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C ORRIERE
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DOSSIER
M EZZOGIORNO U M ERCOLEDÌ
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M AGGIO
C ORRIERE
2006
DEL
M EZZOGIORNO U M ERCOLEDÌ
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M AGGIO
13
2006
NA
le pagine sul disagio urbano
Tornano i libri anticamorra
GOMORRA
Roberto Saviano
Giovanissimo esordiente, è nato a Napoli nel
1979. Collaboratore del «Corriere del Mezzogiorno» dell’Osservatorio sulla camorra e l’illegalità,
scrive inchieste, racconti e recensioni.
Ha collaborato al «Manifesto», a «Nuovi Argomenti», «Pulp Libri» e al blog nazioneindiana.com. Un
suo racconto è inserito nell’antologia «Best Off. Il
meglio delle riviste letterarie italiane». (Minimum
fax, 2005). «Gomorra», edito da Mondadori, suo
primo libro, è nono nella classifica nazionale della
narrativa italiana.
Saviano si è laureato in Filosofia all’Università degli Studi di Napoli «Federico II» con una tesi
su Max Weber.
LAZZARONI
Amato Lamberti
Nato a S. Maurizio Canavese, in provincia di Torino, si è trasferito a
Salerno ai tempi del ginnasio.
Laureato in Filosofia, dal 1972 insegna Sociologia della devianza all’Università degli studi di Napoli “Federico II”, facoltà di Sociologia.
Ha fondato e diretto l’Osservatorio sulla camorra della fondazione
Colasanto. È stato assessore alla Normalità del Comune di Napoli dal
1993 al 1995 e presidente della Provincia di Napoli dal 1995 al 2004
Due saggi, il pamphlet di Bocca e un romanzo-inchiesta rilanciano il dibattito
VIAGGIO NEL CUORE DEL «SISTEMA»
COME I CLAN SI FANNO IMPRESA
DI
DEL
Dopo anni di silenzio si torna a raccontare la camorra, a
studiarla, ad analizzarne dinamiche e potenzialità distruttive. Tornano a farlo due sociologi campani, Amato Lamberti
e Isaia Sales, che tra gli anni Ottanta e Novanta hanno già
dedicato parte dei loro studi e del loro impegno politico alla
causa della lotta al crimine organizzato. Ma di camorra e
illegalità diffusa, male forse ancor più pervasivo, parla anche il
maestro del giornalismo Giorgio Bocca nel suo «Napoli siamo
noi», che, dato alle stampe a novembre dell’anno scorso, ha
tenuto banco per alcuni mesi nel dibattito sul disagio della città.
Un «viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della
camorra», questo il sottotitolo, è anche il primo graffiante libro
del giovane Roberto Saviano, già autore di reportage e collaboratore dell’Osservatorio sulla camorra e l’illegalità del
Corriere. Le recensioni che pubblichiamo in queste pagine
svelano la presenza, nelle analisi realizzate nei libri, di punti
di vista interessanti e spesso diversi fra loro sullo stesso fenomeno.
FRANCESCO BARBAGALLO *
IL PUNTO D’INCONTRO
TRA LE «DUE NAPOLI»
DI
«S
ono nato in terra di camorra, nel quando non sono collusi nei tanti comuni
luogo con più morti ammazzati sciolti per infiltrazioni camorristiche.
La camorra si è trasformata in un insieme
d’Europa, nel territorio dove la ferocia è annodata agli affari, dove niente ha di sistemi flessibili, imprese che investono capivalore se non genera potere. (…)Tremilasei- tali enormi in tutti i settori economici, danno
cento morti da quando sono nato (1979). La lavoro precario e senza tutele, ma diffuso e
camorra ha ucciso più della mafia siciliana, continuo. Addirittura raccolgono il risparmio
più della ’ndrangheta, più della mafia russa di lavoratori e pensionati, rendendoli partecipi, in quota, ai loro affari. Naturalmente sono
(…).La camorra ha ucciso più di tutti».
È un grido di dolore, quello di Roberto Sa- pronti a prestare denaro, anche a sostenibili
viano. Ed è un atto di accusa a chi finge di non tassi usurari, a quanti non hanno possibilità di
vedere, di non sapere. È anche un racconto ottenere mutui bancari.
