12 C ORRIERE NA DOSSIER M EZZOGIORNO U M ERCOLEDÌ 24 M AGGIO C ORRIERE 2006 DEL M EZZOGIORNO U M ERCOLEDÌ 24 M AGGIO 13 2006 NA le pagine sul disagio urbano Tornano i libri anticamorra GOMORRA Roberto Saviano Giovanissimo esordiente, è nato a Napoli nel 1979. Collaboratore del «Corriere del Mezzogiorno» dell’Osservatorio sulla camorra e l’illegalità, scrive inchieste, racconti e recensioni. Ha collaborato al «Manifesto», a «Nuovi Argomenti», «Pulp Libri» e al blog nazioneindiana.com. Un suo racconto è inserito nell’antologia «Best Off. Il meglio delle riviste letterarie italiane». (Minimum fax, 2005). «Gomorra», edito da Mondadori, suo primo libro, è nono nella classifica nazionale della narrativa italiana. Saviano si è laureato in Filosofia all’Università degli Studi di Napoli «Federico II» con una tesi su Max Weber. LAZZARONI Amato Lamberti Nato a S. Maurizio Canavese, in provincia di Torino, si è trasferito a Salerno ai tempi del ginnasio. Laureato in Filosofia, dal 1972 insegna Sociologia della devianza all’Università degli studi di Napoli “Federico II”, facoltà di Sociologia. Ha fondato e diretto l’Osservatorio sulla camorra della fondazione Colasanto. È stato assessore alla Normalità del Comune di Napoli dal 1993 al 1995 e presidente della Provincia di Napoli dal 1995 al 2004 Due saggi, il pamphlet di Bocca e un romanzo-inchiesta rilanciano il dibattito VIAGGIO NEL CUORE DEL «SISTEMA» COME I CLAN SI FANNO IMPRESA DI DEL Dopo anni di silenzio si torna a raccontare la camorra, a studiarla, ad analizzarne dinamiche e potenzialità distruttive. Tornano a farlo due sociologi campani, Amato Lamberti e Isaia Sales, che tra gli anni Ottanta e Novanta hanno già dedicato parte dei loro studi e del loro impegno politico alla causa della lotta al crimine organizzato. Ma di camorra e illegalità diffusa, male forse ancor più pervasivo, parla anche il maestro del giornalismo Giorgio Bocca nel suo «Napoli siamo noi», che, dato alle stampe a novembre dell’anno scorso, ha tenuto banco per alcuni mesi nel dibattito sul disagio della città. Un «viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra», questo il sottotitolo, è anche il primo graffiante libro del giovane Roberto Saviano, già autore di reportage e collaboratore dell’Osservatorio sulla camorra e l’illegalità del Corriere. Le recensioni che pubblichiamo in queste pagine svelano la presenza, nelle analisi realizzate nei libri, di punti di vista interessanti e spesso diversi fra loro sullo stesso fenomeno. FRANCESCO BARBAGALLO * IL PUNTO D’INCONTRO TRA LE «DUE NAPOLI» DI «S ono nato in terra di camorra, nel quando non sono collusi nei tanti comuni luogo con più morti ammazzati sciolti per infiltrazioni camorristiche. La camorra si è trasformata in un insieme d’Europa, nel territorio dove la ferocia è annodata agli affari, dove niente ha di sistemi flessibili, imprese che investono capivalore se non genera potere. (…)Tremilasei- tali enormi in tutti i settori economici, danno cento morti da quando sono nato (1979). La lavoro precario e senza tutele, ma diffuso e camorra ha ucciso più della mafia siciliana, continuo. Addirittura raccolgono il risparmio più della ’ndrangheta, più della mafia russa di lavoratori e pensionati, rendendoli partecipi, in quota, ai loro affari. Naturalmente sono (…).La camorra ha ucciso più di tutti». È un grido di dolore, quello di Roberto Sa- pronti a prestare denaro, anche a sostenibili viano. Ed è un atto di accusa a chi finge di non tassi usurari, a quanti non hanno possibilità di vedere, di non sapere. È anche un racconto ottenere mutui bancari. L’analisi di Saviano è la più compiuta e propotente, una storia, tante storie, incredibili e vere. Oggi che la politica è ridotta alle tante fonda ricerca sui processi di trasformazione