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GIORNALE SICILIANO DI POLITICA, CULTURA, ECONOMIA, TURISMO, SPETTACOLO
ANNO SECONDO Nº 18 • 15 ~ 28 SETTEMBRE 2007 • b 1,50
DIRETTORE RESPONSABILE SALVO BARBAGALLO
Vacilla l’esponente di F.I.
Poteri dominanti
in Sicilia
Castiglione
in rotta
di collisione
con la Cdl
di VITO PADULA
L
e note delle polemiche, le
schermaglie che precedono
scontri più aspri, si avvertono da tempo all’interno della Casa
delle Libertà in Sicilia, maggiormente a Catania patria di alcuni
leader di spicco, quali Raffaele
Lombardo e Pino Firrarello, ma soprattutto sede principale del “laboratorio” politico regionale e, spesso,
nazionale.
Ogni mossa e contro mossa avviene con velocità, sovente dall’oggi all’indomani, gli avvenimenti difficili
da comprendere sia perché appaiono criptati, sia perché quello che
accade è il contrario della realtà. In
questo campo i nostri politici possono considerarsi dei veri maestri. Il
tutto sullo sfondo, purtroppo, dell’indifferenza della gente comune,
della gente che vive i problemi del
quotidiano.
Le ultime bordate pesanti (in ordine di tempo) sono state tirate dopo l’evento registrato il 23 agosto
scorso, quello che ha sancito l’alleanza tra UDC e Movimento per
l’Autonomia, immediatamente criticata dall’europarlamentare di
Forza Italia Giuseppe Castiglione.
Ma Giuseppe Castiglione non si è
limitato alle critiche per la costituita alleanza UDC-MpA, giudicata
“vecchia”: è andato ben oltre. Ha
considerata “chiusa” l’esperienza
Berlusconiana, affermando che “la
coalizione della Casa delle Libertà,
così come l’abbiamo conosciuta,
non esiste più”.
Dichiarazioni pesanti che hanno
trovato un immediato contrappunto da parte del leader del MpA,
Raffaele Lombardo, che ha reagito
energicamente, pronunciando una
“sentenza” politica: “…Gli assessori di Forza Italia che fanno capo all’europarlamentare (Castiglione,
n.d.r.) lascino la Giunta (della Provincia di Catania, n.d.r.), risparmiando al presidente il compito
spiacevole, quanto doveroso, di
provvedere all’incombenza”.
Questa azione di Raffaele Lombardo porta la data del 7 settembre
scorso, mentre scriviamo gli asses-
sori di FI sono ancora in carica, ed
a loro ancora non è stato dato il
benservito.
Le esternazioni di Giuseppe Castiglione da molti nella Cdl sono
state considerate negativamente o,
quanto meno inopportune, ma molti addetti ai lavori attribuiscono le
motivazioni dello scontro in atto ad
un malessere esclusivamente interno a Forza Italia, ad un malessere
che vede protagonista lo stesso Giuseppe Castiglione, le cui iniziative
non sarebbero condivise neanche
dal senatore Pino Firrarello, al
quale erano state attribuite (oggi si
dice erroneamente) le responsabilità delle continue fughe di esponenti
del partito, quasi tutte confluite
nell’ MpA e in parte nei gruppi “indipendenti”, non ultime quelle del
sindaco e del vicesindaco di Mascali, Silvio Carota e Alfio Maccarrone, e dei consiglieri Sergio Cucinotta e Rosario Di Mauro.
Una situazione scabrosa, che non
sarebbe gradita né a Micciché, né
ad Alfano che, in questo momento,
secondo le voci che circolano, sarebbero ben felici di vedere emigrare altrove l’europarlamentare Giuseppe Castiglione.
A queste problematiche si è aggiunta, per tanti inaspettata, per altri prevista, la bufera che si è abbattuta sul sindaco di Catania Umberto Scapagnini, in merito alla
controversa vicenda dei parcheggi
urbani.
Insomma, schermaglie, bordate,
sceneggiate e quant’altro, fanno
comprendere che il clima politico
diventerà sempre più arroventato,
in vista delle elezioni per il rinnovo
degli organismi della Provincia di
Catania, la cui tornata elettorale si
terrà nel maggio dell’anno prossimo: a quasi nove mesi da quell’appuntamento, c’è da credere che
tanti altri “eventi” potranno verificarsi. Quel che vale oggi, è probabile, che domani non conti più, e che
il gioco delle alleanze sia ancora
tutto da vedere e verificare.
In ogni modo il malessere all’interno di Forza Italia resta, al momento, il problema principale della
Casa delle Libertà.
L
a Sicilia, pur possedendo enormi potenzialità
per un suo concreto sviluppo, rimane ancorata
ad una situazione costantemente sull’orlo del
collasso economico. E’ una sorta di destino iniquo che
la costringe dentro una gabbia, senza che la collettività, o le Istituzioni, abbiano la forza di spezzarne le
sbarre.
E’ una situazione che si protrae da decenni: si attribuiscono alla criminalità organizzata tutte le condizioni negative che impediscono un percorso di vera “resurrezione”. Raramente si parla dei cosiddetti “poteri
forti” (economici, politici, eccetera) che determinano
e indirizzano, nella realtà pratica, la vita quotidiana
del territorio e della gente che lo anima. Noi abbiamo
cercato di risalire all’origine di questo stato di cose,
ma poiché (ed è comprensibile) mancano gli elementi
che possono avallare le “teorie”, abbiamo “disegnato”
un teorema: il “teorema siciliano”.
Il teorema siciliano parte dall’ipotesi che in Sicilia,
in un determinato periodo storico, uomini appartenenti
a quattro “aggregazioni” di natura diametralmente diversa, Stato (nel senso delle Istituzioni, più propriamente degli uomini che hanno costituito il “corpo”
delle Istituzioni, politici compresi), Chiesa (partecipazione di esponenti dell’Alto clero, di strutture finanziarie del Vaticano, di appartenenti all’Opus Dei),
Massoneria (in quanti hanno mantenuto la loro adesione in forma segreta e occulta) e Mafia, si siano trovati
in accordo per raggiungere precisi obiettivi, mirati inizialmente, ma molto genericamente, agli interessi della collettività (nazionale e internazionale) e poi sfociati, praticamente e concretamente, in interessi di potere
di raggruppamento (in senso assoluto). In merito a
questo teorema Stato, Massoneria, Chiesa e Mafia
quale perno sul quale ipoteticamente hanno ruotato gli
avvenimenti che hanno costituito le fondamenta dell’edificio della nuova Sicilia Autonomistica e di parte
della struttura dello Stato italiano, intendiamo ricordare che i tempi e le situazioni in cui gli appartenenti a
queste aggregazioni hanno agito negli anni che hanno
preceduto lo sbarco anglo-americano in Sicilia, nel
1943, erano ben diversi dagli attuali: coinvolgevano
Paesi diversi, e la valenza dei personaggi stessi era
ben lontana, a tutti i livelli, da quella dei discendenti
che ne hanno assunto, direttamente o indirettamente,
l’eredità.
Probabilmente le stesse intenzioni (leggasi motivazioni) che hanno spinto protagonisti di natura, ceto e
cultura diverse a percorrere una stessa strada, potevano essere condivisibili (leggasi Machiavelli “il fine
giustifica i mezzi”) in quei periodi e inserite in quel
determinato e particolare contesto storico.
E’ chiaro che i protagonisti e loro azioni riletti a distanza, nel Terzo Millennio, e viste le conseguenze che
hanno provocato, assamono connotazioni che oggi non
solo non possono essere condivise, ma soprattutto non
possono essere comprese nella loro reale dimensione.
Il teorema enunciato, pertanto e a nostro avviso, può
essere utilizzato solo come chiave di lettura per capire
connessioni altrimenti difficili da individuare, e usato
mantenendo la massima cautela nell’esprimere un giudizio di merito, per evitare il rischio di cadere nei luoghi comuni che per tanti decenni sono stati spacciati
per verità assolute.
Un inserto Speciale da pagina 9 a pagina 12
A Sigonella i Global Hawk?
R
iceviamo mentre andiamo in stampa un dettagliato servizio di Antonio Mazzeo –Terrelibere.org – in merito alla scelta di Sigonella, effettuata dal Governo degli Stati Uniti, quale base
operativa dei “Global Hawk”, i velivoli senza pilota
progettati e prodotti dalla Northrop Grumman.
Sull’ipotesi di localizzare la base operativa degli
aerei senza pilota in Italia è stata presentata una interrogazione al Parlamento dall’onorevole Elettra
Deiana (Prc), ma questa interrogazione, nella pratica, è rimasta inevasa. “Terrelibere”, in base a documenti a sua conoscenza, nel lungo e dettagliato servizio di Mazzeo, porta a conoscenza sia le scelte effettuate dagli USA, sia l’ammontare degli investimenti previsti per la base di Sigonella. Nel prossimo
numero de “La Voce dell’Isola” ci occuperemo di
questo nuovo e inquietante caso.
OPINIONI
2
LA VOCE DELL’ISOLA
15-28 Settembre 2007
Le ipocrite lezioni di moralità dai sepolcri imbiancati
Non sono un eroe e ho
il diritto di non esserlo
C
aro direttore, adesso non ho
più paura di Cosa Nostra, della Stidda o di qualsiasi altro
sodalizio criminale organizzato. Non
ho più paura perché so che i miei colleghi di Confindustria Sicilia, quelli
che fanno politica imprenditoriale
più che fare impresa per intenderci,
sono dei paladini della legalità e dell’antimafia. Adesso sono certo che
espellendo tutti quegli smidollati collaborazionisti e fiancheggiatori della
mafia colpevoli del tremendo reato di
subire il pizzo e le intimidazioni giornaliere, l’imprenditoria siciliana avrà
la sua svolta legalitaria e Cosa Nostra (e similari) sarà per sempre
sconfitta. Evviva. Eppure, proprio
mentre scrivo, ho la strana sensazione che ancora una volta, sulle spalle
di tanti disgraziati che non vanno in
Tv e che non stanno nei “direttivi” e
nelle “giunte” (nemmeno in quelle di
quartiere) delle varie cricche corporative che affliggono questa isola, si
stia combattendo una battaglia mediatica che con il pizzo e con la mafia
non c’entra proprio nulla. Io non ho
il tempo di andare in Confidustria, nè
di partecipare ai dibattiti, e giuro che
mi piacerebbe un mondo, perché ogni
giorno che il buon Dio manda su
questa terra devo difendere la mia
azienda non tanto dagli attacchi dei
boss e dei ras, ma dallo sfacelo di un
sistema economico che è ormai un
malato terminale, anche grazie alla
folle politica di Confindustria stessa
che in questi anni ha fatto massacra-
re a più non posso la piccola impresa
ed i suoi milioni di lavoratori (che
sono l’unica vera spina dorsale economica di questo paese) per favorire
una deriva della nostra economia che
porta soldi solo al “salotto buono”
del sistema bancario-finanziario, alla
grande impresa, al consorzio sindacato-partiti, al Nord Italia.
Da vent’anni in Sicilia, con questa
maledetta scusa della mafia, sono
stati azzerati i più grossi insediamenti
produttivi che davano lavoro a migliaia di dipendenti e ad un grande
indotto. E la mafia? È li, più forte di
mafia li fa con i colletti bianchi e con
il sistema dei grandi numeri, non certo con qualche centinaio di euro
estorte ad un povero disgraziato che
ha figli e magari anche nipoti da tutelare. Ecco perché sono disgustato e
“stomacato”, mi si passi la volgarità,
da questi filosofi della legalità che
credono che il modo migliore per
combattere la mafia sia quello di
mettere all’indice le sue vittime silenziose. Vogliamo vedere che adesso la
colpa è di chi ha paura? Avrò il diritto di temere per l’integrità mia, della
mia famiglia, della sopravvivenza
riciclare denaro ed a perpetrare traffici illeciti ed intimidazione anche
quando il “capo” è in galera? Non è
normale avere paura quando decine
di pubblici amministratori siciliani
(ben assortiti per ogni schieramento)
che fanno la morale, gestiscono il denaro pubblico (che anche chi paga il
pizzo versa nelle casse di Comuni e
Regione) con il più totale disprezzo
della legalità e ci si inventa pure gli
aumenti di imposta illegittimi a scapito delle tasche dei più deboli per
truccare i bilanci? Non è normale
avere paura se poi il governo taglia
“Sono disgustato dai filosofi della legalità
che credono che il modo migliore per combattere
la mafia sia quello di mettere all'indice
le sue vittime silenziose”
prima, perchè lo sanno tutti in Sicilia
che non è il pizzo a rendere forte,
economicamente, la mafia. L’estorsione è ormai solo un simbolo (molto
importante per la verità) per mantenere la propria forza di intimidazione, per far capire chi è che deve, comunque, prendere le decisioni. I veri
soldi, e dunque la vera potenza, la
economica delle famiglie dei miei
collaboratori quando assisto tutti i
giorni allo schifo incoraggiato di pluriomicidi che si pentono, che patteggiano e che poi tornano, impuniti, a
delinquere più e peggio di prima.
