PASSIONE E RAGIONE LE DUE META’ DI UNA REGINA DI FRANCIA La vita di una regina di Francia alla corte di Versailles del settecento non è facile: fra inimicizie e tradimenti, l’astio del popolo e una madre prepotente la giovane Jeanne ha visto la sua vita sgretolarsi. Ma nel cuore di una regina c’è posto anche per altro. Cosa prevarrà? La ragione di restare a Versailles o la passione per un giovane duca che le ha rubato il cuore? Tagliabue Alessia -1Jeanne e mani del mio maestro si muovono veloci sul pianoforte. I miei piedi seguono quella danza invisibile che mi suggerisce la musica. Dai Jeanne, spingiti più in alto, brava, così. La voce e il viso Ldi mio padre stanno nei miei occhi, dentro le palpebre abbassate, perché a danzare con gli occhi aperti non ce la faccio e intanto immagino il suo sorriso, i suoi occhi luminosi, tutto. E’ morto tre anni fa, ai festeggiamenti per il matrimonio di mio fratello Edoardo. Mia madre ha preso il lutto a vita per questo, o forse sarebbe meglio dire la cattiveria a vita. -E un, due, tre. Un due,tre, un, due, tre... così Jeanne, brava. La voce del mio maestro, George Christopher Meier, mi raggiunge in un angolo imprecisato della mente. Ora m’importa solo della musica. Lavo via il ricordo del volto arcigno di mia madre, dei suoi rimproveri, delle sue sgridate e mi tuffo ancora di più fra le note. -Basta Jeanne, basta. La lezione è finita. Complimenti, stai molto migliorando. I miei occhi si aprono, sorrido. -Grazie. Afferrò le mie cose e lascio il mio maestro sorridente che prova qualche accordo al pianoforte. Scendo di corsa le scale e per poco non travolgo due servette appartate in un angolo a chiacchierare fitte fitte. Il loro discorso si interrompe. -Oh, scusateci, scusateci! Lancio loro uno di quegli sguardi che mia madre definisce aristocratici e rallento sulla grande scalinata di marmo. Le mie sorelle, Anne e Elizabeth, le due badesse di famiglia, stanno parlando con fare concitato in fondo allo scalone. Rallento ancora e scendo camminando con grazia dalle scale, cos’ avranno poi da dire tutti oggi! Quando passo davanti a loro però il discorso si interrompe. -Oh, buongiorno Jeanne. – il tono è quello di “togliti di mezzo che non t’importa di quello che diciamo noi”. Immusonita arrivo fino alla mia stanza. Nel palazzo c’è uno strano fermento ma sembra che solo io non ne faccia parte. Nei corridoi c’è gente che parla, gente che corre, sussurri concitati ed esclamazioni di sorpresa sono sulla bocca di tutti. Ma quando arrivo io tutti tacciono. Mi sento un’estranea, un’esclusa. Entro nella mia camera e chiamo la mia cameriera che mi aiuta a vestirmi e a pettinarmi. Agghindata e profumata, come si conviene ad una arciduchessa, come dice mia madre, ora non so più che fare. Uscire e sentirmi estraniata o restare in camera ad annoiarmi? Congedo stizzita la mia cameriera e mi sdraio sul letto. La signorina Heatcliff, la mia istruttrice, di solito a quest’ora viene a chiamarmi per fare ripetizioni di francese e, nel caso, di tedesco. Mia madre si è impegnata a darmi un’educazione a stampo religioso ma per quanto riguarda le lingue... L’unica che amo davvero è l’italiano, il francese mi annoia mentre il tedesco, nonostante sia io stessa austriaca, mi sembra duro e gutturale, troppo difficile. Ma la signorina Heatcliff è irremovibile. Sento due colpi sulla porta. -Avanti contessa. – rispondo alzandomi e lisciando l’abito. Ma non è la contessa. E’ Anne. - Jeanne, nostra madre ti desidera nel suo studio. Le sorrido con garbo anche se Anne non è esattamente fra le mie sorelle preferite e la fissò finché non capisce che è di troppo ed esce stizzita. Aspetto di sentire i suoi passi che si allontanano e poi esco dalla mia camera. Cosa vorrà mia madre? Mi spiegherà che cosa sta succedendo? Mi sgriderà per qualche colpa che non ho mai commesso inventata da Anne? Cammino piano finché non arrivo davanti al suo studio. Mi sudano la mani. Mia madre non è esattamente una donna dolce, materna e comprensiva. Se almeno ci fosse Caroline! Caroline è mia sorella, ha tre anni in più di me, è la mia migliore amica e le voglio un sacco di bene. Un anno e mezzo fa è andata in Spagna per sposarsi con il re e fra poco le nascerà il suo primo figlio. Lei saprebbe di sicuro cosa fare, non aveva paura di nostra madre, anzi! Era ribelle e aveva il coraggio di risponderle e penso che mia madre si rivedesse in lei. Ma adesso Caroline non c’è e devo cavarmela da sola. Busso delicatamente alla porta. - Jeanne, sei tu? -Sì madre. -Entra, entra tesoro. Tesoro? Qui c’è in ballo qualcosa di serio! Entro timidamente e la trovo seduta sull’imponente sedia di legno massiccio di mio padre. -Mi avete cercato? -Certo Jeanne. Siediti pure e mettiti comoda, ti sto per dare una bella notizia. Mi siedo sulla pesante seggiola di fronte a mia madre, preoccupata. La sua e la mia concezione di bella notizia non sono proprio identiche. -Sai bene che è compito di ogni giovane principessa, come te, che sei anche arciduchessa, lavorare per il prosperare della patria. Ahi ahi, qui c’è puzza di bruciato, se si inizia con questi discorsi! -Tua sorella Caroline sta facendo un egregio lavoro ed è ora che anche tu- e qui sorride - dimostri di avere a cuore l’interesse del nostro regno. Saprai di certo delle nostre secolari guerre con la Francia. Annuisco. -Saprai quindi anche della nostra neo alleanza. E cosa c’è di meglio di un matrimonio per cementificare un’alleanza? Mi drizzo sulla schiena, punta sul vivo. La paura svanisce del tutto. -Io non sposerò nessuno madre. Non voglio sposarmi per un fine politico e lo sapete. Voglio sposarmi con un uomo che amo. Caroline sarebbe fiera della mia risposta. Probabilmente ha risposto anche lei così, all’epoca del suo matrimonio. Mia madre assottiglia gli occhi. -Saresti così egoista da lasciar morire il tuo paese, da non osservare un’alleanza per cosa? L’amore! Come sei giovane e inesperta figlia mia! E come sei ingenua! Tu sposerai il delfino di Francia, che lo voglia o no, amore o non amore. Il suo tono non ammette repliche ma io la fisso in cagnesco. -No, io non sposerò il vostro caro delfino. La risata che le sgorga dalle labbra mi fa raggelare. - E’ tutto pronto figliola. Tu sposerai il delfino di Francia, Luigi, e non ammetto repliche, non una parola, non un fatto, non un solo, unico, pensiero a fare qualcosa oltre le mie richieste, ci siamo capite Jacqueline? (Il fatto che mi chiami con il mio nome di battesimo indica quanto sia arrabbiata, di solito sono per tutti Jeanne) Mi sento gelare. Un conto è risponderle, un altro passare ai fatti. Le lacrime minacciano di uscire ma non voglio, non di fronte a lei, non di fronte a lei che mi sta mandando in Francia, me, sua figlia, per una stupida alleanza. Mio padre avrebbe detto che lo facevo per il bene del paese, che il delfino mi avrebbe amata, di non preoccuparsi. Sarebbe stato buono e mi avrebbe consolata. Ma lei non ne è capace. Le mostrerò che sono capace di sopportarlo, che io sono superiore. La fissò con aria di sfida. -E sia madre. -Ottimo – dice con aria annoiata, come se fosse stata già certa della sua vittoria – quindi mia cara sei la futura Jacqueline dauphine de France. Jacqueline, delfina di Francia. -2Il cardinale De Chalers a voce della signorina Heatcliff mi arriva lontana, come se fossi coperta da una cappa. Ho pianto ore dopo l’annuncio di mia madre. Mi sento intontita, estranea al fermento che c’è a palazzo. LFosse per me mi sposerei con un abito da contadina in una fattoria, sai che m’importa di acconciature, abiti e doti varie. - Jeanne, Jeanne! Mi riscuoto dal mio torpore e fisso la signorina Heatcliff. In un certo senso è stata come una madre per me in questi tredici anni ma in questo momento, tutta eccitata per questo stupido matrimonio, mi sembra un’estranea. - Oui madame Heatcliff? Sapevo che era un segno del destino che non mi piacesse il francese e ora tutti mi costringono ad allenarmi a parlarlo. -Vostra madre vi ha già avvertito, penso, dell’imminente arrivo del cardinale De Chalers! -Il fioraio? Anzi no il sarto? – troppi nomi francesi in questo matrimonio. Mi fissa scandalizzata. - No. Mia cara Jeanne, suvvia... -Suvvia, chi è poi questo cardinale! La signorina Heatcliff è inorridita. -Sarà il vostro istruttore. Arriverà fra una settimana dalla Francia per controllare la vostra preparazione sulle lingue, sulla religione e su altre cose indispensabili a una delfina. E per quel termine voi dovrete essere preparatissima. In una settimana vengo inondata da una marea di libri e nozioni noiosissime. Mia madre non si è mai preoccupata che non sapessi scrivere correttamente neppure il tedesco e ora per questo cardinale francese ecco che mi fa diventare matta a forza di oui madame e oui monsieur, Je m’appelle Jacqueline e un sacco di altre cose. Le notti sono tormentate e piene di incubi, spero che questo cardinale mi trovi impreparata e che questo matrimonio non si faccia! Mia madre mi controlla in continuazione ma non assiduamente come pensavo. Forse è convinta che non sia capace di passare ai fatti, che minacci e basta. Forse è così. Ho un assoluto bisogno di mio padre e di mia sorella. Se il primo è impossibile, la seconda un po’meno. La sera prima dell’arrivo del cardinale mi decido, prendo il calamaio e un foglio da lettere e inizio a scrivere alla mia Caroline. Cara Caroline, Mi manchi. Ho un assoluto bisogno di qualcuno che mi ascolti e che mi capisca e che non sprizzi scintille di gioia quando si parla di Francia. Odio nostra madre. Odio il suo modo di fare e la sua arroganza e odio quello che mi sta facendo. Ma non capisce cosa sto passando? Non comprende i miei sentimenti? A palazzo c’è un sacco di fermento. Certo, tu lo sai più di me, ci sei già passata ma per me è orribile. Domani arriverà il cardinale De Chalers, per controllare la mia preparazione religiosa,linguistica ecc. Cos’è, pensano che sia troppo stupida per il loro delfino? Sai, anche la signorina Heatcliff è tutta eccitata, tutta felice, mi parla in francese ogni singolo momento e mi dice “che fortunata bambina mia”. Odio anche lei. Anne poi! Mi guarda tutta compunta e mi dice: - Jeanne, il signore ha scelto questo destino per te, ringrazialo e non lamentarti, perché sei stata prescelta! Che rabbia! Mi sembra di essere in una scatola, guardando la mia vita già preparata, già pronta, già decisa, che aspetta solo che io finga di viverla. Luigi potrebbe essere anche l’uomo più bello della terra, più dolce e comprensivo ma io voglio scegliere da me chi sposare, chi amare e con chi passare la mia vita. Nostra madre potrebbe notare la candela accesa e scoprire questa lettera, quindi ora ti lascio, con affetto, La tua Jeanne -Signorina Jeanne, signorina Jeanne. Forza è ora di svegliarsi, il cardinale sarà qui a momenti. Apro un occhio e fisso la mia cameriera, Marie. Marie è una donnetta piccola con due occhioni neri e le labbra sottili, energica e svelta e discreta al punto giusto. Nonostante ciò non voglio assolutamente alzarmi ma quella piccola donnetta mi toglie le coperte di dosso. Fa così freddo, ormai siamo a dicembre inoltrato! Marie mi infila in un abitino strettissimo e sfarzoso, stile rococò, e mi pettina i capelli in una pettinatura piramidale. O mio Dio, ma chi è questo cardinale? Scarpette preziose e un velo di trucco e scendo dalla scalinata di marmo come una principessa ( beh, del resto lo sono). Quanto vorrei che mio padre fosse qui, a sorridermi e a dirmi: - Jeanne, sei meravigliosa. Ma mio padre non c’è. -Alla buon’ora Jeanne, hai tempo di mangiare qualcosa e poi andremo ad accogliere il cardinale. Tento di non sbuffare di scontentezza e mi esce un suono a metà fra uno sbadiglio e una smorfia. Finisco di mangiare e arrivo velocemente nell’ingresso. Usciamo tutti nell’aria fresca. Rabbrividisco e penso alla lettera accartocciata che brucia nel mio caminetto. Sono una codarda. Caroline di certo scriverebbe qualcosa a mia madre, che mi scoprirebbe e allora... Sono una codarda, codarda, codarda, codarda. All’improvviso una carrozza arriva nel viale. E’ molto bella, di legno scuro, ma quando vedo lo stemma francese sulla fiancata digrigno i denti. La porticina si apre e ne esce un uomo basso e rotondo, di età indefinita, con due occhi vispi e intelligenti. Mia madre sorride mielosa. - Bienvenue, monsieur De Chalers. -Merci. Gli occhi del cardinale si posano su di me e mi esaminano