SPETTACOLI L’ECO DI BERGAMO MARTEDÌ 2 AGOSTO 2005 Mascagni, una vita da ribelle Sessant’anni fa moriva il musicista di Livorno che cambiò la storia dell’opera Le prime difficoltà, la Giovane scuola e il successo di «Cavalleria rusticana» Nessuno sapeva resistere al fascino di Pietro Mascagni. Né i suoi colleghi e musicisti, da Ponchielli a Puccini per i quali fu un amico leale, né le molte donne che lo amarono nonostante le continue infedeltà; e nemmeno i suoi acerrimi denigratori, a cominciare da Gabriele D’Annunzio che nel 1892 l’aveva definito sprezzantemente un «capobanda» ma che vent’anni dopo gli affidò la trasposizione in musica del suo dramma Parisina. Difficile dire da dove provenisse un simile magnetismo. Certo dovette influirvi la sua natura di ribelle, che lo portò a respingere sempre ogni compromesso, a sbattere la porta in faccia anche a chi avrebbe potuto stroncare la sua carriera, a imbarcarsi in avventure artistiche sempre nuove. «Non bisogna fare la strada percorsa - scrisse dopo il trionfo della Cavalleria rusticana. - (…) Un altro compositore, dal momento che la fortuna gli ha arriso, continuerebbe per la stessa strada. Io no, amo tentare una via diversa. Vorrei essere giudicato per la musica, niente altro che per la musica». Un proposito che Mascagni, di cui oggi cade il sessantesimo anniversario della morte, realizzò appieno con la sua musica che sembrava scaturire direttamente dalla sua anima, pura, primitiva, quasi animalesca come i sentimenti dei personaggi che popolano le sue opere. In un’epoca in cui l’Italia era invasa dalle brume wagneriane, egli propose l’unica ricetta che, come notò il critico musicale Eduard Hanslick, potesse opporvisi: una musica solare, sanguigna, mediterranea, che amplificasse le passioni elementari di personaggi comuni, presi dalla realtà quotidiana e non dalle atmosfere rarefatte della fiaba o del mito. I tre pilastri della sua arte L’inclinazione a ritrarre i drammi dell’uomo contemporaneo nella loro scarna nudità - «verità, dramma, passione» erano per lui i tre pilastri dell’arte - gli derivò forse dalle origini umili: nato Livorno nel 1863, crebbe tra le per la «melodia infinita», a decretare il successo travolgente della Cavalleria rusticana, dopo la quale nulla fu più uguale nella musica teatrale italiana: Puccini avrebbe composto i suoi capolavori Manon Lescaut e Bohème rispettivamente tre e sei anni dopo, e Leoncavallo, affascinato dalla Cavalleria, fu spinto a lasciar perdere l’opera storica I Medici commissionatagli da Casa Ricordi, per consacrarsi invece alla stesura dei Pagliacci. Finì così che il nome di Mascagni si è identificato, e in un certo senso ne è rimasto schiacciato, nella più celebre delle sue opere, la quale ha irrimediabilmente oscurato ogni suo lavoro successivo. Lavori improntati allo sperimentalismo più audace, come si addiceva a un artista che sembrava divertirsi a cimentarsi in imprese sempre diverse, meglio ancora se lontane dalle sue attitudini o persino superiori alle sue possibilità. Dopo avere abbracciato con entusiasmo il verbo verista, Mascagni non esitò a tornare alle atmosfere romantiche con il Guglielmo Ratcliff ispirato all’omonimo poema di Heinrich Heine, né ad abbandonarsi al simbolismo dell’Iris, all’intellettualismo giocoso delle Maschere, al decadentismo estetizzante di Isabeau e soprattutto di Parisina, l’opera che nel 1913 segnò la sua riconciliazione con D’Annunzio, soggiogato dalla capacità del Maestro di rendere in musica le passioni di Ugo e Parisina. Mascagni, da parte sua, trovò nell’opera di D’Annunzio la conferma della propria teoria del dramma musicale, frutto della compenetrazione e del sostegno reciproco tra musica e poesia. Dall’alto in senso orario: Pietro Mascagni al pianoforte; l’operista di Livorno in una classica espressione intento alla direzione d’orchestra; un’illustrazione per un’edizione di «Cavalleria rusticana», il melodramma tratto dall’omonima novella di Giovanni Verga. La prima rappresentazione dell’opera andò in scena al Teatro Costanzi di Roma il 17 maggio 1890, i principali protagonisti sono Turiddu, Alfio, Santuzza e Lucia. «Cavalleria rusticana» ebbe un successo travolgente tanto che fu ben presto assurta a manifesto del verismo musicale italiano damigiane d’olio e i sacchi di farina del forno che il padre aveva proprio sotto