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ADRIANO D’ALTRI
LA SCUOLA DELL’INSEGNAMENTO INDIVIDUALIZZATO
DALLA COMUNICAZIONE ALLA RELAZIONE
CONTRIBUTO DI ANDREA INDELLICATI
SEGN I
ADRIANO D’ALTRI
LA SCUOLA DELL’INSEGNAMENTO INDIVIDUALIZZATO
DALLA COMUNICAZIONE ALLA RELAZIONE
ISBN
copyright 2015 Caosfera Edizioni
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soluzioni grafiche e realizzazione
Noi siamo quelli che …
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo,
sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità …” (art. 2 de La Costituzione della Repubblica Italiana)
“La Scuola è aperta a tutti.” (art. 34 comma 1 de La Costituzione
della Repubblica Italiana)
“Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete internet, in modo
neutrale, in condizioni di parità e con modalità tecnologicamente
adeguate. La Repubblica promuove le condizioni che rendono effettivo
l’accesso alla rete Internet come luogo ove si svolge la personalità
umana, si esercitano i diritti e si adempiono i doveri di solidarietà
politica, economica e sociale” (nel Senato della Repubblica Italiana
è depositata la proposta di aggiungere alla nostra Costituzione il
presente articolo)
“Un bambino, un insegnante, un libro ed una penna possono
cambiare il mondo” (Malala - premio Nobel per la pace 2014)
“La mafia teme più la Scuola che la Giustizia” (don Luigi Ciotti –
ottobre 2014)
“Voi, costruite ponti” (parole rivolte ai giovani dell’Agesci il giorno
13.giugno 2015 da Papa Francesco)
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Questo libretto è dedicato a tutti quei
Pinocchio del mondo, ai quali volpi indifferenti
e gatti cattivi negano
il diritto universale alla Scuola.
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Incipit
Secondo la tesi qui sostenuta, l’insegnamento individualizzato è la
pratica più adeguata alla funzione di una Scuola che, per dettato
costituzionale, deve essere “aperta a tutti”, non soltanto garantendo
la possibilità di frequentare materialmente la Scuola (che pure è
cosa molto importante) ma anche predisponendo le condizioni più
favorevoli a mettere in campo per ogni “singolo” le condizioni di un
fecondo processo di apprendimento. Tale pratica, oltre a comportare
un aggiornamento di riflessione sulle necessarie competenze
didattiche, esige dagli insegnanti una riappropriazione dell’orizzonte
educativo, a partire dallo scenario del mondo attuale. Dal lato delle
tecniche di insegnamento i punti qualificanti sono rappresentati dalla
strategia di interpretare la comunicazione didattica come relazione
interpersonale e di fare abbondante ricorso all’uso del linguaggio
”pluripotente”; dal lato dell’orizzonte educativo la scelta chiara e netta
non può che essere quella della “cultura per l’uomo”.
Mi è stato fatto notare che non ha molto senso inserire il tema
dell’orizzonte culturale in un testo dal profilo tecnico che parla
dell’insegnamento individualizzato. In realtà questo argomento,
come altri, non può essere trattato estraniandolo dal contesto reale di
riferimento. Sarebbe un’operazione di mera astrazione tecnicistica;
come pretendere di smerciare frigoriferi in Alaska (fatemi passare la
metafora in virtù della sua efficacia comunicativa). Al di là di qualsiasi
richiamo ideologico, si deve dire che l’essere umano è un soggetto
in divenire il cui destino dipende congiuntamente dall’acquisizione
dell’istruzione e dall’azione dei fattori culturali. La storia, anche
attuale, ci insegna che l’uomo può farsi angelo o demone; io mi
accontenterei che decidesse senza ripensamenti di farsi “persona”.
Se dovessi scegliere uno spot a favore della Scuola dell’insegnamento
individualizzato, non avrei dubbi a indicare le parole che Emma
Watson, la giovane attrice di “Harry Potter”, ha pronunziato dinanzi
all’assemblea dell’Onu nel 2014: “Se smettiamo di definirci l’un l’altro
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con quello che non siamo, possiamo iniziare a definirci con quello che
siamo”. In effetti la linea guida dell’insegnamento individualizzato non
è il modello formale ed astratto dello studente standard, ma l’individuo
concreto, inserito, con tutti i problemi possibili ed immaginabili, nel
suo contesto di vita reale.
