Organo ufficiale dell’Associazione Nuova Famiglia – Addis Beteseb – ONLUS Anno 17 – numero 2 (64) Giugno 2014 - Trimestrale POSTE ITALIANE s.p.a. Sped. in abb. postale D.L. 353/2003 (conv. L.27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB PD Riepilogo di alcuni progetti sostenuti da Nuova Famiglia Guinea Bissau - Acquisto latte per bambini denutriti - Somma annuale preventivata € 7.000,00 -Somma raggiunta€ 6.505,00 Etiopia – Scuola materna Santo Stefano di Enemore - Somma preventivata - Somma raggiunta Etiopia – Casa accoglienza donne e bambini Dakuna - Somma preventivata - Somma raggiunta € 135.000,00 € 39.662,42 € 75.000,00 € 27.686,06 Etiopia - Acquisto, allestimento e spedizione ambulanza Getche - Somma preventivata compreso sdoganamento - Rimangono a saldo Etiopia - Sostegno studenti universitari Guraghe - - Somma preventivata Somma raggiunta Etiopia - Linea elettrica San Marco – Nadene - - Somma preventivata Somma raggiunta Etiopia - Acquisto di un paio di scarpe - - Costo preventivato per paia Importo versato Tanzania - Una tastiera per Manda - - Somma preventivata Importo versato € 13.743,38 € 1.587,31 € 5.758,00 € 2.674,43 € 26.600,00 € 7.310,28 € 2,00 € 816,95 (per circa 400 paia di scarpe) € 450,00 € 0,00 (Nuovo Progetto) Per chi volesse contribuire a uno di questi progetti, chiediamo di inserire la causale nel versamento. Le n o s t r e c o o r d i n at e QUOTE ASSOCIATIVE (annuali): Socio Ordinario € 55,00. CONTRIBUTI A PROGETTI: specificare sempre la causale. PARLIAMO AFRICA: abbonamento annuale (4 numeri) € 12,00. versamenti su: c.c.p. n. 15889355 intestato a: Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS bonifici su: c.c.p. - coordinate: IT - 54 - D - 07601 - 12100 - 000015889355 intestato a: Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS - vicolo Ceresina 6, 35030 Caselle di Selvazzano Dentro (PD) c.c.b. - coordinate: IT - 98 - J - 01030 - 62891 - 000000290646 presso la banca Monte Dei Paschi Di Siena filiale 2637 di Caselle di Selvazzano Dentro (PD) c.c.b. n. 2906,46 intestato a: Nuova Famiglia Addis Beteseb (ONLUS) vicolo Ceresina 6, 35030 Caselle di Selvazzano Dentro (PD) ADOZIONI A DISTANZA: € 130,00 (aiuto ad un minore) € 250,00 (aiuto ad una famiglia) versamenti su: c.c.p. n. 13772355 intestato a: “Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS Adozioni a distanza”. bonifico su: c.c.p. - coordinate: IT - 78 - I - 07601 - 12100 - 000013772355 intestato a: Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS - Adozioni a distanza Vicolo Ceresina 6, 35030 Caselle di Selvazzano Dentro (PD) in copertina foto di Lorenza Veronese Anno 17 – numero 2 (64) – giugno 2014 – Trimestrale 2 Organo ufficiale dell’Associazione Nuova Famiglia - Addis Beteseb - ONLUS GIUGNO 2014 m A a R r Ii Oo S oO m MM s 4 Editoriale di Giulia Consonni 5 Vent'anni di festa e condivisione di Lorenzo Tosato 6 la guerra delle donne 9 di Giuseppina Torregrossa miti e leggende d'africa a cura di Thomas Mushi 10 un sogno realizzabile? 10 di Maria Teresa Miante help for life nel guraghe a cura di Help For Life 11 da clandestini a imprenditori di Marcello Massaro 12 ci scrivono... a cura della redazione 13 14 un prezioso contributo a cura della redazione Buona vita, piccolo junior di Silvia Cirri 16 condividere è... 2014 di Adriana Benetton 18 progetto di aiuto a dakuna di Ivo Babolin 19 come un mazzo di carte di Lorenza Veronese 22 20 mondiali brasile 2014, bambine sulla strada di Greta Privitera 3^ festa d'estate 3^ soddisfazione di Maria Teresa Miante 3 e d i t o r i a l e e d i to r i a l e 4 di Giulia Consonni Care lettrici e cari lettori, ben ritrovati con un nuovo numero di Parliamo Africa. Usciamo in piena estate con l’edizione di giugno perché, come vedrete nei racconti delle prossime pagine, sono stati mesi molto intensi per la nostra Associazione e vogliamo raccontarveli tutti: la grande festa dei 20 anni di Nuova Famiglia lo scorso maggio, la 3^ cena d’estate condivisa con l’Usma poche settimane fa, il trasloco appena concluso nella nuova sede di Piazza Carlo Leoni a Caselle di Selvazzano e la preparazione (tuttora in corso) della tradizionale festa di Settembre. Quest’anno, a tenerci compagnia, anche le partite di calcio dei Mondiali 2014 in Brasile. Appassionati e non di questo sport, con i Mondiali siamo quasi tutti coinvolti a tifare per la nostra nazione. Mentre scriviamo si stanno giocando i quarti di finale, non sappiamo chi vincerà, sappiamo che l’Italia è già fuori. Vorrei approfittare di questo argomento per provocare una riflessione in ciascuno di voi, senza retorica, senza pregiudizi, senza superficialità: non tanto sugli aspetti tecnici (che non conosco e poco mi interessano), quanto sugli sprechi, sulla violenza e sullo sfruttamento che questo appuntamento atteso per anni ha portato con sé in Brasile. Condivido con tutti voi questi pensieri e vi auguro una buona estate! BRASILE, POVERTÀ E CALCIO Il Brasile è sempre stato un paese in bilico tra zone di gravissima povertà (le famose Favelas) e aree ricchissime in cui vivono i potenti del paese, ma con la preparazione per accogliere i mondiali di Calcio 2014 e le Olimpiadi 2016, il governo dello stato di Rio de Janeiro ha fatto una vera e propria “pulizia umana“, distruggendo le case e cacciando migliaia di famiglie delle zone povere. Il Brasile vuole nascondere ai suoi turisti i gravi problemi economici e sociali come si farebbe spazzando la polvere sotto al tappeto, ma in questo caso è la vita di bambini e adulti a essere schiacciata. Interi quartieri popolari sono stati abbattuti, le ruspe si sono presentate con forza davanti alle case alle 7 del mattino, senza dare neanche un preavviso o una nuova sistemazione alle famiglie che sopravvivevano in quella zona. Al posto delle case, un parcheggio per i turisti amanti del calcio. Sono milioni i bambini che ogni giorno vivono in strada nelle principali città del Brasile, senza una casa o qualcuno che si prendi cura di loro. Sono bambini sfruttati, picchiati, costretti a prostituirsi o chiedere l’elemosina ai passanti, dormono nello sporco e muoiono per terra nel più triste anonimato. I Mondiali di Calcio 2014 hanno peggiorato la situazione e le case sono state distrutte per fare spazio a strutture turistiche. Mentre non c’erano abbastanza fondi per la costruzione di scuole e ospedali nelle zone più bisognose del Brasile (ci sono giovani ragazze che partoriscono i loro figli in strada senza assistenza sanitaria), si sono invece trovati subito miliardi di euro per la costruzione di costosissime strutture per giocare a calcio e far divertire i tifosi per qualche settimana. Le notizie sugli sgomberi delle favelas per fare spazio ai mondiali di calcio, le violenze dei militari che cacciano uomini, donne e bambini senza pietà, le speculazioni economiche che arricchiscono chi è già ricco e sfruttano ancor di più chi non ha nulla, stanno toccando i cuori e le menti di milioni di persone in tutto il mondo, tra cui numerosi artisti che hanno cercato di lanciare messaggi di sensibilizzazione attraverso la loro arte. Ci sono tante testimonianze sulla drammatica situazione in cui vivono i bambini del Brasile, senza mai un momento di respiro tra lotte interne delle bande di trafficanti di droga, giri di prostituzione, i militari del governo che distruggono le loro case e ora anche gli organizzatori dei Mondiali di Calcio hanno imposto la loro forza economica. A pagarne le spese per primi sono proprio loro, i bambini. Ogni giorno, polizia e messi comunali, hanno girato per le favelas “pacificate” e hanno segnato con una vernice gialla, come si fa con gli alberi, le case da abbattere. E’ una pratica che non ha nessun valore né legale né pratico, ma che basta a far scappare e qualche volta anche suicidare chi ci vive. Vero e proprio terrorismo psicologico. Il mondiale si è rivelato un ottimo escamotage per giustificare queste operazioni militari contro la povertà per la conquista di terreni lottizzabili. Le favelas sono da sempre un luogo di povertà e sfruttamento, in cui i bambini nascono, vengono sfruttati in ogni modo possibile e muoiono come se fosse tutto normale. La soluzione non è certo mantenere le strutture decadenti e sporche delle