l’abitazione. Padre che avrebbe voluto vedere suo figlio diventare avvocato, notaio o medico. Ma Pietro aveva altro per la testa, come rivelò il giorno in cui, a tredici anni, si ritrovò fra le mani un libretto intitolato Zilia, incentrato su uno dei viaggi di Cristoforo Colombo: ne fu talmente affascinato da passare ogni giorno e ogni notte a cercare su una rudimentale tastiera la musica che potesse accompagnare quella storia. Il padre, esasperato, decise di bruciare quel dannato libretto, ma Pietro riuscì a mettere in salvo i suoi appunti musicali, che in seguito sarebbero confluiti nel Guglielmo Ratcliff, l’opera nella quale investì forse le sue maggiori energie. Energie smisurate: Mascagni visse tra la Milano delle grandi case editrici musicali e la Roma del Teatro Costanzi, di cui fu a lungo direttore, si fece cacciare dal Conservatorio di Milano per poi dirigere quello di Pesaro, e si dice fumasse quaranta sigari al giorno, bevesse vermouth al posto del vino, non perdesse una partita a scopone e amasse dettare legge anche nella moda, ad esempio La genesi della musica con il suo proverbiale ciuffo che lo rendeva irresistibile agli occhi del pubblico femminile. Ma soprattutto dettò legge nella musica, inaugurando il movimento passato alla storia come «Giovane scuola» che, dopo Verdi, dimostrò come l’Italia dell’opera avesse ancora qualcosa da dire. O meglio da cantare. È con il canto, infatti - spontaneo, selvaggio, quasi urlato che Mascagni portò gli spettatori nel cuore dei suoi drammi, obbligandoli a condividere passioni e tormenti dei loro protagonisti. Con il canto e naturalmente con l’orchestra, che dopo Wagner non poteva più non avere un ruolo di primo piano, affidandole il commento lirico a un’azione che per la prima volta portava sulla scena emarginati e diseredati, quei «vinti» ritratti da Giovanni Verga in romanzi e novelle. Proprio da una novella verghiana prese corpo l’opera che fece entrare Mascagni nell’olimpo della musica ottocentesca. Rappresentata nel 1890 al Teatro Costanzi di Roma, Cavalleria rusticana fu una deflagrazione che abbatté tutte le vecchie convenzioni teatrali: per la prima volta il melodramma accoglieva tra le sue braccia non teste co- DISCHI CLASSICA di Stefano Cortesi ANTONIO VIVALDI TRASCRIZIONI DI CONCERTI Etichette: STRADIVARIUS, TACTUS Le trascrizioni dei Concerti di Vivaldi ne testimoniano l’importanza storica che ebbe a partire dal ’700 La fortuna di cui hanno goduto i Concerti di Antonio Vivaldi ci è testimoniata, oltre che da svariate pubblicazioni presso i più importanti editori europei del ’700, anche da innumerevoli trascrizioni per strumenti a tastiera. Sebbene la pratica della trascrizione rappresenti una tipica consuetudine barocca, la portata dell’acquisizione di Concerti di Vivaldi ad una destinazione strumentale tastieristica non trova probabilmente riscontro in nessuna altra produzione di autori coevi. A questo riguardo le celebri trascrizioni per clavicembalo e organo realizzate da Bach, unitamente a quelle di altri autori quali Walther e Scheibe, ci documentano in che misura fosse avvertita nel ’700 l’esigenza di approfondire l’opera vivaldiana. Interessanti due cd, dedicati a tale antica pratica, recentemente pubblicati. Nel primo, edito dalla Tactus, Francesco Tasini, con particolare attenzione al modello bachiano, presenta una serie di celebri Concerti in una sua personale trascrizione e «riduzione» per organo. Egli utilizza uno strumento italiano costruito secondo le tipologie del grande organo tedesco Silbermann, che si adatta perfettamente per le sue qualità foniche e timbriche alla ronate ed eroi leggendari, ma poveri e analfabeti contadini siciliani, travolti da un cupo dramma della gelosia. Un Otello in chiave verista nel quale anche la musica, al pari delle passioni messe in scena, si offre senza sublimazioni né artifici, autentica come quella Verità eletta a ideale letterario dagli scrittori come Verga o Capuana. Fu questa genuinità di espressione, appena mitigata dalle concessioni alla tradizione verdiana - riscontrabili negli appassionati cori che sottolineano o stemperano le passioni dei protagonisti - o al gusto wagneriano «Io penso che la musica sia un modo di sentire, un modo di pensare - scrisse in un articolo del 1913. A noi musicisti ogni visione, ogni impressione - un colore, un