PARROCCHIA DI SAN DONNINO - SANT’ANDREA Via Trento, 191 – 50010 San Donnino Tel. 055/8997200 – Fax 055/8991329 Sito web www.spazioreale.it E-mail [email protected] San Donnino, 1 settembre 2003 Carissimi parrocchiani, al termine del discorso sul pane di vita, l’evangelista annota che molti dei discepoli di Gesù, dopo aver detto “Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?…, si tirarono indietro e non andavano più con lui”. E Gesù, che cerca solide relazioni di fede e di amore e non facili e fragili consensi, anziché cercare di convincere i discepoli che se ne stavano andando, disse ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?” Ma i Dodici non se andarono e per bocca di Pietro dissero: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo conosciuto e creduto che tu sei il Santo di Dio” (cf Gv 6,60-69). Se Gesù fosse parroco in una delle nostre parrocchie in questa fase storica caratterizzata dall’effimero, dal relativismo e dal rapporto “usa e getta”, anche nell’esperienza religiosa, forse si troverebbe di fronte uno scenario diverso. Con la stessa difficoltà di allora troverebbe persone dispose a scommettere la propria esistenza su di lui, perché “ha parole di vita eterna”. Ma certamente incontrerebbe maggiore difficoltà nel trovare persone capaci di mettersi consapevolmente fuori dicendo “non ci sto, perché non credo alla vita eterna” o “perché non credo che Gesù abbia parole di vita eterna”. Molto più facilmente troverebbe persone dalle frequentazioni sempre più saltuarie, lontane praticamente ma che non si pongono fuori, e comunque pronte a lamentarsi nei suoi confronti. Si lamenterebbero perché è troppo esigente e il suo linguaggio è duro [pensate, a Natale sono andato a confessarmi e mi ha detto “va e non peccare più!” Non gli basta che mi confessi, domanda perfino che cambi vita!”]; perché non tiene conto che i tempi sono cambiati [figuriamoci, con il mondo di oggi continua a dire “chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5,28); “chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio” (Lc 16,18); “nessuno può servire a due padroni” (Mt6,24); “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.” (Mc 8,34)…]; perché pone un sacco di questioni quando qualcuno gli domanda la comunione o la cresima non partecipando praticamente mai alla Messa la domenica e chiedendo di frequentare poco anche il catechismo perché impegnato nello sport o quando una coppia piena di entusiasmo gli propone una celebrazione curatissima per il proprio matrimonio, dal libretto ai fiori alle musiche, anche se non esclude la possibilità del divorzio e non ha mai partecipato, non partecipa e, presumibilmente (statisticamente il 92%), non parteciperà, se non alquanto sporadicamente, alla celebrazione eucaristica domenicale. “Solo l’esperienza di Gesù Cristo può farci passare dalla tradizione alla convinzione e crescere nella consapevolezza e nella verità della vita”. Così concludevo la lettera con la quale invitavo ciascuno a cercare di vivere il periodo estivo come momento per ri-trovare il senso e la verità della vita e del vivere, compreso il senso e la verità dell’essere credenti in Gesù Cristo. Ed alla ripresa dell’attività pastorale voglio ripartire da qui, facendone una proposta e un programma, perché solo l’esperienza di Gesù Cristo può cambiare e dare senso compiuto alla vita. Per lasciarci avvolgere e coinvolgere nell’esperienza di Cristo, in modo semplice ma maturo, potremmo cominciare a dare una personale e ponderata risposta alla domanda: Gesù Cristo mi interessa? Lo ritengo significativo e necessario per la mia vita personale, familiare, comunitaria? Se la risposta è si, allora devo fare sul serio! Non posso adagiarmi sul fatto che “oggi le cose vanno così”. Debbo cercare Gesù Cristo per quello che lui è, provando a costruire la mia vita su di lui, anche se questo può procurarmi problemi e incomprensioni a partire da chi mi è vicino. Posso essere soggetto a debolezze, deviazioni, tepidezze o sentire la fatica e la difficoltà nel rapportarmi a Gesù Cristo