L’analisi di Saviano è la più compiuta e propotente, una storia, tante storie, incredibili e
vere. Oggi che la politica è ridotta alle tante fonda ricerca sui processi di trasformazione
facce insignificanti, talvolta preoccupanti, ap- che hanno posto il sistema economico creato
dalla criminalità campana alpiccicate sui muri, gli aspiranti
l’avanguardia nei traffici del
all’amministrazione di queste
L’OPINIONE
mondo globalizzato. Sono orterre e i gestori dei suoi assetti
Compiuta e profonda
mai decenni che i clan di Seconpolitici farebbero bene a trovadigliano e del Casertano hanno
re un po’ di tempo per leggere
ricerca sui processi
investito e fatto fruttare i loro
questo libro («Gomorra».
di trasformazione
capitali in tutto il mondo: dai
Mondadori, maggio 2006 ndr).
paesi del crollato socialismo reScoprirebbero, se ancora non
del crimine campano
ale agli insediamenti turistici e
l’avessero capito, che i «sistemi» criminali dominanti da Secondigliano a alle imprese di ristorazione dalla Spagna alla
Casal di Principe rappresentano quanto di più Scozia, all’Australia; dalla Cina a Taiwan, fimoderno la Campania ha prodotto negli ulti- no agli Stati Uniti dove hanno conquistato la
mi decenni: lo sviluppo di una potente e diffu- leadership nel mercato dei jeans.
sa economia criminale, che spazia nei mercati
Per non parlare dell’Italia dove hanno estemondiali dell’era della globalizzazione e pri- so la loro influenza, al Nord e al Centro, in
meggia nei traffici di ogni tipo di merce. Armi tutto il settore del cemento e delle costruzioni,
e droga, abiti e alta tecnologia, alimentari e dei tessuti e, naturalmente, nel grande affare
rifiuti tossici.
dei rifiuti, novello «re Mida» che trasforma in
La camorra è diventata leader, tra i vincenti oro monnezza e sostanze tossiche.
sistemi criminali attivi nel mondo, nell’epoca
Saviano ha messo tutto se stesso in questo
della ristrutturazione postfordista. Sono i libro, si è immerso fino in fondo dentro la praclan criminali, oggi, i comitati d’affari. La poli- tica e la logica di questa imprenditoria crimitica, i politici sono stati ridotti ai margini, nale che coincide col più spinto neoliberismo,
VITO FAENZA
A
con la nuova potenza dell’economia attivata
da questa sorta di «samurai liberisti». Ha fatto di tutto e di più. È stato nel porto di Napoli,
dove viene scaricato tutto quello che si produce in Cina. Ha vissuto a Secondigliano nei mesi della faida più sanguinosa. Ha fatto amicizia col sarto che, dopo aver visto Angelina Jolie indossare nella notte degli Oscar un vestito
cucito da lui per quattro soldi, ha abbandonato il suo lavoro e s’è messo a fare il camionista.
Ha ricevuto da un giovane affiliato una foto
con dedica del vecchio generale Kalashnikov,
grazie ai traffici di armi che la camorra ha gestito fin dalla caduta del muro di Berlino. Si è
introdotto e ha fotografato, a suo rischio e pericolo, la villa sequestrata a Walter Schiavone, che la volle identica a quella del gangster
interpretato da Al Pacino nel film Scarface.
Saviano racconta, con maestria narrativa,
storie che ha vissuto di persona. Per questo
s’inscrive nella rara genia dei cronisti di razza.
Evidentemente è troppo bravo e coraggioso
per essere assunto da un giornale. Capitò anche a Giancarlo Siani, e confidiamo che la similitudine si fermi qui. Ma Saviano è anche
un ricercatore molto bravo, che si è studiato i
processi giudiziari, le informative dei carabinieri, della polizia, della Dia, le relazioni delle
commissioni parlamentari, i rapporti ministeriali, le indagini di centri di ricerca. Il risultato
di tanta fatica e di un coraggio forse addirittura eccessivo è un libro eccezionale che prende
il lettore alla gola, e offre alla conoscenza di
esperti e addetti ai lavori molto più di quanto
si possa immaginare.