velocemente. Con gli occhi di mia madre che mi perforano la schiena abbozzo un mezzo inchino. -Siete voi Jacqueline? Sono tentata di rispondergli no, che io sono Jeanne, che non voglio venire da lui, invece sorrido. - Oui monsieur. -Siete assolutamente incantevole, principessa, il nostro delfino deve essere fiero di poter sposare una creatura affascinante come voi. Sorrido con grazia, ma mi prudono le mani. - L’onore è mio monsieur De Chalers. Convenevoli finiti. Il signor cardinale va nella sua stanza e m’informa che le lezioni inizieranno nel pomeriggio. -Sembravate un salame Jeanne, cosa vi hanno insegnato in tutti questi anni? La frecciatina di Anne mi sfiora appena, sono stanca e tristissima. E’ come essere sul ciglio di un burrone ed essere lì lì per cadere. Non c’è nessuno che mi vede, nessuno che mi ferma. E la colpa è anche mia. Il pomeriggio arriva troppo in fretta, e prima che me ne accorga sono seduta nell’imponente biblioteca del castello. Il cardinale De Chalers mi dà libri su libri da leggere, capitoli su capitoli da tradurre. Ma sono svogliata e mi distraggo spesso. Non sono abituata a questo tipo di educazione, nonostante le temporanee follie della signorina Heatcliff. Spero che il cardinale se ne accorga, ma intanto sono passati tre giorni. Il quarto giorno entra nella biblioteca con un sorrisetto che non mi piace. -Mia cara Jacqueline – sbuffo – ho notato che non siete abituata, e che non vi aggrada, il mio normale metodo di insegnare. Perciò ho preparato delle lezioni appositamente preparate per voi oh mamma! - basate su delle conversazioni nei vari ambiti che vi saranno poi richiesti a Versailles. Potrei fingere di non essere brava, di non essere all’altezza del delfino, di buttare all’aria il matrimonio, ma non ci riesco. Sono troppo orgogliosa e ambiziosa, come mia madre, per fingere di essere stupida. Le domande del cardinale De Chalers sono come proiettili, ma io li paro tutti, rispondo a tutto con grazia e naturalezza. In italiano, in francese, in tedesco. Sulla religione, sull’etichetta, sulla cultura. Il cardinale è sorpreso, conquistato. So che non dovrei ma il cardinale comincia a diventarmi simpatico. Forse i francesi l’hanno scelto apposta, per fare in modo che alla fine mi convinca ad andare in Francia. Dopo una settimana il cardinale se ne va. Ho paura. Vorrei che mia madre mi dicesse che il matrimonio è fallito, ma non sono abituata ai fallimenti. In questo caso però me ne farei una ragione. Ma i mesi passano, della Francia non si sente più parlare, tranne a volte fra le domestiche. Ormai è aprile e sono calma e tranquilla. Certo, ho ancora quel vago sentore di pericolo ma è basso e quasi spento. Finché, a metà aprile, mia madre mi convoca nel suo studio. -Cara Jeanne, sono molto fiera di te. In questi mesi ti sarai spaventata, avrai pensato male, e invece no. Che stupida! Cosa pensavo, che non sarebbe più successo nulla? Che un matrimonio così importante finisse così? Senza niente? Che cadesse nel dimenticatoio? Mi sento morire. -Il 20 maggio ci sarà il fidanzamento ufficiale fra te e Luigi, delfino di Francia, E’ come se esplodesse una bomba. Nel castello ricompare lo stesso fermento che c’era prima che arrivasse il cardinale. Tutti parlano, tutti sorridono, tutti parlano in francese. Nessuno si accorge di una giovane arciduchessa confinata nella sua stanza. Troppo occupata a piangere per prendere parte all’euforia generale -3Nozze per procura l tempo è sempre uguale. Le giornate passano veloci, monotone. Acconciature, a migliaia. Abiti, di più. Fiori, una miriade. Frasi di cortesia e etichetta francese, non ne parliamo. I Sono un guscio svuotato trascinato da una corrente folle di persone ancora più folli. Mia sorella Caroline mi scrive lunghe lettere in cui mi chiede se sono felice, cosa provo, di raccontarle cosa accade a palazzo. Non le rispondo. So che non lo merita ma non ce la faccio. E’ già difficile vivere tutto questo, raccontarlo è impossibile. La signorina Heatcliff ha chiamato una famosissima sarta svizzera a cucirmi tutti gli abiti (enormi, sfarzosi e rococò) da portare a Versailles, mia madre ha invitato il famoso parrucchiere Léonard a palazzo per scegliere le più belle acconciature che sfoggerò poi in Francia. Non trovo più conforto nemmeno con la danza e con la musica. Ma anche se volessi ormai mia madre me lo impedisce. Il mio maestro di musica si è lamentato con lei ma è stata irremovibile. Niente frivolezze per una futura delfina. Frivolezze, certo. Come se abiti ed acconciature non lo fossero. Marie è stata costretta da mia madre a parlarmi in francese. Ormai quasi nessuno mi chiama Jeanne. Sono per tutti Jacqueline. Lo odio. Odio tutto e tutti. Voglio mio padre e Caroline. Ma non posso. Ormai è mattina. L’ennesima dopo una notte tormentata. Marie mi scuote energica. - Signorina Jacqueline, è arrivato monsieur Ducreaux, il pittore. Mi trascino giù dalle scale stretta in un abito bianco e grigio e con i capelli elaboratissimi e strettissimi. Monsieur Ducreaux è il pittore reale di Francia. Mi fa accomodare seduta accanto a una tenda di velluto blu e oro. Vorrei rimanere con il broncio durante tutta la seduta ma il pittore mi guarda con aria critica. -Suvvia mademoiselle, un sorriso, non è di certo un funerale. No, penso arrabbiata, è molto, molto peggio. Ducreaux parte appena finito il disegno. Un mese dopo arriva quello di Luigi Augusto. Mia madre arriva in camera mia tutta agitata. -Vieni Jeanne - si dimentica addirittura di chiamarmi Jacqueline – è arrivato il ritratto di Luigi Augusto. Luigi non è di certo bellissimo ma non è poi così male. Con la parrucca, gli occhi scuri, le labbra sottili, il naso bel diritto e il portamento regale è un bell’uomo. Mia madre è emozionata come una bimbetta la sera di Natale. -Hai visto? Te lo dicevo io. Ma la questione non cambia. Io non lo voglio comunque sposare. Anche se questo non lo dico a mia madre. Il ritratto viene appeso sul muro del salone, dove ci sono tutti i ritratti di famiglia. Ducreaux mi ha anche fatto un altro ritratto, appeso vicino a quello del delfino. Tutte le volte che mia madre vede i due ritratti sorride e li accarezza. Ho il voltastomaco. Caroline ha smesso di chiedermi come va e mi racconta solo cosa accade in Spagna. Sono molto più sollevata. Tra un mese ormai partorirà. Il 20 maggio ormai è arrivato. Sono ben vestita e ben pettinata, il castello è pieno di nobili e aristocratici. Mia madre sorride a tutti. La gente mi guarda e mi fa i complimenti. Quando viene annunciato ufficialmente il mio fidanzamento la sala è scossa da un boato. Vorrei cadere a terra o scappare ma ho troppi sguardi, troppe occhiate inquisitorie da parte di mia madre e di mia sorella Anne e troppe responsabilità che mi accollerei se lo facessi. I brindisi e gli auguri continuano fino a tarda notte ma io mi congedo prima. Nonostante tutto non trovo nulla per festeggiare e a fingere non sono brava. La gente pensa che mi congedi per l’emozione. Meglio. I giorni che seguono il fidanzamento, le settimane e i mesi sono tutti uguali. Sfilate interminabili di preparativi, frasi in francese e un’infinità di frivolezze che mascherano bene un matrimonio puramente politico. Il matrimonio per procura si terrà il 19 aprile. 19 aprile 1709. Che schifo.. Sposerò un uomo senza sapere chi è. Lui mi sposerà in Francia e io lo sposerò a Vienna. Caroline ha il suo primo figlio. L’ha chiamato Ferdinando Alessandro Giuseppe. Alessandro era mio padre. Sono felice, per quanto possa esserlo qualcuno nelle mie condizioni. Passano i mesi. Quattro mesi prima del matrimonio mia madre mi chiama a fare una passeggiata nei giardini del palazzo. Parliamo insieme per tutto il pomeriggio ma nessuna di noi ha il coraggio di sfiorare l’argomento matrimonio. Siamo impacciate e timide e mi si stringe il cuore. Non sembriamo di certo madre e figlia. Anche i giorni seguenti mia madre mi invita a bere il tè nel suo studio, a passeggiare, a cavalcare in campagna. Chiacchieriamo di molte cose, tranne che del matrimonio, e a volte mi sorprendo a ridere insieme a lei. Ormai mancano due mesi. Caroline continua a scrivere e stavolta le rispondo. Racconto quello che succede a palazzo, le novità del matrimonio, ma racconto tutto come se non lo vivessi, di me non parlo. Manca un mese. Io e mia madre continuiamo a trovarci nel pomeriggio. E’ bello sapere che prima di partire per andare a Versailles, la sfarzosa residenza dei reali francesi, il nostro rapporto si sistemerà. Partirò per la Francia tre giorni dopo le nozze per procura. Le nozze sfarzose e solenni si terranno più tardi a Versailles. Mancano due settimane. Gli abiti per la Francia sono tutti pronti, le carrozze pure. Passo molto tempo nello studio di mio padre, quando mia madre non c’è, e parlo con il suo ritratto, immaginando che mi possa rispondere. Sul fatto che mi ascolti non ho dubbi. Manca una settimana. Anne mi ha regalato una sottile catena d’argento. -Così in Francia ti ricorderai di noi. Io e mia madre continuiamo a parlare e a passeggiare insieme. Ma il matrimonio è ancora tabù. Mancano tre giorni. Fino a quando non partirò per la Francia condividerò la camera con mia madre. Ho salutato la stanza che mi ha ospitata per quattordici anni e ho abbracciato Marie, che dopo la mia partenza si occuperà di servire Anne. Abbiamo pianto entrambe. Domani mi sposo. Io e mia madre siamo rimaste abbracciate nel letto tutta notte. -Mia cara, è così che mi sono sentita io a sposare tuo padre. Quando l’ho conosciuto però, ho imparato ad amarlo. Lo amavo e lo amo ancora mia piccola Jeanne e vorrei tanto che lui fosse qui. Saprebbe di certo come spiegarti tutto questo, anzi l’avrebbe sempre saputo. Non avresti passato questo anno terribile. Ma io non sono capace di fare tutto ciò che faceva lui. Ti auguro solo di essere una madre migliore di me Jeanne. Ci addormentiamo entrambe con gli occhi lucidi. Il giorno dopo mi alzo troppo presto, ho gli occhi gonfi e la voce impastata. Mia madre chiama uno stuolo di cameriere a vestirmi, a truccarmi, a pettinarmi. Quando tutti escono, compresa mia madre, mi guardo allo specchio. Io vedo solo una ragazza di quattordici anni ben vestita. Non so come facciano gli altri a vedere un’ arciduchessa, una futura delfina, una donna capace di sopportare tutto questo. La tensione mi stritola pezzo dopo pezzo. Stasera non sarò più Jeanne. Non sarò più l’arciduchessa d’ Austria, la figlia di Irene d’Asburgo, l’imperatrice. Stasera sarò Jacqueline, delfina di Francia, moglie di Luigi. Mi devo sedere, colta dai capogiri. Quando arriva l’ora del matrimonio scendo impacciata le scale. Papà, dove sei? Mi servi, ho un assoluto bisogno di te. Mi manchi. Se non ci sei tu io impazzisco. Perché te ne sei andato? Ti prego papà, aiutami. Sono di fronte al cardinale. Inginocchiata sul pavimento di marmo freddo vedo la mia vita che se ne va. Tutta la corte, tutti i miei fratelli e le mie sorelle, mia madre, i nobili austriaci mi guardano. -Accetti tu, Jacqueline, arciduchessa d’Asburgo e principessa del Sacro Romano Impero, di prendere in sposo Luigi, delfino di Francia e di amarlo e onorarlo per tutta la tua vita ? No, no, no, no, no, no, no. Aiuto papà, aiuto. Dove sei andato? Alzo gli occhi verso il vescovo e lo fisso con i miei enormi occhi blu. -Sì, accetto. E’ come una pugnalata. Jeanne rimane lì, inginocchiata sul pavimento di marmo, dilaniata dal dolore, impotente. Quella che si alza titubante è Jacqueline, delfina di Francia. -4Viaggio verso Versailles festeggiamenti sono sfarzosi ma per me è come se non ci fossero. C’è tanto cibo, tanta musica, tanti sorrisi, tanti complimenti, tanti fiori, tanti regali. Ma mi scivolano addosso come se fossero I acqua. Durano due giorni. La sera del secondo giorno il palazzo si calma, la gente se ne va e io dormo con mia madre seminascosta dalle coperte pesanti e dalle sue braccia. E’ l’ultima notte. L’ultima di tutto. L’ultima che passo a Vienna, l’ultima che passo con la mia famiglia, l’ultima notte di Jeanne. Anzi, Jeanne è ancora nella grande cappella. Ancora lì che mi guarda con odio, che mi urla in faccia: -Perché mi hai tradita? Hai avuto le opportunità di mandare all’aria questo matrimonio, hai avuto l’opportunità di avere una tua vita e invece no, hai mandato tutta la tua vita all’aria, ti sei chiusa i lucchetti delle catene da sola, hai sbattuto tu stessa la chiave