta.
Ma per dimostrare che in tutto era perfetto imitatore di Cristo suo Dio, amò sino alla fine i
suoi frati e figli, che aveva amato fin da principio.
Fece chiamare tutti i frati presenti nella casa, e cercando di lenire il dolore che dimostravano
per la sua morte, li esortò con affetto paterno all'amore di Dio. Si intrattenne a lungo sulla virtù della
pazienza e sull'obbligo di osservare la povertà, raccomandando più di ogni altra norma il santo
Vangelo. Poi, mentre tutti i frati gli erano attorno, stese la sua destra su di essi e la pose sul capo di
ciascuno cominciando dal suo vicario: «Addio--disse--voi tutti figli miei, vivete nel timore del Signore e
conservatevi in esso sempre! E poiché si avvicina l'ora della prova e della tribolazione, beati quelli che
persevereranno in ciò che hanno intrapreso! Io infatti mi affretto verso Dio e vi affido tutti alla sua
grazia». E benedisse nei presenti anche tutti i frati, ovunque si trovassero nel mondo, e quanti
sarebbero venuti dopo di loro sino alla fine dei secoli.
807
Nessuno si usurpi questa benedizione, che impartì ai presenti per gli assenti. Come è stata
riportata altrove, ha chiaramente qualche riferimento personale, ma ciò va piuttosto riferito all'ufficio.
CAPITOLO CLXIII
ULTIME AZIONI DEL SANTO E SUA MORTE
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217. Mentre i frati versavano amarissime lacrime e si lamentavano desolati, si fece portare del
pane, lo benedisse, lo spezzò e ne diede da mangiare un pezzetto a ciascuno. Volle anche il libro dei
Vangeli e chiese che gli leggessero il Vangelo secondo Giovanni, dal brano che inizia: Prima della festa
di Pasqua ecc. Si ricordava in quel momento della santissima cena, che il Signore aveva celebrato con i
suoi discepoli per l'ultima volta, e fece tutto questo appunto a veneranda memoria di quella cena e per
mostrare quanta tenerezza di amore portasse ai frati.
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Trascorse i pochi giorni che gli rimasero in un inno di lode, invitando i suoi compagni
dilettissimi a lodare con lui Cristo. Egli poi, come gli fu possibile, proruppe in questo salmo: Con la
mia voce ho gridato al Signore, con la mia voce ho chiesto soccorso al Signore. Invitava pure tutte le
creature alla lode di Dio, e con certi versi, che aveva composto un tempo, le esortava all'amore divino.
Perfino la morte, a tutti terribile e odiosa, esortava alla lode, e andandole incontro lieto, la invitava
ad essere suo ospite: « Ben venga, mia sorella morte!».
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Si rivolse poi al medico: « Coraggio, frate medico, dimmi pure che la morte è imminente: per
me sarà la porta della vita! » E ai frati: «Quando mi vedrete ridotto alI'estremo, deponetemi nudo sulla
terra come mi avete visto ieri l'altro, e dopo che sarò morto, lasciatemi giacere così per il tempo
necessario a percorrere comodamente un miglio».
Giunse infine la sua ora, ed essendosi compiuti in lui tutti i misteri di Cristo, se ne volò
felicemente a Dio.
UN FRATE VEDE L' ANIMA DEL SANTO NEL SUO TRANSITO
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217a. Un frate suo discepolo, assai rinomato, vide l'anima del padre santissimo salire
direttamente al cielo. Era come una stella, ma con la grandezza della luna e lo splendore del sole, e
sorvolava la distesa delle acque trasportata in alto da una nuvoletta candida.
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Si radunò allora una grande quantità di gente, che lodava e glorificava il nome del Signore.
Accorse in massa tutta la città di Assisi e si affrettarono pure dalla zona adiacente per vedere le
meraviglie, che il Signore aveva manifestato nel suo servo. I figli intanto effondevano in lacrime e
sospiri il pio affetto del cuore, addolorati per essere rimasti orfani di tanto padre.
Ma la singolarità del miracolo mutò il pianto in giubilo e il lutto in esplosione di gioia.
Vedevano distintamente il corpo del beato padre ornato delle stimmate di Cristo e precisamente nel
centro delle mani e dei piedi, non i fori dei chiodi, ma i chiodi stessi formati dalla sua carne, anzi
cresciuti con la carne medesima, che mantenevano il colore oscuro proprio del ferro, e il costato
destro arrossato di sangue. La sua carne, prima oscura di natura, risplendendo di un intenso candore,
preannunziava il premio della beata risurrezione. Infine, le sue membra divennero flessibili e molli,
non rigide come avviene nei morti, ma rese simili a quelle di un fanciullo.
CAPITOLO CLXIV
LA VISIONE DI FRATE AGOSTINO IN PUNTO DI MORTE
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218. Era in quel tempo ministro dei frati della Terra di Lavoro frate Agostino. Da tempo aveva
perduto l'uso della parola, ma, quando giunse all'ora della morte, gridò tutto ad un tratto: «Aspettami,
Padre, aspetta! Ecco, ora vengo con te ».
Tutti i presenti l'udirono e si chiedevano sorpresi a chi parlasse a questo modo. « Non vedete -rispose con sicurezza--il nostro padre Francesco, che va in cielo? ». E subito la sua anima santa, libera
dalla carne, seguì il padre santissimo.
CAPITOLO CLXV
DOPO LA SUA MORTE IL PADRE APPARE AD UN FRATE
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219. In quella notte e alla stessa ora, il padre glorioso apparve ad un altro frate di vita
lodevole, mentre era intento a pregare. Era vestito di una dalmatica di porpora, e lo seguiva una folla
innumerevole di persone.
Alcuni si staccarono dal gruppo per chiedere al frate: «Costui non è forse Cristo, o fratello?».
«Sì, è lui », rispondeva.
Ed altri di nuovo lo interrogavano: « Non è questi san Francesco? ».
E il frate allo stesso modo rispondeva affermativamente. In realtà sembrava a lui e a tutta
quella folla che Cristo e Francesco fossero una sola persona.
Questa affermazione non può essere giudicata temeraria da chi sa intendere bene, perché chi
aderisce a Dio diventa un solo spirito con Lui e lo stesso Dio sarà tutto in tutti.
Alla fine, il Padre e quel corteo meraviglioso giunsero in un luogo quanto mai delizioso, dove
scorrevano acque limpidissime Era tutto uno splendore di erbe, di fiori, di alberi di ogni specie. Nel
mezzo sorgeva un palazzo di straordinaria grandezza e bellissimo. Il nuovo cittadino del cielo vi entrò
festoso, e avendo notato numerosi frati attorno ad una mensa, preparata splendidamente e
traboccante di ogni sorta di delizie, cominciò con i suoi a banchettare gioiosamente .
CAPITOLO CLXVI
VISIONE DEL VESCOVO Dl ASSISI
RIGUARDANTE IL TRANSITO DEL PADRE
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220. Il vescovo di Assisi in quel tempo era andato in pellegrinaggio alla chiesa di San Michele.
Mentre nel ritorno si era fermato a Benevento, gli apparve Francesco, nella notte del suo trapasso, e
gli disse: «Ecco, Padre, lascio il mondo e vado a Cristo».
Al mattino svegliatosi, il vescovo narrò ai compagni la visione e, chiamato un notaio, fece
segnare il giorno e l'ora del transito. Ne fu molto rattristato e pianse per il dolore di avere perduto il
migliore dei padri.
Ritornato poi alla sua terra, raccontò ogni cosa e ringraziò senza fine il Signore per i suoi doni.
CANONIZZAZIONE E TRASLAZIONE Dl SAN FRANCESCO
816 220a. Nel nome del Signore Gesù. Amen. Nell'anno della sua Incarnazione 1226, il 3 ottobre,l
nel giorno che aveva predetto, compiuti vent'anni da quando aveva aderito in modo perfettissimo a
Cristo seguendo la vita e le orme degli Apostoli, l'uomo apostolico Francesco, sciolto dai ceppi di
questa vita mortale, passò felicemente a Cristo. E sepolto presso la città di Assisi, cominciò a
risplendere ovunque per tanti e così vari miracoli, che indusse in breve tempo gran parte del mondo ad
ammirare il secolo rinnovato.
Poiché già in diverse parti, si era reso famoso per lo splendore di nuovi miracoli, affluivano da
ogni luogo persone gioiose di essere state liberate col suo aiuto dai loro affanni, il signor papa
Gregorio, trovandosi a Perugia con tutti i cardinali ed altri prelati, cominciò a trattare la sua
canonizzazione. Tutti furono concordi e si dissero favorevoli. Lessero e approvarono i miracoli, che il
Signore aveva operato per mezzo del suo servo, ed esaltarono con le più alte lodi la santità della sua
vita.
Anzitutto vennero convocati a tanta solennità i principi della terra. Poi, nel giorno fissato,
tutto lo stuolo dei prelati e una infinita moltitudine di popolo accompagnarono il Papa in Assisi, per
celebrarvi, a maggiore onore del Santo, la sua canonizzazione. Quando tutti si trovarono nel luogo
preparato per una circostanza così solenne, da principio papa Gregorio parlò al popolo ed annunziò con
affetto dolcissimo le meraviglie del Signore. Poi, con un nobilissimo discorso, tessé le lodi del padre
san Francesco, versando lacrime di commozione mentre esponeva la purezza della sua vita.
Finito il discorso, papa Gregorio alzò le mani al cielo e con voce sonora proclamò,...
PREGHIERA DEI COMPAGNI DEL SANTO
CAPITOLO CLXVII
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221. Ecco, beato padre, abbiamo tentato nella nostra semplicità di lodare, come meglio ci è
stato possibile, le tue mirabili azioni e di esporre a tua gloria almeno alcuni aspetti delle innumerevoli
virtù della tua santità.
Siamo convinti che le nostre parole hanno tolto molto splendore alla tua grandezza, perché
non sono in grado di esprimere i prodigi di tanta perfezione. Chiediamo a te ed ai lettori di misurare il
nostro affetto dall'impegno che ci siamo assunti, lieti che la penna umana sia superata dall'altezza di
così mirabile vita.
Chi infatti, o grande Santo, potrebbe sentire in sé o imprimere negli altri l'ardore del tuo
spirito? Chi dar vita agli ineffabili slanci d'amore, che da te salivano continuamente a Dio? Ma abbiamo
scritto queste pagine, attratti dal dolce ricordo che abbiamo di te, nel desiderio di tramandarlo,
finché vivremo, anche se solo balbettando, agli altri.
Tu ormai ti nutri col fiore di frumento, di cui eri affamato; ora ti disseti al torrente delle
delizie, di cui prima eri assetato. Ma non crediamo che l'abbondanza della casa di Dio ti abbia così
inebriato, da farti dimenticare i tuoi figli perché anche Colui che ti disseta si ricorda di noi.
Attiraci dunque a te, o Padre santo, perché corriamo nella fragranza dei tuoi profumi: tu vedi
quanto siamo tiepidi e accidiosi, languidi e pigri, quasi morti per la nostra negligenza! Il piccolo gregge
ti segue già con passo incerto, e gli occhi deboli, abbagliati, non sopporta i raggi della tua perfezione.
Rinnova i nostri giorni, come all'inizio, specchio e modello dei perfetti, e non permettere che siano
dissimili nella vita quelli che ti sono conformi nella professione!
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222. Ora presentiamo le nostre umili preghiere alla clemenza della Maestà eterna per il servo
di Cristo, il nostro ministro, erede della tua umiltà e tuo seguace nella vera povertà. Egli cura le sue
pecorelle con sollecitudine e dolce affetto, per amore del tuo Cristo. Noi ti preghiamo, o Santo, di
favorirlo e sostenerlo in tale modo, che, sempre aderendo alle tue stesse orme, possa entrare in
possesso eterno di quella lode e gloria, che tu hai conseguito.
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223. Ti supplichiamo anche, con tutto l'affetto del cuore, o benignissimo Padre, per il tuo
figlio, che ora come in passato ha scritto devotamente le tue lodi. Ha composto questo libretto con
pietà filiale secondo le sue capacità, anche se non è degno dei tuoi meriti, e insieme a noi te lo offre e
te lo dedica. Degnati di conservarlo e liberarlo da ogni male, aumenta in lui i meriti di santità, e con le
tue preghiere rendilo partecipe in eterno della compagnia dei santi.
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224. Ricordati, o Padre, di tutti i tuoi figli. Tu, o santissimo, conosci perfettamente come,
angustiati da gravi pericoli, solo da lontano seguono le tue orme. Dà loro forza per resistere, purificali
perché risplendano, rendili fecondi perché portino frutto. Ottieni che sia effuso su di loro lo spirito di
grazia e di preghiera, perché abbiano la vera umiltà che tu hai avuto, osservino la povertà che tu hai
seguito, meritino quella carità con cui tu hai sempre amato Cristo crocifisso. Egli vive e regna col
Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.
TRATTATO DEI MIRACOLI
DI SAN FRANCESCO
DI
TOMMASO DA CELANO
Traduzione di
TEODOSIO LOMBARDI
e
MAURIZIO MALAGUTI
BENCHE' possa essere considerato come un complemento della Vita seconda il Trattato dei
miracoli che -- dietro pressioni soprattutto di Giovanni da Parma -- Tommaso da Celano portò a
termine verso il 1252 1253, ha pure dei precisi valori e significati autonomi e nuovi.
Un valore e un significato, anzitutto, di glorificazione, non solo di Francesco “stimmatizzato”
ma del movimento religioso da lui suscitato. Calata in un contesto pregnante di misteriosi “presagi“,
la glorificazione dei << due ordini >> religiosi fondati dal Santo ( ma con omissione forse non casuale
del << terzo >>) è protesa verso la rivendicazione di una loro << tanto celebrata che famosa missione >>
nella Chiesa e nella società cristiana. Questi accenti palesano probabilmente l'immanenza, nel
Trattato, di alcune attenzioni e preoccupazioni di Giovanni da Parma, ministro generale.
Un valore e un significato, inoltre, documentario: di costatazione della diffusione del culto di
Francesco, attorno alla metà del secolo XIII, in tutta Europa e nel vicino Oriente; di chiese
francescane costruite o in costruzione; di immagini di Francesco stimmatizzato: “il tutto in riquadri
che richiamano da vicino le tavolette votive dei santuari, ripiene di accidentata, sofferta, talvolta
polemica presenza, in scene di lavoro febbrile e di invocazioni devote“ ( cfr. Introduzione qui, p. 238).
Scomparso di circolazione in seguito al decreto capitolare del 1266 -- e dubitato perfino della
sua esistenza --, il Trattato dei miracoli ci è stato restituito, fortuitamente, soltanto nel 1899, in un
unico manoscritto (c. 1300) che, edito dapprima dal bollandista F. van Ortroy, servì agli editori di
Quaracchi per la loro edizione (in AF, X, pagine 269 - 331, e si veda anche, ivi, M. Bihl, pp. XXXVI - XLII
). Su questa stessa edizione è stato ricavato anche il nostro volgarizzamento.
Incomincia il trattato dei miracoli
di san Francesco
CAPITOLO I
LA MIRABILE ORIGINE DELLA SUA RELIGIONE
821 1. Nel primo capitolo di questa narrazione, nella quale ci siamo sobbarcati a scrivere i miracoli del
santissimo padre nostro Francesco, abbiamo ritenuto bene collocare, primo di ogni altro, quel prodigio
solenne dal quale il mondo fu come avvertito, scosso e terrorizzato. Tale fu appunto la nascita della
Religione, fecondità della donna sterile, generazione di una discendenza con tante ramificazioni.
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Guardava con preoccupazione il vecchio mondo imbrattato nel sudiciume dei vizi, gli ordini
(sacri) insensibili agli esempi degli apostoli e, mentre la notte dei peccati era a metà del suo corso,
era imposto il silenzio alle sacre discipline; quand'ecco, all'improvviso, emerse sulla terra un uomo
nuovo, e all'apparire subitaneo di un nuovo esercito, i popoli furono ripieni di stupore davanti ai segni
della rinnovata età apostolica. È ora d'un tratto portata alla luce la perfezione già sepolta della Chiesa
primitiva, di cui il mondo leggeva sì le meraviglie, ma non vedeva l'esempio. Perché dunque non si
potrà dire che gli ultimi saranno i primi, quando ormai si sono, mirabilmente, trasformati i cuori dei
padri nei figli, e quelli dei figli nei padri? O si potrà forse misconoscere il compito così celebre e
famoso dei due Ordini, e non ritenerlo come presagio di qualcosa di grande che debba accadere tra
breve? Di fatto, dal tempo degli apostoli non fu mai proposto al mondo insegnamento così autorevole,
così mirabile.
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È da ammirare, inoltre, la fecondità della donna sterile. Sterile, ripeto e arida questa
Religione poverella, perché ben lontana dal terreni umidi. Sterile davvero, perché non miete non
ammassa nei granai non porta sulla strada del .Signore una bisaccia ricolma. E tuttavia, contro ogni
speranza, questo Santo credette nella speranza che sarebbe diventato erede del mondo e non
considerò privo di virilità il suo corpo né sterile il seno di Sara, certo che la divina potenza poteva
generare da essa il popolo ebreo.
Questa Religione infatti non si sostiene con cantine ricolme, dispense abbondantemente
fornite, amplissimi poderi, ma dalla stessa povertà per la quale si rende degna del cielo, viene
meravigliosamente alimentata nel mondo O debolezza di Dio, più forte dell'umana fortezza, che porta
gloria alla nostra croce e somministra abbondanza alla povertà!
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Abbiamo infine contemplato questa vigna che, cresciuta in pochissimo tempo, ha esteso da
mare a mare i suoi tralci fruttiferi. Da ogni parte sono accorse moltitudine di uomini si riversarono a
frotte e, d'un tratto si radunarono le pietre vive per la perfetta struttura di questo meraviglioso
tempio. E non soltanto la vediamo in breve tempo moltiplicata nel numero dei figli, ma anche
glorificata, poiché parecchi di quelli che ha generato, sappiamo che hanno conseguito la palma del
martirio, e veneriamo nell'albo dei santi molti dl essi, a motivo della perfetta pratica della virtù. Ma,
detto questo, volgiamo ormai il discorso al Capo di tutti costoro di lui ora intendiamo trattare.
CAPITOLO II
IL MIRACOLO DELLE STIMMATE
E LA MANIERA IN CUI IL SERAFINO GLI APPARVE
825 2. L'uomo nuovo Francesco si rese famoso per un nuovo e stupendo miracolo, quando apparve
insignito di un singolare privilegio, mai concesso nei secoli precedenti, quando cioè fu decorato delle
sacre stimmate e reso somigliante in questo corpo mortale al corpo del Crocifisso. Qualunque cosa si
possa umanamente dire di lui sarà sempre inferiore alla lode di cui è degno. Non c'è da chiedersi la
ragione di tanto evento, perché fu cosa miracolosa, né da ricercare altro esempio, perché unico. Tutto
lo zelo dell'uomo di Dio, sia verso gli altri che nel segreto della sua vita interiore, era centrato attorno
alla croce del Signore e, fin dal primo istante in cui cominciò a militare sotto il Crocifisso, diversi
misteri della Croce risplendettero attorno a lui.
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Quando infatti, all'inizio della sua conversione, aveva deciso di abbandonare ogni vanità di
questa vita, Cristo dalla croce gli parlò mentre era intento a pregare; e dalla bocca della stessa
immagine scendono a lui queste parole: « Va, Francesco, e ripara la mia casa che, come vedi, va tutta
in rovina ». Da allora gli fu impresso nel cuore, a tratti profondi, il ricordo della passione del Signore,
e, attuata in pieno la sua conversione interiore, la sua anima cominciò a struggersi per le parole del
Diletto.
Proprio perché si era racchiuso nella stessa croce, indossò anche un abito di penitenza fatto a
forma di croce. Quell'abito, se, in quanto lo rendeva più emulo della povertà, era molto conveniente al
suo proposito, tuttavia in esso il Santo testimoniò soprattutto il mistero della croce, in quanto che,
come la sua mente si era rivestita del Signore crocifisso, così tutto il suo corpo si rivestiva
esteriormente della croce di Cristo, e, nel segno col quale Dio aveva debellato le potestà ribelli, in
quello stesso poteva militare al servizio di Dio il suo esercito.
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3. Vide infatti frate Silvestro, uno dei suoi primi frati, e uomo d'ogni virtù, uscire dalla sua
bocca una croce dorata, che abbracciava mirabilmente con l'estensione delle sue braccia tutto
l'universo. È stato scritto e provato da sicura fonte, come quel frate Monaldo, famoso per i suoi
costumi e le opere di pietà, vide con gli occhi del corpo il beato Francesco crocifisso, mentre il beato
Antonio predicava della croce. Era usanza imposta con pio mandato ai primi figli, che ovunque
scorgessero un'immagine della croce, manifestassero con un segno la dovuta riverenza.
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Familiare gli era la lettera Tau, fra le altre lettere, con la quale soltanto firmava i biglietti e
decorava le pareti delle celle. Infatti anche l'uomo di Dio, Pacifico, contemplatore di celesti visioni,
scorse con gli occhi della carne sulla fronte del beato padre, una grande lettera Tau, che risplendeva
di aureo fulgore. Per convincimento razionale e per fede cattolica appare giusto che chi era così preso
da ammirabile amore della croce, sia divenuto anche mirabile per causa della croce. Nulla pertanto
è,più veramente consono a lui, quanto ciò che si predica delle stimmate della croce.
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4. Or ecco come avvenne l'apparizione. Due anni prima di rendere lo spirito al Cielo nell'eremo
detto la Verna, in Toscana, ove nel ritiro della devota contemplazione, ormai volgeva tutto se stesso
verso la gloria celeste, vide in visione sopra di sé un Serafino che aveva sei ali con le mani e i piedi
inchiodati alla croce. Due ali erano poste sul suo capo, due erano distese come per il volo, due infine
coprivano interamente il corpo. A questa visione si meravigliò profondamente, ma non comprendendo
che cosa essa significasse per lui, fu pervaso nel cuore da gioia mista a dolore. Si rallegrava per le
manifestazioni di grazia con le quali il Serafino lo guardava, ma nel medesimo tempo lo affliggeva
l'affissione alla croce. Cercò subito di comprendere che cosa potesse significare tale visione e il suo
spirito si tendeva ansioso alla ricerca di una spiegazione. Ma, mentre, cercando fuori di sé, l'intelletto
gli venne meno, subito nella sua stessa persona gli si manifestò il senso.
D'un tratto cominciarono infatti ad apparire nelle sue mani e nei piedi le ferite dei chiodi,
nella stessa maniera nella quale poco prima le aveva viste sopra di sé nell'uomo crocifisso. Le sue mani
e i suoi piedi apparivano trafitti nel centro dai chiodi, con le teste dei chiodi sporgenti nel palmo delle
mani e sul dorso dei piedi, mentre le loro punte uscivano dall'altra parte. Le teste dei chiodi nelle mani
e nei piedi erano rotonde e nere, le loro punte erano lunghe e ribattute in modo che sorgendo dalla
stessa carne sporgevano dalla carne. Anche il fianco destro, come trafitto da una lancia, era segnato
da una rossa cicatrice, che emettendo spesso sangue, inzuppava di quel sacro sangue la tunica e la
veste .
Infatti l'uomo di Dio Rufino, che era di purezza angelica, mentre una volta con filiale affetto
curava il corpo del santo padre, sfuggendogli la mano toccò sensibilmente quella ferita. Per questo il
servo di Dio soffrì non poco e, allontanando da sé la mano, pregò gemendo che il Signore gli
perdonasse.
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5. Due anni dopo egli passò serenamente dalla valle del pianto alla patria beata. Quando la
mirabile notizia giunse alle orecchie degli uomini, ci fu gran concorso di popolo, che lodava e
glorificava il nome di Dio. Accorsero tutti cittadini di Assisi e della regione, desiderosi di vedere il
nuovo miracolo, che Dio aveva operato in questo mondo. La straordinarietà del miracolo mutava il
pianto in giubilo e rapiva gli occhi del corpo in stupore ed estasi. Contemplavano dunque il beato corpo
divenuto prezioso per le stimmate di Cristo, nelle mani e nei piedi vedevano non già i fori dei chiodi,
ma gli stessi chiodi formati per divina virtù dalla sua stessa carne, anzi innati nella sua stessa carne,
tanto che premuti da qualsiasi parte, subito reagivano come nervi tutti d'un pezzo dalla parte opposta.
Contemplavano anche il fianco rosso di sangue.
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Abbiamo proprio visto queste cose che narriamo, con le mani con cui scriviamo le abbiamo
toccate, e ciò che testimoniamo con le labbra l'abbiamo visto con commossi occhi, confermando per
ogni tempo ciò che una volta sola abbiamo giurato toccando i sacri oggetti. Molti frati con noi, mentre
viveva il Santo, videro la stessa cosa; alla sua morte poi oltre cinquanta frati, con innumerevoli laici,
l'hanno venerato. Non vi sia alcuna incertezza, nessun dubbio sorga sul dono di questa eterna bontà! E
voglia Dio che per tale serafico amore molte membra aderiscano al capo, Cristo, e che in tal guerra si
trovino degne di tale armatura, e che nel Regno siano elevate a simile ordine! Chi mai, sano
d'intelletto, non direbbe che ciò appartiene alla gloria di Cristo? Ma basti, comunque, la pena già
inflitta agli increduli a ripagare gli indevoti e renda dall'altra gli stessi devoti più certi.
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6. Presso Potenza, città del regno di Puglia, vi era un chierico di nome Ruggero, uomo di onore
e canonico della Chiesa madre. Costui essendo straziato da lunga infermità un giorno entrò a pregare
per la sua salute in una chiesa, in cui vi era dipinta l'effige del beato Francesco, rappresentante le
gloriose stimmate. E avvicinandosi per pregare presso l'immagine, si inginocchia molto devotamente.
Tuttavia, fissando le stimmate del Santo, volge i pensieri a cose vane, e non respinge con la ragione
l'aculeo del dubbio che in lui sorgeva. Infatti, illuso dall'antico nemico, col cuore turbato, cominciò a
dire fra sé: «Sarà proprio vero che questo santo sia stato glorificato con tale miracolo, o piuttosto non
fu una pia illusione dei suoi? Fu una falsa scoperta e forse un inganno inventato dai frati. Tale prodigio
sarebbe superiore ad ogni umano sentire e sarebbe lontano da ogni giudizio della ragione». O stoltezza
di uomo! Dovevi piuttosto venerare con tanta maggiore umiltà quel miracolo, quanto più era meno
inteso da te! Era tuo dovere sapere, se eri ragionevole, che è cosa facilissima per Iddio rinnovare di
continuo il mondo con nuovi miracoli, ed operare sempre in noi per la sua gloria cose che non ha
operato in altri. Che altro mai? Mentre si disperde in tali pensieri, viene colpito da Dio con una dura
piaga, perché impari dalla sofferenza a non bestemmiare. Viene colpito sulla palma della mano
sinistra, poiché era mancino, mentre ode un sibilo come di freccia scoccata dalla balestra. Subito
dopo, stupito sia dalla ferita che dal sibilo, si toglie il guanto che portava. Dove non c'era prima alcuna
ferita, scopre ora nel mezzo della mano una piaga, come di un colpo di freccia, che gli procurava tanto
bruciore, che gli sembrava di venir meno dal dolore. Mirabile a dirsi! Nessun segno di rottura appariva
sul guanto, perché alla segreta ferita del cuore rispondesse anche il dolore di una piaga segreta.
7. Si lamenta quindi per due giorni e ruggisce esacerbato dal dolore acutissimo, rivelando a tutti il
mistero del suo incredulo cuore; confessa di credere che in san Francesco vi furono davvero le sacre
stimmate e giura assicurando che era scomparso in lui ogni fantasma di dubbio. Supplica quindi il Santo
di Dio, di essere aiutato per merito delle sacre stimmate, e pregando versa molte lacrime. Nuovo
miracolo: svanita l'incredulità, la guarigione del corpo segue alla guarigione dello spirito. Sparisce ogni
sofferenza, si calma il bruciore, scompare ogni segno della ferita. Quell'uomo diviene umile davanti a
Dio, devoto al Santo e legato all'Ordine dei frati da perenne amicizia. Questo miracolo fu sottoscritto
con giuramento e controfirmato dal vescovo locale. Mirabile benedetta potenza di Dio, che nella città
di Potenza fece cose magnifiche!
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8. È costume delle nobili matrone romane, sia vedove che sposate, soprattutto di quelle a cui
la ricchezza consente il privilegio della generosità e a cui Cristo infonde il suo amore, di avere nelle
proprie case delle camerette o un rifugio idoneo alla preghiera, in cui conservano qualche immagine
dipinta e l'effige di quel Santo che venerano in modo particolare. Orbene, una signora nobile per
purezza di costumi e per fama di antenati, aveva scelto san Francesco come suo protettore. Teneva la
sua immagine dipinta nella cameretta appartata, dove in segreto pregava il Padre. Un giorno mentre
pregava devotamente e con grande attenzione cercava i santi segni, non vedendoli raffigurati, si
meravigliò e se ne addolorò. Ma non c'era nessuna ragione di meravigliarsi, dal momento che non c'era
nel dipinto ciò che il pittore aveva tralasciato di raffigurare. Per più giorni cela in cuor suo il fatto, né
lo dice ad alcuno, pur guardando frequentemente l'immagine e sempre con dolore. Ed ecco che un
giorno, d'improvviso, quei meravigliosi segni apparvero sulle mani, come di solito appaiono dipinti nelle
altre immagini, poiché la potenza divina aveva supplito ciò che.era stato dimenticato dall'umana arte.
9. Tremante la donna chiama subito a sé la figlia, che la seguiva nel suo santo proposito e indicandole
ciò che era accaduto, diligentemente le domanda se fino allora avesse visto l'immagine senza le
stimmate La fanciulla asserisce e giura che prima l'immagine era senza le stimmate e che ora invece
appariva chiaramente con le stimmate. Ma proprio perché la mente umana spesso si confonde e cade,
rimettendo in dubbio la verità subentra di nuovo nel cuore della donna un dubbio ansioso, che fin dal
principio così fosse stata l'immagine. Ma la potenza di Dio, perché non venga misconosciuto il primo
miracolo, ne aggiunge un secondo. Sparirono infatti immediatamente quei segni, e l'immagine rimase
priva di quegli ornamenti, in modo che attraverso un altro prodigio fosse reso evidente quello
precedente. Io stesso ho visto quella sposa piena di ogni virtù, ho visto ripeto, in abito secolare
un'anima consacrata a Dio.
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10. Sin dalla nascita, la ragione umana si lascia così irretire da sensazioni grossolane e da
fallaci fantasie che sopraffatta da un'instabile immaginazione, è costretta qualche volta a mettere in
dubbio ciò che si deve credere. Perciò non soltanto andiamo soggetti a dubbi sui fatti meravigliosi dei
santi, ma spesse volte la stessa fede nelle cose della salvezza diviene oggetto di molte obbiezioni.
Un frate dell'ordine dei minori, predicatore per ufficio e di integra vita, era fermamente
persuaso del miracolo delle sacre stimmate; ma un giorno egli venne preso dal tormento del dubbio
intorno al miracolo del Santo. Puoi immaginare la guerra sorta nel suo animo, mentre la ragione d'un
lato difende la verità, e dall'altro la fantasia suggerisce sempre il contrario. La ragione, sostenuta da
molti particolari, ammette che è proprio così come si dice, e, in mancanza di ulteriori argomenti, si
appoggia alla verità proposta dalla santa Chiesa. Congiurano dall'altra parte contro la credibilità del
miracolo le ombre dei sensi, poiché sembra essere cosa totalmente contraria alle leggi della natura e,
oltre a ciò, mai verificatasi nei secoli precedenti. Una sera, affaticato da tale ansietà, entra in cella,
ormai aggrappato alla debolezza della ragione, e quanto mai scosso dalla protervia del dubbio. Ora,
mentre dormiva, gli apparve san Francesco, coi piedi infangati, dal sembiante umilmente duro e
pazientemente sdegnato. «Perché questo contrasto e queste incertezze in te? esclamò. Perché questi
dubbi volgari? Guarda le mie mani e i miei piedi». Ma egli poteva vedere le mani trafitte, non vedeva
però le stimmate dei piedi infangati. «Togli, aggiunse il Santo, il fango dai miei piedi e vedi i posti dei
chiodi! ». Prendendo quegli i piedi del Santo, gli sembrò di togliere il fango e di toccar con le mani i
posti dei chiodi. Subito dopo, svegliandosi, si sciolse tutto in lacrime e purificò con una pubblica
confessione i sentimenti che in qualche modo gli avevano inzaccherato l'animo.
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11. Perché non si ritenga che quelle sacre stimmate dell'invitto soldato di Cristo non avessero
un eccezionale potere, oltre a quello d'essere segno di un dono speciale e privilegio di supremo
amore,--ciò che costituisce la meraviglia di tutto il mondo; quanto siano armi potenti presso Dio quei
sacri segni, lo si può vedere attraverso un fatto avvenuto in Spagna, nel regno di Castiglia, a motivo
della novità di un più evidente miracolo.
Due uomini erano ferocemente divisi da una vecchia lite; essi non avevano tregua nel loro
animo esacerbato; e non poteva esserci né una pace durevole né un rimedio temporaneo del loro
furore se non quando l'uno o l'altro avesse crudelmente ucciso il nemico. Ambedue armati e
spalleggiati dai compagni si tendevano l'un l'altro frequenti insidie, perché non si poteva compiere in
pubblico un delitto. Una volta sul tardi, a crepuscolo ormai inoltrato, accadde che un uomo di chiara
fama ed onestà dovesse passare per quella via, dove l'uno aveva preparato una insidia mortale per
l'altro. Costui si affrettava, come d'abitudine, per andare a pregare dopo l'ora di Compieta alla chiesa
dei frati, essendo quanto mai devoto del beato Francesco; tutto ad un tratto i figli delle tenebre si
gettarono sul figlio della luce avendolo scambiato per il loro avversario a lungo ricercato a morte.
Avendolo trafitto mortalmente da ogni parte, lo lasciarono mezzo morto. Alla fine colui che gli era
nemico più crudele gli conficcò profondamente la spada nel collo e, non potendola ritrarre, la lasciò
infissa nella ferita.
12. Si accorse da ogni parte, e mentre le grida salivano fino al cielo, tutto il vicinato piangeva la morte
delI'innocente. Poiché c'era ancora un alito di vita in quell'uomo, i medici decisero di non estrarre la
spada dalla gola. Forse essi così agivano nella speranza di una confessione, affinché la vittima almeno
con un segno rivelasse qualche cosa. Lavorarono quindi tutta la notte fino all'alba, a tergere il sangue e
a curare le ferite inflitte dai molti e profondi colpi; non ottenendo nessun risultato, smisero di curarlo.
Stavano attorno al letto con i medici anche i frati minori, presi da immenso dolore, in attesa della fine
delI'amico. Ed ecco, la campana dei frati chiamò al mattutino. Al suono della campana, la moglie corse
gemendo vicino al letto: «Mio signore, esclama, alzati presto vai al mattutino, perché la campana ti
chiama! ». Subito colui che si credeva sul punto di morire, dopo aver emesso un mormorio confuso dal
petto, fece a fatica qualche cenno. E, levando la mano verso la spada infitta nella gola, pareva
indicare a qualcuno di estrarla. Cosa davvero sorprendente! Improvvisamente la spada fu come
proiettata via dalla ferita e scagliata come dalla mano d'un uomo robustissimo sino alla porta di casa,
sotto gli occhi di tutti. Quell'uomo si alzò e perfettamente guarito, come se si fosse risvegliato dal
sonno, prese a raccontare le meraviglie del Signore.
13. Sì grande stupore prese il cuore di tutti che, storditi, credevano che il fatto fosse frutto della
fantasia. A questo punto l'uomo guarito esclamò: « Non temete, non crediate illusione ciò che vedete!
Giacché san Francesco, cui sempre sono stato devoto, è appena uscito di qui e mi ha sanato
completamente da ogni piaga. A ogni mia ferita ha sovrapposto quelle sue sacratissime stimmate; con
la loro dolcezza ha alleviato le mie piaghe; come vedete, al loro contatto, ogni ferita si è mirabilmente
rimarginata. Mentre infatti udivate i rantoli del mio petto, sembrava che il santissimo padre dopo aver
dolcemente rimarginato tutte le ferite volesse allontanarsi lasciando la spada nella gola. Non riuscendo
a parlare, gli facevo debolmente cenno con la mano perché estraesse la spada, ormai sotto il pericolo
della morte imminente. Afferrandola subito, come tutti avete potuto constatare, la scagliò via con
forza. E così come prima aveva fatto, toccando e lenendo con le sacre stimmate la gola ferita, la
risanò completamente, senza che rimanesse alcun segno». Al racconto di tali fatti nessuno potrà non
stupirsi. Chi dunque potrà mai dubitare che quanto è detto delle stimmate non sia opera divina?
CAPITOLO III
IL POTERE CHE EBBE SULLE CREATURE INSENSIBILI,
E SPECIALMENTE SUL FUOCO
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14. Nel tempo in cui era afflitto dalla malattia degli occhi, i confratelli persuasero l'uomo di
Dio ad accettare le cure; perciò venne chiamato al luogo dei frati un chirurgo. Costui portò con sé lo
strumento di ferro per la cauterizzazione e ordinò di metterlo sul fuoco, fino a che non fosse reso
incandescente. Al che il beato Padre, confortando il proprio corpo scosso dal timore, così si rivolse al
fuoco: « Fratello mio fuoco, l'Altissimo ti ha creato per emulare in bellezza le altre cose, potente,
bello e utile. Siimi favorevole in questo momento, siimi amico, poiché già ti ho amato nel Signore!
Prego il grande Iddio che ti ha creato, che moderi il tuo calore in modo che ora io possa dolcemente
sopportarlo ». Terminata l'orazione, benedisse con un segno di croce il fuoco e quindi, pieno di
coraggio, attese. Mentre il ferro rovente e scintillante veniva afferrato dal chirurgo, i frati fuggirono
vinti da umana paura e il Santo lieto e senza esitazione si sottopose al ferro. Il ferro crepitando
penetrava nella morbida carne e venne fatta la cauterizzazione a tratti dall'orecchio al sopracciglio.
Quanto quel fuoco abbia provocato dolore, ne è testimonianza la parola di colui che ne ebbe
esperienza. Infatti, ritornati i frati che erano fuggiti, il Padre sorridendo disse: «Paurosi e deboli di
cuore, perché mai siete fuggiti? In verità vi dico, non ho sentito né il calore del fuoco né alcun dolore
della carne». E rivolto al medico: «Se la carne non è ben cotta, applica di nuovo il ferro!». Il medico,
che conosceva ben altre conseguenze di simili operazioni, magnificò tale miracolo, esclamando: «Dico
a voi, fratelli, ho visto oggi cose mirabili ». Era forse tornato alla primitiva innocenza colui al volere
del quale si arrendevano ammansiti gli esseri indocili.
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15. Il beato Francesco, desiderando qualche volta andare ad un eremo per attendere più
liberamente alla contemplazione, poiché era molto debole, ottenne da un povero uomo un asino da
cavalcare. Costui mentre saliva nella calura estiva per i viottoli montagnosi, seguendo l'uomo di Dio, è
preso dalla fatica del lungo cammino su una strada troppo aspra e lunga, e, prima di arrivare alla
meta, viene meno dalla sete. Si mette dunque a supplicare con insistenza il Santo che abbia pietà di
lui, dicendo che sarebbe morto se non avesse bevuto qualche sorso d'acqua. Il santo di Dio, che sempre
era compassionevole verso gli afflitti, senza indugio discese dall'asino e, piegate a terra le ginocchia,
alzò le palme verso il cielo, non cessando di pregare, finché si sentì esaudito. «Affrettati, disse al
contadino, e troverai acqua viva, che in questo istante Cristo misericordioso ha fatto sgorgare dalla
pietra». Stupenda degnazione di Dio, che si china verso i suoi servi così facilmente!
Beve il contadino l'acqua sgorgata dalla pietra per virtù della preghiera del Santo e gustò una
bevanda tratta dalla durissima roccia. Polla d'acqua in quel luogo non c'era mai stata, né in seguito si è
mai potuta ritrovare, come dimostrano le ricerche diligentemente fatte.
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16. Gagliano è un paese popoloso e illustre in diocesi di Sulmona. In esso viveva una donna di
nome Maria che, giunta alla conversione attraverso le difficili vie del mondo, si era dedicata
totalmente al servizio di san Francesco.
Era salita un giorno su un monte, riarso per la totale mancanza d'acqua, con l'intenzione di
potare gli aceri verdeggianti; aveva dimenticato di portare con sé l'acqua e, per il calore eccessivo,
cominciò a venir meno per l'arsura della sete. Non potendo ormai far nulla e giacendo per terra
esaurita, cominciò a invocare il suo patrono san Francesco. Affaticata si assopì. Ed ecco sopraggiungere
san Francesco, che la chiamò col suo nome: «Alzati e bevi l'acqua che a te e a molti altri viene offerta
quale dono di Dio». Sbadigliò la donna a tale voce e vinta dal sonno tornò a riposare. Chiamata ancora
una volta, ancor molto stanca, rimase a terra sdraiata. La terza volta però, confortata al comando del
Santo si alzò. E afferrando una felce vicina la estrasse dal terreno. Avendo allora scorto che la sua
radice era tutta intrisa d'acqua, con le dita e con un piccolo ramoscello cominciò a scavare
tutt'attorno. Subito la fossa si riempì d'acqua e la piccola goccia crebbe fino a divenire fonte. Bevve la
donna e dissetata, si lavò gli occhi che, gravemente indeboliti da una lunga malattia, non potevano
vedere nulla con chiarezza. Si illuminarono i suoi occhi e, sparita la rugosa vecchiezza si riempirono
come di nuova luce. La donna si affrettò verso casa, per annunciare a tutti tale stupendo miracolo a
gloria di san Francesco. Si diffuse la notizia del miracolo in altre regioni, giungendo alle orecchie di
tutti. Accorsero da ogni parte molti colpiti da varie malattie che, fatta anzitutto la confessione per la
salvezza dell'anima, vennero qui liberati dalle loro infermità. Infatti i ciechi riaquistarono la vista, gli
zoppi ripresero a camminare, anche gli obesi divennero più snelli, e ad ogni infermità viene offerto il
giusto rimedio. Ancora oggi dalla fonte prodigiosa l'acqua continua a sgorgare; è stato qui costruito un
oratorio in onore di san Francesco.
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17. Nel periodo in cui era presso l'eremo di Sant'Urbano, il beato Francesco gravemente
ammalato, con labbra aride, domandò un po' di vino, gli risposero che non ce n'era. Chiese allora che
gli portassero dell'acqua e quando gliela ebbero portata la benedisse con un segno di croce. Subito
l'acqua perse il proprio sapore, e ne acquistò un altro. Diventò ottimo vino quella che prima era acqua
pura, e ciò che non poté la povertà, lo provvide la santità. Dopo averlo bevuto, quell'uomo di Dio si
ristabilì molto in fretta e come la miracolosa conversione dell'acqua in vino fu la causa della
guarigione, così la miracolosa guarigione testimoniava quella conversione.
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18. Nella provincia di Rieti era scoppiata una pestilenza molto grave che contagiava i bovini,
tanto che solo qualche bue poteva sopravvivere. A un uomo timorato di Dio, di notte attraverso un
sogno venne fatto sapere di recarsi con sollecitudine ad un eremo di frati per prendere l'acqua con cui
si lavavano le mani e i piedi del beato Francesco, che allora là si trovava, per aspergere con essa tutti i
bovini. Alla mattina levatosi quell'uomo, ben ansioso di ottenere il beneficio, venne al luogo indicato,
e, all'insaputa del Santo, poté ottenere dagli altri frati quell'acqua, che poi asperse su tutti i bovini,
come gli era stato comandato. Da quel momento cessò per grazia di Dio il pestilenziale contagio, né
più riapparve in quella zona.
841 19. In regioni diverse molte genti offrivano molto spesso a san Francesco con fervida devozione
pane ed altri cibi perché li benedicesse.
Conservandosi questi per lungo tempo senza corrompersi, grazie all'intervento divino, se presi
come cibo risanavano i corpi affetti da malattia. E stato anche provato infatti che per loro virtù furono
allontanate violente tempeste di grandine e tuoni. Affermano alcuni di aver constatato che, per virtù
del cordone che egli cingeva e delle pezzuole scucite dai suoi abiti, sono stati scacciati i morbi e
fugate le febbri, recuperando così la tanto desiderata salute.
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Celebrando il Santo, il giorno della Natività del Signore, la memoria del presepio del bambino
di Betlemme, e rievocando misticamente tutti i particolari dell'ambiente nel quale nacque il bambino
Gesù, molti prodigi si manifestarono per intervento divino. Fra questi vi è quello del fieno sottratto a
quella mangiatoia, che divenne rimedio alle infermità di molti e che fu utile particolarmente alle
partorienti in difficoltà e a tutti gli animali contagiati da epidemie.
Avendo narrato tutto ciò delle creature insensibili, aggiungiamo ora qualcosa sull'obbedienza
prestata dalle creature sensibili.
CAPITOLO IV
IL POTERE CHE EBBE SULLE CREATURE SENSIBILI
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20. Le stesse creature si sentivano spinte a rispondere con amore a san Francesco e a
ricambiare con gratitudine quanto era loro dato.
Una volta, facendo viaggio attraverso la valle Spoletana, nelle vicinanze di Bevagna, arrivò ad
un luogo ove si era radunata una grandissima quantità di uccelli di varie specie.. Avendoli scorti il
santo di Dio per il particolare amore del Creatore, con cui amava tutte le creature, accorse
sollecitamente a quel luogo, salutandoli col modo consueto, come se fossero dotati di ragione. Poiché
gli uccelli non volavano via, egli si avvicinò e andando e venendo in mezzo a loro, toccava col lembo
della sua tonaca il loro capo e il loro corpo. Pieno di gioia e di ammirazione, li invitò ad ascoltare
volentieri la parola di Dio, e così disse: «Fratelli miei uccelli! Dovete lodare molto il vostro Creatore e
sempre amarlo perché vi ha rivestito di piume e vi ha donato le penne per volare. Infatti tra tutte le
creature vi ha fatti liberi, donandovi la trasparenza dell'aria. Voi non seminate né mietete, eppure Egli
vi mantiene senza alcuno vostro sforzo!».
A tali parole, gli uccelli, facendo festa, cominciarono ad allungare il collo, spalancare le ali,
aprire il becco, fissandolo attentamente. Né si allontanarono da là, finché, fatto un segno di croce,
non diede loro il permesso e la benedizione.
Tornato dai frati, cominciò ad accusarsi di negligenza, perché prima non aveva mai predicato
agli uccelli. Perciò da quel giorno esortava gli uccelli, gli animali ed anche le creature insensibili, alla
lode e all'amore verso il Creatore.
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21. S'avvicinò una volta ad un paese di nome Alviano, per predicarvi. Radunato il popolo e
chiesto il silenzio, quasi non poteva essere udito per il garrire delle molte rondini che nidificavano in
quel luogo. Mentre tutti lo ascoltavano, si rivolse ad esse dicendo: «Sorelle mie rondini, ormai è ora
che parli anch'io, giacché voi fino ad ora avete detto abbastanza! Ascoltate la parola di Dio
standovene zitte, finché il discorso d l Signore sarà terminato ».
E quelle, come fossero dotate di ragione, subito tacquero, né si mossero dal loro luogo, finché
tutta la predica fu finita. Tutti coloro che assistettero, pieni di stupore, dettero gloria a Dio.
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22. Nella città di Parma, uno studente era talmente infastidito dall'insistente garrire di una
rondine, da non poter in alcun modo meditare. Costui piuttosto eccitato, cominciò a dire: «Questa
rondine è stata una di quelle, che, come si legge, una volta non permetteva a san Francesco di
predicare, finché egli non le impose il silenzio ». E rivolto alla rondine esclamò: «In nome di san
Francesco ti ordino che tu permetta di essere da me presa». Essa tosto volò tra le sue mani. Stupefatto
lo studente le restituì la libertà, e in seguito non sentì più il suo garrire.
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23. Mentre un giorno il beato Francesco attraversava, su di una piccola barca, il lago di Rieti
diretto verso l'eremo di Greccio, un pescatore gli offrì un uccello fluviale, con cui rallegrarsi davanti al
Signore. Il beato padre lo prese con gioia e lo invitò con dolcezza a volare via liberamente. Esso non
voleva andarsene e si rannicchiava come in un nido nelle sue mani, il Santo allora, alzati gli occhi al
cielo, rimase a lungo in preghiera. Dopo una lunga pausa, come ritornato in sé da un'estasi, comandò
dolcemente all'uccello di ritornare senza timore alla libertà di prima. Ricevuto dunque il permesso con
la sua benedizione, lietamente, con un battito d'ali l'uccello volò via liberamente.
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24. Un'altra volta, sullo stesso lago, viaggiando su di una barchetta, giunse al porto, dove gli fu
offerto un grosso pesce ancor vivo. Chiamandolo egli con il nome di fratello, secondo la sua usanza, lo
rimise in acqua vicino alla barca. Ma il pesce giocherellava in acqua presso il Santo, che con gioia
lodava Cristo Signore. Il pesce non si allontanò da quel posto, fino a ché non gli fu ordinato dal Santo.
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25. Mentre il beato Francesco era in un eremo. come al solito lontano dagli uomini e dal loro
parlare, un falco che aveva il nido in quel luogo si legò a lui con grande patto d'amicizia. Infatti di
notte, quando il Santo era solito alzarsi per i divini uffici, il falco lo anticipava sempre col suo canto e
schiamazzo. La cosa era molto gradita al Santo, poiché con tanta sollecitudine lo scuoteva da ogni
indugio. Quando però il Santo più del solito era disturbato da qualche malessere, il falco si tratteneva
e non cominciava così presto le sue veglie. Come istruito da Dio, verso l'alba suonava la campana della
sua voce con tocco leggero. Nessuna meraviglia dunque, se anche tutte le altre creature venerano un
così grande amante del Creatore.