favelas, ma il governo dovrebbe investire nello sviluppo sociale: quanti dei soldi spesi per intrattenere i turisti del calcio sarebbero potuti essere spesi per salvare la vita a migliaia e migliaia di bambini? vent'anni di festa e di condivisione di Lorenzo Tosato Il 3 e 4 maggio scorsi abbiamo festeggiato questa importante tappa del nostro cammino: vent’anni di Nuova Famiglia. Sono stati due giorni nei quali abbiamo cercato, con semplici eventi, di farci prima di tutto conoscere nel territorio dove da sempre abita la nostra sede (Caselle di Selvazzano) e, in secondo luogo, di stare insieme ad amici e sostenitori, ricordando i momenti condivisi insieme: belli, difficili, soddisfacenti, significativi per la crescita dell’Associazione. Abbiamo così organizzato, per il sabato pomeriggio, in collaborazione con gli amici dell’ Usma (Unione Sportiva Maria Ausilatrice) un triangolare di calcio al quale abbiamo partecipato ottenendo un ottimo secondo posto. Alla sera ci siamo ritrovati per una pizza in compagnia presso il capannone degli impianti parrocchiali di Caselle. La domenica abbiamo partecipato all’ Eucaristia e poi, presso la mostra che avevamo allestito in centro parrocchiale, abbiamo presentato il libretto commemorativo dei 20 anni di Nuova Famiglia, ideato e creato da alcuni volontari dell’ Associazione che, con un sapiente lavoro di ricerca, hanno raccolto foto e testimonianze di tantissime persone del passato e del presente che hanno contribuito a rendere Nuova Famiglia la meravigliosa realtà che oggi viviamo (il libretto è bellissimo ed è disponibile in sede). Abbiamo terminato poi i festeggiamenti con un ottimo pranzo preparato sempre dai nostri volontari. Per festeggiare i nostri vent’ anni due giorni sono certamente pochi, ed è per questo che tutte le attività in programma quest’anno contribuiranno a celebrare questo evento. Gli anni fin qui trascorsi sono stati sicuramente ricchi di nuove emozioni e di trasformazioni, anni entusiasmanti tenuti vivi sempre da nuove esperienze. Il progetto delle adozioni internazionali ha garantito la partecipazione alle attività di tantissime persone coinvolte personalmente ed emotivamente dalla profonda esperienza che andavano a vivere, e il loro entusiasmo ha sicuramente contagiato tantissimi di noi, permettendoci di conoscere il mondo della solidarietà. Ora, dopo vent’anni, ci aspetta un lavoro di consolidamento di quanto è stato creato, ma soprattutto credo sia importante portare avanti lo spirito di solidarietà gratuita operata nel silenzio e lontana dai riflettori, salvo nei casi in cui sia necessario diffondere i nostri ideali. Sicuramente tantissime altre sfide ci aspettano, vedi la crisi economica che sempre più attanaglia il nostro territorio, la sensibilizzazione di giovani indifferenti o di adulti pseudo razzisti verso le realtà di immigrazione dalle coste dell’ Africa, e ancora le nuove richieste di aiuto che continuamente ci arrivano da varie parti del mondo. Credo che per almeno altri vent’ anni non ci annoieremo, ma è essenziale che tutti ci aiutiamo, ognuno con i propri talenti e anche con i propri limiti che dobbiamo imparare ad accettare, aiutandoci a superarli per non rendere vano tutto ciò che è stato creato finora. Voglio ringraziare tutti coloro che sono e che saranno Nuova Famiglia, e permettetemi di rivolgere un grande e commosso grazie a colui che ha immaginato e voluto tutto ciò, il nostro angelo custode Padre Domenico. 5 la guerra delle donne di Giuseppina Torregrosse * Ci scusiamo con i lettori e riportiamo questo articolo che nell’ultimo numero, per un errore di stampa, risultava incompleto. *Ginecologa palermitana e scrittrice: il suo ultimo romanzo, Panza e prisenza (Mondadori), è del 2012. «La bastarda» è sopravvissuta al deserto, al mare, alla violenza che le darà un figlio. Per lei, come per le compagne di viaggio finite giù nell'abisso dopo aver trattenuto la pipì e le doglie, non c'è pari opportunità all'inferno. Lampedusa, 2013 Mi camuffo da signora di mezza età e, lenta come i turisti di fine stagione, passeggio annusando l’aria, spalancando gli occhi. Sono arrivata per il naufragio, anch’io assieme agli altri, ma non cerco cronaca, semmai il bandolo di una matassa che si dipana dai corpi senza vita degli ultimi della terra. Perciò non mi lascio travolgere dalla frenesia delle notizie e guardo con sussiego le telecamere ammucchiate davanti al municipio. Supero indifferente, alle porte del paese, quello che chiamano pomposamente “il cimitero delle barche”- a me sembra una raccolta di rottami - e mi dirigo all’isola dei conigli. Brulla, le rocce grigio perla, un costone impraticabile da un lato, una dolce stuoia di sabbia dorata dall'altra, in mezzo una savana di cespuglietti dalle foglie corte e tonde, i rami spinosi e strani fiori lunghi, con una buffa infiorescenza in cima che si ripiega come un punto interrogativo sullo stelo carnoso. Tutta la zona né è piena. Ci arrivo alla controra, la luce aggiunge crudeltà a questo paesaggio bello, ma in modo esagerato. Noi siciliani siamo così: non conosciamo le mezze misure e non vogliamo cambiare, prendere o lasciare. Ha preso Domenico Modugno, che qua c'è rimasto finché non è morto, ma dopo una vita lunga, piena di battaglie, non prima che il sogno della giovinezza giungesse a compimento; e poi era dentro al suo letto e non con i polmoni pieni di cherosene in fondo al mare. Ieri specchio levigato al sole di un agosto sciroccoso. oggi furia indomabile si abbatte sulla costa che invano da secoli tenta di levigare. Più forte di quell'onda che si solleva minacciosa, caparbia e violenta la batte senza sosta, la roccia non si smussa, anzi, più l'acqua la corrode, più essa si fa tagliente. La spiaggia e riparata, a riva la corrente perde d'impeto. Nel cielo comincia ad addensarsi una nuvolaglia minuta e inconsistente, mentre ombre pallide e sciatte sì allungano su uno scoglio così grande che si può chiamare «isola». Il relitto è su questo fondale, nascosto dai marosi, chissà quando restituirà il suo carico di morti. Gli montano di guardia un elicottero e una motovedetta, la zona è presidiata, «quando a Sant'Agata s'arrubbaru ci misiru i cancelli». Se ci fossero stati la notte prima non staremmo ora a piangere né esisterebbe l'Hangar blu, che non è un pub dove tirare tardi, ma la camera mortuaria di quasi 200 sconosciuti. La riserva è oggi interdetta al pubblico, la sabbia non ha impronte, si stende come uno strato burroso e uniforme, un tessuto fine e soave, bianco dorato, sembra neve fresca che nessuno ha ancora calpestato. L’ALTRO LATO DI LAMPEDUSA lo raggiungo attraverso una strada sterrata e polverosa, bordata da mucchi di frigoriferi accartocciati, lavatrici senza oblò, sacchetti e sacconi. La munnizza non manca mai. Il compattatore ha l'aspetto di un albergo di periferia, lo lascio alle mie spalle, quindi di nuovo l'asfalto. La falesia è sotto di me, un baratro spaventoso dove il mare ha i toni della notte e i colorì dell'inferno. «Benvenuta al Sud!», mi dico, suggestionata da un cielo basso, che non incombe, dai cirri che sembrano un branco di gazzelle in movimento, dalla terra arida che non chiede acqua ma esige rispetto. E d'altra parte Lampedusa nelle carte geografiche è più vicina alla Libia che alla Sicilia, anche se ha l'aspetto di un sassolino che fuoriesce dal nostro stivale. A me sembra una porta spalancata sull'Europa e non sull'Africa, come vuole il monumento di Palladino a contrada Cavallo. Da questa isola «d'oltre mare» si accede all'Italia. Gli americani entrarono da qui nel '43, si vede che è la via più semplice, perciò anche la più breve. I migranti arrivano a frotte, quando il I mare è buono, ma nell'oscurità della notte e nella precarietà dei mezzi anche il lago cristallino di Isola dei Conigli diventa una palude insidiosa. Sono tutti giovani e sani. Non conoscono le malattie dismetaboliche del vecchio Occidente crapulone. Me lo dice il medico di Lampedusa, un signore sempre in movimento. Ha i capelli ricciuti e, se 6 non indossasse la maglietta dell'Azienda sanitaria, potrebbe essere confuso con uno di loro, tanto ci assomiglia a questi fratelli che tendono le braccia per essere salvati. Nei suoi occhi mobili e scuri, vivaci e