Avrò diritto di avere paura se lo
Stato non riesce ad arginare le immense reti parentali che riescono a
drasticamente i fondi alle forze dell’ordine invece di aumentarli? Si, è
normale avere paura ed io, come tanti altri, sono un uomo normale non un
eroe. Ritengo che in uno Stato di diritto gli uomini normali ed i più deboli vadano difesi e non messi all’indice. Credo che la Sicilia abbia molto più bisogno di imprenditori ed im-
prese sane che non di eroi. Vorrei dire al presidente di Confidustria Sicilia che la lotta si fa nel giornaliero
lottando contro le banche che non ci
fanno credito e drenano il risparmio
al Nord, contro la Pubblica Amministrazione che distrugge tutto ciò che
tocca, contro il malcostume delle tangenti di cui nessuno parla perché i
concussori non mettono le bombe e
non maneggiano Kalasnikov. Piuttosto che aspettare l’applauso del Nord
colonizzatore che ci vuole tutti mafiosi e poveri (e non è un luogo comune
ma una tendenza, pardon un trend,
come preferite chiamarlo voi giovani
bocconiani) ed invocare aiuti, infrastrutture ed eserciti, si dovrebbe pensare un pò di più alla nostra dignità.
Gli eroi come Vecchio e Libero Grassi vanno ammirati ma non credo che
sulla loro pelle sia giusto fare le proprie battaglie mediatiche personali.
Sono talmente vigliacco da non firmare questa lettera, non mi vergogno
a dirlo ma non accetto certo lezioni
di moralità dai sepolcri imbiancati
da cui gronda ipocrisia. Non sono un
eroe ed ho il diritto di non esserlo
senza venire accusato di fiancheggiare la mafia. Sarò anche anche un vigliacco ma vorrei che su di me non
prosperassero i professionisti dell’antimafia come li definiva il grande
Sciascia. O era mafioso anche lui?
Ringraziandola per lo spazio che
vorrà offrirmi.
Piccolo Imprenditore Vigliacco
Dopo il nulla, si raccoglie anche la nemesi di quanto fu seminato
Giornale Siciliano
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Anno II, nº 18
15 ~ 28 Settembre 2007
Gli articoli rispecchiano
l’esclusivo pensiero dei loro autori
Arance amare di Sicilia
L
’Etna diventa sempre più bella. La Bocca
Nuova, dal bosco della Milìa, è una testa
d’aquila al centro di due ali immense che si
aprono sul Mediterraneo... In tv impazza lo spot
dell’aranciata Sanpellegrino: una macchina e un
idiota in camice bianco interrogano le arance chiedendo se sono siciliane o clandestine: le prime
passano l’esame e finiscono spremute dentro le
buatte. Le seconde vengono risucchiate e, diciamo,
ributtate a mare. Non ho mai visto, in 43 anni,
niente di più criminale, falso, insultante, spacciato
con una tale ovvietà. L’ovvietà di uno spot che viene diffuso nell’aria alla velocità di un gas.
Un gas di cinismo alimentato da ignoranza e
idiozia inaudite. Marketing della putrefazione del
tardoimperialismo straccione. Il “declino” italidiota genera zombie. Sono nato a Ramacca, nella piana delle arance, nel cuore della Sicilia zolfifera e
contadina. Nei primi anni Settanta, con le rimesse
degli emigrati in Germania e a Malànu, si impiantarono giardini di naraji e si aprirono putìe e si costruirono case per i figli studiati...
Poi si viveva in nuvole di moscerini che risalivano col profumo di zagare impazzite dagli agrumeti
in crisi e dalle arance scafazzate dai trattori dell’AIMA. Una festa...per le rondini. Fu una distruzione pianificata. La pillola scaduta che veniva
spacciata nell’Orange Belt del Simetu River, come
uno spot neocoloniale: “c’è la crisi di sovraproduzione”.
Mi sono permesso di smontarla e di dimostrare
che la curva della produzione mondiale di arance
era in ascesa costante, con tratti esponenziali e picchi che nessuno stava studiando. Poi dissero che la
colpa era delle nostre produzioni tipiche, bisognava riconvertirle “alla spagnola”. Altra pillola scaduta, che “Terra e LiberAzione” smontò nel 1984.
Poi arrivarono i “contributi per la riconversione”,
con relative truffe reiterate: ne ricordo una, di una
sottospecie di boss ammanigghjiato al Consorzio
di Bonifica, che ogni anno estirpava e ripiantava il
suo agrumeto. In contrada Palma. Erano tempi dif-
ficili per me: minacce e incompresione, ma anche
tanta muta solidarietà proletaria. Ora, dopo il nulla, si raccoglie anche la nemesi di quanto fu seminato. Sul resto sorvoliamo.
I colossi dell’agrobusiness padano comprano
arance siciliane a prezzi da AIMA. La filiera agrumicola non esiste (o quasi, c’è Oranfreezer, ma si è
radicata solo nel mondo delle Coop. tosco-emiliane, se non ricordo male), e ci sono ristrutturazioni
interessanti, come alla Trigona nel Lentinese. Ma
- per il comparto - forse è troppo tardi; nè vedo alcun futuro per la “fascia trasformata”, da Mazara a
Vittoria: l’agrobusiness romano ha appena chiuso
un contratto favoloso in Libya: vedrete. Ma la nemesi verrà dal prossimo POR: una abbuffata di
carte che figliano carte con l’alibi della... “identità”! Ancora non capisco perchè non me ne vado...
per quale ragione non riesco a lasciarmi alle spalle
la mia Scogliera Nera, questi fiumi secchi, questi
scecchi che ci “governano”.
Questa Sicilia è senza testa, senza partiti, senza
università, senza sindacati...che ne coltivino l’Identità e il diritto all’Indipendenza. L’agrobusiness
padano si può permettere il crak Parmalat, le riscalate alle nostre ex-banche, e anche gli insulti antisiciliani e antimediterranei dello spot Sanpellegrino. Se fu l’Oro del Sudan, scambiato con la pasta
di Trabia e i frutti della Terra, a trasformarsi in kanat, gebbie e giardini di rose e naranj al tempo dell’Emirato di Siqillya, quando Palermo crebbe da
tremila a duecentomila abitanti e la Sicilia rinasceva sulle ceneri millenarie della devastazione romano-bizantina, colonia granaria infine delle Chiese
di Roma, Milano e Ravenna...oggi, la delizia di un
frutto che parlava skallyano, cioè arabo-siciliano,
diventa arma mediatica di un razzismo anti-immigrati che non appartiene all’Identità Siciliana, alla
nostra Tradizione civile millenaria, al nostro essere
figli dell’insularità mediterranea.
La Verità siciliana è spremuta, imbuattata e marchiata altrove. Al peggio non v’ha fine?. Stasera
mi faccio una bella insalata di arance amare, con la
cipolletta di Turi, vecchio massaro che travagghjia
o ventu...e conosce tante cose.
Mario Di Mauro
terraeliberazione.org
LA VOCE DELL’ISOLA
15-28 Settembre 2007
RACKET IN SICILIA
3
Per risolvere i nostri problemi abbiamo bisogno delle iniziative degli altri
Si invocano le forze armate
ma l’esercito siamo noi
di FRANCO ALTAMORE
S
i torna ad invocare la presenza
dell’esercito in Sicilia. La Confindustria siciliana, e cioè la
rappresentanza professionale degli
imprenditori costretti da decenni a
pagare il pizzo alla malavita organizzata, ha detto basta; da ora in poi chi
paga il pizzo è fuori dall’associazione.
Noi facciamo la nostra parte – hanno detto i rappresentanti degli industriali – e lo Stato faccia la sua; poiché la nostra è una resistenza disarmata contro organizzazioni potentemente armate, per proteggerci e fare
rispettare la legalità lo Stato mandi
l’esercito. Sono arrivate dichiarazioni
di apprezzamento e solidarietà e qualche perplessità; Romano Prodi ed
Emanuele Macaluso, ad esempio,
hanno detto che se per la difesa della
legalità deve essere impiegato l’esercito, la società civile siciliana ne viene mortificata.
Tutto questo mentre il presidente
della Regione Salvatore Cuffaro era
assente, perché impegnato in un lungo pellegrinaggio a piedi per Santiago di Compostela.
Per un motivo o per un altro, ancora una volta dunque si conferma che
per risolvere i problemi della nostra
Isola da soli non ce la caviamo, ma
abbiamo bisogno dell’apporto – e
persino dell’iniziativa - degli altri.
Il costruttore catanese Andrea Vecchio, che ha detto no al racket, dopo
aver subito innumerevoli attentati intimidatori, si è rivolto direttamente al
capo dello Stato. Nella sua risposta il
presidente Napolitano, riferendosi alla lotta contro le estorsioni, ha parlato
chiaramente di “inefficienze inaccettabili” dello Stato e si è appellato a
governo e parlamento “perché siano
adottate ulteriori misure, destinate
adeguate risorse, attuati i necessari
Nelle foto i militari impegnati nel 1992
nell’operazione “Vespri Siciliani”
coordinamenti”. Risulta che in Sicilia il settanta per cento degli imprenditori è costretto a pagare il pizzo alla
malavita. La dimensione del fenomeno è tale da incidere considerevolmente sui costi delle imprese siciliane, che vengono costrette alla marginalizzazione e spinte progressivamente fuori mercato.
Il racket è un impedimento al lavoro ed allo sviluppo della Sicilia, ma
non risulta che il presidente ed il governo della Regione si siano dati seriamente da fare per combatterlo; sicuramente non è risultato ad Andrea
Vecchio, che ha preferito rivolgersi
direttamente al capo dello Stato.
Nemmeno la Confindustria siciliana
ha degnato di attenzione il presidente
della Regione, che pure per statuto
può disporre autorevolmente delle
forze dell’ordine dello Stato per far
fronte a gravi emergenze. È l’esercito
italiano ad essere invocato.
Assistiamo dunque ad un clamoroso scollamento fra la classe produttiva siciliana e i rappresentanti delle
istituzioni locali. In queste condizioni
la società civile evocata da Prodi e da
Macaluso, ammesso che in Sicilia ve
ne sia rimasta una larva, è un soggetto assolutamente ininfluente.
Se il presidente e il governo della
Sicilia non sanno far nulla contro la
piaga del racket, cosa può fare la società civile, se non solidarizzare con
gli imprenditori angariati e invocare
con loro l’invio dell’esercito?
ca. A questo punto è inutile invocare
la società civile, che in Sicilia è molto
debole.
Occorre invece azzerare tutto, sciogliere l’Assemblea regionale ed eleggere un nuovo presidente, una nuova
giunta e un nuovo parlamento, rinnovare radicalmente l’organizzazione
amministrativa della Regione e quella
degli uffici giudiziari siciliani. Con
lo dei soldatini con le tute mimetiche
agli incroci delle vie cittadine, ma
quello delle coscienze di milioni di
cittadini-elettori siciliani che si devono assumere le proprie responsabilità,
facendo scelte precise e rimboccandosi le maniche per attuarle.
Si ha in Sicilia la cattiva abitudine
di esaurire le proprie energie per la
soluzione del problemi individuali e
È sbagliato pensare di poter stroncare
la piaga del pizzo con i soldati. Serve il ricambio
dei politici, degli amministratori e dei giudici
È una situazione pericolosamente
bloccata. Nemmeno la magistratura
siciliana è esente da responsabilità.
Perché il processo nel quale il presidente Cuffaro è accusato di favoreggiamento nei confronti di Cosa nostra
non si conclude mai? Abbiano già denunciato la sconvolgente condizione
di una regione inquinata dalla mafia,
dove, in libere e democratiche elezioni, alla sorella del magistrato vittima
di Cosa nostra viene preferito il presidente uscente, coinvolto in un processo per mafia.