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26. Un nobile del contado di Siena, mandò al beato Francesco infermo un fagiano, Egli lo
ricevette con gratitudine, non per il desiderio di mangiarlo, ma secondo l'abitudine per la quale si
rallegrava di tali cose per amore del Creatore, disse al fagiano: «Sia lodato il nostro Creatore, fratello
fagiano!». E ai frati: «Proviamo ora se frate fagiano voglia stare con noi, oppure andarsene ai luoghi
abituali e a lui più confacenti ». Allora un frate per ordine del Santo portando l'uccello, lo pose lontano
in un vigneto. Esso subito, con volo rapido, ritornò alla cella del Padre, che ordinò ancora di portarlo
più lontano. L'uccello con estrema velocità tornò alla porta della cella e, come facendo violenza, entrò
di sotto le tonache dei frati che erano all'ingresso. Allora il Santo ordinò di nutrirlo con cura,
accarezzandolo e parlandogli dolcemente. Un medico, assai devoto al Santo di Dio, vista la cosa,
chiese l'uccello ai frati, non per mangiarlo, ma per allevarlo in ossequio al Santo. Lo portò con sé a
casa, ma il fagiano, quasi offeso per essere stato allontanato dal Santo, finché rimase lontano dalla sua
presenza non volle mangiare nulla. Stupefatto il medico, riportò con premura il fagiano al Santo, e
narrò dettagliatamente tutto ciò che era accaduto. Il fagiano, posto in terra, appena scorse il Padre
suo, lasciò ogni tristezza, e cominciò lietamente a mangiare.
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27. Accanto alla cella del Santo di Dio, presso la Porziuncola, una cicala, che stava di solito su
un fico, cantava frequentemente con la consueta dolcezza.
Il beato padre una volta, stendendo la mano, la chiamò con dolcezza verso di sé: « Sorella mia
cicala, vieni da me! ». Ed essa, come dotata di ragione, subito si pose sulla sua mano. Ed egli rivolto ad
essa: « Canta, sorella mia cicala, e loda con la tua letizia il Signore Creatore ».
Essa obbedendo senza indugio cominciò a cantare, senza tregua finché l'uomo di Dio, unendo
la sua lode ai canti di lei, le permise di tornarsene nel suo solito posto, nel quale essa rimase
ininterrottamente come fosse legata per otto giorni. E il Santo ogni volta che usciva dalla cella, le
ordinava, accarezzandola con le mani, di cantare ed essa era sempre sollecita ad obbedire alle sue
richieste. E il Santo disse ai compagni: « Diamo ormai libertà a nostra sorella cicala, che fino ad ora ci
ha rallegrati abbastanza, in modo che la nostra carne non si glorii vanamente per tal fatto ».
E subito essa, da lui licenziata si allontanò senza farsi vedere più. I frati furono molto stupiti di
ciò.
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28. Essendo in un luogo povero, il Santo beveva in un vaso di coccio, In esso, dopo la sua
morte, delle api, con arte meravigliosa, fabbricarono le cellule dei favi, quasi a indicare mirabilmente,
la divina contemplazione che là aveva gustato.
852 29. Presso Greccio fu offerto a san Francesco un leprotto vivo e ancora in forza. Posto di nuovo
in libertà poteva fuggire dove voleva; quando il Santo lo richiamò a sé, quello agilmente gli saltò sul
petto. Il Santo, ricevendolo benevolmente, e ammonendolo dolcemente di non farsi più prendere, lo
benedisse e gli ordinò di tornare nella selva.
853 30. Qualcosa di simile accadde di un coniglio che è un animale molto selvatico, quando il Santo
dimorava nelI'isola del lago di Perugia.
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31. Una volta facendo viaggio da Siena alla vallata di Spoleto, il Santo giunse in un campo
dove pascolava un gregge abbastanza grande; egli lo salutò benevolmente, come era solito, e le pecore
accorsero tutte da lui, e levando le teste e belando rispondevano al suo saluto. Il suo vicario notò
attentamente ciò che le pecore avevano fatto e seguendo con i compagni a passo più lento, disse agli
altri: « Avete visto cosa le pecore hanno fatto al Padre? Veramente, soggiunse, è grande costui che gli
animali venerano come un padre e che, pur privi di ragione, riconoscono come amico del loro Creatore
».
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32. Le allodole, amiche della luce del giorno e paurose delle ombre del crepuscolo, quella sera
in cui san Francesco passò dal mondo a Cristo, pur essendo già iniziato il crepuscolo, si posarono sul
tetto della casa e a lungo garrirono roteando attorno. Non sappiamo se abbiano voluto a modo loro
dimostrare la gioia o la mestizia, cantando. Esse cantavano un gioioso pianto e una gioia dolorosa,
quasi piangessero il lutto dei figli o volessero indicare l'entrata del Padre nell'eterna gloria. Le guardie
della città che attentamente custodivano quel luogo, stupite invitarono gli altri all 'ammirazione.
CAPITOLO V
LA DIVINA CLEMENZA FU SEMPRE PRONTA AD ESAUDIRE
I DESIDERI Dl SAN FRANCESCO
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33. Non soltanto la creatura ubbidiva al solo cenno di quest'uomo, ma la Provvidenza stessa
del Creatore condiscendeva ovunque ai suoi desideri. Quella paterna clemenza preveniva i suoi
desideri e anticipatamente con sollecitudine accorreva come a colui che si era abbandonata ad essa. Si
manifestavano ad un tempo il bisogno e la grazia, il desiderio e il soccorso.
Nel sesto anno della sua conversione, ardendo dal desiderio del martirio, volle passare il mare
diretto in Siria. Avendo salpato con una nave, diretta a quel luogo, per la furia dei venti contrari, finì
sulla costa della Schiavonia con gli altri naviganti. Vedendosi impedito nella realizzazione del suo
grande desiderio, dopo poco pregò alcuni marinai in viaggio per Ancona di condurlo con sé nella
traversata. Essi rifiutarono ostinatamente di riceverlo per mancanza di cibo, e il Santo di Dio,
confidando quanto mai nella bontà del Signore, entrò di soppiatto nella nave con un compagno. Per
divina provvidenza si presentò subito un individuo sconosciuto a tutti, che portava con sé il vitto
necessario. Chiamato un marinaio timorato di Dio, costui gli disse: «Prendi con te tutto questo e lo
darai fedelmente secondo necessità ai poverelli nascosti nella nave». Levatasi in seguito una forte
tempesta, per molti giorni i marinai remarono con fatica esaurendo tutte le loro cibarie e rimasero
solo quelle del povero Francesco. Ora queste per divina grazia e potenza furono moltiplicate sì che,
malgrado vi fossero ancora molti giorni di navigazione, soccorsero abbondantemente alla necessità di
tutti sino al porto di Ancona. Pertanto i marinai, vedendo che erano stati salvati dal pericolo del mare
grazie al servo di Dio Francesco e che avevano ricevuto da lui quanto gli avevano negato, resero grazie
a Dio onnipotente, che sempre si mostra mirabile ed amabile nei suoi servi.
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34. Di ritorno dalla Spagna, non avendo potuto secondo il suo desiderio raggiungere il Marocco,
san Francesco si ammalò molto gravemente. Infatti oppresso dalla miseria e dalla debolezza e cacciato
dalla casa per la durezza dell'ospite, per tre giorni perse la parola. Ricuperate comunque in qualche
modo le forze, camminando per la strada disse a frate Bernardo che avrebbe mangiato un uccello, se
mai ne avesse avuto uno. Ed ecco accorrere attraverso un campo un cavaliere con uno squisito uccello.
Costui disse al beato Francesco: «Servo di Dio, accetta con piacere ciò che ti manda la divina
clemenza». Accettò con gioia il dono e comprendendo come Cristo avesse cura di lui, lo benedisse in
ogni cosa.
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35. Giacendo infermo nel palazzo del vescovo di Rieti, rivestito di una povera tonaca assai
vecchia, il padre dei poveri, disse una volta ad uno dei suoi compagni che aveva scelto come suo
guardiano: «Vorrei, fratello, che tu, potendolo, mi procurassi del panno per una tonaca». Il frate udito
ciò stava pensando come trovare il panno tanto necessario e tanto umilmente richiesto. Il mattino
seguente, quindi, molto presto si avviò alla porta per andare in città e procurarsi il panno: ed ecco
c'era sulla porta un uomo che intendeva parlargli. Costui disse al frate: «Ricevi, fratello, per amor di
Dio del panno per sei tuniche, e tenendone una per te, distribuisci le rimanenti per il bene dell'anima
mia, come ti parrà». Tutto lieto, il frate torna dal beato Francesco, e racconta del dono venuto dal
cielo. A lui il Padre rispose: «Prendi le tuniche, perché per questo quell'uomo è stato mandato, per
soccorrere in tale modo alla mia necessità. Siano dunque rese grazie a Colui che si prende cura di noi
».
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36. Mentre il santo uomo stava in un eremo, un medico lo visitava ogni giorno per la cura degli
occhi. Un giorno il Santo disse ai suoi: «Invitate il medico e dategli da mangiare benissimo ». Rispose il
guardiano: «Padre, lo diciamo timidamente, ci vergognamo di invitarlo, tanto siamo poveri in questo
momento ». Rispose il Santo dicendo: «Uomini di poca fede, perché volete che ve lo ripeta? ». Il
medico che era presente, esclamò: «Anch'io, fratelli carissimi, stimerò come una delizia la vostra
miseria». Si affrettarono i frati e posero sulla mensa tutta l'abbondanza della dispensa, cioè un poco di
pane, non molto vino e perché con più abbondanza mangiassero, la cucina procurò anche un po' di
legumi. Intanto la mensa del Signore soccorse la mensa dei suoi servi; si sentì bussare alla porta,
accorse un frate ed ecco una donna che offrì un canestro pieno di pane fragrante, di pesci, di pasticcio
di gamberi, con sopra grappoli di uva e miele. A tale vista esultò la mensa dei poveri, e riservati i cibi
poveri per il domani, s'imbandirono subito quelli prelibati. Allora il medico così parlò, con un sospiro:
«Né voi, frati, come dovreste, né noi secolari conosciamo adeguatamente la santità di costui ».
Sarebbero stati saziati dal cibo, se non lo fossero stati ancor più dal miracolo. Così quell'occhio paterno
non guarda mai con disprezzo i suoi, anzi con maggior provvidenza nutre i mendicanti più bisognosi.
CAPITOLO VI
DONNA GIACOMA DEI SETTESOLI
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37. Giacoma dei Settesoli, la cui fama nella città di Roma era pari alla sua santità, aveva
meritato il privilegio di un particolare affetto da parte del Santo. Non sta a me ripetere, a lode di lei,
l'illustre casato, la nobiltà della famiglia, le ampie ricchezze, ed infine la meravigliosa perfezione delle
sue virtù, la lunga castità vedovile. Essendo dunque il Santo ammalato di quella malattia, che doveva
condurlo, dopo tante sofferenze, con morte beata, al felice compimento della sua vita, pochi giorni
prima di morire, chiese che fosse avvertita a Roma donna Giacoma, perché se voleva vedere colui che
già aveva tanto amato come esule in terra e che ora era prossimo al ritorno verso la patria, si
affrettasse a venire. Si scrive una lettera, si cerca un messo molto veloce e trovatolo si dispose al
viaggio. All'improvviso si udì alla porta un calpestìo di cavalli, uno strepito di soldati e il rumore d'una
comitiva. Uno dei confratelli, quello che stava dando istruzioni al messo, si avvicinò alla porta e si
trovò alla presenza di colei, che invece cercava lontano.
Stupito, si avvicinò in fretta al Santo e pieno di gioia disse: «Padre, ti annunzio una buona
novella». Il Santo, prevenendolo, gli rispose: «Benedetto Dio, che ha condotto a noi donna Giacoma,
fratello nostro! Aprite le porte, esclama, e fatela entrare, perché per fratello Giacoma non c'è da
osservare il decreto relativo alle donne!».
38. Ci fu tra gli illustri ospiti una grande esultanza, si pianse di gioia e di commozione. In più, perché
nulla mancasse al miracolo, si scopre che la santa donna aveva portato tutto ciò che riguardava le
esequie come conteneva la lettera antecedentemente scritta. Infatti aveva recato un panno di colore
cenerino, con cui coprire il corpicciuolo del morente, parecchi ceri, una sindone per il volto, un
cuscino per il capo, e un certo piatto che il Santo aveva desiderato; insomma tutto ciò che l'anima di
questo uomo aveva richiesto, Dio l'aveva suggerito a lei.
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Continuerò il racconto di questo pellegrinaggio--perché tale è stato veramente-- per non
lasciare senza consolazione la nobile pellegrina. La moltitudine e soprattutto il devoto popolo della
città attendeva ormai prossimo il passaggio del Santo dalla morte alla vita. Ma alla venuta della
pellegrina romana il Santo si era un poco ripreso e si pensava allora che sarebbe vissuto ancora. Perciò
quella signora pensò di licenziare il resto della comitiva, per rimanere lei sola con i figli e pochi
scudieri. Ad essa però il Santo disse: « Non farlo, poiché io partirò sabato e tu te ne andrai la domenica
con tutti». E così accadde: alI'ora predetta entrò nella Chiesa trionfante colui che aveva combattuto
così eroicamente in quella militante. Tralascio qui il concorso delle folle, i cori inneggianti, i rintocchi
solenni delle campane, le copiose lacrime; tralascio i pianti dei figli, i singhiozzi degli amici, i sospiri
dei compagni. Mi limiterò a narrare come la pellegrina, privata del conforto del Padre, fu consolata.
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39. Pertanto essa, tutta madida di lacrime, tratta in disparte, viene di nascosto accompagnata
presso la salma, e, ponendole tra le braccia il corpo dell'amico, il vicario esclama: «Ecco, stringi da
morto colui che hai amato da vivo!». Ed essa, versando cocenti lacrime sopra quel corpo, raddoppia
flebili richiami e singhiozzi, e ripetendo affettuosi abbracci e baci, solleva il velo per vederlo
scopertamente. Che più? Contempla quel prezioso vaso, in cui era stato nascosto un tesoro più
prezioso, adorno di cinque perle. Ammira quelle cesellature, degne dell'ammirazione di tutto il mondo,
che la mano dell'Onnipotente aveva scolpito, e così d'un tratto, piena di insolita letizia, si rianima tutta
alla vista dell'amico morto. Subito suggerisce che non si debba dissimulare e tener nascosto più a lungo
un così inaudito miracolo, ma con una risoluzione molto saggia lo si mostri agli occhi di tutti. Accorrono
perciò tutti à gara a tale spettacolo, e costatano come Dio non aveva veramente mai fatto cose sì
grandi ad alcun' altra nazione e sono tutti ripieni di stupore.
Qui sospendo lo scritto, non volendo balbettare ciò che non potrei descrivere. Giovanni Frigia
Pennate allora fanciullo, in seguito proconsole di Roma e conte del Sacro Palazzo, quello che allora
insieme alla madre, vide con i propri occhi e toccò con le proprie mani liberamente l'afferma con
giuramento, lo confessa contro tutti i dubbi. Ritorni ormai la pellegrina alla sua città, consolata dal
privilegio di tanta grazia, e noi, dopo aver narrato la morte del Santo, passiamo ad altro.
CAPITOLO VII
MORTI RISUSCITATI PER I MERITI DEL BEATO FRANCESCO
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40. Mi accingo a parlare dei morti risuscitati per i meriti del confessore di Cristo, e chiedo agli
ascoltatori e ai lettori d'essere attenti. Trascurerò nella narrazione, per amor di brevità, molte
circostanze, e tacendo le esaltazioni degli ammiratori, annoterò soltanto le cose mirabili.
Nel paese di Monte Marano, presso Benevento, una donna, di nobile casato, ancor più nobile
per virtù, si era affezionata con speciale devozione a san Francesco, e lo serviva con profonda
dedizione. Oppressa da malattia ed ormai giunta all'estremo, seguì la sorte di ogni mortale. Poiché
essa morì verso il tramonto, venne differita la sepoltura al giorno dopo, per permettere alla numerosa
folla dei suoi cari di partecipare al sacro rito. Di notte arrivarono i chierici con i salteri per cantare le
esequie e le veglie notturne, mentre tutt'attorno stava la folla. Ed ecco all'improvviso, alla vista di
tutti, si levò la donna sul letto e chiamò tra i presenti un sacerdote, suo padrino, dicendogli: «Voglio
confessarmi, padre, ascolta il mio peccato! Io, infatti sono morta ed ero destinata a una dura prigione,
poiché non avevo confessato ancora un peccato che ora ti rivelerò. Ma avendo san Francesco, a cui fui
sempre molto devota pregato per me--essa soggiunse --, mi è stato permesso dl ritornare in vita in
maniera che, confessato quel peccato, possa meritare il perdono. Ed ecco, davanti a voi tutti,
confessato il peccato, mi affretterò al promesso riposo ». Confessatasi con tremore al tremante
sacerdote, e ricevuta l'assoluzione, essa si coricò quietamente sul letto e si addormentò felice nel
Signore.
Chi può dunque esaltare con degne lodi la misericordia di Cristo? Chi celebrare la virtù della
confessione e i meriti del Santo con degna lode?
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41. A dimostrare come tutti debbano ricevere con amore l'ammirabile dono divino della
confessione e anche perché giustamente si chiarisca come questo Santo sempre godette di merito
singolare presso Cristo, bisogna riferire ciò che egli mirabilmente manifestò, mentre viveva nel mondo,
e ciò che, dopo la sua morte, ancor più chiaramente rivelò di lui il suo Cristo.
Una volta, recatosi il beato padre Francesco a Celano per predicare, fu da un cavaliere invitato
con devote e ripetute preghiere a pranzare con lui. Egli dapprima si rifiutò, facendo lunga resistenza,
ma infine si lasciò convincere costrettovi dall'insistenza. Giunse il momento del pranzo e venne
imbandita una splendida mensa. L'ospite devoto si rallegrò, e tutta la famiglia si allietò all'arrivo dei
frati poverelli. Il beato Francesco, rimanendo in piedi e levando gli occhi al cielo, chiamò a sé l'ospite.
«Ecco», disse, «fratello ospite, vinto dalle tue preghiere sono entrato per mangiare in casa tua. Adesso
obbedisci subito al mio avvertimento, poiché tu non qui mangerai, ma in altro luogo. Confessa con
devozione e contrizione le tue colpe, e non resti peccato in te che non confessi. Oggi il Signore ti
ricompenserà perché hai così devotamente accolto i suoi poverelli». Si convinse subito quell'uomo alle
parole sante e, chiamato il compagno di san Francesco, che era sacerdote, gli svelò con sincera
confessione tutti i suoi peccati. Diede disposizione per la sua casa e se ne stava aspettando, senza
ombra di dubbio, che si compisse la parola del Santo. Infine tutti si sedettero a mensa e cominciarono
a mangiare e, anch'egli, fattosi il segno della croce, allungò tremando la mano verso il pane, ma prima
di poterla ritrarre, chinò il capo ed esalò lo spirito.
Quanto bisogna amare la confessione dei peccati ! Si osservi, un morto viene risuscitato perché
si possa confessare, e perché un vivo non debba perire in eterno, viene liberato con il beneficio della
confessione.
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42. Un fanciulletto di appena sette anni, figlio di un notaio di Roma, desiderando
accompagnare, al par dei bambini, la madre che si recava alla chiesa di San Marco per la predica,
venne invece rinviato da lei a casa; amareggiato il piccolo, travolto da non so quale diabolico istinto, si
gettò dalla finestra. Abbattutosi con un ultimo sussulto, spirò. La madre che non si era ancor molto
allontanata, al tonfo del corpo caduto, sospettando il dramma del suo tesoro, corse velocemente a
casa, e scorse il figlio esanime. Subito essa si piantò le unghie nella carne, chiamò piangendo i vicini, e
vennero chiamati i medici presso Ii corpo esanime. Potranno forse essi ridar vita al morto? Erano ormai
inutili le prognosi e le cure, i medici potevano spiegare, ma non rimediare il fatto, solo ormai di
competenza di Dio. Privo infatti di calore e di vita, di sentimento, di moto e di forza, il bimbo viene
dichiarato morto dai medici. Frate Rao, dell'Ordine dei Minori, predicatore famosissimo in tutta la città
di Roma, giunto là per predicare, si avvicinò al fanciullo e pieno di fede si rivolse al padre: «Credi tu
che il Santo di Dio, Francesco, possa risuscitare dai morti tuo figlio, per quell'amore che egli sempre
portò al Figlio di Dio il Signore Gesù Cristo?». Rispose il padre: «Con fermezza lo credo e lo confesso.
Sarò in eterno al suo servizio e visiterò pubblicamente il suo santo luogo ». Quel frate allora si
inginocchiò col suo compagno, invitando tutti a pregare. Terminata la preghiera, il fanciullo cominciò a
poco a poco a sbadigliare, ad alzar le braccia e a rialzarsi. Accorre la madre e abbraccia il figlio; il
padre non sa contenersi per la gioia, e tutta la folla, piena di ammirazione, magnifica Cristo e il suo
Santo con altissime grida. Da quell'istante il fanciullo prese a camminare davanti a tutti restituito alla
vita in ottimo stato.
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43. I frati di Nocera chiesero un carro, di cui avevano bisogno per un po' di tempo, ad un uomo
di nome Pietro ma egli rispose stoltamente: «Io scuoierei due di voi insieme a san Francesco, piuttosto
che prestarvi il mio carro». Si pentì subito però quell'uomo di aver proferito sì grande bestemmia, e,
percuotendosi la bocca, invocava misericordia. Temeva infatti una punizione, come infatti accadde.
Durante la notte vide in sogno la sua casa piena di uomini e di donne, che intrecciavano danze in gran
giubilo. Di lì a poco suo figlio, di nome Gafaro, si ammalò e, trascorso poco tempo, spirò. Le danze,
viste in sogno, si cambiarono in lutto, e la gioia in pianto. Si ricordò allora della bestemmia che aveva
proferito contro san Francesco, e lo strazio gli insegnò quanto fosse stata grave la sua colpa. Si
ravvoltolava per terra e si disperava senza cessare un istante di invocare san Francesco, dicendo:
«Sono io che ho peccato; me, avresti dovuto colpire! Ridona, o Santo, il figlio al penitente che già ti
bestemmiò. Mi arrendo a te, per sempre mi presterò ai tuoi desideri, giacché ti offrirò sempre tutte le
primizie».
Cosa meravigliosa ! A tali parole il fanciullo si alzò e ordinando di cessare il pianto, così
raccontò la vicenda della sua morte: «Mentre io giacevo morto--disse--venne il beato Francesco e mi
condusse per una strada buia e molto lunga. Poi mi fece sostare in un giardino così splendido, così
piacevole, che tutto il mondo non si potrebbe paragonare ad esso. Mi ricondusse poi per la stessa
strada, dicendomi: " Ritorna da tuo padre e da tua madre, non voglio trattenerti qui più a lungo". Ed
eccomi di ritorno, secondo il suo volere».
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44. Nella città di Capua, mentre un fanciullo giocava con altri presso la sponda del fiume
Volturno, cadde per distrazione dalla riva del fiume e fu travolto. La corrente del fiume lo investì con
violenza, seppellendolo morto sotto la sabbia. Alle grida dei fanciulli che con, lui si erano divertiti
presso il fiume, corsero velocemente con funi molti uomini e donne, e saputo della disgrazia,
invocavano piangendo: «San Francesco, rendi il fanciullo al padre e al nonno, che lavorano al tuo
servizio! ». Infatti il padre e il nonno del fanciullo avevano lavorato con ardore alla costruzione di una
chiesa in onore di san Francesco. Mentre dunque tutto il popolo supplicava ed invocava devotamente i
meriti del beato Francesco, un nuotatore che stava non molto lontano udite le grida, si avvicinò. E
saputo che da oltre un'ora il fanciullo era caduto nel fiume, dopo aver invocato il nome di Cristo e i
meriti del beato Francesco, depose le vesti e si buttò nudo nel fiume. Non conoscendo punto il posto
dove il fanciullo era precipitato, cominciò a scandagliare qua e là con attenzione le rive e il fondo del
fiume. Finalmente per divino volere scoprì il luogo dove il fango aveva coperto come in una tomba il
cadavere del fanciullo. Dopo aver scavato e riportato fuori il corpo, constatò con dolore che il fanciullo
era morto. Benché la gente tutt'attorno vedesse che il fanciullo era morto, tuttavia continuava ad
insistere con gemiti e grida: «San Francesco, restituisci il fanciullo a suo padre! ». Il beato Francesco,
come si poté vedere nella realtà che seguì, quasi provocato dalla devozione e dalle preghiere della
folla, subito ridiede vita all'esanime fanciullo. Egli rialzatosi, fra la gioia e la meraviglia di tutti,
supplicò di esser portato alla chiesa del beato Francesco, ed asserì di esser stato risuscitato per la sua
intercessione.
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45. Nella città di Sessa (Aurunca), nel borgo che passa sotto il nome « Le Colonne », il
traditore delle anime e l'assassino dei corpi, il diavolo, abbatté una casa, facendola crollare; egli aveva
tentato di uccidere molti fanciulli che si divertivano allegramente attorno alla casa, ma riuscì ad
inghiottire soltanto un giovinetto, che al crollo della casa fu ucciso sul colpo. Uomini e donne, sorpresi
dal fracasso della casa che crollava, accorsero da ogni parte e togliendo qua e là le travature,
riportarono il figlio ormai esanime all'infelice madre. Essa, graffiandosi il volto e strappandosi i capelli,
rotta da amari singhiozzi, e tutta in lacrime, gridava con tutte le sue forze: «O san Francesco, san
Francesco, rendimi mio figlio!». E non solo essa, ma tutti i circostanti, sia uomini che donne,
amaramente singhiozzando gridavano: «San Francesco, rendi il figlio all'infelice madre!». Dopo un'ora,
la madre riavendosi tra i sospiri da tanto dolore, pronunciò questo voto: «O san Francesco, restituisci a
me, così infelice, il figlio mio, ed io ornerò il tuo altare con un filo d'argento e lo adornerò con una
tovaglia nuova, e accenderò candele tutto intorno alla tua chiesa!». Il cadavere fu deposto sul letto,
poiché ormai notte, in attesa di seppellirlo il giorno dopo. Verso la mezzanotte, pero, il giovane
cominciò a sbadigliare, e mentre gli si andavano riscaldando gradatamente le membra, prima che
albeggiasse, rinvenne del tutto, e proruppe in esclamazione di lode. Tutto il popolo e il clero,
vedendolo sano e salvo, rivolsero ringraziamenti al beato Francesco.
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46. Nella città di Pomarico, situata fra i monti della Puglia, un padre e una madre avevano
un'unica figlia in giovane età, che amavano teneramente. E poiché non speravano altro erede in futuro,
essa costituiva per loro oggetto di ogni affetto, ragione di ogni cura. Ora, ammalatasi e in pericolo di
morte, padre e madre della fanciulla erano come tramortiti dal dolore. La vegliavano e l'assistevano
per giorni e notti intere senza tregua, ma una mattina purtroppo la trovarono morta. Forse c'era stato
da parte loro un attimo di disattenzione, per un colpo di sonno o per la stanchezza della veglia. La
madre privata in tal modo della dolce figlia, e perduta insieme la speranza di un erede, sembrò
morire. Si radunano parenti e vicini per il tristissimo funerale e si preparano a tumulare il corpo
esanime, mentre l'infelice madre giace, oppressa da indicibili pene, e tutta presa da grandissimo
strazio, non s'accorge neppure di quanto avviene. Frattanto san Francesco, accompagnato da un solo
confratello, visita la madre addolorata e la consola con affabilità dicendole: «Non piangere, giacché
alla tua lucerna, ormai del tutto spenta, ecco io restituirò la luce!». Si rialzò subito la donna e,
rivelando a tutti ciò che le aveva detto san Francesco, impedì che il corpo dell'estinta venisse
trasportato altrove. Voltasi dunque la madre verso la fanciulla, invocando il nome del Santo, la sollevò
viva e risanata. Lasciamo ad altri descrivere la meraviglia che riempì i cuori dei presenti e la gioia
incredibile dei genitori.
870
47. In Sicilia un giovane di nome Gerlandino, originario di Ragusa, andò coi genitori a lavorare
nella vigna, al tempo della vendemmia. Mentre egli si era calato sotto il torchio, per riempire gli otri in
un tino, d'improvviso, essendosi mossi i travicelli di legno, le grosse pietre con le quali si spremeva la
vinaccia, franarono colpendolo mortalmente al capo. Si affretta il padre verso il figlio e, preso dalla
disperazione, non l'aiuta a rimuovere il peso, e lo lascia come era caduto. Attirati dalle grida del
disperato richiamo, accorsero rapidi i vendemmiatori, e, commiserando l'infelice padre, estrassero il
figlio dal peso sotto cui giaceva. Postolo in disparte, ne avvolsero il corpo esanime, e cominciarono a
provvedere alla sua sepoltura. Il padre, invece, si getta in ginocchio ai piedi.di Gesù, affinché si degni
per i meriti di san Francesco, di cui era prossimo il giorno festivo, di restituirgli vivo l'unico figlio.
Moltiplica le preghiere, fa voto di opere di pietà, e promette di visitare il più presto possibile le
reliquie del Santo. Più tardi accorre la madre, e piena di disperazione si getta sul figlio e piangendolo
commuove al pianto anche gli altri. D'un tratto il giovane si rialza e, richiamando coloro che lo
piangevano, si rallegra per esser stato restituito alla vita, grazie all'aiuto di san Francesco. Allora la
gente, là radunata, innalza grida di gioia al cielo, e proclama che Iddio, per merito del suo Santo, ha
liberato il giovane dal laccio della morte.
871
48. Il Santo risuscitò anche un altro morto in Alemagna. Di tal miracolo papa Gregorio per
mezzo di una lettera apostolica, al tempo della traslazione del beato Francesco, testimoniò
l'autenticità a tutti i frati che erano convenuti alla traslazione e al capitolo. Di questo miracolo non ho
scritto la storia, non conoscendola, ben sicuro che la papale testimonianza sia argomento superiore ad
ogni asserzione. Passiamo ormai ai casi di altre persone, che il Santo sottrasse alla morte.
CAPITOLO VIII
DI COLORO CHE IL SANTO SOTTRASSE ALLA MORTE
872
49. A Roma un nobile cittadino, di nome Rodolfo, aveva una torre abbastanza alta, e sulla
torre, secondo l'uso, teneva un custode. Una notte, sulla cima della torre, mentre il custode dormiva
profondamente, giacendo su un mucchio di legna posto proprio sull'orlo sporgente del muro, si sciolse
l'argano all'improvviso o forse per un guasto provocatosi alla base, e l'uomo fu sbalzato fuori con tutta
la legna, abbattendosi dall'alto precipizio sul tetto del palazzo e dal palazzo al suolo. Al forte fragore si
svegliò tutta la famiglia, e il cavaliere, sospettando delle ostilità si alzò ed uscì con le armi in pugno.
Sfoderata la spada, stava per vibrarla sull'uomo che giaceva a terra addormentato, con l'intenzione di
colpirlo, poiché non l'aveva riconosciuto. Ma la moglie del cavaliere, temendo che per caso fosse il
proprio fratello, odiato a morte dal marito, gli impedì di colpirlo col gettarsi sull'uomo sdraiato, e lo
difese con pietà. O meravigliosa profondità di quel sonno! Non alla doppia caduta, non al rumoroso
clamore si risveglia quell'uomo assopito. Finalmente scosso da una mano sollecita si svegliò e, come
strappato da un dolce sonno, si rivolse al suo padrone: «Perché mi svegliate dal sonno? Non ho mai
dormito così dolcemente, giacché dormivo con grandissima soavità nelle braccia del beato Francesco».
Venendo poi informato dagli altri della sua caduta, e vedendosi in basso, lui che si era coricato in alto,
si meravigliò che fosse accaduta una cosa di cui non si era accorto. Tosto dinnanzi a tutti promise di
fare penitenza, e, ottenuto il permesso del suo padrone, si accinse al pellegrinaggio. La donna, poi,
fece mandare ai frati che dimoravano in un suo castello fuori Roma, un bell'apparato sacerdotale,
pegno di riverenza e di onore al Santo. Le Scritture esaltano il grande merito dell'ospitalità, e gli
esempi lo provano. Il predetto signore infatti, quella notte, aveva dato alloggio a due frati minori, per
amore di san Francesco, ed anch'essi accorsi con gli altri avevano assistito all'accaduto.
873 50. Nel paese di Pofi, situato in Campagna, un sacerdote di nome Tommaso, si recò con molti a
riparare un mulino di proprietà della sua chiesa. Sotto il mulino c'era un gorgo profondo e vi scorreva
un canale di copiosa portata. Mentre dunque il sacerdote passeggiava incauto lungo le rive del canale,
all'improvviso vi cadde dentro e in un attimo venne spinto dalla violenza impetuosa dell'acqua contro le
pale, dalla cui forza viene mosso il mulino. Giaceva irrigidito su quel legno, incapace di qualsiasi
movimento. Sulla sua faccia, coricato com'era, si scatenava la violenza delI'acqua, tale da annebbiargli
sia l'udito che la vista. Non più la parola ma soltanto il cuore gli era rimasto, con cui invocava
flebilmente san Francesco. La vittima rimaneva così esanime per lungo tempo, mentre gli amici
tornavano di corsa disperando ormai di salvarlo; finalmente il mugnaio propose: «Giriamo con forza il
mulino in senso contrario in modo che ributti fuori il cadavere». Puntellandosi dunque con forza,
fecero girare la macina in senso contrario e scorsero l'uomo caduto in acqua ancora vivo. Mentre il
sacerdote ancor vivo continua a dibattersi nell'acqua, gli appare un frate minore, vestito di abito
bianco e cinto di corda, che con grande dolcezza, traendolo per un braccio lo tira fuori dal fiume, e gli
dice: «Io sono Francesco che tu hai invocato». Colui allora così liberato si meravigliò altamente, e
cominciò a correre qua e là esclamando: «Fratello, fratello!». E volto ai circostanti: «Dov'è? Per quale
strada si è allontanato? ». Tutti i presenti allora tremando, si buttarono proni a terra, glorificando Dio
e il suo Santo.
874
51. Nella Capitanata, alcuni fanciulli del borgo di Celano erano usciti insieme per falciare erba.
C'era in quelle zone campestri un vecchio pozzo, il cui orlo era nascosto da erbe verdeggianti, e
conteneva acqua profonda quattro passi. Mentre dunque i fanciulli correvano qua e là, all'improvviso
uno cadde nel pozzo. Ora, nell'istante stesso in cui egli era vittima della terrena disgrazia, invocò la
celeste protezione: «San Francesco -- esclamò cadendo -- aiutami! ». Gli altri volgendosi attorno, e
vedendo, che il fanciullo non si faceva più vedere, si misero a cercarlo, chiamando e vagando qua e là
in lacrime. Infine, arrivati all'apertura del pozzo, dalle orme impresse sull'erba che stava
risollevandosi, compresero che il fanciullo doveva essere caduto dentro. Si affrettano piangenti al
borgo e, chiamato un gruppo di uomini, ritornano verso l'amico, considerato ormai da tutti perduto.
Venne calato uno con una fune nel pozzo; ed ecco, scorse il fanciullo fermo sulla superficie dell'acqua,
e perfettamente illeso. Estratto quindi dal pozzo, il fanciullo raccontò a tutti i presenti: «Quando
alI'improvviso sono caduto, ho invocato la protezione di san Francesco, che subito mi si presentò
mentre stavo cadendo, stendendomi una mano mi sollevò dolcemente, non abbandonandomi più fino a
che insieme a voi, mi trasse dal pozzo».
875
52. Si era desistito dalle cure di una fanciulla di Ancona, ormai sfinita da malattia mortale, e
già si facevano i preparativi per il suo trapasso e per i funerali. A lei, ormai giunta all'ultimo respiro, si
presenta il beato Francesco, e le dice: « Confida, figlia, perché per mia intercessione sei del tutto
sanata. E tu non rivelerai a nessuno la sanità, che ti restituisco, fino a sera ». Giunta la sera, la
fanciulla si alzò sul letto all'improvviso, facendo fuggire i presenti, impauriti. Essi credevano che un
demonio si fosse impadronito del corpo della morente, e che, mentre l'anima si allontanava le fosse
succeduto uno spirito malvagio. La madre ebbe il coraggio di correrle vicino e facendo molteplici
scongiuri contro il demonio, poiché pensava si trattasse di quello si sforzava di coricarla sul letto. Ma
ad essa la figlia disse: «Per carità, mamma, non credere che sia il demonio, giacché all'ora terza il
beato Francesco mi ha guarita, ordinandomi di non dirlo a nessuno fino ad ora». Il nome di Francesco
divenne causa di meravigliosa letizia per coloro che il timore del demonio aveva fatto fuggire via.
Invitarono poi la fanciulla a mangiare carne di gallina, ma essa rifiutò di mangiare, essendo tempo
della quaresima maggiore: «Non temete!--disse--Non vedete san Francesco tutto vestito di bianco?
Ecco, egli mi proibisce di mangiar carne, perché è quaresima, e mi ordina di offrire la veste funebre ad
una donna che sta in carcere. Guardate ora, guardate e vedete che si sta allontanando! ».
876
53. C'erano in una casa, presso Nettuno, tre donne, di cui una molto devota ai frati e a san
Francesco. Squassata dal vento la casa crollò e travolse due di esse, uccidendole e seppellendole. Il
beato Francesco, subito invocato, si presentò e non permise che la sua devota fosse ferita in alcun
modo. Infatti il muro, a cui la donna era appoggiata, rimase intatto all'altezza di lei, e su di essa una
trave, precipitando dall'alto, si adattò in modo da sostenere tutto il peso del gravoso crollo. Gli uomini,
accorsi al fragore del crollo, non ebbero che a piangere per le due donne morte, e a ringraziare san
Francesco per quella rimasta viva, devota dei frati.
877 54 Presso Corneto, grosso paese e assai potente della diocesi di Viterbo, dove si procedeva nel
luogo dei frati alla fusione di una campana di non poco peso, ed erano venuti molti amici dei frati per
portare il loro aiuto, portata a termine la fusione, con grande letizia si cominciò a pranzare. Ed ecco,
un fanciullo di appena otto anni, di nome Bartolomeo, il cui padre e lo zio avevano lavorato per la
fusione, portare ai convitati una vivanda. All'improvviso si sollevò un violentissimo vento, che scosse
l'edificio, e scagliò contro quel fanciullo la porta della casa che era molto grande e molto pesante.
L'urto fu di tanta violenza da far credere che egli, oppresso dall'immane peso, ne fosse rimasto
fatalmente schiacciato. Infatti giaceva del tutto coperto sotto il peso, sì che non si poteva veder nulla
di lui. Alla fusione succede la confusione, e alla gioia dei convitati il lutto dei dolenti. Si alzarono tutti
dalla mensa, lo zio insieme agli altri, invocando san Francesco, e accorsero presso la porta. Invece il
padre, irrigidito dalla sorpresa e non potendosi muovere per lo strazio, faceva promesse ad alta voce e
offriva il figlio a san Francesco. Venne tolto il peso funesto di dosso al fanciullo ed ecco apparire lieto,
senza alcun segno di lesione, come svegliato dal sonno, colui che tutti credevano morto. Alla
confusione seguì il ritorno della gioia e all'interruzione del pranzo una grandissima esultanza. Il
fanciullo stesso ebbe occasione di assicurare proprio a me che non era rimasto in lui nessun segno di
vita, finché giaceva sotto il peso. In seguito, a quattordici anni di età, divenne frate minore, e fu
anche letterato ed eloquente predicatore dell'Ordine.
878
55. Ad un fanciullo dello stesso paese, che aveva inghiottito una fibbia d'argento messagli in
mano dal padre, si bloccò il passaggio della gola, sì che non poteva in alcun modo respirare. Il padre
piangeva con immensa amarezza, reputandosi omicida del figlio, e si rotolava per terra come un
pazzo; la madre con i capelli scarmigliati si graffiava tutta e piangendo lamentava il disgraziato
incidente. Gli amici tutti, partecipi a tanto dolore, piangevano il giovane in piena salute, rapito da
morte sì repentina. Il padre implorava i meriti di san Francesco, e formulava un voto, perché liberasse
il figlio. Ed ecco tosto il fanciullo rigettare dalla bocca la fibbia, e benedire insieme a tutti il nome di
san Francesco.
879
56. Un uomo di Ceprano, di nome Niccolò, un giorno capitò fra le mani di crudeli nemici. Essi
con rabbia ferina, aggiungendo percossa a percossa, non cessavano di infierire sopra il poveretto, fino
a che sembrò morto o vicino a morire. Quindi abbandonandolo moribondo, s'allontanarono grondanti di
sangue. Ora, il predetto Niccolò aveva gridato, ricevendo i primi colpi, con altissima voce: «Aiutami,
san Francesco! Soccorrimi, san Francesco! ». Molti avevano udito da lontano questa invocazione, e
tuttavia non potevano portargli soccorso. Riportato a casa, tutto sporco di sangue, gridava di non
essere vicino alla morte, di non sentir alcun dolore, poiché san Francesco gli era venuto in soccorso,
ottenendogli da Dio un tempo per la penitenza. E così, veramente purificato dal sangue, fu
prontamente salvato, al di là di ogni umana speranza.
880
57. Degli uomini di Lentini tagliarono dal monte una grandissima lastra di pietra, destinata ad
essere posta sopra l'altare di una chiesa del beato Francesco, che doveva esser consacrata di lì a poco.
Ora, mentre circa quaranta uomini erano intenti a collocare la pietra sul carro, dopo rinnovati
tentativi, ecco, la pietra cadde su uno di loro, coprendolo come un sepolcro. Storditi, non sapendo che
fare, molti di loro si allontanarono disperati. I dieci uomini che erano rimasti, con lamenti invocavano
san Francesco perché non permettesse che un uomo, mentre attendeva al di lui servizio, morisse in
maniera così sfortunata. L'uomo sepolto giaceva mezzo morto, e con quel poco di vita che gli era
rimasta, chiedeva aiuto a san Francesco. Finalmente, quegli uomini, ripreso coraggio, riuscirono a
spostare con tanta facilità la pietra, che nessuno poté dubitare vi avesse posto mano san Francesco.
L'uomo si alzò in piedi incolume, lui che era stato quasi morto ritornò in vita, ritrovò il lume degli
occhi, lui che prima l'aveva offuscato, perché a tutti fosse dato di comprendere quanto valgano in
disperate circostanze gli aiuti di san Francesco.
881
58. Anche a San Severino nelle Marche accadde un fatto simile, degno di essere ricordato. Un
grandissimo masso di pietra, portato da Costantinopoli per il fonte di san Francesco da costruirsi presso
Assisi, veniva trascinato con rapidità con la forza di molti uomini; uno di essi cadde sotto il masso, sì da
essere ritenuto non solo morto, ma addirittura ridotto in pezzi. All'improvviso, così gli sembrò, e la
verità fu confermata dalla realtà, gli si presentò san Francesco che, sollevando il masso, lo tirò fuori
senza alcuna lesione. Così avvenne che ciò che era stato orribile a vedersi, divenisse per tutti oggetto
dl ammirazione.
882
59. Bartolomeo, cittadino di Gaeta, mentre lavorava con impegno nella costruzione di una
chiesa di san Francesco, tentava di mettere in opera una trave. Questa, però non essendo ben
collocata, cadde, lesionandolo gravemente al capo. Allora, tutto grondante sangue, con quel filo di
vita che gli era rimasto, chiese a un frate il viatico. Ma il frate non riusciva a trovarlo subito e poiché
credeva che l'uomo morisse in pochi istanti, gli rivolse la parola di sant'Agostino, dicendo: «Abbi fede,
e sarà come se l'avessi mangiato». Ma la notte seguente, gli apparve il beato Francesco con undici frati
e portando un agnellino in seno, accostò al suo letto, lo chiamò per nome dicendogli: «Non temere,
Bartolomeo, non prevarrà contro di te il nemico che ha tentato di impedire di porti al mio servizio,
perché, ecco, ti alzerai sano e salvo ! Questo è l'Agnello che tu chiedevi ti fosse dato e che hai
ottenuto per il tuo desiderio. Invero il frate ti ha dato un consiglio utile». E così passando la mano sulle
ferite, gli ordinò di tornare al lavoro che aveva iniziato. Alzatosi di buon mattino e presentandosi
incolume e sano a coloro che l'avevano lasciato quasi morto, li riempì di ammirazione e di stupore.
Credevano proprio tutti per l'insperata guarigione di vedere un fantasma e non già un uomo, uno spirito
e non già un uomo dl carne.
Poiché si è fatta menzione degli edifici da erigersi in onore di questo Santo, ho creduto bene di
narrare qui un prodigio assai meraviglioso.
883
60. Una volta, due frati minori stavano lavorando ad un'impresa non piccola, fabbricavano cioè
una chiesa in onore del santo padre Francesco nella città di Peschici, nella diocesi di Siponto, e non
avevano il necessario alla costruzione dell'edificio. Una notte, mentre erano alzati a recitare le Lodi,
cominciarono a sentire un fragore di pietre che cadevano a mucchi. Si incoraggiarono a vicenda e si
avvicinarono per vedere; e uscendo fuori, scorsero una grandissima folla di uomini, che facevano a
gara a radunar pietre. Tutti andavano e venivano, e tutti indossavano abiti candidi. La grande massa di
pietre là radunata dimostrò che la cosa non era frutto di fantasia, dato che la provvista non venne
meno fino a che il lavoro non fu terminato. Non furono certo uomini in carne ed ossa a compiere tale
opera: infatti, nonostante diligenti ricerche, non fu trovato nessuno che avesse pensato a ciò.
884
61. Il figlio di un uomo nobile, a Castel San Gimignano, era colpito da grave malattia, e, ormai
senza alcuna speranza, era ridotto agli estremi. Un rivolo di sangue gli fluiva dagli occhi, come può
succedere da una vena del braccio, c'erano poi altri indizi reali di prossima morte nel resto del corpo,
sì che sembrava addirittura che l'uomo fosse già spirato. Radunatisi, secondo l'uso, parenti ed amici a
piangere, e ordinato il funerale, si parlava ormai soltanto della sepoltura. Nel frattempo il padre
circondato dalla folla dei piangenti si ricordò di una visione, di cui prima aveva sentito parlare. Corse
dunque alla chiesa di san Francesco, costruita nella stessa località, con il cordone avvolto al collo, e
con umiltà si prostrò a terra, dinnanzi all'altare. Facendo voti e molto pregando, tra sospiri e gemiti,
meritò di avere san Francesco come avvocato presso Cristo. Il padre tornò subito dal figlio e lo trovò
guarito; allora il lutto si mutò in gaudio.
885
62. In Sicilia, nel borgo di Piazza già si celebravano i dovuti riti per l'anima di un giovane; ma,
dopo che uno zio ebbe offerto un voto a san Francesco, per intercessione del Santo il giovane fu
richiamato alla vita dalle soglie della morte.
63. Nello stesso borgo, un giovane di nome Alessandro, mentre tirava una fune con dei
compagni sopra un profondo precipizio, la fune si spezzò ed egli precipitò dalla roccia e fu raccolto
ormai morente. Suo padre, piangendo, lo offrì al Santo di Cristo, Francesco, ed ottenne la grazia di
averlo ancora sano e incolume.
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64. Ad una donna dello stesso paese, ammalata di tisi, ormai ridotta agli estremi, venne
impartita l'estrema unzione; ma, dopo che i presenti ebbero invocato il santissimo padre, essa
improvvisamente guarì.
887
65. Presso Rete, in diocesi di Cosenza, accadde che due fanciulli dello stesso paese, mentre
erano a scuola, si mettessero a litigare, e uno di essi venne così gravemente ferito dall'altro che, da
una grave ferita riportata allo stomaco, usciva il cibo non digerito; non aveva così il ragazzo alcuna
possibilità di trattener cibo, che né digerito, né ritenuto in alcuna cavità, ancora intatto fluiva fuori
dalla ferita. Non c'era nessun medico capace di curarlo. I genitori e il ragazzo stesso, dietro consiglio di
un frate, perdonarono a colui che lo aveva ferito, e fecero voto al beato Francesco che se avesse
liberato dalla morte il fanciullo mortalmente ferito e ormai considerato incurabile dai medici, lo
avrebbero mandato alla sua chiesa, e avrebbero ornato il tempio tutto intorno con ceri. Fatto il voto, il
fanciullo fu del tutto mirabilmente sanato, sì che, secondo i medici di Salerno questo non fu un minor
miracolo che se egli fosse risuscitato da morte.
888
66. Mentre due persone si avvicinavano assieme a Monte San Giuliano (Trapani) per i loro
affari, una di esse si ammalò sino ad essere in pericolo di morte. I medici chiamati a curarlo,
accorsero, ma non riuscirono a farlo star meglio. Il compagno sano, allora, fece voti a san Francesco e
promise che, se il malato fosse guarito per i meriti dei beato padre egli avrebbe osservato la sua festa
annuale assistendo alla Messa solenne. Formulate così le sue promesse, tornato a casa, trovò ristabilito
colui che aveva da
poco lasciato senza voce e coscienza, e che temeva fosse già morto.
889
67. Un bambino della città di Todi giaceva a letto da otto giorni, come morto, con la bocca
ormai chiusa, senza il lume degli occhi, con la pelle del viso, delle mani e dei piedi annerita al pari di
una pentola; il suo stato era già da tutti considerato senza speranza. Dopo che sua madre ebbe fatto
un voto, improvvisamente egli ricuperò la salute. E, benché così piccolo ancora non sapesse parlare,
raccontò tuttavia che era stato guarito dal beato Francesco.