facce insignificanti, talvolta preoccupanti, ap- che hanno posto il sistema economico creato dalla criminalità campana alpiccicate sui muri, gli aspiranti l’avanguardia nei traffici del all’amministrazione di queste L’OPINIONE mondo globalizzato. Sono orterre e i gestori dei suoi assetti Compiuta e profonda mai decenni che i clan di Seconpolitici farebbero bene a trovadigliano e del Casertano hanno re un po’ di tempo per leggere ricerca sui processi investito e fatto fruttare i loro questo libro («Gomorra». di trasformazione capitali in tutto il mondo: dai Mondadori, maggio 2006 ndr). paesi del crollato socialismo reScoprirebbero, se ancora non del crimine campano ale agli insediamenti turistici e l’avessero capito, che i «sistemi» criminali dominanti da Secondigliano a alle imprese di ristorazione dalla Spagna alla Casal di Principe rappresentano quanto di più Scozia, all’Australia; dalla Cina a Taiwan, fimoderno la Campania ha prodotto negli ulti- no agli Stati Uniti dove hanno conquistato la mi decenni: lo sviluppo di una potente e diffu- leadership nel mercato dei jeans. sa economia criminale, che spazia nei mercati Per non parlare dell’Italia dove hanno estemondiali dell’era della globalizzazione e pri- so la loro influenza, al Nord e al Centro, in meggia nei traffici di ogni tipo di merce. Armi tutto il settore del cemento e delle costruzioni, e droga, abiti e alta tecnologia, alimentari e dei tessuti e, naturalmente, nel grande affare rifiuti tossici. dei rifiuti, novello «re Mida» che trasforma in La camorra è diventata leader, tra i vincenti oro monnezza e sostanze tossiche. sistemi criminali attivi nel mondo, nell’epoca Saviano ha messo tutto se stesso in questo della ristrutturazione postfordista. Sono i libro, si è immerso fino in fondo dentro la praclan criminali, oggi, i comitati d’affari. La poli- tica e la logica di questa imprenditoria crimitica, i politici sono stati ridotti ai margini, nale che coincide col più spinto neoliberismo, VITO FAENZA A con la nuova potenza dell’economia attivata da questa sorta di «samurai liberisti». Ha fatto di tutto e di più. È stato nel porto di Napoli, dove viene scaricato tutto quello che si produce in Cina. Ha vissuto a Secondigliano nei mesi della faida più sanguinosa. Ha fatto amicizia col sarto che, dopo aver visto Angelina Jolie indossare nella notte degli Oscar un vestito cucito da lui per quattro soldi, ha abbandonato il suo lavoro e s’è messo a fare il camionista. Ha ricevuto da un giovane affiliato una foto con dedica del vecchio generale Kalashnikov, grazie ai traffici di armi che la camorra ha gestito fin dalla caduta del muro di Berlino. Si è introdotto e ha fotografato, a suo rischio e pericolo, la villa sequestrata a Walter Schiavone, che la volle identica a quella del gangster interpretato da Al Pacino nel film Scarface. Saviano racconta, con maestria narrativa, storie che ha vissuto di persona. Per questo s’inscrive nella rara genia dei cronisti di razza. Evidentemente è troppo bravo e coraggioso per essere assunto da un giornale. Capitò anche a Giancarlo Siani, e confidiamo che la similitudine si fermi qui. Ma Saviano è anche un ricercatore molto bravo, che si è studiato i processi giudiziari, le informative dei carabinieri, della polizia, della Dia, le relazioni delle commissioni parlamentari, i rapporti ministeriali, le indagini di centri di ricerca. Il risultato di tanta fatica e di un coraggio forse addirittura eccessivo è un libro eccezionale che prende il lettore alla gola, e offre alla conoscenza di esperti e addetti ai lavori molto più di quanto si possa immaginare. * Docente di Storia Contemporanea Università Federico II di Napoli mato Lamberti questa idea delle «due Napoli» l’ha sempre avuta. Da tempo va ripetendo