tristi, trovo il primo segno dell'emergenza. Perché a Lampedusa, sepolti i morti, soccorsi i vivi, accolte senza entusiasmo le autorità, non ci sono segni inequivocabili di emergenza. «Sono stanco», mi confessa. «Del lavoro?», azzardo io. «No, quello che c'entra?». Infatti è così di solito per i medici, non è la fatica a distruggere, ma il senso di impotenza, l'orrore che si prova davanti ai corpi acerbi dei bambini che non giungeranno a maturazione, alle pance delle donne, sacro tempio della vita, che prima di toccare terra conoscono la violenza dei mercanti di carne. La gente del luogo li accoglie, con semplicità, è la legge del mare, si soccorre chi sta per annegare. Quanto alle altre norme, quelle che impongono di volgere lo sguardo e tirare i remi in barca lasciandoli morire, bè sono ingiuste e perciò fatte per essere disattese. Lo diceva anche Giovanni di Salisbury, mica uno qualunque. Comunque agli isolani la memoria funziona bene, non hanno certo dimenticato che molti anni fa è toccata a noi la stessa sorte. NON VOGLIONO FERMARSI QUI i migranti. Il tempo di riprendere le forze e cominciano a scalpitare per andare via, ma a quel punto non dipende più da loro. Al centro di prima accoglienza sono più di mille, nonostante le partenze quotidiane. Anche qui, per quello che si capisce da dietro il cancello, non si vive uno stato di emergenza, ma una routine affettuosa e consolidata. I gruppi sono accampati sulla terra nuda, gli uomini distesi sui materassi, rettangoli di lattice bianco buttati alla rinfusa tra gli alberi radi. Finché dura il bel tempo, è fortuna. Sulle loro teste svolazzano i teli argentati con i quali li hanno scaldati appena arrivati a terra. Il vento li muove e il fruscio si mischia al rumore degli uccelli. anche loro migrano di questa stagione. La normalità sono i bambini, giocano a pallone, si rincorrono, lanciano gridolini di gioia proprio come in un condominio. S'insinuano tra le gambe robuste dei soldati che li accarezzano sui capelli. Dietro vigilano le mamme, belle e misteriose. Queste donne hanno la pelle ambrata che riluce di salute e giovinezza. I denti bianchi appena si intravedono, riservate come sono non spalancano la bocca, ma socchiudono le labbra per sussurrare, che per sorridere non è ancora il tempo. Sono velate, anche le adolescenti che, diversamente dalle madri paludate in lunghi abiti scuri, indossano leggings e jeans stretti. Omar è uno di quelli che non è andato via, è stato quasi adottato da una famiglia locale. Dico quasi perché attivare una procedura di adozione in queste condizioni equivale a un'omissione di soccorso. La nostra burocrazia è lenta, farraginosa, ci si può perdere la vita e l'entusiasmo in questo tipo di pratiche. Perciò, per non fargli mancare il pane e l'affetto, hanno lasciato perdere i documenti. Omar ha fatto le scuole, ha giocato in un campetto polveroso insieme ai suoi amici, è cresciuto sotto lo sguardo del padre putativo che non ha lo stesso suo sangue. ma un cuore pieno d'amore. La paura della morte non gli morde più i polpacci, sa di non essere immortale, ma, a Dio piacendo. qui può sperare di morire da vecchio. in un letto pulito, circondalo dai suoi affetti. Ora fa il mediatore culturale, restituisce agli altri quello che lui ha avuto, certo non senza nostalgia, ma chissà che un giorno non possa tornare nella sua terra, prima di essersi accertato che libertà e rispetto anche lì sono parole piene. INTRISA DI SALE E CHEROSENE, un pesce mal cotto su una carbonella satura di diavolina, «la bastarda» è figlia di un'africana e un olandese. Il soprannome lo deve alla tonalità chiara della sua pelle, unica eredità dello sconosciuto che l'ha procreata. È giovane, e bella, più delle sue connazionali. Sfizio, golosità, dolcetto per gli uomini del suo villaggio che hanno perso il sonno della notte quando è diventata una adolescente succosa. Appena partorito, alla madre era bastato uno sguardo per capire che quella panatura croccante, che ricopriva dalla testa ai piedi la sua bambina, sarebbe stata una maledizione, uno stigma. «Nessuno la prenderà in moglie, non è abbastanza nera», si è detta sgomenta. Nella Sicilia dell'Ottocento funzionava al contrario: le donne più chiare erano le più desiderate. Perciò decise di darla a un vecchio. «Lei gli rivitalizza il corpo stracco, lui ne farà sua moglie», ha pensato soddisfatta, «è solo un contratto, in fondo». Aveva fatto i conti senza l'oste. Lui l'ha usata e abbandonata sola al suo destino. La ragazza da quel momento diventa terreno comune sul quale ogni maschio pianta temporaneamente una bandiera. 7 Ma quando muore la mamma, «la bastarda» prende il mare, la muove il sogno di ricongiungersi al padre il cui incarnato brilla ai raggi della luna. E subisce ancora violenze, stavolta tocca ai suoi aguzzini che in cambio le promettono libertà e un posto in barca. Attraversa quindi il deserto, risale la corrente gravida come un salmone, che nel suo ventre il seme di qualcuno germoglia. Nonostante la fatica, il naufragio, il freddo e la paura, la bastarda il bambino non lo perde. Attaccato alle viscere di lei, il cuore del feto balte saldo e veloce. Però non c'è da commuoversi per quel puntino luminoso che pulsa sullo schermo dell'ecografo, l'Olanda è difficile da raggiungere da clandestina e. con un bimbo da tenere per la mano, il viaggio si complica enormemente. Nelle guerre sono le donne a pagare il prezzo più caro. I loro corpi sono fatti per una vita riservata e stanziale. Che per un maschio non è difficile pisciare in mare. «Ma loro?», chiedo al dottore. «Di solito trattengono e comunque non bevono, solo raramente. Talvolta arrivano doloranti, con il globo vescicale: si dice così quando la vescica, essendosi troppo dilatata. perde la sua elasticità e non riesce più a svuotarsi. Quando inseriamo un catetere vengono fuori più di due litri di urina». Non c'è pari opportunità in pace né in guerra. «C'è chi trattiene persino le doglie. pur di non partorire in mare». Non è solo una questione di pudicizia, semmai è la necessità. In piedi, stipale l'una contro l'altra, non hanno spazio per accovacciarsi. Solo quando sbarcano lasciano fluire il respiro, allentano il diaframma e sulla terra ferma si abbandonano alle contrazioni. Quanto può essere dolce un dolore! «Non sono donne fragili», mi dicono, ma perché, ci sono donne fragili? A NOTTE SCOPPIA IL TEMPORALE. Il rumore dei tuoni fa l'effetto di una salva di bombe. La corrente salta e nella sensazione di pericolo imminente che viene dal buio pesto mi convinco che siamo nelle retrovie di un conflitto annoso. L'aria è tetra e pesante, perché la violenza arriva di risulta e l'irrequietezza lo stesso soffia costante nei gesti misurati delle persone che ogni sera vanno a letto preoccupate. Il temporale scoppia rumoroso e prepotente. Il cielo nero illuminato a giorno da saette senza direzione e l'acqua a catinelle, gocce dure e pesanti che si abbattono con la violenza di un sasso lanciato contro i vetri. Improvvisa si diffonde una vibrazione ampia, diffusa, onnipresente, come se fuori avesse cominciato a suonare un'orchestra di cristalli. La melodia sale dal mare, è un gigantesco Om, acquoso e sibilante, è una nota straziante e disumana, è un pianto. Le guerre, si sa, sono tutte uguali, non sono né intelligenti né necessarie, sono terribili e fanno spavento. 8 FA … VOLARE L ’AFRICA a cura di Thomas Mushi MOYO MKAMILIFU - IL CUORE PERFETTO Un giorno, un giovane chiamato Upendo era in piedi nel mezzo della proclamazione del paese in cui si decretava che egli avesse il cuore più bello in tutta la valle. Una grande folla si era radunata e tutti poterono ammirare il suo cuore perfetto. Non c’era nessuno sfregio o difetto in esso. Sì, erano tutti d’accordo: era veramente il cuore più bello che avessero mai visto. Upendo era molto orgoglioso e si vantava molto del suo bel cuore. Improvvisamente, un vecchio uomo apparve di fronte alla folla e disse: “Giovanotto, il tuo cuore non è bello come il mio.” La folla e il giovane (Upendo) guardarono il cuore del vecchio. Batteva forte, ma era pieno di cicatrici, alcuni pezzi erano stati rimossi ed in alcuni punti era stato rattoppato, ma le correzioni non si adattavano perfettamente e c’erano molti bordi frastagliati. In effetti, in alcuni punti c’erano dei solchi profondi, dove pezzi interi mancavano. Le persone pensarono stupite: “Come può dire che il suo cuore è più bello?”