890 68. Un giovane, precipitando da un posto molto alto, perdette la coscienza e restò paralizzato
nelle membra; e per tre giorni continui non mangiò, né bevve, né dava segni di vita, e perciò venne
ritenuto morto. Sua madre, senza chiedere alcun aiuto ai medici, domandò al beato Francesco la
grazia della guarigione. Appena ebbe pregato, ritrovò il figlio vivo e guarito, e cominciò a lodare
l'onnipotenza del Creatore.
891 69. Un fanciullo di Arezzo, di nome Gualtiero, soffriva di continue febbri e di due ascessi, e tutti
i medici giudicavano il suo stato ormai inguaribile. Ma, formulato dai genitori un voto a san Francesco,
egli venne ristabilito nella desiderata salute.
CAPITOLO IX
IDROPICI E PARALITICI
892 70. Nella città di Fano, un ammalato di idropisia, per intercessione del beato Francesco, meritò
di essere completamente guarito da tale infermità.
893
71. Una donna della città di Gubbio, che giaceva paralizzata in un letto invocato per tre volte
san Francesco perché l'aiutasse, fu liberata dalla sua infermità e risanata.
894
72. Una fanciulla di Arpino, nella diocesi di Sora, era paralizzata a tal punto, che con le
membra inerti e i nervi contratti, non poteva svolgere alcuna attività; sembrava posseduta dal
demonio piuttosto che vivere con anima umana. Era talmente menomata da tale malattia, che
sembrava a tutti tornata alla prima infanzia. Finalmente sua madre, ispirata dall'alto, la condusse in
una culla ad una chiesa del beato Francesco presso Vicalvi, e versando molte lacrime e moltiplicando
le preghiere, ottenne che fosse liberata da ogni traccia di malattia e restituita al precedente stato di
salute.
895
73. Nel medesimo paese, un giovane colpito da paralisi, con la bocca irrigidita e gli occhi
stravolti, fu accompagnato dalla madre a detta chiesa. Prima quel giovane era incapace di qualsiasi
movimento, dopo che la madre ebbe per lui supplicato il Santo, ancor prima di raggiungere la sua casa,
venne ristabilito alla primitiva salute.
896
74. A Poggibonsi, una fanciulla di nome Ubertina era gravemente e incurabilmente ammalata
di malcaduco; i suoi genitori, perduta ormai ogni fiducia nei rimedi umani, implorarono
insistentemente il soccorso di san Francesco. Avevano poi insieme formulato il voto di digiunare ogni
anno per la vigilia, e nel giorno della festa del Santo, di dare da mangiare ad alcuni poveri, se egli
avesse guarito la loro figlia da quella insolente malattia. Appena emesso il voto, la fanciulla si riebbe
del tutto guarita, né risultò in seguito in lei alcuna traccia di così grave malattia.
897
75. Pietro Mancanella, cittadino di Gaeta, per una paralisi perdette l'uso di un braccio e di una
mano, ed ebbe la bocca storta fino all'orecchio. Affidandosi alle cure dei medici, perdette anche la
vista e l'udito. Si rivolse allora supplichevole al beato Francesco, e fu guarito da ogni infermità, per i
meriti del beatissimo uomo.
898
76. Un cittadino di Todi era tanto sofferente per una artrite da non riuscire a riposare per il
forte dolore. Infine, essendo ridotto allo stremo delle forze e non essendo alleviato in alcun modo dalle
cure mediche, in presenza di un sacerdote si rivolse al beato Francesco e, appena ebbe emesso un
voto, ricuperò la salute.
899
77. Un uomo di nome Bontadoso era talmente sofferente per un dolore ai piedi che non poteva
muoversi per niente; dopo aver perduto anche l'appetito e il sonno, fu convinto da una donna di
votarsi al beato Francesco. Egli, irritato dal troppo dolore, diceva di non vedere che Francesco fosse un
santo; in seguito si arrese, all'insistente suggerimento della donna, e fece un voto così: « Mi consacro a
san Francesco, e credo che sia un santo, se mi libererà entro tre giorni da questa malattia ». Subito,
poté rimettersi in piedi e si meravigliò, poiché era ritornata la salute scomparsa.
900 78. Una donna, che da molti anni giaceva a letto per malattia, incapace di qualsiasi movimento,
fu risanata da san Francesco e poté così attendere alle sue occupazioni .
901 79. Un giovane, nella città di Narni, soffriva da dieci anni per una malattia, che lo rendeva tutto
così gonfio da non poter essere curato in alcun modo. La madre lo votò a san Francesco, e subito
ottenne da lui la grazia della guarigione.
902
80. Nella stessa città una donna, aveva da otto anni una mano paralizzata, sì da non esser in
grado di fare nulla. Le apparve san Francesco in visione e stirandole la mano, la rese capace di
lavorare come l'altra sana.
CAPITOLO X
NAUFRAGHI SALVATI
903
81. Alcuni naviganti erano in gran pericolo sul mare, lontani dieci miglia dal porto di Barletta,
mentre la tempesta infuriava, dubitavano ormai di salvarsi e allora gettarono le ancore. Ma poiché la
tempesta diventava sempre più violenta, il mare gonfio ribolliva, le funi si erano spezzate e le ancore
erano cadute, i naviganti erano sbattuti qua e là tra le acque. Finalmente, placatosi il mare per divino
volere, si accinsero con ogni sforzo a ricuperare le ancore, le cui sartie galleggiavano in superficie.
Invocato il soccorso di tutti i santi, essi madidi di sudore non riuscirono a recuperarne neanche una in
tutto il giorno. ~li era fra loro un marinaio di nome Perfetto, ma per nessuna qualità perfetto,
spregiatore di ogni cosa di Dio, egli maliziosamente con derisione disse ai compagni: « Avete invocato il
soccorso di tutti i santi e come potete constatare, nessuno vi è venuto in aiuto. Invochiamo allora
codesto Francesco, che è un santo nuovo, affinché si immerga nel mare e con il suo cappuccio ci
ripeschi le ancore perdute. Offriremo un'oncia d'oro alla sua chiesa che stanno costruendo ad Ortona,
se ci accorgeremo che ci aiuta ». Gli altri acconsentirono con timore alla proposta di quell'uomo
irriverente e, pur biasimandolo, confermarono la promessa. In un istante le ancore galleggiarono sulle
acque, come se il pesante ferro si fosse trasformato in leggero legno.
904
82. Un pellegrino, invalido nel corpo e non del tutto sano di mente per una pazzia di cui aveva
sofferto in passato, tornava con la moglie su di una nave, dai paesi d'oltremare. Egli, non ancora del
tutto guarito, era arso dalla sete, ma l'acqua mancava; cominciò allora a gridare ad alta voce: « Siate
fiduciosi, e riempitemi un bicchiere, perché il beato Francesco ha riempito d'acqua il mio fiasco ». Oh,
meraviglia! Infatti il fiasco, che avevano lasciato vuoto, fu trovato colmo d'acqua. Qualche giorno
dopo, durante una tempesta, mentre la nave era invasa dai flutti e squassata da altissime onde, sì che
il naufragio sembrava imminente, lo stesso malato cominciò a gridare improvvisamente: « Alzatevi
tutti, e andate incontro al beato Francesco che sta per venire. Eccolo è qui per salvarci ». Così dicendo
con grido altissimo e piangendo, si prostrò ad adorarlo. Alla visione del Santo, subito il malato riprese
la salute, e il mare si placò.
905
83. Frate Giacomo da Rieti, voleva attraversare un fiume con una barchetta; dopo aver portato
i compagni sulla riva, da ultimo si preparava alla traversata. Ma quella piccola imbarcazione si ribaltò
e, mentre il barcaiolo riusciva a nuotare, il frate fu sommerso. I frati, già sbarcati, invocavano con
trepide grida il beato Francesco, come per obbligarlo, con pianti e preghiere, a soccorrere il figlio.
Anche frate sommerso, dal profondo gorgo, non potendo pregare con le labbra, lo faceva col cuore. Ed
ecco, venutogli in aiuto il Padre, camminò sul fondo, come sull'asciutto, afferrò la barca sommersa e
con essa arrivò alla spiaggia. Incredibile a dirsi! I suoi abiti non erano affatto bagnati: nemmeno una
goccia d'acqua aveva bagnata la tunica.
906
84. Due uomini e due donne, con un bambino, navigavano sul lago di Rieti; poiché
all'improvviso la barca si capovolse e si riempì d'acqua, la morte dei naviganti sembrava prossima.
Mentre tutti urlavano di spavento, senza alcuna speranza di salvarsi, una delle donne gridò con grande
fiducia: « San Francesco, tu che da vivo mi hai concesso il dono dell'amicizia, porta ora dal cielo aiuto
a chi sta per soccombere». Si presentò all'improvviso il Santo invocato, e condusse con tutta sicurezza
al porto la barca ricolma di acqua. I naviganti avevano portato con sé una spada, che stava
prodigiosamente a galla e seguiva tra le onde la barca.
907
85. Alcuni marinai di Ancona, sbattuti da una forte tempesta, consideravano ormai inevitabile
il naufragio. Disperavano ormai di salvarsi e invocavano supplichevoli san Francesco; apparve allora sul
mare uno splendore e con esso la calma, dono divino. Offrirono allora in voto un pallio di grande pregio
e ringraziarono infinitamente il loro salvatore.
908
86. Un frate di nome Bonaventura navigava su di un lago con altri due uomini, quando la barca
si spezzò su un fianco e poiché lasciava entrare l'acqua, affondava. Dal fondo del lago invocarono san
Francesco, e la barca, benché piena d'acqua, arrivò coi naviganti al porto. Così anche un frate di
Ascoli, caduto in un fiume, venne salvato per i meriti di san Francesco.
909
87. Un abitante di Pisa della parrocchia dei santi Cosma e Damiano, confermò con sua
dichiarazione che, mentre era con molti in una nave in mare, la nave spinta da una violenta tempesta,
si avvicinava ad infrangersi contro un monte. I marinai allora costruirono una zattera con gli alberi e le
tavole e vi salirono con gli altri che erano sull'imbarcazione, come su di un rifugio. Ma detto uomo di
Pisa, poiché non era fermo saldamente alla zattera, fu colpito in pieno da una violenta ondata e
scagliato in mare. Poiché non sapeva nuotare, né gli altri potevano aiutarlo, calò disgraziatamente in
fondo al mare. Non essendo in grado di parlare, si raccomandava con gran fede a san Francesco, d'un
tratto fu sollevato come da una mano e ricondotto sulla zattera, in tal modo riuscì insieme agli altri a
salvarsi. La nave poi, scagliata contro il promontorio, andò completamente distrutta.
CAPITOLO XI
CARCERATI E PRIGIONIERI
910 88. In Romania accadde che un greco, servo di un certo signore, venisse falsamente accusato di
furto. Il principe della regione ordinò che fosse rinchiuso in un angusto carcere e pesantemente
incatenato, ed infine con sentenza definitiva che gli fosse tagliato un piede. La moglie implorò con
insistenza il principe perché l'innocente fosse liberato; ma l'ostinata durezza di quell'uomo non si
arrese alle implorazioni. Allora la donna ricorse supplichevole a san Francesco, raccomandando alla sua
compassione con un voto quell'innocente. Si presentò il patrono degli infelici senza indugio e
nell'istante in cui egli prese per mano il prigioniero, ne sciolse le catene, aprì il carcere, condusse fuori
l'innocente mormorandogli: « Io sono colui, al quale la tua donna ti ha devotamente raccomandato ». Il
prigioniero era preso da gran terrore, e girava attorno per scendere dal precipizio dell'altissima rupe,
ma all'improvviso, senza saper come, si trovò in basso; appena ritornato, riferì alla moglie la verità del
prodigio. Allora essa fece fare, secondo il voto, un'immagine di cera, che appese vicino all'immagine
del Santo, perché fosse vista da tutti. Ma il marito ingrato si irritò per questo e percosse la moglie.
Allora fu egli stesso colpito e si ammalò gravemente fino a quando, confessata la sua colpa, cominciò
ad onorare con devozione il Santo di Dio, Francesco.
911
89. A Massa San Pietro, un poveretto era debitore di una somma ad un cavaliere; ma non
potendo in alcun modo, a causa della sua miseria, pagarlo, fu imprigionato dal suo creditore. Il
poveretto implorava che gli usasse misericordia e pregava con insistenza per ottenere una dilazione
per amore di san Francesco, poiché credeva che anche ii cavaliere avesse rispetto per il famoso Santo.
Ma quel cavaliere superbamente respinge le preghiere rivoltegli e follemente disprezza come cosa
vana l'amore del Santo. Infatti risponde caparbio: « Ti rinchiuderò in un posto, e in una prigione, ove
né Francesco né alcun altro possano aiutarti ». Mise in atto la sua minaccia; trovò una oscura prigione
e vi gettò dentro l'uomo incatenato. Poco dopo, si presentò san Francesco che, infranta la porta del
carcere, spezzate le catene ai piedi del prigioniero, lo ricondusse sano e salvo a casa sua. Egli, per
mettere in evidenza il potere meraviglioso in quegli oggetti in cui aveva sperimentato la misericordia
del Santo, portò le proprie catene alla chiesa del beato Francesco, presso Assisi. Così la potenza di san
Francesco, vinto il superbo cavaliere, liberò dal male il prigioniero, che a lui si era affidato.
912
90. Cinque ufficiali di un grande principe, catturati per sospetto, non solo vennero legati con
pesanti catene ma anche rinchiusi in un duro carcere. Avendo saputo dei miracoli operati da san
Francesco, essi si affidano a lui con grande devozione. Allora san Francesco apparve una notte ad uno
di essi, promettendogli la grazia della liberazione. Tutto esultante, egli raccontò ai compagni di
prigionia la promessa liberazione. Piansero e gioirono insieme e, nel buio della prigione, formularono
voti e moltiplicarono le invocazioni. Senza indugio, uno di essi cominciò a scalfire con un osso il muro
della fortificatissima torre. Il solido materiale gli cedeva con tanta facilità, come se si fosse trattato di
una compagine di cenere. Terminata l'apertura nel muro, provò ad uscire, e spezzate le catene, uno
dopo l'altro tutti uscirono liberi. Rimaneva da passare un profondo precipizio, se volevano fuggire; ma
la loro guida, il coraggioso Francesco, diede loro il coraggio di scendere. Poterono quindi allontanarsi
con tutta sicurezza ed esaltarono con alti elogi la grandezza del Santo.
913
91. Alberto di Arezzo, duramente incatenato per debiti a lui ingiustamente attribuiti,
raccomandò con umiltà la propria innocenza a san Francesco. Amava moltissimo l'Ordine dei frati e
venerava con speciale devozione il Santo, fra tutti gli altri santi. Il suo creditore d'altro canto gli aveva
detto con sfida blasfema che né Dio né Francesco, avrebbero potuto liberarlo dalle sue mani. Avvenne
dunque che nella vigilia del giorno dedicato a san Francesco, il prigioniero non aveva toccato cibo, anzi
l'aveva donato, per amore del Santo, ad un poveretto. San Francesco la notte seguente apparve a lui
che vegliava, e al suo apparire le catene caddero dai piedi e dalle mani del prigioniero. Si
spalancarono da sole le porte e caddero giù le tavole dal soffitto, e l'uomo così liberato poté
allontanarsi e ritornare a casa sua. Da allora mantenne il voto, digiunando nella vigilia di san
Francesco, e aggiungendo al cero, offerto annualmente, un'oncia in più ogni anno.
914
92. Un giovane della Città di Castello fu accusato di un incendio, e chiuso in un duro carcere;
andò egli allora umilmente la propria difesa a san Francesco. Una notte, mentre era incatenato e
custodito, udì una voce che gli ingiungeva: « Alzati presto e va' dove vuoi, perché le tue catene sono
sciolte! ». Ubbidì senza indugio a quell'ordine, e uscito fuori dal carcere, si incamminò verso Assisi per
offrire al suo liberatore un sacrificio di lode.
915
93. Mentre era papa Gregorio IX, fu necessario che sorgesse in diverse parti la persecuzione
contro gli eretici. In quel periodo un uomo di nome Pietro, di Castello di Alife (Caserta), fu accusato di
eresia, e con gli altri imprigionato a Roma. Fu consegnato dal Papa al vescovo di Tivoli perché fosse
tenuto in custodia. Il vescovo ricevutolo sotto pena di perdere l'episcopato, lo fece incatenare.
Tuttavia, poiché la semplicità dei modi dell'accusato dimostrava la sua innocenza, fu trattato con
minor rigore. Si narra che alcuni nobili della città, volendo, per odio inveterato contro il vescovo, che
egli incorresse nella pena minacciata dal Papa, offersero a Pietro un piano nascosto di fuga. Egli
acconsentì e evase di notte, fuggendo in fretta lontano. Conosciuto il fatto, il vescovo ne fu molto
preoccupato e aspettando la pena, non meno si rammaricò che il piano degli avversari fosse riuscito.
Quindi con il più grande impegno possibile mandò spie da ogni parte, perché scoprissero il poveretto;
catturatolo, lo fece rinchiudere in una severissima custodia, a pena della sua ingratitudine. Il vescovo
fece preparare un'oscura prigione, circondata da robuste mura; in più, dentro, fece stringere il
poveretto tra grosse tavole, legate con chiavi di ferro. Ordinò che il prigioniero fosse incatenato ai
piedi con ceppi di ferro pesanti molte libbra, e gli fossero somministrati vitto e bevanda solo in piccola
quantità.
Era perduta ormai per lui ogni speranza di liberazione, ma Dio, che non permette che
l'innocente perisca, nella sua pietà gli venne prontamente in aiuto. Il prigioniero cominciò a implorare
il beato Francesco con pianti e preghiere perché gli venisse in aiuto, avendo udito che era la vigilia
della sua festa. Aveva egli molta fiducia in san Francesco, poiché, così affermava, aveva saputo che gli
eretici avevano latrato a lungo contro san Francesco. Nella notte della sua festa, verso il crepuscolo, il
beato Francesco discese pietoso nel carcere e chiamando per nome il prigioniero, gli ordinò di alzarsi.
Costui, terrorizzato, domandandogli chi fosse, si sentì dire che colui che gli si presentava era san
Francesco. Allora il prigioniero chiamò una guardia e le disse: << Sono molto spaventato, giacché ho qui
davanti a me uno che mi ordina di alzarmi dicendo di essere san Francesco ». Ma gli rispose la guardia:
« Giaci, in pace, poveretto, e dormi! Tu infatti sragioni, non avendo oggi mangiato abbastanza ». Ma
poiché il Santo di Dio gli ripeté il comando di alzarsi, circa l'ora di mezzogiorno, il poveretto si accorse
che le catene dei piedi erano cadute a terra spezzate. Si accorse che le tavole della prigione si
aprivano, mentre i chiodi saltavano via, offrendogli in tal modo un passaggio per uscire. Slegato, non
sapeva, stordito come era, in qual modo fuggire, e, gridando, spaventò tutte le guardie. Esse
comunicarono al vescovo che l'uomo si era liberato dalle catene. Il vescovo allora pensando che quegli
fosse fuggito, e non sapendo che si trattava di un prodigio, pieno di paura, poiché era infermo, cadde a
terra dal luogo ove sedeva. Avvertito poi dello svolgersi dei fatti andò devotamente al carcere e
comprendendo la potenza di Dio adorò il Signore.
Le catene furono poi recate alla presenza del Papa e dei cardinali. Essi saputo l'accaduto, pieni
di meraviglia, benedissero Iddio.
916
94. Guidalotto da San Gimignano venne falsamente accusato di aver ucciso un uomo con il
veleno e di aver intenzione di uccidere nello stesso modo il figlio di quell'uomo e tutta la famiglia.
Catturato perciò dal podestà del luogo, legato con pesanti catene, viene gettato in una torre in rovina.
Il podestà pensava con quali torture estenuarlo per estorcergli la confessione del crimine imputatogli e
ordinò infine che venisse sospeso ad un cavalletto girevole. Furono posti inoltre sopra di lui molti pesi
di ferro sí che egli perse i sensi. Più volte il podestà ordinò di abbassarlo e di sospenderlo di nuovo,
perché tra tanti tormenti fosse indotto alla confessione del delitto. Ma il prigioniero, sorretto dalla sua
innocenza, mostrava letizia in volto, anche con l'aggravarsi dei tormenti. In seguito fu acceso un gran
fuoco sotto di lui, e benché il suo capo pendesse verso terra nemmeno un capello gli fu bruciato. Infine
fu cosparso d'olio bollente, ma poiché era innocente e fin dall'inizio si era raccomandato al beato
Francesco, superò ogni tortura col sorriso sulle labbra. Infatti nella notte, antecedente l'esecuzione
della pena, fu visitato dalla presenza del beato Francesco, e circondato da una nube meravigliosa di
splendore, vi rimase avvolto sino al mattino, ripieno di gaudio e di immensa fiducia. Benedetto Iddio
che non permette che gli innocenti periscano e nel diluvio di molte acque aiuta sollecito chi spera in
lui.
CAPITOLO XII
DONNE LIBERATE DAI PERICOLI DEL PARTO,
E DI COLORO CHE NON OSSERVAVANO LA FESTA DEL SANTO
917
95. Una contessa di Schiavonia, illustre per nobiltà e amante del bene, ardeva di devozione
verso san Francesco, e nutriva grande affetto per i frati. Mentre stava partorendo, presa da atroci
dolori, si aggravò al punto da far pensare che l'imminente nascita del figlio segnasse la fine della
madre. Non sembrava che il bambino potesse essere dato alla vita senza che la madre uscisse dalla vita
e in tale sforzo partorire, ma perire. Ricordò allora in cuore suo la fama di Francesco e la di lui
potenza e gloria: si vívifica la sua fede, si accende la sua devozione. La donna si rivolse allora all'aiuto
efficace, all'amico fedele, al sollievo dei devoti, al rifugio degli afflitti. « San Francesco--esclamò--ogni
mia viscera supplica la tua pietà, e con lo spirito faccio un voto che non riesco ad esprimere >>.
Straordinario effetto della preghiera! Appena ebbe finito di parlare, finirono i suoi dolori, finirono le
doglie e cominciò il parto. Cessata ogni apprensione, diede felicemente alla luce la sua creatura. Non
si dimenticò poi del voto, né della promessa. Fece costruire una bellissima chiesa e quando fu
edificata, la donò ai frati dell'Ordine del Santo.
918
96. Nelle vicinanze di Roma, c'era una donna di nome Beatrice, ormai vicina al parto; essa
portava in seno già da quattro giorni il feto morto ed era tormentata da infinite sofferenze e da
lancinanti dolori. Il feto morto conduceva anche la madre alla morte, e non essendo ancora stato
espulso, metteva in pericolo la madre. La donna si affidò all'aiuto dei medici, ma ogni tentativo fallì e
ogni umano rimedio si rivelò inutile. In tal modo l'antica maledizione del peccato ricadeva gravemente
su di lei e, divenuta tomba della sua creatura, essa stessa si avvicinava alla tomba. Ma essa mandò
qualcuno a raccomandarla devotamente ai frati minori e piena di speranza, domandò supplicando
qualche reliquia di san Francesco. Avvenne per divino volere che si trovasse un pezzetto del cordone,
di cui talvolta il Santo si era cinto. Appena la corda fu data alla sofferente, ogni dolore disparve come
d'incanto; il feto morto, causa di morte, fu espulso, e tornò la primitiva salute.
919
97. La moglie di un nobiluomo di Calvi, di nome Giuliana, viveva piena di tristezza per la morte
dei figli e di continuo piangeva la sua infelicità. Tutti i suoi figli erano morti, e i nuovi rampolli erano
presto recisi dalla scure. Era incinta di quattro mesi, ma era presa più dal dolore che dalla gioia, nel
timore di una ingannevole letizia di una nascita presto frustrata dalla tristezza di un tramonto. Ma una
notte, mentre dormiva, le apparve in sogno una donna che recava sulle mani uno splendido bambino e
affidandoglielo con soave sorriso, le diceva: « Prendi, o donna, questo fanciullo che ti manda san
Francesco! ». Ma essa, quasi rifiutando di ricevere colui che avrebbe dovuto presto perdere, ricusava
dicendo: « Perché mai dovrei volere questo bambino che so presto dovrà morire al pari degli altri? ». E
l'altra « Prendilo, perché quello che ti manda san Francesco resterà in vita ». Avendo ripetuto queste
parole fra loro per tre volte, la donna infine accolse il bambino fra le braccia. Subito essa si svegliò e
narrò il sogno al marito. Gioirono insieme, di grande gaudio e moltiplicarono i loro voti per ottenere il
figlio. Compiuto il tempo del parto, finalmente la donna diede alla luce un maschietto, che fiorendo
sino al vigore delI'età, compensò i lutti delle precedenti perdite.
920
98. Dalle parti di Viterbo c'era una donna, vicina al parto, ma ancor più vicina alla morte,
tormentata com'era da dolori viscerali e da ogni genere di disturbi muliebri. Vennero consultati i
medici e chiamate le levatrici, ma poiché costoro non ottenevano nessun risultato, rimaneva sola la
disperazione. La poveretta allora invoca il beato Francesco e tra l'altro promette di celebrare
solennemente la sua festa per tutta la vita. La donna fu subito alleviata nel dolore e portò a termine
felicemente il parto. Ma, ottenuto quanto desiderava, non mantenne la promessa. Il giorno di san
Francesco si recò a lavare i panni, non dimentica, ma piuttosto sprezzante del voto fatto da poco.
All'improvviso fu presa da insolito dolore, e capito il castigo ritornò a casa. Ma cessato il dolore,
essendo essa di quelle che mutano parere dieci volte in un'ora, quando scorge le vicine che
accudiscono alle faccende, con temeraria emulazione osa fare peggio di prima. All'improvviso non
riesce più a piegare il braccio destro intento al lavoro, lo sente diventare rigido e paralizzato. Cerca di
sollevarlo con l'altro, ma per eguale maledizione anche quello si paralizza. La poveretta veniva per ciò
alimentata dal figlio, né poteva da sola far nulla. Si stupì il marito, e riflettendo su quale poteva essere
la causa, apprese che la mancata fedeltà a san Francesco era la ragione del tormento. Allora moglie e
marito, presi dal timore, rifecero subito il voto. Il Santo si impietosì, poiché sempre era
misericordioso, e restituì alla donna pentita l'uso delle membra di cui era stata privata quando aveva
mancato all'impegno. In tal maniera, la pena rese nota la colpa e fece sì che la donna divenisse un
esempio per tutti coloro che non mantengono i voti, e un ammonimento per coloro che pretendono di
violare le feste dei Santi.
921
99. Nella città di Tivoli, la moglie di un giudice, dopo aver partorito sei figlie, turbata da
eccessivo furore, decise di non avere in futuro rapporti col marito, per non continuare ad avere da
questa relazione frutti non graditi. Non piaceva alla donna mettere al mondo sempre femmine, e
delusa nel suo desiderio di un maschio, se la prendeva persino con la volontà di Dio. Non ci si deve
ribellare al giudizio, che per legge di Dio onnipotente, cade sugli uomini. Essa con indignazione per un
anno non si accostò al marito. Poco dopo ridotta a pentimento, le viene comandato dal suo confessore
di riconciliarsi col marito e di domandare al beato Francesco un figlio, a cui avrebbe poi imposto il
nome di Francesco, poiché ricevuto grazie ai suoi meriti. Poco tempo dopo, quella donna concepì, e il
Santo che era stato invocato per ottenere un figlio solo le concesse di partorire due gemelli. Di essi uno
fu chiamato Francesco, I'altro Biagio.
922
100. Nella città di Le Mans, una signora molto nobile aveva una serva non nobile che, anche
nella festa di san Francesco, per ordine della padrona doveva fare i servizi. La poveretta, più nobile di
spirito, rifiutava di lavorare, per rispetto al santo giorno. Ma prevalse l'umana paura al timore di Dio, e
la serva, benché malvolentieri, ubbidì. Stende le mani alla conocchia, e le dita stringono il fuso; ma
subito le mani si irrigidiscono per il dolore e le dita sembrano bruciare per un forte calore. La colpa fu
così resa pubblica attraverso la pena, poiché le dure sofferenze non permisero certo il silenzio. Si
precipitò la serva dai figli di san Francesco, confessò la colpa, mostrò il castigo, e chiese il perdono.
Allora i frati si recarono in processione alla chiesa, implorando la clemenza di san Francesco per la sua
salvezza. All'improvviso, mentre i figli imploravano il Padre, essa guarì, ma nelle sue mani restò il
segno della bruciatura.
923
101. Nella Campania, avvenne qualcosa di simile. Una donna, nella vigilia della festa di san
Francesco, benché fosse molto spesso rimproverata dalle vicine, perché nemmeno quella festa si
asteneva dal lavoro, con ostinazione continuò la sua opera senza tregua, fino alla sera. Ma dopo la
fatica, all'improvviso fu paralizzata alle mani e resa inabile al lavoro. Si stupisce e si addolora.
Immediatamente si alza e dichiarando che si doveva rispettare la festa solenne che essa aveva
disprezzato, fa voto alla presenza di un sacerdote che per sempre avrebbe osservato la festa del Santo.
Fatto questo voto, fu accompagnata ad una chiesa dedicata a san Francesco, ove, fra le lacrime,
ricuperò la salute.
102. Nella città Olite una donna, ammonita da una vicina perché rispettasse la festa di san Francesco
astenendosi dal lavoro, con eccessiva arroganza rispose: « Se per qualsiasi arte, ci fosse un santo, il
numero dei santi sarebbe superiore a quello dei giorni ». Appena pronunciata la frase, per divino
intervento, subito impazzì rimanendo priva della ragione e della memoria per molti giorni, finché per
le preghiere elevate a san Francesco da alcuni devoti sparì la sua insania.
924
103. Nel paese di Piglio, nella Campania (di Roma), nella festa di san Francesco, una donna
eseguiva in fretta un suo lavoro. Rimproverata da una nobildonna, essendo tale festa osservata da tutti
con religiosa venerazione, rispose: « Mi manca poco a finire il mio lavoro. Veda il Signore se commetto
una colpa! ». Subito vide nella figlia, che le sedeva appresso, avverarsi il grave giudizio. La bocca della
bambina si era storta fino alle orecchie e gli occhi uscivano dalle orbite stravolti in modo orribile.
Accorrono donne da ogni parte e imprecano contro l'empietà della madre, causa di disgrazia alla figlia
innocente. Senza indugio essa si getta a terra accasciata dal dolore promettendo di osservare ogni
anno il giorno del Santo, e di dar da mangiare, in tale occasione, ai poveri per riverenza a questo
Santo. All'istante cessò il tormento della figlia, quando la madre che aveva peccato, si pentì della sua
colpa.
925
104. Matteo da Tolentino aveva una figlia di nome Francesca. Egli, adiratosi non poco perché i
frati si trasferivano altrove, decise di chiamare la figlia Mattea, spogliandola del nome di Francesca.
Ma appena privata del nome, la figlia fu privata anche della salute. Infatti poiché ciò era avvenuto per
disprezzo del Padre e per odio dei figli, la giovinetta si ammalò in modo gravissimo tanto da essere in
pericolo di morte. Quell'uomo, tormentato da profondo dolore per le condizioni disperate della figlia e
rimproverato dalla moglie per l'odio verso i servi di Dio e per il disprezzo al nome del Santo, per prima
cosa ricorse al nome con sollecita devozione e rivestì la figlia del primo titolo, di cui l'aveva spogliata.
Finalmente, portata dal padre in lacrime al luogo dei frati, la fanciulla riebbe insieme al proprio nome
anche la salute.
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105. Una donna di Pisa, che non sapeva di essere incinta, mentre nella sua città si cominciava
la costruzione di una chiesa dedicata a san Francesco, per tutto il giorno collaborò attivamente
all'opera. Ad essa san Francesco apparve di notte, accompagnato da due frati che camminavano presso
di lui, portando due ceri, e le disse: « Ecco, figliola, tu hai concepito e partorirai un figlio. Sarai assai
felice di lui, se gli darai il mio nome ». Giunse quindi il tempo del parto e generò un figlio. La suocera
allora disse: a Si chiamerà Enrico, in ricordo di quel nostro parente ». « No, assolutamente,--insisté la
madre--, ma si chiamerà invece Francesco! ». La suocera schernì quel nobile nome, come se fosse
volgare. Passati quindi pochi giorni, il bambino ormai prossimo al battesimo, si indebolì all'improvviso
fino quasi a morire. Tutta la famiglia fu presa dal dolore e la gioia si trasformò per loro in angoscia. La
notte però mentre la madre non riusciva a dormire per il dolore, venne come la prima volta san
Francesco con due frati e come turbato si rivolse alla donna dicendole: « Non ti avevo detto che non
avresti goduto di tuo figlio, se non gli avessi imposto il mio nome?». Allora quella incominciò a gridare
che non avrebbe imposto al figlio nessun altro nome. Infine il piccolo guarì, e fu battezzato col nome
di Francesco. Al fanciullino fu pure data la grazia di non piangere e di passare lietamente i suoi anni
puerili .
927
106. Una donna delle parti di Arezzo in Toscana, dopo aver sopportato per sette giorni il
travaglio del parto, ormai livida e disperata da tutti, formulò un voto a san Francesco e la morente
incominciò a chiederne l'aiuto. Appena fatto il voto, subito si addormentò e le apparve san Francesco
che chiamandola per nome, Adelasia, le domandava se conoscesse il suo volto. Essa rispose: « Certo
che ti riconosco, Padre». Soggiunse il Santo: « Sai recitare "Salve, Regina di misericordia "? ». Al che
essa rispose: « Sì, Padre ». « Incomincia allora, continuò il Santo, e, prima che finisca, partorirai
felicemente ». Detto ciò il Santo gridò a gran voce e gridando disparve. A tal grido si sveglia la donna,
che tremante cominciò a recitare: Salve Regina. Arrivata alle parole « quegli occhi tuoi misericordiosi
», tosto, non ancora finita l'invocazione, dette alla luce un grazioso bambino, con grande gioia e
salute.
928
107. In Sicilia, una donna benché sapesse che la festa solenne di san Francesco era imminente,
non si curava comunque di astenersi dal lavoro, anzi preparò dinnanzi a sé un mortaio. Vi mise della
farina e cominciò a manipolarla a braccia nude, ma ad un tratto la farina apparve tutta intrisa di
sangue. Vedendo ciò, stupita la donna chiamò le vicine. Quanto più esse accorrevano a veder lo
spettacolo, tanto più aumentava nella massa della farina il fluire del sangue. Si pentì la donna di
quello che aveva fatto e formulò il voto di non iniziare più in avvenire un lavoro manuale nella festa
consacrata al Santo. Confermata così la promessa, il fluire del sangue nella farina cessò.
929
108. Mentre era ancora vivo il Santo, una donna incinta che viveva dalle parti di Arezzo, giunto
il tempo del parto, era in preda ad un terribile spasimo e rimase per parecchi giorni in questo
travaglio. Il beato Francesco proprio in quel tempo passava di là, diretto verso un eremo, a cavallo,
poiché era ammalato. Mentre tutti aspettavano il suo passaggio per quel luogo, dove si trovava la
donna sofferente, il Santo invece era già arrivato all'eremo. Un frate si trovò a passare, con il cavallo
su cui era stato seduto il Santo, proprio per quel villaggio. Allora gli abitanti, accorgendosi che questi
non era san Francesco, rattristati, cominciarono a chiedersi se ci fosse qualcosa che il servo del Signore
avesse stretto nella propria mano. Trovando le briglie del morso, che il Santo aveva stretto in mano,
tolsero velocemente il morso dalla bocca del cavallo. Appena le briglie furono poste sopra la donna, si
allontanò ogni pericolo, ed ella partorì con gioia e salute.
CAPITOLO XIII
MALATI DI ERNIA RISANATI
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109. Frate Giacomo da Iseo, uomo celebre e famoso nel nostro Ordine, a testimonianza di
quanto gli era accaduto e a gloria del nostro Padre, rese grazie al Santo per il beneficio della
guarigione. Mentre era ancora fanciullo nella casa paterna, incorse in una gravissima ferita, dalla quale
uscivano in una posizione che non era la loro le parti nascoste del corpo, collocate dalla natura nel
segreto, e di conseguenza soffriva molto per quella lesione. Suo padre e tutti i suoi, che sapevano della
cosa, ne erano angosciati e, nonostante il ricorso a numerosi rimedi, non lo vedevano punto migliorare.
Allora il giovane, per ispirazione divina, cominciò a pensare alla salvezza della propria anima e a
ricercare con spirito ardente Iddio, che sana i cuori feriti e ne lenisce le piaghe. Entrò pertanto
devotamente nell'ordine, senza rivelare ad alcuno la propria infermità. Ma dopo qualche tempo i frati
vennero a sapere della infermità del giovane. Impressionati, avrebbero voluto, benché spiacenti,
rimandarlo in famiglia. Ma l'insistenza del giovane fu tale da impedire che fosse eseguita la spiacevole
decisione. Ebbero quindi i frati cura del giovane, fino a che egli, sostenuto dalla grazia e pieno di nobili
virtù, assunse tra loro la cura delle anime e si distinse per l`esercizio della regolare disciplina. Avvenne
poi che, mentre avveniva il trasferimento del corpo del beato Francesco alla sua sede, egli fosse
presente alle feste della traslazione insieme alla folla. Avvicinatosi alla tomba in cui riposava il corpo
del veneratissimo Padre, cominciò a pregare a lungo per l'ormai vecchia infermità. Tutto ad un tratto,
in maniera mirabile, le membra ritornarono al loro posto naturale, ed egli, sentendosi guarito, depose
il cinto, e da allora scomparve interamente ogni dolore.
931
110. Un Pisano, che evacuava i residui della digestione dalla parte dei genitali, a causa del
forte dolore e della profonda vergogna, prese contro di sé una diabolica decisione. Travolto da
disperazione profonda, decise di non vivere più oltre e di uccidersi con un laccio. Giunto il momento,
fu tuttavia punto dal rimorso della non ancor spenta coscienza, e richiamò alla memoria e ripeté con la
bocca, sia pur flebilmente, il nome di Francesco. Subito ottenne una conversione dalla maledetta
decisione ed insieme l'immediata guarigione dalla enorme piaga.
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111. Il figlio di un individuo di Cisterna nella Marittima era afflitto da una spaventosa
lacerazione delle parti genitali, ed in nessuna maniera era possibile contenere la fuoriuscita degli
intestini. Di fatti, anche il cinto, che solitamente è un buon rimedio per tale infermità, gli procurava
nuove e dolorose lesioni. Gli infelici genitori vivevano nel tormento e l'orrenda vista di tale male era
causa di pianto a vicini e conoscenti. Dopo aver tentato ogni genere di cure senza mai approdare a un
risultato, il padre e la madre votarono il figlio a san Francesco. Lo portarono dunque il giorno di san
Francesco alla chiesa costruita in suo onore presso Velletri, lo deposero dinnanzi all'immagine del
Santo, fecero i loro voti e piansero per lui assieme alla numerosa folla. Mentre veniva cantato il
Vangelo e venivano pronunciate quelle parole: « Ciò che viene nascosto ai sapienti, è rivelato ai
fanciulli », all'improvviso si ruppero il cinto e gli inutili rimedi. Subito si rimarginò la ferita e ritornò la
desiderata salute. Si levò quindi un grande grido di lode a Dio e di devozione al Santo.
933
112. Presso Ceccano, paese della Campagna, il sagrestano di nome Niccolò mentre di mattina
presto entrava in chiesa, per un incidente improvviso cadde così malamente, che gli intestini gli
fuoriuscirono fino al basso ventre. Alcuni chierici ed altri vicini accorsero e, sollevatolo, lo riportarono
a letto. Giacque egli per otto giorni immobilizzato, al punto da non riuscire ad alzarsi nemmeno per le
proprie necessità. Furono chiamati i medici e fatte tutte le cure del caso, ma il dolore aumentava e il
disturbo non solo non guariva, ma si aggravava. Gli intestini fuoriusciti e nella sede impropria
causavano all'uomo tale sofferenza, che per otto giorni ii disgraziato non riuscì neppure a mangiare.
Ormai privo di speranza e destinato a morire, l'uomo si rivolse a san Francesco. Pregò la propria figlia
religiosa e timorata di Dio, di implorare per lui l'aiuto di san Francesco. Messasi un poco in disparte la
pia figliola si concentrò nella preghiera, e tra i singhiozzi scongiurò il Padre per il proprio padre. O
mirabile potenza della preghiera! D'improvviso il padre la richiamò, mentre ella ancora stava
pregando, e le annunziò con gioia l'insperata guarigione. Ogni cosa era tornata al debito posto ed egli
si sentiva di star meglio di quanto non lo fosse stato prima della caduta. Fece voto allora di aver
sempre come suo patrono il beato Francesco, e di festeggiare ogni anno il giorno a lui consacrato.
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113. Nel paese di Spello un uomo da due anni soffriva di ernia in modo tale che la massa
intestinale sembrava essere tutta uscita sul basso ventre. Non riuscì infatti per molto tempo né a
contenere il deflusso degli intestini, né a farli ritornare con l'aiuto dei medici alla sede naturale.
Considerato dai medici ormai senza speranza, si rivolse alI'aiuto divino. Invocò dunque i meriti del
beato Francesco, e improvvisamente s'accorse che ciò che prima era rotto si era consolidato, e
risistemato al suo posto ciò che si era spostato .
935 114. Nella diocesi di Sora, un giovane di nome Giovanni era afflitto da tale ernia intestinale che
non poteva essere alleviato da alcuna cura medica. Un giorno accadde che la moglie si recò ad una
chiesa del beato Francesco. Mentre essa stava pregando per la guarigione del marito, uno dei frati le
disse con semplicità: « Torna, e dì a tuo marito che faccia un voto al beato Francesco, e segni con un
segno di croce il posto del male! ». Ritornata, essa lo riferì al marito. Egli fece voto al beato
Francesco, segnò il posto della ferita e subito gli intestini rientrarono al luogo di prima. L'uomo si
meravigliò molto per la rapidità dell'insperata guarigione, e per constatare che fosse completa, dato
che era stata così improvvisa, cominciò a sottoporsi a vari esercizi fisici.
Il beato Francesco apparve in sogno al medesimo giovane in preda ad una violenta febbre, e
chiamandolo per nome gli disse: « Non temere, Giovanni, poiché sarai sanato dalla tua infermità ». La
massima attendibilità di questo miracolo viene dal fatto che il beato Francesco apparve ad un religioso
di nome Roberto e richiesto chi fosse, rispose: « Io sono Francesco, e sono venuto per sanare un mio
amico ».
936
115. In Sicilia, san Francesco risanò pure in modo meraviglioso un uomo di nome Pietro, afflitto
da un'ernia inguinale, quando proprio faceva la promessa di visitare la sua tomba.
CAPITOLO XIV
CIECHI, SORDI E MUTI
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116. In un convento di Napoli, a un frate di nome Roberto, che era cieco da moltissimi anni,
discese sugli occhi una pellicola di carne che gli impediva ogni movimento ed uso delle palpebre. Erano
una volta là convenuti moltissimi frati forestieri, in partenza per diverse parti del mondo e il beato
padre Francesco, esempio e specchio di santa obbedienza, per rincuorarli al viaggio con la forza di un
nuovo miracolo, risanò il predetto frate alla loro presenza nel modo seguente. Una notte frate Roberto
giaceva ormai ridotto in fin di vita, e già gli era stata raccomandata l'anima, quando alI'improvviso gli si
presentò il beato Francesco con tre frati, insigni per la loro santità, ossia sant'Antonio, frate Agostino e
frate Giacomo d'Assisi. Essi che l'avevano imitato in vita in ogni perfezione, ora lo seguivano con
altrettanto ardore dopo morte. Il Santo, preso in mano un coltello, tagliò via dall'occhio la carne
superflua, restituì la vista all'ammalato, e lo allontanò dalle fauci della morte, dicendogli: a Figlio mio
Roberto, la grazia che ti ho fatto, è un segno per i frati che stanno per andare verso lontani paesi, che
io li precederò dirigendo i loro passi. Vadano dunque,--continuò--, e compiano con alacre animo
l'obbedienza loro ingiunta. Godano i figli dell'obbedienza, soprattutto quelli che, lasciando il proprio
suolo, dimenticano la patria terrena perché hanno una guida capace e un sollecito precursore ».
938
117. A Zancato, paese presso Anagni, un cavaliere di nome Gerardo, aveva perduto totalmente
l'uso degli occhi. Avvenne che due frati minori, tornando dall'estero, si dirigessero alla sua casa per
esservi ospitati. Accolti pertanto onorevolmente da tutta la famiglia e trattati con ogni benevolenza,
non s'accorgessero della cecità dell'ospite. Si recarono poi al luogo dei frati distante sei miglia e vi
rimasero otto giorni. Una notte il beato Francesco apparve durante il sonno ad uno di loro, dicendogli:
« Alzati e affrettati con il compagno alla casa del vostro ospite, perché nella vostra persona ha reso
onore a me e nel nome mio vi ha dato ospitalità! Rendetegli il contraccambio della lieta ospitalità ed
onore a chi vi ha onorati. Egli infatti è cieco e non ci vede e ciò glielo hanno procurato i peccati che
ancora non ha confessato. Lo attendono le tenebre della morte eterna e gli si prospettano
interminabili tormenti. Tutto ciò è conseguenza delle colpe che ancora non ha rigettato ». Sparito il
Padre, il figlio attonito si alzò e frettolosamente adempì al comando con il confratello. Ambedue i frati
ritornano insieme dall'ospite, e colui che aveva avuto la visione racconta per ordine tutto ciò che aveva
visto. Quell'uomo è preso da grande stupore e finisce per riconoscere la verità di quanto gli è detto. Si
pente fino alle lacrime, si confessa volentieri, e promette di correggersi. Rinnovato cosi l'uomo
interiore, l'uomo esteriore subito riacquista la luce degli occhi. La notizia della grandezza di questo
miracolo diffusasi in ogni parte, incoraggiò tutti coloro che lo udivano, a favorire l'ospitalità.
939
118. Presso Tebe in Romania, una donna cieca, che digiunava nella vigilia di san Francesco a
pane e acqua, fu condotta da suo marito alle prime ore della festa alla chiesa dei frati. Essa, durante
la celebrazione della Messa, al momento dell'elevazione del corpo di Cristo, aprì gli occhi, vide con
chiarezza e adorò con moltissima devozione. E nell'atto stesso dell'adorazione proclamò a gran voce: «
Grazie a Dio e al suo Santo, perché vedo il Corpo di Cristo! ». Tutti i presenti proruppero in espressione
di esultanza, e terminati i sacri riti la donna ritornò a casa sua, guidata dalla sua stessa vista. Cristo fu
luce a Francesco mentre questi era in vita, e come allora gli delegò ogni suo potere meraviglioso, così
anche ora desidera sia data gloria al suo corpo.
940
119. In Campagna, un ragazzo di quattordici anni, del paese di Pofi, per un'improvvisa
disgrazia, perdette del tutto l'occhio sinistro. L'acerbità del dolore spinse fuori l'occhio talmente
dall'occhiaia, che per otto giorni, pendendo all'esterno attraverso una sottile pellicola grossa un dito,
quasi totalmente si inaridì. Quando ormai rimaneva solo la via delI'asportazione, secondo il parere dei
medici, suo padre chiese con tutta l'anima l'aiuto del beato Francesco. Questi, infaticabile protettore
degli infelici, non deluse le preghiere del supplice. Con la sua miracolosa potenza, rimise l'occhio
inaridito al suo posto, ridonandogli la primitiva lucentezza dei raggi della desiderata luce.
941
120. Nella stessa regione, presso Castro (dei Volsci), una grossa trave cadde dall'alto e
abbattendosi pesantemente sul capo di un sacerdote, gli accecò l'occhio sinistro. Egli, buttato a terra,
cominciò a gran voce, lamentandosi, ad invocare san Francesco, dicendo: « Aiutami, o santissimo
Padre, perché possa andare alla tua festa, come ho promesso di fare ai tuoi frati! ». Era infatti la
vigilia del Santo. Costui rialzatosi subito, fu risanato in modo straordinario; proruppe quindi in
esclamazione di lode e di gioia, e trasformò in meraviglia e giubilo la pietà dei presenti che già
commiseravano il suo infortunio. Andò alla chiesa e narrò a tutti la bontà e la potenza del Santo, che
aveva sperimentata in se stesso. Imparino quindi tutti a venerare devotamente colui che essi sanno
così prontamente correre in aiuto a quelli che lo venerano.
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121. Mentre era ancora in vita il beato Francesco, una donna di Narni, afflitta da cecità,
recuperò miracolosamente la vista, dopo che l'uomo di Dio le fece un segno di croce sugli occhi.
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122. Un uomo del monte Gargano, di nome Pietro Romano, mentre nella sua vigna stava
spaccando della legna con una scure, si colpì ad un occhio e lo divise a metà in modo tale che una
parte del globo pendeva tutta fuori. Disperando in tale situazione di poter essere soccorso da alcuno,
promise che non avrebbe toccato cibo nella festa di san Francesco, se gli fosse venuto in aiuto. Subito
il Santo di Dio ricollocò al posto dovuto l'occhio di quell'uomo, ricongiungendo quanto era staccato, e
ridonando la luce di prima.
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123. Il figlio di un nobiluomo, cieco dalla nascita, acquistò il desiderato dono della vista per i
meriti del beato Francesco. Egli, prendendo nome dail'avvenuto miracolo, si chiamò Illuminato. Entrò
poi, a suo tempo, nell'Ordine di san Francesco, ed infine compì il santo inizio con una fine ancor più
santa.
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124. Bevagna è un nobile paese, sito nella valle Spoletana. Viveva in esso una santa donna, con
una figlia vergine ancor più santa ed una nipote assai devota a Cristo. San Francesco onorava spesso la
loro ospitalità con la propria presenza, poiché quella donna aveva anche un figlio nell'Ordine, uomo di
specchiata virtù. Ora una di tali donne, cioè la nipote, era priva del lume degli occhi esterni, benché
quegli interni, con i quali si vede Iddio, fossero illuminati di meravigliosa chiarezza. San Francesco,
implorato una volta perché, avendo pietà del male di lei, avesse anche riguardo alle loro fatiche,
inumidì gli occhi della cieca con la sua saliva, per tre volte, nel nome della Trinità, e le restituì la
desiderata vista .