PER ORIENTARSI NELLA LETTURA DEL TESTO
PRIMA PARTE
La competenza di base del docente
SECONDA PARTE
Intendersi sui termini
TERZA PARTE
L’atteggiamento metodologico relazionale
QUARTA PARTE
Gli scarti relazionali
QUINTA PARTE
Che fare? L’insegnamento individualizzato
SESTA PARTE
La valutazione
SETTIMA PARTE
L’insegnamento individualizzato e la logica
delle pari opportunità
OTTAVA PARTE
L’insegnamento individualizzato e il nodo delle
fragilità identitarie
NONA PARTE
L’insegnamento individualizzato come declinazione
di una specifica visione della vita
DECIMA PARTE
Saper essere persona
UNDICESIMA PARTE
La Scuola dell’insegnamento individualizzato
e la Costituzione Italiana
APPENDICE
E’ sempre possibile
QUADRO CONCETTUALE DEL TESTO
10
11
15
21
31
35
42
76
84
91
102
113
121
129
138
Lo confesso: quando ho cominciato a scrivere queste pagine, mi
sono sentito un po’ come Mastro Geppetto che, avendo deciso
di intagliare un semplice pezzo di legno per farne un burattino, si
è trovato dentro una storia imprevedibilmente bella, ma anche
abbastanza complessa.
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PRIMA PARTE
La competenza di base del docente
Il pinocchio buono e quello cattivo
Facendo ricorso ad una metafora a me cara, definisco “pinocchio
cattivo” (con la p minuscola) la rigidità relazionale che, spesso,
impedisce nelle classi il dialogo educativo fra studenti ed insegnanti.
Tale rigidità svolge una duplice funzione negativa. Da una parte
consente agli studenti in difficoltà di ostentare gli insuccessi scolastici
come loro scelta: una specie di affermazione identitaria di sé contro il
regime scolastico, allo scopo di conquistare l’ammirazione del resto
della classe; dall’altra offre ai professori la possibilità di giustificare
gli scarsi risultati ottenuti, riversando la responsabilità primaria sui
ragazzi che non vogliono studiare: un capro espiatorio abbastanza
comodo.
Il “pinocchio buono” (con la p minuscola) è, invece, lo spazio
generativo che si apre in classe quando due o più persone riescono a
parlarsi, progettare e percorrere insieme un cammino di formazione.
Il personaggio della fiaba, Pinocchio, ha dinanzi a sé due alternative:
o diventa un asino nel paese dei balocchi o si trasforma in bravo
ragazzo. L’ultima eventualità (quella del bravo ragazzo) fa certamente
piacere al Grillo parlante. Tuttavia, per raggiungere tale obiettivo, Il
Grillo non deve limitarsi a distribuire, dalla cappa del camino, saggi
consigli, che pure sono necessari. Deve anche seguire l’esempio di
mastro Geppetto che, al momento opportuno, non esita ad uscire
dalla sua bottega per cercare il burattino smarrito.
Fuor di metafora, si vuol dire che il docente ha il dovere di mettersi
in gioco riconoscendo la complessità delle situazioni didatticoeducative come fattore determinante del suo insegnamento.
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Complessità del sistema classe
La complessità spesso è sottoposta ad un destino contraddittorio:
o è ignorata oppure è interpretata alla stregua di una difficoltà
insuperabile. L’atteggiamento giusto è quello di comprenderla e di
trattarla in modo adeguato.
Il Grillo si ingegna a fare delle prediche astratte, senza sforzarsi di
capire la condizione reale in cui versa Pinocchio, ricevendone in
cambio una bella martellata in testa. I carabinieri, invece, decidono
immediatamente di sbattere Pinocchio in galera; senza pensarci su
troppo. Tanto quel burattino è proprio irrecuperabile!
Gli insegnanti non devono comportarsi né come il grillo parlante
né come i carabinieri. Nello svolgimento del loro lavoro sono
continuamente chiamati a confrontarsi con la complessità del
sistema classe (il cui livello è, di norma, molto alto), evitando di
avventurarsi in giudizi semplicistici.
La complessità in una formazione sociale, piccola o grande che sia,
si sviluppa attraverso un tessuto di relazioni, che interferiscono fra di
loro secondo modalità non sempre facilmente prevedibili.
L’insegnante avveduto sa perfettamente che, quando le sue parole
entrano nel sistema complesso della comunicazione, possono
essere interpretate diversamente rispetto agli intendimenti iniziali.
Perciò è indispensabile conoscere al meglio l’ambiente cognitivo in
cui è chiamato ad operare.
Certo, non è semplice prevedere quello che può succedere nella
testa dei ragazzi. Talvolta si ha l’impressione di avere a che fare
con un frullatore che rimescola le informazioni ricevute sino al punto
di farne il prodotto finale che proprio non ci aspettavamo. L’unico
consiglio plausibile che mi sento di dare è quello di non affidarsi
ciecamente a comportamenti già collaudati con successo in passato,
perché le circostanze non si ripresentano mai uguali a se stesse. La
vigilanza critica rimane l’antidoto più valido contro le sorprese e gli
abbagli interpretativi.