. Upendo guardò il cuore del vecchio e, visto il suo stato, rise: “Stai scherzando?”, gli chiese. “Confronta il tuo cuore col mio, il mio è perfetto e il tuo è un pasticcio di cicatrici e lacrime”. “Sì”, disse il vecchio , “il tuo è perfetto, ma non scambierei il mio con il tuo. Vedete, ogni cicatrice rappresenta una persona alla quale ho dato il mio amore. A volte strappo un pezzo del mio cuore e lo dò a delle persone che spesso mi hanno dato un pezzo del loro ed il pezzo donato lo pongo nel posto vuoto nel mio cuore, ma siccome i pezzi non sono esatti, ho alcuni spigoli, che io conservo, perché mi ricordano l’amore che abbiamo condiviso. A volte ho dato invece delle parti del mio cuore, ma l’altra persona non me ne ha regalato un pezzo del suo. Questi sono i solchi vuoti: dare amore è una possibilità. Anche se questi solchi sono dolorosi, rimangono aperti, ricordandomi l’amore che ho per queste persone comunque, e spero che un giorno possano ritornare e riempire lo spazio ripagandomi dell’attesa. Così ora vedete ciò che la vera bellezza è ?”. Upendo rimase in silenzio con le lacrime che gli rigavano le guance. Si avvicinò al vecchio, prese un pezzo dal suo cuore perfetto, giovane e bello, e lo offrì al vecchio uomo con le mani tremanti. Il vecchio prese la sua offerta, la mise nel suo cuore e poi prese un pezzo del suo vecchio cuore sfregiato e lo mise nella ferita nel cuore del giovane. Si adattava, ma non perfettamente, rimasero alcuni bordi frastagliati. Il giovane guardò il suo cuore, non più perfetto, ma più bello e significativo che mai, perché l’amore dal cuore del vecchio scorreva nel suo. Si abbracciarono e camminarono via fianco a fianco. Cosa possiamo imparare da Upendo e dal vecchio? Hai mai dato un pezzo del tuo cuore (amore) a qualcuno? E quando egli non ti ha dato indietro un pezzo del suo, qual è stata la tua reazione? Lo odi o aspetti? Fai voto di non dare un pezzo del tuo cuore (amore) più a nessuno, perché l’ultima volta che l’hai fatto, senza ricevere nulla in cambio è stato doloroso? E, se l’hai fatto, pensi di essere più felice di prima? La vera felicità si trova nel dare più che nel ricevere. Se sei giovane come Upendo non ti preoccupare, non è mai tardi per cominciare ad essere amorevole, inizia oggi, dona un pezzo del tuo cuore (amore) ai bisognosi, ai sofferenti, ai poveri, agli emarginati, e soprattutto a tutti i tuoi familiari, amici e nemici. La condivisione di ciò che abbiamo ci rende più ricchi di quanto possiamo immaginare, e dopo tutto, il nostro cuore diventa bello e con il tempo e la costanza sarà proprio come quello di un uomo vecchio, il cuore più bello! 9 un sogno realizzabile? di Maria Teresa Miante Anche quest’anno non ho saputo resistere al richiamo della mia seconda casa, la Guinea. Ogni volta che scendo dall’aereo mi ripropongo di non salirci con altri progetti, ma ogni volta che ti si presenta un’emergenza, che fare? Si tenta. Ed ora eccomi a rivolgermi a voi per chiedere ancora una volta il vostro generoso aiuto. Ovunque tu ti possa trovare, l’accoglienza è sempre magnifica: i sorrisi delle donne, gli sguardi intensi degli anziani e l’entusiasmo di tanti bambini. Piccole e grandi cose che ti aprono gli occhi e il cuore. I volti sono speranzosi ed io, come loro, voglio sperare in un futuro prossimo più sano e comodo. Infatti le emergenze a livello sanitario sono tante, troppe. Le donne non partoriscono in un ambiente sano, ma sporco e infetto. Una donna in un villaggio lontano dalla missione che ci ospita, mi si è avvicinata chiedendomi come fare per curare velocemente una semplice ferita e come far partorire le ragazze-madri nel modo più giusto. Io non le ho saputo rispondere. È ora di dar loro la possibilità di avere una risposta. Mi sono personalmente informata, grazie alla collaborazione delle suore missionarie del posto, per la costruzione di un piccolo ambulatorio, naturalmente in terra e fango. Il nostro contributo si realizza nell’acquisto di “onduline” di lamiera e travi per il tetto, il cemento per l’intonaco e per il rivestimento del pavimento, un piccolo generatore di elettricità per la luce. Ed ultimo, ma non ultimo di importanza, nella preparazione di una ragazza del luogo affinché possa curare la propria gente. Il tutto dovrebbe venire a costare circa 6/7 mila euro. È solo un piccolo passo del grande percorso che si estende per l’intera Africa, ma perché non iniziare la camminata? Vi ringrazio di cuore! HELP FOR LIFE NEL GURAGHE a cura dell' Associazione Help For Life Una breve relazione dei progetti sviluppati dalla Fondazione Help For Life, emanazione dell’Associazione Padova Ospitale che, come Nuova Famiglia, opera nel Guraghe. 10 L’Associazione Help for Life da circa dieci anni è in contatto con l’Eparchia di Emdibir nella regione del Guraghe, in Etiopia. In questi anni ha portato a termine progetti di collaborazione sanitaria e sociale che hanno visto convolti medici, infermieri e altri professionisti che hanno dedicato il loro tempo libero e le loro energie per portare aiuto alla popolazione locale. Nell’ambito sanitario sono state realizzate missioni di odontoiatri, pediatri, ginecologi, oculisti e medici di base nelle cliniche di Getche e Maganasse. Nella clinica di Burat è stato portato a termine un piano quinquennale di assistenza di base con la presenza di due infermieri per tre mesi all’anno. Nelle cliniche di Zizenecho e Getche si è contribuito alla costruzione di un tubercolosario e di un laboratorio per la diagnosi della TBC. Nell’ambito sociale sono state realizzati progetti legati all’istruzione di base a Shebraber e Arekit e supporto alla scuola tecnica di Emdibir; si è collaborato all’implementazione dell’offerta idrica realizzando tubazioni di acqua nell’area di Emdibir. Il prossimo futuro vedrà la costruzione di un centro per disabili a Wolkite ed il consolidarsi dei molti progetti ancora in divenire per contribuire alla crescita del Guraghe, per dare a tutti l’accessibilità alle cure sanitarie e all’istruzione, presupposti indispensabili per fare dei ragazzi di oggi i cittadini di domani. da clandestini a imprenditori, storia di un riscatto sociale di Marcello Massaro Vi ricordate i disordini che nel 2010 misero a ferro e fuoco le strade di Rosarno, cittadina calabrese nota per i suoi agrumeti? Per giorni interi vi fu un’indegna e incivile guerriglia urbana, una vera e propria caccia ai braccianti agricoli immigrati e clandestini, con questi ultimi, a centinaia, in rivolta violenta contro il razzismo e lo sfruttamento. Bene, alcuni di quegli immigrati, fuggiti da Rosarno dopo quella triste pagina di cronaca del nostro paese, si sono ritrovati a Roma e sono riusciti a creare un’Associazione di Promozione Sociale, denominata Barikamà, portando avanti un progetto di micro-reddito nato nel Marzo 2011, che consiste nell’ inserimento sociale attraverso la produzione e vendita di yogurt biologico. Il progetto è attualmente gestito da Suleman, Aboubakar, Sidiki, Cheikh, Modibo e Youssouf, sei ragazzi africani provenienti dal Mali, dal Senegal, dalla Costa d’Avorio e dalla Guinea, e ad oggi vanta la lavorazione di circa 150 litri di latte alla settimana. Il progetto Yogurt Barikamà ha le seguenti finalità: • garantire un, se pur micro, reddito a chi non ne ha e sta avendo grandi difficoltà a trovare un lavoro; • essere un’attività per riacquistare fiducia, iniziativa e soddisfazione; • creare una rete di relazioni sociali; • essere un’opportunità per imparare l’Italiano attraverso l’interazione concreta con le persone e la risoluzione di problemi; • essere un’opportunità per conoscere Roma, orientarsi utilizzando una cartina, consultare la rete dei mezzi pubblici. Dentro i barattoli di vetro (viene utilizzato il vuoto a rendere, come si faceva una volta, ottenendo così riduzione dei rifiuti, risparmio energetico e sostenibilità economica del progetto) solo yogurt ottenuto da latte intero biologico pastorizzato e fermenti lattici. NO addensanti, NO conservanti, NO dolcificanti, NO coloranti. Questo yogurt