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125. A Città della Pieve viveva un povero fanciullo completamente sordo e muto dalla nascita.
Egli aveva la lingua tanto corta, che quanti l'avevano esaminata l'avevano trovata come tronca. Un
uomo, di nome Marco, I'accolse in casa sua per amor di Dio. Il poveretto vedendosi accolto
amorevolmente, cominciò a dimorare stabilmente con lui. Una sera, quell'uomo, mentre cenava con la
moglie, presente il fanciullo, disse alla donna: « Io reputerei un grandissimo miracolo, se il beato
Francesco restituisse a costui l'udito e la parola ». E aggiunse: « Faccio voto a Dio, che se san
Francesco si degnerà di operarlo, io manterrò a mie spese questo fanciullo, finché vivrà ». Cosa senza
dubbio meravigliosa! D'un tratto la lingua crebbe ed il fanciullo parlò, dicendo: « Viva san Francesco
che vedo posto in alto e che mi ha donato la parola e l'udito. Che cosa ormai dirò alla gente? ». Il suo
benefattore gli rispose: « Loderai Iddio e salverai molti uomini ». Gli uomini di quel paese, che lo
avevano conosciuto come era prlma, furono ripieni di grandissima meraviglia.
126. Una donna nelle parti delle Puglie, da tempo aveva perduto l'uso della lingua e non aveva
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più il respiro libero. Ad essa, mentre di notte stava dormendo, apparve la Vergine Maria, che le disse:
« Se vuoi guarire, va' in pellegrinaggio alla chiesa di san Francesco presso Venosa e vi ricupererai la
desiderata salute! ». Si alzò la donna e non riuscendo ne a respirare né a parlare, accennava ai
familiari di volersi recare a Venosa. I familiari acconsentirono e si incamminarono con lei verso quel
luogo. Entrò dunque la donna nella chiesa di san Francesco, e mentre con l'animo commosso
domandava la grazia, d'un tratto vomitò fuori un nodo di carne, e venne risanata tra l'ammirazione dei
presenti.
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127. Nella diocesi di Arezzo, una donna che era muta da ben sette anni, si rivolgeva con
inesauribile speranza al divino ascolto, perché Dio si degnasse di scioglierle la lingua. Ed ecco, mentre
dormiva, apparvero due frati che indossavano una veste rossa e dolcemente la consigliarono di fare un
voto a san Francesco. Obbedì volentieri ai loro suggerimenti, e si consacrò col cuore, non potendolo
con la lingua. Contemporaneamente si svegliò dal sonno e dal silenzio.
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128. Un giudice, di nome Alessandro, era oggetto di stupore ai conoscenti perché, avendo
sparlato dei miracoli del beato Francesco, era rimasto privo dell'uso della parola per ben oltre sei anni.
Punito proprio in ciò con cui aveva peccato, richiamato in sé dal doloroso castigo, si doleva di aver
disprezzato i miracoli del Santo. Pertanto, non durò più a lungo l'indignazione del Santo, che riaccettò
nel suo favore, restituendogli la parola, colui che pentito umilmente l'invocava. Da allora, il giudice,
reso di gran lunga più devoto dalla dura punizione, purificò la lingua blasfema con le lodi del beato
padre.
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129. Avendo parlato di un bestemmiatore, ci sovviene qualcosa che è bene narrare. Un
cavaliere, di nome Gineldo, di Borgo (San Sepolcro) in provincia di Massa, continuava a disprezzare con
impudenza sguaiata le opere e i miracoli del beato Francesco. Scagliava frequenti ingiurie ai pellegrini
che accorrevano a venerare la sua memoria e infieriva con manifesta follia contro i frati. Un giorno,
mentre stava giocando ai dadi, pieno di demenza e di incredulità, disse ai presenti: « Se Francesco è
santo, vengano diciotto punti ai dadi! ». Tosto apparve nei dadi il sei moltiplicato per tre, e per ben
nove volte, ad ogni gettata, venne fuori il sei per tre. Non si quietò quel folle, anzi aggiunse peccato a
peccato e bestemmia a bestemmia. « Se è vero--esclamò--, che Francesco è santo, rimanga oggi ucciso
di spada il mio corpo! Se poi non è santo, che io ne esca sano e salvo! ». Non tardò molto l'ira di Dio, e
per giudizio divino, gli fu imputato a peccato il suo discorso. Terminato il gioco, avendo pronunciato
un'offesa contro un suo nipote, questi afferrò una spada che tinse di sangue nelle viscere dello zio. Così
quel giorno lo scellerato, reso schiavo dell'inferno e figlio delle tenebre, morì.--Temano i
bestemmiatori e non si illudano che le parole si dissipino nell'aria, né che manchi il vendicatore delle
offese fatte ai Santi.
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130. Una donna, di nome Sibilla, dopo aver sofferto per molti anni la privazione della vista,
venne condotta, cieca come era e piena di amarezza, alla tomba delI'uomo di Dio. Essa, recuperata la
vista d'un tempo, ritornò a casa piena di gioia e di esultanza.
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131. Nel paese di Vicalvi, in diocesi di Sora, una fanciulla, cieca dalla nascita, condotta dalla
madre ad un oratorio di san Francesco, dopo aver invocato il nome di Cristo, meritò, per i meriti di san
Francesco, di acquistare la vista, che prima mai aveva avuto.
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132. Ad Arezzo, una donna, che non ci vedeva da sette anni, nella chiesa di San Francesco,
edihcata presso la città, riottenne la vista perduta.
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133. Nella stessa città, il figlio di una povera donna, fu guarito dalla sua cecità dal beato
Francesco, cui era stato consacrato dalla madre.
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134. Un cieco di Spello, dinnanzi alla tomba del sacro Corpo, ritrovò la vista, da lungo tempo
perduta.
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135. A Poggibonsi, diocesi di Firenze, una donna cieca spinta da una visione, cominciò a far
visita a un oratorio del beato Francesco. Essa, condotta là, mentre stava supplichevole prostrata
davanti all'altare, all'improvviso, riacquistò la vista e poté tornare senza guida a casa sua.
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136. Anche un'altra donna, di Camerino, era completamente priva della vista all'occhio destro;
su di esso i suoi parenti posero un panno che il beato Francesco aveva toccato con le sue mani, e,
formulato un voto, ringraziarono con riconoscenza il Signore Iddio e san Francesco per la riacquistata
vista.
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137. Qualcosa di simile accadde a una donna di Gubbio. Essa, fatto il voto, fruì del ricupero
della vista perduta.
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138. Un cittadino di Assisi, che aveva perduto la vista da cinque anni e che, mentre viveva san
Francesco, gli era sempre stato amico, pregandolo e ricordandogli l'antica amicizia, appena toccò la
sua tomba, all'istante fu liberato dal suo male.
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139. Albertino da Narni, perduta la vista e avendo le palpebre cadenti fino alle guance, fece
voto al beato Francesco e meritò di ritrovare la vista e di guarire.
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140. Un giovane, di nome Villa, non era in grado né di camminare né di parlare. Per lui la
madre fece fare un'immagine di cera votiva, e la portò con grande devozione al posto ove il padre
Francesco riposa. Tornando a casa, trovò il figlio che camminava e parlava.
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141. Un uomo nella diocesi di Perugia, privo totalmente della lingua e della parola, teneva la
bocca sempre spalancata e mugolava orribilmente. Aveva infatti la gola molto gonfia e tumida. Giunto
al luogo in cui giace il santissimo corpo, volendo raggiungere su per i gradini la tomba, prese a
vomitare gran quantità di sangue e così, stupendamente liberato, riprese a parlare e ad aprire e a
chiudere la bocca, in modo naturale.
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142. Una donna, a causa di un sasso che le si era conficcato in gola, subì una forte
infiammazione, e le si inaridì la lingua, sì che non poteva né parlare, né mangiare, né bere. Essa, pur
avendo tentato molte cure, e non sentendo alcun rimedio e sollievo, si votò col cuore al beato
Francesco e, tosto, apertasi la gola, vomitò fuori la pietra che la ostruiva.
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143. Bartolomeo della città di Arpino, diocesi di Sora, privo da sette anni dell'udito, invocò il
nome del beato Francesco, e riottenne l'udito.
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144. In Sicilia, una donna, del paese di Piazza Armerina, privata dell'uso della parola, si rivolse
con le parole del cuore al beato Francesco e riacquistò la grazia della desiderata parola.
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145. Nella città di Nicosia, un sacerdote, secondo l'abitudine, si levò per il mattutino e,
richiesto da un lettore della benedizione solita, brontolò non so qual barbara risposta. Così impazzì e,
riportato a casa, perdette quasi del tutto la parola per un intero mese. Egli, poi, per suggerimento di
un uomo di Dio, fece voto a san Francesco e riacquistò, liberato dal male, I'uso della parola.
CAPITOLO XV
LEBBROSI E PERSONE AFFETTE DA EMORRAGIA
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146. A San Severino, un giovane di nome Atto, era lebbroso ormai all'ultimo stadio. Tutte le
sue membra erano tumide e gonfie, e guardava ogni cosa con sguardo orribile. Giaceva così quasi
sempre a letto, e infondeva ai suoi parenti un'infinita tristezza. Un giorno suo padre rivolgendosi a lui,
lo persuase a consacrarsi al beato Francesco. Egli acconsentì con gioia alla proposta, e il padre si fece
portare uno stoppino di candela, col quale misurò la statura del giovane. Promise con voto di portare
ogni anno una candela alta quanto suo figlio al beato Francesco. Appena fatto il voto, il malato subito
si alzò dal giaciglio e si ritrovò guarito dalla lebbra.
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147. Un altro uomo, di nome Buonuomo, della città di Fano, paralitico e lebbroso,
accompagnato dai parenti alla chiesa di san Francesco, ottenne completa guarigione di ambedue le
malattie.
148. Una nobildonna, di nome Rogata, nella diocesi di Sora, soffriva da ventitrè anni di
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emorragie; un giorno udì un giovane cantare in lingua volgare i miracoli che Dio aveva operato in quei
giorni per mezzo del beato Francesco. Mossa da profondo dolore, pianse e incominciò ardente di fede a
dire dentro di sé: « O beatissimo padre Francesco, per il cui merito rifulgono miracoli così grandi,
degnati di liberarmi da queste sofferenze! Finora un miracolo così grande non hai operato! ». Spesso,
infatti, à causa dell'eccessivo flusso di sangue, la donna sembrava prossima a morire; appena cessava,
essa si gonfiava in tutto corpo. Trascorsi pochi giorni, si ritrovò risanata per i meriti del beatissimo
Francesco. Anche il figlio di lei, di nome Mario, che aveva un braccio rattrappito, appena formulato il
voto, fu risanato dal Santo di Dio.
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149. Una donna della Sicilia, oppressa per sette anni da emorragie, fu risanata allo stesso
modo dal vessillifero di Cristo, il beato Francesco.
CAPITOLO XVI
PAZZI E INDEMONIATI
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150. Pietro da Foligno, che si era recato a visitare il tempio del beato Michele, bevve l'acqua di
una fonte e sembrò quasi avesse bevuto dei demoni. Da allora, posseduto per tre anni, era straziato
nel corpo, faceva discorsi terribili e commetteva orrende azioni. Finalmente, appena toccò con la
mano la tomba del beato padre, invocando umilmente la sua potenza, fu miracolosamente libero da
quei demoni, che così crudelmente lo avevano tormentato.
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151. A una donna della città di Narni, posseduta dal demonio, il Santo comandò durante il
sonno di segnarsi col segno della croce. A lei, svanita di mente, poiché non sapeva segnarsi, il beato
Francesco impresse il segno di croce, mettendo in fuga ogni spirito diabolico.
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152. Nella Marittima, una donna, sofferente di follia da cinque anni, rimase priva della vista e
dell'udito Stracciava con i denti le vesti, non aveva alcuna paura dei pericolo del fuoco e dell'acqua, e
cadeva in orribili attacchi di epilessia. Una notte, disponendo la divina misericordia che le fosse usata
pietà, venne colta da un salutare sopore . Vide quindi il beato Francesco seduto su di un trono
bellissimo e lei, prostrata dinnanzi, invocava supplichevole la guarigione. Poiché il Santo non
accondiscendeva alle suppliche emise quindi la donna un voto, promettendo secondo la sua possibilità,
di non rifiutare l'elemosina a chi gliela avesse richiesta per amore di lui. Immediatamente il Santo
accettò il voto, simile a quello che aveva fatto lui stesso una volta e segnandola con un segno di croce,
le restituì completa salute .
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153. Una fanciulla presso Norcia, era già da lungo tempo oppressa da malore, si capì infine che
era posseduta dal demonio. Infatti spesso strideva i denti e si mordeva, non temeva i precipizi né i
pericoli; così perduta la parola e privata dell'uso delle membra, non aveva più la sembianza d'un essere
ragionevole. I suoi genitori, angustiati per la confusione della loro discendenza, la condussero ad Assisi,
dopo aver fissato il lettuccio su un giumento. Il giorno della (`irconcisione del Signore, mentre si
celebrava la Messa solenne e la giovinetta giaceva sdraiata per terra vicina all'altare di san Francesco,
d'un tratto vomitò qualcosa di terribile. Quindi, alzatasi in piedi, baciò l'altare di san Francesco e
liberata del tutto da ogni male, esclamò a gran voce: «Lodate Iddio e il suo Santo! ».
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154. Il figlio di un nobiluomo soffriva del tormento doloroso del mal caduco. Emetteva schiuma
dalla bocca, osservava tutto con sguardo truce, e con l'abuso delle membra, sputava qualcosa di
diabolico. I suoi genitori imploravano il Santo di Dio, invocando il rimedio e offrendo il disgraziato figlio
alla sua compassione e pietà. Ed ecco, nella notte, apparve alla madre, che dormiva, I'amico pietoso
che le disse: « Ecco, sono venuto ora a salvare tuo figlio ». A quel richiamo la donna si alzò tremante e
ritrovò suo figlio perfettamente guarito.
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155. Penso di dover raccontare quale meraviglioso potere sui demoni abbia avuto il Santo
durante la sua vita. Una volta, nel paese di San Gimignano, I'uomo di Dio mentre predicava il Regno dei
Cieli, fu ospite di una persona timorata di Dio, la cui moglie, come tutti sapevano, era posseduta dal
demonio. Il beato Francesco fu pregato di intervenire a favore di lei, ma volendo sfuggire l'applauso
degli uomini, si rifiutò dall'intervenire. Tuttavia, commosso dalle molte preghiere, fece mettere in tre
angoli a pregare i tre frati che erano con lui, e nel quarto angolo si mise lui stesso a pregare.
Terminata la preghiera, si avvicinò con fede alla donna, così terribilmente tormentata, e ordinò al
demonio in nome di Gesù Cristo, di andarsene. Esso al suo comando si allontanò con rabbia e tanta
velocità che l'uomo di Dio credette d'essersi illuso e, arrossendo, se ne andò di là. Passando un'altra
volta in seguito per lo stesso paese, quella donna lo seguiva per la piazza, baciando le orme dei suoi
piedi, e chiedendo ad alta voce che si degnasse di parlare con lei. Il Santo, assicurato da molti
dell'effettiva guarigione di lei, solo allora, acconsentì di parlarle.
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156. Un'altra volta, mentre il Santo si trovava presso Città di Castello, una donna posseduta dal
demonio fu condotta nella casa in cui egli abitava. Essa era fuori e digrignando i denti, disturbava tutti
con le sue grida sguaiate. Ora molti supplicavano e imploravano il Santo di Dio per la sua guarigione,
lamentando che già da troppo tempo erano turbati dalla sua malattia. Il beato Francesco mandò a lei
un frate che l'accompagnava, volendo provare così se fosse il demonio o un inganno della donna. Ma
essa, sapendo che non era san Francesco, lo derise e ne tenne poco conto. Il padre santo era intanto
rimasto all'interno e pregava. Terminata la preghiera, uscì fuori dalla donna. Essa, non potendo
sopportare la sua presenza, si rotolava con violenza per terra. Il Santo di Dio comandò per obbedienza
al demonio di uscire. Esso tosto allontanandosi, lasciò la donna finalmente libera.
CAPITOLO XVII
PERSONE SOFFERENTI PER DEFORMITA' E FRATTURE
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157. Nella contea di Parma, nacque ad un uomo un figlio che aveva un piede volto all'indietro,
cioè con il calcagno davanti e le dita di dietro. Quell'uomo era povero ma devoto di san Francesco. Si
lamentava ogni giorno con ii Santo, per quel figlio così malridotto, mostrando insistentemente la
propria miseria. In cuor suo pensava, consenziente la nutrice, di forzare il piede a tornare al proprio
posto, dopo che le membra del delicato fanciullo si fossero ammorbidite nel bagno, e si preparò ad
eseguire quanto aveva deciso. Ma prima che fosse tentato tale atto temerario, quando le fasce furono
tolte, il fanciullo, per i meriti di san Francesco, fu trovato guarito come se prima non avesse mai avuto
simile deformità.
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158. Presso Scoppito, vicino ad Amiterno, un uomo e la moglie che avevano un solo figlio, ogni
giorno lo piangevano come se fosse una vergogna della loro famiglia. Infatti non sembrava già un
uomo, ma un mostro, essendo le sue membra anteriori, invertito l'ordine di natura, volte all'indietro.
Così, con le braccia attaccate al collo, le mani congiunte al petto e i piedi stretti alle natiche,
sembrava essere una sfera, non un busto. Perciò lo tenevano lontano dalla presenza dei parenti e dei
vicini, perché non lo vedessero, pieni di dolore e ancor più di vergogna. Oltre a ciò, il marito, prostrato
dal dolore, rimproverava alla moglie di non saper generare figli come le altre donne, ma mostri, non
paragonabili nemmeno alle specie peggiori degli animali, e la tormentava con l'accusa che il giudizio di
Dio provenisse da una colpa di lei. Essa allora, afflitta dal dolore e confusa di vergogna, gemendo
invocava Cristo e chiamava in aiuto san Francesco, perché si degnasse di soccorrerla, infelice com'era e
ridotta a tale tormento. Una notte, mentre era, piena di tristezza, sommersa in un doloroso sonno, le
apparve san Francesco, che la consolava con pie parole: « Alzati--le ordinò--, e porta il bambino al
vicino posto dedicato al mio nome, dove lo immergerai nell'acqua di quel pozzo. Appena infatti avrai
versato quell'acqua sul bambino, egli acquisterà la completa guarigione ». La donna non si curò di
adempiere l'ordine del Santo, riguardo al bambino, ed anche non prestò ascolto ad una seconda
visione, in cui il Santo le ordinava la stessa cosa. Ora il Santo impietosito dalla sua semplicità, volle in
modo ancor più vivido usarle misericordia. Infatti le apparve una terza volta insieme alla gloriosa
Vergine e la nobilissima compagnia dei santi Apostoli, e sostenendola insieme al fanciullo la trasportò
in un attimo dinnanzi alla porta del luogo designato. Sorta ormai l'aurora, e scomparsa completamente
quella visione, la donna stupita e ammirata, bussò alla porta. Ispirò ai frati non poca ammirazione quel
suo attendere con piena fiducia la guarigione del fanciullo, ormai promessa da una terza visione.
Sopraggiungendo in seguito, per devozione, alcune nobildonne della stessa regione, ed avendo
ascoltato quanto era accaduto, ne furono molto ammirate. Attinsero quindi rapidamente acqua dal
pozzo e la più nobile fra loro accudì con le proprie mani al bagno del fanciullo. All'improvviso,
ricomposte tutte le membra al loro luogo naturale, il fanciullo apparve guarito e la grandezza del
miracolo produsse in tutti immensa ammirazione .
980
159. Nella città di Cori, nella diocesi di Ostia, un uomo aveva perduto completamente l'uso di
una gamba, e non riusciva in alcun modo a camminare e a muoversi. Preso da un'angustia profonda e
disperando dell'umano aiuto, corninciò una notte, come se vedesse presente il beato Francesco, a
lamentarsi davanti a lui del suo stato: << Aiutami san Francesco, nel ricordo clel favore e della
devozione che ho mostrato per te! Giacchè ti ho trasportato sul mio asino ho baciato i tuoi picdi e le
tue sante mani, ti sono sempre stato devoto, sempre benevolo; ed ecco che io ora muoio per il
tormento insostenibile di questo male! >>. Commosso da tali implorazioni, subito il Santo, memore dei
favori ricevuti, apparve con un frate all'uomo che non poteva dormire. Disse che era venuto perché da
lui chiamato a portare rimedio per la guarigione. Toccò la parte sofferente con un bastoncino, che
recava su di sé il segno del Tau . Subito si ruppe l'ascesso e, ricuperata la salute, fino ad oggi è rimasta
impressa m quella parte il segno del Tau. Con tale sigillo san Francesco firmava le sue lettere, ogni
qualvolta o per necessità o per spirito di carità, inviava qualche suo scritto.
981
160. Fu portata al sepolcro del Santo una fanciulla, che aveva da un anno il collo
mostruosamente inclinato e la testa congiunta ad una spalla, sì che non riusciva a guardare alcuno se
non di sbieco. Essa mentre stava posando il capo sotto l'arca in cui era rinchiuso il prezioso corpo del
Santo, all'improvviso raddrizzò il collo e, commossa dal subitaneo mutamento, prese a fuggire e a
piangere. Sulla spalla su cui era stata ripiegata la testa, si vedeva ora una specie di incavo, che le
aveva procurato la lunga infermità.
982
161. Nel contado di Narni, un fanciullo aveva una tibia tanto contorta da non riuscire in alcun
modo a camminare senza l'aiuto di due stampelle. Sofferente di tale infermità fin dall'infanzia, divenne
mendico e non conosceva nemmeno i suoi genitori. Egli fu risanato per i meriti del beato Francesco, e
poté camminare liberamente dove voleva, senza bastone.
983
162. Un uomo di nome Niccolò, di Foligno, aveva la gamba sinistra rattrappita e soffriva per
così grande disgrazia; aveva speso con i medici per riottenere la sua salute tanto che si era indebitato
oltre ogni volere e possibilità. Non avendo tratto alcun sollievo dal loro aiuto, esacerbato dal cruento
dolore tanto che coi suoi ripetuti urli non permetteva nemmeno ai vicini di dormire di notte~
finalmente fece voto a Dio e a san Francesco e si fece portare alla sua tomba. Mentre stava pregando
durante la notte davanti al tumulo, la gamba gli si raddrizzò, ed egli esultante di gioia poté ritornare a
casa senza alcun bastone.
984
163. Anche un fanciullo, che aveva una gamha rattrappita sì che il ginocchio gli toccava il
petto e il calcagno le natiche, fu trasportato al sepolcro del beato Francesco; era accompagnato dal
padre che macerava la propria carne con un cilicio e dalla madre che faceva per lui penitenza. Egli
guarì con subitanea e completa salute.
985
164. Nella città di Fano vi era un uomo rattrappito, le cui tibie coperte di piaghe aderivano
alle cosce ed esalavano un fetore tale che gli infermieri non lo volevano accettare nell'ospedale. Egli
per i meriti del beato Francesco, avendone invocato la misericordia, di lì a poco si rallegrò per la
guarigione.
986
165. Una fanciulla di Gubbio, che aveva le mani contratte, e aveva perduto ormai da un anno
l'uso di tutte le membra, fu accompagnata dalla sua nutrice con un'immagine di cera alla tomba del
Santo, per ottenere la guarigione. Dopo otto giorni che si trovava là, le fu interamente restituito I'uso
di tutte le membra, rese atte al loro compito.
987
166. Anche un altro fanciullo di Montenero, giaceva da più giorni davanti alla porta della
chiesa, ove riposa il corpo del beato Francesco, poiché egli non poteva camminare né stare a sedere;
infatti dalla cintola in giù era privo di forze e dell'uso delle membra. Un giorno entrò in chiesa e al
semplice tocco del sepolcro del beatissimo padre, tornò fuori risanato ed incolume. Raccontava poi
questo fanciulletto che, mentre si trovava davanti alla tomba del glorioso Santo, gli si presentò sul
sepolcro un giovane, vestito dell'abito dei frati e recava in mano delle pere; mentre lo chiamava per
nome, gli offrì una pera e lo esortò a mangiarla. Egli accettando una pera dalle sue mani, rispondeva:
« Ecco, vedi sono rattrappito, non posso affatto mettermi in piedi ». Tuttavia mangiò la pera offertagli
e cominciò a protendere la mano all'altra pera che gli veniva offerta dal giovane. L'altro lo esortava ad
alzarsi, ma egli, oppresso dalla malattia, non ci riusciva. Mentre il fanciullo stendeva la mano verso la
pera, il giovane, dopo avergli mostrato il frutto, gli prese la mano e condottolo fuori, scomparve dalla
sua vista. Costui completamente risanato, cominciò a gridare a gran voce, manifestando a tutti
l'accaduto.
988
167. Un altro cittadino di Gubbio che aveva portato in una cesta alla tomba del santo padre, il
figlio rattrappito lo riebbe risanato. Era stato così spaventosamente contratto che le tibie aderendo
alle cosce si erano come completamente inaridite.
989
168. Nella diocesi di Volterra, c'era un uomo di nome Riccomagno, che appena riusciva a
strisciare per terra con le mani. Anche la madre per la sua mostruosità l'aveva abbandonato. Appena
fece umilmente un voto al beato Francesco, fu risanato.
990
169. Nella stessa diocesi due donne, di nome Verde e Sanguigna, erano così contratte da non
potersi muovere se non trasportate da altri, ed avevano le mani tutte scorticate, perché si
appoggiavano su di esse per muoversi. Esse appena fatto un voto furono guarite.
991
170. Un certo Giacomo da Poggibonsi era così spaventosamente curvo e contratto da aderire
con la bocca alle ginocchia. La madre, vedova, lo condusse ad un oratorio del beato Francesco, e dopo
aver recitata una preghiera al Signore per la sua guarigione, lo ricondusse a casa guarito.
992
171. A Vicalvi, la mano rattrappita di una donna, per i meriti del padre santo, tornò simile
all'altra.
993
172. Nella città di Capua una donna aveva fatto voto di visitare di persona il sepolcro del beato
Francesco. Essa, dimenticatasi per le preoccupazioni familiari, del voto fatto, perdette all'improvviso
l'uso della parte destra. Non le riusciva di voltare da alcuna parte la testa e il braccio, per la
contrazione dei nervi. E così tutta piena di dolori stancava i suoi vicini col suo continuo ululato.
Passarono allora davanti alla sua casa due frati che, pregati da un sacerdote, entrarono dalla
poveretta. Essa confessata la dimenticanza del voto, e ricevuta da essi la benedizione, in quelI'istante
si alzò e, resa più saggia attraverso il castigo, adempì senza indugio la promessa.
994
173. Bartolomeo da Narni, mentre dormiva alI'ombra di un albero, per un'insidia diabolica
perdette l'uso di una gamba e di un piede, ed essendo molto povero non sapeva e chi rivolgersi. Ma
l'amico dei poveri, Francesco, vessillifero di Cristo, gli apparve mentre dormiva e gli ordinò di recarsi in
un certo luogo. Tentò egli di trascinarsi fin là, ma mentre sbagliava la strada, udì una voce che gli
diceva: « La pace sia con te! Io sono colui al quale tu ti sei votato! ». E lo condusse in quel luogo e pose
una mano, così gli parve, sul piede e l'altra sulla gamba; in tal modo gli restituì l'uso delle membra che
erano inaridite. Costui era allora in età avanzata e per la durata di sei anni era rimasto così
paralizzato.
995
174. Molti prodigi simili operò san Francesco mentre ancora viveva. Così passando una volta
per la diocesi di Rieti, arrivò ad un paese, nel quale una donna, tutta in lacrime, portava in braccio un
figlio di otto anni, che venne a deporre ai suoi piedi. Il fanciullo purtroppo da quattro anni si era così
gonfiato da non potersi guardare nemmeno le gambe. Il Santo, ricevutolo con benevolenza, passò sul
ventre di lui le sue santissime mani. Al suo tocco, svanito il gonfiore, il bambino fu all'improvviso
risanato, e con la madre ormai felice, non finiva di ringraziare Dio e il suo Santo.
996
175. Nella città di Tuscanella, un cavaliere che dette ospitalità al beato Francesco, aveva un
figlio unico zoppo e debole in tutto il corpo. Benché avesse ormai trascorso gli anni dell'allattamento,
tuttavia dormiva ancora nella culla. Il cavaliere si prostrò umilmente ai piedi del sant'uomo e gli
domandò gemendo la salute del figlio. Il Santo si riteneva e si diceva indegno di donare così grande
grazia, ma tuttavia fu vinto dall'insistenza delle sue invocazioni. Dopo aver pregato, segnò il fanciullo e
lo benedisse. Davanti a tutti i presenti pieni di gioia, il fanciullo si alzò in piedi completamente guarito
e poté camminare come voleva.
997
176. Un'altra volta, il Santo giunse vicino a Narni, dove c'era un uomo, di nome Pietro,
paralitico e costretto al letto. Questi sentendo che il Santo di Dio era là arrivato fece pregare il
vescovo della città, che si degnasse di mandare a lui il servo dell'Altissimo Iddio, affinché lo risanasse.
La paralisi delle sue membra era talmente avanzata, che solo riusciva a muovere un poco la lingua e gli
occhi. Il beato Francesco, avvicinatosi a lui, gli tracciò un segno di croce dalla testa ai piedi, e subito,
fugato ogni male, lo restituì alla salute di prima.
998
177. Presso Gubbio, una donna aveva ambedue le mani contratte, e non poteva con esse far
nulla. Venuto a sapere che l'uomo di Dio era entrato in città, tutta mesta e piangente si precipitò da
lui, implorando compassione e mostrandogli le mani rattrappite. Egli, mosso da pietà, toccò le sue
mani e la risanò. La donna tornata subito a casa, preparò tutta lieta con le proprie mani una torta di
formaggio offrendola al sant'uomo. Egli però ne accettò solo un poco per la profonda devozione della
donna e le ordinò di mangiare il resto con la famiglia.
999
178. Una volta arrivò ospite alla città di Orte, dove abitava un fanciullo, di nome Giacomo, da
lungo tempo tutto rattrappito; al cospetto del Santo, egli gli domandava insieme coi genitori la
guarigione. Per la lunga infermità aveva il capo applicato alle ginocchia e molte ossa rotte. Ricevuto il
segno della benedizione da san Francesco, in un istante cominciò a sgrovigliarsi e perfettamente
raddrizzato si trovò così pienamente guarito.
1000 179. Un altro ahitante della stessa città, che aveva tra le scapole un rigonfiamento della misura
di una grossa pagnotta, benedetto da san Francesco, fu pienamente liberato e non gli rimase alcun
segno.
1001 180. Nell'ospedale di Città di Castello, un giovane da tutti conosciuto, era rattrappito da sette
anni, e si trascinava per terra al pari di una bestia. Per lui la madre assai spesso implorava san
Francesco, perché al figlio, ormai ridotto a strisciare, ritornasse l'andatura normale. Il Santo,
accettando la promessa ed esaudendo i gemiti della madre implorante, sciolse il mostruoso groviglio
delle membra e restituì il figlio alla naturale scioltezza di movimenti.
1002 181. Prassede era quanto mai famosa fra le religiose di Roma e del territorio romano. Fin dalla
sua tenera infanzia, per amore dell'Eterno Sposo, si era rinchiusa in un'angusta cella e vi rimaneva già
ormai da quarant'anni; essa godeva presso san Francesco di una speciale amicizia. Infatti il Santo
l'accolse nell'obbedienza, cosa che non aveva fatto per nessun'altra donna, concedendole devotamente
l'abito della Religione, ossia la tonaca e il cordone. Salita un giorno per le sue faccende nel solaio della
sua celletta, a causa di un capogiro, cadde sfortunatamente a terra. Si fratturò un piede e una gamba
e in più si slogò una spalla. La vergine di Cristo, nei molti anni passati, aveva voluto evitare la presenza
di tutti e ancora manteneva fermo l'impegno; ma, giacendo ora a terra come un tronco e non
accettando sollievo da alcuno, non sapeva dove rivolgersi. Per ordine di un cardinale e su consiglio di
religiosi, venne quindi esortata ad interrompere quella clausura, per avvalersi dell'aiuto di qualche pia
donna, ed evitare così il pericolo di morte, possibile in quel frangente per incuria o negligenza. Ma
essa, rifiutando di accondiscendere alle loro domande, resisteva con tutte le sue forze, perché non le
accadesse sia pur di poco di violare il suo voto. Quindi si volse supplichevole ai piedi della divina
misericordia e verso sera con pii lamenti, così implorava il beatissimo padre Francesco: « O mio
santissimo Padre, che ovunque soccorri benigno alle necessità di tanti, che neppure conoscevi da vivo,
perché non vieni in aiuto a me così infelice, a me che ho meritato sia pure indegnamente, quando eri
in vita, la tua dolcissima amicizia? Infatti è necessario, come puoi ben vedere, o Padre, o mutare il
voto, o subire la morte! ».
Mentre col cuore e con la bocca diceva queste cose e implorava la misericordiosa pietà con
ripetuti gemiti, colta da improvviso sonno, cadde come in un'estasi. Ed ecco che il beatissimo padre, in
candide vesti di gloria, sceso nelI'oscura cella, cominciò con soavi accenti a parlare: « Alzati --disse--,
o figlia benedetta, alzati, non temere! ». « Ricevi il dono della completa guarigione e mantieni la tua
promessa inviolata! ». La prese per mano, I'alzò e disparve. Essa intanto, girando qua e là per la
celletta, non capiva che cosa fosse in lei accaduto, per mezzo del servo di Dio. Credeva ancora di
vedere una visione. Infine affacciatasi alla finestra, fece il solito cenno. Un monaco accorrendo da lei
con molta sollecitudine, pieno di meraviglia le chiese: « Cos'è accaduto, o madre, che sei riuscita ad
aizarti in piedi? ». Ma essa credendo ancora di sognare e non sapendo che era lui, domandò che si
accendesse il fuoco. Portato che fu il lume, ritornò essa in sé, e non sentendo più alcun dolore narrò
per ordine tutto ciò che era accaduto.
CAPITOLO XVIII
ALTRI MIRACOLI
1003
182. Nella diocesi di Magliano Sabino viveva una vecchietta di ottant'anni, che aveva avuto
due figlie, essa affidò da allattare a quella rimasta viva il figlio della sorella morta prima. Quando
anch'essa poi concepì dal marito, rimase senza latte. Non v'era perciò nessuna che venisse in soccorso
al bimbo orfano, nessuna che potesse fornire al fanciullo affamato una goccia di latte. La vecchia si
lamentava e si tormentava per il nipotino e, afflitta da estrema miseria, non sapeva dove rivolgersi. Il
bambino si indeboliva veniva meno e insieme a lui sembrava morire anche la nonna di dolore. Vagava
la vecchietta per vicoli e case e nessuno poteva evitare le sue grida. Una notte, per calmare i vagiti,
accostò le labbra del bambino alle sue mammelle disseccate e tutta in lacrime invocò con insistenza
l'aiuto e il soccorso del beato Francesco. Subito le fu accanto quell'amico delI'età innocente e con la
consueta misericordia verso gli infelici, sentì compassione per la vecchietta e disse: « Io sono quel
Francesco, o donna, che tu hai invocato con tante lacrime. Accosta le mammelle alle tenere labbra-egli continuò --, poiché il Signore ti fornirà abbondante latte! ». Obbedì la vecchia all'ordine del Santo
e subito dalla mammella di una ottuagenaria uscì gran quantità di latte. Il fatto venne conosciuto da
tutti, poiché era chiaramente visibile e destò meraviglia, mentre intanto la curva vecchietta
rinverdisce di giovanile ardore. Moltissimi accorsero a vedere; tra essi il conte di quella provincia e ciò
che non aveva creduto per sentito dire dovette ammettere per sua personale esperienza. Infatti la
rugosa vecchietta innaffiò con un ruscello di latte il conte che voleva sapere del fatto, mettendolo in
fuga con tale aspersione. Allora, tutti benedicono il Signore che solo compie grandi meraviglie e
venerano con devoto ossequio il servo di lui san Francesco. Crebbe presto il bambino per quel mirabile
nutrimento ed in breve superò le condizioni della sua età.
1004 183. Un uomo di nome Martino aveva condotto dei buoi a pascolare fuori dal suo paese; uno di
essi si spezzò una zampa in modo tale che Martino non riusciva a trovare alcun rimedio. Mentre si
preoccupava come scuoiarlo, poiché non aveva nessuno con sé, fece ritorno a casa, affidando alla
custodia di san Francesco il bue, perché i lupi non lo divorassero prima del suo ritorno. Di primo
mattino, di ritorno con lo scuoiatore dal bue che aveva lasciato nel hosco trovò l'animale che pascolava
così pacificamente che egli non sapeva distinguere la gamba fratturata dall'altra. Ringraziò il buon
pastore, che diligentemente si era preso cura del bue e gli aveva offerto una medicina salutare.
1005 184. Un altro uomo di Amiterno aveva smarrito per tre anni un suo giumento, sottrattogli per
furto, rivolse allora le sue preghiere al beato Francesco, e prosternato lo supplicò con lamento. Una
notte, addormentatosi, udì una voce che gli diceva: « Alzati, va a Spoleto e di là riporterai il tuo
giumento ». Si svegliò a quel richiamo meravigliato, ma si riaddormentò. Richiamato nuovamente da
una simile visione, chiese chi mai fosse chi gli parlava: « Io sono, rispose la visione, quel Francesco,
che tu hai invocato ». Pensando che fosse un'allucinazione, trascurò di seguire l'ordine. Chiamato poi
per la terza volta, devotamente obbedì; si recò a Spoleto e, ritrovato sano e salvo il giumento, avutolo
senza difficoltà, lo ricondusse a casa. Narrò questo fatto ovunque a tutti, e si mise per sempre al
servizio di san Francesco.
1006 185. Un popolano di Interdoclo, aveva comperato un catino assai bello e lo aveva consegnato
alla moglie perché lo custodisse diligentemente. Un giorno la domestica della moglie prese il catino, vi
pose dentro dei panni da lavare con la lisciva. Ma sia per il calore del sole che per quello della lisciva,
il vaso si crepò tutto, sì che non si poteva più usare in alcun modo. Impaurita, la domestica riporto il
catino alla sua padrona, spiegandole più con le lacrime, che con le parole quanto era accaduto.
Quella, non meno spaventata di lei, ed atterrita al pensiero dell'ira del marito, si aspettava le
percosse. Intanto nascose con premura il catino, invocò i meriti di san Francesco ed implorò la grazia.
All'istante per merito dei suffragi del Santo, i cocci si ricongiunsero e il catino, rotto, si ripresentò
intatto. Fu grande la gioia per le vicine, che poc'anzi avevano avuto compassione per la poveretta; la
moglie poi per prima raccontò il fatto meraviglioso al marito.
1007 186. Un giorno, un uomo di Monte dell'Olmo nelle Marche, mentre inseriva il vomere
nell'aratro, si accorse che il vomere si era rotto in pezzi. Si rattristò il contadino sia per la rottura del
vomere che per la giornata perduta, e piangeva non poco: « O beato Francesco--implorò--, porta
soccorso a me che confido nella tua misericordia! Donerò ogni anno ai tuoi frati una misura di frumento
e mi preoccuperò delle loro necessità, se adesso avrò la prova della tua grazia, come innumerevoli altri
hanno esperimentato! ». Terminata la preghiera, il vomere si riaggiustò, il ferro si ricongiunse senza
che rimanesse alcun segno della rottura.
1008 187. Un chierico di Vicalvi, di nome Matteo, bevuto un veleno mortale, fu così visibilmente
leso, che non riusciva più a parlare e aspettava ormai soltanto la fine. Un sacerdote che l'aveva
consigliato di confessarsi da lui, non riuscì a farlo parlare. Ma quello pregava in cuor suo Cristo con
umiltà perché lo liberasse per i meriti del beato Francesco. Subito appena pronunciato con voce flebile
il nome del beato Francesco, alla presenza dei testimoni, vomitò il veleno.
1009 188. Il signor Trasmondo Anibaldi, console di Roma al tempo in cui occupava la carica di
podestà a Siena in Toscana, teneva con sé un certo Niccolò assai caro e attento alle faccende della
famiglia. Gli scoppiò all'improvviso nella mascella una letale malattia, e i medici prognosticavano
prossima la sua morte. Mentre costui si era un poco assopito, apparve la Vergine Madre del Cristo e gli
ordinò di consacrarsi al beato Francesco e di visitare senza indugio il suo sepolcro. Si alzò la mattina e
raccontò la visione al suo padrone, che, ammirato, volle farne subito la prova. Venuto quindi ad Assisi,
davanti alla tomba, riebbe tosto l'amico risanato. Mirabile guarigione, ma ancor più mirabile
degnazione della Vergine, che soccorse l'infermo e innalzò i meriti del Santo.
1010 189. Ben sa questo Santo soccorrere tutti quelli che lo invocano, né disdegna di sovvenire a
qualsiasi necessità.
In Spagna, presso San Facondo, un uomo aveva nel giardino un ciliegio, che produceva copiosi
frutti ogni anno e dava guadagno al suo cultore. Una volta l'albero si seccò e si inaridì dalle radici. Il
padrone voleva abbatterlo, perché non occupasse più terreno, ma, consigliato da un vicino di
rimettere la cosa al beato Francesco, seguì il suggerimento. Quindi contro ogni speranza, I'albero, in
modo miracoloso a suo tempo verdeggiò, fiorì e mise fronde, producendo frutti come prima. Da allora
per riconoscenza di così grande grazia, quell'uomo mandò sempre ai frati di quei frutti.
1011
190. A Villasilos, le viti erano rovinate dall'invasione di vermi; gli abitanti allora chiesero
consiglio a un frate dell'Ordine dei predicatori per avere un rimedio a tale infestazione. Costui suggerì
loro di scegliere due santi di loro preferenza e di eleggerne uno patrono per rimuovere tale piaga, essi
scelsero san Francesco e san Domenico. Tratta la sorte, la scelta cadde su san Francesco, ed allora
quegli uomini si rivolgono al suo aiuto e d'un tratto ogni invasione di vermi fu allontanata. Onorano
perciò il Santo con speciale devozione e venerano il suo Ordine con grande affetto. Infatti ogni anno,
per ringraziare di tanto miracolo, fanno ai frati un'offerta particolare di vino.
1012 191. Presso Palencia, un sacerdote aveva un granaio per conservare il frumento, ma esso ogni
anno veniva invaso dai gorgoglioni, cioè dai parassiti del frumento. Il sacerdote, turbato da così grave
danno, cercò un rimedio, ed affidò al beato Francesco la difesa del granaio. Fatto ciò, di lì a poco,
trovò fuori del granaio ammassati e morti tutti i vermi, né da allora in poi ebbe a soffrire di tale
infestazione. Quel sacerdote poi, devoto per la grazia ricevuta, e non ingrato del beneficio, per amore
a san Francesco elargisce ogni anno ai poveri un'offerta di frumento.
1013 192. Ai tempi in cui una rovinosa invasione di bruchi aveva devastato il regno della Puglia, il
padrone di un castello, detto Pietramala, raccomandò supplice la sua terra al beato Francesco. La
terra, per i meriti del Santo, risultò del tutto libera da quella rovinosa invasione, mentre ogni cosa
tutt'attorno veniva divorata da questa piaga.
1014 193. Una nobile signora del castello di Galete, soffriva di una fistola fra le mammelle; afflitta
dal dolore e dalI'odore poco gradevole, non era riuscita a trovare alcun rimedio efficace. F.ssa un
giorno entrò per pregare in una chiesa dei frati, dove scorse un libretto che conteneva la vita e i
miracoli di san Francesco e curiosa di quanto vi fosse scritto, lo sfogliò diligentemente. Quando colse il
senso di quelle pagine, piangendo, sollevò il libretto tenendolo aperto sulla parte ammalata ed
esclamò: « Come sono veri i fatti, che sono descritti in queste pagine, o san Francesco, così adesso fa
che per i tuoi santi meriti sia liberata da questa piaga! ». E per qualche tempo pianse e insisté nella
preghiera, alI'improvviso, tolte le bende, si ritrovò guarita sì che da allora non si scorse più nemmeno il
segno della piaga.
1015 194. Una cosa simile avvenne anche dalle parti della Romania ad un padre che implorò con
devota preghiera san Francesco per il figlio piagato da una grave ulcera. « Se sono veri i fatti, esclamò,
o Santo di Dio, che si raccontano di te in tutto il mondo, possa io esperimentare in questo figlio, a lode
di Dio, la clemenza della tua bontà ». Subito allora, rottasi la benda, alla vista di tutti il pus eruppe
dalla ferita e la carne del bambino risultò così rimarginata che non restò alcun segno della passata
malattia.
1016 195. Mentre era ancora in vita il beato Francesco, un frate era tormentato da una malattia così
orrenda che le sue membra si arrotolavano come in un cerchio. Infatti talvolta era reso tutto teso e
rigido, con i piedi all'altezza del capo, e veniva sbalzato in alto quanto è alto un uomo e poi tutto ad
un tratto ricadendo a terra, si avvoltolava con la spuma alla bocca. Il santo padre, preso da viva
compassione per il suo tormento, dopo aver pregato per lui, con un segno di croce, lo guarì così
efficacemente che il malato in seguito non patì nessun fastidio di quella infermità.
1017 196. Dopo la morte del beato padre, un altro frate aveva nel basso ventre una fistola così
grave, che ormai non c'era più speranza di guarigione. Egli aveva chiesto al suo ministro il permesso di
visitare il luogo del beato Francesco, ma per timore che la fatica del viaggio aggravasse la sua
condizione, il permesso gli fu negato. Il frate perciò si rattristò non poco. Gli apparve una notte il
beato Francesco che gli disse: « Non rattristarti più, figliuolo, ma getta via la pelle che indossi, togli la
medicazione dalla piaga; osserva la tua regola e subito ti troverai guarito ». Egli, alzandosi la mattina,
fece quanto il Santo gli aveva ordinato e ottenne la immediata guarigione.
1018 197. Un uomo, essendo stato gravemente ferito in testa da una freccia di ferro, non poteva
ricevere alcun soccorso dai medici, perché la freccia era entrata nel cavo dell'occhio rimanendo infissa
nella testa. Con supplice devozione il ferito si votò al beato Francesco; una volta, mentre riposava un
poco e si era assopito, udì il beato Francesco che gli diceva, durante il sonno, che facesse sfilare la
freccia dalla parte posteriore della testa. Il giorno dopo fece come aveva udito durante il sonno e si
trovò liberato senza grande difficoltà .
CAPITOLO XIX
CONCLUSIONE SUI MIRACOLI DEL BEATO FRANCESCO
1019 198. Poiché l'immensa pietà di Cristo Signore conferma con l'opera dei miracoli come siano vere
le cose che sono state scritte e divulgate sul conto del suo Santo e padre nostro Francesco, e poiché
sembra assurdo assoggettare a umano giudizio ciò che è approvato dal miracolo, io, umile figlio del
Padre, supplico e domando a tutti che accolgano i miracoli descritti con devozione e li ascoltino con
riverenza. Benché siano narrati non degnamente, sono tuttavia quanto mai degni d'ogni venerazione.
non si disprezzi quindi l'imperizia del relatore, ma se ne consideri piuttosto la fede, l'amore e la fatica.
Non possiamo ogni giorno produrre cose nuove, né mutare ciò che è quadrato in rotondo, e neanche
applicare alle varietà così molteplici di tanti tempi e tendenze ciò che abbiamo ricevuto come unica
verità. Certo non siamo stati spinti a scrivere ciò per vanità, né ci siamo lasciati sommergere
dall'istinto della nostra volontà fra tanta diversità di espressioni, ma ci spinsero al lavoro le pressioni e
le richieste dei confratelli ed ancora l'autorità dei nostri superiori ci condusse a portarlo a termine.
Attendiamo la ricompensa da Cristo Signore, e a voi, fratelli e padri, chiediamo comprensione ed
amore. Così sia! Amen.
Il libro è finito.
Sia lode e gloria a Cristo.
LEGGENDA MAGGIORE
( Vita di san Francesco d'Assisi )
di
SAN BONAVENTURA DA BAGNOREGIO
Traduzione di
SIMPLICIANO OLGIATI
Note di
FELICIANO OLGIATI
PROLOGO
1020 1. La grazia di Dio, nostro salvatore, in questi ultimi tempi è apparsa nel suo servo Francesco a tutti
coloro che sono veramente umili e veramente amici della santa povertà.
Essi, infatti, mentre venerano in lui la sovrabbondanza della misericordia di Dio, vengono istruiti dal suo
esempio a rinnegare radicalmente l'empietà e i desideri mondani, a vivere in conformità con Cristo e a
bramare, con sete e desiderio insaziabili, la beata speranza.
Su di lui, veramente poverello e contrito di cuore, Dio posò il suo sguardo con grande accondiscendenza
e bontà; non soltanto lo sollevò, mendico, dalla polvere della vita mondana, ma lo rese campione, guida e
araldo della perfezione evangelica e lo scelse come luce per i credenti, affinché, divenuto testimone della
luce, preparasse per il Signore la via della luce e della pace nel cuore dei fedeli.
1021 Come la stella del mattino, che appare in mezzo alle nubi, con i raggi fulgentissimi della sua vita e della
sua dottrina attrasse verso la luce coloro che giacevano nelI'ombra della morte; come l'arcobaleno, che brilla
tra le nubi luminose, portando in se stesso il segno del patto con il Signore, annunziò agli uomini il vangelo
della pace e della salvezza.
Angelo della vera pace, anch'egli, a imitazione del Precursore, fu predestinato da Dio a preparargli la
strada nel deserto della altissima povertà e a predicare la penitenza con l'esempio e con la parola.