grido, un quadro, un tramonto, un fiume - dà una sensazione musicale. Merito del musicista? Merito del fatto che origina l’idea. Ed ecco che se la potenza di un bel poema suscita belle sensazioni musicali, io dico che la musica è provocata e sollevata dalla poesia. Io vedo, per esempio, nel mio lavoro un satellite che riceve luce, e colore, e forza, da quel sole che è il poema». Maria Mataluno 33 Clusone Jazz musica (quasi) tutta europea È un ritorno alle origini Dal punto di vista delle per Clusone jazz. Con le scelte sembra aver prevalcinque ragazze di «Girl so un’attenzione quasi aftalk», ensemble per soli fettiva, e forse la celebrasassofoni, domenica scor- zione lo consentiva. Il Kolsa si è tornati nei luoghi lektief, Sorgente Sonora, il che, in anni passati, con i Clusone trio con tutte le disuoni del jazz e delle speri- ramazioni che un tale delmentazioni ardite degli im- ta creativo ha portato con provvisatori avevano in- sé, parlano la lingua di una staurato una relazione pri- storia quasi privata, fatta vilegiata. di relazioni umane ancorL’orologio dell’omonima ché artistiche. piazza e la Danza macaDetto questo bisogna bra si sono, sia pure solo prendere atto che il festival per il volgere di questa tem- ha ottenuto ottimi e lusinporanea rentrée, in qual- ghieri risultati di pubblico. che modo riappropriati di Spettatori numerosi per le un festival che era anche molte date a ingresso libero della fase itinerante e loro. Intanto sono definitiva- buone presenze anche in mente scoccati i venticin- Corte Sant’Anna, con i conque anni di una manifesta- certi a pagamento. Così, zione che si è ritagliata uno nonostante il dominio inspazio di rilievo nel novero contrastato delle hit paradelle proposte concertisti- de e del marketing induche nazionali, attraverso gli striale, le piazze e le corti alti e i bassi che dagli anni vengono riempite da un Ottanta ad oggi hanno ac- pubblico che non è certo compagnato le alterne vi- costituto da appassionati cende di una musica co- e cultori della materia. Questa edizione del festimunque orfana di numi tutelari, si tratti tanto del- val ha poi celebrato per ben le dubbie virtù commercia- due volte l’incontro tra li dell’industria dell’intrat- banda e jazz. Proprio la tenimento pop quanto del- banda ha resistito, a dile solerti attenzioni riser- spetto di ogni ragionevole vate dalla finanza pubbli- previsione, all’assalto dei tempi moca alle buoderni in ne accadevirtù dell’irmie della riducibile musica coldifferenza ta. che c’è tra la La prima musica che considerasi fa e quelzione rila che solo guarda l’assi ascolta. sociazione Forse in che in terciò risiede mini origiancora il nali da un tratto everquarto di Due «Girl talk» sivo di quesecolo a sta musica, questa parte riesce a trovare il pun- volta alle pratiche più che to di equilibrio tra puro vo- ai consumi. E forse proprio lontariato culturale (oggi per questi motivi Trovesi oggetto del desiderio assai all’opera rappresenta più raro dei panda) e gli qualcosa d’importante per oneri organizzativi che un la musica bergamasca di tale cartellone impone. questi anni, raccontando Oneri brillantemente assol- nel contempo qualcosa ti con buona pace dell’eti- d’emblematico per la muca del professionismo tan- sica d’oggi. to in voga. La direzione arTornando al festival certistica ha dunque avuto ra- to un po’ è mancato il temgione, a scapito di tutte le pismo con il quale negli ulperplessità che il cartello- timi anni Clusone jazz avene dell’edizione 2005 ave- va incrociato alcuni dei va suscitato. progetti più interessanti Un programma costrui- emersi sulla scena internato senza alcuna concessio- zionale, ma resta il piacene al nome appetibile e re di alcune preziose riveneppure a quei progetti ar- lazioni pressoché inedite tistici, pure rigorosi, al cen- per il pubblico italiano, dal tro dell’attenzione e del cre- trio Goudsmit, Vloeimans, dito internazionale. Prati- Fraanjie al trio di Soren camente omessa la scena Moller, o la scoperta del vastatunitense, che pure lore solistico assoluto di un continua a vantare legit- Antonio Zambrini, accantima primogenitura su to alle belle conferme dello buona parte delle musiche stesso Clusone Trio, delcontemporanee fondate l’ensemble Ammentos, del sull’improvvisazione. Mol- settetto Sequences di Tino tissimi gli italiani, anche Tracanna, del