I giudici di quel processo avrebbero dovuto stralciare la posizione del
presidente e condannarlo od assolverlo subito. Se condannato, al suo posto
avremmo presumibilmente avuto un
inattaccabile esponente politico; se
assolto avremmo eliminato da Cuffaro la gravissima ombra che ne offusca
l’immagine, consentendogli di esprimere in pieno le sue indubbie cospicue capacità politiche.
In ogni caso la maggioranza dei siciliani, diversamente da ora, avrebbe
giudicato sbagliata la decisione di
Andrea Vecchio, di scavalcare il presidente della Sicilia e rivolgersi direttamente al presidente della Repubbli-
una nuova classe politica e dirigente,
con una burocrazia rinnovata e con
un corpo giudiziario rapido ed efficace nella giustizia penale e civile, non
ci sarà bisogno dell’esercito.
Il provvedimento invocato dagli
imprenditori siciliani, dettato dalla
stanchezza e dall’esasperazione, ha il
merito di indicare efficacemente il
problema, anche se non coglie nel segno quanto ad efficacia risolutiva.
L’esercito da mobilitare non è quel-
familiari e di pretendere dagli altri la
soluzione di quelli generali.
È un malcostume che non rende
giustizia alle potenzialità di questa
terra e delle sue nuove generazioni,
che infatti tendono ad abbandonarla.
Se non ci giriamo più dall’altra parte
quando vediamo un malavitoso chiedere il pizzo ad un cittadino, nessuno
chiederà di mandare l’esercito, l’economia siciliana rifiorirà e i giovani
non andranno più via.
LA VOCE DELL’ISOLA
4
15-28 Settembre 2007
Via libera alle trivellazioni della compagnia texana “Panther Eureka”
Noto: l’assalto dei petrolieri
al patrimonio dell’Umanità
di ERNESTO GIRLANDO
V
ia libera alle trivellazioni nel
territorio del Val di Noto. La
sentenza del Tar di Catania,
che ha accolto il ricorso presentato
dalla compagnia petrolifera texana
“Panther Eureka”, riaccende le polemiche, mai sopite in verità, sullo
scempio che da tempo si vuole consumare nella terra dei capolavori del
tardo barocco, dichiarati dall’Unesco
patrimonio dell’umanità. La decisione del Tribunale amministrativo arriva in un’afosa mattinata di fine agosto e consente alla società ricorrente
di svolgere attività di ricerca petrolifera all’interno di un sito che dista
pochi chilometri dalla cattedrale di
Noto. L’assessorato regionale al Territorio e ambiente, retto dall’autonomista Rossana Interlandi, aveva comunicato in ritardo la richiesta di una
valutazione di impatto ambientale
inerente al pozzo oggetto del ricorso,
facendo così scattare il silenzio-assenso.
Lo stesso tribunale ha contestualmente rigettato il ricorso della società
texana relativo a un altro pozzo in
territorio di Ragusa, per il quale si ritiene invece necessaria la valutazione
di impatto ambientale per la presenza
in zona di falde acquifere e di un’ ampia area adibita a discarica di rifiuti
solidi.
La sentenza riapre una questione
che solo pochi mesi fa sembrava apparentemente chiusa rivelando le reali
intenzioni dei petrolieri texani e l’ambiguo comportamento del governo regionale.
Ma andiamo con ordine.
Tutto ha inizio nel marzo del 2004,
allorché l’allora assessore all’Industria del primo governo Cuffaro, Marina Noè, firma i decreti che concedono i permessi a quattro compagnie
petrolifere per effettuare ricerche di
idrocarburi gassosi e liquidi all’interno di una vasta area comprendente
quattro province siciliane - Ragusa,
Siracusa, Catania, Enna - e includente
territori facenti parte della prestigiosa
World Heritage List, sedi di oasi naturalistiche e di importanti monumenti dichiarati beni patrimonio dell’umanità. Lo stesso territorio, sede delle ricerche, comprende anche Siti di
Importanza Comunitaria, Zone di
Protezione Speciale, e I.B.A. (Important Bird Areas), tutte aree tutelate
dall’Unione Europea, soggette a un
sistema di salvaguardia, controlli e
autorizzazioni, con regime di sanzioni per gli Stati che trasgrediscono le
direttive comunitarie connesse e obbligatorietà di preliminare valutazione di incidenza per qualsiasi attività
svolta all’interno e nelle loro adiacenze.
Vibranti saranno le proteste delle
popolazioni e degli enti locali interessati dalle attività di ricerche gas-petrolifere, che indurranno il governo
regionale a procedere a delle sospensive dei permessi e a portare in aula
un emendamento alla legge regionale
sul turismo al fine di vietare le trivellazioni nelle zone tutelate dall’Unesco. Ma l’emendamento verrà bocciato con voto segreto da una maggioranza trasversale - il partito unico delle trivelle - mentre l’ineffabile Tar annullerà le sospensive ai permessi consentendo alla Panther di iniziare le attività di ricerca.
Si intensificano le iniziative di lotta
che culmineranno in una grossa manifestazione svoltasi a Noto nel marzo scorso e avranno eco internazionale attraverso l’appello lanciato nel
giungo seguente, dalle pagine del
quotidiano “La Repubblica”, da Andrea Camilleri. In poche ore la presa
di posizione dello scrittore di Porto
Empedocle registrerà l’adesione di
migliaia di cittadini e di intellettuali
che non esitano a schierarsi contro le
trivellazioni, in una battaglia in cui le
istituzioni e il ceto politico, salvo rare
eccezioni, sembrano sempre più indifferenti e distanti.
E arriva il giorno della riapertura
delle cattedrale di Noto dopo il restauro a seguito del crollo della cupo-
ne e annuncia trionfante, nel corso
della conferenza stampa di presentazione della cerimonia di riapertura
della cattedrale, il “miracolo”: mai
più trivellazioni in tutta la Sicilia.
Neanche di metano. In realtà i petrolieri, nel tentativo di porre l’argine all’effetto mediatico ottenuto dell’intervento di Camilleri, si ritirano da zone
già supervincolate che mai sarebbero
state trivellate.
Nei fatti: il centro abitato di Noto,
le cosiddette “buffer zone”, ossia le
comunque continuare indisturbati a
trivellare a fianco delle suddette zone.
Adesso la sentenza del Tar. In seguito ad essa Cuffaro promette interventi legislativi risolutori. Gli stessi
promessi dall’assessore autonomista
Il via allo scempio in un momento di epocali
scelte che impongono di rivedere modelli
di sviluppo sbagliati
la avvenuto nel 1996. Quale migliore
occasione per il colpo di teatro? La
Panther, con una mossa mediatica finemente studiata, comunica ufficialmente al governatore Cuffaro la sua
intenzione di rinunciare a trivellare
nei siti dell’Unesco della Sicilia sud
orientale.
Il governatore non perde l’occasio-
zone di rispetto ai limiti dei centri
abitati, la zona archeologica di Noto
antica e la zona attorno alla Riserva
di Vendicari. Zone sostanzialmente
impedite, e in ogni caso costituenti
solo l’11% del territorio interessato
dai permessi, equivalente a 86 kmq
su un totale di 746,37. I petrolieri non
rinunciano in realtà a nulla, potendo
Lino Leanza qualche mese addietro,
gli stessi promessi dallo stesso Cuffaro nel 2005 dopo la bocciatura dell’emendamento della legge sul turismo,
gli stessi promessi dall’assessore Interlandi. Tutti appassionatamente insieme a difendere da anni, nei fatti,
gli interessi dei pochi - le compagnie
petrolifere - contro quelli dei molti - i
siciliani e la loro terra -. Una terra,
quella di Sicilia, che percorre con
grande incertezza la via del suo futuro. Per carenze strutturali, motivazioni storiche e assenza di una pianificazione che non permettono all’isola di
decollare.
Il turismo non riesce ad avere definitiva affermazione in un territorio ad
esso vocato, culla di meraviglie paesaggistiche e monumentali senza pari
nel mondo, dove si preferisce aggredire le bellezze nel maldestro tentativo di perseguire vie improbabili di un
improprio sviluppo, spacciando per
tale un intervento volto all’arricchimento di poche compagnie straniere a
detrimento del vantaggio collettivo
isolano. Operazioni in Sicilia ben note nel passato. Il tutto in un momento
di epocali scelte che impongono di rivedere modelli di sviluppo sbagliati,
di invertire drasticamente le rotte
tracciate nell’ultimo secolo in tema di
industrializzazione, politiche energetiche e modo di vivere in tutto il pianeta. Il rapporto di Greenpeace e dell’Epia, l’associazione dell’industria
fotovoltaica europea, presentato recentemente alla Fiera di Milano, illustra la straordinaria crescita che negli
ultimi dieci anni ha fatto registrare
l’energia solare. Essa richiamerà
qualcosa come 14 miliardi di euro di
investimenti entro il 2010, arriverà a
300 miliardi di euro di fatturato e
produrrà 6 milioni e mezzo di posti di
lavoro entro il 2030.
Da noi si boccia l’eolico e si parla
ancora di inceneritori e di idrocarburi
fossili, dopo le terrificanti esperienze
di Gela, Priolo, Milazzo e Augusta. Si
parla di navi cisterna sotto Agrigento
a un tiro di schioppo dalla Valle dei
Templi. Si tenta di barattare pochi inquinati posti di lavoro e si cementificano i contesti urbani solo per il vantaggio di lobbies e potentati economici che adottano criteri coloniali nei
loro interventi in Sicilia.
Eppure le alternative ci sarebbero.
Basterebbe perseguirle.
ROGHI CRIMINALI
LA VOCE DELL’ISOLA
15-28 Settembre 2007
5
Solo un cerino e un po’ di carburante per annientare il nostro patrimonio naturale
La Sicilia distrutta dal fuoco
per mano di piromani assassini
di GIUSEPPE FIRRINCIELI
Tutto questo è
una nuova forma
di terrorismo,
oppure una catena
di atti di vendetta
espressi da gente
cattiva e senza
scrupoli?
L
a Sicilia distrutta dal fuoco, da
Palermo a Messina, da Trapani
a Ragusa, da Caltanissetta a
Catania, da Enna a Siracusa centinaia
di miglia di ettari di bosco, arsi con
morti e feriti. Il mese di agosto di
quest’anno passerà alla storia per il
gran caldo torrido e per i piromani assassini che hanno caratterizzato l’affondamento di un isola anche a livello ambientale e non solo economico.
Gli incendi di questa estate, aumentati del 70 per cento rispetto agli scorsi
anni, hanno provocato danni immensi
ed in termini di moneta sonante ammontano a più di un miliardo di euro.
È facile porsi una domanda: “Ma tutto questo è una nuova forma di terrorismo, oppure una catena di atti di
vendetta espressi da gente cattiva e
senza scrupoli, o anche commessi da
gente che per poter lavorare come
stagionali nella Forestale e assicurarsi
il pane per l’anno intero non guardano in faccia nessuno e non pensano
affatto alle gravi conseguenze di una
distruzione ambientale e diventare
persino assassini?”.
Una serie di atti terroristici che
commetterli non costa nulla, solo un
cerino e un po’ di carburante, per distruggere patrimoni naturali di cui
tanto questa martoriata terra necessita. E poi un’altra domanda: “Ma le
Istituzioni dove sono?”. Guido Bertolaso, dopo i primi assaggi di fuoco
verificatisi nel mese di luglio, è venuto in Sicilia a “bacchettare” Regione
e Istituzioni locali e dire “Qui bisogna fare qualcosa, non potete continuare a non far nulla”. E addirittura
spedisce truppe di volontari dal Friuli
e da altre zone della “vicina” Italia a
Custonaci ed organizza un campus
vero e proprio, per insegnare a proteggere la nostra terra, perchè a suo
dire c’è bisogno di organizzare gli interventi tramite l’addestramento del
volontariato in Sicilia (come se qui
non esistesse gente organizzata e preparata nel settore del volontariato di
protezione civile addestrata nella prevenzione incendi e nell’attività). Forse il responsabile della Protezione civile nazionale non sa o non vuole sapere che in Sicilia, Regione, Province, Comuni ed Enti Parchi, fino a
qualche anno fa e quando erano nelle
condizioni di poter spendere qualcosa, organizzavano veri e propri campi
di avvistamento incendio mediante
l’ausilio delle organizzazioni di volontariato e che avevano permesso
una drastica caduta di attentati al patrimonio boschivo in buona parte dell’Isola. Basta pensare che nel parco
dell’Etna ed in quello dei Nebrodi
l’impennata degli incendi di questa
“calda”estate non ha precedenti nella
storia recente. Ma se abbiamo piromani assassini nella nostra Isola, non
è certo colpa della maggior parte dei
siciliani che sono persone oneste e
non si trovano più soldi per tenere
sotto controllo le zone a verde, a livello privato. Di certo non vuole essere un motivo di conforto se la messa in fuoco del nostro verde non sia
seconda a nessuno, considerato che
episodi del genere si sono verificati
anche nella emancipata Italia, ed anche in altri paesi come la Grecia.