Prevenuto dapprima dai doni della grazia celeste -come luminosamente appare dallo svolgimento della
sua vita - si innalzò, poi, per i meriti di una virtù sempre vittoriosa; fu ricolmo anche di spirito profetico e,
deputato all'uffcio degli Angeli, venne ricolmato dell'ardente amore dei serafini, finché, divenuto simile alle
gerarchie angeliche, venne rapito in cielo da un carro di fuoco.
Resta così razionalmente dimostrato che egli è stato inviato fra noi con lo spirito e la potenza di Elia.
1022 E perciò si afferma, a buon diritto, che egli viene simboleggiato nella figura dell'angelo che sale
dall'oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo, come ci descrive l'altro amico dello sposo, I'apostolo ed
evangelista Giovanni, nel suo vaticinio veritiero. Dice infatti Giovanni nell'Apocalisse, al momento dell'apertura
del sesto sigillo. Vidi poi un altro angelo salire dall'Oriente, il quale recava il sigillo del Dio vivente.
2. Questo araldo di Dio, degno di essere amato da Cristo, imitato da noi e ammirato dal mondo, è il
servo di Dio Francesco: lo costatiamo con sicurezza indubitabile, se osserviamo come egli raggiunse il vertice
della santità più eccelsa, e, vivendo in mezzo agli uomini, imitò la purezza degli angeli, fino a diventare
esempio di perfezione per i seguaci di Cristo.
Ci spinge ad abbracciare, con fede e pietà, questa convinzione il fatto che egli ebbe dal cielo la missione
di chiamare gli uomini a piangere, a lamentarsi, a radersi la testa e a cingere il sacco, e di imprimere, col
segno della croce penitenziale e con un abito fatto in forma di croce, il Tau, sulla fronte di coloro che gemono
e piangono. Ma ci conferma, poi, in essa, con la sua verità incontestabile, la testimonianza di quel sigillo che
lo rese simile al Dio vivente, cioè a Cristo crocifisso. Sigillo che fu impresso nel suo corpo non dall'opera della
natura o dall'abilità di un artefice, ma piuttosto dalla potenza meravigliosa dello Spirito del Dio vivo.
1023 3. Poiché mi sentivo indegno e incapace di narrare la vita di quest'uomo così degno di essere venerato e
imitato in tutto, io non mi sarei assolutamente azzardato a simile impresa, se non mi avesse spinto il fervido
affetto dei miei confratelli, nonché l'incitamento di tutti i partecipanti al Capitolo generale.
Ma quella che mi ha fatto decidere è stata la riconoscenza che io debbo al padre santo.
Infatti per la sua intercessione e per i suoi meriti, io, quando ero bambino, sono sfuggito alle fauci della
morte. Questo ricordo in me è sempre vivo e fresco; sicché temerei di essere accusato di ingratitudine, se non
celebrassi pubblicamente le sue lodi.
E questa appunto è stata, per quanto mi riguarda, la ragione più forte che mi ha spinto ad affrontare
quest'opera: io riconosco che Dio mi ha salvato la vita dell'anima e del corpo ad opera di san Francesco; io ho
conosciuto la sua potenza, per averla sperimentata in me stesso.
Per questo ho voluto raccogliere insieme nella misura del possibile, seppure non nella loro completezza,
le notizie riguardanti le sue virtù, le sue azioni e i suoi detti, che si trovavano in forma frammentaria, in parte
non menzionate e in parte disperse. Perché, venendo a morire coloro che hanno vissuto col servo di Dio, esse
non andassero perdute.
1024 4. Per aver ben chiara davanti alla mente, nella maggior certezza possibile, la vita del Santo nella sua
verità e trasmetterla, così, ai posteri, mi sono recato nei luoghi dove egli è nato, è vissuto ed è morto, ed ho
fatto diligenti indagini sui fatti con i suoi compagni superstiti e, soprattutto, con alcuni di loro che furono i suoi
primi seguaci e conobbero a fondo la sua santità e che, d'altra parte, sono testimoni assolutamente degni di
fede, sia per la conoscenza dei fatti sia per la solidità della virtù.
Nel narrare poi, quanto Dio si è degnato di compiere per mezzo del suo servo, ho ritenuto di non preoccuparmi
della ricercatezza dello stile, giacché la devozione del lettore trae maggior profitto da un linguaggio semplice
che da un linguaggio pomposo.
1025 Inoltre non ho sempre intrecciato la storia secondo l'ordine cronologico, allo scopo di evitare
confusioni; mi sono studiato piuttosto di osservare una disposizione più adatta a mettere in risalto la
concatenazione dei fatti. Perciò mi è parso di dover distribuire sotto argomenti diversi cose compiute in uno
stesso periodo di tempo, oppure di dover disporre sotto un medesimo argomento cose compiute in periodi
diversi.
1026 5. Esporrò gli inizi, lo svolgimento e il compimento della sua vita in quindici capitoli, così distribuiti:
nel primo descrivo la sua condotta da secolare;
nel secondo, la sua conversione a Dio e il restauro di tre chiese;
nel terzo, I'istituzione della Religione e l'approvazione della Regola;
nel quarto, lo sviluppo dell'Ordine sotto la sua guida e la conferma della Regola precedentemente approvata;
nel quinto, la sua vita austera, e in che modo le creature lo confortavano;
nel sesto, la sua umiltà e obbedienza e l'accondiscendenza di Dio ai suoi desideri;
nel settimo, il suo amore per la povertà e i suoi mirabili interventi nei casi di necessità; nell'ottavo, la sua
pietà, e come le creature prive di ragione sembravano affezionarsi a lui;
nel nono, il suo fervore di carità e il suo desiderio del martirio;
nel decimo, il suo amore per la virtù dell'orazione;
nell'undicesimo, la penetrazione delle Scritture e lo spirito di profezia;
nel dodicesimo, I'efficacia nella predicazione e la grazia delle guarigioni;
nel tredicesimo, le sacre stimmate;
nel quattordicesimo, la sua pazienza, e il transito;
nel quindicesimo, la canonizzazione e la traslazione.
Alla fine aggiungerò, per completezza, alcuni dei miracoli da lui compiuti dopo il suo felice transito.
Incomincia la vita
del beato Francesco
CAPITOLO I
Condotta di Francesco da secolare
1027 1. Vi fu, nella città di Assisi, un uomo di nome Francesco, la cui memoria è in benedizione, perché Dio,
nella Sua bontà, lo prevenne con benedizioni straordinarie e lo sottrasse, nella sua clemenza, ai pericoli della
vita presente e, nella sua generosità, lo colmò con i doni della grazia celeste .
Nell'età giovanile, crebbe tra le vanità dei vani figli degli uomini.
Dopo un'istruzione sommaria, venne destinato alla lucrosa attività del commercio.
Assistito e protetto dall'alto, benché vivesse tra giovani lascivi e fosse incline ai piaceri, non seguì gli
istinti sfrenati dei sensi e, benché vivesse tra avari mercanti e fosse intento ai guadagni, non ripose la sua
speranza nel denaro e nei tesori.
1028 Dio, infatti, aveva infuso nell'animo del giovane Francesco un sentimento di generosa compassione, che,
crescendo con lui dall'infanzia, gli aveva riempito il cuore di bontà, tanto che già allora, ascoltatore non sordo
del Vangelo, si propose di dare a chiunque gli chiedesse, soprattutto se chiedeva per amore di Dio.
Una volta, tutto indaffarato nel negozio, mandò via a mani vuote contro le sue abitudini, un povero che
gli chiedeva l'elemosina per amor di Dio. Ma subito, rientrato in se stesso, gli corse dietro, gli diede una
generosa elemosina e promise al Signore Iddio che, d'allora in poi, quando ne aveva la possibilità, non avrebbe
mai detto di no a chi gli avesse chiesto per amor di Dio.
E osservò questo proposito fino alla morte, con pietà instancabile, meritandosi di crescere
abbondantemente nelI'amore di Dio e nella grazia.
Diceva, infatti, più tardi, quando si era ormai perfettamente rivestito dei sentimenti di Cristo, che, già
quando viveva da secolare, difficilmente riusciva a sentir nominare l'amore di Dio, senza provare un intimo
turbamento.
1029 La dolce mansuetudine unita alla raffinatezza dei costumi; la pazienza e l'affabilità più che umane, la
larghezza nel donare, superiore alle sue disponibilità che si vedevano fiorire in quell'adolescente come indizi
sicuri di un'indole buona, sembravano far presagire che la benedizione divina si sarebbe riversata su di lui
ancora più copiosamente nell'avvenire.
Un uomo di Assisi, molto semplice, certo per ispirazione divina, ogni volta che incontrava Francesco per
le strade della città, si toglieva il mantello e lo stendeva ai suoi piedi, proclamando che Francesco era degno
di ogni venerazione, perché di lì a poco avrebbe compiuto grandi cose, per cui sarebbe stato onorato e
glorificato da tutti i cristiani .
1030 2. Ma Francesco non conosceva ancora i piani di Dio sopra di lui: impegnato, per volontà del padre nelle
attività esteriori e trascinato verso il basso dalla nostra natura corrotta fin dall'origine, non aveva ancora
imparato a contemplare le realtà celesti né aveva fatto l'abitudine a gustare le realtà divine.
E siccome lo spavento fa comprendere la lezione, venne sopra di lui la mano del Signore e l'intervento
della destra dell'Eccelso colpì il suo corpo con una lunga infermità, per rendere la sua anima adatta a recepire
l'illuminazione dello Spirito Santo.
Quand'ebbe riacquistate le forze fisiche, si procurò, com'era sua abitudine, vestiti decorosi. Una volta
incontrò un cavaliere, nobile ma povero e mal vestito e, commiserando con affettuosa pietà la sua miseria,
subito si spogliò e fece indossare i suoi vestiti all'altro. Così, con un solo gesto, compì un duplice atto di pietà,
poiché nascose la vergogna di un nobile cavaliere e alleviò la miseria di un povero.
1031 3. La notte successiva mentre dormiva, la Bontà di Dio gli fece vedere un palazzo grande e bello, pieno di
armi contrassegnate con la croce di Cristo, per dimostrargli in forma visiva come la misericordia da lui usata
verso il cavaliere povero, per amore del sommo Re, stava per essere ricambiata con una ricompensa
impareggiabile.
Egli domandò a chi appartenessero quelle armi e una voce dal cielo gli assicurò che erano tutte sue e dei
suoi cavalieri.
Quando si destò, al mattino, credette di capire che quella insolita visione fosse per lui un presagio di
gloria. Difatti egli non sapeva ancora intuire la verità delle cose invisibili, attraverso le apparenze visibili.
Perciò, ignorando ancora i piani divini, decise di recarsi in Puglia, al servizio di un nobile conte, con la
speranza di acquistare in questo modo quel titolo di cavaliere, che la visione gli aveva indicato.
1032 Di lì a poco si mise in viaggio; ma, appena giunto nella città più vicina, udì nella notte il Signore, che in
tono familiare gli diceva: “ Francesco, chi ti può giovare di più: il signore o il servo, il ricco o il poverello? ”. “
Il signore e il ricco ”, rispose Francesco. E subito la voce incalzò: “ E allora perché lasci il Signore per il servo;
Dio così ricco, per l'uomo, così povero? ”.
Francesco, allora: “ Signore, che vuoi che io faccia? ”. “ Ritorna nella tua terra -rispose il Signore perché la visione, che tu hai avuto, raffigura una missione spirituale, che si deve compiere in te, non per
disposizione umana, ma per disposizione divina ”.
Venuto il mattino, egli ritorna in fretta alla volta di Assisi, lieto e sicuro. Divenuto ormai modello di
obbedienza, restava in attesa della volontà di Dio.
1033 4. Da allora, sottraendosi al chiasso del traffico e della gente, supplicava devotamente la clemenza
divina, che si degnasse mostrargli quanto doveva fare.
Intanto la pratica assidua della preghiera sviluppava sempre più forte in lui la fiamma dei desideri
celesti e l'amore della patria celeste gli faceva disprezzare come un nulla tutte le cose terrene.
Sentiva di avere scoperto il tesoro nascosto e, da mercante saggio, si industriava di comprare la perla
preziosa, che aveva trovato, a prezzo di tutti i suoi beni.
Non sapeva ancora, però, in che modo realizzare ciò: un suggerimento interiore gli faceva intendere
soltanto che il commercio spirituale deve iniziare dal disprezzo del mondo e che la milizia di Cristo deve
iniziare dalla vittoria su se stessi.
1034 5. Un giorno, mentre andava a cavallo per la pianura che si stende ai piedi di Assisi, si imbatté in un
lebbroso. Quell'incontro inaspettato lo riempì di orrore. Ma, ripensando al proposito di perfezione, già
concepito nella sua mente, e riflettendo che, se voleva diventare cavaliere di Cristo, doveva prima di tutto
vincere se stesso, scese da cavallo e corse ad abbracciare il lebbroso e, mentre questi stendeva la mano come
per ricevere l'elemosina, gli porse del denaro e lo baciò.
Subito risalì a cavallo; ma, per quanto si volgesse a guardare da ogni parte e sebbene la campagna si
stendesse libera tutt'intorno, non vide più in alcun modo quel lebbroso.
Perciò, colmo di meraviglia e di gioia, incominciò a cantare devotamente le lodi del Signore,
proponendosi, da allora in poi, di elevarsi a cose sempre maggiori.
Cercava luoghi solitari, amici al pianto; là, abbandonandosi a lunghe e insistenti preghiere, fra gemiti
inenarrabili, meritò di essere esaudito dal Signore.
1035 Mentre, un giorno, pregava, così isolato dal mondo, ed era tutto assorto in Dio, nell'eccesso del suo
fervore, gli apparve Cristo Gesù, come uno confitto in croce,
Al vederlo, si sentì sciogliere l'anima. Il ricordo della passione di Cristo si impresse così vivamente nelle
più intime viscere del suo cuore, che, da quel momento, quando gli veniva alla mente la crocifissione di Cristo,
a stento poteva trattenersi, anche esteriormente, dalle lacrime e dai sospiri, come egli stesso riferì in
confidenza più tardi, quando si stava avvicinando alla morte. L'uomo di Dio comprese che, per mezzo di questa
visione, Dio rivolgeva a lui quella massima del Vangelo: Se vuoi venire dietro a me, rinnega te stesso, prendi la
tua croce e seguimi.
1036 6. Da allora si rivestì dello spirito di povertà, d'un intimo sentimento d'umiltà e di pietà profonda. Mentre
prima aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da lontano, ora, a causa di Cristo
crocifisso, che, secondo le parole del profeta, ha assunto l'aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con
umiltà e gentilezza, nell'intento di raggiungere il pieno disprezzo di se stesso.
Visitava spesso le case dei lebbrosi; elargiva loro generosamente l'elemosina e con grande compassione
ed affetto baciava loro le mani e il volto.
Anche per i poveri mendicanti bramava spendere non solo i suoi beni, ma perfino se stesso. Talvolta, per
loro, si spogliava dei suoi vestiti, talvolta li faceva e pezzi, quando non aveva altro da donare.
Soccorreva pure, con reverenza e pietà, i sacerdoti poveri, provvedendo specialmente alla suppellettile
dell'altare, per diventare, così, partecipe del culto divino, mentre sopperiva al bisogno dei ministri del culto.
1037 Durante questo periodo, egli si recò a visitare, con religiosa devozione, la tomba dell'apostolo Pietro. Fu
in questa circostanza che, vedendo la grande moltitudine dei mendicanti davanti alle porte di quella chiesa,
spinto da una soave compassione, e, insieme, allettato dall'amore per la povertà, donò le sue vesti al più
bisognoso di loro e, ricoperto degli stracci di costui, passò tutta la giornata in mezzo ai poveri, con insolita
gioia di spirito.
Voleva, così, disprezzare la gloria del mondo e raggiungere gradualmente la vetta della perfezione
evangelica. Si applicava con maggior intensità alla mortificazione dei sensi, in modo da portare attorno, anche
esteriormente, nel proprio corpo, la croce di Cristo che portava nel cuore.
Tutte queste cose faceva Francesco, uomo di l)io, quando, nell'abito e nella convivenza quotidiana, non
si era ancora segregato dal mondo.
CAPITOLO II
PERFETTA CONVERSIONE A DIO.
RESTAURO DI TRE CHIESE
1038 1. Il servo dell'Altissimo, in questa sua nuova esperienza, non aveva altra guida, se non Cristo, perciò
Cristo, nella sua clemenza, volle nuovamente visitarlo con la dolcezza della sua grazia.
Un giorno era uscito nella campagna per meditare. Trovandosi a passare vicino alla chiesa di San
Damiano, che minacciava rovina, vecchia com'era, spinto dall'impulso dello Spirito Santo, vi entrò per pregare.
Pregando inginocchiato davanti all'immagine del Crocifisso, si sentì invadere da una grande consolazione
spirituale e, mentre fissava gli occhi pieni di lacrime nella croce del Signore, udì con gli orecchi del corpo una
voce scendere verso di lui dalla croce e dirgli per tre volte: “ Francesco, va e ripara la mia chiesa che, come
vedi, è tutta in rovina! ”.
All'udire quella voce, Francesco rimane stupito e tutto tremante, perché nella chiesa è solo e,
percependo nel cuore la forza del linguaggio divino, si sente rapito fuori dei sensi.
Tornato finalmente in sé, si accinge ad obbedire, si concentra tutto nella missione di riparare la chiesa
di mura, benché la parola divina si riferisse principalmente a quella Chiesa, che Cristo acquistò col suo sangue,
come lo Spirito Santo gli avrebbe fatto capire e come egli stesso rivelò in seguito ai frati.
1039 Si alzò, pertanto, munendosi del segno della croce, e, prese con sé delle stoffe, si affrettò verso la città
di Foligno, per venderle.
Vendette tutto quanto aveva portato; si liberò anche, mercante fortunato, del cavallo, col quale era
venuto, incassandone il prezzo.
Tornando ad Assisi, entrò devotamente nella chiesa che aveva avuto l'incarico di restaurare. Vi trovò un
sacerdote povere!lo e, dopo avergli fatta debita reverenza, gli offrì il danaro per la riparazione della chiesa e
umilmente domandò che gli permettesse di abitare con lui per qualche tempo.
Il sacerdote acconsentì che egli restasse; ma, per timore dei suoi genitori, non accettò il denaro - e quel
vero dispregiatore del denaro lo buttò su una finestra, stimandolo polvere abbietta.
1040 2. Mentre il servo di Dio dimorava in compagnia di questo sacerdote, suo padre, lo venne a sapere e
corse là con l'animo sconvolto.
Ma Francesco, atleta ancora agli inizi, informato delle minacce dei persecutori e presentendo la loro
venuta, volle lasciar tempo all'ira e si nascose in una fossa segreta.
Vi rimase nascosto per alcuni giorni, e
intanto supplicava incessantemente, tra fiumi di lacrime, il Signore, che lo liberasse dalle mani dei persecutori
e portasse a compimento, con la sua bontà e il suo favore, i pii propositi che gli aveva ispirato.
1041 Sentendosi, così, ricolmo di una grandissima gioia, incominciò a rimproverare se stesso per la propria
pusillanimità e viltà e, lasciato il nascondiglio e scacciata la paura, affrontò il cammino verso Assisi.
I concittadini, al vederlo squallido in volto e mutato nell'animo, ritenendolo uscito di senno, gli
lanciavano contro il fango e i sassi delle strade, e, strepitando e schiamazzando, lo insultavano come un pazzo,
un demente.
Ma il servo di Dio, senza scoraggiarsi o turbarsi per le ingiurie, passava in mezzo a loro, come se fosse
sordo.
Quando suo padre sentì quello strano baccano, accorse immediatamente, non per liberare il figlio, ma
piuttosto per rovinarlo: messo da parte ogni sentimento di pietà, lo trascina a casa e lo perseguita, prima con
le parole e le percosse, Poi mettendolo in catene.
Però quest'esperienza rendeva il giovane più pronto e più deciso nel mandare a compimento l'impresa
incominciata, perché gli richiamava quel detto del Vangelo: Beati quelli che sono perseguitati per causa della
giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
1042 3. Ma dopo un po' di tempo - mentre il padre si trovava lontano da Assisi -la madre, che non approvava
l'operato del marito e che non sperava di poter far recedere il figlio dalla sua inflessibile decisione, lo sciolse
dalle catene e lo lasciò libero di andarsene. Egli, allora, rendendo grazie al Signore onnipotente, ritornò al
luogo di prima.
Ma quando il padre ritornò e non lo trovò in casa, rimproverata aspramente la moglie, corse a quel
luogo, fremente di rabbia, nell'intento, se non poteva farlo ritornare, almeno di farlo mettere al bando.
Francesco, però, reso forte da Dio, andò incontro spontaneamente al padre infuriato, gridandogli con
libera voce che stimava un nulla le sue catene e le sue percosse e dichiarando, per di più, che per il nome di
Cristo avrebbe affrontato con gioia qualsiasi tormento.
Il padre, vedendo che non poteva farlo ritornare, si preoccupò di estorcergli il denaro e quando,
finalmente, lo trovò sulla finestrella, mitigò un po' il suo furore: quella sorsata di denaro aveva in qualche
misura mitigato la sete dell'avarizia.
1043 4. Quel padre carnale cercava, poi, di indurre quel figlio della grazia, ormai spogliato del denaro, a
presentarsi davanti al vescovo della città, per fargli rinunciare, nelle mani di lui, all'eredità paterna e restituire
tutto ciò che aveva .
Il vero amatore della povertà accettò prontamente questa proposta.
Giunto alla presenza del vescovo, non sopporta indugi o esitazioni; non aspetta né fa parole; ma,
immediatamente, depone tutti i vestiti e li restituisce al padre.
Si scoprì allora che l'uomo di Dio, sotto le vesti delicate, portava sulle carni un cilicio.
Poi, inebriato da un ammirabile fervore di spirito, depose anche le mutande e si denudò totalmente
davanti a tutti dicendo al padre: “ Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d'ora in poi posso dire con
tutta sicurezza: Padre nostro, che sei nei cieli, perché in Lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la
mia fiducia e la mia speranza ”.
Il vescovo, vedendo questo e ammirando l'uomo di Dio nel suo fervore senza limiti, subito si alzò, lo
prese piangendo fra le sue braccia e, pietoso e buono com'era, lo ricoprì con il suo stesso pallio. Comandò, poi,
ai suoi di dare qualcosa al giovane per ricoprirsi.
Gli offrirono, appunto, il mantello povero e vile di un contadino, servo del vescovo.
Egli, ricevendolo con gratitudine, di propria mano gli tracciò sopra il segno della croce, con un mattone
che gli capitò sottomano e formò con esso una veste adatta a ricoprire un uomo crocifisso e seminudo.
Così, dunque, il servitore del Re altissimo, fu lasciato nudo, perché seguisse il nudo Signore crocifisso,
oggetto del suo amore; così fu munito di una croce, perché affidasse la sua anima al legno della salvezza,
salvandosi con la croce dal naufragio del mondo.
1044 5. D'allora in poi, affrancato dalle catene dei desideri mondani, quello spregiatore del mondo abbandonò
la città, e, libero e sicuro, si rifugiò nel segreto della solitudine, per ascoltare, solo e nel silenzio, gli arcani
colloqui del cielo.
E, mentre se ne andava per una selva, I'uomo di Dio Francesco, e cantava giubilante le lodi di Dio nella
lingua di Francia, fu assalito dai briganti, sbucati all'improvviso. Costoro, con intenzioni omicide, gli
domandarono chi era Ma l'uomo di Dio, pieno di fiducia, rispose con espressione profetica: “ Io sono l'araldo del
gran Re ”. Quelli, allora, lo percossero e lo gettarono in un fosso pieno di neve, dicendo: ~ Sta lì, rozzo araldo
di Dio ”.
Mentre se ne andavano, Francesco saltò fuori dal fosso e invaso dalla gioia, continuò a cantare con voce
più alta le lodi in onore del Creatore di tutte le cose, facendone riecheggiare le selve.
1045 6. Si recò, poi, ad un vicino monastero, dove chiese come un medicante l'elemosina, che gli fu data come
si dà ad una persona sconosciuta e disprezzata.
Proseguì verso Gubbio, dove fu riconosciuto e accolto da un antico amico, che gli diede anche una
povera tonachella, che egli indossò come poverello di Cristo.
Poi, amante di ogni forma d'umiltà, si trasferì presso i lebbrosi, restando con loro e servendo a loro tutti
con somma cura.
Lavava loro i piedi, fasciava le piaghe, toglieva dalle piaghe la marcia e le ripuliva dalla purulenza.
Baciava anche, spinto da ammirevole devozione, le loro piaghe incancrenite, lui che sarebbe ben presto
diventato il buon samaritano del Vangelo.
Per questo motivo il Signore gli concesse grande potenza e meravigliosa efficacia nel guarire in modo
meraviglioso le malattie dello spirito e del corpo.
Riferirò uno dei fatti, che accadde in seguito, quando la fama dell'uomo di Dio già splendeva più
largamente.
1046 Un uomo della contea di Spoleto, aveva una malattia orrenda che gli devastava e corrodeva la bocca e la
mascella; nessun rimedio della medicina poteva giovargli. Costui si era recato a Roma, per visitare la tomba
degli Apostoli e impetrare da loro la grazia. Tornando dal pellegrinaggio, incontrò il servo di Dio, al quale
avrebbe voluto, per devozione, baciare i piedi. Ma l'umile Francesco non lo permise, anzi baciò in volto colui
che avrebbe voluto baciargli i piedi.
Appena Francesco, il servitore dei lebbrosi, mosso dalla sua mirabile pietà, ebbe toccato con la sua
sacra bocca quella piaga orrenda, questa scomparve completamente e il malato ricuperò la sospirata salute.
Non so che cosa ammirare maggiormente, a ragion veduta, in questo fatto: se l'umiltà profonda, che
spinse a quel bacio così benevolo, o la splendida potenza che operò un miracolo così stupendo.
1047 7. Ormai ben radicato nell'umiltà di Cristo, Francesco richiama alla memoria l'obbedienza di restaurare la
chiesa di San Damiano, che la Croce gli ha imposto.
Vero obbediente, ritorna ad Assisi, per eseguire l'ordine della voce divina, se non altro con la
mendicazione.
Deposta ogni vergogna per amore del povero Crocifisso, andava a cercar l'elemosina da coloro con i quali
un tempo aveva vissuto nell'abbondanza, e sottoponeva il suo debole corpo, prostrato dai digiuni, al peso delle
pietre.
Riuscì così, a restaurare quella chiesetta, con l'aiuto di Dio e il devoto soccorso dei concittadini. Poi, per
non lasciare intorpidire il corpo nell'ozio, dopo la fatica, passò a riparare, in un luogo un po' più distante dalla
città, la chiesa dedicata a San Pietro spinto dalla devozione speciale che nutriva, insieme con la fede pura e
sincera, verso il Principe degli Apostoli.
1048 8. Riparata anche questa chiesa, andò finalmente in 1048 un luogo chiamato Porziuncola, nel quale vi era
una chiesa dedicata alla beatissima Vergine: una fabbrica antica, ma allora assolutamente trascurata e
abbandonata. Quando l'uomo di Dio la vide così abbandonata, spinto dalla sua fervente devozione per la Regina
del mondo, vi fissò la sua dimora, con l'intento di ripararla.
Là egli godeva spesso della visita degli Angeli, come sembrava indicare il nome della chiesa stessa,
chiamata fin dall'antichità Santa Maria degli Angeli. Perciò la scelse come sua residenza, a causa della sua
venerazione per gli Angeli e del suo speciale amore per la Madre di Cristo.
Il Santo amò questo luogo più di tutti gli altri luoghi del mondo. Qui, infatti, conobbe l'umiltà degli inizi;
qui progredì nelle virtù; qui raggiunse felicemente la mèta. Questo luogo, al momento della morte,
raccomandò ai frati come il luogo più caro alla Vergine.
1049 Riguardo a questo luogo, un frate, a Dio devoto, prima della sua conversione ebbe una visione degna di
essere riferita. Gli sembrò di vedere innumerevoli uomini, colpiti da cecità, che stavano attorno a questa
chiesa, in ginocchio e con la faccia rivolta al cielo. Tutti protendevano le mani verso l'alto e, piangendo,
invocavano da Dio misericordia e luce.
Ed ecco, venne dal cielo uno splendore immenso, che penetrando in loro tutti, portò a ciascuno la luce e
la salvezza desiderate.
1050 E' questo il luogo, nel quale san Francesco, guidato dalla divina rivelazione, diede inizio all'Ordine dei
frati minori. Proprio per disposizione della Provvidenza divina, che lo dirigeva in ogni cosa, il servo di Cristo
aveva restaurato materialmente tre chiese, prima di fondare l'Ordine e di darsi alla predicazione del Vangelo.
In tal modo non solamente egli aveva realizzato un armonioso progresso spirituale, elevandosi dalle realtà
sensibili a quelle intelligibili, dalle minori alle maggiori; ma aveva anche, con un'opera tangibile, mostrato e
prefigurato simbolicamente la sua missione futura.
Infatti, così come furono riparati i tre edifici, sotto la guida di quest'uomo santo si sarebbe rinnovata la
Chiesa in tre modi: secondo la forma di vita, secondo la Regola e secondo la dottrina di Cristo da lui proposte e avrebbe celebrato i suoi trionfi una triplice milizia di eletti.E noi ora costatiamo che così è avvenuto.
CAPITOLO III
L' ISTITUZIONE DELLA RELIGIONE
E L APPROVAZIONE DELLA REGOLA
1051 1. Nella chiesa della Vergine Madre di Dio dimorava, dunque, il suo servo Francesco e supplicava
insistentemente con gemiti continui Colei che concepì il Verbo pieno di grazia e di verità, perché si degnasse
di farsi sua avvocata. E la Madre della misericordia ottenne con i suoi meriti che lui stesso concepisse e
partorisse lo spirito della verità evangelica.
Mentre un giorno ascoltava devotamente la messa degli Apostoli, sentì recitare il brano del Vangelo in
cui Cristo, inviando i discepoli a predicare, consegna loro la forma di vita evangelica, dicendo: Non tenete né
oro né argento né denaro nelle vostre cinture, non abbiate bisaccie da viaggio, né due tuniche"né calzari, né
bastone.
Questo udì, comprese e affidò alla memoria l'amico della povertà apostolica e, subito, ricoImo di
indicibile letizia, esclamò: “ Questo è ciò che desidero questo è ciò che bramo con tutto il cuore! ”.
Si toglie i calzari dai piedi; lascia il bastone; maledice bisaccia e denaro e, contento di una sola
tonachetta, butta via la cintura e la sostituisce con una corda e mette ogni sua preoccupazione nello scoprire
come realizzare a pieno le parole sentite e adattarsi in tutto alla regola della santità, dettata agli apostoli.
1052 2. Da quel momento l'uomo di Dio, per divino incitamento, si dedicò ad emulare la perfezione evangelica
e ad invitare tutti gli altri alla penitenza.
I suoi discorsi non erano vani o degni di riso, ma ripieni della potenza dello Spirito Santo: penetravano
nell'intimo del cuore e suscitavano forte stupore negli ascoltatori. In ogni sua predica, all'esordio del discorso,
salutava il popolo con I'augurio di pace, dicendo: “ Il Signore vi dia la pace!"
Aveva imparato questa forma di saluto per rivelazione del Signore, come egli stesso più tardi affermò.
Fu così che, mosso anch'egli dallo spirito dei profeti, come i profeti annunciava la pace, predicava la salvezza
e, con le sue ammonizioni salutari, riconciliava in un saldo patto di vera amicizia moltissimi, che prima, in
discordia con Cristo, si trovavano lontani dalla salvezza.
1053 3. In questo modo molti incominciarono a riconoscere la verità della dottrina, che l'uomo di Dio con
semplicità predicava, e della sua vita. Alcuni incominciarono a sentirsi incitati a penitenza dal suo esempio e
ad unirsi a lui nell'abito e nella vita, lasciando ogni cosa. Il primo di loro fu il “ venerabile Bernardo ”, che,
reso partecipe della vocazione divina, meritò di essere il primogenito del beato padre, primo nel tempo e
primo nella santità.
Bernardo, dopo avere costatato di persona la santità del servo di Cristo, decise di seguire il suo esempio,
abbandonando completamente il mondo. Perciò si rivolse a lui, per sapere come realizzare questo proposito.
Ascoltandolo, il servo di Dio si sentì ripieno della consolazione dello Spirito Santo, perché aveva
concepito il suo primo figlio, ed esclamò: “ Un simile consiglio dobbiamo chiederlo a Dio! ”.
Poiché era ormai maltina, entrarono nella chiesa di San Nicolò. Dopo aver pregato, Francesco, devoto
adoratole della Trinità, per tre volte aprì il libro dei Vangeli, chiedendo a Dio che per tre volte confermasse ii
proposito di Bernardo .
Alla prima apertura si imbatté nel passo che dice: “ Se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto quello che
hai e dàllo ai poveri.
Alla seconda: Non portate niente durante il, viaggio.
Alla terza: Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
“ Questa - disse il Santo - è la vita e la regola nostra e di tutti quelli che vorranno unirsi alla nostra
compagnia. Va, dunque, se vuoi essere perfetto, e fa come hai sentito”.
1055 4 Poco tempo dopo, lo stesso Spirito chiamò altri cinque uomini e il numero dei frati salì a sei. Fra loro, il
terzo posto toccò al santo pa~re Egidio, uomo davvero pieno di Dio e degno di essere solennemente ricordato.
Egli, infatti, divenne in seguito famosissimo per le sue sublimi virtù, come di lui aveva predetto il servitore del
Signore, e, quantunque illetterato e semplice, si elevò ai più eccelsi vertici della contemplazione.
Egidio per lunghi periodi di tempo si dedicava incessantemente alle ascensioni mistiche e veniva rapito
in Dio con estasi così frequenti, che, pur essendo in mezzo agli uomini, sembrava conducesse ormai una vita
più angelica che umana. L'ho potuto costatare anch'io con i miei occhi e perciò ne faccio fede.
1056 5. Sempre in quel periodo, un sacerdote della città di Assisi, chiamato Silvestro, uomo di onorata
condotta, ebbe dal Signore una visione, che non va taciuta.
Silvestro, giudicando secondo il criterio degli uomini, aveva in orrore il modo di vivere seguito da
Francesco e dai suoi frati. Ma la grazia celeste rivolse a lui il suo sguardo e lo visitò, perché non venisse a
trovarsi in pericolo a causa di quel suo giudizio privo di fondamento. Vide, dunque, in sogno, tutta la città di
Assisi circondata da un grande dragone, che con la sua sterminata grandezza sembrava minacciare lo sterminio
a tutta la regione. Dopo di ciò, vedeva uscire dalla bocca di Francesco una croce tutta d'oro, che con la punta
toccava il cielo e con le braccia, protese per il largo, sembrava estendersi fino alle estremità del mondo.
Questa apparizione fulgentissima metteva definitivamente in fuga il dragone fetido e orrendo.
Questo spettacolo gli fu mostrato per tre volte. Egli comprese, allora, che si trattava di un messaggio
divino e riferì tutto ordinatamente all'uomo di Dio e ai suoi frati, e dopo non molto tempo lasciò il mondo e
seguì la via di Cristo con grande perseveranza, rendendo autentica, mediante la condotta da lui tenuta
nell'Ordine, la visione che aveva avuto nel secolo.
6. All'udire quella visione, I'uomo di Dio non si lasciò trascinare dalla vana gloria degli uomini, ma,
riconoscendo la bontà di Dio nei suoi benefici, si sentì più fortemente animato a combattere la malizia
dell'antico nemico e a predicare la gloria della croce di Cristo.
1057 Un giorno, mentre, ritirato in luogo solitario, piangeva ripensando con amarezza al suo passato, si sentì
pervaso dalla gioia dello Spirito Santo, da cui ebbe l'assicurazione che gli erano stati pienamente rimessi tutti i
peccati.
Rapito fuori di sé e sommerso totalmente in una luce meravigliosa che dilatava gli orizzonti del suo
spirito, vide con perfetta lucidità l'avvenire suo e dei suoi figli.
Dopo l'estasi, ritornò dai frati e disse loro: ~ Siate forti, carissimi, e rallegratevi nel Signore. Non
vogliate essere tristi, perché siete in pochi, e non vi faccia paura la mia o la vostra semplicità; poiché, come il
Signore mi ha mostrato con una visione veritiera, Iddio ci farà diventare una grande moltitudine e la sua grazia
e la sua benedizione ci faranno crescere in molti modi ”.
1058 7. Sempre nello stesso periodo, entrò nella religione un'altra persona dabbene e così i figli benedetti
dell'uomo di Dio raggiunsero il numero di sette.
Allora il pio padre raccolse intorno a sé tutti i figli suoi e parlò a lungo con loro del regno di Dio, del
disprezzo del mondo, della necessità di rinnegare la propria volontà e di mortificare il proprio corpo, e svelò la
sua intenzione di inviarli nelle quattro parti del mondo.
Ormai il padre santo, come la donna sterile, semplice e poverella della Bibbia, aveva partorito sette
volte, e desiderava partorire a Cristo tutto quanto il popolo dei fedeli, chiamandolo al pianto e alla penitenza.
1059 “ Andate -- disse il dolce padre ai figli suoi -- annunciate agli uomini la pace; predicate la penitenza per
la remissione dei peccati. Siate pazienti nelle tribolazioni, vigilanti nell'orazione, valenti nelle fatiche, modesti
nel parlare, gravi nel comportamento e grati nei benefici. F in compenso di tutto questo è preparato per voi il
regno eterno ”.
Quelli, inginocchiati umilmente davanti al servo di Dio, accoglievano con intima gioia la missione della
santa obbedienza
Diceva, poi, a ciascuno in particolare: Affida al Signore la tua sorte, ed Egli ti nutrirà. Erano queste le
parole che egli ripeteva abitualmente, quando assegnava a qualche frate un incarico per obbedienza.
Li suddivise a due a due, in forma di croce, inviandoli per il mondo. Dopo aver assegnato le altre tre
parti agli altri sei, egli stesso si diresse con un compagno verso una parte del mondo, ben sapendo che era
stato scelto come esempio per gli altri e che doveva prima fare e poi insegnare.
1060 Ma, poco tempo dopo quella partenza, il padre buono sentiva gran desiderio di rivedere la sua cara prole
e, siccome non poteva farla ritornare egli stesso, pregava che lo facesse colui che raduna i dispersi d'Israele.
E così avvenne che, senza bisogno di umano richiamo, insperatamente e non senza meraviglia da parte
loro, si ritrovarono ugualmente insieme, secondo il suo desiderio e per opera della bontà divina.
Sempre in quei giorni, si unirono a loro quattro persone dabbene, sicché raggiunsero il numero di dodici.
1061 8. Vedendo che il numero dei frati a poco a poco cresceva, ii servitore di Cristo scrisse per sé e per i suoi
frati con parole semplici, una formula di vita, nella quale, posta come fondamento imprescindibile l'osservanza
del santo Vangelo, inserì poche altre cose, che sembravano necessarie per vivere in modo uniforme.
Desiderando che venisse approvato dal sommo Pontefice quanto aveva scritto, decise di recarsi, con
quell'adunata di uomini semplici, alla presenza della Sede Apostolica, affidandosi unicamente alla guida di Dio.
Dio, che aveva guardato dall'alto al desiderio del suo servo, per rinvigorire il coraggio dei suoi compagni,
terrorizzati dalla coscienza della propria semplicità, gli mandò questa visione: gli sembrava di camminare su
una strada, a fianco della quale si ergeva un albero molto alto. Avvicinatosi all'albero, si era messo ad
osservare dal di sotto la sua altezza, quando improvvisamente una forza divina lo sollevò tanto in alto che
riusciva a toccare la sommità dell'albero e a piegarne con estrema facilità la cima fino a terra.
L'uomo di Dio comprese perfettamente che quella visione era un presagio e gli indicava come l'autorità
apostolica nella sua accondiscendenza si sarebbe piegata fino a lui.
Con l'animo pieno di gioia, confortò i compagni e affrontò con loro il cammino.
1062 9. Presentatosi alla Curia romana, e introdotto al cospetto del sommo Pontefice, gli espose le sue
intenzioni, chiedendo~li umilmente e vivamente che approvasse la Regola di vita da lui scritta.
Il Vicario di Cristo, papa Innocenzo III davvero illustre per sapienza, ammirando nell'uomo di Dio la
purezza e la semplicità dell'animo, la fermezza nel proposito e l'infiammato ardore di una volontà santa, si
sentì incline ad accogliere con pio assenso le sue richieste.
Tuttavia non vol!e approvare subito la norma di vita proposta dal poverello, perché ad alcuni cardinali
sembrava strana e troppo ardua per le forze umane.
Ma il cardinale Giovanni di San Paolo, vescovo di Sabina, persona degna di venerazione, amante di ogni
santità e sostegno dei poveri di Cristo, infiammato dallo Spirito di Dio, disse al sommo Pontefice e ai suoi
fratelli cardinali: << Questo povero, in realtà, ci chiede soltanto che gli venga approvata una forma di vita
evangelica. Se, dunque, respingiamo la sua richiesta, come troppo difficile e strana, stiamo attenti che non ci
capiti di fare ingiuria al Vangelo. Se, infatti, uno dicesse che nell'osservanza della perfezione evangelica e nel
voto di praticarla vi è qualcosa di strano o di irrazionale, oppure di impossibile, diventa reo di bestemmia
contro Cristo, autore del Vangelo>>.
Messo di fronte a queste ragioni, il successore di Pietro si rivolse al povero di Cristo e gli disse: <<Prega
Cristo, o figlio, affinché per mezzo tuo ci mostri la sua volontà. Quando l'avremo conosciuta con maggiore
certezza, potremo accondiscendere con maggior sicurezza ai tuoi pii desideri>>.
AGGIUNTA POSTERIORE
1063 9a Quando giunse presso la curia romana, venne condotto alla presenza del sommo Pontefice. Il Vicario
di Cristo, che si trovava nel palazzo lateranense e stava camminando nel luogo chiamato Speculum, immerso in
profondi pensieri, cacciò via con sdegno, come un importuno, il servitore di Cristo.
Questi umilmente se ne uscì. Ma la notte successiva il Pontefice ebbe da Dio una rivelazione. Vedeva ai
suoi piedi una palma, che cresceva a poco a poco fino a diventare un albero bellissimo. Mentre il Vicario di
Cristo si chiedeva, meravigliato, che cosa volesse indicare tale visione, la luce divina gli impresse nella mente
l'idea che la palma rappresentava quel povero, che egli il giorno prima aveva scacciato.
Il mattino dopo il Papa fece ricercare dai suoi servi quel povero per la città. Lo trovarono nell'ospedale
di Sant'Antonio, presso il Laterano, e per comodo del Papa lo portarono in fretta al suo cospetto.
1064 10. Il servo di Dio onnipotente, affidandosi totalmente alla preghiera, con le sue devote orazioni ottenne
che Dio rivelasse a lui le parole con cui doveva esprimersi e al Papa le decisioni da prendere.
Egli, infatti raccontò al Pontefice, come Dio gliel'aveva suggerita, la parabola di un ricco re che con gran
gioia aveva sposato una donna bella e povera e ne aveva avuto dei figli che avevano la stessa fisionomia del re,
loro padre e che, perciò, vennero allevati alla mensa stessa del re.
Diede, poi, l'interpretazione della parabola, giungendo a questa conclusione: << Non c'è da temere che
muoiano di fame i figli ed eredi dell'eterno Re; perché essi, a somiglianza di Cristo, sono nati da una madre
povera, per virtù dello Spirito Santo e sono stati generati per virtù dello spirito di povertà, in una religione
poverella. Se, infatti, il Re del cielo promette ai suoi imitatori il Regno eterno, quanto più provvederà per loro
quelle cose che elargisce senza distinzione ai buoni e ai cattivi >>.
Il Vicario di Cristo ascoltò attentamente questa parabola e la sua interpretazione e, pieno di meraviglia,
riconobbe senza ombra di dubbio che, in quell'uomo, aveva parlato Cristo. Ma si sentì rassicurato anche da una
visione, da lui avuta in quella circostanza, nella quale lo Spirito di Dio gli aveva mostrato la missione a cui
Francesco era destinato. Infatti, come egli raccontò, in sogno vedeva che la Basilica del Laterano ormai stava
per rovinare e che, un uomo poverello, piccolo e di aspetto spregevole, la sosteneva, mettendoci sotto le
spalle, perché non cadesse.
<< Veramente -- concluse il Pontefice -- questi è colui che con la sua opera e la sua dottrina sosterrà la
Chiesa di Cristo >>.
Da allora, sentendo per il servo di Cristo una straordinaria devozione, ci mostrò incline ad accogliere in
tutto e per tutto le sue richieste e lo amò poi sempre con affetto speciale.
Concedette, dunque, le cose richieste e promise che ne avrebbe concesse ancora di più.
Approvò la Regola: conferì il mandato di predicare la penitenza e a tutti i frati laici, che erano venuti
con il servo di Dio, fece fare delle piccole chieriche, perché potessero predicare liberamente la Parola di Dio.
CAPITOLO IV
SVILUPPI DELL' ORDINE SOTTO LA SUA GUIDA
E CONFERMA DELLA REGOLA PRECEDENTEMENTE APPROVATA
1065 l. Contando sulla grazia divina e sull'autorità papale, Francesco, pieno di fiducia. si diresse verso la valle
Spoletana, pronto a praticare e ad insegnare il Vangelo.
Durante il cammino discuteva con i compagni sul modo in cui osservare con sincerità la Regola, che
avevano abbracciato; sul modo in cui progredire in ogni santità e giustizia davanti a Dio, sul modo in cui
santificare se stessi ed essere di esempio per gli altri.
Il colloquio si protrasse assai a lungo, e il giorno passò. Stanchi, ormai, per la lunga fatica e affamati, si
fermarono in un luogo solitario. Non era possibile provvedere un po' di cibo da nessuna parte. Ma la
Provvidenza di Dio intervenne senza indugio: comparve improvvisamente un uomo con in mano un pane; lo
diede ai poverelli di Cristo, e subito disparve. Non si seppe né da dove era venuto né dove andasse.
I frati poverelli riconobbero, allora, da questo prodigio che la compagnia dell'uomo di Dio era per loro
una garanzia dell'aiuto del cielo e si sentirono saziati più per il dono della generosità divina che per il
nutrimento materiale ricevuto.
Inoltre, colmi di divina consolazione, stabilirono fermamente e irrevocabilmente ribadirono l'impegno di
non abbandonare mai, né per fame né per tribolazione, la santa povertà professata.
1066 2. Mentre, saldi nel santo proposito, affrontavano la valle Spoletana, si misero a discutere se dovevano
passare la vita in mezzo alla gente oppure dimorare in luoghi solitari.
Ma Francesco, il servo di Cristo, non confidando nella esperienza propria o in quella dei suoi, si affidò
alla preghiera, per ricercare con insistenza quale fosse su questo punto la disposizione della volontà divina.
Venne così illuminato con una risposta dal cielo e comprese che egli era stato mandato dal Signore a
questo scopo: guadagnare a Cristo le anime, che il diavolo tentava di rapire .
E perciò scelse di vivere per tutti, anziché per sé solo, stimolato dall'esempio di Colui che si degnò di
morire. Lui solo, per tutti gli uomini.
1067 3. L'uomo di Dio, insieme con gli altri compagni, andò ad abitare in un tugurio abbandonato, vicino ad
Assisi: là essi vivevano di molto lavoro e fra gli stenti, secondo la forma della santa povertà, preoccupati di
rifocillarsi più con il pane delle lacrime che con il pane dell'abbondanza.
Là erano continuamente intenti a pregare Iddio applicandosi all'esercizio dell'orazione e della devozione
più con la mente che con la voce, per la ragione che non avevano ancora i libri liturgici, sui quali recitare le
ore canoniche.
Ma, al posto di quei libri, leggevano ininterrottamente, sfogliandolo e risfogliandolo, il libro della croce
di Cristo, giorno e notte, istruiti dall'esempio e dalla parola del Padre, che continuamente faceva loro il
discorso della croce di Cristo.
1068 Quando. poi i frati gli chiesero che insegnasse loro a pregare, disse: Quando pregate, dite: -- Padre
nostro, e: “ Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono in tutto il mondo, e ti benediciamo, perché,
per mezzo della tua santa croce, hai redento il mondo”.
1069 Inoltre insegnò loro a lodare Dio in tutte le creature e prendendo lo spunto da tutte le creature; ad
onorare con particolare venerazione i sacerdoti, come pure a credere fermamente e a confessare
schiettamente la verità della fede, così come la tiene e la insegna la santa Chiesa romana. Essi osservavano in
tutto e per tutto gli insegnamenti del padre santo e, appena scorgevano qualche chiesa da lontano, o qualche
croce, si volgevano verso di essa, prostrandosi umilmente a terra e pregando secondo la forma loro indicata.
1070 4. Nel periodo in cui i frati dimoravano in questo luogo, una volta il Santo si recò nella città di Assisi,
perché era sabato e il mattino della domenica doveva predicare nella chiesa cattedrale, come faceva di solito.
L'uomo a Dio devoto, secondo la sua abitudine, passò la notte a pregare Dio, in un tugurio situato
nell'orto dei canonici, lontano, con il corpo, dai suoi figli.
Ma ecco: verso la mezzanotte -- mentre alcuni frati riposavano ed altri vegliavano in preghiera--un carro
di fuoco di meraviglioso splendore entrò dalla porta della casa e per tre volte fece il giro dell'abitazione: sopra
il carro si trovava un globo luminoso, in forma di sole, che dissipò il buio della notte
Furono stupefatti quelli che vegliavano; svegliati e, insieme, atterriti quelli che dormivano--e fu più
grande la chiarezza provata nel cuore che quella vista con gli occhi, perché, per la potenza della luce
miracolosa, fu nuda la coscienza di ciascuno davanti alla coscienza di tutti.