che esistono, si vedono. Rimettendo insieme i suoi interventi, gli editoriali, le riflessioni, il sociologo ha dato alle stampe un volume («Lazzaroni, Napoli sono anche loro» Graus Editore, aprile 2006) che certamente farà discutere. Ma è l’intenzione dichiarata dell’autore: aprire una riflessione sulla città. Napoli è una città complessa nella quale si intrecciano gli strati sociali, dove non esiste una differenza netta fra i lazzaroni e coloro che non lo sono. Il primo a definire la città in questo modo fu Vincenzo Cuoco nel suo libro sulla rivoluzione del ’99. «Una Napoli che è una miniera, alimento, vita, di intellettuali di ogni paese — sostiene Lamberti — e di ogni età che, della Napoli capitale della disoccupazione, del sottosviluppo, del degrado, del clientelismo, della camorra, non si accorgono neppure, presi come sono a vivere e raccontare un’esperienza irripetibile che ne sconvolge l’animo e le viscere». È la Napoli del paradosso, la Napoli delle due società che camminano spesso senza incontrarsi, ma che si oppongono, spesso alleate, alle trasformazioni e al cambiamento. Più volte in questi mesi si è parlato di «tolleranza zero», di «pacchetto sicurezza», sia l’uno che l’altro sono inapplicabili a Napoli, la criminalità non è (solo) una questione di repressione, ma di politiche che non possono esser (solo) assistenziali. Se Napoli è oggi «un paradiso abitato da diavoli», come nel 1719 la definiva Michel Guyot de Nerville, è proprio perché è mancata una visione di insieme della società e una parte degli abitanti, ghettizzata economicamente, lo è stato anche territorialmente, «deportata» in grandi agglomerati che non hanno nulla di «sociale». Parco Verde di Caivano o gli insediamenti di Sant’Antimo o degli altri centri della provincia sono l’esempio di questo. Si crea così un distacco fra le due Napoli. Un distacco sempre più grande. Dunque perché meravigliarsi se la «piazza» assalta lo Stato? Negli ultimi anni il popolo dei lazzaroni è aumentato a dismisura. Il 40 per cento dei napoletani ha commesso un reato, piccolo o grande che sia, dunque quattro abitanti sui dieci della città vivono in un altro mondo economico e sociale dove sono stati spinti dal bisogno, ma non solo. Oggi il carcere sembra essere la soluzione finale del problema «lazzaroni», ma questa idea fa da contraltare alla «tolleranza infinita» che esiste rispetto alle mille e mille illegalità quasi sempre orientate contro lo Stato, sicuramente patrigno, spesso aguzzino. L’illegalità diffusa non riguarda però solo la parte marginale della popolazione, ma anche quella «diversa», «l’altra» città come dimostrano «Farmotruffe», evasioni fiscali e altri reati. Fra le due Napoli è arrivato il punto di contatto, ma non è sulla sponda del progresso, è dall’altra parte e quindi nessuna meraviglia se i capi dei «disoccupati» organizzati hanno un posto di lavoro, nessuna meraviglia se diventano un riconosciuto soggetto politico, nessuna meraviglia se colletti bianchi e camorristi sono alleati nel truffare Regione e Stato. Queste sono solo alcune delle provocazioni lanciate da Lamberti, secondo il quale oggi la situazione non è dissimile da quella che vedevano i viaggiatori dell’Ottocento. Uno per tutti Marc Monnier che nel 1863 scriveva:«I napoletani chiamano camorra ogni abuso di influenza o di potere affermano che questa lebbra esiste in tutte le classi della società». Difficile dopo 143 anni dargli torto. Disegno di Daniela Pergreffi NAPOLI SIAMO NOI I MALI DELLA CITTÀ NEL REPORTAGE CHE NON CONCEDE ASSOLUZIONI DI I SIGNORI DELL’ILLEGALITA’ Giorgio Bocca Nato a Cuneo nel 1920, è tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Al suo attivo, in una carriera ormai cinquantennale, si registrano numerose pubblicazioni in un vasto arco