lontano. Perché? Già, perché? Mi sento spezzata, dilaniata, graffiata, uccisa dentro. Tutta la mia vita è stata spaccata, anche me stessa . E i cocci sono troppi per poterli incollare insieme. Per poter fare ancora qualcosa di sensato. Mia madre non mi dice niente, asciuga solo le mie lacrime con un fazzoletto di pizzo. Ripete con aria dolce: - Jeanne, Jeanne, bambina mia, non piangere, noi saremo sempre qui e ti vorremo sempre bene. Ma neanche questo riesce a sistemare i cocci sparsi dei miei sogni e della mia vita infranti. Non c’è nulla che lo possa fare. Mi addormento che è ormai mattina e riposo solo per poche ore, finché mia madre mi sveglia dolcemente. - E’ ora. Le valigie e le carrozze sono pronte. La mia famiglia è pronta. Tutti mi salutano mi abbracciano, mi consolano. La catena di Anne brucia contro il petto. L’unica cosa che non è pronta sono io. Salgo in carrozza con la morte nel cuore. Fisso distrutta la mia casa, i miei sogni, la mia famiglia, la mia vita. I cocci della mia esistenza infranta sussultano. E fanno male. -Addio Jeanne, ricordati di noi. Addio, ricordatevi di me. Ma non riesco a dirlo. Ho un doloroso groppo in gola che fa male e non mi fa parlare. I miei occhi si gonfiano ma mi devo dare un contegno, almeno fino a quando non sarò sola. -Addio Jeanne, restate una buona tedesca. – La voce di mia madre mi arriva lontana. La porta della carrozza si chiude. Mi affaccio al finestrino. Non vedrò più questo posto, non passeggerò più nei giardini, non parlerò più con la mia famiglia. E’ la fine di tutto, anche di me. Il frustino cala sui cavalli. La carrozza parte, insieme alle altre quarantasette decise da mia madre, tutte sfarzosissime. Non m’importa neppure questo. Mi affaccio al finestrino e guardo la mia vita spezzarsi. Il filo invisibile che mi lega alla mia casa si spezza. Fa malissimo. Mi sdraio sul sedile come una neonata e piango finché svuotata finalmente mi addormento. Il viaggio è lungo, faticoso e fastidioso. Vienna se ne va velocemente, l’Austria anche. Ad ogni tappa che raggiungiamo vengo acclamata e salutata. Mi devo abituare completamente al nome Jacqueline gridato e acclamato dalla folla. Vedo pezzenti e donne sporche e malate, uomini che si trascinano su una gamba, vecchie sdentate e mezze cieche che camminano senza forza per le strade, bambini piccoli che piangono. Vedono le mie quarantasette carrozze, la ricchezza che trasudano, il mio viso annoiato e triste. Chissà cosa pensano. Potrei fermarmi e fare qualcosa per loro, o almeno sorridere. Ma sono troppo chiusa nel mio dolore per preoccuparmi di loro. E’ egoista, lo so, basterebbe chiamare uno del mio seguito e dirgli di lanciare alcune monete d’oro tra la folla, solo per vederli sorridere, ma non lo sopporterei. Non sopporterei di vedere loro così contenti e io così triste, così angosciata, così disperata. E’ il ragionamento più egoista che possa essere concepito da una mente umana. Mio padre ne sarebbe disgustato, Caroline mi guarderebbe sbalordita, forse solo mia madre non ci baderebbe. Forse. O forse no. Sono trascorse due settimane di viaggio. E’ arrivata l’ora di separarmi dal mio seguito tedesco, l’unica cosa che mi resta della mia casa. Non parlerò più con nessuno in tedesco, nessuno pronuncerà più un familiare “ja”. Avrò un seguito francese, delle persone francesi che mi parleranno solo in francese, solo “oui” o “mademoiselle Jacqueline”. Ora siamo a Shüttern, dove si terrà la cerimonia della remise. Il vento soffia impetuoso e mi arriccia la gonna, i miei occhi sono gelidi e fissano un punto lontano. Le acque del Reno sono gonfiate dall’aria. Nel mezzo del fiume c’è una piccola isola con un enorme padiglione di legno. Attraversiamo il fiume ed entro nel padiglione. Prima però fisso il mio seguito per l’ultima volta. -Addio – mormoro in tedesco. Entro nel grande padiglione. Il tessuto dell’abito mi scivola sulla pelle, il vento mi scompiglia i capelli sciolti, sbatte con forza sulle braccia increspate dalla pelle d’oca. Gli abiti austriaci vengono raccolti in gran fretta. Esco dal padiglione e mi immergo nell’acqua fredda fino alle spalle. Attraverso con difficoltà il fiume. Quando esco sono intirizzita di freddo e tremo. Entro nel padiglione che c’è dall’altra parte e vengo accolta da voci francesi e da abiti caldi. I capelli vengono asciugati e acconciati secondo la moda francese, come gli abiti. Dovrò diventare francese, nel corpo e nell’anima, ma la voce di mia madre mi brucia dentro. Rimanete una buona tedesca. Quando sono completamente rivestita una donna alta entra nel padiglione. Ha i capelli scuri e le labbra piene, è alta e secca e mi fissa con un sorriso. - Onorata di conoscervi mia cara Jacqueline. Bene, eccovi qua. Abbiamo dovuto aspettarvi per molto tempo, sapete? Io sono madame Maspret, Gran Maestra della Casa della delfina. La fisso per un po’ prima di ricordarmi che sono io ora la delfina. -Oh, molto onorata madame Maspret. Salgo su un’altra carrozza, con altre persone accanto a me. - Versailles vi piacerà, vedrete. Forse Versailles in sé, penso io, ma chi ci vive... Non riesco a disperarmi, ma neanche a sorridere. Mi sento atona, come se qualcosa mi avesse risucchiato via tutti i sentimenti. Dicono che il tempo guarisce tutte le ferite. Ma la distruzione di una vita? L’infrangersi dei sogni? La risposta mi arriva netta. No. Il viaggio è noiosissimo, ma ormai siamo in Francia e la gente mi acclama ancora di più, i loro visi arrossati e le mani tese in alto come a invocare qualcuno. Non mi sfiorano neppure. Sono preoccupata da questo mio modo di pensare. Da questa mia cattiveria. Dov’è andata Jeanne? Eppure fra gli scossoni della carrozza capisco che è inutile piangersi addosso e che devo iniziare a capire come funziona l’ambiente a Versailles. La contessa de Maspret è molto felice quando inizio a chiederle informazioni sulla vita che mi attende. Mi racconta del palazzo di Versailles, dei suoi abitanti, del Re Luigi, padre di mio marito (che orrore dire mio marito),della sua amante Madame Angoulême, delle figlie del re, Priscille, Lauren e Margaret, e di Luigi. In realtà non mi ha poi detto molto sulle persone di questa straordinaria reggia. -Le conoscerai. – mi ha risposto. Mentre parlava di Luigi ho visto una strana scintilla nel suo sguardo. Forse un po’ di malizia, forse un po’ di ilarità nel vedere una ragazza di quattordici anni che parla francese con un accento tedesco e che non ha ancora ben capito chi ha sposato. Il viaggio verso Compiègne è quasi terminato. Tra due giorni vedrò Luigi, la mia nuova casa, le persone con cui dovrò convivere tutti i giorni. Sto per sentirmi male. Manca un giorno, Compiègne è troppo, troppo vicina. La contessa de Maspret mi parla spesso. E’ simpatica e per ora è l’ unica “quasi alleata” che ho, quindi è meglio tenersela. Fra due ore arriveremo a Compiègne. Mi pettino e mi profumo con cura. Ho le budella attorcigliate e lo stomaco che fa male. Ho paura, troppa paura. Papà, perché è toccato a me tutto questo? Perché, perché? Siamo arrivati. La carrozza si ferma. Sento le voci provenire fuori dalla carrozza. Mi sudano le mani. La contessa de Maspret mi sorride e aspetta che la servitù apra la porticina. Un raggio di sole mi abbaglia gli occhi. Prendo fiato e scendo. La folla emette un boato di gioia, sento fischi e grida. Un uomo alto, dai capelli chiari e gli occhi neri, con un grosso naso aquilino, mi sorride e si fa avanti. - Bienvenue, mademoiselle Jacqueline, io sono il duca di Choiseul. Sorrido con garbo. -Monsieur. – dico chinando appena il capo. E poi vedo Luigi. -5Luigi Augusto, delfino di Francia i sarebbe da ridere, se la situazione fosse comica e non terribilmente seria. Mi verrebbe da rotolarmi per terra dalle risate, se quello non fosse mio marito. Perché credo proprio che quello C sia mio marito. Alto, più o meno robusto, dalla bocca storta e il naso troppo grande. Inorridisco. Gli occhi scuri mi fissano per un attimo. Sono l’unica cosa che riconosco. Sembra un rospo troppo cresciuto, con la parrucca sfarzosa e gli abiti ricamati. L’uomo del ritratto arrivato a Vienna dov’è? L’uomo che ho di fronte è una brutta copia del ritratto. Ma davvero una brutta copia. E’ goffo e sgraziato. Inorridisco ancora di più. Ma mi devo dare un contegno. -Monsieur Louis. Lui sorride. - Mademoiselle Jacqueline. Oddio che voce! Ma c’è qualcosa di decente in questo qua? E io l’ho anche sposato! Ora capisco la contessa de Maspret! Quel lampo nei suoi occhi era sì ilarità, ma al pensiero di come era mio marito! O mio Dio, salvami tu! Papà, dove sei? Non vorrai mica che io stia con questo qua eh? Ti prego fa qualcosa! Ti prego! Salgo sulla carrozza ufficiale accanto alla contessa e di fronte al delfino. Oddio. Sono costretta a conversare del mio viaggio, della salute di mia madre (cos’è, sperano che muoia presto?), di com’è l’Austria, di come si è comportato il seguito francese. Luigi non è proprio quel che si dice una persona “affabile”, ma perlomeno parla in una maniera decente! Il viaggio non dura molto ma abbastanza perché mi venga una paurosa sensazione di voltastomaco al pensiero della vita che mi attende. Se Luigi è così non oso immaginare come saranno le altre persone. Nello scendere dalla carrozza Luigi mi stringe a sé a braccetto. Ho la sensazione fortissima di ritrarmi disgustata da lui ma non posso e quindi sorrido cordiale e scendo dalla carrozza. Ecco Versailles. E’ assolutamente meravigliosa, grande, bella, circondata da giardini immensi. L’interno, poi! Saloni immensi, scalinate imponenti, stucchi e dipinti, statue e colore dovunque. La folla fuori dal palazzo mi acclama, sento il nome Jacqueline più volte. Il braccio di Luigi mi stringe troppo forte ma non ho il coraggio di spostarlo. Uno stuolo di domestici attende nel salone. Tutti si inchinano fino a terra al mio passaggio. Attraversiamo sale e saloni, corridoi magnifici e tende e arazzi intessuti con mano abile. Ritratti sono appesi dovunque e riconosco il mio quando arriviamo finalmente alla sala del trono. Re Luigi ci sta aspettando. Ben vestito e con una enorme parrucca appena ci vede entrare sorride. Accanto a lui tre giovani donne mi guardano incuriosite. Probabilmente sono Margaret, Lauren e Priscille. Dall’altra parte della sala c’è una giovanissima donna, scollata e truccata, con i capelli levati in una piramidale acconciatura e lo sguardo snob. L’amante del re, Madame Angoulême. -Eccovi qui, finalmente, che bella coppia che siete! Eh? Ma siamo matti? -Mia cara Jacqueline, sono molto onorato di fare la vostra conoscenza. Bleah! Mi inchino con garbo. -L’onore è certamente mio Re Luigi. L’uomo sorride. -E loro sono Priscille – la più carina delle tre sorride e s’inchina – Margaret – la meno bella abbassa il capo – E Lauren – La più giovane, con i capelli biondissimi , s’ inchina con grazia. - E questa è Madame Angoulême, una nostra cara amica di corte. Gli occhi delle tre sorelle si fanno duri e anche Luigi al mio fianco si irrigidisce. Sono perplessa. “Una cara amica di corte”? Certo non si può dire “la mia amante”, però... Nel notare il mio sguardo Re Luigi ha un guizzo strano negli occhi ma sorride. -Ora sarà meglio che vi mostrino la vostra camera, sarete stanca. Camera? Mi sento svenire. Non dovrò dividere la mia camera con Luigi, vero? Non siamo ancora sposati davanti a tutti. Mi sento mancare. Vengo accompagnata fino a una sfarzosissima stanza. Con un letto singolo, per fortuna. La mia camera. Ma questa non è la mia camera. La mia camera, o perlomeno quella di Jeanne è ancora nel palazzo di Vienna. Ancora là, insieme alla mia vita. Dopo le nozze dovrò dividere con Luigi la mia stanza. Certo, è mio marito. Le lacrime corrono veloci sulle guance e colano sull’abito. Tanto nella stanza sono da sola. Bussano alla porta. Mi asciugo gli occhi mi preparo ad accogliere il nuovo arrivato. E’ una donna. - Dovete scegliere la vostra cameriera personale, mademoiselle. Annuisco. In fondo alle scale ci sono alcune donne. -Loro sono Anne, Sarah, Bettie, Marie... Mi sento mancare. Anche Marie fa parte dei cocci della mia vita distrutta, che sfregano dolorosamente contro il mio cuore. - No. Marie no. Mi fissano tutti. -Non mi piace come nome, neanche Anne – ovviamente – preferisco Bettie. Tutte ora mi stanno fissando. Mi volto e salgo le scale per tornare nella mia stanza. Sento i singhiozzi di Marie. Sono crudele, crudele, crudele. Jeanne mi sta urlando