rappresenta per questi ragazzi africani il loro riscatto e la loro speranza; i giorni della disperazione sono ormai lontani per Youssuf e Suleman, che hanno iniziato il progetto, e per gli altri. ‘’Siamo fuggiti da Rosarno - raccontano con pudore questi giovani con le mani segnate dalla fatica - ci siamo ritrovati a Roma in un piccolo gruppo e negli spazi dell’ex Snia sulla via Prenestina siamo riusciti, con un progetto di micro reddito gestito da noi stessi, a realizzare l’Associazione Barikamà che da qualche anno porta questo yogurt buonissimo in tanti posti della città’. Abbiamo cominciato in due, ora siamo in 6, e da 15 litri di latte a settimana ora siamo arrivati a produrre 150 litri’’. Hanno cominciato nei mercati dei centri sociali, poi si sono fatti conoscere tra i gruppi d’acquisto solidali di Roma. Vorrebbero diventare una cooperativa, e nei loro progetti c’è di diventare un esempio per altri, aiutando altri ragazzi a lasciare lavori di sfruttamento, imparare l’italiano e ‘’inserirsi in questa Italia’’. ‘’Abbiamo presentato il nostro progetto a tanti GAS con foto e racconti, ed abbiamo capito che poche persone conoscono la realtà dello sfruttamento nelle campagne italiane dove abbiamo lavorato e torniamo a lavorare. Adesso la gente ci saluta bene quando ci incontra. Siamo orgogliosi del nostro progetto, di saper parlare al banchetto durante i mercati, di girare per tanti quartieri di Roma, e che la gente ci dica che il nostro yogurt è buonissimo. Vorremmo iniziare Barikamà Pedalatte Bio, ovvero consegnare ai GAS in bicicletta con carrello i prodotti dei piccoli produttori bio che hanno difficoltà a distribuire dentro Roma’’. Visitate il sito: barikama.altervista.org costruito per loro da alcuni ragazzi italiani, per saperne di più e conoscere fino in fondo una bella storia, una volta tanto positiva, di riscatto sociale, vera integrazione, amicizia e speranza. 11 ci scrivono... a cura della redazione Gentilissimo Ivo, ho visto nell’ultimo numero del notiziario della Nuova Famiglia l’articolo del Dott. Magliarditi riguardante il presidio oculistico appena nato a Maganasse, a nome di Help for Life, e ti ringrazio per lo spazio che ci hai dedicato. Da molti anni le nostre Associazioni percorrono due strade parallele che spesso toccano gli stessi villaggi e che hanno una meta in comune: alleviare le sofferenze di chi è meno fortunato di noi; alle volte ci siamo sfiorati ed in molti posti ho percepito la vostra presenza. Una cosa ci accumuna: siamo nel Guraghe in punta di piedi, sempre molto rispettosi ed in atteggiamento di ascolto, ecco perché raramente facciamo notizia. Come accennavi nel tuo editoriale, il clamore nasce dal raccontare notizie violente e di immediata presa sul lettore, sicuramente le nostre piccole gesta non finiranno mai in prima pagina ma avranno, ne sono certo, un posto in prima fila nel cuore delle persone che aiutiamo. In ogni caso andiamo avanti sempre, con la pervicacia di chi ha la convinzione che aiutare il prossimo dia conforto a chi è in difficoltà e spessore alla nostra vita. Un grande grazie anche a nome del nostro Presidente Angelo Chiarelli. A presto. Per Padova Ospitale Sergio Boccella Buonasera, Vorrei condividere con Voi una cosa piacevole avvenuta nella Nostra famiglia. In un concorso letterario organizzato da tutte le scuole primarie e secondarie dell’Istituto comprensivo Villorba Povegliano , con il contributo del Comune di Villorba e della Libreria Lovat, mia figlia si é classificata 3^ (tra 280 testi) nella sezione poesia, con una poesia dedicata alla Sua amica adottata a distanza, intitolata “Per un’amica lontana”. Tema del concorso: Il mio migliore Amico. Mi farebbe piacere inviarvene una copia per condividere questo momento di gioia anche con Voi! Attendo un Vostro gentile riscontro! Cal Michela e Famiglia Con grande piacere pubblichiamo la poesia e facciamo i nostri complimenti ad Anna! CONCORSO LETTERARIO IN MEMORIA DI ADAMO LOVAT Sezione Poesia Categoria Scuola Primaria 3 Classificato PER UN’AMICA LONTANA Hai bussato alla mia porta… hai bussato al mio cuore per chiedere un piccolo aiuto e poter sbocciare come un piccolo fiore. Tu cara amica dalla pelle color cioccolata tu che vivi lontano e tanta sofferenza hai provato… tu mi hai insegnato ad essere felice per tutto ciò che io ho e tu non hai. Tu persona speciale con i tuoi occhi trasparenti e sinceri e il tuo timido sorriso mi regali ogni giorno un’emozione vera. Spero presto d’incontrarti… lontana amica mia. 12 Classe VA Anna Munaretto Scuola Primaria “Marco Polo” Villorba un prezioso contributo a cura della redazione Una generosa donazione arriva dalla classe 3^ F della Scuola Media “C. Casteller di Paese” e viene destinata al nutrimento di alcuni dei bambini e ragazzi operati per problemi di malformazione e di poliomelite presso la Clinica di Gighessa, in Etiopia. Condividiamo con voi la corrispondenza di questo gesto prezioso. Giugno 2014 Spettabile Associazione “Nuova Famiglia” Sono la professoressa di italiano della classe 3^ F della Scuola Media “C. Casteller di Paese”. Nel corso del triennio ho realizzato con i miei alunni un progetto di classe, che ci ha permesso di disporre di una certa somma di denaro. Essendo avanzati, al termine del percorso scolastico, 380,00 euro, i genitori e gli alunni hanno deciso di donare tale somma alla Vs. Associazione, in virtù della grande opera di volontariato e collaborazione con il Ns. istituto, prestata dalla Sig. Adriana Benetton. Tutti sono stati, inoltre, particolarmente colpiti dai grandi progetti che Voi perseguite e realizzate con impegno. Allego ricevuta di bollettino di c/c postale eseguito in data odierna a Vs. favore. Porgo i più sinceri Saluti Prof. Stefania Donadello Al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione. Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. Papa Francesco Carissima professoressa Stefania, carissimi alunni della terza media F della scuola “C. Castellar di Paese”, carissimi genitori tutti, il vostro gesto di solidarietà nei confronti del prossimo più povero e più debole mi hanno fatto venire alla mente le impegnative parole sopra riportate di Papa Francesco. Voi avete messo in pratica quanto Egli afferma: con la somma destinata alla nostra Associazione 62 bambini e ragazzi operati per problemi di malformazione e di poliomelite potranno fare ben 17 pasti! E questo è proprio “aiutare il prossimo a vivere meglio”: infatti, dopo gli interventi questi bambini si fermano - naturalmente senza pagare - nella nostra clinica non meno di due mesi e, grazie a Dio, non manca loro l’appetito! Auguro di cuore a tutti voi, anche a nome dell’Associazione, ogni bene. In particolare alle ragazze e ai ragazzi, che presto inizieranno un cammino della loro vita più impegnativo, auguro tanta serenità ricordando loro di continuare a portare segni di bontà ai poveri e ai sofferenti: è sicuramente la leva che migliorerà il vostro mondo futuro. Con riconoscenza e affetto tanti cari saluti, per l’Associazione Francesco Portioli Carissima Sig.ra Stefania, abbiamo ricevuto la generosa donazione della classe 3° F della Scuola Media “C.Casteller di Paese” per i bimbi operati che sono ospitati presso la Clinica di Gighessa in Etiopia. Presso la struttura di Gighessa noi operiamo tramite l’Associazione Amici di Gighessa di Mantova ed abbiamo voluto che una lettera Vi arrivasse direttamente da loro. Chi Vi ha risposto, Francesco Portioli (segretario dell’Associazione) passa dai tre ai quattro mesi all’anno in Etiopia (è un pensionato) ed è il punto di riferimento per: - i medici e fisioterapisti che tramite lui conoscono gli sviluppi post-operatori, preparano il pre-interventi chirurgici e sono a conoscenza di tutte le situazioni che si creano; - noi di Nuova Famiglia che abbiamo in loco un Direttore dei Lavori per i lavori di ristrutturazione che stiamo eseguendo alla Clinica; - i bambini operati che trovano in lui un nonno che li coccola quando sentono la mancanza della famiglia. Vi ha scritto una breve lettera ed anch’io mi associo a lui per ringraziarVi di un grande gesto eseguito con AMORE. Vi stringo tutti in un grande abbraccio. Associazione Nuova Famiglia Il Vicepresidente Ivo Babolin 13 B u o n a v i ta , p i c c o l o j u n i o r di Silvia Cirri Il diario dal Camerun della dottoressa Cirri, dell’Associazione Bambini Cardiopatici nel Mondo di Milano. Tra monsoni e vite da salvare. 