* Docente
di Storia Contemporanea
Università Federico II di Napoli
mato Lamberti questa idea delle «due
Napoli» l’ha sempre avuta. Da tempo
va ripetendo che esistono, si vedono.
Rimettendo insieme i suoi interventi, gli editoriali, le riflessioni, il sociologo ha dato alle
stampe un volume («Lazzaroni, Napoli sono
anche loro» Graus Editore, aprile 2006) che certamente farà discutere. Ma è l’intenzione dichiarata dell’autore: aprire una riflessione sulla città.
Napoli è una città complessa nella quale si
intrecciano gli strati sociali, dove non esiste
una differenza netta fra i lazzaroni e coloro che
non lo sono. Il primo a definire la città in questo modo fu Vincenzo Cuoco nel suo libro sulla
rivoluzione del ’99. «Una Napoli che è una miniera, alimento, vita, di intellettuali di ogni paese — sostiene Lamberti — e di ogni età che,
della Napoli capitale della disoccupazione, del
sottosviluppo, del degrado, del clientelismo,
della camorra, non si accorgono neppure, presi
come sono a vivere e raccontare un’esperienza
irripetibile che ne sconvolge l’animo e le viscere». È la Napoli del paradosso, la Napoli delle
due società che camminano spesso senza incontrarsi, ma che si oppongono, spesso alleate, alle
trasformazioni e al cambiamento. Più volte in
questi mesi si è parlato di «tolleranza zero», di
«pacchetto sicurezza», sia l’uno che l’altro sono inapplicabili a Napoli, la criminalità non è
(solo) una questione di repressione, ma di politiche che non possono esser (solo) assistenziali.
Se Napoli è oggi «un paradiso abitato da diavoli», come nel 1719 la definiva Michel Guyot de
Nerville, è proprio perché è mancata una visione di insieme della società e una parte degli abitanti, ghettizzata economicamente, lo è stato
anche territorialmente, «deportata» in grandi
agglomerati che non hanno nulla di «sociale».
Parco Verde di Caivano o gli insediamenti di
Sant’Antimo o degli altri centri della provincia
sono l’esempio di questo. Si crea così un distacco fra le due Napoli. Un distacco sempre più
grande. Dunque perché meravigliarsi se la
«piazza» assalta lo Stato? Negli ultimi anni il
popolo dei lazzaroni è aumentato a dismisura.
Il 40 per cento dei napoletani ha commesso un
reato, piccolo o grande che sia, dunque quattro
abitanti sui dieci della città vivono in un altro
mondo economico e sociale dove sono stati
spinti dal bisogno, ma non solo.
Oggi il carcere sembra essere la soluzione finale del problema «lazzaroni», ma questa idea
fa da contraltare alla «tolleranza infinita» che
esiste rispetto alle mille e mille illegalità quasi
sempre orientate contro lo Stato, sicuramente
patrigno, spesso aguzzino. L’illegalità diffusa
non riguarda però solo la parte marginale della
popolazione, ma anche quella «diversa», «l’altra» città come dimostrano «Farmotruffe»,
evasioni fiscali e altri reati. Fra le due Napoli è
arrivato il punto di contatto, ma non è sulla
sponda del progresso, è dall’altra parte e quindi nessuna meraviglia se i capi dei «disoccupati» organizzati hanno un posto di lavoro, nessuna meraviglia se diventano un riconosciuto soggetto politico, nessuna meraviglia se colletti
bianchi e camorristi sono alleati nel truffare Regione e Stato. Queste sono solo alcune delle
provocazioni lanciate da Lamberti, secondo il
quale oggi la situazione non è dissimile da quella che vedevano i viaggiatori dell’Ottocento.
Uno per tutti Marc Monnier che nel 1863 scriveva:«I napoletani chiamano camorra ogni
abuso di influenza o di potere affermano che
questa lebbra esiste in tutte le classi della società». Difficile dopo 143 anni dargli torto.