Esiste peraltro una ragione di fondo. Con il clima torrido propizio anche negli anni passati sono esistiti piromani, quando stagionali della Forestale per continuare a “lavorare” e
non perdere il lavoro mandavano a
fuoco parchi e riserve con mezzi più
disparati e sadici, vedi il sistema dell’uso del gatto che lanciavano nel sot-
tobosco con la coda in fiamme perché
avvolta, quest’ultima, da una pezza
imbevuta di liquido infiammabile.
Gli allevatori di ovini che mandavano e mandano ancora a fuoco, zone
protette e non, perché nel giro di poco
il surriscaldamento del suolo provoca
una emersione di acqua per far spuntare in tempi brevi ciuffi di erba e assicurare il pascolo al proprio gregge.
Oggi, purtroppo, il responsabile nazionale della Protezione civile, forse
non conoscendo a fondo le problematiche di una società siciliana avvinta
dai debiti, da un lassismo senza fine,
dalla perdita di fiducia nelle Istituzioni, da una Regione Siciliana che ha
impiantato un palinsesto di risorse
umane, nel proprio Dipartimento di
Protezione Civile, basato per la maggior parte sul precariato e con personale in servizio demotivato al massimo e addirittura in stato di agitazione,
ed ancora peggio, mandato in ferie
coatte, non ha pensato affatto di adottare progetti diversi, tipo il disporre
un immediato monitoraggio dell’intero parco regionale della risorse boschive, tramite i quattromila volontari
siciliani e forse con costi minori, rispetto a quelli spesi per organizzare
un campo di tipo stanziale; le esperienze degli anni passati ci inducono
a dire questo. E poi cosa strana, non è
stato neanche adottato un programma
di attività sinergica, come dire, non è
stata messa in campo alcuna collaborazione tra le strutture dello Stato e
della Regione Siciliana ed i volontari
d’oltre Stretto, fatti arrivare in Sicilia,
in quanto né i Vigili del Fuoco, nè il
Corpo forestale dello Stato hanno elaborato un piano di programmazione
per lavorare in sinergia con le forze
del volontariato, d’altra parte, volontari addestrati nell’attività di spegnimento incendio. Ma il problema non
è tanto l’attivazione di un sistema si-
nergico nel delicato settore degli interventi, ma è dovuto ad una mancata
adozione di un progetto per limitare o
per meglio dire prevenire situazioni
del genere, peraltro ampiamente previste con il sistema di rilevamento
meteo. Adesso le cause, bisogna ricercarle altrove e cioè la Regione Siciliana, tramite il proprio assessorato
all’Ambiente non ha previsto un patto
di sinergia con la protezione civile
nazionale e regionale, non ha impegnato, di sicuro, dei fondi, per un
controllo continuo del territorio, mettendo anche nelle condizioni Province regionali, Comuni ed Enti Parco
ad attivare piani di prevenzione con
la pulizia dei bordi stradali, con ordinanze specifiche di sgombero da erbacce proprietà private che insistono
nei pressi di parchi ed aree a verde.
Che vogliamo? Non ci pensa l’Anas!
Pensa un piccolo Comune montano
che non ha i soldi per comprare l’in-
Scempio, disastri, ammonimenti UE, morti, impunità, cos’altro?
Le fiamme del disonore
di FRANCO LOMBARDO
O
ccorrerebbe chiedersi: a quale altro funesto spettacolo bisogna assistere perché la coscienza civile e
democratica di chi ci governa ed amministra possa
finalmente svegliarsi? In particolare, in questo articolo ci
soffermiamo con vergogna e costernazione a commentare
sui fatti e misfatti che riguardano gli incendi nella nostra
isola e penisola. Non sappiamo bene cosa spinge i “ piromani “ ad appiccare il fuoco (motivi personali, vendette,
ritorsioni, mitomania, plagio, follia ???), ma una cosa la
sappiamo con certezza: l’Italia del Diritto, fonte inesauribile di dichiarata Giurisprudenza, maestra di dettami ed
ammonimenti, non è preparata ad affrontare in sede giudiziaria un problema tanto grave, quanto semplice (purtroppo non è l’unico problema) da risolvere. Applicare la legge! È tutto scritto! Non occorrono particolari garantismi
od interpretazioni personali, chi sbaglia deve pagare purchè il delitto sia stato realmente riconosciuto ed accertato!
Purtroppo leggiamo ed ascoltiamo dei fatti che ci fanno
rabbrividire; ma come si rimette in libertà chi è stato colto
sul fatto, con degli strumenti già pronti per appiccare il
fuoco, o chi è stato colto in flagranza di reato? Chi protegge il cittadino inerme che vive serenamente nella sua
abitazione con la famiglia ed all’improvviso si trova “ arrosto “ per colpa di qualche impunito scellerato? Chi protegge i nostri boschi, grande riserva naturale di macchia
mediterranea, fonte inesauribile di ossigeno ed equilibrio
eco-biologico? Il problema è veramente serio, soprattutto
perché, negli ultimi anni, il fenomeno si è andato dilagando sempre più e non solo in Italia (ricordiamo con reverenza i morti del Pelopponneso). Occorre fare molta attenzione, presidiare meglio il territorio, ristrutturare la
sorveglianza con sistemi molto più moderni; ripetiamo il
problema non è solo ecologico, bensì riguarda la sicurezza del cittadino; aggiungiamo, come se non bastasse, il
continuo ammonimento dell’UE, per la salvaguardia del
patrimonio boschivo, bene inestimabile contro l’effetto
serra, buco di ozono, etc. Ma, esiste un altro problema sicuramente non marginale né secondario: la spesa pubblica. Autorevoli fonti governative attraverso gli organi ufficiali della comunicazione (RAI, MEDIASET, etc,) fanno
sapere al popolo che domare gli incendi in Italia, dolosi o
non, (i dolosi sono più del 90%) costa ad ogni cittadino,
neonati compresi, circa 10 euro a cranio: in buona sostanza più o meno circa 600 milioni di euro all’anno! Nel
complesso della spesa pubblica sembrerebbe una cifra irrisoria, di fatto non lo è per i seguenti motivi: primo, non
è per niente paragonabile ai reali danni morali, fisici e
materiali arrecati, secondo, riteniamo che i numeri riportati riguardino solamente le spese vive realmente sostenute nelle emergenze, e ci sembrano in difetto se consideriamo gli interventi aerei, marittimi, terrestri, fluviali, carburanti, interventi di massa, impiego di tutte le forze disponibili, non solo protezione civile ma, polizia, carabinieri,
finanzieri, volontari e tanto altro, per non parlare poi di
tutto l’apparato burocratico (costi occulti in quanto forse
non definibili). Riteniamo sia giunto il momento di affrontare il problema seriamente, di ristrutturare il sistema,
non aumentando la spesa che comunque dovrebbe ridursi,
bensì ridistribuendo quelle forze lavorative, oggi fonte di
spesa inutile ed improduttiva, che potrebbero sicuramente
controllare meglio il territorio, ridurre i danni ed evitare
che qualche cervellotico fantasista uomo politico o burocrate si inventi strane soluzioni (enti inutili, strane commissioni) che porterebbero solo ad aumentare la spesa
pubblica; altro che tagli alle spese caro sig. ministro Padoa Schioppa.
chiostro per la stampante del fax!
E allora siamo costretti a subire
non solo i danni, ma anche i rimproveri di Bertolaso?
Ma adesso gli incendi e i morti sono passati alla cronaca, anche se recente, ma sempre di cronaca si tratta.
Sarebbe sciocco fermarci qui, addossare le colpe ai responsabili e concludere che l’esperienza negativa di
quest’anno ci faccia solo riflettere nel
prepararci per il prossimo anno. Purtroppo le conseguenze di una Sicilia
in fiamme ci saranno e ci saranno
molto presto e se non si penserà in
tempo, almeno da parte delle Istituzioni, di morti e distruzioni ne potremo avere in misura maggiore. Adesso
con l’approssimarsi della stagione autunnale e con l’arrivo delle alluvioni,
cosa succederà nelle zone devastate
dal fuoco, dove i costoni e i contrafforti delle montagne a verde colpite
dal fuoco non trovano più difesa nell’apparato radicale della flora che
c’era?
I paesini che si trovano a valle, dove sono scomparse centinaia di migliaia di ettari di boschi, come verranno protetti nei prossimi mesi
quando inizierà la stagione delle
piogge ? Purtroppo in Sicilia, oggi,
dobbiamo parlare anche di questo,
perché non è ormai un fenomeno soltanto tropicale, l’invidiabile clima
mediterraneo - siamo riusciti ad annientarlo- non esiste più e la nostra
terra entra a far parte dei Paesi tropicali. E di esperienze del genere negli
anni passati, anche di recente, ne abbiamo avute parecchie. Ci si dovrà attivare immediatamente, almeno pensando alla individuazione delle zone
urbane ed extra urbane in pericolo;
attivare una campagna di sensibilità
fra la gente che risiede nelle zone a
rischio con l’adozione di un piano di
autocontrollo per denunziare possibili
pericoli, immediatamente inviare nei
territori sensibili, tecnici ed esperti
per fare adottare dei veri e propri progetti di individuazione dei rischi e
delle priorità nel settore degli interventi, innalzare delle strutture di difesa; potenziare la canalizzazione artificiale delle acque, provvedere alla pulitura dei canali e degli alvei dei torrenti e dei fiumi specie in prossimità
di strettoie o dove la mano dell’uomo
ha creato pericolose deviazioni. E poi
alla fine compiere azioni di monitoraggio sulle aree destinate alla raccolta delle acque provenienti da bacini di
raccolta per assicurare il razionale deflusso idrico in caso di necessario
smaltimento forzato.
Ci sarà qualcuno dell’area istituzionale regionale che abbia pensato a
queste cose?
Ci auguriamo proprio di si!
6
ROGHI CRIMINALI
LA VOCE DELL’ISOLA
15-28 Settembre 2007
Incendi, occasione per i mass-media di evidenziare le carenze e le inefficienze
In Sicilia la Protezione civile
è composta all’80% da precari
di GIUSEPPE PARISI
A
ncora una volta, la nostra Sicilia, in questo caldissimo agosto appena trascorso (rovente
non solo a causa del clima), balza all’onore delle cronache grazie alla
maggior parte dei giornali a tiratura
nazionale, e non certo per episodi
gratificanti. Parliamo degli incendi
scoppiati a iosa un po’ ovunque, che
hanno distrutto insieme ad alcune vite
umane e a gran parte del patrimonio
boschivo anche il nostro orgoglio isolano che, seppur ci spinge da una parte alla difesa del nostro essere siciliani, dall’altra deve cedere alla luce dei
fatti e della ragione. É amara la constatazione che quanto scritto dai colleghi giornalisti del “continente” risponda, stavolta, al vero (ndr: vi invito a leggere con attenzione l’editoriale apparso sul Corriere della Sera del
I settembre “La taglia sui fuochisti”
a firma di Giovanni Sartori che la dice lunga su altre pungenti problematiche riguardanti l’argomento “fuoco”, questa volta a carico di un governo nazionale sordo a qualsiasi
campana). Adesso, a tener viva l’attenzione sulla terra siciliana non viene sbattuta sui giornali la tratta degli
immigrati, i cui articoli sono già stipati nei cassetti delle varie redazioni,
pronti ad essere pubblicati con scadenza a tempo prestabilito, più o meno regolare secondo gli umori imperanti, ma di fatti gravi che investono
una questione di primaria importanza,
la Protezione Civile che a domare gli
incendi isolani pare abbia fatto abbondante “acqua”, tanto per restare in
tema. La Repubblica pubblicava, dopo ferragosto, un pezzo feroce circa
alcune tubature largamente remunerate ma costruite in plastica, che non
hanno però permesso (si sono liquefatte per il calore) alle autobotti impegnate nell’opera di spegnimento di
potersi rifornire regolarmente.