di interessi che spazia dall’attualità politica e dall’analisi socioeconomica all’approfondimento storico e storiografico. Tra le sue opere: Palmiro Togliatti (1973); La Repubblica di Mussolini (1977); Storia dell’Italia partigiana (1966); Storia d’Italia nella guerra fascista (1969); L’inferno. Profondo sud, male oscuro (1993) DOMENICO PIZZUTI L’ «COSTRUIRE LE PERIFERIE-GHETTO È STATA UNA SCELTA CRIMINOGENA» DI incipit dell’agile libretto di Giorgio Bocca «Napoli siamo noi» (Feltrinelli, novembre 2005, ndr), la descrizione dell’attraversamento dall’aeroporto in taxi della tangenziale «la più insanguinata strada di Napoli perché la città per cui passa è divisa tra i clan della camorra (…). Lungo la tangenziale avvengono anche molti scippi classici…» (pag. 5), dà subito il sentore del viaggio veloce e documentato attraverso i mali di Napoli su cui incombe l’ombra nefasta dei gruppi della criminalità organizzata. Lo stile è quello dell’inchiesta d’assalto, del reportage da una frontiera che non è solo napoletana, con un racconto a tinte forti senza chiaroscuri da parte di una penna esperta. Il viaggio si svolge attraverso interviste a testimoni qualificati della realtà napoletana, dal procuratore Agostino Cordova, al sociologo Amato Lamberti, al governatore Antonio Bassolino, alla sindaca Rosa Russo Iervolino, al nuovo procuratore Lepore, agli studiosi Pietro Craveri e Percy Allum, al pro- fessor Silvestrini, all’albergatore Maione e così via. Secondo Bocca le patologie di Napoli non sono solo la pervasività della camorra nell’economia, nella politica e nella società. Ma forse ancor di più l’illegalità diffusa, la tolleranza totale che sfocia nella complicità «per cui tutto viene concesso, tutto perdonato perchè pur isso adda campa’» (pag. 29), la corruzione ritornata della politica, il clientelismo ed il servilismo, l’impotenza funzionale della stessa magistratura nell’affrontare la criminalità organizzata, la mancanza di una classe dirigente, la napoletanità ambigua e così via. Ci sembra che il valente Bocca per certi versi cada nel difetto che rimprovera all’informazione locale: «Un racconto della vita cittadina tutto basato sull’emergenza criminale che nasconde la pratica delittuosa della normalità» (pag. 123), che invece il maestro del giornalismo non passa sotto silenzio nel descrivere «l’inferno di Napoli». Anche se a più riprese l’attenzione ritorna sui traffici, le estorsioni, le infiltra- zioni nelle amministrazioni locali, le faide sanguinose tra i gruppi camorristici, le solidarietà subculturali dei ceti popolari in occasione dei blitz delle forze dell’ordine, che un’informazione attenta aveva già documentato nel corso degli ultimi tempi. In verità, in uno degli ultimi capitoli, sotto l’immagine della metastasi criminale si ha finalmente sentore delle trasformazioni della camorra con l’internazionalizzazione dei traffici: «L’attività imprenditoriale è passata dalla Campania all’Italia del Nord, al Veneto dell’ultimo "miracolo". Fabbriche e magazzini di merci taroccate, falsificate sono sparsi nel mondo intero e nessuno protesta o denuncia perché ormai la metastasi non è più contenibile» (pag. 127). L’ affresco napoletano del giornalista piemontese non sembra presentare vie d’uscite: «In questa comune appartenenza all’illegalità la crociata contro la camorra è priva di senso come lo è nell’intero paese. Vince la camorra e la rassegnazione è destinata a crescere» (pag. 47). Al di là delle false o ambigue cure, scampoli di speranza sono individuati nei giovani che non ne possono più di vivere da ladri e da bugiardi, a Napoli e nel resto d’Italia, che vogliono essere cittadini di un paese civile (pag. 132), nell’ Università e nella promozione del sapere scientifico come nella Città della