in faccia di smetterla. Non la ascolto. Le notti sono brevi. I giorni passano tutti visitando il palazzo. Luigi lo incontro raramente. Un saluto cordiale e niente più. Le lettere di mia madre arrivano e mi fanno cadere nell’abisso. Cara Jeanne, So di certo che il castello è bello, che la gente vi tratta bene. Comunque sapete bene che non vi dovete lamentare. Qui tutto bene. Mi auguro che stiate lavorando per l’interesse austriaco, non per quello francese. Tentate di rendervi amica Madame Angoulême, e di conseguenza il re. Legatevi anche alle figlie del re, vostre cognate. Saranno alleate potenti. Il resto lo leggo di sfuggita. Avevo creduto di avere recuperato il rapporto con mia madre e invece siamo tornate alle solite frasi formali e agli ordini mal mascherati. Bettie è una pasticciona e non la chiamo quasi mai per aiutarmi. So che dovrei rendermi amico almeno qualcuno, ma non so neanche io perché. La corte francese è una fossa piena di serpenti e intrighi scomodi. Servono gli amici giusti per stare al mondo. Lasciate stare le cameriere e le donne e gli uomini inetti. In caso di complotti non servono. Non servono neppure alla corte austriaca, che è vostro dovere continuare a sostenere e a rendere più forte in Francia. Ecco. Probabilmente è per quello ma non lo voglio ammettere. La nausea mi assale tutte le volte che penso al matrimonio sfarzoso che si avvicina lento e inesorabile. Ormai sono sola. Il filo che mi collegava a casa è rotto da un pezzo. Ho paura. Paura che quando sarò ufficialmente sposata dovrò dormire con Luigi, paura che questo posto non mi piaccia, paura che la gente non mi trovi idonea a questo ruolo, paura della vita che qualcun’altro ha cucito per me e che mi sta troppo larga, troppo stretta, troppo lunga. Sono seduta nei giardini con un foglio e una penna d’oca intenta a scrivere a Caroline quando una voce mi distrae. - Jacqueline. E’ Priscille. -Cosa fate, scrivete una lettera ai vostri cari? Oh, pardon, sono indiscreta. Come vi sembra il palazzo? -Oh, è bellissimo, la mia stanza è stupenda e questi giardini poi! Sono assolutamente spettacolari. – e del resto è tutto vero, della bellezza di Versailles non ci sono dubbi. Priscille sorride cordiale quando vede arrivare Madame Angoulême. -Schifosa e sporca donnaccia di fogna! La guardo un po’ sbalordita. -Come, non è vostra amica? -Quella? L’amante di mio padre? La donna che sta infangando il nome della nostra famiglia? Non si sa neppure da dove venga, chi siano i suoi genitori, chi sia stata lei! Detiene quasi il potere! Non è neppure una donna onesta e rispettabile. Priscille si è infiammata e mi trovo a condividere il suo stesso parere .Madame Angoulême passando accanto a un giovane giardiniere gli fa l’occhiolino. Indossa abiti scollati ed è truccatissima. Una donna così non può comandare Versailles. -Io non le rivolgo quasi mai la parola. – Priscille mi guarda. Sembra una sfida. Un gioco di potere contro una donnicciola da porto. La lettera di mia madre è lontana. -Io non le rivolgerò proprio la parola. – guardo Priscille negli occhi. Lei sorride. Anche Lauren e Margaret, capisco dopo un po’, condividono, insieme a molta gente il mio parere e la giovane amante del re è considerata un po’ dappertutto una sporca approfittatrice. Conosco l’ambasciatore austriaco Appellest – Argentau, che è molto gentile, e rivedo il cardinale De Chalers. Come sono lontani i giorni in cui l’ ho conosciuto a Vienna. Appartengono ad un’altra vita. La contessa de Maspret è molto buona con me e mi ritrovo molto spesso a parlare con lei amichevolmente e piacevolmente. E’ il 15 maggio 1709. Domani mi sposo. Fisso la mia camera, o quasi, e mi viene voglia di buttarmi nella fontana dei giardini di Versailles. Ma non lo farò. Dimostrerò di essere superiore. La notte è breve. Non voglio assolutamente sposare Luigi. Ma non posso scegliere. Non ne ho mai avuto la possibilità e di certo non ce l’avrò stanotte. Né domani. Né mai. Il fermento che c’è a Versailles mi fa venire il voltastomaco. La mattina dopo vengo vestita con più lusso di quanto avessi mai immaginato. La sfarzosa basilica è gremita di persone. La gente del popolo è ammassata fuori e urla il mio nome e quello di Luigi. Ho una forte sensazione di deja-vu. Mi sento come durante il matrimonio per procura, a Vienna. Solo che qui è peggio. Jeanne è rintanata boccheggiante in un angolo della mia mente. Ho paura che dopo il matrimonio scomparirà per sempre, che Jacqueline prenda il soppravvento. 16 maggio 1709. La fine di Jeanne. Salgo la navata come un automa accanto a Luigi. -Sì. – la voce di Luigi trema impercettibilmente. Voglio rispondere no, no, no, no, no, no. -Sì. – la mia voce è sicura ma vorrei scappare o morire, vorrei che una voragine si spalancasse sotto la basilica. Il boato della basilica sovrasta tutto e tutti. Luigi mi deve dare un bacio ora. Si china e mi sfiora appena le labbra. Sto per vomitare. Mentre tutti si congratulano pulisco le labbra in un fazzoletto, schifata. Usciamo e la folla è in delirio, urla e strepita. Il castello è in festa, Versailles è gremita di gente che si congratula. Congratularsi per cosa? Jeanne è sparita in un angolo della mia mente, irraggiungibile. Arriva la sera, dopo festeggiamenti e cibo, regali e un sacco di frivolezze odiose. La mia camera e quella di Luigi è grande e sfarzosissima, con un letto enorme a baldacchino e decorazioni d’oro. Tutta la corte entra nella stanza. Infilo una camicia da notte e entro nel letto insieme a Luigi. La cerimonia del coucher. Chissà dov’è Jeanne ora. L’arcivescovo benedice il letto e le sue parole non mi sfiorano neppure. Ho la nausea. Mi rannicchio in un angolo della mia mente, allibita da ciò che sta per accadere. Tra poco il matrimonio dovrà essere consumato. Al diavolo l’etichetta. La corte esce dalla stanza e Luigi si rannicchia in un estremo del letto. Io mi rannicchio nell’altro. La luce si spegne. La mattina dopo, quando mi sveglio siamo entrambi ancora nella stessa identica posizione. -6Tensioni a Versailles iete un inetta. Un’ inconcepibile e stupida inetta. Sono ormai quattro mesi che siete sposata e il matrimonio non è ancora stato consumato. Perché? Spera solo, figlia, di non farlo per motivi personali. Cosa credi, che serva l’amore? L’amore è per le Sdonne di paese, non per le future regine. Tua sorella ha appena dato alla luce il suo secondo figlio e tu invece? Un’inutile peso per la casata austriaca, ecco cosa siete! Non siete capace di fare in modo che vostro marito si interessi di voi? Inetta e pasticciona, oltre tutto! La lettera di mia madre non è la cosa peggiore che capiti. Le occhiate a Versailles, i commenti maligni, i pettegolezzi delle domestiche. La mia vita non ha più senso. Non che ne abbia mai avuto uno, eppure ora... Priscille e Lauren mi dicono che loro fratello è un pasticcione, che non è colpa mia. Mi consolano. Margaret invece sghignazza ogni volta che mi vede. Ho quattordici anni del resto! Cosa credevano di vedere arrivare da Vienna, una donna matura e piena di sé? Jeanne si è presa qualche piccola rivincita allora! Luigi non dorme quasi mai con me, ma passa tutte le notti nella sua vecchia stanza. Come vorrei poterlo fare anch’io! Caroline tenta di consolarmi nelle sue lettere ma è lontana e delle parole su un foglio bianco non mi servono. Gli immensi giardini di Versailles ormai li conosco a memoria. Non mi sento più io. A volte parlo anche con Appellest e il cardinale. Loro mi capiscono. Non ho voglia di uscire o di andare a feste. Mi sento sola. Il tempo passa, le lettere arrivano , le chiacchiere aumentano. -Che ne dite di andare ad una festa? – la voce di Priscille mi arriva schermata. -No grazie. - E dai, Jacqueline, vi solleverete un po’ il morale! Alla fine accetto. Quando sto per uscire, ben vestita e profumata, sento la voce del duca precettore di Luigi, provenire dallo studio di fronte alla nostra camera. -Suvvia , non siate così comprensivo. Jacqueline è una donna frivola e poco adatta ad una corte seria come quella francese. Non dico che sia colpa sua, ma del resto è austriaca e cosa potremmo aspettarci da lei? Le mie gambe vacillano. Sento il trucco che si scioglie, travolto dal torrente di lacrime che m’inonda il viso, - Il vostro precettore ha ragione, mio caro fratello. “L’austriaca” non è altro che un’inetta smorfiosa che non potrà mai essere una regina. Sapete bene che è solo per una stupida alleanza che tutto ciò accade. La voce di Margaret è acida. Del resto lo sapevo che Margaret mi odiava. Sono in una fossa di serpenti, come ha detto mia madre. La odio ancora di più quindi, perché è lei che mi ci ha mandato. -Giusto Lauren, la nostra bella austriaca ora si sta preparando per andare ad una festa. Mio povero Luigi, che moglie che vi è capitata. Priscille. Priscille, quella che ha finto di consolarmi. Priscille, l’unica che credevo mia amica. Priscille, che diceva che il fratello era un pasticcione e che io ero adorabile. Priscille, che mi ha lanciato una sfida di potere contro Madame Angoulême. Priscille, la traditrice, l’approfittatrice, l’arpia, l’odiosa donna, il serpente. La risata di Lauren riverbera nell’aria. La porta dello studio sta per aprirsi, io corro nella mia stanza. -Tesoro, siete pronta? Vorrei vomitarle addosso un torrente di insulti e di parolacce. Schifosa Priscille. -Ho un po’ di mal di testa. Non vengo. Mi addormento completamente truccata e vestita. Luigi tanto va di nuovo a dormire nella sua stanza. Meglio. Così l’austriaca non può fargli niente. Jeanne piange insieme a me. Quella sera mi cambia. Completamente. I mesi passano lenti e inesorabili. Luigi mi lascia fare quello che voglio, mi compra regali e biglietti per l’Opera. Forse si sente in colpa perché non mi sfiora, non mi considera, non mi guarda. La sfida che ha lanciato Priscille mi fischia nelle orecchie. Non rivolgerò la parola a quella smorfiosetta dell’amante del re. Anche lei è un serpente. Solo che è l’unica che non riesce a non darlo a vedere. Mia madre nelle sue lettere mi scrive di rendermela amica. Neanche morta. Quando le scrivo non glielo dico però. Fifona. Il cardinale De Chalers è simpatico e mi racconta cose interessanti. Mi ha regalato un’arpa meravigliosa, che suono ogni sera. Anche la contessa de Maspret è buona. Anche Appellest. Le chiacchiere iniziano anche su di loro. Dicono che sono i miei amanti. Li ignoro. Inizio a prestare più attenzione a abiti e gioielli piuttosto che alla politica o a mio marito. La gente dice che sono frivola e senza cervello ma a qualcosa devo pur pensare. Sono sposata e non ho una vita sentimentale, sono rinchiusa fra gente che mi odia, mia madre mi considera una stupida e ho solo quattordici anni, tra un po’ quindici. Cosa posso fare? Essere calma, posata e rilassata? Essere felice e contenta? Léonard , il parrucchiere che era venuto in Austria per decidere le mie acconciature, decide anche quelle che sfoggio ora. Mi serve qualcosa con cui passare il tempo, del resto. Ho raggiunto una specie di equilibrio interiore. Stare con Luigi è difficile. Vorrei che non mi sfiorasse, che non mi considerasse, eppure non voglio sentirmi respinta, dato che sono troppo orgogliosa. La mia pace interiore si infrange in mille pezzi il 24 dicembre, quando Appellest viene destituito. Luigi e le mie cognatine esultano, insieme a mezza Versailles. Del resto Appellest è un ambasciatore austriaco. Un nemico. Come me. Luigi mi ha sposato per un obbligo dinastico. E’ una certezza questa. Vado da Appellest per dirgli che mi dispiace ma scopro che resterà comunque a Versailles. -Non vi posso abbandonare in questa fossa di serpenti. Ho un mancamento. Come può lui conoscere la frase che mia madre mi ha scritto? Vengo spiata? Devo dubitare anche di Appellest? Non ne ho la forza. Mi congedo con il cuore in subbuglio. Scrivo come una forsennata a Caroline. Non m’importa che qualcuno spii la mia posta. Meglio che sappiano cosa penso. Le sue lettere sono come una droga. Non aspetto altro che le sue risposte. Cara Jeanne, ora sto meglio, la nascita del mio terzo bimbo è stata molto più difficile delle prime due. I tuoi altri due nipotini. Francesco e Maria, crescono bene. Non so se dubitare di Appellest, capisco che è uno dei tuoi pochissimi amici ma non puoi sorvolare se spia la tua corrispondenza. Tienimi informata su tutto ciò che accade a Versailles. Vorrei che tu potessi venire da me in Spagna ma sai bene