10 maggio: «Eccoci pronti con i nostri zaini grossi appoggiati al muro. Stiamo per partire per una nuova missione in Camerun, nell’ospedale di Shisong. Siamo un gruppo di 14 persone tra dottori e infermieri, volantari per l’associazione Bambini Cardiopatici nel Mondo (http://www.bambinicardiopatici. it/), che a partire da domenica 11 maggio fino a sabato 17, lavorerà per il centro di cardiochirurgia del Camerun, unico tra le nazioni confinanti, che copre un’area abitata da oltre 200 milioni di persone. Proveniamo dalle più importanti cardiochirurgie universitarie italiane e straniere, e amiamo il nostro lavoro. Non vediamo l’ora di arrivare, saranno come sempre giornate intense nel corso delle quali il giorno si confonderà con la notte talmente sono tante le cose da seguire. Questa volta abbiamo deciso di raccontarvele qui, in diretta, per mostrarvi il nostro lavoro. Dai nostri occhi, con le noste parole. Quel posto mi è così caro che le sensazioni che provo sono sempre di grande gioia ma anche di trepidazione per tutto quello che dovremo fare. Abbiamo già la lista dei bambini da operare, tutti piccoli e complessi: sento per loro una grande responsabilità che so già non mi farà dormire. I miei compagni di viaggio li conosco già tutti e so che ritroveremo le sensazioni del «fare» insieme, con un sentimento di unione per un obiettivo così forte e così alto: restituire una vita normale a questi bambini malati di cuore». 11 maggio: Siamo arrivati in Camerun di sera. Domani partiamo per Shisong, dove abbiamo l’ospedale e i bimbi che ci aspettano con i loro genitori, in attesa dell’intervento. Otto ore di viaggio su strada sterrata. Sappiamo che tutto è pronto: i cardiologi dell’ospedale, che abbiamo formato in Italia nel nostro ospedale il policlinico S. Donato, ci attendono e già questo pomeriggio verificheremo tutte le diagnosi con l’ecocardiogramma e stabiliremo un programma per i prossimi giorni. Vorremmo operare almeno tre, quattro bambini al giorno su due sale operatorie, per potere accontentare tutti e non rifiutare per mancanza di tempo nessun caso. Siamo subito entrati nel vivo ed ecco infatti le foto delle prime visite e dell’intervento di Thierry di 1 anno. La foto è stata scattata dopo l’operazione e come si vede il bimbo ha reagito bene con i suoi vagiti! Il gruppo è super motivato, vedere negli occhi questi bimbi a cui è stata restituita una speranza di vita è la più intensa e commovente forma di soddisfazione che ogni volta ci stupisce. Avanti con i prossimi! La vita qui è all’insegna della condivisione. Siamo in 14 tra medici e infermieri: cardiochirurghi, cardiologi, anestesisti, intensivisti e i nostri superinfermieri. Viviamo in una casa della nostra associazione attaccata all’ospedale. Ci aiutano anche medici e infermieri locali che hanno fatto il training in Italia, bravissimi ed efficienti. 12 maggio: E’ la stagione dei monsoni, ma stamattina c’è il sole e questo è un bel segno: si comincia! Dopo il primo giorno siamo ancora tutti eccitati ma concentrati. I bambini che operiamo hanno tutti cardiopatie difficili e sono molto piccoli (6 kg di peso). Oggi le operazioni sono andate bene e ci sentiamo sollevati. Abbiamo proceduto così: prima di operarli abbiamo deciso di addormentarli fuori dalla sala operatoria, in modo che non si spaventassero e non potessero avere ricordi traumatici di stanzoni freddi pieni di strumenti sconosciuti. Li abbiamo tenuti in braccio con i loro giochini e sono passati dalla veglia al sonno solo con una punturina senza accorgersi di nulla. La sera l’abbiamo passata a fare guardia attenta in terapia intensiva per assicurarci che il decorso postoperatorio procedesse per il meglio. Gli altri medici sono stati a casa a riposo per prepararsi ai tre casi di domani: tre bimbi di un anno, molto complessi. Grazie a chi ci segue: è bello sapere che qualcuno ti guarda con tanto interesse e trepidazione. 14 13 maggio: Oggi i nostri cardiologi hanno visitato tantissimi bambini malati di cuore venuti qui perché sapevano della nostra missione in Camerun. I bambini erano accompagnati dai loro genitori e alcuni venivano da città molto lontane, per loro è stato un grande viaggio. Tra questi ci ha colpito un bimbo in particolare, si chiama Junior, ha un anno ed è stato accompagnato dalla nonna. Junior non ha il papà, e la mamma è molto malata di una forma grave di epilessia. E’ la nonna, quindi, che lo cura e lo alleva, ma con grande fatica, perché lavora come contadina in un piccolo podere: pochi soldi, anche per mangiare. Sarebbe stato impossibile trovare per Junior la somma necessaria alla sua operazione al cuore. Sarà operato domani con l’aiuto dell’associazione e di tutti coloro che sostengono i nostri sogni. 14 maggio: L’intervento di Junior è stato l’ultimo dei tre di oggi: intervento complicato e difficile, ma è stato un grande successo! Vi mando le foto di Junior in terapia intensiva, con i chirurghi che l’hanno operato e tutta l’équipe che lavora ininterrottamente con noi a Shisong: tifate per lui! 15 maggio: Junior è stato estubato e staccato dal respiratore oggi pomeriggio, mentre operavamo altri tre bambini molto piccoli, tutti di 1 anno di età. Anche qui in Camerun alle 17.00 in terapia intensiva arrivano i genitori dei bambini operati che vengono informati da noi medici di tutti i dettagli sul loro decorso post-operatorio; si avvicinano ai loro figli con timidezza e con grande dignità nonostante l’immensa emozione che provano sapendo che i loro piccoli ora sono guariti e potranno avere una vita normale e attiva come tutti i bambini del mondo si meritano. E’ stato emozionante e commovente assistere all’incontro tra Junior e la sua nonna: Junior la guardava intensamente e lei gli sorrideva con dolcezza, lo accarezzava piano, il viso rigato di lacrime. Si sono tenuti per mano lungamente, in silenzio. Sarà bello nei prossimi giorni vedere Junior e gli altri nostri bambini operati giocare in reparto e sorridere, abbandonando i ricordi di paura legati all’operazione. 16 maggio: Oggi è il nostro ultimo giorno all’ospedale di Shisong: faremo 4 interventi e così tutti i bambini che erano in lista saranno operati. E’ una grande soddisfazione per noi essere riusciti a fare tutti gli interventi, perché i tempi qui, nonostante l’ottimo training che abbiamo fatto all’équipe locale, sono più dilatati: ma si sa il concetto del tempo in Africa è diverso dal nostro, è più umano e anche più pacato. I bambini in terapia intensiva stanno tutti bene e in quest’ora tarda del pomeriggio abbiamo il tempo di guardare i colori e le luci di questa terra straordinaria e forte. Stasera siamo molto stanchi, in modo inusuale: l’adrenalina che ci ha sostenuto fino a questo momento sta scendendo e ci dispiace andarcene, lasciare i nostri colleghi e amici, la nostra casa in cui viviamo in comunità le gioie e le difficoltà del nostro lavoro qui. Andiamo a letto progettando già la nostra futura missione. 17 maggio: Sono le sei del mattino, un’alba dorata e bellissima e stiamo partendo per Yaoundè dove troveremo l’aereo che ci riporterà a Parigi, e da lì tutti i componenti di questa fantastica équipe internazionale torneranno nelle loro città. Le suore dell’ospedale, i Cappuccini della missione, tutti i nostri colleghi e la gente del paese sono assiepati davanti ai nostri bus per darci un ultimo abbraccio e saluto. E’ emozionante ascoltare il coro della benedizione per il nostro viaggio in questa fresca e silenziosa aria mattutina. Da lontano vediamo Charles, il cardiochirurgo camerunense, che ci saluta dalle finestre della terapia intensiva: sarà lui, nei prossimi giorni, a darci le notizie sui nostri bambini operati. A presto con tutti voi per le notizie da Shisong e stateci sempre vicini anche per le nostre prossime missioni. Un grazie e un abbraccio a tutti “di cuore”! Dottoressa Silvia Cirri Cofondatrice e Vicepresidente “Bambini Cardiopatici nel Mondo” 15 condividere è... 2014 di Adriana Benetton Come ogni anno, vi mando da Paese foto e pensieri dei ragazzi che ho coinvolto nelle scuole per sensibilizzare all’aiuto dei bambini meno fortunati con il progetto Condividere é…. E’ sempre una grande soddisfazione leggere la gratitudine nei loro disegni e ringraziamenti. 