Certo, non ci consola il fatto che
tanti disservizi siano accaduti anche
altrove. Ma proprio “qui” non dovevano succedere, visto che sono stati
impegnati nell’opera di prevenzione e
nella relativa stesura dei piani d’intervento intelligenze di prima scelta, e
ben pagate. Cosa non ha funzionato?
Come mai i soccorsi in alcuni casi sono stati tardivi se non addirittura insufficienti? Come mai alcune comunità interessate non sono state avvisate e fatte evacuare in tempo? Questi e
altri immaginabili quesiti ci attanagliano il cuore, perché persone sono
morte e danni irreversibili, e comunque non recuperabili a breve termine,
sono stati causati su tutta l’isola, anche quella produttiva e turistica.
Usciamo frustrati da queste realtà
inoppugnabili di fronte alle quali bisogna reagire bene e subito se non si
vuole prossimamente ricadere negli
stessi errori. Stavolta, dire che siamo
una regione a statuto autonomo, è come fare karakiri, perché proprio quest’autonomia doveva e deve portarci
ad una presa di coscienza e a un approccio diverso dei problemi legati al
rischio d’incendio che esiste da sempre nella nostra Isola, per vari fattori
tutti da verificare, e non ultimo il clima torrido. Quello che appresso riportiamo è la voce di un autorevole
quotidiano che sintetizza ciò che han-
picati sulle colline in fiamme, su jeep
staffetta di autobotti da smistare via
radio. Ma un solitario funzionario rientrato dal mare allarga le braccia,
prega di non scrivere il suo nome e
rivela: “quasi tutti in ferie”. Incredibile ma vero, fra le pieghe dei ritardi
nel piano anti incendi e nell’affanno
di una organizzazione che ha lasciato
senza aiuti tanti sindaci siciliani brilla il paradosso di una circolare che
ha obbligato a prendere le ferie più
un esercito già in ferie…”. Il resto
dell’articolo lo risparmiamo a nostri
lettori perché va da sé per toni e contenuti. C’è una cosa in questo “pezzo” che ci affligge particolarmente,
ed è quando il bravo Cavallaro ci
molla uno schiaffone in pieno viso
con il suo “qui”, perché ci sta dicendo che c’è un altrove… dove tutto
funziona. Un “qui” impregnato di una
superficialità che investe e ricopre
tutta la Sicilia e i siciliani, “come
Ai valorosi Vigili del Fuoco, alle Forze dell’Ordine
e alle organizzazioni della Protezione Civile,
non può mancare il nostro plauso per l’attività svolta
no sbandierato in quest’ultimo periodo sia la stampa nazionale sia quella
isolana, e che deve portarci, tutti, ad
una seria e attenta riflessione. “Sette
dipendenti su dieci sono in ferie per
ordine della Protezione civile”. Così
apre l’articolo di Felice Cavallaro sul
Corriere della Sera del 24 agosto
2007 – Inizia: “Nel giorno dei roghi e
dei lutti, bussi agli uffici della Protezione Civile, un intero edificio della
Regione siciliana sulla circonvallazione di Palermo, e trovi corridoi
vuoti, porte chiuse a chiave, saloni
deserti. Non c’è l’ombra di dirigenti,
tecnici e, come li chiamano qui, di
“disaster manager”. Ovvio pensare
che siano tutti impegnati a spegnere
fuochi, a coordinare soccorsi, arram-
del 70% dei settecento dipendenti
della Protezione Civile prima di ferragosto. Una circolare datata 27 giugno, in coincidenza con la prima devastante ondata di caldo africano e
di incendi dolosi . Un mese dopo, la
Sicilia avvampava ancora, ma quelle
tre righe redatte con accento burocratico obbligavano a usufruire del
congedo ordinario di 19 giorni lavorativi e quattro festività .
Il tutto indirizzato al personale
contrattualizzzato ex legge n. 61\98
(Italter-Sirap) 4 province Parchi-Fiori 2. Ermetica formulazione che sta
per “precari”. Quanto per scoprire
che qui la Protezione civile è composta all’80 percento proprio da precari. Tutti rimasti fino al 13 agosto col
posto di lavoro a rischio. Perché i
contratti, da vent’anni rinnovati di
anno in anno, scadevano il 31 agosto. Prorogati in extremis dal governo Cuffaro fino a Natale. In attesa di
una leggina per la stabilizzazione.
Ma nel dubbio, il gran capo della
Protezione, un ingegnere poco amato
dai suoi dipendenti […], aveva già
mandato tutti a casa a rotazione per
più di tre settimane con una devastante concentrazione in questi giorni
di fuoco. Un modo per evitare, se
davvero fossero stati messi alla porta,
il pagamento delle ferie non godute.
Conteggi da bilancio in deficit. Incapacità incrociate della politica siciliana e di un’amministrazione regionale che arriva con l’acqua alla gola
a ferragosto per lasciare in servizio
sempre”, aggiungiamo noi, soppesati
in negativo e presentati “fascio di tutta un erba”.
Le responsabilità, che sicuramente
ci sono, quando saranno accertate
(ma saranno accertate?) ci mostreranno appartenere solo a qualche funzionario inefficiente e non certo a tutta
un’organizzazione che ha ben evidenziato, ancora una volta e ancor di più
in questa occasione davvero catastrofica, di saper lavorare sodo e bene. Ai
nostri valorosi Vigili del fuoco, agli
uomini delle Forze dell’Ordine e a
tutti quelli delle altre organizzazioni
componenti il settore della Protezione
Civile che hanno compiuto l’opera di
spegnimento, non può mancare il nostro plauso per l’attività altamente
meritoria svolta con abnegazione e
sprezzo del pericolo.
Ben sappiamo infatti di altre cronache “locali” non debitamente divulgate dai mass- media d’oltre stretto,
che hanno visto uomini e donne, volontari della Protezione Civile, forze
dell’ordine e vigili del fuoco a tutti i
livelli operativi, stanchi per i turni di
riposo a cui hanno rinunciato ma ben
“presenti” pur di non venir meno al
loro dovere.
Piccoli, grandi episodi non c’è dubbio, in questa bollente estate che rimarcano ancora una volta come le responsabilità non vanno ricercate fra
gli operatori ma fra altri soggetti più
in alto, che avevano il dovere di assumersele, visto anche i lauti stipendi
che percepiscono. Chi scrive, e non
lo dice per vanto, proprio subito dopo
il collocamento nella riserva, ha inteso rendersi utile alla società scrivendo un modesto manuale dal titolo che
è tutto un programma: “L’organizzazione dei soccorsi in caso di calamità” dove ha inteso mettere a disposizione di tutti l’esperienza maturata
nei molti anni in cui è stato impegnato, quale Ufficiale, a far funzionare,
migliorare e crescere una istituzione
essenziale della Nazione qual è l’Esercito Italiano, che da sempre ha collocato tra gli obiettivi primari “l’organizzazione” e la “sicurezza”. Non
sono i titoli che fanno “qui” un “disaster manager” ma l’esperienza, che in
molti casi manca e alla quale si può
supplire non con la buona volontà,
perché da sola non basta, ma con la
preparazione al compito. Istruttori seri e preparati non mancano nelle giuste sedi istituzionali, alle quali bisogna sempre far riferimento in tempi
“normali”, che sappiano formare capillarmente il personale che dovrà essere impiegato durante l’emergenza.
Non sono certo i classici e ben conosciuti gesti scaramantici che allontanano gli eventi disastrosi o ne contengono gli effetti. All’insorgere di una
calamità, può porvi un serio contrasto
solo un’ottima e minuziosa organizzazione del personale preposto alla
Protezione Civile, accompagnato da
una sana e corretta gestione dei mezzi
in dotazione.
Lo abbiamo già detto, ma non ci
stancheremo mai di ripeterlo che sono le esercitazioni continue e improvvise a far sì che allo scoccare dell’emergenza, qualsiasi questa sia, le risposte arrivino immediate e automatiche. Tanto più c’è l’immediatezza
dell’intervento, tanto meno saranno i
danni che subiranno le persone e il
territorio. Ci sia consentito, ancora
una volta, essere fortemente critici
con tutte quelle esercitazioni di Protezione Civile che sanno di parata
trionfale. I cosiddetti “vasetti”, dove
il pericolo simulato è noto da tempo e
studiato a tavolino in tutte le sue implicazioni, compresa quella implicita
o esplicita che sia, di far parlare bene
la stampa e le emittenti televisive che
creano opinione intorno alla Protezione Civile. Queste burlette servono solo a far ben figurare il politico di turno che si appiccica sul bavero una patacca di merito per le successive elezioni. Se qualcuno crede di giocare
con la Protezione Civile magari indossando una divisa nuova per andare
in giro a pavoneggiarsi, sappia che
non è più il momento delle feste di
paese e mai lo è stato.
I fatti gravi accorsi non solo in Sicilia e che purtroppo prevedibilmente
accadranno ancora, impongono una
preparazione specifica e una conoscenza capillare dello strumento
“Protezione Civile” che sia a menadito più si ci eleva nella catena gerarchica organizzativa ed operativa. Gli
improvvisatori e i volontari “sui generis” privi di adeguata preparazione
non servono a nulla e fanno solo confusione, soprattutto se poi occupano
posti di coordinamento e controllo a
cui sono preposti solo perché facenti
parte di questo o quell’ufficio tecnico
o per aver partecipato o peggio, presenziato a qualche corso. Alcuni episodi a noi ben noti e pubblicati sul
nostro giornale locale “Informa Sicilia”, ci portano però a pensare che
siamo, ahimè, ben lungi da una collaborazione costruttiva fra le varie
componenti del volontariato di P.C.
appartenenti alla stessa comunità, essendosi accese, di recente, polemiche
sulle competenze.
L’INTERVISTA
LA VOCE DELL’ISOLA
15-28 Settembre 2007
7
A colloquio con il sindaco del Comune pedemontano, Nino Borzì
Nicolosi porta dell’Etna
carta vincente del turismo
di GIUSEPPE FIRRINCIELI
I
l nostro viaggio continua, su per il
corollario dell’Etna, ovvero per
quei centri abitati che formano e
fanno l’altra Catania. Ora ci incontriamo con il nuovo sindaco di Nicolosi, il geometra Nino Borzì.
Sulla scrivania del primo cittadino
è poggiato bene in vista il programma
politico, un libretto, stampato in quadricromia, dal titolo molto semplice
“Idee per Nicolosi” e con il sottotitolo “Programma elettorale 20072012” del candidato Sindaco Nino
Borzì.
In attesa che il primo cittadino si
renda libero dal suo cellulare per dare
seguito ai nostro appuntamento, terzo
di una serie che quindicinalmente ci
porta da un Comune all’altro, per dare informazione sulla questione amministrativa e come vivono i cittadini
delle realtà urbane dell’altra Catania,
abbiamo iniziato a sfogliare il libretto
e dalla prima pagina abbiamo capito
di aver trovato un politico locale che
tiene molto non solo al suo paesino,
ma ai cittadini che vi abitano: “La capacità progettuale di un’amministrazione passa attraverso un’analisi accurata dei bisogni e delle necessità
della Comunità, che non sono altro
che i bisogni e le necessità della sua
cellula base, la Persona… la persona
è bambino, è giovane, è adulto, è
pensionato, è anziano Un percorso di
vita che corre su uno stesso binario,
ma con bisogni, ruoli, potenzialità
fortemente differenziati”.