Disegno di Daniela Pergreffi
NAPOLI SIAMO NOI
I MALI DELLA CITTÀ NEL REPORTAGE
CHE NON CONCEDE ASSOLUZIONI
DI
I SIGNORI DELL’ILLEGALITA’
Giorgio Bocca
Nato a Cuneo nel 1920, è tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Al
suo attivo, in una carriera ormai cinquantennale, si registrano numerose
pubblicazioni in un vasto arco di interessi che spazia dall’attualità politica e dall’analisi socioeconomica all’approfondimento storico e storiografico. Tra le sue opere: Palmiro Togliatti (1973); La Repubblica di Mussolini (1977); Storia dell’Italia partigiana (1966); Storia d’Italia nella guerra
fascista (1969); L’inferno. Profondo sud, male oscuro (1993)
DOMENICO PIZZUTI
L’
«COSTRUIRE LE PERIFERIE-GHETTO
È STATA UNA SCELTA CRIMINOGENA»
DI
incipit dell’agile libretto di Giorgio Bocca «Napoli siamo noi» (Feltrinelli, novembre 2005,
ndr), la descrizione dell’attraversamento dall’aeroporto in taxi della tangenziale «la più insanguinata
strada di Napoli perché la città per cui passa è divisa tra i
clan della camorra (…). Lungo la tangenziale avvengono
anche molti scippi classici…» (pag. 5), dà subito il sentore del viaggio veloce e documentato attraverso i mali di
Napoli su cui incombe l’ombra nefasta dei gruppi della
criminalità organizzata. Lo stile è quello dell’inchiesta
d’assalto, del reportage da una frontiera che non è solo
napoletana, con un racconto a tinte forti senza chiaroscuri da parte di una penna esperta. Il viaggio si svolge attraverso interviste a testimoni qualificati della realtà napoletana, dal procuratore Agostino Cordova, al sociologo
Amato Lamberti, al governatore Antonio Bassolino, alla sindaca Rosa Russo Iervolino, al nuovo procuratore
Lepore, agli studiosi Pietro Craveri e Percy Allum, al pro-
fessor Silvestrini, all’albergatore Maione e così via.
Secondo Bocca le patologie di Napoli non sono solo
la pervasività della camorra nell’economia, nella politica e nella società. Ma forse ancor di più l’illegalità diffusa, la tolleranza totale che sfocia nella complicità «per
cui tutto viene concesso, tutto perdonato perchè pur isso
adda campa’» (pag. 29), la corruzione ritornata della politica, il clientelismo ed il servilismo, l’impotenza funzionale della stessa magistratura nell’affrontare la criminalità
organizzata, la mancanza di una classe dirigente, la napoletanità ambigua e così via. Ci sembra che il valente
Bocca per certi versi cada nel difetto che rimprovera all’informazione locale: «Un racconto della vita cittadina
tutto basato sull’emergenza criminale che nasconde la
pratica delittuosa della normalità» (pag. 123), che invece
il maestro del giornalismo non passa sotto silenzio nel
descrivere «l’inferno di Napoli». Anche se a più riprese
l’attenzione ritorna sui traffici, le estorsioni, le infiltra-
zioni nelle amministrazioni locali, le faide sanguinose
tra i gruppi camorristici, le solidarietà subculturali dei
ceti popolari in occasione dei blitz delle forze dell’ordine, che un’informazione attenta aveva già documentato
nel corso degli ultimi tempi. In verità, in uno degli ultimi
capitoli, sotto l’immagine della metastasi criminale si ha
finalmente sentore delle trasformazioni della camorra
con l’internazionalizzazione dei traffici: «L’attività imprenditoriale è passata dalla Campania all’Italia del
Nord, al Veneto dell’ultimo "miracolo". Fabbriche e magazzini di merci taroccate, falsificate sono sparsi nel
mondo intero e nessuno protesta o denuncia perché ormai la metastasi non è più contenibile» (pag. 127).
L’ affresco napoletano del giornalista piemontese non
sembra presentare vie d’uscite: «In questa comune appartenenza all’illegalità la crociata contro la camorra è
priva di senso come lo è nell’intero paese. Vince la camorra e la rassegnazione è destinata a crescere» (pag. 47).