16 Lo scorso Aprile, i volontari dell’Associazione Nuova Famiglia di Paese hanno organizzato il pranzo per i bambini di Prima Comunione e le loro famiglie: e lo sguardo era sempre rivolto all’Africa. 17 PROGETTO DI AIUTO A DAKUNA di Ivo Babolin Progetto denominato “Aiuto DAWIT ABSHIRO” Dakuna Ato (Signor) DAWIT ABSHIRO è il Direttore della Scuola materna ed elementare di Dakuna. Non è in possesso della Laurea e pertanto non è abilitato a proseguire l’incarico. Lavora con una deroga governativa ma deve seguire dei corsi estivi per completare la formazione. Durante l’estate segue i corsi presso l’Università di Soddo, regione del Welajta, per completare l’iter degli studi. Il corso di studi dura tre anni. Il primo anno è già trascorso ed è stato pagato. Sarà completato nell’estate 2014 e 2015 e l’importo complessivo dell’intero ciclo del corso, comprensivo di vitto, alloggio, tasse scolastiche, materiale scolastico, trasporto e manuale è pari ad € 350,00 annui. In data 01 gennaio 2014 sono stati consegnati ad Abba Desbele Kidane, Parroco della Parrocchia S.S. Trinità di Dakuna, € 700,00 a saldo dei due anni di studio rimanenti. Il progetto è stato sponsorizzato durante il viaggio di Gennaio/Febbraio 2014. I soldi per l’aiuto sono arrivati da offerte varie, come evidenziato nella dichiarazione, ed il progetto può considerarsi chiuso. 18 come un mazzo di carte di Francesca Babetto e Lorenza Veronese Partirà a Settembre, nell’annuale festa dell’Associazione, un nuovo laboratorio dedicato a bambini e ragazzi. Di cosa si parlerà? Di niente, perché l’idea è proprio di portare i più piccoli a riflettere sulla diversità e sulla solidarietà a partire da piccole esperienze concrete. Se ci riusciremo, le parole non serviranno. L’idea è nata dal confronto tra esperienze vissute in Etiopia ma anche tra i banchi di scuola italiani. Abbiamo scorto quanto può essere vincente per le vite e per le società cogliere nella diversità una possibilità e una ricchezza e, convinte di questo, scegliamo l’”arma” che sentiamo nostra: l’educazione. Come un mazzo di carte è formato da numeri, figure, semi diversi, così le nostre case, le nostre classi, le società sono l’insieme di pezzi unici che proprio per la loro diversità permettono di giocare, di “funzionare”. Crediamo che qualche ora passata assieme vivendo un’esperienza positiva di diversità potrà aiutare a mettere radici profonde nelle persone e quindi nella società. Perché una società più solidale si costruisce a partire dalle piccole cose. L’importanza dei piccoli cambiamenti di mentalità e comportamento l’abbiamo vissuta nel tempo trascorso in Etiopia e la viviamo nella quotidianità delle esperienze con i bambini, ora vorremmo contribuire a stimolarla! Confrontandoci con il Presidente Lorenzo e altri consiglieri è stato condiviso il valore di questo laboratorio e delle attività formative che l’Associazione promuove. Con questo articolo, oltre a condividere le nostre idee con voi, facciamo un doppio invito: ai bambini e ragazzi tra i 5 e i 12 anni proponiamo di iscriversi al laboratorio di Settembre dando l’adesione al momento della prenotazione al pranzo (seguendo le indicazioni riportate nell’invito alla Festa dell’Associazione); ai maggiorenni che sentono questi temi nelle proprie corde e che hanno tempo e voglia di mettersi in gioco nell’allestimento del laboratorio, chiediamo di unirsi a noi! E nel prossimo numero vi faremo sapere com’è andata! Buona estate a tutti! 19 mondiali brasile 2014, b a m b i n e s u l l a s t r a da di Greta Privitera, giornalista Pubblichiamo il reportage dal Brasile che racconta l'altra faccia del Paese dei Mondiali di calcio 2014. Dalla voce di un ex protettore che trafficava bambine. E dalle storie di 10 piccole vittime. Lettura consigliata ad un pubblico adulto. A pochi passi dal lungomare di Recife, Nordest del Brasile, c’è un vicolo dove i bambini sembrano fare uno strano gioco: camminano con in bocca una bottiglia di plastica vuota. Guardano in fondo la strada e procedono come zombie. In realtà, da quella bottiglia stanno aspirando colla, la più economica delle droghe, per non sentire la rabbia e il dolore dell’ultimo cliente che per qualche dollaro se li è portati in un motel lì vicino. In una strada come quella, i volontari di Shores Of Grace, un’organizzazione cristiana che lavora con le vittime di prostituzione e abusi sessuali, hanno trovato le dieci bambine che vivono nella loro Bethany House, una casa famiglia alle porte della città. In Brasile, riportano i dati del National Forum For the Prevention Of Child Labor, circa mezzo milione di minori sono costretti a prostituirsi, venduti dai genitori o sequestrati da criminali. «Stimiamo che con l’inizio dei Mondiali di calcio aumenti esponenzialmente il numero dei bambini sulla strada, nonostante qui la prostituzione sia legale solo al compimento dei 18 anni. Finché il governo non punirà i colpevoli, la situazione non può che peggiorare», spiega Luke Billman, uno dei fondatori dell’associazione. Julia, 12 anni, con loro da 7 mesi, non riesce a guardarmi negli occhi mentre parla, è triste perché il tribunale vorrebbe che tornasse nella sua famiglia di origine, nelle favelas. I fratelli hanno venduto lei e le sue sorelle a protettori che le costringevano a fare sesso con turisti stranieri. Seduta sullo scivolo, si copre il viso con il braccio e mi chiede: «Posso venire da te in Italia?». Se è difficile capire come un uomo possa andare a letto con una donna costretta a prostituirsi, è ancora più difficile immaginarlo con un bambino. Thiago, un ex protettore brasiliano di 27 anni, che fino al 2008 ha gestito un bordello di giovani e procurava ai clienti bambine come Raquel, cerca di spiegarmelo. Ascoltare le sue parole non è stato semplice. THIAGO: «I clienti che chiedevano bambine piccole erano soprattutto stranieri. Turisti italiani, francesi, americani, cinesi, tedeschi, sudcoreani. Persone ricche, di solito imprenditori o figli di imprenditori. Andavano anche con ragazze più grandi, tra i 15 e i 20 anni, ma preferivano le piccole perché avevano la sensazione di impadronirsi della loro innocenza e purezza. Credo che l’idea di fare sesso con chi non l’aveva mai fatto, o quasi, li eccitasse al massimo. E poi si sa, i bambini hanno tutto più piccolo, anche lì sotto. Quasi tutti questi uomini non si considerano pedofili, perché nei loro Paesi di origine non vanno con minorenni. So che è difficile da capire, ma per me ai tempi era tutto normale. Anche io ho fatto sesso con ragazzine di 12 o 13 anni, tanto per provare. Ho ricordi sfocati, ho flashback di queste bambine molto timide, spaventate, che si rifugiavano agli angoli della stanza. L’uomo più grande dà gli ordini e loro obbediscono per il terrore di essere picchiate. Alcune venivano vendute direttamente dalle famiglie delle favelas per circa 20 mila dollari, altre venivano rapite. Nel mio bordello le giovani avevano 15 anni, se i clienti le volevano più piccole organizzavamo incontri in motel, facevamo da gancio perché era troppo rischioso averle in casa. Erano schiave a ore, i genitori le tenevano con sé e quando servivano le andavamo a prendere. Alcune bambine vendute dalle famiglie venivano “addestrate” dai padri: prima di metterle “sul mercato” le violentavano, così che sapessero a cosa stavano andando incontro». 