Antonino Borzì, Nino per gli amici,
sposato con la signora Adriana e due
figli, quarantanni compiuti è funzionario al Comune di Aci Bonaccorsi,
ma in aspettativa per la carica di sindaco di Nicolosi a tempo pieno; in
politica da giovane democristiano
ventenne, ha svolto ininterrottamente
la carica di consigliere comunale, essendo stato presidente del civico consesso dal 97 al 2001. Dalle ceneri della Democrazia cristiana confluisce
nella Margherita ed oggi gode di una
maggioranza in consiglio interamente
di centro, ovvero ha l’appoggio di
consiglieri del MPA, UDC, Margherita e Italia dei Valori. Dopo dieci anni
di sindacatura Moschetto. Turi Moschetto, il sindaco delle famosa eruzione dell’Etna del 2001 e che la stessa ha visto litigare scienziati come
Barberi, allora responsabile della Protezione civile nazionale, ed il professore Boschi, sul fatto di mancati interventi di preallertamento per la prevenzione dai rischi e dai danni provocati dal vulcano Etna, e l’impegno
dell’onorevole Nello Musumeci, allora presidente della massima istituzione provinciale, nel pensare ad una ricostruzione immediata delle strutture
viarie e ricettive, travolte dalla lava,
la cui operazione venne chiamata
“Emergenza Etna 2001”. Ricordiamo
lo sbigottimento del vulcanologo Romolo Romano che seguendo l’evolversi dell’eruzione, diceva: “In quarantanni non ho mai visto l’Etna così
arrabbiata! E chiaramente si riferiva
all’attività stromboliana del vulcano
più alto d’Europa. Ma per la cronaca,
l’Etna in quel frangente aprì delle pagine nere sui rapporti sociali con gli
italiani nordisti. Qualcuno ricorderà
bene quelle frasi scritte sui muri delle
città del Nord come “Forza Etna, vedrai che ce la fai, adesso Vesuvio
pensaci anche tu!”. Ma i siciliani hanno risposto in modo diverso e proprio
quando ci fu l’alluvione in Piemonte
ed il Po straripò, i volontari di gruppi
di sommozzatori etnei partirono subito ed andarono a sturare i canali ottu-
Il sindaco di Nicolosi Nino Borzì
rati da pietrame, rami e fango, per far
defluire le acque e liberare molta gente in pericolo di vita.
Sindaco, buon pomeriggio, il nostro giornale sta realizzando un
tour di interviste nel cosiddetto
comprensorio etneo e aspettando
lei, ci è capitato fra le mani il suo
programma elettorale risalente allo
scorso mese di maggio, quando sono avvenute le elezioni amministrative. Lei sa benissimo che Nicolosi
Italia” di 220 anni fa. La mia cittadina merita di ridiventare un luogo di
soggiorno prolungato che offre proposte e servizi adeguati e desidero
fortemente portare avanti un progetto
che accomuni un patto tra i vari Enti
regionali, provinciali e locali che trattano il turismo, per arrivare in modo
sinergico alla realizzazione di un distretto turistico, di cui Nicolosi diventi Comune capofila.
Ma Nicolosi negli anni 50, 60 e 70
cio voluta allora dall’Amministrazione provinciale di Musumeci ha trasformato radicalmente l’area dei Pini,
riducendo la frequenza a pochissimi
adulti e aumentando solo quella giovanile. Comunque è in programma un
progetto di recupero turistico vacanziero e non quello cosiddetto “Mordi
e fuggi”. Cercheremo di valorizzare
gli impianti sportivi esistenti per migliorare la loro fruibilità, nell’area dei
Monti Rossi – Cittadella dello sport e
della musica. Ci siamo attivati nell’
organizzare una serie di serate di intrattenimento con fondi comunali;
con 36 mila euro abbiamo organizzato l’estate 2007.
Ma proprio questo è un turismo
“Mordi e fuggi”!
A Nicolosi ed in tutto il territorio
comunale abbiamo due tipi di turismo, il primo che riguarda Nicolosi
Nord (l’Etna) ed è quello mordi e
fuggi, perché i pacchetti turistici prevedono escursioni a tempo, solo di
poche ore, sia di inverno che d’estate;
secondo il turismo stanziale che dura
poco, 2-3 giorni al massimo nei nostri
alberghi, tra luglio ed agosto e viene
registrato normalmente il pienone per
una copertura massima di 800 posti
letto. Il programma politico amministrativo intende proporre per l’appunto una variante più consistente per
evitare i brevi soggiorni ed i vuoti
stagionali, cioè ampliare le offerte in
periodi meno richiesti come aprile,
maggio, settembre e ottobre.
Un esempio di attrazione?
Il grandioso evento in cui stiamo
lavorando “Vulcanica lavori in corso”
ed “Etna e il vulcano attivo” con il
Recupero del turismo diverso dal “mordi e fuggi”,
valorizzazione degli impianti sportivi esistenti,
rilancio degli incontri culturali
dovrebbe essere il primo centro turistico vacanziero dell’intera provincia Etnea. A parte il fatto che
anche qui vi sono tanti residenti
pendolari, ma Nicolosi ha una propria identità che non può essere minimamente trascurata, quella di
porta dell’Etna.
L’obiettivo primario della mia amministrazione è proprio quello di fare
di Nicolosi il punto di partenza per
arrivare sull’Etna, come avveniva così con gli ospiti illustri che fin dalla
seconda metà del 18° secolo si susseguirono a Nicolosi, uno per tutti Goethe come si legge nel suo “Viaggio in
era una realtà vacanziera, d’estate
le case di via Padovano e dintorni si
popolavano di catanesi che trascorrevano le vacanze con le famiglie.
Si è vero tutto ciò. In molti venivano a Nicolosi, affittavano le casette,
si trasferivano con le famiglie, magari
di mattina scendevano alla plaia di
Catania per prendere il bagno, poi
tornavano a godersi la bell’aria di
questi luoghi e gustarsi la frescura
delle pinete circostanti, andare a giocare ai tamburelli nel pomeriggio e la
sera a frequentare la balera che stava
ai “Pini”; purtroppo questi due ultimi
siti non esistono più, la pista di ghiac-
premio internazionale di vulcanologia; gemellaggi con altri Paesi che vivono la vicinanza di un vulcano.
I rapporti con il Parco dell’Etna?
I rapporti di collaborazione con
l’ente Parco in precedenza sono stati
molto ostili, adesso si è instaurato
una buona intesa e si punta su progetti interessanti come la realizzazione
di nuovi percorsi naturalistici, la stessa sede del Parco è diventata meta turistica per la presenza di una banca di
un “Germo plasma”, cioè la possibilità di preservare la flora autoctona dell’Etna.
I nicolositi come vivono?
L’agricoltura va a ridimensionarsi,
tanto è vero che i contadini vanno a
scomparire e di contro aumenta il terziario turistico, un’altra piccola fetta
del territorio potrà essere definita zona dormitorio, cioè dei pendolari che
risiedono a Nicolosi, ma che lavorano
a Catania e dintorni, ma la fetta più
grossa dei cittadini è gente che risiede
e che lavora a Nicolosi; comunque oltre al turismo, sta prendendo piede il
commercio dei prodotti tipici locali;
poi esiste anche un centro artigianale
dove trovano sede 9 imprese con un
patrimonio di risorse umane di circa
50 unità e poi c’è un padiglione espositivo nel quale è stata realizzata la
scuola di ceramizzazione della pietra
lavica.
Adesso parliamo dei prossimi
cinque anni.
Beh! I programmi della mia amministrazione, in primis partono con la
cura e lo sviluppo turistico e da ciò
derivano tante cose, come la realizzazione del centro Studi di vulcanologia, poi per la crescita della popolazione dobbiamo pensare alle scuole,
alla cittadella dello sport e della musica, la ristrutturazione del piano regolatore, questo problema pone dei
vincoli di scadenza, a ottobre prossimo si dovrà pensare alla rimodulazione dello strumento urbanistico e alla
realizzazione del piano particolareggiato del centro storico.
E poi la patata bollente delle tasse
locali Tia e Ici; la nascita degli Ato
coincide con i problemi economici
dei Comuni ed in particolare a Nicolosi ci troviamo in una situazione di
vera crisi, visto che le anticipazioni
fatte negli anni 2004 e 2005 all’Ato
ammontano a circa 900 mila euro. Le
risultanze, oggi, ci portano ad un aumento di ben oltre il 50 per cento della Tia e ad un conseguente peggioramento del servizio. L’Ici per fortuna
negli ultimi anni è stata mantenuta
costante e cioè del 5,50 per la prima
casa e 6,50 per la seconda casa, mentre negli ultimi mesi della scorsa legislatura, il consiglio comunale ha
deliberato l’aumento dell’addizionale
Irpef portandola all’aliquota massima
consentita.
La sicurezza?
Nicolosi non ha registrato incursioni delinquenziali di rilievo come nei
Comuni vicini, in termini di rapine e
furti, ma più che altro si sono registrati diversi atti di vandalismo.
E quindi si è pensato di adottare un
progetto per la realizzazione del telecontrollo delle opera pubbliche più
importanti, in modo da tutelare il patrimonio pubblico e conseguentemente monitorare anche strade e piazze
per garantire una certa sicurezza ai
cittadini.
LA VOCE DELL’ISOLA
8
15-28 Settembre 2007
Campagna delle primarie del Partito Democratico con tre candidati in corsa
Il pallido Enrico Letta
e la corsa ad handicap
di MARCO MATURANO *
E
ccoci alla partenza ufficiale
della campagna delle primarie
del Partito Democratico e tre
candidati in corsa sono quelli davvero. Le posizioni che sondaggi e media
fotografano oggi non danno dubbi. La
corsa la tira l'irraggiungibile sindaco
di Roma, lo marca ad uomo (ma senza fargli sentire il fiato sul collo)
Rosy Bindi e, dietro la pasionaria, ma
con uno stile di corsa da lord inglese,
ecco Enrico Letta. Già Enrico Letta,
il giovane (per la media italiana) talento che corre in nome e cognome
degli anni '80, del ricambio generazionale e, diciamolo, anche della sua
responsabilità di governo come sottosegretario di quel Romano Prodi che
oggi tutti sembrano schivare. Ma come sta affrontando la competizione il
giovane Enrico?
La risposta forse si sposa con la sua
posizione di gara in questo momento.
Ovvero, una corsa senza grandi accelerazioni e con qualche parziale curva
sul rettilineo. Una corsa che sta al
momento a metà tra la corsa per testimonianza e quella vera. Una corsa
che per far sì che cambi almeno la
posizione rispetto alla Bindi dovrà di
certo variare schemi e ritmi, schemi e
ritmi che valorizzino le potenzialità
di Letta davvero.
Il primo punto problematico, non riparabile, della scesa in campo del
Sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio è stato sicuramente quello
dei tempi di scelta. Il tempo ideale sarebbe stato senza dubbio appena dopo
il ritiro di Bersani e prima della scelta
della Bindi. Il lieve ritardo ha tolto a
Letta, infatti, la possibilità di rappresentarsi sin dall'inizio comunque come la vera alternativa a Veltroni. Posizione che ad oggi ha occupato davvero la Bindi.
Il secondo punto che caratterizza la
campagna di Letta è la personalità.
Bisogna riconoscere che, rispetto all'immagine più compassata che normalmente dà di se, è riuscito a lanciare qualche segnale di una maggiore
naturalezza, segnali che sono per lui
un valore aggiunto. Segnali che, tuttavia, potrebbe sfruttare ancora meglio, rendendo ancora più evidente la
differenza anagrafica proprio attraverso il modo di affrontare la politica
e la gente.
Il terzo elemento è proprio la questione generazionale. Fino ad oggi, inclusa la riuscitissima tre giorni di VeDrò
svoltasi qualche settimana fa e con
cui Letta da tre anni porta avanti l'idea della costruzione degli scenari
della nuova classe dirigente, il tema
del ricambio generazionale è stato al
centro della sua campagna delle primarie. Ovviamente le icone degli anni '80 e lo stile della campagna sono
un aiuto in questa direzione, che però
necessita anche di proposte da giovane classe dirigente, proprio sul modello di quelle prodotte a VeDrò. Altrimenti la sensazione fino ad oggi è
quella della dichiarazione di intenti.
Quarto punto è quello del ritmo e dell'aggressività della campagna. Fino
ad oggi, a partire dal lancio della candidatura su internet per continuare
con le posizioni assunte e con la pressione gentile sui media, la campagna
di Letta è una campagna da gentleman. Con il limite che mai fino ad
oggi questa scelta ha dettato l'agenda
alle primarie e soprattutto ai suoi due
principali concorrenti. E' il punto sul
quale Letta dovrà lavorare di più, pur
nel rispetto di una campagna che non
dovrebbe essere di demonizzazione
degli avversari.
A sinistra: Walter Veltroni e Rosy Bindi. Sopra: Enrico Letta
I sondaggi e i media fotografano
una situazione senza dubbi:
la corsa la tira il sindaco di Roma
Quinto e ultimo punto il pubblico che
si è scelto Letta. Dalla prima apparizione con il video su internet la direzione è sembrata essere quella di una
campagna pensata su un pubblico alto
(per cultura e collocazione politica) e
prevalentemente interessato alla questione generazionale. Il seguito, però,
non ha sempre dato un'idea di coeren-
za rispetto a questa direzione ed è
mancato il collante tra le correzioni di
rotta. Esempio ne sono il sostegno di
Califano e Casadei, mixato con l'inno
dei Nomadi.