Al di là delle false o ambigue cure, scampoli di speranza sono individuati nei giovani che non ne possono più
di vivere da ladri e da bugiardi, a Napoli e nel resto d’Italia, che vogliono essere cittadini di un paese civile (pag.
132), nell’ Università e nella promozione del sapere scientifico come nella Città della Scienza, creata dal Professor
Sivestrini,«una Bagnoli creativa, che produce nella legalità, è necessaria alla rigenerazione, alla nuova speranza,
al nuovo mito della città» (pag. 89).
Al di là di questo reportage della/dalla realtà napoletana, un registro di lettura è certo suggerito dallo stesso
titolo «Napoli siamo noi»: le ignominie locali sono in
fondo la copia conforme di quelle di altre regioni italiane. « È il governo del capitalismo ladro che ci ritroviamo, se Napoli è quello che è, insanguinata e lorda di
immondizie» (pag. 131), confermato purtroppo dallo
scandalo recentemente scoppiato nel mondo del calcio
italiano.
L’ANNUNCIO NEL GIORNO DELL’ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI CAPACI
Pianura, «Scuola della legalità» nel nome di Falcone
A Pianura per ricordare il 14˚ anniversario della strage di
Capaci. Gli alunni delle scuole elementari e medie del quartiere che, per primo sul territorio cittadino, ha visto nascere un’associazione antiracket si sono riuniti ieri nella scuola dedicata a
Giovanni Falcone. Una giornata all’insegna della legalità che ha visto gli alunni esibirsi in spettacoli teatrali, balli e performance musicali. Al margine della
manifestazione è stata presentata una proposta.
«Dagli stessi studenti e dalla entusiastica disponibilità degli insegnanti – ha commentatao Luigi Cuomo,
coordinatore delle associazioni antiracket – è nata
l’idea di realizzare una scuola superiore di legalità
che dia continuità all’impegno sul territorio lavoran-
do sui temi della musica, delle arti visive, del teatro». L’idea è
subito piaciuta ai dirigenti regionali e all’assessore comunale
alla legalità Roberto De Masi, presente alla giornata di commemorazione, che si è mostrato subito disposto a collaborare.
«Associazioni e coordinamento antiracket lavoreranno insieme per definire questo progetto che partirà — assicura Cuomo — col nuovo anno scolastico.
È un forte impegno di tutti in una città dove non si
fermano gli atti di criminalità ma che mostra sempre
di più un’attenzione forte ai temi della legalità». Sulla stessa scia gli interventi di Silvana Fucito e di Giorgio Baiano presidenti delle associazioni antiracket di
San Giovanni a Teduccio e di Pianura.
Nel giorno della commemorazione della strage di Capaci
anche il presidente della provincia di Napoli, Dino Di Palma, è
intervenuto sul tema legalità ponendo l’attenzione sui beni confiscati alle mafie: «La Provincia lancia un appello al nuovo
ministro della Giustizia e a tutto il governo affinchè vi sia maggiore attenzione in tema di confisca dei beni alle mafie. Bisogna ripristinare un alto commissariato centrale — ha detto —
che si occupi della materia». Gli ha fatto eco l’assessore alle
Politiche Scolastiche della Provincia Angela Cortese che ha
avanzato la «richiesta concreta che si rendano effettivi i principi contenuti nella legge 109/96 sull’uso sociale dei beni confiscati».
Antonella Migliaccio
Isaia Sales
Nato a Pagani (Salerno) nel 1950, è stato deputato nei Democratici di
sinistra dal ‘94 al 2001 e sottosegretario al tesoro e al bilancio nel primo
governo Prodi.