in modo vero in certe fasi della vita. Se però lo ritengo significativo non debbo fermarmi, bensì proseguire nella ricerca e nel cammino, che contengono una imprescindibile dimensione comunitaria. Non si può essere cristiani da soli, per questo “Il Verbo si è fatto carne; il Risorto si è fatto Chiesa” (Mons. Ennio Antonelli. Lettera pastorale, Evangelizzare oggi: Comunità Cristiana e Ministeri, 8). Se però la risposta è diversa, se Gesù Cristo non mi interessa, perché non lo ritengo necessario per costruire una vita che abbia veramente senso, allora debbo comportarmi da persona matura e saper trarre le conseguenze esistenziali che questa risposta comporta. Non posso rimanere ad ingrossare la già troppo numerosa fascia di persone che in modo assai semplicistico hanno la pretesa di ritenersi cristiani mentre si costruiscono un dio a loro misura o vivono in un crescente analfabetismo aggrappandosi a giudizi e risposte preconfezionate o seguono modi di pensare e stili di vita che non sono in sintonia con Gesù e il suo Vangelo, per cui giustificano l’apparire ed il successo ad ogni costo, vivono esperienze prive di progettualità che si consumano in fretta, si appiattiscono sulla dimensione materiale ed effimera ed enfatizzano la componente emotiva e soggettivistica, non valutano più in base a “ciò che è bene o male”, ma in base a “cosa è meglio o peggio”.... “La Chiesa è inviata a portare a tutti la buona notizia che si può riassumere con la meravigliosa parola evangelica: ‘Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna’ (Gv 3,16)”, ci ricorda l’arcivescovo, Mons. Ennio Antonelli, nella sua Lettera Pastorale (2). E ci ricorda anche che “La proposta della fede agli indifferenti, ai non cristiani e ai non credenti diventa oggi, insieme all’iniziazione cristiana delle nuove generazioni, l’impegno primario delle nostre parrocchie” (15). Questa proposta di fede, perché sia veramente tale, deve essere caratterizzata dalla chiarezza nel merito delle cose e dalla certezza che solo la scelta consapevole e matura di Gesù Cristo, consentirà alla comunità e ad ogni cristiano di vivere di Cristo, di “evangelizzare con la vita e con la parola” (24), di dare una “testimonianza personale e creativa” (29), sapendo che “la qualità delle relazioni tra i cristiani è più importante che non i programmi, le attività e l’efficienza organizzativa”(12). Sappiamo benissimo che la maggioranza delle persone vorrebbe incontrare un prete che non metta in discussione la propria religiosità, e l’impostazione data alla propria vita; un prete sempre disponibile a rispondere positivamente quando ci si avvicina perché abbiamo un problema o per domandare una benedizione, i sacramenti, aiuti economici o altro, ma che non cerchi di sconvolgere gli equilibri della propria vita, neppure chiedendo la serietà e il tentativo di coerenza fra quello che celebriamo e quello che viviamo: il lavoro, la famiglia, il mondo di oggi hanno delle esigenze alle quali bisogna far fronte! Ma la chiesa esiste per professare, celebrare e annunciare l’amore di Dio e che Gesù Cristo è morto e risorto per la salvezza di ogni uomo. E lo deve fare senza titubanze o annacquamenti, anche se con grande apertura e comprensione. Una Chiesa, e quindi anche un prete, che non sia continuamente stimolo critico nei confronti di un modo di pensare e di vivere così lontano da Gesù e dal suo Vangelo, come quello che caratterizza la società attuale, è una Chiesa, o un prete, che tradisce il suo Signore e la sua missione, perché cerca consensi e il quieto vivere. Il linguaggio di sempre può certo apparire esigente -“convertitevi e credete al Vangelo”, “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”, “cercate il regno di Dio, il resto vi sarà dato in aggiunta”-, ma è un linguaggio che trova la sua radice e la sua vera dimensione nell’amore di Dio per l’uomo. Lo Spirito Santo accompagni e sostenga il nostro cammino personale e quello della nostra comunità parrocchiale e ci renda partecipi e segno eloquente dell’amore salvifico di Dio. don Giovanni Momigli