che la tua fuga causerebbe una guerra fra la Francia e l’Austria. Devi tenere duro sorellina e so che io non ho il diritto di continuare a ripetervelo, ma è la verità. Per quanto riguarda il cardinale e la contessa de Maspret mi sembrano a posto. Certo, con la contessa magari vi confidate di più ma anche il cardinale può essere un alleato prezioso. Le sorelle di vostro marito invece sono delle cagne schifose. Priscille, poi! Non che Lauren sia stata più affidabile, certo. Perlomeno Margaret l’ha fatto capire subito che vi odiava! Povera Jeanne dove siete finita? La tua decisione di non rivolgere la parola a Madame Angoulême può essere rischiosa, pensateci bene. Non offenderesti solo quella donna volgare ma anche il re, e ti esporresti troppo. La corte di Francia è una ragnatela di intrighi e di giochi di potere. Alcuni pericolosi, molto pericolosi. L’ Austria non è così, e neanche Spagna. Vi raccomando la massima attenzione, intesi? Vi bacia con affetto, insieme ai tre figli e al marito, la vostra Caroline La mia Caroline! So, in una parte di me prudente, intelligente e sensata, che non dovrei sfidare la favorita del re ma è più forte di me. Sono nove mesi che non le rivolgo la parola. Mia madre inizia seriamente ad arrabbiarsi. Ma le sue lettere finiscono nel cassetto del mobile di legno scuro, sotto gli abiti estivi che ora non uso. Cosa vi salta in mente di fare, figlia inetta e priva di cervello? Madame Angoulême è la favorita del re, portare rispetto a lei o al re è la stessa cosa.... ... quindi dovete portare rispetto, e concedere almeno il saluto a quella donna.... ...potreste causare una guerra, e non lascerò che il mio paese si distrugga per voi, inutile peso alla casata d’Austria. ... Tutti spezzoni di lettere che mia madre mi invia continuamente. -Cosa ne pensate di Madame Angoulême? Alzo lo sguardo verso Luigi. Strano che dorma con me. Socchiudo gli occhi. -Voi? -Donna inutile e approfittatrice. Dello stile delle donne che girano per le strade. Sorrido fra me e me. -Concordo in pieno. -Non le avete ne ancora rivolto la parola, a quanto vedo. Io sono stato costretto, ma a parte l’indispensabile sto ben attento a non considerarla. - Fate bene. Una donna del genere non può detenere il potere. E’ forse il discorso più lungo che ho fatto da sola con Luigi ma non è poi così male conversare con lui. Che confusione! Jeanne e Jacqueline detengono il potere dentro di me a fasi alterne e io sto per impazzire. Ma chi sono io? Mia madre continua a scrivere a proposito di come conquistare Luigi. Ormai i rapporti fra l’Austria e la Francia sono tesissimi, anzi, di più. Devo tentare di rendermi almeno simpatico Luigi. Andiamo insieme a fare passeggiate, a camminare, a cavalcare. Parliamo con fare formale e mai di argomenti liberi, ma meglio di niente, no? In un certo senso inizia a starmi, se non simpatico, almeno meno odiato. Siamo nella stessa barca io e lui, che lo vogliamo o no. Costretti da obbligo dinastico a convivere. L’amore fra noi due non arriverà mai, ma visto che lo devo comunque sopportare meglio non farlo con l’odio. Jeanne è disgustata. Ma tanto non l’ascolto di nuovo, come faccio sempre ormai. Una delle occasioni per sfidare direttamente Madame Angoulême capita alla solenne messa di Natale a Notre Dame. Infagottata nella pelliccia nuova cammino con grazia al centro della navata a braccetto con Luigi. Madame Angoulême cammina dietro di noi, davanti a me e Luigi le mie cognate e davanti ancora il re. -Come siete incantevole Jacqueline. La stretta di Luigi attorno al mio braccio si fa più forte. Non mi degno neanche di rispondere a quella donnaccia sporca e non mi giro neppure. Quando ci sediamo ai banchi mi sposto per fare in modo di non sedermi accanto a Madame Angoulême, anche se finisco accanto a Priscille. Appena la sorellina mi vede però si alza davanti a tutta l’assemblea e si accomoda dietro, accanto a Lauren. Ma chi voglio prendere in giro? Non posso permettermi di fare l’altezzosa davanti a Madame Angoulême, del resto siamo allo stesso livello: reiette, escluse, mormorate e scherzate davanti a tutta Versailles. Ma io non posso essere al suo stesso livello. Non lo posso sopportare. Sono altezzosa, lo so, ma non voglio essere come una donnaccia di strada. Per principio non le rivolgerò la parola. Mai e poi mai. Oh papà, in che posto sono finita? Passano i giorni e le settimane, finché Bettie mi porta una lettera color crema. -Arriva dall’ Austria madame. La congedo stizzita. La lettera è di mia madre. Jacqueline, Non scrivo neppure cara perché non lo siete. Che cosa state combinando? I rapporti fra Austria e Francia sono al limite. E tutto perché tu non vuoi salutare, o parlare, con una donna che è la favorita del re? Con la donna che ama il re? Siete una figlia inutile e orgogliosa, vanitosa e frivola. Chissà cosa direbbe vostro padre di voi. Vostro padre che vi amava così tanto! Diceva sempre che avresti fatto grandi cose. Per fortuna che non vi ha visto allora, sennò chissà che delusione gli avreste arrecato La lettera mi sfugge di mano. Il fruscio del foglio risuona nella stanza pietrificata. Non respiro neppure. Mio padre. Come si permette di nominarlo? Lei, che mi ha spedito in questo posto schifoso. Lei, che mi ha definito inetta, inutile peso, frivola, vanitosa. Le lacrime pungono ai lati degli occhi. La odio. Ma se avesse ragione? Se mio padre la pensasse come lei? 1 gennaio 1709. Mi avvicino a Madame Angoulême. - C’è tanta gente oggi a Versailles. Lei mi guarda con un lampo ironico negli occhi. -Avete ragione Jacqueline, c’è davvero molta gente. Bene. Ha sentito il suono della mia voce. Spero che le sia piaciuto perché non lo sentirà mai più. Mia madre aveva ragione: sono inutile. Chissà se l’avrebbe pensato anche mio padre. Ma ormai è troppo tardi. Mio padre non c’è più. -7Il mio unico amore l complesso suona molto bene. Le note tremolano nell’aria e s’infrangono contro di me. Contro la mia aura grigia e tenebrosa. La festa deve essere divertente. Penso. Di certo non lo è per me. I Luigi non c’è, neanche le cognatine. Madame Angoulême sarà con il re. Io sono da sola, invece. Come sono sempre. Sono stata invitata e sono obbligata ad andare a questa festa solo perché è giusto che ci sia un membro della famiglia reale. Non per altro. Sola, sola, sola. E’ la parola d’ordine della mia vita da un po’ di tempo ormai. Sto guardando annoiata un paio di giovinetti che ballano. Lei indossa un abito argentato, ed è molto carina, lui indossa un abito azzurro e la fissa come se vedesse per la prima volta il sole. Sento una stretta al cuore. Forse è invidia, forse gelosia. Perché lei sì e io no? Perché io sono condannata e lei può amare chi vuole? Le risposte non le so. Qualcuno dietro di me si sposta. - Mademoiselle, mi fareste l’onore di questo ballo? Trattengo una risposta scocciata e mi giro. E’ uno dei giovani che ho visto entrare prima. Occhi scurissimi, che ti penetrano dentro, labbra sottili e sorriso un po’ schietto, naso perfetto e parrucca lievemente di traverso. Molto, molto bello. Rimango paralizzata a fissarlo per un secondo, poi sorrido. - No, grazie, non mi sento molto bene. Tutto ciò aumenterebbe solo le voci. -Sono il duca di Chantellery, Pierre . -E io sono Jacqueline, delfina di Francia. -Lo so. Lo guardo intensamente, sperando che se ne vada. Sento gli sguardi dei nobili che mi perforano la nuca. Ma lui non si sposta. -Se non vi sentite molto bene vi farò compagnia da qui. Si siede su una seggiolina imbottita accanto a me. -Dovete per forza farmi compagnia? Si gira e annuisce. -E fate così con tutte le dame? -No, solo con quelle carine. Ma voi le superate tutte. Che screanzato. -Sono la moglie del delfino di Francia. Sorride ancora di più. -Ma non lo amate. Il matrimonio non è ancora stato consumato. Sbuffo. -E con ciò? -Mi state forse dicendo che amate il delfino? Tentenno un attimo, ma lui capisce comunque. -Vedete? Pensate che lui vi ami? -Sono affari vostri duca? -Chiamatemi pure Pierre. Sono molto vicina ad arrabbiarmi sul serio. - No. Vi chiamo duca. Inizia a dondolarsi sulla sedia. -Chiamatemi come volete. A una donna così bella lo concedo. -Ora devo andare duca. -A presto allora. -Non credo proprio. Quando arrivo al castello continuo a pensare a quel giovane duca tanto bello. Perché quell’ odioso del delfino ho dovuto sposare? Sarà sempre così? Tutte le volte che qualcuno mi toccherà il cuore dovrò respingerlo così? Prima di addormentarmi leggo alcune poesie rilegate in un libricino che mi ha regalato Luigi. Mi colpisce un passo. Non preoccuparti di nulla, perché se c’è l’amore è tutto possibile, anche l’impossibile. Mi addormento tranquilla e la notte ha un colore nuovo, un sapore nuovo, un profumo nuovo. Pierre. I giorni sono lenti e vuoti. Ho una strana sensazione nel cuore, nella mente, nei gesti. Pierre, Pierre, Pierre, Pierre. Chissà dov’è finito, chissà cosa sta facendo. Magari fa così con tutte, magari un sacco di dame in questo momento stanno pensando a lui, magari le ha sedotte così come ha fatto con me. Anche Priscille, Lauren e Margaret non costituiscono più un problema per me, vivo su una nuvoletta felice. Non l’ho detto a nessuno, né a Appellest, né all’cardinale, né alla contessa de Maspret. E’ un mio segreto. Mio, mio e solo mio. Il delfino, mia madre, le cognatine, il re, il mondo intero, nessuno può intromettersi fra me e il mio sogno. Quando sono partita da Vienna non avevo sogni e aspirazioni particolari, ma ora sì. In un certo senso è ancora peggio di prima perché vedo quello che non potrò mai più fare, che non potrò mai più avere. O forse no. Pierre è il mio sogno e nessuno può o potrà togliermelo. Non preoccuparti di nulla, perché se c’è l’amore è tutto possibile, anche l’impossibile. E ora ho capito che è vero. Bettie entra nella mia stanza una mattina fresca, mentre sono sdraiata sul letto e conto i ghirigori del soffitto dipinto. -Una lettera, mademoiselle. Bettie ha la faccia da “ambasciator non porta pena” che assume con le lettere che arrivano dall’Austria. Eppure la lettera è bianca e reca scritto solo “Per Jacqueline”. Il mio cuore accelera di un battito. -Grazie Bettie, puoi andare. Apro la lettera con impazienza e la leggo avidamente. Mi cade a terra in un fruscio. Salto verso l’armadio, indosso un cappotto pesante e corro fuori dalla stanza. Cerco di darmi un po’ di contegno, ma ci riesco a malapena. Esco e mi precipito nelle scudiere. Afferro le redini di un cavallo bianchissimo e tremando ci salgo sopra. Uno slancio di reni e il cavallo parte di scatto, uscendo da Versailles rapidamente. Il boschetto poco fuori Versailles è freddo, molto freddo, ma la figura appoggiata a un albero mi scalda dalla punta dei piedi alla radice dei capelli. -Siete venuta. -Pensavate di no, duca? Pierre sorride. -Sono molto più contento ora, non dubitate. Annuisco e scendo da cavallo. -Perché mi avete chiamato? Pierre fa un passo avanti. -Per lo stesso motivo per il quale voi siete venuta. Sorrido e stringo la sua mano nella sua. Le nostre dita combaciano perfettamente. - Non preoccuparti di nulla, perché se c’è l’amore è tutto possibile, anche l’impossibile. Le parole mi sfuggono dalle labbra. Pierre sorride e mi sfiora la guancia. -Hai proprio ragione, Jacqueline. - No- un sorriso si delinea sulle mie labbra - Jeanne. - Jeanne. Mi piace. Appoggio la testa sul petto di Pierre. La mia nuvoletta felice non è più mia. E’ nostra. Quando torno galoppando al castello sono ancora immersa in una nebbiolina felice e calda. Bettie mi guarda con aria interrogativa. -Era una lettera di mia sorella, volevo leggerla da sola. -La lettera di vostra sorella è appena arrivata. La guardo sprezzante. -Ho cinque sorelle. Bettie abbassa il capo. -Mi scusi. La lettera di Caroline mi sfiora come una carezza. Le devo raccontare di Pierre? O forse è meglio di no? Lasciamo stare per ora, al massimo glielo dirò fra un po’. Pierre, Pierre, Pierre, Pierre, Pierre, Pierre. Luigi dorme con me stanotte. -Sembrate felice stasera. -Come al solito. Rispondo sempre senza smettere di sorridere. Ma non per te,penso. Mi addormento dolcemente fra le braccia di Pierre che mi stringono teneramente e con tranquillità, come se il nostro amore fosse la cosa più normale del mondo. Tutti i giorni scappo dalla mia vita frivola e finta e mi rifugio nel mio angolo perfetto e vero di mondo. Sono più contenuta ora e la corte francese è