Tutti reciprocamente videro nel cuore di ciascuno e tutti compresero, con un solo pensiero, che il
Signore mostrava loro il padre santo, assente col corpo ma presente in spirito, trasfigurato soprannaturalmente
dalla luce dei celesti splendori e dalla fiamma dei celesti ardori, sopra quel carro di luce e di fuoco, per
indicare che essi dovevano camminare, come veri Israeliti, sotto la sua guida. Egli, infatti, era stato eletto da
Dio, come un nuovo Elia, ad essere cocchio ed auriga degli uomini spirituali.
C'è davvero da crederlo: Colui che, alle preghiere di Francesco, aprì il cuore di quei frati così semplici,
perché vedessero le meraviglie di Dio, fu quello stesso che un tempo aveva aperto gli occhi al servo perché
vedesse il monte pieno di cavalli e di carri di fuoco intorno ad Eliseo.
1071 Quando il Santo ritornò dai frati, incominciò a scrutare e a svelare i segreti delle loro coscienze, a
rassicurarli sul significato di quella visione mirabile, e fece molte predizioni sul futuro sviluppo dell'Ordine. E
siccome faceva moltissime rivelazioni, che trascendevano le capacità dell'intelletto umano, i frati dovettero
riconoscere che lo Spirito del Signore si era posato in tutta la sua pienezza sopra il suo servo Francesco: perciò
la cosa più sicura per loro era seguire la sua dottrina e la sua vita.
1072 5. Dopo questi avvenimenti, Francesco, pastore del piccolo gregge, ispirato dalla grazia divina, condusse i
suoi dodici frati a Santa Maria della Porziuncola, perché voleva che l'Ordine dei minori crescesse e si
sviluppasse, sotto la protezione della Madre di Dio, là dove, per i meriti di lei, aveva avuto inizio.
Là, inoltre, divenne araldo del Vangelo. Incominciò, infatti, a percorrere città e villaggi e ad
annunziarvi il regno di Dio, non basandosi sui discorsi persuasivi della sapienza umana, ma sulla dimostrazione
di spirito e di potenza.
A chi lo vedeva, sembrava un uomo dell'altro mondo: uno che, la mente e il volto sempre rivolti al cielo,
si sforzava di attirare tutti verso l'alto.
Da allora la vigna di Cristo incominciò a produrre germogli profumati del buon odore del Signore, e frutti
abbondanti con fiori soavi di grazia e di santità.
1073 6. Moltissimi, infiammati dalla sua predicazione, si vincolavano alle nuove leggi della penitenza, secondo
la forma indicata dall'uomo di Dio.
Il servo di Cristo stabilì che la loro forma di vita si denominasse Ordine dei Fratelli della Penitenza.
Questo nuovo Ordine ammetteva tutti chierici e laici vergini e coniugi dell'uno e dell'altro sessò, perché
la via della penitenza è comune per tutti quelli che vogliono tendere al cielo. E i miracoli compiuti da alcuni
dei suoi seguaci sono lì a mostrarci quanto Dio lo consideri degno di merito .
1074 C'erano anche delle Vergini, che si consacravano a perpetua castità: tra esse, Chiara, vergine carissima a
Dio, che fu la prima pianticella ed esalò il suo profumo come candido fiore di primavera e risplendette come
stella fulgentissima .
Ella ora gloriosa nei cieli, viene giustamente venerata sulla terra dalla Chiesa: ella che fu, in Cristo, la
figlia del padre san Francesco, poverello, e la madre delle Povere Dame.
1075 7. Molti, inoltre, non solo spinti da devozione ma infiammati dal desiderio della perfezione di Cristo,
abbandonavano ogni vanità mondana e si mettevano alla sequela di Francesco. Essi, crescendo e
moltiplicandosi di giorno in giorno, si diffusero in breve tempo fino alle estremità della terra.
Infatti la santa povertà, che portavano con sé come sola provvista, li rendeva pronti ad ogni obbedienza,
robusti alle fatiche e disponibili a partire.
E siccome non avevano niente di terreno, a niente attaccavano il cuore e niente temevano di perdere. Si
sentivano sicuri dappertutto, non turbati da nessuna preoccupazione o ansietà: gente che, senza affanni,
aspettava il domani e un rifugio per la sera.
In diverse parti del mondo capitava loro di essere ricoperti di ingiurie, come persone spregevoli e
sconosciute; ma l'amor del Vangelo li aveva resi così pazienti, che essi stessi andavano a cercare i luoghi in cui
sapevano che sarebbero stati perseguitati ed evitavano quelli dove la loro santità era conosciuta e avrebbero
trovato, perciò, onori e simpatia .
La penuria stessa era per loro dovizia e sovrabbondanza, mentre, secondo il consiglio del Saggio,
provavano piacere non nella grandezza, ma nelle cose più piccole.
1076 Una volta alcuni frati si recarono nei paesi degli infedeli e incontrarono un saraceno che, mosso da pietà,
offrì loro il denaro necessario per il vitto. Essi lo rifiutarono e quell'uomo ne rimase meravigliato, perché li
vedeva sprovvisti di tutto. Ma quando, finalmente, comprese che non volevano denaro, perché si erano fatti
poveri per amor di Dio, si legò ad essi con tanto affetto che promise di fornire loro tutto il necessario finché ne
avesse avuto la possibilità .
O povertà inestimabilmente preziosa, o virtù mirabile che hai saputo convertire a così grande tenerezza
e compassione un cuore barbaro e feroce!
E', dunque, un delitto orribile e nefando, per un cristiano, calpestare questa perla preziosa, che un
saraceno ha onorato con tanta venerazione.
1077 8. In quel tempo, un religioso dell'Ordine dei Crociferi, di nome Morico, si trovava in un ospedale vicino
ad Assisi, tormentato da una lunga e gravissima infermità. I medici lo davano ormai per spacciato. Ma egli,
divenuto un supplicante dell'uomo di Dio per interposta persona, lo pregava Insistentemente che si degnasse di
intercedere il Signore per lui.
Il padre buono esaudì le sue richieste. Dopo aver pregato, prese delle briciole di pane e, mescolandole
con un po' d'olio della lampada che ardeva davanti all'altare della Vergine, mandò alcuni frati a portargli
questo singolare elettuario, dicendo: “ Portate questa medicina al nostro fratello Morico. Per mezzo di essa, la
potenza di (',risto non solo gli ridonerà piena salute, ma lo farà anche diventare un robusto lottatore,
assegnandolo per sempre alle nostre file ”
Appena ebbe assaggiato quell'antidoto preparato per invenzione dello Spirito Santo, il malato guarì
immediatamente e ottenne da Dio tal vigoria di anima e di corpo che poco dopo, entrato nella Religione di
Francesco, si copriva con una sola tonachetta, sotto la quale per lungo tempo portò una lorica a contatto con
la carne, e si nutriva esclusivamente di cibi crudi. Per molti lustri visse senza assaggiare né pane né vino,
eppure godette sempre di grande robustezza e perfetta salute.
1078 9. Intanto crescevano, nei piccolini di Cristo, le virtù e i meriti, diffondendo tutt'intorno il profumo della
loro buona fama. Perciò molti accorrevano dalle varie parti del mondo, nel desiderio di vedere di persona il
padre santo .
Fra gli altri, un estroso compositore di canzoni secolaresche, che era stato incoronato poeta
dall'imperatore e da allora veniva chiamato re dei versi si propose di recarsi dall'uomo di Dio, così noto per il
suo disprezzo degli onori mondani.
Lo trovò nel castello di San Severino, mentre predicava in un monastero; e allora la mano di Dio venne
su di Iui mostrandogli in visione quel medesimo Francesco, che stava predicando sulla croce di Cristo, segnato
da due spade splendentissime, disposte in forma di croce: una delle spade si estendeva dalla testa ai piedi e
una da una mano alI'altra, attraverso il petto.
Egli non conosceva di faccia il servo di Cristo, ma lo riconobbe immediatamente, quando gli fu indicato
da un così grande prodigio.
Stupefatto per quella visione, si propose subito di intraprendere una vita migliore e, infine, convertito
dalla forza delle sue parole e come trafitto dalla spada dello spirito che usciva dalla sua bocca, si unì al beato
padre mediante la professione, rinunciando totalmente agli onori vani del mondo.
Il Santo, vedendo che si era perfettamente convertito dall'inquietudine del mondo alla pace di Cristo, lo
chiamò frate Pacifico.
1079 Frate Pacifico successivamente si perfezionò in ogni forma di santità e, prima di diventare ministro in
Francia -- difatti egli fu il primo ad avere l'ufficio di ministro dei frati in quel paese -- meritò di vedere una
seconda volta sulla fronte di Francesco un grande Tau, che illuminava e abbelliva meravigliosamente la sua
faccia con singolare varietà di colori.
E in realtà il Santo nutriva grande venerazione ed affetto per il segno del Tau; lo raccomandava spesso
nel parlare e lo scriveva di propria mano sotto le lettere che inviava, come se la sua missione consistesse,
secondo il detto del profeta, nel segnare il Tau sulla fronte degli uomini che gemono e piangono,
convertendosi sinceramente a Cristo.
1080 10. Quando, con l'andar del tempo, i frati erano ormai diventati molto numerosi, il premuroso pastore
incominciò a radunarli nel luogo di Santa Maria della Porziuncola per il Capitolo generale, in cui poteva
assegnare a ciascuno di loro una porzione di obbedienza nel regno dei poveri, secondo la misura voluta da Dio.
Alla Porziuncola vi era penuria d'ogni cosa; ma, benché qualche volta vi convenisse una moltitudine di
oltre cinquemila frati, non mancò mai l'aiuto della Bontà divina, che procurava il sufficiente per tutti e a tutti
concedeva la salute del corpo e sovrabbondante gioia di spirito.
1081 Ai capitoli provinciali, invece, egli non poteva essere 1081 presente di persona; ma si preoccupava di
rendersi presente con sollecite direttive, con la preghiera insistente e con la sua efficace benedizione.
Qualche volta, però, in forza di quella virtù divina che opera meraviglie, vi compariva anche in forma
visibile. Durante il Capitolo di Arles, Antonio, allora insigne predicatore ed ora glorioso confessore di Cristo,
stava predicando ai frati, servendosi come tema dell'iscrizione posta sulla croce: “ Gesù Nazareno, re dei
Giudei ”. Ebbene un frate di virtù sperimentata, di nome Monaldo, si mise, per ispirazione divina, a guardare
verso la porta della sala capitolare e vide con i suoi propri occhi il beato Francesco che, stando librato nell'aria
con le mani stese in forma di croce, benediceva i frati. Tutti i frati, a loro volta, si sentirono ripieni di una
consolazione spirituale così grande e così insolita che la ritennero una testimonianza con la quale lo Spirito li
assicurava che il padre santo era veramente in mezzo a loro.
Il fatto, però, in seguito venne comprovato non solo da attestazioni sicure, ma anche dalla
testimonianza dell stesso san Francesco.
Evidentemente quella forza onnipotente di Dio che concesse al santo vescovo Ambrogio di essere
presente alla tumulazione del glorioso vescovo Martino, perché con pio ossequio potesse venerare il pio
pontefice, rese presente anche il suo servo Francesco alla predica del suo verace araldo Antonio, perché
potesse confermare la verità delle sue parole e in particolare di quelle che riguardavano la croce di Cristo, di
cui egli era alfiere e ministro.
1082 11. Ormai l'Ordine si era molto esteso e perciò Francesco si proponeva di far confermare in perpetuo da
papa Onorio la forma di vita già approvata dal suo predecessore, papa Innocenzo. Dio lo incoraggiò in questo
proposito mediante una rivelazione.
In questo modo: gli sembrava di aver raccolto da terra delle minutissime briciole di pane, per distribuirle
a molti frati affamati, che gli stavano intorno. Aveva timore che, nel distribuirle, quelle briciole così piccole
non gli cadessero magari di mano. Ma una voce dall'alto gli disse: “ Francesco, con tutte queste briciole, fa
un'ostia sola e porgi a chi vorrà mangiare ”.
Mentre egli così faceva, tutti quelli che non ricevevano il dono con devozione, oppure, dopo averlo
ricevuto, Io disprezzavano, subito si distinguevano dagli altri, perché diventavano lebbrosi.
Al mattino, il Santo raccontò la visione ai compagni, rammaricandosi di non afferrarne il significato.
Ma il giorno seguente, mentre pregava con grande perseveranza, sentì venire dal cielo questa voce: “
Francesco, le briciole che hai visto la notte scorsa sono le parole del Vangelo; I'ostia è la Regola; la lebbra è
l'iniquità ”.
1083 Seguendo le indicazioni avute in visione, volle, prima di farla approvare, ridurre a forma più compendiosa
la Regola, che aveva steso con lunghe e abbondanti citazioni del Vangelo.
1084 Perciò, guidato dallo Spirito Santo, salì su un monte con due compagni e là, digiunando a pane ed acqua,
dettò la Regola, secondo quanto gli suggeriva lo Spirito divino durante la preghiera.
Disceso dal monte, la affidò da custodire al suo vicario. Ma siccome questi, pochi giorni dopo, gli disse
che l'aveva perduta per trascuratezza, il Santo tornò di nuovo nella solitudine e subito la rifece in tutto uguale
alla precedente, come se ricevesse le parole dalla bocca di Dio. Ottenne, poi, che venisse confermata, come
aveva desiderato, dal sopraddetto papa Onorio, nell'ottavo anno del suo pontificato .
Per stimolare i frati ad osservarla con fervore, diceva che lui non ci aveva messo niente di proprio, ma
tutto aveva fatto scrivere così come gli era stato rivelato da Dio.
1085 E perché questo risultasse con maggior certezza attraverso la testimonianza di Dio stesso, passati soltanto
alcuni giorni, gli furono impresse le stimmate del Signore Gesù dal dito del Dio vivente. Le stimmate in un
certo senso, erano la bolla del sommo pontefice Cristo, che confermava in tutto e per tutto la Regola e in tutto
faceva l'elogio del suo autore.
Ma di questo parleremo più innanzi, dopo aver trattato delle virtù del nostro Santo.
CAPITOLO V
VITA AUSTERA.
IN CHE MODO LE CREATURE LO CONFORTAVANO
1086 1. Francesco, I'uomo di Dio, vedeva che per il suo esempio moltissimi si sentivano spinti a portare la croce
di Cristo con grande fervore e, perciò, si sentiva animato lui stesso, da buon condottiero dell'esercito di Cristo,
a conquistare vittoriosamente la cima della virtù. Per realizzare quelle parole dell'Apostolo: “ Coloro che sono
di Cristo hanno crocifisso la loro carne con i vizi e le concupiscenze ”, e portare nel proprio corpo l'armatura
della croce, respingeva gli stimoli dei sensi con una disciplina così rigorosa, che a stento si concedeva il
necessario per il sostentamento.
Diceva che è difficile soddisfare alle esigenze del corpo senza acconsentire alle basse tendenze dei
sensi.
Per questa ragione, a malincuore e raramente, quando era sano, si cibava di vivande cotte e, quando se
le permetteva, o le manipolava con la cenere o ne rendeva scipito il sapore e il condimento, mescolandovi, per
lo più, dell'acqua.
E come parlare di vino, se a malapena, quando si sentiva bruciare dalla sete, osava dissetarsi con
l'acqua?
Scopriva le tecniche di un'astinenza sempre più rigida e le accresceva di giorno in giorno con l'esercizio.
Quasi fosse sempre un principiante nella via della perfezione, benché ormai ne toccasse la vetta, trovava
sempre nuovi mezzi per castigare la concupiscenza.
1087 Quando, però, usciva nel mondo a predicare la parola del Vangelo, mangiava gli stessi cibi di coloro che
gli davano ospitalità; ma, tornando in casa, praticava inflessibilmente una rigorosa parchezza ed astinenza.
Così, austero verso se stesso, umano verso il prossimo, soggetto in ogni cosa al Vangelo, era di esempio e
di edificazione, non solo con l'astinenza ma anche nel mangiare.
Letto per il suo corpicciolo affaticato era, per lo più, la nuda terra; molto spesso dormiva seduto, con un
legno o un sasso sotto il capo. Vestito di una sola tonachetta poverella, serviva al signore in freddo e nudità.
1088 2. Gli chiesero, una volta, come potesse, con un vestito così leggero, difendersi dai rigori dell'inverno.
Pieno di fervore spirituale, rispose: “ Se il nostro cuore bruciasse per il desiderio della patria celeste,
facilmente sopporteremmo questo freddo esteriore ”.
Aveva in orrore i vestiti morbidi,. prediligeva quelli ruvidi e affermava che, proprio per i suoi vestiti
ruvidi, Giovanni Battista era stato lodato dalla bocca stessa di Dio.
Se per caso gli davano una tonaca, che a lui pareva soffice, la intesseva all'interno con delle funicelle,
dicendo: le vesti morbide, secondo la parola della Verità, si devono cercare non nelle capanne dei poveri, ma
nei palazzi dei principi.
Aveva imparato, per sicura esperienza, che i demoni vengono intimoriti dalle asprezze, mentre dalle
mollezze e dalle delicatezze prendono animo per tentare più baldanzosamente .
1089 Una notte, contrariamente al solito, si era coricato con un cuscino di piume sotto la testa, a causa della
sua malattia al capo e agli occhi. Ma il demonio, entrato nel cuscino, tormentò il Santo in molte maniere,
stornandolo dalla santa orazione, per tutta la notte, finché al mattino egli poté chiamare il compagno e
ordinargli di portare il guanciale fuori dalla cella e di gettarlo ben lontano, insieme col demonio .
Quanto al frate, come fu uscito dalla cella con il cuscino, perse le forze e rimase totalmente
paralizzato. E solo quando si sentì chiamare indietro dalla voce del padre santo, che aveva visto tutto in
ispirito, ricuperò completamente le forze fisiche e la sensibilità.
1090 3. Come una sentinella sulla torre di guardia, vigilava con rigorosa disciplina e somma cura per custodire
la purezza del corpo e dello spirito.
A questo scopo, nei primi tempi della sua conversione, durante l'inverno si immergeva, per lo più, in una
fossa piena di ghiaccio, sia per assoggettare perfettamente il nemico di casa sia per preservare la candida
veste della pudicizia dal fuoco della passione.
Affermava che un uomo spirituale trova incomparabilmente più sopportabile il freddo del corpo, anche il
più rigido, che non il fuoco della concupiscenza, per piccolo che sia.
1091 4. Una notte, mentre stava pregando in una celluzza dell'eremo di Sarteano, I'antico nemico lo chiamò
per tre volte: “ Francesco, Francesco, Francesco! ”. Gli rispose chiedendo che cosa volesse; e quello,
ipocritamente: “ Non c'è nessun peccatore al mondo, al quale Dio non usi misericordia, se si converte. Ma
chiunque si uccide da se stesso con le sue dure penitenze, non troverà misericordi a in eterno ”.
L'uomo di Dio, intuì immediatamente, per rivelazione, I'inganno del nemico, che tentava di richiamarlo
alla tiepidezza e ne ebbe la conferma da quello che avvenne subito dopo.
Infatti sentì divampare dentro di sé una grave tentazione sensuale, alimentata dal soffio di quel tale che
ha un fiato ardente come brace. Non appena ne avvertì le avvisaglie, l'amante della castità si tolse l'abito e
incominciò a flagellarsi molto forte con una corda.
“ Ehilà, diceva, frate asino, così ti conviene restare, così prenderti le battiture. Perché la tonaca serve
alla religione e porta in sé il sigillo della santità: non è lecito, a un libidinoso rubarla. Se vuoi andare in qualche
posto, va pure cammina! ".
Poi, animato da meraviglioso fervore di spirito, spalancò la cella, uscì fuori nell'orto e, immergendo nella
neve alta il corpicciolo già denudato e prendendo neve a piene mani, incominciò a fabbricare sette blocchi. E
mettendoseli davanti, così parlava al suo uomo esteriore: “ Ecco, questo blocco più grande è tua moglie,
questi quattro sono due figli e due figlie; gli altri due sono un servo e una serva, che bisogna tenere per le
necessità di casa. Adesso, spicciati a vestirli tutti, perché muoiono di freddo. Se, invece, le molte
preoccupazioni che loro ti danno, ti infastidiscono, datti da fare per servire soltanto al Signore! ”.
Subito il tentatore se ne andò via sconfitto, e il Santo ritornò nella cella con la vittoria in mano. Si era
raggelato ben bene al di fuori, ma nel suo interno aveva estinto il fuoco della passione così efficacemente che
d'allora in poi non provò mai più niente di simile.
Un frate, che quella stessa notte vegliava in preghiera, siccome la luna camminava assai chiara nel
cielo, poté osservare tutta quanta la scena. Quando il Santo lo venne a sapere, svelò al frate come la
tentazione si era svolta e gli comandò di non far saper niente a nessuno di quanto aveva visto, finché egli era
vivo.
1092 5. Insegnava che bisogna non solo mortificare le passioni della carne e frenarne gli stimoli, ma anche
custodire con somma vigilanza gli altri sensi, attraverso i quali la morte entra nell'anima.
Comandava di evitare molto accuratamente la familiarità, i colloqui e la vista delle donne, perché per
molti son occasione di rovina. “ Son queste le cose--asseriva--che molte volte spezzano gli spiriti deboli e
indeboliscono i forti. Riuscire ad evitare il contagio delle donne, per uno che si intrattiene con loro, è tanto
difficile, quanto camminare nel fuoco e non bruciarsi i piedi, come dice la Scrittura. A meno che si tratti di un
individuo esperimentatissimo ”.
Quanto a lui, aveva distolto gli occhi per non vedere simili vanità, con tanto impegno che, come disse
una volta al suo compagno, non conosceva di faccia quasi nessuna donna.
Riteneva rischioso lasciare che la fantasia assorba la loro immagine e la loro fisionomia, perché questo
può ridestare il focherello della carne, anche se ormai domata, o macchiare il nitore della pudicizia interiore.
Asseriva pure che la conversazione con le donne è frivolezza, salvo unicamente che si tratti di
confessione o di consigli circa la salvezza dell'anima, dati in forma molto breve e secondo le norme del decoro.
“ Quali affari--diceva--dovrebbe trattare un religioso con una donna, se si eccettua il caso in cui essa gli
domandi devotamente la penitenza o suggerimenti per una vita migliore? Se ci si sente troppo sicuri, si sta
meno in guardia dal nemico, e il diavolo, quando può afferrare un uomo per un capello, presto lo ingrossa e lo
fa diventare una trave ”.
1093 6. L'ozio, poi, sentina di tutti i pensieri malvagi, insegnava che lo si deve fuggire con somma cura e,
mediante il suo esempio, mostrava che la carne ribelle e pigra si doma con discipline continue e fruttuose
fatiche.
In questo senso chiamava il suo corpo “ frate asino ”, indicando che va sottoposto a compiti faticosi, va
percosso con frequenti battiture e sostentato con foraggio di poco prezzo.
Se, poi, notava qualcuno ozioso e bighellone, che voleva mangiare sulle fatiche degli altri, lo faceva
denominare “ frate mosca ”, perché costui, non facendo niente di buono e sporcando le buone azioni degli
altri, si rende vile e abominevole a tutti.
Perciò una volta disse: “ Voglio che i miei frati lavorino e si tengano esercitati. Così non andranno in
giro, oziando con il cuore e con la lingua, a pascersi di cose illecite”.
1094 Voleva che i frati osservassero il silenzio indicato dal Vangelo, cioè che in ogni circostanza evitassero
accuratamente ogni parola oziosa, di cui nel giorno del giudizio dovranno rendere ragione.
Se trovava qualche frate incline ai discorsi inutili, lo redarguiva con asprezza, affermando che il modesto
tacere custodisce la purezza del cuore e non è virtù da poco, se è vero, come dice la Scrittura, che morte e
vita si trovano in potere della lingua, intesa come organo non del gusto, ma della parola.
1095 7. Benché, poi, con tutte le sue forze stimolasse i frati ad una vita austera, pure non amava quel1a
severità intransigente che non riveste viscere di pietà e non è condita con il sale della discrezione.
Un frate, a causa dei digiuni eccessivi, una notte non riusciva assolutamente a dormire, tormentato
com'era dalla fame. Comprendendo il pietoso pastore che la sua pecorella si trovava in pericolo, chiamò il
frate, gli mise davanti un po' di pane e, per evitargli il rossore, incominciò a mangiare lui per primo, mentre
con dolcezza invitava l'altro a mangiare.
Il frate scacciò la vergogna e prese il cibo con grandissima gioia, giacché, con la sua vigilanza e la sua
accondiscendenza, il Padre gli aveva evitato il danno del corpo e gli aveva offerto motivo di grande
edificazione.
Al mattino, I'uomo di Dio radunò i frati e, riferendosi a quanto era successo quella notte, aggiunse
questo provvido ammonimento: “ A voi, fratelli, sia di esempio non il cibo, ma la carità ”.
Li ammaestrò, poi, a seguire sempre nella corsa alla virtù, la discrezione che ne è l'auriga; non la
discrezione consigliata dalla prudenza umana, ma quella insegnata da Cristo con la sua vita santissima, che
certamente è il modello dichiarato della perfezione.
1096 8. L'uomo, rivestito dell'infermità della carne, non può - egli diceva - seguire l'Agnello immacolato con
una purezza così perfetta che lo preservi da qualsiasi sozzura. Perciò quanti attendono alla perfezione devono
purificarsi ogni giorno col lavacro delle lacrime. E ne dava lui stesso la dimostrazione.
Benché avesse già raggiunto una meravigliosa purezza di cuore e di corpo, non cessava di purificare gli
occhi del suo spirito con un profluvio di lacrime, senza badare al danno che ne subivano gli occhi del corpo.
Infatti, in conseguenza del continuo piangere, aveva contratto una gravissima malattia agli occhi. Perciò ii
medico cercava di persuaderlo a desistere dal piangere, se voleva sfuggire alla cecità .
Ma il Santo replicava: “ O fratello medico, non si deve, per amore della vista che abbiamo in comune
con le mosche, allontanare da noi, neppure in piccola misura, la luce eterna, che viene a visitarci. Il dono della
vista non l'ha ricevuto lo spirito per il bene del corpo, ma l'ha ricevuto il corpo per il bene dello spirito ”.
Preferiva, evidentemente, perdere la luce degli occhi, piuttosto che soffocare la devozione dello spirito,
frenando le lacrime, che mondano l'occhio interiore e lo rendono capace di vedere Dio.
1097 9. Una volta i medici lo consigliarono, e i frati lo esortarono insistentemente, ad accettare di farsi curare
gli occhi mediante la cauterizzazione. L'uomo di Dio accondiscese umilmente, ritenendo che l'operazione era
salutare e dolorosa nello stesso tempo. Chiamarono, dunque, il chirurgo. Venne e immerse nel fuoco lo
strumento di ferro per la cauterizzazione.
Ma il servo di Cristo, confortando il corpo già scosso e inorridito, si mise a parlare col fuoco, come con
un amico, e gli disse: “ O mio fratello fuoco, I'Altissimo ti ha creato splendido e invidiabile per tutte le altre
creature, forte, bello ed utile. In questo momento sii buono con me, sii gentile. Io prego il grande Signore che
ti ha creato, perché moderi per me il tuo calore. Così tu brucerai dolcemente ed io riuscirò a sopportarti ”.
Finita la preghiera, tracciò il segno della croce sopra il ferro ormai incandescente--e se ne stava intrepido in
attesa.
Il ferro sprofondò crepitando nel~a tenera carne, mentre la cauterizzazione veniva estesa dall'orecchio
fino al sopracciglio. Quanto sia stato intenso il dolore che il fuoco gli inflisse, lo dichiarò il Santo stesso,
dicendo ai frati: “ Lodate l'Altissimo, perché, dico la verità, non ho sentito né il calore del fuoco né alcun
dolore nella carne ”. E volgendosi al medico: “ Se la carne non è ancora cotta bene, scava pure un'altra volta
”.
Quel medico sperimentato, ammirando come un miracolo divino quella forza di spirito così sublime, in
quella 6 carne così debole, esclamò: “ O frati, vi dico che oggi ho visto meraviglie ”.
1098 Francesco, in realtà, aveva raggiunto tale purezza che il suo corpo si trovava in meravigliosa armonia con
lo spirito e lo spirito in meravigliosa armonia con Dio. Perciò avveniva, per divina disposizione, che la creatura,
servendo al suo Fattore, sottostava in modo mirabile alla volontà e ai comandi del Santo.
1099 10. Un'altra volta il servo di Dio si trovava nell'eremo di Sant'Urbano, tormentato da una malattia
gravissima. Sentendosi venir meno, chiese un po' di vino.
Gli risposero che non potevano portarglielo, perché non ce n'era assolutamente. Allora egli comandò di
portargli dell'acqua; poi la benedisse col segno della croce. Subito diventa vino ottimo quella che prima era
acqua pura.
Così la purità del Santo ottenne ciò che la povertà del luogo non poté offrire.
Come ebbe bevuto quel vino, egli si ristabilì immediatamente e con estrema facilità.
Un cambiamento miracoloso e una miracolosa guarigione: due prodigi che avevano trasformato sia la
bevanda sia colui che aveva bevuto. Erano due modi per indicare quanto perfettamente ormai Francesco si era
spogliato delI'uomo vecchio e si era trasformato nell'uomo nuovo.
1100 11 Ma non soltanto la creatura si piegava al cenno del servo di Dio: anche il provvido Creatore di tutte le
cose accondiscendeva ai suoi desideri.
Una volta il Santo, prostrato da molte malattie insieme, sentì il desiderio di un po' di bella musica, che
gli ridonasse la gioia dello spirito.
Convenienza e decoro non permettevano che ciò avvenisse ad opera degli uomini -- e allora intervennero
gli Angeli compiacenti a realizzare il suo desiderio.
Infatti, una notte, mentre vegliava in meditazione, improvvisamente sentì una cetra suonare con
un'armonia meravigliosa e una melodia dolcissima. Non si vedeva nessuno, ma si avvertiva benissimo l'andare e
venire del citaredo dal variare del suono, che ora proveniva da una parte ed ora dall'altra.
Rapito in Dio, a quel canto melodioso, fu invaso da tanta dolcezza che credette di trovarsi nell'altro
mondo.
L'avvenimento non sfuggì ai frati suoi familiari. Essi, d'altronde, sapevano da indizi sicuri che il Signore
veniva spesso a visitarlo, donandogli consolazioni così sovrabbondanti che non riusciva a tenerle
completamente nascoste.
1101 12. In un'altra circostanza, l'uomo di Dio era in viaggio col compagno per motivi di predicazione, tra la
Lombardia e la Marca Trevigiana. Sopraggiunse la notte, mentre si trovavano vicino al Po.
Siccome la strada era piena di pericoli, a causa del buio, del fiume e delle paludi, il compagno disse al
Santo: “ O Padre, prega Dio, che ci faccia scampare dai pericoli ”.
L'uomo di Dio, con molta fiducia, gli rispose: “ Dio può, se piace alla sua cortesia, fugare le tenebre e
donarci la luce benefica ”.
Aveva appena finito di parlare, che l'Onnipotente fece risplendere intorno a loro una luce grandissima,
tanto che, mentre nelle altre parti persisteva l'oscurità della notte, potevano distinguere con chiarezza non
soltanto la strada, ma anche moltissimi oggetti tutt'intorno. Ben indirizzati e spiritualmente confortati da
quella luce, percorsero un lungo cammino, fra inni e canti di lode al Signore, finché giunsero all'ospizio.
1102 Valuta bene quale meravigliosa purezza e quale virtù abbia raggiunto quest'uomo, al cui cenno il fuoco
modera il suo calore, I'acqua cambia sapore, gli Angeli offrono il conforto delle loro melodie e la luce divina
dona la sua guida.
Sembra davvero che tutta la macchina del mondo si metta al servizio dei sensi, ormai così santificati, di
quest'uomo santo.
CAPITOLO VI
UMILTA' E OBBEDIENZA.
ACCONDISCENDENZA DI DIO Al SUOI DESIDERI
1103 1. L'umiltà, custode e ornamento di tutte le virtù, aveva ricolmato l'uomo di Dio di beni sovrabbondanti.
A suo giudizio, egli non era altro che un peccatore, mentre nella realtà era specchio e splendore della
santità, n tutte le sue forme.
Da architetto avveduto, egli volle edificare se stesso sul fondamento dell'umiltà, come aveva imparato
da Cristo.
Il Figlio di Dio--egli diceva--lasciando il seno del Padre, è disceso dall'altezza dei cieli fino alla nostra
miseria proprio per insegnarci, Lui Signore e Maestro, l'umiltà sia con l'esempio sia con la parola.
Per questo si studiava, in quanto discepolo di Cristo, di sminuirsi agli occhi propri ed altrui, ricordando
quanto il sommo Maestro ha detto: Ciò che è in onore fra gli uomini è abominazione davanti a Dio. Ma usava
anche ripetere questa massima: “ Un uomo è quanto è agli occhi di Dio, e non più ".
Di conseguenza, giudicando una stoltezza esaltarsi per la stima della gente del mondo, godeva nelle
umiliazioni e si rattristava per le lodi.
Sul proprio conto preferiva sentire insulti invece di lodi, perché sapeva che l'insulto spinge ad
emendarsi; la lode, a cadere.
E perciò spesso, quando la gente esaltava i suoi meriti e la sua santità, comandava a qualche frate di
dirgli, cacciandogliele bene dentro le orecchie, frasi che lo umiliavano e mortificavano.
E quando quel frate, benché contro voglia, lo chiamava paesano, mercenario, inetto e inutile, egli, lieto
in cuore come in volto, rispondeva: “ Il Signore ti benedica figlio carissimo, perché tu dici proprio la verità.
Queste son le parole che van bene per il figlio di Pietro Bernardone >>.
1104 2. Per guadagnarsi il disprezzo degli altri, raccontava davanti a tutta la gente i propri difetti e non
permetteva che la vergogna gli impedisse simili confessioni. Una volta, a causa di una grave malattia, aveva
allentato un poco la sua rigorosa astinenza, per ricuperare la salute.
Quand'ebbe in qualche modo riacquistato le forze, il vero dispregiatore di sé, ben deciso ad umiliare se
stesso, disse: “ Non è giusto che la gente mi creda un digiunatore, mentre io mi rifaccio di nascosto mangiando
la carne ”. Così, infiammato dallo spirito della santa umiltà si alzò radunò il popolo di Assisi nella piazza ed
entrò con grande solennità nella cattedrale, scortato da molti frati. Si legò una corda al collo e, nudo, con le
sole mutande, si fece trascinare, sotto gli occhi di tutti, fino alla pietra su cui di solito venivano messi i
delinquenti.
Salito sulla pietra, benché scosso dalla quartana e privo di forze, con quel freddo pungente, predicò con
grande vigore e dichiarò a tutti quanti gli ascoltatori che non dovevano stimarlo un uomo spirituale, ma che,
anzi, tutti dovevano disprezzarlo come un uomo carnale e un ghiottone.
Tutti i convenuti, a uno spettacolo così impressionante, furono pieni di meraviglia, perché conoscevano
bene la vita austera di quell'uomo, e, profondamente commossi dicevano apertamente che una umiltà come
quella si poteva, sì, ammirare, ma non certo imitare.
Veramente questo fatto, anzi che un esempio, può sembrare un segno, come quello che troviamo nel
profeta Isaia. Ma in realtà fu una dimostrazione di umiltà perfetta, che insegna al seguace di Cristo la necessità
di disprezzare gli elogi e le lodi passeggere, di reprimere il gonfiore e l'arroganza dell'ostentazione e di
smascherare le menzogne frodolente dell'ipocrisia.
1105 3. Faceva molto spesso azioni di questo genere, in modo da sembrare, all'esterno, un vaso di perdizione
e, così possedere, dentro di sé, lo spirito di santificazione.
Spesso, quando le folle lo osannavano, diceva così: “ Potrei ancora avere figli e figlie: non lodatemi
come se fossi già sicuro! Non si deve lodare nessuno, quando non si sa come andrà a finire ”.
Così diceva ai suoi ammiratori, e a se stesso, invece: “ Se l'Altissimo avesse dato ad un brigante tutti
questi doni così grandi, o Francesco, lui sarebbe più riconoscente di te ”.
Diceva spesso ai frati: “ Nessuno deve illudere se stesso, autoesaltandosi ingiustamente, per cose che
può fare anche un peccatore. Difatti un peccatore può digiunare, pregare, piangere e macerare la propria
carne. Questo solo non può fare: essere fedele al suo Signore. Dunque noi dobbiamo gloriarci solo in questo
caso: se rendiamo a Dio la gloria che è sua; se lo serviamo con fedeltà; se ascriviamo a Lui, tutto quello di cui
ci fa dono ”.
1106 4. Questo mercante evangelico, allo scopo di fare guadagni in molti modi e di organizzare tutto il tempo
della vita in funzione del merito, preferì non comandare, ma obbedire.
Per tale motivo rinunciò all'ufficio di ministro generale, e chiese un guardiano, alla cui volontà
sottostare in tutto.
Il frutto della santa obbedienza--affermava--è così abbondante, che nessuna frazione di tempo trascorre
'senza guadagno, per quanti sottomettono il collo al suo giogo. Per questa ragione aveva l'abitudine di
promettere sempre obbedienza al frate, col quale andava in viaggio, e di osservarla.
Disse una volta ai compagni: “ Tra le altre grazie che, per sua degnazione, la divina misericordia mi ha
concesso, vi è questa: che io sono disposto ad obbedire con uguale sollecitudine a uno che fosse novizio da
un'ora, qualora mi venisse dato per guardiano, e al frate più vecchio e più prudente. Il suddito -- aggiungeva -non deve vedere nel suo prelato un uomo, ma Colui per amore del quale accetta di obbedire. E quanto più è
spregevole chi comanda, tanto più piace l'umiltà di chi obbedisce ”.
1107 Quando una volta gli domandarono: chi deve essere ritenuto un vero frate minore?, egli portò l'esempio
del cadavere.
“ Prendi un corpo morto--disse--e mettilo dove ti pare e piace. E vedrai che, se lo muovi, non si oppone;
se lo lasci cadere, non protesta. Se lo metti in cattedra, non guarderà in alto, ma in basso. Se gli metti un
vestito di porpora, sembrerà doppiamente pallido. Questo è il vero obbediente: chi non giudica il perché lo
spostano; non si cura del luogo a cui vien destinato; non insiste per essere trasferito; eletto ad un ufficio,
mantiene la solita umiltà; quanto più viene onorato, tanto più si ritiene indegno ”.
1108 5. Disse una volta al suo compagno: “ Non mi sembrerà di essere frate minore, se non sarò nello stato che
ora sto per descriverti. Ecco: io sono superiore dei frati e vado al capitolo; predico ed ammonisco i frati--e alla
fine loro si mettono a dire contro di me: " Non sei adatto per noi: non sei istruito, non sai parlare, sei idiota e
semplice ! " . Alla fine vengo scacciato ignominiosamente, tra le ingiurie di tutti. Ti dico: se non ascolterò tutto
questo con la stessa faccia, con la stessa allegrezza di spirito e con lo stesso proposito di santità, non sono per
niente un frate minore ”.
1109 E aggiungeva: “ Nella prelatura, la caduta; nella lode, 1109 il precipizio; nell'umile stato di suddito, il
guadagno per l'anima Come mai, allora, siamo più portati al pericolo che al guadagno, dal momento che il
tempo della vita ci è stato concesso per guadagnare? ”.
Proprio per questo motivo Francesco, modello di umiltà, volle che i suoi frati si chiamassero Minori e che
i prelati del suo Ordine avessero il nome di ministri. In questo modo egli si serviva delle parole contenute nel
Vangelo, che aveva promesso di osservare, mentre i suoi discepoli, dal loro stesso nome, apprendevano che
erano venuti alla scuola di Cristo umile, per imparare l'umiltà.
Difatti Cristo Gesù, il maestro dell'umiltà, allo scopo di formare i discepoli all'umiltà perfetta, disse:
Chiunque tra voi vorrà essere il maggiore, sia vostro ministro, e chiunque, tra voi, vorrà essere il primo, sarà
vostro servo.
1110 Il vescovo di Ostia, -- primo protettore e promotore dell'Ordine dei frati minori, che in seguito, secondo la
predizione del Santo, fu elevato all'onore del sommo pontificato, col nome di Gregorio IX -- chiese un giorno a
Francesco se gradiva che i suoi frati accedessero alle dignità ecclesiastiche. Il Santo rispose: “ Signore, i miei
frati sono stati chiamati minori proprio per questa ragione: che non presumano di diventare maggiori. Se volete
che facciano frutto nella Chiesa di Dio, teneteli e conservateli nello stato della loro vocazione e non
permettete assolutamente che ascendano alle prelature ecclesiastiche”.
1111 6. Francesco, tanto in se stesso quanto negli altri, preferiva l'umiltà a tutti gli onori e perciò quel Dio, che
ama gli umili, lo giudicava degno della gloria più eccelsa, come mostrò la visione avuta da un frate assai
virtuoso e devoto.
Questo frate, compagno di viaggio dell'uomo di Dio, pregando una volta con lui in una chiesa
abbandonata, venne rapito in estasi.
Vide nel cielo molti seggi e, tra essi, uno più splendido e glorioso di tutti gli altri, costellato di pietre
preziose. Ammirando lo splendore di quel trono così eminente, cominciò a chiedersi ansiosamente chi mai
fosse destinato ad occuparlo. In mezzo a questi pensieri, udì una voce che gli diceva: “ Questo seggio
apparteneva a uno degli angeli ribelli ed ora è riservato per l'umile Francesco ”. Ritornato finalmente in sé,
dopo quella preghiera estatica, il frate seguì il Santo che stava uscendo dalla chiesa.
Ripresero il cammino, parlandosi a vicenda di Dio secondo la loro abitudine. e allora quel frate, che
aveva la visione ben impressa nella mente, colse abilmente l'occasione per chiedere a Francesco che opinione
aveva di se stesso .
E l'umile servo di Cristo gli disse: “ Mi sembra di essere il più gran peccatore ”. Il frate gli replicò che, in
tutta coscienza, non poteva né pensare né dire una cosa simile. Ma il Santo spiegò: “ Se Cristo avesse trattato
il più scellerato degli uomini con la stessa misericordia e bontà con cui ha trattato me, sono sicuro che quello
sarebbe molto più riconoscente di me a Dio ”.
Ascoltando questi umili parole, il frate ebbe la conferma che la sua visione era veritiera, ben sapendo
che, secondo la testimonianza del santo Vangelo, il vero umile verrà innalzato a quella gloria eccelsa, da cui il
superbo viene respinto.
1112 7. Un'altra volta, mentre pregava in una chiesa deserta della provincia di Massa, presso Monte Casale,
un'ispirazione gli rivelò che in quella chiesa erano rimaste delle sacre reliquie.
Vide, non senza dolore, che esse ormai da lungo tempo erano rimaste prive dell'onore loro dovuto e
comandò ai frati di portarle al loro luogo con devozione.
Ma, siccome egli si era allontanato per urgente motivo, i figli dimenticarono l'incarico avuto dal Padre, e
persero il merito dell'obbedienza. Un giorno, però, volendo celebrare i sacri misteri, appena tolgono il
copritovaglia dell'altare, trovano delle ossa bellissime e stupendamente profumate: pieni di stupore, si vedono
sotto gli occhi, portate dalla mano di Dio, le reliquie che gli uomini avevano dimenticato di trasferire.
Tornato dopo qualche tempo, I'uomo a Dio devoto, si informò premurosamente se avevano adempiuto
quanto egli aveva comandato a proposito delle reliquie. I frati confessarono umilmente di avere, per loro
colpa, trascurato l'obbedienza e si ebbero, insieme, la pena e il perdono. E il Santo disse: “ Benedetto il
Signore, mio Dio, che ha voluto fare lui direttamente, quanto dovevate fare voi ”.
Considera attentamente la premura che ha la Provvidenza per il nostro corpo di polvere e valuta a fondo
quanto fosse eccellente la virtù dell'umile Francesco, agli occhi di Dio, il quale si inchinò ai suoi desideri,
allorché l'uomo non aveva obbedito ai suoi comandi.
1113 8. Una volta, giunto ad Imola, si presentò al vescovo della città e chiese umilmente il permesso di
convocare, col suo beneplacito, il popolo per la predica.
Il vescovo gli rispose duramente: “ Frate, basto io per predicare al mio popolo ”.
Chinò il capo, il vero umile, ed uscì. Ma di lì a poco, eccolo di nuovo. Il vescovo, piuttosto adirato, gli
domanda che cosa vuole ancora. Umile nella voce come nel cuore, egli risponde: “ Signore, se un padre caccia
il figlio da una porta, il figlio non può che rientrare dall'altra ”.
Vinto dall'umiltà, il vescovo lo abbracciò e, con volto lieto, gli disse: “ Per l'avvenire tu e tutti i tuoi frati
avete il mio generale permesso di predicare nella mia diocesi: la santa umiltà ve lo ha meritato ”.
1114 9. Gli capitò una volta di giungere vicino ad Arezzo, mentre l'intera città era sconvolta dalla guerra
intestina e minacciava di distruggersi in breve tempo da se stessa. Dal sobborgo, dove era alloggiato come
ospite, vide sopra la città una ridda di demoni che infiammavano i cittadini, già eccitati, alla reciproca strage.
A scacciare quegli spiriti delI'aria, fomentatori della sedizione, inviò frate Silvestro, uomo semplice come una
colomba, ingiungendogli: “ Vai davanti alla porta della città e, da parte di Dio onnipotente, comanda ai
demoni, in virtù di obbedienza, di andarsene in fretta ”.
Corre, quel vero obbediente, a compiere i comandi del Padre, innalzando inni di lode alla presenza di
Dio, e, giunto davanti alla porta della città, incomincia a gridare gagliardamente: “ Da parte di Dio
onnipotente e per comando del suo servo Francesco, andatevene via, lontano da qui, o demoni tutti quanti! ”.
Immediatamente la città torna in pace e tutti i cittadini, in perfetta tranquillità, si adoperano a
ripristinare fra loro i diritti della convivenza civile.
Così, scacciata la furibonda superbia dei demoni, che aveva assediato la città, circondandola di trincee,
la sapienza del povero, cioè l'umiltà di Francesco, con il suo solo apparire, le restituì la pace e la salvò.
Infatti con l'ardua virtù dell'umile obbedienza Francesco aveva conseguito, sopra quegli spiriti ribelli e
protervi, tale autorità e potere da permettergli di sgominare la loro ferocia e di mettere in fuga la loro
dannosa violenza.
1115 10. I demoni superbi fuggono davanti alla eccelsa virtù degli umili, salvo in qualche caso in cui la divina
clemenza permette che gli umili vengano schiaffeggiati, proprio per mantenerli in umiltà, come Paolo apostolo
scrive di se stesso e come Francesco ha provato per esperienza diretta .
Il signor cardinale Leone di Santa Croce lo pregò con insistenza perché dimorasse per qualche tempo nel
suo palazzo a Roma. Il Santo, per venerazione ed amore verso di lui, accettò umilmente.
Ma la prima notte, quando voleva riposare dopo l'orazione, i demoni lo aggredirono con un terribile
assalto, percuotendolo a lungo, crudelmente, e lasciandolo, alla fine, mezzo morto.
Quando se ne furono andati, l'uomo di Dio chiamò il compagno e gli narrò l'accaduto, aggiungendo: “
Fratello, i demoni non hanno alcun potere, se non nel limite predisposto per loro dalla Provvidenza. Perciò io
credo che mi hanno assalito così ferocemente, perché la mia permanenza nella curia dei magnati non fa una
impressione buona. I miei frati che dimorano in luoghi poverelli, sentendo che io me ne sto con i cardinali,
sospetteranno forse che mi sia invischiato nelle cose mondane, stando in mezzo agli onori e agli agi. Giudico,
pertanto, che sia meglio, per chi viene posto come esempio, stare lontano dalle curie e trascorrere con umiltà
la vita tra gli umili, in luoghi umili. Così egli sarà di conforto, vivendo nello loro stesse condizioni, per coloro
che vivono in penuria ”.
Vanno, dunque, al mattino e, con umili scuse, danno l'addio al cardinale.
1116 11. Il Santo aveva in orrore la superbia. origine di tutti i mali, e la disobbedienza, sua pessima figlia:
Accoglieva, però, di buon grado chi umilmente si pentiva.
Una volta gli fu presentato un frate, che aveva trasgredito i comandi dell'obbedienza, perché lo
correggesse con il magistero del castigo.
Ma l'uomo di Dio notò da segni evidenti che quel frate era sinceramente pentito e perciò si sentì incline
ad essere indulgente con lui, per amore della sua umiltà. Tuttavia, ad evitare che la facilità del perdono fosse
per gli altri incentivo a mancare, comandò di togliere al frate il cappuccio e di gettarlo tra le fiamme, perché
tutti potessero osservare quanta e quale vendetta esige la trasgressione contro l'obbedienza.
E dopo che il cappuccio era rimasto un bel pezzo nel fuoco, ordinò di levarlo dalle fiamme e di ridarlo al
frate, umile e pentito.
Meraviglia: il cappuccio non aveva alcun segno di bruciatura !
Cosi avvenne che con questo solo miracolo Dio esaltò la potenza del Santo e l'umiltà del frate pentito.
Quanto è degna di essere imitata l'umiltà di Francesco, che anche sulla terra gli procurò una dignità così
grande da piegare Dio ai suoi desideri, da trasformare completamente il cuore dell'uomo, da scacciare con un
solo comando la protervia dei demoni e da frenare con un solo cenno la voracità delle fiamme.
CAPITOLO VII
AMORE PER LA POVERTA'.
MIRABILI INTERVENTI NEI CASI Dl NECESSITA'
1117 1. Tra gli altri doni e carismi che il generoso Datore concesse a Francesco, vi fu un privilegio singolare:
quello di crescere nelle ricchezze della semplicità attraverso l'amore per l'altissima povertà.
Il Santo, notando come la povertà, che era stata intima amica del Figlio di Dio, ormai veniva ripudiata
da quasi tutto il mondo, volle farla sua sposa, amandola di eterno amore, e per lei non soltanto lasciò il padre
e la madre, ma generosamente distribuì tutto quanto poteva avere.