Attualmente è consigliere economico del governatore campano Bassolino. Tra le sue pubblicazioni «La camorra, le camorre» (1993), «Leghisti e
sudisti» (1993), «Il Sud al tempo dell’euro»(1999) , «Riformisti senz’anima»; «La Sinistra, il Mezzogiorno, gli errori di D'Alema» (2003)
CHIARA MARASCA
N
ove capitoli, 283 pagine, «I signori dell’illegalità»,
edito da «L’Ancora del Mediterraneo», sarà in libreria tra quindici giorni. Si tratta del secondo
lavoro sul tema, dopo «La camorra, le camorre» del 1988,
firmato dal sociologo Isaia Sales. Un’idea di fondo funge da
collante e al tempo stesso da filo conduttore dell’indagine
compiuta: «A Napoli città — scrive Sales — separare la criminalità comune, organizzata e di tipo camorristico è operazione estremamente complessa; anzi, è proprio nel "miscuglio",
piuttosto che nella netta separazione, che si caratterizzanno
quelle attività criminali comunemente identificate con il termine "camorra"». Bozze alla mano, incontriamo Sales per un
colloquio sui contenuti del libro. «A Napoli — spiega — è
praticamente impossibile stabilire un confine tra attività illegali e attività criminali. Contraffazione, imprese abusive e
spaccio di droga sono tutte attività che alimentano le casse dei
clan. Di qui, dall’impossibilità di tracciare confini netti, e dalla tolleranza manifestata dalle istituzioni nei confronti di alcu-
ne attività classificate come illecite ma non direttamente "pericolose" per la società, i clan traggono la loro forza». È così che
Sales descrive la «camorra mercurio», mentre in altri passaggi
del saggio parla di «camorra scimmia»: «personaggi che cercano di ottenere il massimo guadagno con il minimo sforzo,
"scimmiottando" gli aritocratici dell’800».
Colpisce che mentre il giovane Saviano parli di «sistema»,
cancellando la parola camorra dalle pagine del suo romanzo-inchiesta, Sales non solo vi accosti sostantivi che ne arricchiscono i possibili significati, ma neghi anche che la criminalità organizzata campana si caratterizzi oggi per una spiccata
propensione a muoversi in ambiti internazionali investendo
all’estero gran parte delle proprie risorse criminali: «È un
aspetto ancora marginale nella complessiva dinamica camorristica. Sono convinto — spiega il sociologo — che i camorristi contino molto poco fuori dal proprio "recinto", dal prorio
ambiente originario. Tendono anzi a operare una sorta di "autoapartheid", anche culturale: scrivono poesie, costruiscono
Centro storico, festa contro racket e degrado
Tre piazze in festa con un unico obiettivo: promuovere la riqualificazione del centro storico cittadino con
gli strumenti della legalità, della sicurezza e della cultura. Questo lo scopo di «Centro di gravità permanente»,
manifestazione organizzata dall’associazione Arteteka. Alla sua seconda edizione, l’evento, che avrà inizio domenica 28 maggio alle ore 18 in piazza Banchi
Nuovi, porterà musica e spettacoli in giro per la città
per tutta la notte. Tre le piazze interessate: a Santa
Maria la Nova si ballerà l’ elettrorock con concerti, dj
set e performance. In piazza Banchi Nuovi, luogo simbolo della manifestazione, in primo piano il tema sociale con spettacoli per bambini e giocoleria, con le associazioni umanitarie, i concerti di jazz, blues e l’angolo
del tango. San Giovanni Maggiore Pignatelli divente-
rà la piazza etnica, con musica folk, reggae e afro.
«Una manifestazione pensata come itinerante — commentano gli organizzatori — per offrire la sensazione
di tornare a camminare liberamente per i vicoli».
L’evento si concluderà lunedì 29 al cinema Modernissimo con la proiezione del film «Pater Familias» di Francesco Patierno. A seguito della proiezione l’associazione «Contracamorra» — presente anche domenica nelle tre piazze — presenterà la campagna a favore del
consumo critico. L’evento, che verrà presentato venerdì 26 maggio alle 12 al Kestè in largo San Giovanni
Maggiore Pignatelli, è patrocinato da Comune e Provincia di Napoli, dalla Regione Campania e dall’ Istituto Orientale.
(A. M.)
falsi miti, ascoltano i cantanti neomelodici per marcare la loro separazione dall’altra Napoli e conservare un potere che
sarebbe invece messo a rischio da una promiscuità sociale» .