convinta che vada a passeggiare. Che creduloni. Gi occhi delle cognatine non mi scrutano più indagatori e Bettie non mi fissa più sospettosa. La mia vita è quasi perfetta. Quasi, perché mia madre non demorde con le sue lettere, in cui mi ricorda di essere austriaca, di lavorare per la corte austriaca, di sedurre il delfino, di farmi amiche le sorelle di Luigi... Le lettere finiscono nel cassetto, mezze lette e mezze no. Non m’importa più nulla di mia madre e di quello che pensa. Io non le obbedisco più. Ma proprio più. Le ho leccato i piedi per troppi anni. Quindici per la precisione. Sono un po’ troppi, effettivamente. Era ora che lo capissi. Il vento soffia feroce sui giardini di Versailles quando mi allontano dal castello a piedi. Sento un fruscio dietro di me. M’immobilizzo. Pierre non si farebbe mai vedere. Qualcuno mi segue. Qualcuno di molto pericoloso. O almeno credo. Cammino a testa bassa fino alla fontana, poi mi inginocchio appena dietro un cespuglio e unisco le mani. Chiunque mi stia seguendo non scoprirà il mio segreto. -Ave o Maria, piena di grazia, proteggimi e perdonami, rendimi una regina degna di questo nome, di questo regno redento dal signore Gesù, figlio del tuo seno, di Dio, padre del mondo e della vita... - Madame, cosa ci fate qui? Mi volto di scatto. E’ un giardiniere del palazzo. E di sicuro non mi stava seguendo. -Sono affar vostri? Mi pento subito della risposta ma ormai è troppo tardi. Mi alzo con grazia e mi sistemo la gonna piena di foglie secche e fangose. Continuo a camminare velocemente finché arrivo di nuovo al palazzo. Scivolo fino alle stalle e afferro un grande stallone nero. Stringo fra le dita le redini del cavallo e galoppo velocemente fino al nostro boschetto. Lui è già là. -Cosa c’è Jeanne? Cos’hai? Le lacrime mi rigano le guance. Poi esplodo. -Sono stufa di avere paura di essere seguita, di dovermi guardare le spalle quando esco in giardino, di nascondere la nostra corrispondenza, di tremare dall’angoscia tutti i giorni. Io voglio scappare con te. Voglio andarmene da qua insieme a te. Non m’importa se la gente ci inseguirà, se saremo ricercati, se Francia e Austria entreranno in guerra, se, se,se. L’unica certezza che ho da quando sono nata è che ti amo, Pierre. E stavolta la mia certezza la voglio alimentare e vivere, non voglio essere una schiava. Voglio essere padrona della mia vita. Sto tremando. Pierre mi stringe forte a sé. -Lo sai che non si può. Lo sai Jeanne. Lo sai meglio di chiunque altro. Non possiamo causare una guerra a causa nostra. Lo sai quante cose succederebbero, nessuna bella. Non possiamo essere così egoisti. La nostra relazione è sbagliata, ma la nostra fuga sarebbe una follia, anzi, una catastrofe. Non si può, non si può. Le sue parole mi rimbalzano contro, come se fossi di gomma. Le lacrime sono troppo forti, sgorgano con forza contro la mia volontà e mi colano sulle guance. -Tu non mi ami. Pierre mi guarda negli occhi. - Jeanne, lo sai che non è così. Mi divincolo fra le sue braccia. -Se mi amassi non faresti così, non penseresti alle possibili implicazioni. Se mi amassi mi porteresti via ora, in questo momento. -Senza pensare a tutto ciò che succederebbe dopo? Senza pensare alle persone innocenti che morirebbero in una guerra? Senza pensare a tutto ciò che accadrebbe se tu scomparissi? La mia famiglia verrebbe fucilata per alto tradimento, tua sorella verrebbe sospettata di nasconderci, anche Spagna si unirebbe alla strage. E’ questo che vuoi? E’ questo? Non pensavo fossi così egoista Jeanne. Forse sarà meglio smetterla. Sarà meglio per tutte quelle persone innocenti che perirebbero per colpa nostra se ci scoprissero. Non dobbiamo essere così egoisti. Dispiace anche a me, lo sai che ti amo più della mia stessa vita ma non si può più. Non devi essere egoista. E neanche io. Egoista. Ha ragione. Io sono egoista. Io sono egoista frivola e viziata. Pierre ha ragione, anche mia madre me l’ha sempre detto. Anche mio padre me l’avrebbe detto se fosse stato ancora vivo. Salto sul cavallo e galoppo fino al castello con il cuore a pezzi. Pierre è stato la colla per i pezzi aguzzi della mia vita distrutta. Ora anche lui non c’è più. Ma è colpa mia. Del mio egoismo. -8Caro diario 29 luglio 1712 on pensavo che mi sarei ridotta a scrivere un diario per avere qualcuno con cui parlare. La mia vita è un inferno buio che mi fa paura. Troppa paura per essere la mia vita.. Pierre è andato in Inghilterra a cercare un buon partito. Lo amo ancora, e N probabilmente anche lui. Ma la mia maledizione dell’infelicità si è attaccata anche su di lui. La sua famiglia sa della nostra relazione, o perlomeno lo sa sua sorella. Ho ricevuto una sua lettera ma non ho ancora avuto il coraggio di leggerla. Chissà cosa mi ha scritto quella giovane donna. Di lasciar stare suo fratello? Che le dispiace? Non lo so. Mia madre è tornata all’attacco con la storia della consumazione del matrimonio. Non ci riuscirò mai. Luigi mi ripugna troppo. E io lo ripugno quasi quanto lui a me. E’ una sferzata al mio orgoglio. Ma non m’importa.. Il re ha deciso che è ora che entriamo a Parigi. Io non voglio. Sarò la delfina davanti al popola, il mio ruolo sarà ufficializzato davanti a tutta la Francia. Aiuto, aiuto, aiuto, aiuto. Luigi ha detto che dobbiamo consumare il matrimonio al più presto. Se mi sfiora gli spezzo le dita una a una e scappo davvero stavolta. Vado in Spagna da Caroline poi cerco di contattare Pierre in Inghilterra e scappo con lui. Che facciano le loro guerre anche loro. Va bene, sono egoista, ma la mia vita è stata distrutta da altre persone interessate a fini politici e non di certo alla mia felicità. Occhio per occhio, dente per dente. Le loro vite saranno distrutte come la mia. Prendiamola come una vendetta. E’ crudele ma io non ce la faccio più: non possono pretendere di fare quello che vogliono senza poi prendersi la responsabilità delle loro azioni. Tua, Jeanne 8 giugno 1712 E’ sera. Sono seduta ad un’enorme scrivania. Ho deciso che scriverò a questo diario solo negli avvenimenti più importanti. Le altre cose le raccoglierò in un altro plico. Questo è segretissimo. Della sua esistenza non ne sa nessuno. L’entrata a Parigi di oggi mi sembra un’ occasione abbastanza importante. La testa mi rimbomba ancora per gli urli e le acclamazioni della folla. Il re è stato molto orgoglioso dei suoi “adorabili figli” come ci chiama ora. Mi viene la nausea ogni volta ma devo resistere e sorridere cordiale. Probabilmente penseranno che sono matta, perché sto sempre lì muta e con un sorrisino ebete. Ma non voglio parlare con loro o conversare di cose stupide. Le tre cognatine non mi considerano più. Non che ora mi trattino meglio ma sparlano tranquillamente di me anche se sono nella stessa stanza. Sento i loro commenti maligni e le loro risatine che cadono in basso senza sfiorarmi: ormai neanche loro riescono più a fare nulla per farmi interessare o perlomeno arrabbiare per qualcosa. Luigi ed io siamo in una camera enorme di fronte alla stanza del re. Per arrampicarsi sul letto enorme e morbido bisogna prendere la rincorsa e tuffarcisi sopra. Non che io l’abbia fatto, ovviamente. Già mi considerano pazza ora, se mi mettessi a saltare sul letto poi! Il popolo è stato entusiasta e ci ha acclamato per ore anche quando eravamo già entrati nel palazzo. Stasera dobbiamo presentarci sul balcone delle Tuileries. Chissà come strepiterà la folla! Devo riuscire a rendermi simpatica al popolo, ma non sarà facile, temo. Se ottengo lo stesso risultato che ho ottenuto con la reggia di Versailles siamo a posto. Ora devo vestirmi per andare sul balcone. Tua, Jeanne 23 luglio 1712 L’acqua mi gocciola ancora dai capelli e dalle braccia. E’ il quinto bagno che mi faccio. Ieri ho quasi consumato il matrimonio. Odio Luigi, odio mia madre, odio il re, odio le sorelle di mio marito, odio la Francia, odio Versailles, odio il mondo. Luigi è dal re a raccontargli che ha consumato il matrimonio, probabilmente inventando tante di quelle cose che... basta! Sono troppo schifata, disgustata, arrabbiata. Non voglio più parlare di questo. Tanto il matrimonio non è stato completamente consumato, quindi... basta! Non ne parlerò più. Ho deciso. Tua schifata, arrabbiata, disgustata, delusa Jeanne 15 Dicembre 1712 E’ molto che non scrivo, perciò mi sembra giusto raccontare qualcosa di quello che è successo. Luigi non mi ha più neanche sfiorata, le cognatine continuano a tormentarmi, il re e la sua giovane amante continuano a fare i piccioncini davanti a tutta la corte disgustata, la contessa de Maspret mi invita sempre a bere un tè, Appellest mi coinvolge spesso in lunghe chiacchierate e mia madre continua con le sue lettere. Vuole che abbia un erede. Devo vomitare. Non voglio che Luigi mi sfiori e lei vuole che abbia un figlio con lui? Un piccolo Luigi che mi saltella intorno? Magari che assomiglia al nonno o alle zie ? Meglio che mia madre resti in Austria e chiuda il becco, imperatrice da strapazzo! Non sa neanche cosa sto passando e non le importa niente dei suoi figli! Sono crudele, è vero, ma del resto devo avercela nel sangue questa cosa. Anzi, mio padre non era così. Neanche un po’. Insomma, la situazione è sempre buia e tetra e io non so più cosa fare. Tua delusa, annoiata e incompresa, Jeanne 27 Gennaio 1713 Luigi mi ha detto che è ora di avere un erede. Ho trattenuto il fiato per non rispondere ma a pranzo mentre mangiavamo gli ho sputato di nascosto nel piatto. Spero che gli sia andato di traverso il boccone e che muoia soffocato. La volta prossima gli do’ un pugno sul muso e poi... bah, tanto non posso fare nulla contro di lui! Ma fantasticare non costa nulla! Tua agguerritissima Jeanne 13 Marzo 1713 Sono così felice! Oggi è arrivato a Versailles nientemeno che il mio maestro di musica George Christopher Meier! Il maestro austriaco che mi faceva danzare e diceva a mio padre che ero un angelo! Ora è sotto la mia protezione e nessuno si è opposto. Tanto Luigi mi fa fare quello che voglio, probabilmente spera che gli dia il tanto atteso erede e anche il re fa così. Poveri allocchi! Che continuino a crederci! Meier vuole mettere in scena un’opera da lui composta:. Gli ho promesso che gli darò una mano per mettere in scena l’opera e lui è stato molto contento. -Tuo padre sarebbe fiero di te! – mi ha detto. Per poco non gli ho buttato le braccia al collo. Ora devo andare. Tua felicissima Jeanne 22 Marzo 1713 La mia felicità non ha più limiti. Oggi Meier si è messo a suonare un’aria che mi suonava sempre in Austria e mi ha detto: -Beh, perché non balli? Quando gli ho detto che avevo mollato la danza si è arrabbiato. -Come! Una ballerina portata come te! Bisogna rimediare! Ho danzato per tutto il pomeriggio e ho visto che Priscille mi spiava da dietro alla porta con un’espressione strana. Non l’ho neanche guardata e ho continuato a danzare. Dopo un po’ se ne è andata silenziosamente e senza farsi notare. La danza mi mancava e Meier ha sorriso quando ho smesso di danzare. -Sembravi un cigno a cui hanno impedito per anni di volare. Come aveva ragione! Ho ripreso anche a suonare l’arpa che mi ha regalato l’cardinale De Chalers. Ora sono felice, certo, ma chissà quanto durerà.... No! Basta! Devo godermi la felicità ora, dato che la vita è troppo breve. Tua, felicissima Jeanne 19 Aprile 1713 Tra poco mi devo vestire per andare alla prima dell’ Opera. Ho invitato tutta la famiglia reale allo spettacolo e anche le mie cognatine si sono dette felici di poter andare a teatro. Meier è emozionatissimo ma è anche contento. Luigi mi ha guardato intensamente quando gli ho parlato della prima dello spettacolo e mi ha detto: - Un’ occasione per stare insieme. Nell’uscire dalla stanza ho rovesciato apposta la tazzina di caffè sul suo abito. -Oh pardon! Quanto mi dispiace! - gli ho detto con fare agitato. Lui ha scosso il capo e si è andato a cambiare senza dire nulla. 2 a 1 per Jeanne. Quell’uno mi brucia ancora dentro ma.... Oh, non devo parlarne più, più e mai più! Ora mi vesto per andare alla prima. Tua emozionata e vincente Jeanne P.s. Sono appena tornata dall’Opera. La prima è stata un successone! 