Scienza, creata dal Professor Sivestrini,«una Bagnoli creativa, che produce nella legalità, è necessaria alla rigenerazione, alla nuova speranza, al nuovo mito della città» (pag. 89). Al di là di questo reportage della/dalla realtà napoletana, un registro di lettura è certo suggerito dallo stesso titolo «Napoli siamo noi»: le ignominie locali sono in fondo la copia conforme di quelle di altre regioni italiane. « È il governo del capitalismo ladro che ci ritroviamo, se Napoli è quello che è, insanguinata e lorda di immondizie» (pag. 131), confermato purtroppo dallo scandalo recentemente scoppiato nel mondo del calcio italiano. L’ANNUNCIO NEL GIORNO DELL’ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI CAPACI Pianura, «Scuola della legalità» nel nome di Falcone A Pianura per ricordare il 14˚ anniversario della strage di Capaci. Gli alunni delle scuole elementari e medie del quartiere che, per primo sul territorio cittadino, ha visto nascere un’associazione antiracket si sono riuniti ieri nella scuola dedicata a Giovanni Falcone. Una giornata all’insegna della legalità che ha visto gli alunni esibirsi in spettacoli teatrali, balli e performance musicali. Al margine della manifestazione è stata presentata una proposta. «Dagli stessi studenti e dalla entusiastica disponibilità degli insegnanti – ha commentatao Luigi Cuomo, coordinatore delle associazioni antiracket – è nata l’idea di realizzare una scuola superiore di legalità che dia continuità all’impegno sul territorio lavoran- do sui temi della musica, delle arti visive, del teatro». L’idea è subito piaciuta ai dirigenti regionali e all’assessore comunale alla legalità Roberto De Masi, presente alla giornata di commemorazione, che si è mostrato subito disposto a collaborare. «Associazioni e coordinamento antiracket lavoreranno insieme per definire questo progetto che partirà — assicura Cuomo — col nuovo anno scolastico. È un forte impegno di tutti in una città dove non si fermano gli atti di criminalità ma che mostra sempre di più un’attenzione forte ai temi della legalità». Sulla stessa scia gli interventi di Silvana Fucito e di Giorgio Baiano presidenti delle associazioni antiracket di San Giovanni a Teduccio e di Pianura. Nel giorno della commemorazione della strage di Capaci anche il presidente della provincia di Napoli, Dino Di Palma, è intervenuto sul tema legalità ponendo l’attenzione sui beni confiscati alle mafie: «La Provincia lancia un appello al nuovo ministro della Giustizia e a tutto il governo affinchè vi sia maggiore attenzione in tema di confisca dei beni alle mafie. Bisogna ripristinare un alto commissariato centrale — ha detto — che si occupi della materia». Gli ha fatto eco l’assessore alle Politiche Scolastiche della Provincia Angela Cortese che ha avanzato la «richiesta concreta che si rendano effettivi i principi contenuti nella legge 109/96 sull’uso sociale dei beni confiscati». Antonella Migliaccio Isaia Sales Nato a Pagani (Salerno) nel 1950, è stato deputato nei Democratici di sinistra dal ‘94 al 2001 e sottosegretario al tesoro e al bilancio nel primo governo Prodi. Attualmente è consigliere economico del governatore campano Bassolino. Tra le sue pubblicazioni «La camorra, le camorre» (1993), «Leghisti e sudisti» (1993), «Il Sud al tempo dell’euro»(1999) , «Riformisti senz’anima»; «La Sinistra, il Mezzogiorno, gli errori di D'Alema» (2003) CHIARA MARASCA N ove capitoli, 283 pagine, «I signori dell’illegalità», edito da «L’Ancora del Mediterraneo», sarà in libreria tra quindici giorni. Si tratta del secondo lavoro sul tema, dopo «La camorra, le camorre» del 1988, firmato dal sociologo Isaia Sales. Un’idea di fondo funge da collante e al tempo stesso da filo conduttore dell’indagine compiuta: «A Napoli città — scrive Sales — separare la criminalità comune, organizzata e di tipo camorristico è operazione estremamente complessa; anzi, è proprio nel "miscuglio", piuttosto che nella netta separazione, che si caratterizzanno quelle attività criminali comunemente identificate con il termine "camorra"». Bozze alla mano, incontriamo Sales per un colloquio sui contenuti del libro. «A Napoli — spiega — è praticamente impossibile stabilire un confine tra attività illegali e attività criminali. Contraffazione, imprese abusive e spaccio di droga sono tutte attività che alimentano le casse dei clan. Di qui, dall’impossibilità di tracciare confini netti, e dalla tolleranza manifestata dalle istituzioni nei confronti di alcu- ne attività classificate come illecite ma non direttamente "pericolose" per la società, i clan traggono la loro forza». È così che Sales descrive la «camorra mercurio», mentre in altri passaggi del saggio parla di «camorra scimmia»: «personaggi che cercano di ottenere il massimo guadagno con il minimo sforzo, "scimmiottando" gli aritocratici dell’800». Colpisce che mentre il giovane Saviano parli di «sistema», cancellando la parola camorra dalle pagine del suo romanzo-inchiesta, Sales non solo vi accosti sostantivi che ne arricchiscono i possibili significati, ma neghi anche che la criminalità organizzata campana si caratterizzi oggi per una spiccata propensione a muoversi in ambiti internazionali investendo all’estero gran parte delle proprie risorse criminali: «È un aspetto ancora marginale nella complessiva dinamica camorristica. Sono convinto — spiega il sociologo — che i camorristi contino molto poco fuori dal proprio "recinto", dal prorio ambiente originario. Tendono anzi a operare una sorta di "autoapartheid", anche culturale: scrivono poesie, costruiscono Centro storico, festa contro racket e degrado Tre piazze in festa con un unico obiettivo: promuovere la riqualificazione del centro storico cittadino con gli strumenti della legalità, della sicurezza e della cultura. Questo lo scopo di «Centro di gravità permanente», manifestazione organizzata dall’associazione Arteteka. Alla sua seconda edizione, l’evento, che avrà inizio domenica 28 maggio alle ore 18 in piazza Banchi Nuovi, porterà musica e spettacoli in giro per la città per tutta la notte. Tre le piazze interessate: a Santa Maria la Nova si ballerà l’ elettrorock con concerti, dj set e performance. In piazza Banchi Nuovi, luogo simbolo della manifestazione, in primo piano il tema sociale con spettacoli per bambini e giocoleria, con le associazioni umanitarie, i concerti di jazz, blues e l’angolo del tango. San Giovanni Maggiore Pignatelli divente- rà la piazza etnica, con musica folk, reggae e afro. «Una manifestazione pensata come itinerante — commentano gli organizzatori — per offrire la sensazione di tornare a camminare liberamente per i vicoli». L’evento si concluderà lunedì 29 al cinema Modernissimo con la proiezione del film «Pater Familias» di Francesco Patierno. A seguito della proiezione l’associazione «Contracamorra» — presente anche domenica nelle tre piazze — presenterà la campagna a favore del consumo critico. L’evento, che verrà presentato venerdì 26 maggio alle 12 al Kestè in largo San Giovanni Maggiore Pignatelli, è patrocinato da Comune e Provincia di Napoli, dalla Regione Campania e dall’ Istituto Orientale. (A. M.) falsi miti, ascoltano i cantanti neomelodici per marcare la loro separazione dall’altra Napoli e conservare un potere che sarebbe invece messo a rischio da una promiscuità sociale» . Torna duque la vecchia idea, cara anche al sociologo Lamberti, delle due Napoli e si afferma l’ipotesi centrale della teoria di Sales: «La camorra è un prodotto del sottoproletariato urbano. Lo era in passato e lo è ancora oggi benché