Nessuno fu così avido d'oro, quanto Francesco della povertà; nessuno fu più bramoso di tesori, quanto
Francesco di questa perla evangelica.
Niente offendeva il suo occhio più di questo: vedere nei frati qualche cosa che non fosse del tutto in
armonia con la povertà .
Quanto a lui, dall'inizio della sua vita religiosa fino alla morte, ebbe queste ricchezze: una tonaca, una
cordicella e le mutande; e di questo fu contento.
1118 Spesso richiamava alla mente, piangendo, la povertà di Gesù Cristo e della Madre sua, e affermava che
questa è la regina delle virtù, perché la si vede brillare così fulgidamente, più di tutte le altre, nel Re dei Re e
nella Regina sua Madre.
Anche quando i frati, in Capitolo, gli domandarono qual è la virtù che, più delle altre, rende amici di
Cristo, rispose, quasi aprendo il segreto del suo cuore: “ Sappiate, fratelli, che la povertà è una via
straordinaria di salvezza, giacché è alimento dell'umiltà, radice della perfezione. Molteplici sono i suoi frutti,
benché nascosti. Difatti essa è il tesoro nascosto nel campo del Vangelo: per comprarlo, si deve vendere tutto
e, in confronto ad esso, si deve disprezzare tutto quello che non si può vendere ”.
1119 2. “ Chi brama raggiungere il vertice della povertà --disse--deve rinunciare non solo alla prudenza
mondana, ma anche, in certo qual modo, al privilegio dell'istruzione, affinché, espropriato di questo possesso,
possa entrare nella potenza del Signore e offrirsi, nudo, nelle braccia del Crocifisso. In nessun modo, infatti,
rinuncia perfettamente al mondo colui che conserva nell'intimo del cuore lo scrigno dell'amor proprio ”.
1120 Spesso, poi, discorrendo della povertà, applicava ai frati quell'espressione del Vangelo: Le volpi hanno le
tane e gli uccelli del cielo hanno il nido; ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo.
Per questo motivo ammaestrava i frati a costruirsi casupole poverelle, alla maniera dei poveri, ad
abitare in esse non come in casa propria, ma come in case altrui, da pellegrini e forestieri.
Diceva che il codice dei pellegrini è questo: raccogliersi sotto il tetto altrui, sentir sete della patria,
passar via in pace.
Dava ordine, talvolta, ai frati di demolire le case che avevano costruite o di lasciarle, quando notava in
esse qualcosa che, o quanto alla proprietà o quanto al lusso, urtava contro la povertà evangelica.
Diceva che la povertà è il fondamento del suo Ordine la base principale su cui poggia tutto l'edificio
della sua Religione, in modo tale che, se essa è solida, tutto l'Ordine è solido; se essa si sfalda, tutto l'Ordine
crolla.
1121 3. Insegnava, avendolo appreso per rivelazione, che il primo passo nella santa religione consiste nel
realizzare quella parola del Vangelo: Se vuoi essere perfetto, va, vendi tutto quello che hai e dàllo ai poveri.
Perciò ammetteva all'Ordine solo chi aveva rinunciato alla proprietà e non aveva tenuto assolutamente
nulla per sé. Così faceva, in omaggio alla parola del Vangelo, ma anche per evitare lo scandalo delle borse
private.
1122 Un tale della Marca Anconitana gli chiese di accettarlo nell'Ordine e il vero patriarca dei poveri gli
rispose: “ Se vuoi unirti ai poveri di Cristo, distribuisci le cose tue ai poveri del mondo ”.
Ciò udito, quello se ne andò e, guidato dall'amor carnale, donò i suoi beni ai suoi parenti, e niente ai
poveri.
Quando il Santo sentì da lui quel che aveva fatto, lo trafisse con questo duro rimprovero: “ Va per la tua
strada, frate mosca, perché non sei ancora uscito dalla tua casa e dalla tua parentela. Hai dato le cose tue ai
tuoi consanguinei e hai defraudato i poveri: non sei degno di appartenere ai poveri di elezione. Hai
incominciato dalla carne; hai messo al tuo edificio spirituale un fondamento rovinoso ”.
Quell'uomo animale ritornò dai suoi, reclamò le cose sue e non volendo lasciarle ai poveri, abbandonò ben
presto il proposito di darsi alla virtù.
1123 4. Nel luogo di Santa Maria della Porziuncola regnava tale penuria che non si poteva provvedere
adeguatamente alle necessità dei frati ospiti di passaggio. Perciò il suo vicario, una volta si presentò all'uomo
di Dio e gli espose l'indigenza dei frati, chiedendo il permesso di metter da parte un po' di beni dei novizi, che
venivano all'Ordine, per servirsene a tempo opportuno. Ma il Santo, che aveva in mente bene il consiglio del
Vangelo, gli rispose: “ Non sia mai, fratello carissimo, che noi agiamo empiamente contro la Regola, a favore di
chicchessia. Preferisco che tu spogli l'altare della Vergine gloriosa, quando la necessità lo richieda, piuttosto
che vederti compiere anche il più piccolo attentato contro il voto di povertà e contro l'osservanza del Vangelo.
Perché la beata Vergine avrà più caro vedere che noi lasciamo spoglio il suo altare, per osservare
perfettamente il consiglio del santo Vangelo, anzi che vedere che lasciamo ben ornato il suo altare, ma
trascuriamo il consiglio del Figlio suo ”.
1124 5. Una volta l'uomo di Dio era in viaggio con il compagno nella terra di Puglia. Vicino a Bari trovarono
sulla strada una grande borsa, di quelle che chiamano fonda.
Il compagno, vedendo che sembrava gonfia e piena di denaro, la fa notare al servo di Cristo, e insiste
perché la si raccolga e si prenda il denaro, per distribuirlo ai poveri.
Rifiuta, I'uomo di Dio, affermando che quella borsa è un trucco del diavolo e che il frate lo vuole
spingere a fare un'azione nient'affatto meritoria, ma peccaminosa, cioè a dare in elemosina il denaro altrui,
dopo averlo sottratto di nascosto .
Si allontanano dal luogo, si affrettano a riprendere il cammino. Ma il frate, ingannato dalle sue
fantasticherie di carità, non è ancora tranquillo, non desiste dal molestare l'uomo di Dio, accusandolo di
insensibilità per i poveri. Sicché, alla fine, il mite santo accondiscende a ritornare sul posto, non per fare
quello che voleva il frate, ma per svelare l'inganno del diavolo.
Ritorna, in compagnia del frate e di un giovane, incontrato sulla strada, vicino alla fonda e comanda di
raccoglierla da terra.
Il frate comincia, con suo stupore, a tremare, perché già presente il prodigio diabolico. Tuttavia scaccia
l'esitazione, facendosi forte col comando della santa obbedienza, e stende la mano verso la borsa.
Ed ecco: salta fuori un grosso serpente, che subito scompare insieme con la borsa.
Così fu svelato l'inganno del demonio e scoperta l'astuzia fraudolenta del nemico.
“ Il denaro--disse allora il Santo al suo compagno-- per i servi di Dio, non è altro, o fratello, che demonio
e serpente velenoso ”.
1125 6. Più tardi, accadde al Santo un fatto meraviglioso. Mentre, per urgente motivo, si stava recando a
Siena, tre donne poverelle, perfettamente simili di statura, età e volto, gli vennero incontro, in una grande
pianura fra Campiglia e San Quirico, porgendogli come grazioso regalo questo saluto non mai sentito: “ Ben
venga Madonna Povertà ”.
Udendolo, quel vero amante della povertà, si sentì ricolmo di gioia indicibile; nessun saluto poteva
essere più caro al suo cuore quanto quello che esse avevano scelto.
Le tre donne, dopo il saluto, immediatamente scomparvero. I compagni, considerando quella
rassomiglianza, quel saluto, quell'incontro e quella scomparsa cosi mirabili e fuori dall'ordinario, ritennero con
buona ragione che avessero un significato simbolico riguardante il Santo. Così, il fatto che quelle tre donne
poverelle erano tanto somiglianti nel volto indicava con sufficiente evidenza come l'uomo di Dio possedeva la
perfezione evangelica in tutta la sua luce e la sua bellezza, perché praticava con ugual perfezione le tre virtù
dell'obbedienza, della povertà e della castità.
D'altra parte, quel saluto così insolito e il fatto che le tre donne, dopo il saluto, erano subito scomparse
stava ad indicare che il Santo aveva messo tutta la sua gloria nel privilegio della povertà, sua madre, sua
sposa, sua signora, come egli stesso di volta in volta la chiamava.
1126 Nella povertà, Francesco bramava di superare tutti gli altri, lui che proprio dalla povertà aveva imparato
a reputarsi inferiore a tutti.
Se gli capitava di scorgere qualcuno più povero di lui, almeno all'apparenza, subito si rimproverava e si
incitava ad essere anche lui così, quasi avesse paura di essere vinto dall'altro nell'amorosa gara della povertà.
Gli accadde, durante un viaggio, d'incontrare un poverello. Scorgendone la nudità, ne fu rattristato nel
cuore e disse al compagno con voce di lamento: “ La miseria di costui ci ha procurato grande vergogna; perché
noi, come nostra unica ricchezza, abbiamo scelto la povertà: ed ecco che essa risplende più luminosa in lui che
in noi ”.
1127 7. Per amore della santa povertà, il servo di Dio onnipotente usava molto più volentieri delle elemosine
cercate di porta in porta che non di quelle offerte spontaneamente.
Quando, invitato da grandi personaggi, doveva accettare l'onore di assidersi a mense sontuose, andava,
prima, a chiedere dei pezzi di pane nelle case dei vicini e poi, così arricchito di miseria, si metteva a tavola.
Così fece una volta che era stato invitato dal cardinale di Ostia, straordinariamente affezionato al
povero di Cristo. Perciò il cardinale si lamentò con lui, facendogli osservare che, andando a cercar l'elemosina,
mentre stava per essere ospitato alla sua mensa, aveva offeso la sua dignità. Ma il servo di Dio gli rispose: “ O
Signore mio, io ho fatto grande onore a voi coll'onorare un Signore più grande. Difatti il Signore si compiace
della povertà e soprattutto di quella che consiste nel farsi medicanti volontari per Cristo. E io, questa dignità
regale che il Signore Gesù ha assunto per noi, facendosi povero per arricchirci della sua miseria e costituire
eredi e re del regno dei cieli i veri poveri di spirito, non voglio scambiarla col feudo delle false ricchezze, a voi
concesse per un momento”.
1128 8. Talora, esortando i frati a cercare l'elemosina, usava argomenti di questo genere: “ Andate, perché in
questi ultimissimi tempi i frati minori sono stati dati in prestito al mondo, per dar modo agli eletti di compiere
in loro le opere con cui meritarsi l'elogio del sommo Giudice e quella dolcissima assicurazione: Ogni volta che
lo avete fatto a uno di questi miei frati più piccoli, lo avete fatto a me ”.
“ Perciò, concludeva, è bello andare a mendicare sotto il titolo di frati minori, titolo che il Maestro della
verità ha indicato nel Vangelo con tanta precisione, come motivo dl eterna ricompensa per i giusti ”.
1129 Anche nelle feste principali, quando ve n'era l'opportunità, era solito andare per l'elemosina. Perché,
diceva, nei poveri di Dio si realizza la parola del profeta: L'uomo ha mangiato il pane degli Angeli. Il pane
degli Angeli è quello che la santa povertà raccoglie di porta in porta e che, domandato per amor di Dio, per
amor di Dio viene elargito per suggerimento degli Angeli santi.
9. Una volta, nel giorno santo di Pasqua, siccome si trovava in un romitorio molto lontano dall'abitato e
non c'era possibilità di andare a mendicare, memore di Colui che in quello stesso giorno apparve ai discepoli in
cammino verso Emmaus, in figura di pellegrino, chiese l'elemosina, come pellegrino e povero, ai suoi stessi
frati.
Come l'ebbe ricevuta, li ammaestrò con santi discorsi a celebrare continuamente la Pasqua del Signore,
cioè il passaggio da questo mondo al Padre, passando per il deserto del mondo in povertà di spirito, e come
pellegrini e forestieri e come veri Ebrei.
Poiché, nel chiedere le elemosine egli non era spinto dalla brama del guadagno, ma dalla libertà dello
Spirito, Dio, Padre dei poveri, mostrava per lui una speciale sollecitudine.
1130 10. Ecco quanto accadde una volta.
Il servo di Dio, che si era molto aggravato, dal luogo di Nocera veniva ricondotto ad Assisi, da una scorta
di ambasciatori, che il devoto popolo assisano aveva appositamente inviato.
Gli accompagnatori, col servo di Dio, giunsero in un villaggio poverello, chiamato Satriano. Siccome l'ora
e la fame facevano sentire il bisogno di cibo, andarono a cercarlo per il paese. Ma, non trovando niente da
comprare, tornarono a mani vuote.
Allora il Santo disse a quegli uomini: “ Se non avete trovato niente, è perché avete più fiducia nelle
vostre mosche che in Dio (col termine " mosche " egli indicava i denari). Ma tornate indietro nelle case da cui
siete passati e domandate umilmente l'elemosina, offrendo come pagamento l'amor di Dio. E non crediate che
questo sia un gesto vergognoso o umiliante: è un pensiero sbagliato, perché il Grande Elemosiniere, dopo il
peccato, ha messo tutti i beni a disposizione dei degni e degli indegni, con generosissima bontà ”.
I cavalieri mettono da parte il rossore, vanno spontaneamente a chiedere l'elemosina e riescono a
comprare con l'amor di Dio quello che non avevano ottenuto con i soldi.
Difatti quei poveri abitanti, commossi e ispirati da Dio, offrirono generosamente non solo le cose loro,
ma anche se stessi. E così avvenne che la povertà di Francesco sopperisse all'indigenza, che il denaro non aveva
potuto alleviare .
1131 11. Nel tempo in cui giaceva ammalato nel romitorio vicino a Rieti, veniva visitato spesso da un medico,
che gli faceva le cure opportune. Ma siccome il povero di Cristo non aveva la possibilità di ripagarlo con un
compenso proporzionato alla prestazione, Iddio generosissimo, per non lasciare senza ricompensa il medico e i
suoi pietosi servigi anche qui sulla terra, lo volle compensare Lui stesso, al posto del povero.
Lo fece con questo solo beneficio: Questo medico si era fatto costruire proprio allora una casa,
spendendovi tutti i suoi guadagni. Ma, a causa di una larga spaccatura, apertasi da cima a fondo, la casa
minacciava di cadere da un momento all'altro.
Non sembrava possibile impedire il crollo con i mezzi della tecnica umana; ma il medico, che aveva
piena fiducia nei meriti del Santo, con grande devozione e fede chiese ai frati di dargli qualche oggetto che
l'uomo di Dio aveva toccato con le sue proprie mani. Dopo molte e insistenti preghiere, poté avere dai
compagni del Santo una ciocca dei suoi capelli.
La sera mise la ciocca dentro la spaccatura. Alzandosi, al mattino trovò la crepa perfettamente saldata,
tanto che non si poteva né estrarre la reliquia, che ci aveva messo, né scorgere traccia alcuna di spaccatura.
In questo modo, colui che aveva curato con tanta premura il corpicciolo in rovina del servo di Dio,
meritò di scongiurare il pericolo di rovina per la propria casa.
1132 12. In un'altra circostanza, I'uomo di Dio aveva voluto trasferirsi in un certo romitorio, per dedicarsi più
liberamente alla contemplazione. Poiché era infermo, chiese ad un poveruomo che lo trasportasse sul suo
asinello.
Nel caldo dell'estate, I'uomo seguiva a piedi il servo di Dio, su per la montagna. Affaticato dal percorso
molto lungo e difficoltoso e stremato dalla sete, a un certo punto incominciò a gridare forte dietro al Santo: “
Muoio di sete! Se non trovo subito un po' d'acqua, muoio di sete! ”.
Senza indugio il servo di Dio saltò giù dall'asino, si inginocchiò per terra e, levando le mani al cielo,
continuò a pregare, finché sentì di essere stato esaudito.
Terminata finalmente la preghiera disse all'uomo: “ Va in fretta a quella pietra e là troverai l'acqua viva,
che in questo momento Cristo, nella sua misericordia, ha fatto sgorgare dal sasso per te ”.
Stupenda degnazione di Dio, che con tanta facilità si piega ai desideri dei suoi servi!
Bevve, I'uomo assetato, I'acqua scaturita dalla pietra per la miracolosa preghiera di Francesco, attinse la
bevanda dal sasso durissimo.
In quel luogo non c'era mai stato prima un filo d'acqua, ne mai lo si poté trovare, dopo, nonostante le
più accurate ricerche.
1133 13. Vedremo più innanzi, a suo luogo, in qual modo Cristo abbia moltiplicato le vivande, tra le onde del
mare, per i meriti del suo poverello. Per ora ricordiamo solo questo: con poco cibo a lui offerto in elemosina,
salvò per un lungo periodo i marinai dalla fame e dal pericolo di morte. Ciò basta per dimostrarci con chiarezza
che il servitore di Dio onnipotente fu simile a Mosé nel fare scaturire l'acqua dalla pietra, e ad Eliseo nel
moltiplicare le vivande.
Via, dunque, dai poveri di Cristo ogni ombra di sfiducia ! Se, infatti, la povertà di Francesco fu
un'amministratrice tanto generosa da venire incontro così efficacemente alle necessità di quanti offrivano a lui
il loro aiuto, quando già erano venute a mancare le risorse del denaro, dell'industria umana e della natura,
tanto più saprà procurare quei beni che la Provvidenza divina concede a tutti, nell'ordine normale delle cose.
Se, dico, I'arida pietra, alla voce del povero, somministrò acqua abbondante ad un poverello assetato, è
chiaro che, fra tutte le cose, nessuna ormai negherà i propri servigi a coloro che hanno lasciato tutte le cose,
per scegliere il Creatore di tutte le cose.
CAPITOLO VIII
IL SENTIMENTO DELLA PIETA''.
COME LE CREATURE PRIVE Dl RAGIONE
SEMBRAVANO AFFEZIONARSI A LUI
1134 1. La vera pietà, che, come dice l'Apostolo, è utile a tutto aveva riempito il cuore di Francesco,
compenetrandolo così intimamente da sembrare che dominasse totalmente la personalità di quell'uomo di Dio.
La pietà lo elevava a Dio per mezzo della devozione, lo trasformava in Cristo per mezzo della
compassione, lo faceva ripiegare verso il prossimo per mezzo della condiscendenza e, riconciliandolo con tutte
le creature, lo riportava allo stato di innocenza primitiva.
Per essa sentiva grandissima attrazione verso le creature, ma in modo particolare verso le anime,
redente dal sangue prezioso di Cristo Gesù; e, quando le vedeva inquinate dalle brutture del peccato, le
compiangeva con una commiserazione così tenera che ogni giorno, le partoriva, come una madre, in Cristo.
1135 E la ragione principale per cui venerava i ministri della parola di Dio era questa: che essi fanno rivivere la
discendenza del loro fratello morto, cioè fanno rivivere il figlio di Cristo, che è stato crocifisso per i peccatori,
quando li convertono, facendosi loro guida con pia sollecitudine e con sollecita pietà.
Affermava che questo ufficio della pietà è più gradito di ogni sacrificio al Padre delle misericordie,
soprattutto se viene adempiuto con zelo dettato da carità perfetta, per cui ci si affatica in esso più con
l'esempio che con la parola, più con le lacrime della preghiera che con la loquacità dei discorsi.
1136 2. E pertanto--diceva--è da compiangere, perché privo di pietà vera, sia il predicatore che, nella sua
predicazione, ricerca non la salvezza delle anime, ma la propria gloria; sia il predicatore che con la malvagità
della vita distrugge quanto ha edificato con la verità della dottrina .
Diceva che a costoro è preferibile uno semplice e privo di lingua, ma capace di spingere gli altri al bene
col suo buon esempio.
1137 Aveva un suo modo di spiegare l'espressione biblica: Anche la sterile ha partorito molti figli. “ La
sterile, diceva, è il frate poverello, che non ha nella Chiesa l'ufficio di generare figli. Costui, nel giorno del
giudizio, partorirà molti figli, nel senso che in quel giorno il Giudice ascriverà a sua gloria quelli che egli ora
converte con le sue preghiere nascoste. Colei che ha molti figli diventerà infeconda, nel senso che il
predicatore vanitoso e loquace, il quale ora si rallegra di avere molti figli, come se li avesse generato per
propria virtù, allora conoscerà che, in costoro, lui non ha niente di suo ”.
1138 3. Cercava la salvezza delle anime con pietà appassionata, con zelo e fervida gelosia e, perciò, diceva
che si sentiva riempire di profumi dolcissimi e, per così dire, cospargere di unguento prezioso, quando veniva a
sapere che i suoi frati sparsi per il mondo, col profumo soave della loro santità, inducevano molti a tornare
sulla retta via.
All'udire simili notizie, esultava nello spirito e ricolmava di invidiabilissime benedizioni quei frati che,
con la parola e con le opere, trascinavano i peccatori all'amore di Cristo.
1139 Per la stessa ragione, quelli che violavano la santa Religione con opere malvagie, incorrevano nella sua
condanna e nella sua tremenda maledizione: “ Da te, o Signore santissimo, e da tutta la celeste curia e da me
pure, tuo piccolino, siano maledetti coloro che, con il loro cattivo esempio, sconvolgono e distruggono quanto,
per mezzo dei santi frati di quest'Ordine, hai edificato e non cessi di edificare ”.
Spesso, pensando allo scandalo che veniva dato ai piccoli, provava una tristezza immensa, al punto da
ritenere che ne sarebbe morto di dolore, se la bontà divina non l'avesse sorretto con il suo conforto.
1140 Una volta, turbato per i cattivi esempi, con grande ansietà di spirito, pregava per i suoi figli il Padre
misericordioso; ma si ebbe dal Signore questa risposta: “ Perché ti turbi, tu, povero omuncolo? Forse che io ti
ho costituito pastore della mia Religione, senza farti sapere che il responsabile principale sono io? Ho scelto te,
uomo semplice, proprio per questo: perché le opere che io compirò siano attribuite non a capacità umane, ma
alla grazia celeste. Io ho chiamato, io conserverò e io pascerò e, al posto di quelli che si perdono, altri ne farò
crescere. E se non ne nasceranno, li farò nascere io; e per quanto gravi possono essere le procelle da cui
questa Religione poverella sarà sbattuta, essa, col mio sostegno sarà sempre salva ”.
1141 4. Il vizio della detrazione, nemico radicale della pietà e della grazia, lo aveva in orrore come il morso
del serpente e come la più dannosa pestilenza. Affermava che Dio pietosissimo l'ha in abominio, perché il
detrattore si pasce col sangue delle anime, dopo averle uccise con la spada della lingua.
Sentendo, una volta, un frate che denigrava un altro nella buona fama, si rivolse al suo vicario e gli
disse: “ Su, su, indaga ben bene e, se trovi che il frate accusato è innocente, infliggi al frate accusatore un
castigo durissimo, che lo faccia segnare a dito da tutti ”.
Qualche volta giudicava che si doveva spogliare dell'abito chi aveva spogliato il proprio fratello della sua
buona fama e non voleva che costui elevasse gli occhi a Dio, se prima non aveva procurato con ogni mezzo di
restituire quanto aveva sottratto.
“ La cattiveria dei detrattori--diceva--è tanto maggiore di quella dei ladri, quanto maggiore è la forza
con cui la legge di Cristo, che trova il suo compimento nell''' amore ci obbliga a bramare la salvezza delle
anime più di quella dei corpi ”.
1142 5. Si chinava, con meravigliosa tenerezza e compassione, verso chiunque fosse afflitto da qualche
sofferenza fisica e quando notava in qualcuno indigenza o necessità nella dolce pietà del cuore, la considerava
come una sofferenza di Cristo stesso.
Aveva innato il sentimento della clemenza, che, la pietà di Cristo, infusa dall'alto, moltiplicava.
Sentiva sciogliersi il cuore alla presenza dei poveri e dei malati, e quando non poteva offrire l'aiuto,
offriva il suo affetto.
Un giorno, un frate rispose piuttosto duramente ad un povero, che chiedeva l'elemosina in maniera
importuna Udendo ciò, il pietoso amatore dei poveri comandò al frate di prostrarsi nudo ai piedi del povero, di
dichiararsi colpevole, di chiedergli in carità che pregasse per lui e lo perdonasse.
Il frate così fece, e il Padre commentò con dolcezza: “ Fratello, quando vedi un povero, ti vien messo
davanti lo specchio del Signore e della sua Madre povera. Così pure negli infermi, sappi vedere le infermità di
cui Gesù si è rivestito ”.
In tutti i poveri, egli, a sua volta povero e cristianissimo, vedeva l'immagine di Cristo. Perciò, quando li
incontrava, dava loro generosamente tutto quanto avevano donato a lui, fosse pure il necessario per vivere;
anzi era convinto che doveva restituirlo a loro, come se fosse loro proprietà .
1143 Una volta, mentre ritornava da Siena, incontrò un povero. Si dava il caso che Francesco, a causa della
malattia, avesse indosso sopra l'abito un mantello. Mirando con occhi misericordiosi la miseria di quell'uomo,
disse al compagno: “ Bisogna che restituiamo il mantello a questo povero: perché è suo. Difatti noi lo abbiamo
ricevuto in prestito, fino a quando ci sarebbe capitato di trovare qualcuno più povero di noi ”.
Il compagno, però, considerando lo stato in cui il padre pietoso si trovava, oppose un netto rifiuto: egli
non aveva il diritto di dimenticare se stesso, per provvedere all'altro. Ma il Santo: “ Ritengo che il Grande
Elemosiniere mi accuserà di furto, se non darò quel che porto indosso a chi è più bisognoso ”.
1144 Qualunque cosa gli dessero per alleviare le necessità del corpo, chiedeva sempre ai donatori il permesso
di poterla dar via lecitamente, se incontrava uno più bisognoso di lui.
Insomma non la perdonava proprio a nulla: mantelli, tonache, libri e perfino i paramenti dell'altare,
tutto elargiva agli indigenti, appena lo poteva, per adempiere ai compiti della pietà.
Spesso, quando per la strada incontrava qualche povero con un carico sulle spalle, glielo toglieva e lo
portava sulle sue spalle vacillanti.
1145 6. Considerando che tutte le cose hanno un'origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e
chiamava le creature per quanto piccole col nome di fratello o sorella: sapeva bene che tutte provenivano,
come lui, da un unico Principio.
Tuttavia abbracciava con maggior effusione e dolcezza quelle che portano in sé una somiglianza naturale
con la pietosa mansuetudine di Cristo o che la raffigurano secondo il significato loro attribuito dalla Scrittura.
Spesso riscattò gli agnelli che venivano condotti al macello, in memoria di quell'Agnello mitissimo, che
volle essere condotto alla morte per redimere i peccatori.
1146 Una notte, mentre il servo di Dio era ospite presso il monastero di San Verecondo, nella diocesi di Gubbio,
una pecorella partorì un agnellino. C'era là una scrofa ferocissima, che, con un morso rabbioso, uccise la
creaturina innocente.
Udito il fatto, il padre pietoso fu preso da profondissima compassione e, pensando all'Agnello senza
macchia, si lamentava davanti a tutti per la morte dell'agnellino.
“ Ohimè, fratello agnellino, -- diceva -- animale innocente, che rappresenti Cristo agli uomini,
maledetta sia quell'empia che ti ha ucciso. E nessuno, uomo o bestia, possa mangiare la sua carne! ”.
Cosa meravigliosa: la porca malefica immediatamente si ammalò e, dopo avere scontato con tre giorni
di sofferenza la sua colpa, subì finalmente l'esecuzione vendicatrice .
Fu gettata nel fossato del monastero e là rimase per molto tempo, divenendo secca come un'asse.
Nessun animale, per quanto affamato, si cibò della sua carne. Riflettano, a questo punto, le persone crudeli:
con quali pene esse saranno colpite alla fine, se è stata colpita con una morte così orrenda la ferocia di una
bestia? I fedeli devoti, a loro volta, sappiano valutare quanto potente e ammirevole, quanto dolce e generosa
fosse la pietà del servo di Dio, se anche i bruti, a loro modo, le rendevano omaggio.
1147 7. Un giorno, trovandosi in cammino nei pressi di Siena, incontrò un grande gregge di pecore al pascolo.
Secondo il suo solito, le salutò benevolmente, e quelle, smettendo di brucare, corsero tutte insieme da lui,
sollevando il muso e fissandolo con gli occhi alzati. Gli fecero tanta festa che i frati e i pastori ne rimasero
stupefatti, vedendo gli agnelli e perfino gli arieti saltellargli intorno in modo così meraviglioso.
1148 In un'altra circostanza, a Santa Maria della Porziuncola, portarono in dono all'uomo di Dio, una pecora,
che egli accettò con gratitudine, perché amava l'innocenza e la semplicità che, per sua natura, la pecora
dimostra. L'uomo di Dio ammoniva la pecorella a lodare Dio e a non infastidire assolutamente i {rati. La
pecora, a sua volta, quasi sentisse la pietà dell'uomo di Dio, metteva in pratica i suoi ammaestramenti con
grande cura. Quando sentiva i frati cantare in coro, entrava anche lei in chiesa e, senza bisogno di maestro,
piegava le ginocchia, emettendo teneri belati davanti all'altare della Vergine, Madre dell'Agnello, come se
fosse impaziente di salutarla.
Durante la celebrazione della Messa, al momento delI'elevazione, si curvava con le ginocchia piegate,
quasi volesse, quell'animale devoto, rimproverare agli uomini poco devoti la loro irriverenza e volesse incitare
i devoti alla reverenza verso il Sacramento.
1149 Durante il suo soggiorno a Roma, il Santo aveva tenuto con sé un agnellino, mosso dalla sua devozione a
Cristo, amatissimo agnello. Nel partire, lo affidò a una nobile matrona, madonna Jacopa dei Sette Soli, perché
lo custodisse in casa sua. E l'agnello, quasi ammaestrato dal Santo nelle cose dello spirito, non si staccava mai
dalla compagnia della signora, quando andava in chiesa, quando vi restava o ne ritornava.
Al mattino, se la signora tardava ad alzarsi, I'agnello saltava su e la colpiva con i suoi cornetti, la
svegliava con i suoi belati, esortandola con gesti e cenni ad affrettarsi alla chiesa.
Per questo la signora teneva con ammirazione e amore quell'agnello, discepolo di Francesco e ormai diventato
maestro di devozione.
1150 8. Un'altra volta, a Greccio, offrirono all'uomo di Dio un leprotto vivo. Fu lasciato libero, in terra, perché
scappasse dove voleva. Ma quello, sentendosi chiamare dal padre buono, gli corse vicino e gli saltò in grembo.
Il Santo, colmandolo di carezze, lo compassionava, come una madre mostrandogli il suo affetto e la sua pietà.
Finalmente lo ammonì con dolcezza a non lasciarsi prendere un'altra volta e gli diede il permesso di
andarsene liberamente. Ma, benché lo avesse messo più volte in terra, perché partisse, il leprotto ritornava
sempre in grembo al Padre, come se con un senso nascosto percepisse la pietà del suo cuore.
Alla fine, il Padre lo fece portare in un luogo solitario e sicuro.
1151 Un fatto simile avvenne nell'isola del lago di Perugia. Era stato catturato e donato all'uomo di Dio un
coniglio. Mentre era fuggito da tutti gli altri, il coniglio si affidò con familiarità e sicurezza nelle mani del Santo
e andò a posarsi sul suo grembo.
1152 Mentre faceva la traversata del lago di Rieti, per raggiungere l'eremo di Greccio, un pescatore, per
devozione, gli offrì un uccello acquatico. Egli lo prese volentieri e tenendolo sulle mani spalancate, lo invitò a
partire. Ma, siccome l'uccello non voleva andarsene, il Santo, levando gli occhi al cielo, si immerse in una lunga
preghiera.
Dopo molto tempo, ritornando in se stesso, come da un altro mondo, ripetutamente con dolcezza
comandò all'uccelletto che se ne andasse, a lode di Dio. E quello, allora, ricevuto il permesso e la benedizione,
esprimendo con i movimenti del corpo la sua gioia, volò via.
1153 Sempre mentre attraversava quel lago, gli fu offerto un grosso pesce, ancora vivo: chiamandolo, secondo
la sua abitudine, col nome di fratello, lo rimise in acqua, accanto alla barca. Ma il pesce si mise a giocare
nell'acqua, davanti all'uomo di Dio, e, quasi adescato dal suo amore, per nessuna ragione si allontanò dalla
barca, prima di averne ricevuto il permesso e la benedizione.
1154 9. In un'altra circostanza, mentre attraversava con un altro frate le paludi di Venezia, trovò una
grandissima moltitudine di uccelli, che se ne stavano sui rami a cantare.
Come li vide, disse al compagno: “ I fratelli uccelli stanno lodando il loro Creatore; perciò andiamo in
mezzo a loro a recitare insieme le lodi del Signore e le ore canoniche”.
Andarono in mezzo a loro e gli
uccelli non si mossero. Poi, siccome per il gran garrire, non potevano sentirsi l'un l'altro nel recitare le ore, il
Santo si rivolse agli uccelli e disse: “ Fratelli uccelli, smettete di cantare, fino a quando avremo finito di
recitare le lodi prescritte ”.
Quelli tacquero immediatamente e se ne stettero zitti, fin al momento in cui, recitate a bell'agio le ore
e terminate debitamente le lodi, il Santo diede la licenza di cantare.
Appena l'uomo di Dio ebbe accordato il permesso, ripresero a cantare, secondo il loro costume.
1155 A Santa Maria della Porziuncola, c'era una cicala, sopra un fico, vicino alla cella dell'uomo di Dio, e
continuava a cantare, e lo stimolava col suo canto a lodare il Signore, giacché egli aveva imparato ad ammirare
la magnificenza del Creatore anche nelle piccole cose. Un giorno il servo del Signore chiamò la cicala che,
quasi istruita dal cielo, volò sopra la sua mano, e le disse: “ Canta, sorella mia cicala, e loda col tuo giubilo
Iddio creatore ”.
Essa, obbedendo senza indugio, incominciò a cantare e non smise, finché, per ordine del Padre, volò di
nuovo al suo posto.
Rimase là per otto giorni, e ogni giorno, obbedendo ai suoi ordini, andava da lui, cantava e ripartiva.
Alla fine l'uomo di Dio disse ai compagni: “ Licenziamo ormai la nostra sorella cicala, perché, in questi
otto giorni, ci ha stimolato abbastanza a lodare Dio e ci ha rallegrato abbastanza con il suo canto ”.
E subito, avuto da lui il permesso, la cicala si ritirò e non comparve più in quel luogo, come se non
osasse assolutamente trasgredire l'ordine ricevuto.
1156 10. Quando era a Siena, ammalato, un nobiluomo gli fece portare un fagiano vivo, che aveva preso allora.
Appena ebbe visto e udito l'uomo santo, il fagiano si sentì legato a lui con amicizia così profonda, che
non riusciva in nessuna maniera a vivere da lui separato. Lo portarono ripetutamente nella vigna, fuori del
luoghicciolo dei frati, perché se ne andasse a suo piacimento; ma sempre, con rapido volo tornava dal Padre,
come se da sempre fosse stato allevato da lui personalmente.
In seguito, lo regalarono ad un uomo che aveva l'abitudine di visitare per devozione il servo di Dio. Ma il
fagiano, addolorato per la lontananza dal padre pietoso, si rifiutava assolutamente di mangiare. Dovettero,
perciò, riportarlo dal servo di Dio: appena lo scorse, il fagiano, esibendosi in manifestazioni di allegria, si mise
subito a mangiare avidamente.
1157 Quando il padre pietoso arrivò all'eremo della Verna, per celebrarvi la quaresima in onore dell'arcangelo
Michele, uccelli di varia specie incominciarono a tesser voli intorno alla sua celluzza, con sonori concenti e
gesti di letizia, quasi volessero mostrare la loro gioia per il suo arrivo e invitarlo e lusingarlo a rimanere.
A questo spettacolo, il Santo disse al compagno: “ Vedo, fratello, che è volere di Dio che noi ci
tratteniamo un po' di tempo qui: tanto i nostri fratelli uccelletti sono contenti per la nostra presenza ”.
1158 Durante il suo soggiorno lassù, un falco, che proprio lì aveva il suo nido, gli si legò con patto di intensa
amicizia Durante la notte, anticipava sempre col suono del suo canto, l'ora in cui il Santo aveva l'abitudine di
alzarsi per l'ufficio divino.
Ciò riusciva assai gradito al servo di Dio, perché quel gran darsi da fare del falco là intorno, scacciava da
lui ogni torpore ed ogni pigrizia.
Quando, però, il servo di Cristo sentiva più del solito il peso della malattia, il falcone lo risparmiava e
non suonava la sveglia così a puntino: quasi ammaestrato da Dio, faceva squillare la campanella della sua voce
solo sul far dell'alba.
Sembra proprio che l'esultanza esibita dagli uccelli di così varia specie e il canto del falcone fossero un
presagio divino. Difatti proprio in quel luogo e in quel tempo il cantore e adoratore di Dio, librandosi sulle ali
della contemplazione, avrebbe raggiunto le altezze supreme della contemplazione per l'apparizione del
Serafino.
1159 11. Gli abitanti di Greccio, quando egli dimorava in quell'eremo, venivano vessati da molteplici malanni:
branchi di lupi rapaci divoravano non soltanto gli animali, ma anche delle persone; la grandine regolarmente
ogni anno devastava campi e vigne.
A quella gente così sfortunata l'araldo del santo Vangelo disse, perciò, durante una predica: “ A onore
lode di Dio onnipotente, mi faccio garante davanti a voi che tutti questi flagelli scompariranno, se mi
presterete fede e se avrete compassione di voi stessi, cioè se, dopo una confessione sincera, vi metterete a
fare degni frutti di penitenza ”. “ Però vi predíco anche questo: se sarete ingrati verso i benefici di Dio e
ritornerete al vomito, il flagello si rinnoverà, si raddoppierà la pena e infierirà su di voi un'ira più terribile ”.
Alla sua esortazione, gli abitanti fecero penitenza--e da allora cessarono le stragi, si dispersero i
pericoli, lupi e grandine non fecero più danni. Anzi, fatto ancor più notevole, se capitava che la grandine
cadesse sui campi confinanti, come si avvicinava al loro territorio là si arrestava oppure deviava in altra
direzione. Osservò la grandine, osservarono i lupi la convenzione fatta col servo di Dio né più osarono violare le
leggi della pietà, infierendo contro uomini che alla pietà si erano convertiti, ma solo fino a quando costoro
restarono fedeli ai patti promessi e non trasgredirono, da empi, le piissime leggi di Dio.
1160 Dobbiamo, dunque, considerare con pio affetto la pietà di quest'uomo beato, che fu così
meravigliosamente soave e potente da domare gli animali feroci, addomesticare quelli selvatici, ammaestrare
quelli mansueti, indurre all'obbedienza i bruti, divenuti ribelli all'uomo dal tempo della prima caduta.
Questa è veramente la pietà che, stringendo in un solo patto d'amore tutte le creature, è utile a tutto,
avendo la promessa della vita presente e della futura.
CAPITOLO IX
FERVORE Dl CARITA'' E DESIDERIO Dl MARTIRIO
1161 1. Chi potrebbe descrivere degnamente il fervore di carità, che infiammava Francesco, amico dello sposo?
Poiché egli, come un carbone ardente, pareva tutto divorato dalla fiamma dell'amor divino.
Al sentir nominare l'amor del Signore, subito si sentiva stimolato, colpito, infiammato: quel nome era
per lui come un plettro, che gli faceva vibrare l'intimo del cuore.
“ Offrire, in compenso dell'elemosina, il prezioso patrimonio dell'amor di Dio--così egli affermava--è
nobile prodigalità; e stoltissimi sono coloro che lo stimano meno del denaro, poiché soltanto il prezzo
inapprezzabile dell'amor divino è capace di comprare il regno dei cieli. E molto si deve amare l'amore di Colui
che molto ci ha amato ”.
1162 Per trarre da ogni cosa incitamento ad amare Dio, esultava per tutte quante le opere delle mani del
Signore e, da quello spettacolo di gioia, risaliva alla Causa e Ragione che tutto fa vivere.
Contemplava, nelle cose belle, il Bellissimo e, seguendo le orme impresse nelle creature, inseguiva
dovunque il Diletto. Di tutte le cose si faceva una scala per salire ad afferrare Colui che è tutto desiderabile.
Con il fervore di una devozione inaudita, in ciascuna delle creature, come in un ruscello, delibava quella Bontà
fontale, e le esortava dolcemente, al modo di Davide profeta, alla lode di Dio, perché avvertiva come
un.concento celeste nella consonanza delle varie doti e attitudini che Dio ha loro conferito.
1163 2. Cristo Gesù crocifisso dimorava stabilmente nelI'intimo del suo spirito, come borsetta di mirra posta
sul suo cuore in Lui bramava trasformarsi totalmente per eccesso ed incendio d'amore.
Per singolare amore e devozione verso di Lui, a cominciare dalla festa dell'Epifania per quaranta giorni
continui, cioè per tutto il tempo in cui Cristo rimase nascosto nel deserto, si ritirava nella solitudine e, recluso
nella cella, riducendo cibo e bevanda al minimo possibile, si dedicava senza interruzione ai digiuni, alle
preghiere e alle lodi di Dio.
Certo il servo di Dio era infiammato da un affetto ardentissimo verso Cristo; ma anche il Diletto lo
contraccambiava con grande amore e familiarità, tanto che gli sembrava di sentirsi sempre presente il
Salvatore davanti agli occhi, come rivelò una volta lui stesso ai compagni in confidenza.
1164 Bruciava di fervore in tutte le sue viscere per il Sacramento del corpo del Signore, ammirando stupefatto
quella degnazione piena di carità e quella carità piena di degnazione.
Si comunicava spesso e con tale devozione da rendere devoti anche gli altri, e, gustando in ebbrezza di
spirito la soavità dell'Agnello immacolato, il più delle volte veniva rapito in estasi.
1165 3. Circondava di indicibile amore la Madre del Signore Gesù, per il fatto che ha reso nostro fratello il
Signore della Maestà e ci ha ottenuto la misericordia.
In Lei, principalmente, dopo Cristo, riponeva la sua fiducia e, perciò, la costituì avvocata sua e dei suoi.
In suo onore digiunava con gran devozione dalla festa degli apostoli Pietro e Paolo, fino alla festa
dell'Assunzione.
1166 Agli spiriti angelici, i quali ardono di un meraviglioso fuoco, che infiamman le anime degli eletti e le fa
penetrare in Dio, era unito da un inscindibile vincolo d'amore. In loro onore digiunava per quaranta giorni
continui, a incominciare dalla Assunzione della Vergine gloriosa, dedicandosi incessantemente alla preghiera.
Per il beato Michele Arcangelo, dato che ha il compito di presentare le anime a Dio, nutriva particolare
devozione e speciale amore dettato dal suo fervido zelo per la salvezza di tutti i fedeli.
1167 I santi e il loro ricordo eran per lui come carboni ardenti, che ravvivano in lui l'incendio deificante.
Venerava con devozione ferventissima tutti gli apostoli e specialmente Pietro e Paolo, per la loro fervente
carità verso Cristo. In loro onore e per loro amore offriva al Signore il digiuno di una quaresima speciale.
Nient'altro possedeva, il povero di Cristo, se non due spiccioli, da poter elargire con liberale carità: il
corpo e l'anima. Ma corpo e anima, per amore di Cristo, li offriva continuamente a Dio, poiché quasi in ogni
istante immolava il corpo col rigore del digiuno e l'anima con la fiamma del desiderio: olocausto, il suo corpo,
immolato alI'esterno, nell'atrio del tempio; incenso, I'anima sua, esalata all'interno del tempio.
1168 4. Ma, mentre quest'eccesso di devozione e di carità lo innalzava alle realtà divine, la sua affettuosa
bontà si espandeva verso coloro che natura e grazia rendevano suoi consorti .
Non c'è da meravigliarsi: come la pietà del cuore lo aveva reso fratello di tutte le altre creature, così la
carità di Cristo lo rendeva ancor più intensamente fratello di coloro che portano in sé l'immagine del Creatore
e sono stati redenti dal sangue del Redentore.
Non si riteneva amico di Cristo, se non curava con amore le anime da Lui redente.
Niente, diceva, si deve anteporre alla salvezza delle anime, e confermava l'affermazione soprattutto con
quest'argomento: che l'Unigenito di Dio, per le anime, si era degnato di salire sulla croce.
Da lì quel suo accanimento nella preghiera; quel correre dovunque a predicare; quell'eccesso nel dare
l'esempio. E, perciò, ogni volta che lo biasimavano per la sua austerità eccessiva, rispondeva che lui era stato
dato come esempio per gli altri.
La sua carne innocente si sottometteva ormai spontaneamente allo spirito e non aveva alcun bisogno di
castighi, in punizione delle colpe; eppure egli, in vista dell'esempio rinnovava contro di lei pene e fatiche e
obbligava se stesso a percorrere vie faticose, in vista degli altri.
Diceva: Anche se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità in me stesso e non
mostrassi al prossimo esempi di virtù, poco gioverei agli altri, niente a me.
1169 5. L'infocato ardore della carità lo spingeva ad emulare la gloria e il trionfo dei santi martiri, nei quali
niente poté estinguere la fiamma dell'amore o indebolire la fortezza dell'animo.
Acceso da quella carità perfetta, che caccia via il timore, bramava anch'egli di offrirsi, ostia vivente, al
Signore, nel fuoco del martirio, sia per rendere il contraccambio al Cristo che muore per noi, sia per provocare
gli altri all'amore di Dio.
1170 A sei anni dalla sua conversione, infiammato dal desiderio del martirio, decise di passare il mare e recarsi
nelle parti della Siria, per predicare la fede cristiana e la penitenza ai saraceni e agli altri infedeli.
Ma la nave su cui si era imbarcato, per raggiungere quel paese, fu costretta dai venti contrari a sbarcare
dalle parti della Schiavonia. Vi rimase per qualche tempo: ma poi, non riuscendo a trovare una nave che
andasse nei paesi d'oltremare, defraudato nel suo desiderio, pregò alcuni marinai diretti ad Ancona, di
prenderlo con sé, per amor di Dio. Ne ebbe un netto rifiuto, perché non aveva il denaro necessario.
Allora l'uomo di Dio, riponendo tutta la sua fiducia nella bontà del Signore, salì ugualmente, di nascosto,
sulla nave, col suo compagno. Si presentò un tale -- certo mandato da Dio in soccorso del suo poverello-portando con sé il vitto necessario. Chiamò uno dei marinai, che aveva timor di Dio, e gli parlò così: “ Tutta
questa roba tienila per i poveri frati che sono nascosti sulla nave: gliela darai, quando ne avranno bisogno ”
Se non che capitò che, per la violenza del vento, i marinai, per moltissimi giorni, non poterono sbarcare
e così consumarono tutte le provviste. Era rimasto solo il cibo offerto in elemosina, dall'alto, a Francesco
poverello. Era molto scarso, in verità; ma la potenza divina lo moltiplicò, in modo tale che bastò per soddisfare
pienamente la necessità di tutti, per tutti quei giorni di tempesta, finché poterono raggiungere il porto di
Ancona.
I marinai, vedendo che erano scampati molte volte alla morte, per i meriti del servo di Dio, resero grazie
a Dio onnipotente, che si mostra sempre mirabile e amabile nei suoi amici e nei suoi servi. Ben a ragione,
perché avevano provato da vicino gli spaventosi pericoli del mare e avevano visto le ammirabili opere di Dio
nelle acque profonde.
1171 6. Lasciato il mare, incominciò a pellegrinare sulla terra spargendovi il seme della salvezza e raccogliendo
una messe abbondante di buoni frutti.
Ma era il frutto del martirio quello che maggiormente lo attirava; era il merito di morire per Cristo,
quello che egli bramava al di sopra di ogni altra opera virtuosa e meritoria.
Si mise, perciò in cammino alla volta del Marocco, con l'intento di predicare al Miramolino e alla sua
gente il Vangelo di Cristo e di vedere se riusciva in tale maniera a conquistare la sospirata palma dei martiri.
Era spinto da un desiderio così intenso, che, quantunque di fisico debole, precedeva correndo il suo
compagno di pellegrinaggio: bramoso di realizzare il proposito, in ebbrezza di spirito, volava.
Aveva già raggiunto la Spagna, quando, per disposizione di Dio che lo riservava ad altri compiti, fu
colpito da una malattia gravissima, che fece svanire i suoi desideri.
L`uomo di Dio capì, allora, che la sua vita era ancora necessaria ai suoi figli e, benché ritenesse la
morte un guadagno, tornò indietro, a pascere le pecore affidate alle sue cure.
1172 7. Ma l'ardore della carità lo spingeva al martirio; sicché ancora una terza volta tentò di partire verso i
paesi infedeli, per diffondere, con l'effusione del proprio sangue, la fede nella Trinità.
A tredici anni dalla sua conversione, partì verso le regioni della Siria, affrontando coraggiosamente molti
pericoli, alfine di potersi presentare al cospetto del Soldano di Babilonia.
Fra i cristiani e i saraceni era in corso una guerra implacabile: i due eserciti si trovavano accampati
vicinissimi, I'uno di fronte all'altro, separati da una striscia di terra, che non si poteva attraversare senza
pericolo di morte .
Il Soldano aveva emanato un editto crudele: chiunque portasse la testa di un cristiano, avrebbe ricevuto
il compenso di un bisante d'oro. Ma Francesco, I'intrepido soldato di Cristo, animato dalla speranza di poter
realizzare presto il suo sogno, decise di tentare l'impresa, non atterrito dalla paura della morte, ma, anzi,
desideroso di affrontarla.
Confortandosi nel Signore, pregava fiducioso e ripeteva cantando quella parola del profeta: Infatti anche se
dovessi camminare in mezzo all'ombra di morte, non temerò alcun male, perché tu sei con me.