2 Maggio 1713 Il re è caduto da cavallo e si è disintegrato le ossa della parte destra del corpo, forse schiacciando qualche organo. I medici continuano ad andare da lui per curarlo e gli applicano impacchi e altre cure che so che sono inutili, come dei salassi che lo stanno solo indebolendo. So che è impossibile guarirlo. Spero solo che Dio gli dia una morte misericordiosa. Non lo odio fino al punto di volerlo vedere soffrire. Tua, Jeanne 8 Maggio 1713 Il re sta sempre più male. I medici non vengono più a palazzo. Il popolo di Francia è in attesa. In attesa della morte del re. E’ crudele ma è così. Oh, Dio, dagli una morte veloce. Tua Jeanne 10 Maggio 1713 Il re è morto. Madame Angoulême è distrutta. Le mie cognatine sono in lutto nelle loro stanze. Io e Luigi siamo re e regina di Francia. Tua, Jeanne 11 Giugno 1713 Voglio morire. Ho deciso. Stasera mi affaccio alla finestra di Versailles e mi lancio nei giardini. Troveranno il mio cadavere accartocciato nell’erba sanguinolento e pesto. Saranno felici. Luigi si troverà un’ altra moglie. Sopravvivranno. Anzi, saranno ancora più felici. Oggi sotto la porta ho trovato un libricino con la scritta “Madame Austria”. Sotto c’era un mio ritratto. All’interno c’erano tante di quelle storie scandalistiche su di me che ho la nausea al solo pensarci. - Non ha consumato il matrimonio con il povero re impotente ma cerca di consumare con uno stuolo di schiavi nascosti nel palazzo appositamente per questo compito ... Fra i suoi amanti figura anche un cardinale... donna sporca e altezzosa.... ora diventerà regina.... sarebbe da rimandare in Austria... Sono solo alcune delle cose narrate su questo libro. Odio la Francia e i francesi. Non voglio fare nulla per rendermi più buona agli occhi del popolo. - Una donna frivola che pensa solo a se stessa. Un altro titoletto del libro. Solo perché amo gli abiti e le acconciature. E’ l’unica cosa che posso fare, dato che la mia vita è un inferno. Non devo nulla al popolo francese. E’ un popolo di egoisti e viziati, di ignoranti e saccenti, che pretendono di volere sapere tutto di me quando non mi conoscono neppure. Vorrei vedere loro al mio posto. Tua arrabbiata, depressa, e fra poco suicida Jeanne 12 Giugno 1713 Codarda. Sono ancora viva. Niente morte scenografica. Ieri Luigi mi ha abbracciato e mi ha detto che mi trova molto affascinante. Gli ho risposto che vorrei dire la stessa cosa di lui. Lui ha sciolto l’abbraccio ed è parso ferito. Ha dormito nel suo letto. Ho sentito le sue sorelle che litigavano e mi definivano altezzosa e solo d’ostacolo alla Francia, frivola e stupida. Hanno detto che il cardinale è innamorato di me e che è solo per questo che mi ha fatto venire in Francia. Che in cambio di favori, ovviamente si capisce quali, mi ha fatto venire in Francia così che possa ostacolare la politica di Luigi. Che stupide. Tua Jeanne 23 Luglio 1713 Leonard è venuto a palazzo e le mie cognatine gli hanno detto che le sue acconciature non erano richieste e l’hanno cacciato. Il cardinale non è più venuto a trovarmi dopo l’uscita di “Madame Austria”. La contessa de Maspret quando mi incrocia per il corridoio scuote appena il capo e sussurra: -Mi spiace. Continuo a interessarmi agli abiti e ai gioielli e a non curarmi della politica francese. Una giovane ragazza che lavora nelle cucine mi ha mostrato dove si trova un casinò dove si pratica il gioco d’azzardo. Non ho trovato un posto migliore dove impiegare il denaro di Luigi. La gente muore di fame ed io gioco d’azzardo. Non m’importa. Fra quelli che muoiono di fame c’è chi ha scritto Madame Austria.Ieri ho sentito due servette che commentavano a bassa voce: -Povera Bettie, è finita con quell’austriaca! -No, no, ora si chiama Madame Austria, non lo sapevi? Quel libretto è formidabile! Allora sono passata davanti a loro e ho ribattuto: -Vedo che siete bene informata sui pettegolezzi infondati. Ma del resto da una domestica che cosa ci si può aspettare? Lo so, così mi troveranno ancora più odiosa, ma non ho proprio saputo resistere! Tua, Jeanne 1 Gennaio 1714 Buon anno a tutti. La situazione a Versailles è uguale, se non peggiore. Non me la sono sentita di scrivere per questi mesi. Mi sento sempre peggio. Continuo a giocare d’azzardo nel casinò che mi hanno mostrato. I soldi di Luigi vanno sprecati. La Francia mi odia e io odio la Francia. Siamo pari ed è una cosa talmente reciproca da essere la normalità. Tua.,distrutta, Jeanne 24 Febbraio 1714 Nonostante non mi interessi della politica di mio marito le tensioni che stanno dilagando in Francia sono state avvertite anche dal più umile dei contadini. Ormai i contadini e i popolani stanno morendo di fame, A loro delle parole non importa. Secondo me l’hanno solo frainteso. I Francesi non ascoltano nulla. Comunque la Francia sta iniziando a tremare. Non ci sono più i soldi neppure per una pagnotta o per un abito invernale. Priscille ieri ha commentato che il popolo cerca sempre un pretesto per farsi sentire. Tua Jeanne 25 Febbraio 1714 Madame Angoulême è quasi morta di dolore. Gli abiti sfarzosi sono spariti, il trucco è stato lavato via dalle lacrime. Sta seduta in giardino con abiti lunghi e pesanti, senza scollature. Rientra solo la sera e si chiude nelle sue stanze. Mangia pane e acqua portato da una serva in giardino. Mi fa pena. Anche io faccio pena a Versailles, però. Tua Jeanne 11 Giugno 1714 Luigi è stato incoronato re. Io ho scelto di non farmi incoronare. Ma sono regina lo stesso. Ad un certo punto mi sono anche messa a piangere. Odio questo paese con tutta me stessa La gente ha creduto che fossi commossa e questo ha giocato a mio favore. I francesi sono proprio stupidi. Ecco. Ora finisce la mia vita da delfina. Ora sono regina. Regina di un paese che mi odia e che odio. Moglie di un uomo che non amo. Figlia di un madre che mi reputa inutile. Non scriverò più su questo diario e domani lo brucerò nel caminetto. Dovrò combattere da sola. Ti amo Pierre, e forse sarà l’ultima volta che potrò dirtelo davvero. Papà, se ancora ci sei, ti prego, rispondimi. Questo diario lo dedico a te. Fai come se abbia parlato con te. Ti voglio troppo bene. Spero che anche tu me ne voglia. Addio. Tua Jeanne -9– Un’ amica e un fratello l tessuto dell’abito mi gratta la schiena. Le scarpette mi stringono i piedi in una morsa di ferro. Le mani di Luigi sono tutte sudate e mi danno fastidio. I Sto danzando con Luigi nella sala da ballo di Versailles. E’ uno di quei balli di società dove puoi trovare solo la creme della società. Riesco a pensare solo a un altro ballo di società. A un ballo in cui una giovane delfina e un affascinante duca si sono visti per la prima volta. La gente accanto a me ride e scherza. Priscille sta chiacchierando con fare civettuolo con un ragazzo che deve avere la metà dei suoi anni e continua a lanciare occhiate d’intesa con uomo seduto dall’altra parte della sala. Ma lei può perché tanto nessuno la tratterà mai come me. Lauren indossa un abito scollato e cammina con grazia per la sala, parlando con tutti. Io invece non ho ancora parlato con nessuno. Margaret sta sorseggiando qualcosa che non riesco a identificare e intanto parla con una dama che deve avere la sua stessa età e che mi ricorda qualcuno, probabilmente l’ho vista a un altro ballo di società. Io non ho ancora assaggiato nulla. Perché non posso avere una vita normale come tutti gli altri? Se non fossi nata come principessa quale sarebbe stata la mia vita? O solo se non fossi andata in Francia? O solo se fossi fuggita con Pierre? O solo se... - Jacqueline, volete qualcosa da bere? Luigi mi sta guardando fisso. -No, merci. Una giovane donna si avvicina a noi, accompagnata da un uomo imponente. -Piacere di conoscervi finalmente, cara Jacqueline. Io sono Yvonne de Orleans , e questo è mio marito, il conte de Orleans. -Il piacere è mio contessa. Probabilmente vuole solo farmi sentire ancora più inferiore di quanto non mi senta da sola. Mi allontano velocemente verso il buffet ma sento che mi sta seguendo. -Mi dispiace. Non sono d’accordo con le maldicenze che girano su di lei. Il popolo francese sa essere crudele. Reputo le sorelle di vostro marito delle serpi. Mi giro di scatto, sorpresa. - Non vi conosco. -Pensate che andrò a raccontarlo alle sorelle di vostro marito o lo scriverò su qualche libello satirico? -Non posso saperlo. Questa donna è strana. Perché cerca di compatirmi? Può essere un’alleata? O è solo una piccola vipera che cerca di prendermi in giro? Il suo sorriso mi fa credere che possa essere una mia amica. Non può essere così crudele. Ma non poteva essere così crudele neanche Priscille, pensavo una volta. Sarò sempre così condizionata nel capire come sono le persone, nel fidarmi di loro? La traccia indelebile che ho nel cuore è destinata a non andarsene mai? Pensavo che anche per colpa di Luigi non mi sarei mai innamorata. Invece Pierre è ancora nel mio cuore, le voragini che mi ha lasciato dentro con la sua partenza bruciano ancora. Ma questo non è dipeso da lui, da me, da noi. La mia vita è nelle mani di qualcun altro, non nelle mie. Yvonne mi sta ancora fissando. -Perché mi dite questo? -Perché capisco come possa essere difficile essere sradicata dal proprio paese, andare in un luogo sconosciuto dove si è odiata, avere un marito che non vi ama, una vita impossibile. Non è per compatirvi, è un modo per farvi capire che non siete sola. Mi tremano le gambe. Ho trovato un’alleata, o ancora meglio un’amica? E’ troppo? In una vita normale no, ma nella mia è più di un miracolo. Parlo tutta sera con Yvonne e non m’importa più di nessuno, di Priscille, di Lauren, di Margaret, di Luigi. Yvonne è buona e simpatica, ma ha una lingua pronta a dipingere chi gli sta antipatico in una maniera che mi fa piegare in due dalle risate. -Ecco quell’ippopotamo della duchessa, sempre pronta a sgranocchiare qualcosa. Se c’è lei ad una festa state pur certa che il buffet finirà tutto! Probabilmente è stata lei a introdurre la moda del buffet! E guardate Monsieur Ferrares, che sta facendo il cascamorto con un’ altra delle sue amanti... La serata passa veloce. Luigi quando torniamo a Versailles mi chiede come è madame de Orleans. - Yvonne, cioè, madame de Orleans, è una donna molto simpatica, arguta e sveglia. Mi sono trovata bene con lei. Nei mesi seguenti io e lei ci incontriamo spesso nei giardini, oppure a bere qualcosa nel castello, oppure a casa sua. Suo marito è un uomo scontroso ma ama molto Yvonne, come lei ama lui. Tutto ciò mi rende terribilmente gelosa ma cerco di non darlo a vedere, anche se credo che Yvonne se ne sia accorta. Andiamo a fare lunghe passeggiate a cavallo e ci spingiamo nei boschetti fino a quando i cavalli non sono sfiniti. Poi ci sediamo su dei vecchi alberi e parliamo libere da ogni costrizione e da ogni etichetta. La crisi continua ancora. Non vado in giro per Parigi e quindi non vedo in faccia i poveri, non vedo la morte accanto a me, non riesco a provare pena per nessuno. Non per la Francia. Ormai il mio cervello, se non sono con Yvonne, ragiona a concetti essenziali e verità, le poche verità e certezze della mia vita. Stanno continuando le ribellioni. Ci saranno anche persone che non hanno fatto nulla di male nel popolo ma non provo pena neppure per loro. I ribelli continuano a girare per la Francia, le campagne stanno avvertendo i rumori della città ma ne rimangono estraniate. Non c’è da preoccuparsi. Le settimane passano, i mesi anche, ormai siamo nel 1715. La crisi non accenna a diminuire. Luigi vuole a tutti i costi consumare il matrimonio, io no. Mia madre continua a premere con le sue lettere e a dirmi quel che devo fare. Non la voglio ascoltare. L’Austria e la Francia sono ancora in una brutta posizione fra di loro e solo un erede, o perlomeno la consumazione del matrimonio, potrebbe addolcire la situazione. I giorni di febbraio sono uggiosi e noiosi e sono costretta a starmene in camera tutto il giorno. Le mie cognatine continuano a fare le prepotenti e Madame Angoulême è confinata nella sua stanza come una monaca. Le tre arpie dicono che fa così solo perché ha paura di essere scacciata da Versailles, ma tanto il defunto re ha lasciato scritto che Madame Angoulême rimarrà a Versailles a vita e loro non osano disonorare le ultime richieste del defunto padre. Io continuo ad incontrarmi con Yvonne. La mia vita continua senza che nessuno possa fermarla, men che meno io. Eppure Yvonne mi fa sentire più felice. I mesi passano velocemente e mi ritrovo a festeggiare il 1716 senza un motivo per festeggiare quell’anno, che di certo sarà come quello che è passato. Che noia. Qualche mese dopo Bettie entra con una lettera. -Vostro fratello, signora. Mi rizzo a sedere