abbia sviluppato anche un carattere imprenditoriale. Interrompere la promiscuità sociale trasferendo il ceto popolare nelle periferie si è rivelata una scelta criminogena. Il fatto che la camorra sia ancora fortemente radicata anche nel centro storico della città si spiega ricordando la massiccia "emigrazione" della borghesia da quella zona ai quartieri alti. Circa 150mila persone in cinquant’anni». Scelte sbagliate, dunque, e l’inadeguatezza della classe dirigente nazionale e locale avrebbero prodotto «la mancata integrazione del sottoproletariato e frenato la modernizzazione della città, che ha perso un treno sul quale, invece, Marsiglia (al paragone è dedicato un intero capitolo del libro, ndr) è salita». Esplicita nel sottotitolo al volume, «La camorra non è la mafia» , e ampiamente sviluppata nel primo capitolo, l’altra idea chiave. Anche qui Sales parla di classe dirigente colpevole e inadeguata, a Napoli come, e soprattutto, a Roma: «Per troppo tempo — spiega il sociologo — studiosi e politici hanno esaminato la camorra utilizzando un paradigma che era stato costruito osservando la mafia siciliana. È stato un grosso errore, che ha giustificato l’elaborazione di strategie di contrasto tanto inadeguate quanto inefficenti. Il crimine campano è sì diverso, ma non per questo meno forte e violento. La camorra è criminalità urbana, gangsterismo, e come tale, andava contrastato». Un esempio, tra le tante differenze passate in rassegna: nella mafia, spiega Sales, l’omicidio stesso si fa "progetto", tassello di una strategia complessiva, motivato da una logica di massima efficienza. In Campania, invece, «si agisce risposta a risposta, omicidio a omicidio, istinto sanguinario e dunque incontrollato». SEGUE DA PAGINA 11 Politica e clan Il sistema camorristico cittadino non ha mai puntato al controllo diretto del potere pubblico, piuttosto ha tentato storicamente di ricavare spazi e nicchie di influenza nelle pieghe delle sue deficienze e nelle ramificazioni delle clientele politiche. La forza su cui conta è il controllo capillare di rioni e quartieri. Non è un caso che dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia emergano spaccati di contiguità o zone interamente sottratte alla legalità laddove le istituzioni del potere pubblico si ramificano nei ter- ritori della città: dalle liste dei disoccupati agli appalti per la fornitura di materiale sanitario degli ospedali, dai parcheggi abusivi alle affissioni dei manifesti elettorali, e ancora alla compravendita di pacchetti di voti. Non che queste attività siano necessariamente gestite in prima persona da esponenti dei clan, ma certo si svolgono con il beneplacito non disinteressato dei boss. Qualcosa di diverso sembra avanzare ora con le elezioni per le nuove municipalità. Da più parti giungono segnali di inquinamento diretto del voto, che fanno supporre che alcuni clan stiano tentando il salto di quali- L’ASSOCIAZIONE tà. Circa un candidato su due ha avuto problemi con la giustizia, di questi una cinquantina si sono macchiati di reati gravi con sentenze passate in giudicato, come il traffico di stupefacenti e l’associazione a delinquere. Sembra aprirsi dunque una fase nuova, dai risvolti inquietanti. Non direi che si tratta di una strategia precisa pensata ad alto livello, ma di certo la presenza nelle municipalità — dotate di maggiori poteri — di uomini vicini ai clan non sarebbe priva di conseguenze. Una finestra di opportunità che va assolutamente chiusa. Luciano Brancaccio Presidente Giorgio Fiore Vicepresidente Marco Demarco Direttore Scientifico Domenico Pizzuti Segretario Vito Faenza Dossier a cura di Chiara Marasca Attivo dalle ore 11.00 alle 17.00 TELEFONO 081-7602207 FAX 081-5802779 INTERNET [email protected] www.corrieredelmezzogiorno.it