quartetto di qui con un’ostinata esclu- Alberto Mandarini. All’insione dei soliti noti, ecce- segna di un caleidoscopio zion fatta, e si capisce, per espressivo e di una pluraGianluigi Trovesi, e qual- lità stilistica che ha buttache investimento di troppo to alle spalle i rigorismi delsu musicisti di relativa la musica militante. qualità. Renato Magni Al festival del teatro di figura il bergamasco Angelini ha proposto una pièce interattiva resa del Concerto vivaldiano, in particolare alla tipica alternanza tra «solo» e «tutti». Nel secondo cd, curato dalla Stradivarius, il liutista Paolo Cherici propone una trascrizione di celebri pagine per lo strumento a corde pizzicate. Sebbene al momento non si conoscano fonti che riportino Concerti di Vivaldi adattati al liuto, occorre tuttavia considerare che la pratica della trascrizione ha accompagnato lo sviluppo del repertorio liutistico fin dalle sue origini. Anche le trascri- zioni tastieristiche più sopra menzionate costituiscono una fonte autorevole a cui i liutisti potevano attingere. Dovendo selezionare dalla sterminata produzione di Vivaldi i Concerti più adatti ad una resa liutistica, la preferenza non poteva che cadere sulle opere dove gli strumenti solisti sono proprio il liuto e, per evidenti affinità strumentali, il mandolino. Malgrado la complessità del lavoro, in ragione delle ovvie difficoltà che comporta la riduzione di opere scritte per un organico a più strumenti sulla tastiera di un liuto, il risultato finale appare assolutamente convincente, tale da non compromettere il senso musicale del linguaggio vivaldiano. Pur venendo a mancare la corposità e i colori di un’esecuzione orchestrale, la voce del liuto conferisce a queste pagine un carattere di musica da camera ricca di atmosfere riverberate dal timbro prezioso dello strumento. Cervia, le novità «Arrivano dal mare!» Un mondo tanto più aperto quanto più sicuro della propria identità. È il teatro di figura visto a «Arrivano dal mare!» a Cervia, il più importante festival italiano del settore, nodo nella rete Europuppet, arrivato ai trent’anni con un forte rilancio sui giovani. Due gli assi portanti dell’edizione finita domenica scorsa: la tradizione europea del burattino a guanto e l’affacciarsi di una nuova generazione di artisti, formatisi in scuole prestigiose e inclini alla contaminazione visuale. In mezzo, ci sono l’amarcord del trentennale e la tentazione multimediale di artisti come Terry Lee o il bergamasco Luì Angelini. L’esplorazione del vasto territorio della figura - non solo ciò che può essere animato, ma in generale tutto ciò che muove l’immaginazione non riguarda infatti solo i giovani. Tra l’horror-fantascientifico Ishmael Falke (Golemanual), la sofisticata Dorothée Saysombat (La chambre 26) e il muto Desire degli allievi dell’Accademia polacca di Bialystok, si ritagliano un posto esponenti della generazione precedente. Nel gogoliano L’abric gli allievi dell’Institut di Barcellona sono guidati da Alfred Casas, e Lee dirige il gioco multimediale de L’appartemental di Charleville-Mézières. Va oltre il teatro, inve- ce, Luì Angelini de La Voce delle Cose. Al festival ha presentato in anteprima, in una sezione collaterale, il suo progetto di gioco informatico interattivo sul tema del teatro di figura tradizionale. Il progetto è in corso di definizione per l’Archivio di Etnografia e Storia sociale della Regione Lombardia (fondato dal grande etnomusicologo ed esperto di teatro d’animazione Roberto Leydi) e sarà, una volta ultimato, a disposizione sul sito Internet dell’archivio. Semplice e vincente l’idea: ogni giocatore potrà creare il proprio spettacolo, attraverso gli archetipi e le funzioni narrative dello spettacolo tradizionale, sfruttando le possi- bilità combinatorie e convenzionali delle trame di Pulcinella e Gioppino. È un matrimonio fra la tradizione più schietta e la tecnologia informatica. Un matrimonio il cui annuncio sta bene in questo festival, che ha visto tornare grandi custodi dell’ortodossia burattinesca: il bolognese Romano Danielli con l’ottocentesca Ginevra degli Almieri, l’inglese Dan Bishop (Punch & Judy Show) e il napoletano Salvatore Gatto (Pulcinella). Il bello è che a loro guardano molti giovani burattinai, come Luca Ronga o lo stesso Di Matteo: la figura è davvero uno spazio (animato) libero. P. G. N.