Per quanto poco contino queste cose,
come le playlist di Veltroni e gli appelli del mondo dello spettacolo a suo
favore o contro (De Gregori), l'idea
del mettere insieme in corsa cose diverse può permettersela più il natural
born winner Veltroni dello sfidante
che rischia di più Letta.
Il tempo non manca e insieme non è
tantissimo perché Letta scelga se ritiene che funzioni la sua corsa o no.
Certo che il suo evento di Piacenza a
un mese dal voto delle primarie do-
vrebbe essere il punto di arrivo di
questa scelta e non di partenza perché
la gara possa dare a Letta il risultato
che davvero desidera. Il tempo del
Vedremo diciamo che è già alle sue
spalle.
*Presidente di GM&P
Dirigente di Giornalismo Politico
IULM
Sarkozy ha segnato un goal
Italia Campione del mondo, Francia alla conquista del Mediterraneo
di FRANCO LOMBARDO
N
ella precedente edizione,nell’inserto speciale, è stato raffigurato il Presidente francese con il cappello di Napoleone Bonaparte, simbolica immagine di un uomo alla conquista dell’Europa. Ma cosa è cambiato da allora
ad oggi? Probabilmente poco! A quel tempo tante
potenti nazioni ed imperi divisi territorialmente
ma uniti per contrastare la prorompente forza militare francese, oggi tanti stati democratici uniti
per una Europa governata da interessi economici
e finanziari comuni per mantenere e rafforzare la
centralità del territorio contro i blocchi contrapposti dell’est e dell’ovest. Dal 1956 ad oggi, sicuramente si sono fatti passi da gigante, nella sostanza
l’unica vera “ forza “ che unisce ( e non sempre )
questi stati è la moneta unica poiché per il resto
c’è ancora molta strada da fare.
La fallimentare politica americana degli ultimi
anni ha creato non pochi problemi al sistema europeo, che deve difendersi non solo dall’egemonia statunitense, ma deve guardare con la lente di
ingrandimento gli sviluppi del medio-oriente, le
strane mosse di Putin in una Russia che potrebbe
tornare ad autoreferenziarsi ricreando un neo
blocco dell’Est europeo( va ricordato che la Russia è forse la Regione più ricca al mondo di risorse naturali e territoriali ) ma ancora di più all’India ed alla Cina. Tutto passa dall’Europa ed in
particolare dal Mediterraneo, il mare nostrum che
di nostro ha ben poco considerata l’inefficienza
politica dei governi italiani.
Qualche tempo fa, un nostro Presidente della
Regione, oggi purtroppo nel mondo dei più, ebbe
Il premier francese Nicolas Sarkozy
la forza di iniziare un serio lavoro di contatti e
collegamenti tra la Sicilia ed i Paesi del Mediterraneo valutando tale manovra come essenziale per
la centralità della nostra terra e di tutto il continente peninsulare; poi solo chiacchere ed il libero
scambio del 2010 ( 2012 ? ) appare ancora lonta-
no. Sicuramente la staticità politica ed economica
dell’Europa non può durare ancora per molto, ed
ecco che si affaccia sulle sponde del Mediterraneo
questo nuovo Napoleone ( Sarkozy, anche lui non
molto alto ) con propositi di conquiste non militari ( non potrebbe ) ma egemoniche dal punto di
vista commerciale e politico. Per fare ciò deve
prima ristrutturare il sistema interno della nazione
che non è immune ai problemi socio-politici del
momento, per poi dedicarsi alla conquista estera.
E’ un uomo intelligente e pratico, e se non si fa
prendere la mano dalla solita arroganza e prosopopea francese ( anche gli inglesi non scherzano
in tal senso ) può iniziare un vero percorso innovativo per la Francia e forse per tutto il Mediterraneo.
Mette in pratica il suo progetto chiamando al
capezzale del malato Europa un luminare delle
scienze politiche-economiche: il prof. Monti, docente alla Bocconi di Milano, uomo di punta nella
comunità europea, libero pensatore, grande economista, fedele al liberismo e non al liberalismo.
Cosa si vuole di più ? Sicuramente l’Italiano
Monti, saprà portare avanti il suo ruolo con dedizione e grande professionalità, come tanti altri
cervelli italiani all’estero, ma ancora una volta c’è
da chiedersi: perché la politica italiana di destra o
di sinistra non lo ha mai impegnato seriamente?
Forse perché troppo serio, troppo professionista o
forse perché un uomo del genere avrebbe veramente dato fastidio al massimalismo di sinistra
oppure ad un pseudo riformismo di centro o di
destra ? Intanto aspettiamo di vedere cosa farà il
novello Napoleone in groppa al Suo bianco destriero.
SPECIALE
di Salvo Barbagallo
G
li accadimenti che caratterizzano la vita di un
Paese possono essere descritti in vario modo: o raccontando i fatti, riportandoli fedelmente dopo averli acquisiti da
fonti certe, oppure interpretando
i fatti, con l'obiettivo di accertare
le cause che i fatti hanno determinato. Nell'uno e nell'altro caso
la ricerca dovrebbe essere obiettiva, cioè non strumentale, né di
parte, poiché, in caso contrario,
si offrirebbe un insieme, un pac-
chetto preconfezionato di luoghi
comuni lontani dalla realtà o, comunque, mistificatore della realtà. Parlare della Sicilia e di ciò
che in Sicilia è accaduto dagli
anni che vanno dal fascismo ai
giorni nostri (o quasi) può essere
lavoro facile se si vogliono ripercorrere i luoghi comuni; diventa
già opera più complessa voler riportare i fatti asetticamente, con
animo cronacistico; impresa ardua voler penetrare nei meandri
delle cause che i fatti hanno pro-
vocato. Noi intendiamo dare una
chiave di lettura ai fatti che possono essere stati all’origine dei
fatti stessi, ipotizzando un teorema: il “teorema siciliano”.
(Segue nelle pagine successive)
LA VOCE DELL’ISOLA
LA VOCE DELL’ISOLA
15-28 Settembre 2007
15-28 Settembre 2007
Una chiave di lettura per capire avvenimenti dalle origini a tutt’oggi ignote
L’associazionismo
come forma
di mutuo soccorso
Stato, Chiesa, Massoneria segreta
Onorata società e Mafia
I
l teorema siciliano parte dall’ipotesi che in un determinato periodo
storico uomini appartenenti a
quattro “aggregazioni” di natura diametralmente diversa, Stato (nel senso
delle Istituzioni, più propriamente
degli uomini che hanno costituito il
corpo delle Istituzioni, politici compresi), Chiesa (partecipazione di
esponenti dell’Alto clero, di strutture
finanziarie del Vaticano, di appartenenti all’Opus Dei), Massoneria (in
quanti hanno mantenuto la loro adesione in forma segreta e occulta) e
Mafia, si siano trovati in accordo per
raggiungere precisi obiettivi, mirati
inizialmente, ma molto genericamente, agli interessi della collettività (nazionale e internazionale) e poi sfociati, praticamente e concretamente, in
interessi di potere di raggruppamento
(in senso assoluto). In merito a questo teorema Stato, Massoneria, Chiesa e Mafia quale perno sul quale ipoteticamente hanno ruotato gli avvenimenti che hanno costituito le fondamenta dell’edificio della nuova Sicilia autonomistica e di gran parte della
struttura dello Stato italiano, intendiamo ricordare che i tempi e le situazioni in cui gli appartenenti a queste aggregazioni hanno agito negli
anni che hanno preceduto lo sbarco
anglo-americano in Sicilia, nel 1943,
erano ben diversi dagli attuali: coinvolgevano Paesi diversi, e la valenza
dei personaggi stessi era ben lontana,
a tutti i livelli, da quella dei discen-
C
denti che ne hanno assunto, direttamente o indirettamente, l’eredità.
Probabilmente le stesse intenzioni
(leggasi motivazioni) che hanno spinto protagonisti di natura, ceto e cultura diverse a percorrere una stessa
strada, potevano essere condivisibili
(leggasi Machiavelli “il fine giustifica i mezzi”) in quei periodi e inserite
in quel determinato e particolare contesto storico. È chiaro che protagonisti e loro azioni riletti a distanza, nel
Terzo Millennio, e viste le conseguenze che hanno provocato, assumono connotazioni che oggi non solo
non possono essere condivise, ma soprattutto non possono essere comprese nella loro reale dimensione. Il teorema enunciato, pertanto e a nostro
avviso, può essere utilizzato solo come chiave di lettura per capire connessioni altrimenti difficili da individuare, e usato mantenendo la massima cautela nell’esprimere un giudizio
di merito, per evitare il rischio di cadere nei luoghi comuni che per tanti
decenni sono stati spacciati per verità
assolute. Inoltre, gli elementi del teorema Stato, Chiesa, Massoneria e
Mafia di quegli anni non sono certo
quelli che la pubblicistica – più o meno di comodo – nel corso di oltre un
cinquantennio, ha divulgato o tenuti
segreti, alimentando, strumentalmente o involontariamente, una ignoranza sicuramente utile a quanti hanno
voluto mantenere uno stato di conoscenza molto nebulosa.
esercitato in prima persona da chi lo detiene, costituiscono i principali fattori dai quali si snoda il processo di attivazione degli
interessi che trovano nel territorio-Sicilia il
luogo ideale di sedimentazione e il laboratorio sperimentale per le pianificazioni economiche e politiche che vengono applicate
solo in minima parte localmente, ma che
vengono proiettate altrove, dove, appunto,
gli interessi principali convergono.
È difficoltoso ricomporre il mosaico degli accadimenti che hanno caratterizzato la
vita della Sicilia nell'ultimo secolo, tenuto
conto anche che agli scenari socio-politicoeconomico-militari si sono intercalati continui adattamenti nelle linee strategiche tracciate da coloro che sono stati protagonisti
(spesso non noti) dei fatti stessi. Non è possibile andare alla ricerca di fonti documentali; non è possibile attingere a memorie
storiche in quanto, ovviamente, gli stessi
protagonisti hanno provveduto e provvedono (quelli ancora in vita) a coprire le loro
azioni passate. Insufficienti, dunque, i punti
di riferimento certi. Essendo, però, identificati i pochi elementi - la ricchezza, il potere
- che stanno alla base dei variegati intrecci,
si può delineare la struttura del mosaico,
pur se mancano molti tasselli; si può ricostruire il puzzle della storia siciliana strettamente connessa a quella dell’Italia e di diversi Paesi europei ed extraeuropei, almeno
in riferimento agli ultimi sessanta anni.
Come premessa all'analisi sulla centralità
della Sicilia, nella sua storia e nella sua
prospettiva, sono i ruoli ricoperti da alcune
nazioni (principalmente Gran Bretagna e
Stati Uniti d'America) e da alcune aggregazioni umane (Mafia, Massoneria, Chiesa,
Servizi segreti, Politica) nell'indirizzo che è
stato dato, a vario titolo, agli episodi che
hanno caratterizzato gli ultimi anni del Secondo conflitto mondiale nell'isola, che
hanno costituito la base della realtà odier-
hiesa, Mafia, Massoneria, Politica, Mondo economico. L'associazionismo è stato costantemente un
fattore determinante nella vita della Sicilia, costituendo, nelle varie forme in cui si è manifestato, elemento fondamentale di sopravvivenza, di mutuo soccorso, di
autodifesa, di distinzione di classe.
L'associazionismo, dunque, forte legame, in determinati casi indissolubile, fra quanti accettano un vincolo reciproco basato su specifici interessi. Quali che siano. Anche per una particolare
predisposizione naturale dell'Uomo Siciliano, l'associazionismo
segreto, o riservato, o
discriminatorio, ha
avuto modo di radicarsi sia nel tessuto sociale delle classi dominanti, sia nei ceti medi
e nei ceti meno abbienti che, di riflesso,
hanno cercato formule
di aggregazione imitative, o formule di aggregazione in opposizione
Le radici della Massoneria in Sicilia si
perdono nel tempo e
sicuramente possono
considerarsi antecedenti alla stessa Cristianità, se si tengono nel debito conto le trasformazioni che la Chiesa si
vide costretta ad operare (feste dedicate a Santi) per fare
fronte alle cosiddette ritualità pagane, con l'obiettivo di
non perdere i favori e il seguito popolari e di acquisire
fedeli sotto l'ombrello della religione.