20 A Bethany House da tre settimane ci sono due sorelline, Gabriela e Amanda, di 11 e 9 anni. Vengono dalla Favela Of the Rabbit (la Favela dei conigli), fuori Recife, la loro mamma è una prostituta che si fa di crack e, proprio come spiega Thiago, vendeva le bambine ai clienti come servizio extra. Gabriela sorride sempre, nonostante l’ultima volta che ha visto la madre abbia sentito queste parole: «Lasciatemi Amanda, vi prego, prendetevi quella più piccola, non mi ha mai fatto fare un soldo. Lasciatemi Amanda, lei sì che piace ai clienti». Gabriela è capace di trattenere le emozioni, vincerebbe il campionato del finto sorriso se ce ne fosse uno. Per nove anni ha vissuto in strada, cresciuta dai bambini più grandi tra droga e abusi di ogni genere, e oggi, raccontano i volontari, si stupisce di ogni piccola attenzione: adora quando le si pettinano i capelli. Gabriela e Amanda hanno molto legato con altre tre sorelle, Natalia, Leticia e Beatriz. Natalia è la più grande della casa, ha 16 anni, ed è incinta di un uomo di oltre 30. Mentre i volontari lo chiamano «il predatore», lei crede si tratti di «vero amore», ma è facile se si cresce in una famiglia come la sua confondere qualche regalo con l’affetto. Natalia è stata violentata dal padre, un tossicodipendente ora in prigione. Per evitare che violentasse anche le sorelline più piccole, quando entrava nella loro stanza lei gli prendeva la mano e lo guidava nella sua, lasciando che facesse tutto quello che voleva a una condizione: solo su di lei. Nella Bethany House fa da mammina a tutte le altre nove ragazze. «Farò di tutto affinché mio figlio non viva quello che abbiamo vissuto noi e le nostre compagne». THIAGO: «Hanno lavorato per me circa duecentocinquanta adolescenti. Nel mio bordello tenevo dieci prostitute alla volta e le cambiavo ogni cinque mesi. Per le più piccole funzionava con il passaparola, erano bambine nate in famiglie molto povere. Le più grandi, invece, le reclutavamo tramite i social network e molte venivano da Recife. Studiavamo i profili, guardavamo le foto, i post. Poi le contattavamo e presentavamo il lavoro come un’occasione da non perdere per loro e la loro famiglia. Una volta trovate le prede giuste, andavamo a casa dai genitori. A fare da esca portavamo con noi un’attrice ben vestita e truccata che ostentava una vita di agio e ricchezza e che le convinceva a seguirci. Quando abboccavano, le riempivamo di droga e alcol così da renderle dipendenti, e le iniziavamo al mestiere. Ognuna ci fruttava 250 dollari a incontro, e dovevano farne almeno 5 al giorno, o le riempivamo di botte. Mi sento male se penso a quante ragazze per colpa mia oggi sono eroinomani con la vita distrutta. Non sapevo cosa stavo facendo, quando ho iniziato avevo 18 anni ed ero accecato dai soldi. Guadagnavo 75 mila dollari al mese, tolte le spese (tra cui i 15 mila dollari alla polizia, per non farci chiudere). Vivevo tra macchine di lusso e party a champagne. Di tutte le 250 ragazze, soltanto due si sono salvate: una è dentista, l’altra fa l’operaia in una fabbrica di sedie. Quando racconto la mia storia, tanti mi chiedono come sia possibile che non sia mai stato in prigione, ma avevamo spie all’interno della polizia che pagavamo molto e che ci avvertivano quando c’era una retata». Un tribunale ha deciso che fare sesso con una bambina di 12 anni non è per forza un reato se lei fa la prostituta. «Questa sentenza è pericolosissima», commenta Jonathan di Shores Of Grace, «nessuna delle bambine che vive con noi ha fatto quel lavoro per scelta, ovviamente. Sono costrette dalle famiglie e dall’estremo degrado socioculturale in cui crescono». Perché Julia, se potesse, farebbe la fotografa. Sua mamma non lo sa, e l’ultimo Natale che hanno passato insieme le ha regalato una bottiglia di whisky, credendo di farle piacere. Per questo Raquel vede nella Bethany House la sua salvezza. Non vuole tornare in mano ai fratelli, né sulla strada. «Il governo deve aiutarci a proteggere queste vite, non ci deve ostacolare. L’arrivo dei Mondiali dovrebbe essere un’occasione per punire chi sfrutta i minori e ridare ai bambini la loro infanzia», dice Jonathan. THIAGO: «So che la zona in cui lavoravo si è già riempita di nuovi bordelli per soddisfare la domanda dei turisti che con la scusa di tifare per la loro squadra lasceranno le mogli a casa e cercheranno sesso a pagamento. Il mio passato mi pesa ancora tanto, anche se ringrazio Dio di essermi tolto da quel mondo. Dopo quattro anni sono andato in crisi, iniziavo a realizzare lo schifo in cui mi ero cacciato. Ho parlato a un amico e ho cominciato a frequentare la chiesa. Oggi vado nelle scuole e per le strade a informare le ragazze di quello che può succedere, le avverto che possono scegliere vite diverse rispetto alla strada. La mia vita è cambiata, quella delle bimbe a cui l’ho cambiata io, no. L’anno scorso mi sono sposato, ora mia moglie è incinta. Aspetta una bambina». 21 3^ festa d'estate, 3^ soddisfazione! di Maria Teresa Miante Cari amici e care amiche, la terza festa d’estate ha avuto un’ottima riuscita grazie al vostro contributo e, come sempre, vi siamo molto grati per la vostra preziosa presenza, soprattutto perché consci del difficile momento economico che stiamo vivendo. Un ringraziamento di cuore perché, potendo scegliere, ancora una volta avete scelto i bambini e tutto ciò che con il vostro contributo avranno. Un grazie ad Erika (Cesaro, ndr) e al suo musicista per aver allietato la serata con note festose. E che dire del Gruppo Maranteghe? Donne sempre pronte ad aiutare Nuova Famiglia adoperandosi in cucina e lavorando con entusiasmo e, perché no, anche divertendosi! Questo gruppo è nato dall’incontro di formazione del primo campo di conoscenza in Etiopia nell’agosto 2007 e negli ultimi cinque anni è cresciuto fino a dieci donne (ragazze, mamme e nonne) - tutte orgogliose di far parte di Nuova Famiglia, che le ha fatte incontrare - che condividono lo stesso principio: aiutare ed aiutarsi l’un l’altra. Un grazie anche a Giampaolo (Peccolo, ndr) che con la sua passione per il calcio e per lo sport ha dato la possibilità ai ragazzi dell’Usma e ai loro genitori di condividere una cena solidale e di guardare tutti insieme la prima partita dell’Italia ai Mondiali. Mille altri ringraziamenti ci sarebbero da fare, uno per tutti al nostro Presidente Lorenzo che con la sua presenza ha portato a cena tutta Nuova Famiglia. E sappiate che questo è solo un arrivederci, la vostra partecipazione ci stimola a fare ancora e sempre meglio. Alla prossima, tanti altri bambini ci aspettano! Parliamo Africa Direttore: Giulia Consonni Segretario di redazione: Ivo Babolin Redazione: Francesca Babetto Ivo Babolin Elena Coin Francesca Giordani Marcello Massaro Hanno collaborato: Adriana Benetton Silvia Cirri Help For Life Maria Teresa Miante Thomas Mushi Greta Privitera Giuseppina Torregrossa Lorenzo Tosato Lorenza Veronese Realizzazione grafica: Giuseppe Perin Stampa: Linea Grafica Castelfranco Veneto (TV) tel. 0423 721605 fax 0423 721815 e-mail:luciano@ lineagraficatipografia.it Autorizzazione del Tribunale di Padova n.1879 del 13/03/2004 Chi siamo La Nuova Famiglia è un’associazione nata il 2 maggio 1994. E’ composta da persone diverse per idee politiche e religiose. Ci accomuna il desiderio di fare interventi, piccoli ma concreti, a favore delle popolazioni, e soprattutto dei bambini, dei paesi più poveri del mondo. I filoni principali del nostro lavoro sono: • SOSTEGNO • E SPONSORIZZAZIONI • (adozioni a distanza) • INTERVENTI E PROGETTI (sulla persona e sul territorio) • AIUTI E SOLIDARIETA’ • INIZIATIVE CULTURALI I nostri Indirizzi Sede “Nuova Famiglia”: 35030 Caselle di Selvazzano (PD) Piazza Carlo Leoni n.11 – 2^ piano Tel. 049 8975507 - 049 8984063 Sito Internet: www.nuovafamiglia.it e-mail: [email protected] Sede “Parliamo Africa”: 35030 Caselle di Selvazzano (PD) Piazza Carlo Leoni n.11 – 2^ piano Tel. 049 8975507 - 049 8984063 MARZO 2014 Copertina (foto) II di copertina Sommario p. 3 Editoriale di Ivo Babolin p. 4 Primo viaggio da Presidente di Lorenzo Tosato p. 5 Vent’anni da celebrare. Un libro per ricordare di Marcello Massaro p. 6 Il nuovo sito di Nuova Famiglia! di Erika Cesaro p. 7 Miti e Leggende d’Africa a cura di Giulia Consonni p. 8 Il Sapore della Terra di Maria Emanuela Spagnolo p. 9 La guerra delle donne di Giuseppina Torregrossa p. 10-12 Una nuova realtà a Maganasse di Francesco Magliarditi p. 13 L’importanza del raccontare di Francesca Babetto p. 14 Scoperte di Lorenza Veronese p. 15 Sede Nuova di Ivo Babolin p.16 Addio Suor Alfia di Elena Coin p. 17 Le parole sono finestre…oppure muri. di Deborah Favarato p. 18-20 Viaggio in Etiopia di Lorella Lacchini Cerulli p.21 Viaggio in Guinea Bissau di Antonella Scabia p.22 III di copertina p.23 IV copertina p.24 segui Nuova Famiglia anche su: Twitter, Instagram e YouTube! Da oggi puoi seguire Nuova Famiglia anche su Facebook,