1173 8. Partì, dunque, prendendo con sé un compagno, che si chiamava Illuminato ed era davvero illuminato e
virtuoso.
Appena si furono avviati, incontrarono due pecorelle, il Santo si rallegrò e disse al compagno: “ Abbi
fiducia nel Signore, fratello, perché si sta realizzando in noi quella parola del Vangelo: -- Ecco, vi mando come
agnelli in mezzo ai lupi--”.
Avanzarono ancora e si imbatterono nelle sentinelle saracene, che, slanciandosi come lupi contro le
pecore, catturarono i servi di Dio e, minacciandoli di morte, crudelmente e sprezzantemente li maltrattarono,
li coprirono d'ingiurie e di percosse e li incatenarono. Finalmente, dopo averli malmenati in mille modi e
calpestati, per disposizione della divina provvidenza, li portarono dal Sultano, come l'uomo di Dio voleva. Quel
principe incominciò a indagare da chi, e a quale scopo e a quale titolo erano stati inviati e in che modo erano
giunti fin là.
Francesco, il servo di Dio, con cuore intrepido rispose che egli era stato inviato non da uomini, ma da
Dio altissimo, per mostrare a lui e al suo popolo la via della salvezza e annunciare il Vangelo della verità.
E predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo, con tanto coraggio, con tanta
forza e tanto fervore di spirito, da far vedere luminosamente che si stava realizzando con piena verità la
promessa del Vangelo: Io vi darò un linguaggio e una sapienza a cui nessuno dei vostri avversari potrà resistere
o contraddire.
1174 Anche il Soldano, infatti, vedendo l'ammirevole fervore di spirito e la virtù dell'uomo di Dio, lo ascoltò
volentieri e lo pregava vivamente di restare presso di lui. Ma il servo di Cristo, illuminato da un oracolo del
cielo, gli disse: “ Se, tu col tuo popolo,.vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se, invece,
esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande
possibile: Io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion
veduta, si deve ritenere più certa e più santa ”. Ma il Soldano, a lui: “ Non credo che qualcuno dei miei
sacerdoti abbia voglia di esporsi al fuoco o di affrontare la tortura per difendere la sua fede ”. (Egli si era
visto, infatti, scomparire immediatamente sotto gli occhi, uno dei suoi sacerdoti, famoso e d'età avanzata,
appena udite le parole della sfida).
E il Santo a lui: “ Se mi vuoi promettere, a nome tuo e a nome del tuo popolo, che passerete alla
religione di Cristo, qualora io esca illeso dal fuoco, entrerò nel fuoco da solo. Se verrò bruciato, ciò venga
imputato ai miei peccati; se, invece, la potenza divina mi farà uscire sano e salvo, riconoscerete Cristo,
potenza di Dio e sapienza di Dio, come il vero Dio e signore, salvatore di tutti.
Ma il Soldano gli rispose che non osava accettare questa sfida, per timore di una sedizione popolare.
Tuttavia gli offrì molti doni preziosi; ma l'uomo di Dio, avido non di cose mondane ma della salvezza delle
anime, li disprezzò tutti come fango.
Vedendo quanto perfettamente il Santo disprezzasse le cose del mondo, il Soldano ne fu ammirato e
concepì verso di lui devozione ancora maggiore. E, benché non volesse passare alla fede cristiana, o forse non
osasse, pure pregò devotamente il servo di Cristo di accettare quei doni per distribuirli ai cristiani poveri e alle
chiese, a salvezza delI'anima sua. Ma il Santo, poiché voleva restare libero dal peso del denaro e poiché non
vedeva nell'animo del Soldano la radice della vera pietà, non volle assolutamente accondiscendere.
1175 9. Vedendo, inoltre, che non faceva progressi nella conversione di quella gente e che non poteva
realizzare il suo sogno, preammonito da una rivelazione divina, ritornò nei paesi cristiani.
E così, per disposizione della bontà divina e per i meriti e la virtù del Santo, avvenne,
misericordiosamente e mirabilmente, che l'amico di Cristo cercasse con tutte le forze di morire per Lui e non
potesse assolutamente riuscirvi. E in tal modo, da una parte non gli mancò il merito del martirio desiderato e,
dall'altra, egli venne risparmiato per essere più tardi insignito di un privilegio straordinario. Quel fuoco divino,
che gli bruciava nel cuore, diventava intanto più ardente e perfetto, perché in seguito riverberasse più
luminoso nella sua carne.
O uomo veramente beato, che non viene straziato dal ferro del tiranno, eppure non viene privato della
gloria di assomigliare all'Agnello immolato!
O uomo, io dico, veramente e pienamente beato, che “ non perdette la vita sotto la spada del
persecutore, eppure non perdette la palma del martirio! ”.
CAPITOLO X
AMORE PER LA VIRTÙ DELL' ORAZIONE
1176 1. Francesco, il servo di Cristo, vivendo nel corpo, si sentiva in esilio dal Signore e, mentre ormai
all'esterno era diventato totalmente insensibile, per amore di Cristo, ai desideri della terra, si sforzava,
pregando senza interruzione, di mantenere lo spirito alla presenza di Dio, per non rimanere privo delle
consolazioni del Diletto.
La preghiera era la sua consolazione, quando si dava alla contemplazione, e quasi fosse ormai un
cittadino del cielo e un concittadino degli Angeli, con desiderio ardente ricercava il Diletto, da cui lo separava
soltanto il muro del corpo.
La preghiera era anche la sua difesa, quando si dava all'azione, poiché, mediante l'insistenza nella
preghiera, rifuggiva, in tutto il suo agire, dal confidare nelle proprie capacità, metteva ogni sua fiducia nella
bontà divina, gettando nel Signore la sua ansietà.
Sopra ogni altra cosa -- asseriva con fermezza -- il religioso deve desiderare la grazia dell'orazione e
incitava in tutte le maniere possibili i suoi frati a praticarla con zelo, convinto che nessuno fa progressi nel
servizio di Dio, senza di essa.
Camminando e sedendo, in casa e fuori, lavorando e riposando, restava talmente intento all'orazione da
sembrare che le avesse dedicato ogni parte di se stesso: non solo il cuore e il corpo, ma anche l'attività e il
tempo.
1177 2. Non lasciava passare inutilmente, per sua trascuratezza, nessuna visita dello Spirito: quando gli si
presentava, si abbandonava ad essa e ne godeva la dolcezza, finché il Signore glielo concedeva.
Se, mentre era in viaggio, sentiva il soffio dello Spirito divino, lasciava che i compagni lo precedessero,
si fermava, tutto intento a fruire della nuova ispirazione, per non ricevere invano la grazia.
Molte volte rimaneva assorto in una contemplazione così sublime che, rapito fuori di sé ad esperienze
trascendenti la sensibilità umana, ignorava quanto gli accadeva intorno.
1178 Una volta stava attraversando sopra un asinello, a causa della malattia, Borgo San Sepolcro, che è un
paese molto popoloso. Spinto dalla devozione, la gente si precipitò incontro a lui; ma egli, trascinato e
trattenuto, stretto e toccato in tanti modi dalla folla, appariva insensibile a tutto: come un corpo senz'anima,
non avvertiva assolutamente nulla di tutte quelle manifestazione.
Quando ormai da lungo tempo si erano lasciati indietro il paese e la folla ed erano giunti vicino a un
lebbrosario, il contemplatore delle realtà celesti, come se tornasse da un altro mondo, domandò, preoccupato,
quando sarebbero arrivati a Borgo.
La sua mente, fissa negli splendori celesti, non aveva avvertito il variare dei luoghi, del tempo e delle
persone incontrate. I suoi compagni hanno attestato, per lunga esperienza, che questo gli accadeva piuttosto
spesso.
1179 3. Nell'orazione aveva imparato che la bramata presenza dello Spirito Santo si offre a quanti lo invocano
con tanto maggior familiarità quanto più lontani li trova dal frastuono dei mondani. Per questo cercava luoghi
solitari, si recava nella solitudine e nelle chiese abbandonate a pregare, di notte. Là dovette subire, spesso, gli
spaventosi assalti dei demoni che venivano fisicamente a conflitto con lui, nello sforzo di stornarlo
dall'applicarsi alla preghiera. Ma egli, munito delle armi celesti, si faceva tanto più forte nella virtù e tanto
più fervente nella preghiera, quanto più violento era l'assalto dei nemici.
Diceva confidenzialmente a Cristo: All'ombra delle tue ali proteggimi dai malvagi che tramano la mia
rovina.
E ai demoni: “ Fate pure tutto quello che potete contro di me, o spiriti maligni e ingannatori! Voi non
avete potere se non nella misura in cui la mano di Dio ve lo concede e perciò io me ne sto qui con tutta gioia,
pronto a sopportare tutto quanto essa ha stabilito di farmi subire ”.
I demoni superbi non sopportavano simile forza d'animo e si ritiravano sconfitti.
1180 4. E l'uomo di Dio, restandosene tutto solo e in pace, riempiva i boschi di gemiti, cospargeva la terra di
lacrime, si percuoteva il petto e, quasi avesse trovato un più intimo santuario, discorreva col suo Signore. Là
rispondeva al Giudice, là supplicava il Padre, là dialogava con l'Amico. Là pure, dai frati che piamente lo
osservavano, fu udito interpellare con grida e gemiti la Bontà divina a favore dei peccatori; piangere, anche,
ad alta voce la passione del Signore, come se l'avesse davanti agli occhi. Là, mentre pregava di notte, fu visto
con le mani stese in forma di croce, sollevato da terra con tutto il corpo e circondato da una nuvoletta
luminosa: luce meravigliosa diffusa intorno al suo corpo, che meravigliosamente testimoniava la luce
risplendente nel suo Spirito.
Là, inoltre, come testimoniano prove sicure, gli venivano svelati i misteri nascosti della sapienza divina,
che egli, però, non divulgava all'esterno, se non nella misura in cui ve lo sforzava la carità di Cristo e lo
esigeva l'utilità del prossimo.
Diceva, a questo proposito: “ Può succedere che, per un lieve compenso, si perda un tesoro senza
prezzo e che si provochi il Donatore a non dare più tanto facilmente una seconda volta ”.
Quando tornava dalle sue preghiere, che lo trasformavano quasi in un altro uomo, metteva la più grande
attenzione per comportarsi in uniformità con gli altri, perché non avvenisse che il vento dell'applauso, a causa
di quanto lui lasciava trapelare di fuori, lo privasse della ricompensa interiore .
1181 Quando, trovandosi in pubblico, veniva improvvisamente visitato dal Signore, cercava sempre di celarsi in
qualche modo ai presenti, perché gli intimi contatti con lo Sposo non si propalassero all'esterno.
Quando pregava con i frati, evitava assolutamente le espettorazioni, i gemiti, i respiri affannosi, i cenni
esterni, sia perché amava il segreto, sia perché, se rientrava nel proprio intimo, veniva rapito totalmente in
Dio.
Spesso ai suoi confidenti diceva cose come queste: “ Quando il servo di Dio, durante la preghiera, riceve
la visita del Signore, deve dire: " O Signore, tu dal cielo hai mandato a me, peccatore e indegno, questa
consolazione, e io la affido alla tua custodia, perché mi sento un ladro del tuo tesoro". E quando torna
dall'orazione, deve mostrarsi così poverello e peccatore, come se non avesse ricevuto nessuna grazia speciale
”.
1182 5. Mentre, nel luogo della Porziuncola, una volta l'uomo di Dio era intento all'orazione, andò a trovarlo,
come faceva di solito, il vescovo di Assisi. Appena fu entrato nel luogo, il vescovo, con più familiarità del
dovuto, andò direttamente alla cella in cui il servo di Cristo stava pregando. Spinse la porticina e fece l'atto di
entrare. Ma, appena ebbe messo dentro il capo e scorto il Santo in orazione, sconvolto da improvviso terrore,
si sentì agghiacciare in tutte le membra, perse anche la parola, mentre, per divina disposizione, veniva
cacciato fuori a viva forza e trascinato lontano, a passo indietro.
Stupefatto, il vescovo si affrettò, come poté, a raggiungere i frati e, appena Dio gli restituì l'uso della
parola, se ne servì prima di tutto per confessare la propria colpa.
1183 L'abate del monastero di San Giustino nella diocesi di Perugia, incontrò una volta il servo di Cristo.
Appena lo vide, il devoto abate scese lesto da cavallo, volendo riverire l'uomo di Dio e parlare con lui di
problemi inerenti alla salvezza dell'anima. Terminato il soave colloquio, I'abate, nel partire, gli chiese
umilmente di pregare per lui. L'uomo caro a Dio gli rispose: “ Pregherò volentieri ”. Quando l'abate si fu
allontanato un poco, il fedele Francesco disse al compagno: “ Aspetta un attimo, fratello, perché voglio pagare
il debito che ho contratto ”.
Ebbene, appena egli incominciò a pregare, I'abate sentì nell'anima un insolito fervore e una dolcezza mai
provata e, rapito fuori di sé, si perdette totalmente in Dio.
Fu una piccola, dolce sosta.
Ritornato in se stesso, capì bene che tutto ciò era dovuto alla potente preghiera di san Francesco. Da
allora si sentì infiammato di sempre maggior amore per l'Ordine e riferì a molti il fatto come un miracolo.
1184 6. Aveva, il Santo, I'abitudine di offrire a Dio il tributo delle ore canoniche con timore, insieme, e con
devozione.
Benché fosse malato d'occhi, di stomaco, di milza e di fegato, pure non voleva appoggiarsi al muro e alla
parete, mentre salmeggiava, ma recitava le ore stando sempre eretto e senza cappuccio in testa, senza
girovagare con gli occhi, senza smozzicare le parole.
Se gli capitava di trovarsi in viaggio, all'ora dell'ufficio si fermava e non tralasciava questa devota e santa
consuetudine, nemmeno sotto lo scrosciare della pioggia.
Diceva, infatti: “ Se il corpo si prende con tranquillità il suo cibo, che sarà con lui esca dei vermi, con
quanta pace e tranquillità l'anima deve prendersi il cibo della vita?>.
Riteneva anche di commettere colpa grave, se gli capitava, mentre era intento alla preghiera, di
perdersi con la mente dietro vane fantasie. Quando gli succedeva qualcosa di questo genere, ricorreva alla
confessione, pur di riparare immediatamente .
Questa preoccupazione era divenuta per lui così abituale che assai di raro veniva molestato da siffatte
mosche.
1185 Durante una quaresima, per occupare le briciole di tempo e non perderne nemmeno una, aveva fatto un
piccolo vaso. Ma siccome, durante la recita di terza, il pensiero di quel vaso gli aveva procurato un po' di
distrazione, mosso dal fervore dello spirito, lo bruciò, dicendo: “ Lo sacrificherò al Signore, al quale mi ha
impedito di fare il sacrificio”.
Diceva i salmi con estrema attenzione di mente e di spirito, come se avesse Dio presente, e, quando
nella recita capitava di pronunciare il nome del Signore, lo si vedeva leccarsi le labbra per la dolcezza e la
soavità.
Voleva pure che si onorasse questo stesso nome del Signore con speciale devozione, non solo quando lo
si pensava, ma anche quando lo si pronunciava o scriveva. Tanto che una volta incitò i frati a raccogliere tutti i
pezzettini di carta scritti che trovavano e a riporli in luogo decente per impedire che, magari, venisse
calpestato quel nome sacro in essi trascritto.
Quando, poi, pronunciava o udiva il nome di Gesù, ricolmo di intimo giubilo, lo si vedeva trasformarsi
anche esteriormente come se un sapor di miele avesse impressionato il suo gusto, o un suono armonioso il suo
udito.
1186 7. Tre anni prima della sua morte, decise di celebrare vicino al paese di Greccio, il ricordo della natività
del bambino Gesù, con la maggior solennità possibile, per rinfocolarne la devozione.
Ma, perché ciò non venisse ascritto a desiderio di novità, chiese ed ottenne prima il permesso del
sommo Pontefice. Fece preparare una stalla, vi fece portare del fieno e fece condurre sul luogo un bove ed un
asino.
Si adunano i frati, accorre la popolazione; il bosco risuona di voci e quella venerabile notte diventa
splendente di innumerevoli luci, solenne e sonora di laudi armoniose.
L'uomo di Dio stava davanti alla mangiatoia, ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia.
Il santo sacrificio viene celebrato sopra la mangiatoia e Francesco, levita di Cristo, canta il santo
Vangelo. Predica al popolo e parla della nascita del re povero e nel nominarlo, lo chiama, per tenerezza
d'amore, il “ bimbo di Bethlehem ”.
Un cavaliere, virtuoso e sincero, che aveva lasciato la milizia secolaresca e si era legato di grande
familiarità alI'uomo di Dio, il signor Giovanni di Greccio, affermò di aver veduto, dentro la mangiatoia, un
bellissimo fanciullino addormentato, che il beato Francesco, stringendolo con ambedue le braccia, sembrava
destare dal sonno.
Questa visione del devoto cavaliere è resa credibile dalla santità del testimone, ma viene comprovata
anche dalla verità che essa indica e confermata dai miracoli da cui fu accompagnata. Infatti l'esempio di
Francesco, riproposto al mondo, ha ottenuto l'effetto di ridestare la fede di Cristo nei cuori intorpiditi; e il
fieno della mangiatoia, conservato dalla gente, aveva il potere di risanare le bestie ammalate e di scacciare
varie altre malattie.
Così Dio glorifica in tutto il suo servo e mostra l'efficacia della santa orazione con l'eloquenza probante
dei miracoli .
CAPITOLO XI
COMPRENSIONE DELLE SCRITTURE
E SPIRITO DI PROFEZIA
1187 1. La dedizione instancabile alla preghiera, insieme con l'esercizio ininterrotto delle virtù, aveva fatto
pervenire l'uomo di Dio a così grande chiarezza di spirito che, pur non avendo acquisito la competenza nelle
sacre Scritture mediante lo studio e l'erudizione umana, tuttavia, irradiato dagli splendori della luce eterna,
scrutava le profondità delle Scritture con intelletto limpido e acuto.
Il suo ingegno, puro da ogni macchia, penetrava il segreto dei misteri, e dove la scienza dei maestri
resta esclusa, egli entrava con l'affetto dell'amante.
Leggeva, di tanto in tanto, i libri sacri e riteneva tenacemente impresso nella memoria quanto aveva
una volta assimilato: giacché ruminava continuamente con affettuosa devozione ciò che aveva ascoltato con
mente attenta.
1188 Una volta i frati gli chiesero se aveva piacere che le persone istruite, entrate nell'Ordine, si applicassero
allo studio della Scrittura; ed egli rispose: “ Ne ho piacere, sì; purché, però, sull'esempio di Cristo, di cui si
legge non tanto che ha studiato quanto che ha pregato, non trascurino di dedicarsi all'orazione e purché
studino non tanto per sapere come devono parlare, quanto per mettere in pratica le cose apprese, e, solo
quando le hanno messe in pratica, le propongano agli altri. Voglio che i miei frati siano discepoli del Vangelo e
progrediscano nella conoscenza della verità, in modo tale da crescere contemporaneamente nella purezza
della semplicità. Così non disgiungeranno la semplicità della colomba dalla prudenza del serpente, che il
Maestro insuperabile ha congiunto con la sua parola benedetta ”.
1189 2. Interrogato, a Siena, da un religioso, dottore in sacra teologia, su alcuni passi di difficile
interpretazione, svelò gli arcani della divina sapienza con tale chiarezza di dottrina, che quell'esperto rimase
fortemente stupito e, pieno d'ammirazione, esclamò: “ Veramente la teologia di questo padre santo si libra,
come un'aquila in volo, sulle ali della purezza e della contemplazione; mentre la nostra scienza striscia col
ventre per terra ”.
Per quanto egli fosse inesperto nell'arte del dire, pure, pieno di scienza, scioglieva il nodo dei dubbi e
portava alla luce le cose nascoste. E non è illogico che il Santo abbia avuto in dono la comprensione delle
Scritture, giacché descriveva la loro verità in tutte le sue opere, in quanto era imitatore perfetto di Cristo, e
aveva in sé il loro autore, in quanto era ripieno di Spirito Santo.
1190 3. Splendeva in lui anche lo spirito di profezia, tant'è vero che prevedeva il futuro e leggeva i segreti dei
cuori, vedeva le cose lontane come se fossero presenti e lui stesso si faceva vedere presente in maniera
meravigliosa, alle persone lontane.
Quando l'esercito cristiano stava assediando Damiata, c'era anche l'uomo di Dio, munito non di armi ma
di fede.
Venne il “ giorno della battaglia ”, in cui i cristiani avevano stabilito di dare l'assalto alla città.
Quando seppe questa decisione, il servo di Cristo, uscendo in forti lamenti, disse al suo compagno: “ Se
si tenterà I'assalto, il Signore mi ha rivelato che non andrà bene per i cristiani. Ma, se io dirò questo, mi
riterranno un pazzo; se tacerò non potrò sfuggire al rimprovero della coscienza. Dunque: a te che cosa sembra
meglio? ”.
Gli rispose il suo compagno: “ Fratello, non preoccuparti affatto del giudizio della gente: non è la prima
volta che ti giudicano pazzo. Líberati la coscienza e abbi timore più di Dio che degli uomini ”.
A queste parole, I'araldo di Cristo affronta pieno di slancio, i crociati e, preoccupato di salvarli dai
pericolo, cerca di impedire l'attacco, preannuncia la disfatta.
Ma la verità viene presa per una favola: indurarono il loro cuore e non vollero convertirsi.
Si va, si attacca battaglia, si combatte, e tutto l'esercito cristiano si volge in fuga: frutto dell'attacco non
è il trionfo, ma l'obbrobrio. Le schiere dei cristiani tornarono decimate da un terribile macello: circa sei mila
tra morti e prigionieri.
Allora fu ben chiaro, ben evidente che non si doveva disprezzare la sapienza del povero, poiché il cuore
delI'uomo giusto annuncia talvolta le cose vere meglio di sette sentinelle in vedetta.
1191 4. In un'altra circostanza, ritornato dai paesi d'oltremare, si stava recando a Celano, per predicare e fu
invitato a pranzo, con umile e devota insistenza, da un cavaliere.
Egli, dunque, andò alla casa del cavaliere, accolto con grande gioia da tutta la famiglia, lieta per la
venuta di quegli ospiti poverelli.
Prima di prendere cibo, l'uomo a Dio devoto, secondo la sua abitudine, offrì a Dio le preghiere di lode,
stando con gli occhi rivolti al cielo. Finita la preghiera, chiamò familiarmente in disparte il buon ospite e così
gli disse: “ Ecco, fratello ospite: vinto dalle tue preghiere, io son venuto a mangiare nella tua casa. Ora
affrettati a seguire i miei ammonimenti, perché tu non mangerai qui, ma altrove. Confessa subito i tuoi
peccati, con vera contrizione e pentimento: non nascondere nulla dentro di te; rivela tutto con una
confessione sincera. Tu hai accolto con tanta devozione i suoi poveri e oggi il Signore te ne darà il
contraccambio ”.
Acconsentì subito, quell'uomo, alle parole del Santo e manifestò al compagno di lui in confessione tutti
quanti i peccati; mise ordine alle sue cose e si preparò meglio che poté ad accogliere la morte.
Entrarono, infine, nella sala da pranzo e, mentre gli altri incominciavano a mangiare, l'ospite
improvvisamente esalò l'anima, colpito da morte repentina, secondo la parola dell'uomo di Dio.
E così, come dice la Verità, colui che aveva accolto il profeta con misericordiosa ospitalità, meritò di
ricevere la mercede del profeta. Difatti, per la profezia del Santo, quel cavaliere devoto provvide a se stesso
e, premunito con le armi della penitenza contro la morte improvvisa, sfuggì alla dannazione eterna e fu
accolto negli eterni tabernacoli.
1192 5. Nel tempo in cui il Santo giaceva malato a Rieti, portarono da lui, steso su un letticciuolo, un canonico,
di nome Gedeone, vizioso e mondano, colpito da una grave malattia .
Il canonico lo pregava piangendo, insieme con i presenti, di benedirlo col segno della croce.
Ma il Santo gli replicò: “ Come potrò segnarti con la croce, se finora sei vissuto seguendo gli istinti della
carne, senza timore dei giudizi di Dio? Ad ogni modo, per la devozione e le preghiere di queste persone che
intercedono per te, ti benedirò col segno della croce in nome del Signore. Tu, però, sappi che andrai incontro a
castighi più gravi, se una volta guarito, tornerai al vomito. Perché il peccato di ingratitudine si merita sempre
punizioni peggiori delle prime ”.
Appena ebbe tracciato su di lui il segno della croce, colui che giaceva rattrappito si alzò risanato e,
prorompendo nelle lodi di Dio, esclamò: “ Sono guarito! ”. Le ossa della sua schiena scricchiolarono, come
quando si rompe legna secca con le mani: furono in molti a sentire.
Ma costui, passato un po' di tempo, si dimenticò di Dio e si abbandonò di nuovo alla impudicizia. Ebbene,
una sera che era andato a cena in casa di un altro canonico e vi era rimasto per passare la notte,
improvvisamente il tetto della casa crollò. Ma, mentre tutti gli altri riuscirono a sfuggire alla morte, solo quel
misero fu sorpreso e ucciso. Per giusto giudizio di Dio l'ultima condizione di quelI'uomo fu peggiore della
prima, a causa del peccato d'ingratitudine e del disprezzo di Dio, giacché è necessario essere grati per il
perdono ricevuto, e il delitto ripetuto dispiace doppiamente.
1193 6. In un'altra circostanza, una devota nobildonna si recò dal Santo, per esporgli il proprio dolore e
richiedere il rimedio: aveva un marito molto cattivo, che la faceva soffrire osteggiandola nel servizio di Cristo.
Perciò chiedeva al Santo di pregare per lui, affinché Dio si degnasse nella sua bontà d'intenerirgli il
cuore.
Il Santo, dopo averla ascoltata, le disse: “ Va in pace e sta sicura che fra poco avrai dal tuo uomo la
consolazione che desideri ”.
E aggiunse: “ Gli dirai da parte di Dio e mia che ora è tempo di misericordia; poi, di giustizia ”.
Ricevuta la benedizione, la donna ritorna, trova il marito, gli riferisce quelle parole. Scende sopra di lui
lo Spirito Santo che, trasformandolo in un uomo nuovo, così lo induce a rispondere con tutta mansuetudine: “
Signora, mettiamoci a servire il Signore e salviamo l'anima nostra ”.
Dietro esortazione della santa moglie, condussero una vita da celibi per parecchi anni, finché ambedue
nello stesso giorno tornarono al Signore.
Veramente degno di ammirazione lo Spirito profetico operante in quest'uomo di Dio, con la potenza del
quale egli rinnovava il vigore alle membra ormai inaridite e nei cuori induriti imprimeva la pietà.
Ma non è meno stupefacente la chiarezza con cui questo spirito profetico gli faceva prevedere gli eventi
futuri e scrutare il segreto delle coscienze, quasi gli avesse conferito il duplice spirito di Elia, invocato da
Eliseo.
1194 7. A Siena, aveva predetto ad un suo amico alcune cose che dovevano accadergli nei suoi ultimi giorni.
Ebbene quel dotto religioso, che, come abbiamo ricordato sopra andava talvolta a interrogare il Santo su
problemi scritturistici, venne a conoscenza di quelle predizioni, ma aveva il dubbio che non le avesse fatte
proprio il padre santo. Perciò andò da lui per informarsi di persona.
Il Santo non solo asserì di aver fatto quelle predizioni ma, mentre l'interlocutore cercava di sapere i fatti
degli altri, gli predisse profeticamente la sorte che era riservata a lui stesso.
E, per imprimergli nel cuore la predizione con maggior sicurezza, espose con chiarezza un segreto
tormento di coscienza che il religioso non aveva mai rivelato ad anima vivente. Non solo, però, glielo rivelò in
modo mirabile, ma glielo recise via con un consiglio salutare.
Aggiungo a conferma di tutti questi particolari, che quel religioso fece proprio la fine che il servo di
Cristo gli aveva predetto.
1195 8 Di ritorno dai paesi d'oltremare, una volta, mentre viaggiava in compagnia di frate Leonardo d'Assisi,
dovette servirsi dl un asinello, perché troppo affaticato.
Frate Leonardo, che lo scortava, in un momento di umana debolezza, incominciò a dire dentro di sé: “
Mica giocavano insieme i genitori di costui e i miei. Ed ecco, lui sta in sella e io qui a piedi a guidare il suo
asino ”.
Aveva appena fatto questo pensiero che il Santo scese improvvisamente dall'asino e gli disse: “ Non
conviene fratello, che io stia in sella e tu vada a piedi, perché tu nei mondo eri più nobile e più importante di
me ”.
Stupefatto e ricoperto di rossore, il frate si riconosce colto in fallo, e subito si prostra ai suoi piedi;
profondendosi in lacrime, mette a nudo tutto quanto ha pensato e chiede perdono.
1196 9 Un frate, devoto a Dio e al servo di Cristo, andava rimuginando nel cuore questo suo pensamento: sarà
degno della grazia del cielo colui al quale il Santo concede la sua familiarità e il suo affetto; invece colui che il
Santo tratta come un estraneo, lo si deve considerare escluso dal numero degli eletti.
Tormentato spesso da questa idea conturbante bramava ardentemente che l'uomo di Dio gli accordasse
la sua familiarità, e tuttavia non svelava a nessuno il segreto del suo cuore. Ma il padre pietoso lo chiamò
dolcemente a se e gli parlò così: "Non ti turbi alcun pensiero, o figlio, perché io ti ritengo il più caro tra tutti
quelli che mi sono particolarmente cari e volentieri ti faccio dono della mia familiarità e del mio amore".
Il frate ne fu meravigliato e, divenuto da allora ancor più devoto, non solo crebbe nell'amore verso il
Santo, ma, per opera e grazia dello Spirito Santo, si arricchì di doni sempre maggiori.
1197 Al tempo in cui, sul monte della Verna, se ne restava rinchiuso nella cella, uno dei suoi compagni sentiva
un gran desiderio di avere la Francesco qualche scritto con le parole del Signore, firmate di sua propria mano.
Aveva la convinzione che con questo mezzo avrebbe potuto eliminare o almeno, certo, sopportare con minore
pena la grave tentazione da cui era tormentato: tentazione non di sensi ma di spirito.
Languiva per tale desiderio e si sentiva interiormente angustiato; ma si lasciava vincere dalla vergogna e
non osava confidare la cosa al reverendo padre.
Ma quello che non disse l'uomo, lo rivelò lo Spirito. Francesco, infatti, ordinò a quel frate di portargli
inchiostro e carta e vi scrisse le Lodi del Signore, firmandole con la benedizione di propria mano, e gli disse:
“ Prendi questo bigliettino e custodiscilo con cura fino al giorno della tua morte ”.
Prende, il frate, quel dono tanto desiderato e immediatamente sente svanire tutta quella tentazione.
La lettera viene conservata, e, in seguito, servì a compiere cose meravigliose, a testimonianza delle
virtù di Francesco.
1198 10. C'era un frate, a giudicare dal di fuori, santissimo e veramente esemplare; ma amante delle
singolarità. Dedicava tutto il suo tempo alla preghiera; osservava il silenzio con tale intransigenza che aveva
preso l'abitudine di confessarsi non a parole, ma a cenni.
Il padre santo si trovò a passare dal luogo dov'era questo frate e parlò di lui con gli altri confratelli.
Tutti gli altri magnificavano questo tale con grandi panegirici; ma l'uomo di Dio replicò: “ Smettetela,
fratelli, di lodarmi in costui le finzioni del diavolo. Sappiate che si tratta di tentazione diabolica e d'inganno
frodolento ”.
Male accolsero i frati questa risposta: secondo loro era impossibile che la falsità e la frode potessero
imbellettarsi sotto tanti indizi di perfezione.
Ma, di lì a non molti giorni, quando quel tale se ne andò dall'Ordine, fu ben chiaro a tutti che l'uomo di
Dio aveva letto, col suo sguardo luminoso, nell'intimo segreto di quel cuore.
Era questo il modo in cui egli prevedeva infallibilmente anche la caduta di molti, che sembravano star dritti
come pure la conversione a Cristo di molti peccatori. Perciò sembrava che egli contemplasse ormai da vicino lo
specchio della luce eterna, nel cui mirabile splendore l'occhio del suo spirito poteva vedere le cose fisicamente
lontane come se fossero presenti.
1199 11 . Mentre, una volta, il suo vicario stava tenendo il Capitolo, Francesco se ne stava a pregare nella
cella, quasi facendosi intermediario tra i frati e Dio.
Ebbene, uno di questi frati, protetto dal mantelletto di qualcuno che lo difendeva, rifiutava di
assoggettarsi alla disciplina. Il Santo vide in ispirito la scena, chiamò uno dei frati e gli disse: “ Fratello, ho
visto sulla schiena di quel frate disobbediente un diavolo, che lo stringeva al collo: soggiogato da un simile
cavaliere, guidato dalle sue briglie e dai suoi incitamenti, egli disprezzava il freno dell'obbedienza. Ho pregato
Dio per quel frate, e subito il demonio se n'è andato via scornato. Perciò va dal frate e digli che senza indugio
pieghi il collo sotto la santa obbedienza ”.
Ammonito per ambasciatore, il frate si convertì immediatamente a Dio e si gettò umilmente ai piedi del
vicario.
1200 12. Un'altra volta capitò che due frati, da paesi lontani, si recassero all'eremo di Greccio, per vedere di
persona l'uomo di Dio e portarne via con sé la benedizione che già da lungo tempo desideravano.
Ma, giunti sul posto, non lo trovarono, perché dal luogo comune si era già ritirato in cella.
Già se ne ripartivano sconsolati, quando, mentre si allontanavano, egli, contro ogni sua abitudine, uscì
dalla cella, e, benché non avesse potuto in alcun modo, con mezzi umani, sentirli arrivare e partire, li chiamò,
gridando dietro di loro ad alta voce, e li benedisse in nome di Cristo, tracciando il segno della croce. Proprio
come loro avevano desiderato.
1201 13. Una volta andarono da lui due frati della Terra di Lavoro, il più vecchio dei quali, durante il viaggio,
aveva dato non poco scandalo al più giovane. Quando furono davanti al Padre, egli chiese al più giovane come
si era comportato con lui il frate suo compagno. E quello rispose: “ Sì, sì: abbastanza bene ”.
Ma Francesco replicò: “ Sta attento, fratello, a non mentire, sotto pretesto di umiltà! Perché io so, io
so. Ma aspetta un po' e vedrai! ”. Il frate rimase enormemente meravigliato: come mai il Santo aveva potuto
conoscere in ispirito cose avvenute così lontano?
Di lì a pochi giorni lascia l'Ordine e se ne va fuori, colui che aveva dato scandalo al fratello, non aveva
chiesto perdono al Padre e non aveva ricevuto il necessario ammaestramento della correzione.
Due cose risultarono ben chiare contemporaneamente nella fine disastrosa di uno solo: quanto siano
giusti i castighi di Dio e quanto fosse penetrante lo spirito profetico di Francesco.
1202 14. Come, poi, egli sia apparso miracolosamente a persone da cui si trovava lontano, ce lo hanno detto
con evidenza le pagine precedenti. Basta richiamare alla memoria come, assente, egli comparve ai frati,
trasfigurato su un carro di fuoco e come si fece vedere presente, in figura di croce, ai capitolari di Arles.
Si deve credere che questi fatti siano avvenuti per disposizione divina, nel senso che quel suo
meraviglioso comparire in vari luoghi con la sua persona fisica stava ad indicare palesemente come il suo
spirito era in perfetta comunione con la Luce della eterna Sapienza, quella Sapienza che è più nobile d'ogni
moto e penetra dappertutto per la sua purezza, si comunica alle anime sante e forma gli amici di Dio e i
profeti.
Infatti l'eccelso Dottore suole rivelare i suoi misteri ai semplici e ai piccoli, come abbiamo visto
dapprima in Davide, il più sublime tra i profeti, e, successivamente, in Pietro, il principe degli apostoli e,
finalmente, in Francesco, il poverello di Cristo.
Erano, essi, semplici e illetterati; ma lo Spirito Santo con il suo magistero li rese illustri: Davide,
pastore, perché pascesse il gregge della Sinagoga, liberato dall'Egitto; Pietro, il pescatore, perché riempisse le
reti della Chiesa con una moltitudine di credenti, Francesco, il mercante, perché, vendendo e donando tutto
per Cristo, comprasse la perla della vita evangelica.
CAPITOLO XII
EFFICACIA NELLA PREDICAZIONE
E GRAZIA DELLE GUARIGIONI
1203 1. Francesco, servitore e ministro veramente fedele di Cristo, tutto volendo compiere con fedeltà e
perfezione, si sforzava di praticare soprattutto quelle virtù che sapeva maggiormente gradite al suo Dio, come
aveva appreso per dettame dello Spirito Santo.
1204 A questo proposito, si trovò una volta fortemente angosciato da un dubbio, che per molti giorni espose ai
frati suoi familiari, quando tornava dall'orazione, perché l'aiutassero a scioglierlo.
“ Fratelli - domandava - che cosa decidete? Che cosa vi sembra giusto?: che io mi dia tutto all'orazione o che
vada attorno a predicare? Io, piccolino e semplice, inesperto nel parlare, ho ricevuto la grazia dell'orazione più
che quella della predicazione. Nell'orazione, inoltre, o si acquistano o si accumulano le grazie; nella
predicazione, invece, si distribuiscono i doni ricevuti dal cielo. Nell'orazione purifichiamo i nostri sentimenti e
ci uniamo con l'unico, vero e sommo Bene e rinvigoriamo la virtù; nella predicazione, invece, lo spirito si
impolvera e si distrae in tante direzioni e la disciplina si rallenta. Finalmente, nella orazione parliamo a Dio, lo
ascoltiamo e ci tratteniamo in mezzo agli angeli; nella predicazione, invece, dobbiamo scendere spesso verso
gli uomini e, vivendo da uomini in mezzo agli uomini, pensare, vedere, dire e ascoltare al modo umano. Però,
a favore della predicazione, c'è una cosa, e sembra che da sola abbia, davanti a Dio, un peso maggiore di tutte
le altre, ed è che l'Unigenito di Dio, sapienza infinita, per la salvezza delle anime è disceso dal seno del Padre,
ha rinnovato il mondo col suo esempio, parlando agli uomini la Parola di salvezza e ha dato il suo sangue come
prezzo per riscattarli, lavacro per purificarli, bevanda per fortificarli, nulla assolutamente riservando per se
stesso, ma tutto dispensando generosamente per la nostra salvezza. Ora noi dobbiamo fare tutto, secondo il
modello che vediamo risplendere in Lui, come su un monte eccelso. Perciò sembra maggiormente gradito a
Dio, che io lasci da parte il riposo e vada nel mondo a lavorare ”.
Per molti giorni ruminò discorsi di questo genere con i frati; ma non riusciva ad intuire con sicurezza la
strada da scegliere, quella veramente più gradita a Cristo. Lui, che mediante lo spirito di profezia veniva a
conoscere cose stupefacenti, non era capace di risolvere con chiarezza questo interrogativo da se stesso: la
Provvidenza di Dio preferiva che fosse una risposta venuta dal cielo a mostrare l'importanza della predicazione
e che il servo di Cristo si conservasse nella sua umiltà.
1205 2. Non aveva rossore di chiedere le cose piccole a quelli più piccoli di lui; lui, vero minore, che aveva
imparato dal Maestro supremo le cose grandi. Era solito ricercare con singolare zelo la via e il modo per servire
più perfettamente Dio, come a Lui meglio piace.
Questa fu la sua filosofia suprema, questo il suo supremo desiderio, finché visse: chiedere ai sapienti e
ai semplici, ai perfetti e agli imperfetti, ai giovani e agli anziani qual era il modo in cui più virtuosamente
poteva giungere al vertice della perfezione.
Incaricò, dunque, due frati di andare da frate Silvestro, a dirgli che cercasse di ottenere la risposta di
Dio sulla tormentosa questione e che gliela facesse sapere ( frate Silvestro era quello che aveva visto una croce
uscire dalla bocca del Santo e ora si dedicava ininterrottamente alla orazione sul monte sovrastante Assisi).
Questa stessa missione affidò alla santa vergine Chiara: indagare la volontà di Dio su questo punto, sia
pregando lei stessa con le altre sorelle, sia incaricando qualcuna fra le vergini più pure e semplici, che
vivevano alla sua scuola. E furono meravigliosamente d'accordo nella risposta--poiché l'aveva rivelata lo Spirito
Santo -- il venerabile sacerdote e la vergine consacrata a Dio: il volere divino era che Francesco si facesse
araldo di Cristo ed uscisse a predicare.
Ritornarono i frati, indicando qual era la volontà di Dio, secondo quanto avevano saputo; ed egli subito si
alzò si cinse le vesti, e, senza frapporre il minimo indugio, si mise in viaggio. Andava con tanto fervore ad
eseguire il comando divino, correva tanto veloce, come se la mano del Signore, scendendo su di lui, lo avesse
ricolmato di nuove energie.
1206 3. Avvicinandosi a Bevagna, giunse in un luogo dove una moltitudine sterminata d'uccelli di varie specie
s'eran dato convegno. Appena li vide, il Santo di Dio accorse tutto allegro e li salutò, come fossero dotati di
ragione. Tutti gli uccelli erano in attesa e si voltavano verso di lui; e quelli sui rami, mentre egli si accostava,
chinavano il capo per guardarlo.
Quando fu in mezzo a loro, li esortò premurosamente ad ascoltare tutti la parola di Dio, dicendo: “ O
miei fratelli alati, dovete lodare molto il vostro creatore: perché è stato lui a ricoprirvi di piume, a darvi le ali
per volare, a concedervi il regno dell'aria pura, ed è lui che vi mantiene, liberi da ogni preoccupazione ”.
Mentre diceva loro queste e simili parole, gli uccelletti, gesticolando in meravigliosa maniera,
allungavano il collo, stendevano le ali, aprivano il becco, guardandolo fisso.
Ed egli passava in mezzo a loro, con mirabile fervore di spirito, e li toccava con la sua tonaca, senza che
nessuno si muovesse dal suo posto. Finalmente, quando l'uomo di Dio, tracciando il segno della croce, diede
loro la benedizione e il permesso, tutti insieme volarono via.
I compagni, dalla strada, stavano a guardare lo spettacolo. Ritornato fra loro, I'uomo semplice e puro
incominciò ad accusarsi di negligenza, perché fin allora non aveva mai predicato agli uccelli.
1207 4. Passò, poi, a predicare nei luoghi vicini e giunse ad un paese, che si chiama Alviano. Qui, adunato il
popolo e indetto il silenzio, non riusciva a farsi sentire a causa delle rondini, che avevano il nido proprio lì e
garrivano a tutta forza.
L'uomo di Dio, alla presenza di tutti gli ascoltatori, così si rivolse alle rondini: “ Sorelle mie rondini,
adesso è venuto il momento che parli io, perché voi avete parlato abbastanza. Ascoltate la parola di Dio, in
silenzio, fino a quando la predica sarà terminata”. E quelle, quasi fossero dotate di intelletto, tacquero
immediatamente; né si mossero dal loro posto finché la predica fu terminata.
Tutti, a quello spettacolo, furono pieni di stupore e diedero gloria a Dio.
La fama di questo miracolo si diffuse tutto intorno, suscitando in molti venerazione per il Santo,
devozione e fede.
1208 5. Nella città di Parma, uno studente universitario di buona indole, mentr'era impegnato nello studio con
alcuni compagni, infastidito dal chiacchiericcio importuno di una rondine, si mise a dire: “ Questa rondine deve
essere una di quelle che disturbavano l'uomo di Dio Francesco, mentre una volta stava predicando, e che lui
fece tacere ”. Poi, volgendosi alla rondine, disse con fede: “ In nome del servo di Dio Francesco ti comando di
venire da me e di tacere immediatamente! ”.
E quella, udito il nome di Francesco, da brava discepola dell'uomo di Dio, tacque sull'istante e andò a
rifugiarsi, con tutta sicurezza, nelle mani dello studente.
Stupefatto, egli la restituì immediatamente alla libertà: e non sentì più i suoi garriti.
1209 6. Una volta il servitore del Signore stava predicando in riva al mare, a Gaeta. La folla, per devozione, si
accalcava intorno a lui per toccarlo. Volendo il servo di Cristo sfuggire a tutta quella gente osannante, saltò,
solo, su una barca che si trovava sulla riva. E quella, come fosse pilotata dalla forza di una misteriosa spinta
interiore, senza alcun rematore, si allontanò un bel pezzo da terra, sotto lo sguardo ammirato di tutti i
presenti.
Addentratasi per un po' nel mare, restò poi immobile in mezzo alle onde, per tutto il tempo che all'uomo
di Dio piacque di predicare alle turbe in attesa sul lido.
Ascoltato il discorso e visto il miracolo, la moltitudine si stava allontanando, dopo aver ricevuto dal
Santo la benedizione, per non molestarlo oltre: e allora la barca tornò da se stessa a riva.
Chi potrebbe, a questo punto, avere un cuore così ostinato ed empio, da disprezzare la predicazione di
Francesco, dal momento che, per la Sua virtù miracolosa, gli esseri privi di ragione accoglievano i suoi
;insegnamenti e perfino i corpi inanimati, quasi acquistassero un'anima, si mettevano al servizio del
predicatore?
1210 7. Lo Spirito del Signore, che lo aveva unto e inviato , assisteva il suo servo Francesco, ovunque si
dirigesse; lo assisteva Cristo stesso, potenza e sapienza di Dio. Per questo le sue parole sovrabbondavano di
sana dottrina e i suoi miracoli erano così splendidi ed efficaci.
Era, la sua parola, come un fuoco ardente, che penetrava l'intimo del cuore e ricolmava d'ammirazione
le menti; non sfoggiava l'eleganza della retorica, ma aveva il profumo e l'afflato della rivelazione divina.
1211 Una volta, che doveva predicare davanti al Papa e ai cardinali, per suggerimento del cardinale di Ostia
aveva mandato a memoria un discorso stilato con ogni cura. Se non che, quando si trovò là in mezzo, al
momento di pronunciare quelle parole edificanti, dimenticò tutto e non riuscì d spiccicare nemmeno una frase.
Allora, dopo aver esposto con umiltà e sincerità il suo imbarazzo, si mise a invocare la grazia dello Spirito
Santo. Immediatamente le parole in cominciarono ad affluire così abbondanti, così efficaci nel commuovere e
piegare il cuore di quegli illustri personaggi, da far vedere chiaramente che non era lui a parlare. ma lo Spirito
del Signore.
1212 8. Quello che esigeva dagli altri con le parole, lo aveva preteso prima da se stesso con le opere; perciò
non temeva censori e predicava la verità con estremo coraggio.
Sapeva non lusingare le colpe, ma sferzarle; non blandire la condotta dei peccatori, ma abbatterla con
dure rampogne. Con pari fermezza di spirito parlava ai piccoli e ai grandi, e provava uguale gioia nel parlare a
pochi e a molti .
Gente di ogni età e d'ogni sesso correva a vedere e ad ascoltare quell'uomo nuovo, donato dal cielo al
mondo. Egli pellegrinava per le varie regioni, annunciando con fervore il Vangelo; e il Signore cooperava.
confermando la Parola con i miracoli che l'accompagnavano.
Infatti, nel nome del Signore, Francesco; predicatore della verità, scacciava i demoni, risanava gli
infermi, e, prodigio ancor più grande, con l'efficacia della sua parola inteneriva e muoveva d penitenza gli
ostinati e, nello stesso tempo, ridonava la salute ai corpi e ai cuori.
Lo stanno a dimostrare alcuni dei prodigi da lui operati, che ora riferiremo a modo di esempio.
1213 9. Nella città di Toscanella fu accolto devotamente come ospite da un cavaliere. Accondiscendendo alla
sua grande insistenza, il Santo prese per la mano il suo figlio unico, rachitico fin dalla nascita, e
immediatamente glielo restituì in perfetta salute: sotto gli occhi di tutti, le membra del corpicciolo si
rassodarono sull'istante e il bambino si levò su, sano e forte, camminando e saltando e lodando Dio .
1214 Nella città di Narni, per l'insistenza del vescovo, benedisse un paralitico, privo dell'uso di tutte le
membra, tracciandogli un segno di croce dalla testa ai piedi, e gli ridonò salute perfetta.
1215 Nella diocesi di Rieti, una madre in lacrime gli presentò il suo bambino, da quattro anni cosí gonfio che
non riusciva nemmeno a vedere le proprie gambe: il Santo lo toccò appena con le sue sacre mani e lo rese
perfettamente sano.
1216 C'era, vicino alla città di Orte, un bambino tutto rattrappito, che aveva la testa congiunta ai piedi e
parecchie ossa rotte.
Commosso dalle lacrime e dalle preghiere dei genitori, il Santo lo benedisse col segno della croce, e
quello si rizzò con le membra ben distese, guarite all'istante.
1217 10. Una donna della città di Gubbio aveva tutt'e due le mani rattrappite e secche, tanto che non poteva
assolutamente farne uso. Appena il Santo le fece il segno della croce nel nome del Signore, guarì così
perfettamente che, tornata subito a casa, si mise a preparare con le proprie mani il cibo, come un tempo la
suocera di Simone, a servizio di Francesco e dei poveri.
1218 A una bambina cieca di Bevagna restituì la vista desiderata, spalmandole gli occhi con lo sputo per tre
volte, nel nome della Trinità.
Una donna della città di Narni, colpita da cecità, recuperò la vista appena egli l'ebbe benedetta.
Un bambino di Bologna aveva un occhio tutto coperto da una macchia e non vedeva assolutamente
niente. Non si riusciva a trovare nessun rimedio per aiutarlo. Ma dopo che il servo del Signore gli ebbe fatto il
segno della croce, dalla testa ai piedi, riacquistò una vista limpidissima. In seguito entrò nell'Ordine dei frati
minori e diceva di vederci molto più chiaro dall'occhio guarito che non dalI'occhio ri
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