Torna duque la vecchia idea, cara anche al sociologo Lamberti, delle due Napoli e si afferma l’ipotesi centrale della teoria
di Sales: «La camorra è un prodotto del sottoproletariato urbano. Lo era in passato e lo è ancora oggi benché abbia sviluppato anche un carattere imprenditoriale. Interrompere la promiscuità sociale trasferendo il ceto popolare nelle periferie si è
rivelata una scelta criminogena. Il fatto che la camorra sia
ancora fortemente radicata anche nel centro storico della città si spiega ricordando la massiccia "emigrazione" della borghesia da quella zona ai quartieri alti. Circa 150mila persone
in cinquant’anni». Scelte sbagliate, dunque, e l’inadeguatezza
della classe dirigente nazionale e locale avrebbero prodotto
«la mancata integrazione del sottoproletariato e frenato la
modernizzazione della città, che ha perso un treno sul quale,
invece, Marsiglia (al paragone è dedicato un intero capitolo
del libro, ndr) è salita».
Esplicita nel sottotitolo al volume, «La camorra non è la
mafia» , e ampiamente sviluppata nel primo capitolo, l’altra
idea chiave. Anche qui Sales parla di classe dirigente colpevole e inadeguata, a Napoli come, e soprattutto, a Roma: «Per
troppo tempo — spiega il sociologo — studiosi e politici hanno esaminato la camorra utilizzando un paradigma che era
stato costruito osservando la mafia siciliana. È stato un grosso errore, che ha giustificato l’elaborazione di strategie di contrasto tanto inadeguate quanto inefficenti. Il crimine campano è sì diverso, ma non per questo meno forte e violento. La
camorra è criminalità urbana, gangsterismo, e come tale, andava contrastato». Un esempio, tra le tante differenze passate
in rassegna: nella mafia, spiega Sales, l’omicidio stesso si fa
"progetto", tassello di una strategia complessiva, motivato da
una logica di massima efficienza. In Campania, invece, «si
agisce risposta a risposta, omicidio a omicidio, istinto sanguinario e dunque incontrollato».
SEGUE DA PAGINA 11
Politica e clan
Il sistema camorristico cittadino non ha mai puntato al controllo diretto del potere pubblico,
piuttosto ha tentato storicamente di ricavare spazi e nicchie di
influenza nelle pieghe delle sue
deficienze e nelle ramificazioni
delle clientele politiche. La forza
su cui conta è il controllo capillare di rioni e quartieri. Non è un
caso che dalle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia emergano spaccati di contiguità o zone
interamente sottratte alla legalità laddove le istituzioni del potere pubblico si ramificano nei ter-
ritori della città: dalle liste dei disoccupati agli appalti per la fornitura di materiale sanitario degli ospedali, dai parcheggi abusivi alle affissioni dei manifesti
elettorali, e ancora alla compravendita di pacchetti di voti. Non
che queste attività siano necessariamente gestite in prima persona da esponenti dei clan, ma
certo si svolgono con il beneplacito non disinteressato dei boss.
Qualcosa di diverso sembra
avanzare ora con le elezioni per
le nuove municipalità. Da più
parti giungono segnali di inquinamento diretto del voto, che
fanno supporre che alcuni clan
stiano tentando il salto di quali-
L’ASSOCIAZIONE
tà. Circa un candidato su due ha
avuto problemi con la giustizia,
di questi una cinquantina si sono macchiati di reati gravi con
sentenze passate in giudicato,
come il traffico di stupefacenti e
l’associazione a delinquere. Sembra aprirsi dunque una fase nuova, dai risvolti inquietanti. Non
direi che si tratta di una strategia precisa pensata ad alto livello, ma di certo la presenza nelle
municipalità — dotate di maggiori poteri — di uomini vicini ai
clan non sarebbe priva di conseguenze. Una finestra di opportunità che va assolutamente chiusa.
Luciano Brancaccio
Presidente
Giorgio Fiore
Vicepresidente
Marco Demarco
Direttore Scientifico
Domenico Pizzuti
Segretario
Vito Faenza
Dossier a cura di
Chiara Marasca
Attivo dalle ore 11.00 alle 17.00
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