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Relazioni
Le relazioni costituiscono la sostanza della complessità. Sono
paragonabili a dei canali di comunicazione sottoposti ad un
flusso continuo di interferenze. Attraverso le relazioni gli individui
costruiscono insieme agli altri la propria esistenza. In questo ambito
nulla è scontato e dato una volta per sempre, perché siamo nel pieno
della storia, anzi delle storie, che sono in continuo divenire.
Mastro Geppetto rimase sorpreso dalle reazioni del pezzo di legno,
perché non sospettava neppure lontanamente che sotto quella
scorza potesse nascondersi la vita di un bambino.
L’insegnante, nel momento in cui cerca di conoscere i mondi dei suoi
studenti, non deve farsi cogliere spiazzato. Egli sa perfettamente di
addentrarsi in una trama di relazioni imprevedibili che facilmente si
sottraggono ai canoni interpretativi delle sue esperienze pregresse.
Parole da conoscere
In una recente intervista pubblicata su “l’Unità” del 26 gennaio 2014
a pagina 19 il linguista Tullio De Mauro afferma: “Le parole … si
capiscono appieno solo capendone l’ancoraggio al loro contesto e
alla persona che le dice o scrive”
Tale è il compito del docente: capire le parole degli altri che gli stanno
di fronte, in modo da poter mettere in pratica le migliori strategie
didattico-educative per aiutarli a superare le loro difficoltà.
Sempre nella medesima intervista Tullio De Mauro dichiara: “Per
capire una qualunque frase dobbiamo mobilitare, anche senza
accorgercene, tutte le risorse delle nostre conoscenze ed esperienze.
Se manchiamo di farlo, la comprensione delle parole altrui fallisce”.
Le parole esprimono un mondo.
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Che fare?
Non si tratta unicamente di conoscere un mondo sconosciuto ma
di farsi coinvolgere dalle dinamiche in cui si muovono le nuove
generazioni e che spesso, nonostante le buone intenzioni, risultano
per noi inedite (basti pensare alla presenza ingombrante del web),
senza mai diventarne ostaggi.
L’insegnante non può presentarsi come amico dei suoi studenti,
poiché la sua funzione è quella di formatore, che, per essere svolta in
modo autorevole e scientifico, richiede il mantenimento di una certa
distanza rispetto ai propri interlocutori.
otterrebbe l’effetto di causare confusione di ruoli e disorientamento.
Ciascun docente deve mantenere rispetto ai suoi studenti quella
distanza emozionale che gli consenta di esercitare il lavoro didatticoeducativo con la massima serenità di giudizio possibile.
Geppetto sicuramente riuscì a far capire a Pinocchio che voleva
soltanto il suo bene, tanto è vero che il burattino, ogni qual volta
combinava qualche marachella delle sue, poi avvertiva un certo
rimorso nei confronti di quel brav’uomo di mastro Geppetto.
Gli insegnanti, purtroppo, non hanno poteri magici e neppure una
pazienza infinita. Le loro risorse consistono nella competenza
professionale e nella intima consapevolezza della responsabilità
umana di cui giornalmente devono farsi carico.
Ma in concreto che cosa fare? Certamente non basta leggere le
schede personali dei ragazzi né raccogliere qua e là notizie più o
meno attendibili. Il primo passo è quello di farsi conoscere attraverso
parole e comportamenti autentici. Oggi si direbbe fare outing.
Esporsi dicendo che cosa si pensa di ciò che accade intorno a
noi e dentro di noi, confessando anche difficoltà, dubbi, errori. E’
un’operazione “verità”, che certamente non è programmabile come
una normale unità didattica da spiegare in classe, ma richiede la
testimonianza del nostro stile di vita in classe ed anche fuori.
Il secondo passo consiste nel far capire a chi ti sta di fronte che
lo scopo primario della propria attività professionale è quello di
contribuire allo “star bene” dei propri studenti (non di pochi ma di tutti)
nei limiti delle condizioni date. Questo non è da interpretarsi come
invito a diventare un surrogato dei genitori perché, in tal modo, si
Avendo frequentato per tanti anni la Scuola, non posso fare a meno
di riconoscere che gli insegnanti, tutti, sono dotati delle migliori
intenzioni. Il problema è quello di farlo capire chiaramente agli studenti
che ci stanno di fronte. Non è un’impresa impossibile. Vi faccio un
esempio. Se un ragazzo ci offende, non è il caso di indugiare sulla
rispettabilità ferita del docente, bisogna piuttosto coinvolgere tutta
la classe, compreso l’autore del gesto, in una riflessione collettiva
sull’accaduto, allo scopo di comprendere il motivo per cui il ragazzo
si è comportato in modo “tanto sciocco”. Tutto questo va fatto non
per trovare giustificazioni ma con l’intendimento di modificare le
cose sbagliate. Una simile strategia consente di volgere a vantaggio
dell’attività educativa una situazione apparentemente sfavorevole,
facendoci percepire dai ragazzi come persona molto autorevole e
sicura di sé. Un mio amico mi ha fatto notare che, per comportarsi
così, è indispensabile avere “un fisico bestiale”. Mi pare esagerato.