come se mi avessero punto. - Edoardo? E’ davvero lui, il mio adorabile fratello maggiore. E’ sempre stato molto legato a nostra madre ma allo stesso tempo ci difendeva quando lei si arrabbiava. Durante i preparativi del matrimonio è sempre stato d’accordo con mia madre, certo, ma lo sapevamo tutti noi fratelli che lui è un amante delle trattative politiche e che opera principalmente per l’ Impero. Mi ha scritto che vuole venire a trovarmi! Il mio fratellone vuole venire qui in Francia, lui che il francese ha iniziato a parlarlo correttamente solo a diciotto anni, lui che mi sfidava a correre a cavallo,il mio fratellone insomma! Conto i giorni che mi separano dal suo arrivo. Finalmente il 18 aprile Edoardo arriva dall’Austria con una carrozza sfarzosissima e doni per la corte. Le cognatine non hanno apprezzato la sua visita, pensano che venga per spiarmi. Anche Luigi probabilmente non è contento. Ma io sì. Edoardo mi porta una valanga di ricordi nel cuore e mi fa venire voglia di piangere. L’Austria, il castello, i volti della mia famiglia, il calore del fuoco del grande salone, mio padre... - Edoardo! Gli brutto le braccia al collo senza curarmi dell’etichetta e anche lui mi stringe forte. - Jeanne! Che bello non essere Jacqueline per una volta! I convenevoli della corte non mi interessano. Voglio solo parlargli a quattr’occhi. L’occasione arriva nel pomeriggio, nei giardini -Lo sapete perché sono qui. Nostra madre mi ha mandato per vedere come procede la situazione dell’erede. No, Jeanne non arrabbiatevi, lo sapete com’è nostra madre. Edoardo sorride e le rughe ai lati dei suoi occhi si increspano. -Ve l’avrebbe detto anche nostro padre che è meglio per tutti che consumiate il matrimonio e che riusciate a dare un erede alla Francia. Lo so che odiate Luigi e che lui odia voi ma la vita non è complicata, di più. Ho saputo di Madame Austria. Non è un buon motivo per odiare la Francia. -Non è un... come fate a sapere di Madame Austria? Edoardo si siede sulla fontana e si massaggia le tempie. - Jeanne, è per il vostro bene. -Mi avete spiata? -Vostra madre Jeanne, non io. Lo sapete benissimo com’è fatta. -Chi? Chi mi spiava per voi? Lo fisso infuriata, ma in realtà dentro di me l’ho sempre saputo. Non so perché ma quelle maniere gentili erano troppo gentili per i miei standard. Quindi rispondo io per lui - Il cardinale De Chalers e Appellest. Lo dico con apatia, come se non m’importasse. Ma non è vero. Mi hanno tradito anche loro. Come tutti. Come Edoardo, come mia madre, come Priscille, come Lauren. -Era per il vostro bene e per il bene dei nostri regni. Non è giusto che ci sia una guerra per la vostra testardaggine e per i vostri pensieri ostili verso la Francia. Un erede potrebbe mettere a posto la situazione Jeanne, pensaci. Lo so che non lo ami, lo so Jeanne. E’ difficile ma devi avere la forza di continuare e soprattutto di migliorare le cose. Quando entro nel letto sento le parole di Edoardo che mi girano in testa. Luigi entra nel letto qualche ora dopo. -Ho parlato con vostro fratello. -Il vostro tono sotto intende che mio fratello non ha toccato argomenti a voi graditi, Luigi. -Siete molto intelligente. Vostro fratello ha insistito sulla necessità di un erede. -Argomento a voi gradito eppure. O almeno mi pare. -Mi ha dato dei... consigli. -Consigli. Mi giro nel letto e volto le spalle a Luigi. Edoardo parte dopo una sola settimana. -Addio Jeanne. Sappi che io ci sono e ci sarò sempre. Scusami per tutto. Le lacrime che mi scivolano dagli occhi si asciugano immediatamente sotto il sole caldo che splende su Versailles. Quando salgo in camera stanca e affranta trovo sul leggio una lettera scritta in una grafia storta e chiaramente maschile. Edoardo. Le mani mi tremano mentre la leggo. Consigli, proprio come ha detto Luigi. Consigli per l’erede ma soprattutto per come avere l’erede. Yvonne ne sarebbe schifata, come Jeanne del resto. Anche Jacqueline è attonita. Edoardo ha detto che devo avere la forza di continuare. L’ avrebbe detto anche mio padre. 11 agosto 1716. Il matrimonio è ufficialmente consumato. - 10 – Addio e mie mani stanno sul mio ventre rotondo e duro. Lo accarezzo con delicatezza sdraiata sul prato rado del boschetto. All’interno di quello che a me pare solo un pallone c’è mio figlio. Il mio bambino e il bambino di Luigi. Il prato mi solletica il naso e le braccia. Sono L nello stesso posto che era mio e di Pierre, quanto vorrei che anche il mio bambino fosse suo. Ma io amo il mio bimbo allo stesso modo. Lo amo con tutto il mio cuore, fa parte di me, è dentro di me. So che non mi tradirà. Lo so con tutta me stessa. Torno al palazzo svogliata, vorrei solo restare da sola con la mia piccola creatura. Vorrei dargli una vita migliore di quella che le toccherà sopportare ma le darò tutto l’amore possibile. Non m’importa se infrangerò l’etichetta, la mia creatura crescerà fra le mie braccia e non voglio balie anche se so che Luigi sta cercando le migliori del regno per nostro figlio. Nostro figlio. Che impressione dire così. Ma ormai mi sono abituata e penso che il mio bambino avrà sì metà parte di Luigi ma per metà sarà come me, un piccolo austriaco francese. L’unica cosa bella e perfetta che riuscirò a fare nella vita sarà il mio bimbo. Chissà se sarà maschio o femmina. Un delfino, destinato a salire sul trono o una principessa destinata ad andare in sposa per fini politici? Non lo so. Mentre cammino per arrivare alle mie stanze sento i mormorii delle domestiche e il vociare ormai familiare di Versailles. Vorrei dare al mio bimbo un luogo diverso dove vivere. I giorni passano e la mia pancia sembra una palla perfetta. Orami sono incinta di sei mesi. Luigi a volte appoggia la mano sulla mia pancia ma io mi sposto bruscamente. Il mio bimbo non si tocca. E anche io non devo essere toccata. Da qualche tempo Luigi è strano. Non parla molto e la gioia che pensavo avesse provato con un erede non si è manifestata. A volte lo sorprendo perso nei suoi pensieri, ma del resto non è che di lui mi importi poi più di tanto. Yvonne viene sempre a trovarmi e dice che forse Luigi è teso per il compito di genitore che lo aspetta. Per fortuna che sono incinta e il pancione complica le cose sennò l’avrei strozzata con le mie mani. Poi una sera Yvonne entra nel mio salotto velocemente e accaldata. Tolgo i piedi da davanti al fuoco e abbasso il libro che sto leggendo. Yvonne respira velocemente e ha le guance rosse. -Cosa c’è Yvonne? Lei scuote il capo e arrossisce. - Yvonne? Mi alzo ma lei sbarra la porta con un braccio. -No, no Jeanne, non è niente. Con uno sbuffo apro la porta e sbircio il corridoio mentre Yvonne cerca inutilmente di fermarmi. Esco nel corridoio e marciò verso lo scalone. - Jeanne, non è niente. Yvonne sta per piangere ma io continuo impettita fino alla stanza degli ospiti. - Ecco, vedi che non c’è niente? Ho sentito dei rumori, mi sarò sbagliata. La guardo per un attimo. La mia mano tentenna sopra la maniglia, Yvonne sta sorridendo, pensando che non lo farò. La mia mano scatta e la porta si apre. La stanza è buia ma distinguo due sagome nel letto a baldacchino nella penombra. Luigi e una donna che ho visto a volte nei balli di società, una duchessa francese, mi sembra. Mi fermo immobile. Yvonne singhiozza. Luigi si volta e mi guarda impotente. - Jacqueline, io posso spiegare, è un malinteso ... La mia mano è ancora più veloce di tutto. Il vaso che ho tra le mani scatta contro Luigi. Il rumore dei cocci risuona nella stanza. -Tu. – la mia voce è crudele – Tu, lurido e schifoso traditore, orribile... Hai costretto me a stare in questo orrido castello, con quelle schifose delle tue sorelle, con quei falsi dei tuoi cardinali e dei tuoi parenti, mi hai costretto ad avere un bambino da te, io che ti odio e che vorrei sventrarti, io che sogno di tornare a casa mia ma non posso, mentre tu amoreggi con una duchessa? Mentre tu ti diverti alle mie spalle? Io non ti amo, tu non mi ami e ora mi prendi anche in giro? Sono stata costretta a sposarti e anche tu, ma questo non vuol dire che ora che sei re non puoi farmi andare via! Tu sei una persona orrenda! Mi fai schifo! Io ho rinunciato all’uomo che amavo e tu stai con questa – mi trema la voce – schifosa sgualdrinella? No, Luigi, non puoi prendermi in giro così. Corro verso la mia stanza mentre Yvonne cerca di fermarmi. Pensa che farò gesti avventati? Io non metterò fine alla mia vita e a quella del mio bimbo per colpa di Luigi. Che se lo scordi. I passi che risuonano sul pavimento del castello sono forti e so che Luigi mi sta inseguendo. Mi ferma per le spalle e mi guarda, mentre mi dibatto per sfuggirgli. -Hai ragione. – la sua voce trema per un attimo – Hai più che ragione Jacqueline. Ma io non ti amo. I miei occhi sono duri. Non serviva che me lo dicesse. -Ma sei umano, dopotutto. Lasciami andare via, per il mio bene e per quello del bambino. Non devi amarmi per farmi del bene. Basta che tu sia umano. Lasciami andare e non scoppierà uno scandalo. Puoi ripudiarmi, non importa, ma fammi andare via da qua. -Non posso Jacqueline, scoppierebbe una guerra. -No, se diciamo che non ci amiamo più basterà. Saremo pari. Saranno pari Francia e Austria. -Vuoi andare da lui, vero? -Tu vuoi stare con lei, vero? Ci guardiamo per un secondo. -Non posso ripudiarti. Puoi andartene, però. Darò l’allarme della tua scomparsa fra una settimana. Fingerò che tu sia malata, o che la gravidanza ti stia mettendo in difficoltà. Poi dirò che sei scappata. -Ci sarà una guerra. -Dirò che non voglio muovere guerra. Che voglio sposare un’altra donna e che ti considero ormai il passato. - Il popolo non vorrà. -Vai da lui Jacqueline. Ho distrutto già troppo la tua vita. Ci penserò io. -Moriranno un sacco di persone. -Vai Jacqueline, vai. Io non ti serbo rancore, sappilo. La guerra sarà evitata, o perlomeno ci proverò. Hai una settimana per raggiungerlo e poi nessuno ti troverà più. Addio. Addio Jacqueline e che Dio ti protegga. Lo abbraccio. Non perché lo amo ma perché sono umana. Perché qualsiasi cosa succederà lui mi ha aiutata. - Hai pagato il tuo debito Luigi. Non ti serbo rancore neanche io. Salutami la contessa de Maspret. Scendo nelle scuderie e preparo una carrozza. Porto con me solo lo stretto necessario e nessuno si accorge della mia fuga, nella notte di Versailles. Yvonne sale con me. La lascerò davanti a casa sua. Non vuole abbandonare suo marito e resterà a Parigi, qualunque cosa succeda. - Non te l’ho detto perché volevo proteggerti, pensavo che il tradimento di Luigi... La abbraccio forte. -Non importa Yvonne. Addio. -Addio Jeanne. Prima di partire vedo una figura che si aggira per i giardini scuri. Madame Angoulême. Scendo dalla carrozza e mi avvicino a lei. So quello che è giusto fare. -Vieni con me. Lei mi guarda triste. -Potrai liberarti dai fantasmi del tuo passato. Voglio andare in Inghilterra. Lì saremo libere, ti ricostruirai una vita. Lei annuisce e capisco che ora, nonostante quello che sia successo fra di noi, siamo amiche. La prendo per mano e saliamo sulla carrozza. Prima di partire do un’ultima occhiata ai giardini scuri e quello che vedo mi fa sorridere. Perché Jacqueline è ancora lì seduta sulla fontana che legge e mentre parto mi saluta con un cenno della mano. E sono certa di sentirle dire: -Addio Jeanne, buona fortuna. Epilogo Il vento mi scompiglia i capelli e me li arruffa. Sono appoggiata alla ringhiera sottile della nave. L’Inghilterra si profila davanti ai miei occhi come una gigantesca creatura antica. Sono felice e leggera e sento che anche il mio bimbo lo è. Madame Angoulême, anzi, Carlotta, guarda la terra davanti ai suoi occhi con un sorriso di speranza. Le sorrido e lei ricambia. La nave attracca. Scendo la passerella con un tremito incontrollabile. La mia vita sta per iniziare. Stavolta però è solo mia. Fisso con lo sguardo le persone sulla banchina e cerco di individuare chi mi sta aspettando. Quando lo vedo mi metto a correre e volo fra le sue braccia. Pierre mi solleva da terra. - Jeanne, sei matta, sei fuori di testa, cosa ti salta in mente! Risate e lacrime di gioia si mischiano. E lì, stretta fra le sue braccia non so cosa mi riserverà il futuro, quale sarà la mia vita, ma so che ho Pierre, il mio bimbo e Carlotta. E ho anche Yvonne. E mentre sono stretta fra le braccia dell’uomo che amo capisco che non c’è mai stata nessuna Jacqueline, nessuna Jeanne, ci sono sempre stata solo io.