Qui è soltanto questione di “professionalità”, che significa sapere
quello che si fa, per quale obiettivo e procedere senza esitazioni.
A proposito di autorevolezza voglio ribadire che il suo riconoscimento
si conquista sul campo giorno per giorno, utilizzando strategie che
sono suggerite dalle condizioni reali in cui ci è dato di operare.
Bisogna, però, partire da una premessa che deve essere fondante
della professionalità di ciascun insegnante: essere convinti che la
finalità dell’insegnamento è quella di dare a chi ci è stato affidato una
possibilità di cambiamento per il raggiungimento della sua “ felicità”,
qui ed ora. Tanto basta per assicurare al nostro studente un terreno
più fertile di opportunità future. Come noto, ogni futuro ha radici ben
piantate nel suo passato prossimo.
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La Fata Turchina era molto amorevole nei confronti di Pinocchio,
ma non per questo gli risparmiava i suoi ammonimenti e qualche
punizione.
Ancora una volta mi viene in mente quel sant’uomo di Geppetto
che, per ritrovare il suo amato Pinocchio, non esitò ad affrontare un
mondo ostile, finendo addirittura nel ventre di un’enorme pescecane,
dove riuscì a sopravvivere per molto tempo, tenendo sempre accesa
la tenue fiammella di una candela.
Una convinzione abbastanza diffusa suggerisce che i margini di
cambiamento delle persone siano minimi se non addirittura nulli.
Tradotto nel linguaggio antico di mia nonna: chi nasce tondo non
può morire quadrato. Osservazione respinta, se non altro perché
studiando Kierkegaard mi sono reso conto di quanto sia legittimo e
fecondo aver sostituito, nella interpretazione ontologica dell’uomo,
la categoria della necessità con quella delle possibilità (al plurale).
Traggo ulteriore conforto quando leggo ciò che sostiene Vito Mancuso
nel suo recente libro “Il principio di passione” editori Garzanti – 2013.
Parlando del serpente che ingannò i nostri progenitori, l’autore
asserisce che esso non è la rappresentazione bestiale del diavolo
bensì il simbolo della indeterminazione della vita che affida alle
nostre scelte ed all’impegno profuso la possibilità del bene e del
male. Collodi raccontandoci la fantastica storia di Pinocchio in fondo
dice la medesima cosa: che cambiare in meglio è possibile oltre che
molto gratificante.
Il nostro Pinocchio inizialmente era soltanto un pezzo di legno
intagliato a mo’ di burattino; ha rischiato di trasformarsi in un asinello
nel Paese dei Balocchi. Ma, alla fine, ce l’ha fatta, in barba a tutti i
gatti e le volpi del mondo.
Quanto detto finora ci consente di formulare la competenza di base
del docente: saper costruire un sistema educativo di relazioni vitali
orientato al cambiamento degli studenti affinché acquisiscano
la condizione della felicità. Questa è la traduzione sintetica di
quello che all’inizio del discorso con una forzatura metaforica ho
soprannominato il “pinocchio buono”.
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SECONDA PARTE
Intendersi sui termini
Competenza sovraordinata
Comincio col dire che col termine “sovraordinata” si indica la
competenza che fa da sfondo e conferisce un senso chiaro e ben
definito a tutte le altre che ne derivano.
I punti cardine su cui poggia la possibilità di una simile competenza
sono da un lato il radicamento in una specifica visione della vita,
dall’altro le conoscenze disciplinari coniugate alle corrispondenti
competenze didattico-educative.
Visione della vita: che roba è mai questa?
Geppetto, i carabinieri, la Fata Turchina, il Gatto e la Volpe la
pensavano diversamente su molte cose e, difatti, i loro comportamenti
furono ben diversi.
Effettivamente parlare oggi di visione della vita è fuori moda. Su
questi temi impera una grande confusione. Si vive schiacciati nella
immediatezza del presente, perché la dimensione del futuro è
pesantemente messa in discussione da questo tipo di società, che,
per la sua incapacità di punti di riferimento certi, è definita liquida.
Le prime vittime di tale condizione sono, evidentemente, le nuove
generazioni.
L’aspetto più clamoroso dello stile di vita dominante è il consumismo
che, oltre a bruciare le cose, mortifica la capacità degli individui
a pensarsi oltre la soglia dell’immediatezza. Le relazioni umane
tendono a disperdersi in una miriade di contatti superficiali, che
non garantiscono ai giovani uno stabile ambiente affettivo in
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