Le radici della Massoneria in Sicilia, pertanto, vanno
ricercate negli antichi riti trasmessi dai vicini Paesi del
Mediterraneo (vedi l'Egitto, e il rito di "Memphis e Misraim", sino ad oggi attivo), piuttosto che nell'Illuminismo europeo che ebbe funzione determinante quale "catalizzatore" di una materia non ancora codificata in una
moderna funzionalità associativa finalizzata a scopi sociali e politici.
Nell'Ottocento la Massoneria siciliana diventava
espressione di una classe che intendeva mantenere il segreto sulle proprie attività: così come i Liberi Muratori
europei rimanevano
padroni dei misteri, si
trasformava facilmente in associazione segreta che si contrapponeva al potere dominante, trasformandosi
ulteriormente, a sua
volta, in potere.
Dall'altra parte, l'Onorata Società, nata
dall'esigenza di coprire
il vuoto lasciato dallo
Stato, si manifestava
come espressione di
equilibrio e di giustizia in una società dove, appunto, lo Stato
non esercitava la sua
funzione, finendo con
l'assimilare il sistema
strutturale-organizzativo della Massoneria quale società
segreta. Storicamente, ai primi dell'Ottocento, l'area di
formazione del modello dell'Onorata Società era su base
estremamente settaria, così come lo era la Massoneria;
nel secondo Ottocento l'Onorata Società al settarismo
aggiungeva il mutuo soccorso, così come avveniva nella
Massoneria.
Onorata Società e Massoneria trovavano, pertanto,
momenti di incontro, momenti di alleanza. I territori dove questo reciproco travaso è stato più accentuato (e dove in diverse istanze esiste ancora) Trapani, Palermo,
Caltanissetta, Enna.
La trasformazione dell'Onorata Società in Mafia-soggetto di arricchimento economico con metodi violenti e
di sopraffazione, non poteva non influire sui continui
adattamenti del modo d'essere della Massoneria nei territori della Sicilia occidentale.
La Mafia diventa, così, una ramificata associazione a
fini criminali, riferendosi al sistema organizzativo piramidale tipico della Massoneria.
La Mafia, insomma, prende a mutuare i propri modelli
in maniera funzionale agli obiettivi che intende raggiungere, adattandosi al mutare dei tempi e dei luoghi con
tutta una serie di caratterizzazioni culturali specifiche degli uomini di comando che ne costituiscono il vertice, e
della qualità degli uomini e dei mezzi che ha a disposizione. La Mafia è, a questo punto, una organizzazione
criminale organizzata, saldamente strutturata, che si avvale nel tempo di rapporti con ogni tipo di potere (pubblico, economico, sociale) per svolgere le proprie attività. La Massoneria della Sicilia occidentale, presa a modello dall'Onorata Società, in vari comparti, subisce la
trasformazione di quell'aggregazione in Mafia, organizzazione di sfruttamento che sta al passo con i tempi.
Non c'è dunque da stupirsi di trovare (ieri, come presumibilmente anche oggi) in un gruppo massonico (ieri
nella sola Sicilia occidentale, oggi presumibilmente sul
piano nazionale e internazionale) personaggi (nel mondo
pubblico o privato) di un certo rilievo che realizzano insieme con i cosiddetti mafiosi un livello di collaborazione che può avere riflessi politici o economico-affaristici.
Il Caso Sindona è un esempio emblematico.
In questo quadro nessuno può escludere (come hanno
dimostrato gli scandali dell'ultimo trentennio) che in determinati momenti personalità del mondo politico o imprenditoriale con origini massoniche, possono essere stati (o sono) organiche all'interno di operazioni di natura
squisitamente mafiosa.
Ciò si è verificato quando tra la Mafia e potere politico-economico-massonico si è avuta (e si può avere) una
sostanziale coincidenza di finalità riguardanti, soprattutto, la gestione di interessi comuni.
Da tenere nel giusto conto che gli elementi alla base
della progressiva integrazione tra Massoneria e Mafia,
sotto la compiacente copertura quantomeno di una parte
della Chiesa, hanno avuto ragioni specifiche proprio negli anni del Secondo conflitto mondiale, con una forte
accelerazione nel periodo antecedente allo sbarco alleato
in Sicilia, per consolidarsi alla fine della guerra e articolarsi (come già rilevato) in precisi patteggiamenti, sfociati ufficialmente nel compromesso della concessione
alla Sicilia dello Statuto Speciale Autonomistico, ma che
possono benissimo sottindendere altri tipi di accordi.
Le radici della libera
muratoria in Sicilia
si perdono nel tempo
e sicuramente possono
considerarsi antecedenti
alla stessa Cristianità
Don Calogero Vizzini
Ruolo determinante della Sicilia
in riferimento agli scenari internazionali
N
on è azzardato affermare che la Sicilia ha avuto, in qualsiasi tempo,
un ruolo importante e spesso determinante non solo nella vita del Paese, ma
anche in riferimento allo scenario internazionale. La posizione geografica dell'isola estremamente strategica da un punto di vista degli scambi commerciali e come avamposto militare - ha fatto sì che la Sicilia diventasse crocevia di interessi variegati che
hanno costantemente travalicato i confini
nazionali, ma che sempre nel territorio regionale hanno trovato la loro ragione d'essere. È per questi motivi che personaggi siciliani hanno ottenuto e detenuto un potere
economico, politico e criminale che è riuscito a condizionare lo sviluppo e il futuro
della regione ed a provocare particolari
scelte di indirizzo politico sia sul piano nazionale che nei rapporti internazionali. In
poche parole, la Sicilia ha avuto costantemente una sua particolare centralità negli
avvenimenti più incisivi della storia italiana, dell'Europa, dei Paesi del Mediterraneo
e, spesso, dei Paesi d’Oltre Oceano. Centralità accentuatasi maggiormente nel corso
dell'ultimo secolo; centralità che la Sicilia
continua a mantenere al di là di quanto possa trasparire, al di là delle apparenti condizioni di sudditanza al potere politico ed
economico centrale, al di là del diffuso malessere delle classi meno abbienti. La ricchezza è accentrata nelle mani di una circoscritta classe dominante che rifugge dall'apparire. Questa classe dominante, nel corso
dell'ultimo mezzo secolo, ha raffinato le
sue strategie, creando rapporti imperscrutabili con il mondo finanziario, politico (a
volte anche con quello criminale) nazionale
e internazionale. A supporto di tale classe
dominante, una serie di sub categorie e di
forme di associazionismo trasversali non
sempre identificabili. L'accumulo della ricchezza, l'esercizio del potere quasi mai
11
na. Ciò che è accaduto, infatti, dal 1940 sino allo sbarco degli Alleati in Sicilia, all’occupazione dell’isola (luglio 1943), fino
ai primi anni dell’autonomia dell’Isola, è
stato rilevante: ha visto in prima linea personaggi che hanno agito in nome e per conto degli Stati Uniti, dell'Inghilterra, della
Mafia, della Massoneria, della Chiesa.
È in quegli anni che questi personaggi
hanno costruito la ricchezza e il potere che,
poi, hanno condizionato nei decenni successivi non solamente il futuro della Sicilia,
ma anche molti degli assetti socio-politicoeconomici dell'Italia, influenzando e, a volte, determinando le stesse strategie dei governi in ambito nazionale, europeo e, spesso, nell'ambito di alcuni Paesi del Mediterraneo.
È un periodo estremamente complesso ed
articolato, quello che va dagli Anni Quaranta sino alla conclusione del conflitto
mondiale, poiché in quei 5 anni si stabilirono accordi e patti scelleratiindissolubili
(quali i personaggi che agirono? quale la
dimensione e la sostanza dei patti?) che sarebbero dovuti durare 50 anni, e che non riguardavano soltanto il futuro della Sicilia,
ma anche quello dell'Italia e degli equilibri
che si sarebbero dovuti stabilire nello scacchiere del Mediterraneo.
È sufficiente ricordare che la Sicilia venne liberata nel luglio del 1943, quando le
sorti della guerra non erano ancora certe;
che l'Italia venne liberata nell'estate del
1945 e che l'Italia divenne Repubblica nel
1946 per potere superficialmente capire
quali enormi interessi vennero giocati in Sicilia proprio in quella manciata di anni.
Comprensibile, da parte di coloro che condussero gli eventi, la necessità di cancellare
ogni traccia del loro operato. Comprensibile, soprattutto, la necessità di fare in modo
che venisse soppressa, a tutti i livelli, la
memoria storica.
SPECIALE
SPECIALE
10
SPECIALE
LA VOCE DELL’ISOLA
12
15-28 Settembre 2007
Costante la presenza di politici siciliani nel Governo nazionale
Dai “patti scellerati”
privilegi e potere per pochi
E
state 1943-Sicilia liberata,
1945 fine della guerra. L'amministrazione della Sicilia "liberata", da parte degli alleati anglo
statunitensi nasce come frutto di
una mediazione del contrasto tra la
Gran Bretagna (che vuol governare
da sola la Sicilia per porre una opzione sulla futura egemonia nel bacino del Mediterraneo) e gli Stati
Uniti (il cui governo riceve pressioni dall'importante componente italo-americana) che premono per una
gestione diretta e completa dell'Isola, consapevoli che l'occupazione
dell'Italia avrebbe presentato difficoltà e che la conclusione del conflitto ancora era lontana. Un compromesso non facile, che comunque
viene raggiunto, con la sottoscrizione di patti della durata cinquantennale (ipotesi: “x” numero di ministeri in ogni governo nazionale a
personaggi siciliani; “x” provvidenze per la Sicilia programmate nella
“canalizzazione” di finanziamenti e
sussidi mirati,, Sicilia che deve restare - in ogni modo - regione non
industrializzata, ma regione "consumatrice" di prodotti del nord; “x”
privilegi per la classe dominante in
Sicilia, eccetera).
La maggior parte dei sottoscrittori di quei patti oggi sono scomparsi
per morte naturale (oppure no), e
ciò che abbiamo affermato intendiamo considerarlo una ipotesi di approfondimento. Continuando. All'approssimarsi della scadenza dei
50 anni della durata degli accordi,
gli equilibri nati dal compromesso
incominciarono a rompersi: i nuovi
patti ancora oggi non riescono ad
essere sottoscritti, gli equilibri, pertanto, stentano a consolidarsi. Oggi
è già domani, e la Sicilia aspetta ancora il suo futuro.
Utile ricordare che la Sicilia ha
ottenuto uno Statuto Autonomistico
Speciale ancor prima della Costituzione italiana: uno Statuto che non
è mai stato applicato, e che, se fosse
stato applicato nelle sue normative,
avrebbe potuto cambiare le sorti
dell’Isola. Non è superfluo chiedere
il perché della mancata applicazione di uno Statuto simile.
Il "Teorema Siciliano" non ha ragione d’essere, nella misura in cui
non può essere documentalmente
dimostrato, ma le ipotesi tracciate
probabilmente costituiscono una
realtà che non necessita di “interpretazioni”, ma di ricerca di riscontri oggettivi.
Dal 1942 a oggi tanti e tanti fatti,
caratterizzati da profondi chiaroscuri, si sono aggiunti nella telenovela
della storia isolana: appaiono tutti
come fotocopie di episodi precedentemente accaduti. Agli omicidi
di Mafia si sono aggiunti altri omicidi: dal dopoguerra cancellati 540
nomi, noti e meno noti, fra i quali i
giudici Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino, vittime di una logica
che poco ha di umano. Un rosario
di morte. Nel contempo il macrofenomeno di tangentopoli non ha risparmiato la Sicilia; poi i grandi
processi agli insospettabili (leggasi
Andreotti o Contrada o Mannino) e
a centinaia di affiliati alle cosche;
gli arresti spettacolari dei Capi riconosciuti della mafia (leggasi Totò
Riina o Benedetto Santapaola, Provenzano).
La Sicilia ha cambiato volto nel
giro di qualche decennio, nel Terzo
Millennio appare come un’altra terra, se è vero, come è vero (i dati statistici lo dimostrano), che il turismo
internazionale ne fa una meta ambi-
Mattei (al centro della foto) e gli impianti del petrolio siciliano
ta. Ma nulla nello scenario conosciuto muta, anche se Don Luigi
Ciotti si mobilita unitamente alla
società civile, ai sindacati e ai sindaci di tutta Italia (a Gela il 23 marzo 2004) raccogliendo quindicimila
manifestanti per “La giornata della
memoria e dell’impegno in ricordo
delle vittime della mafia”, per denunciare ancora le nuove infiltrazioni criminali negli appalti pubblici e il lavoro nero come piaga che
non si riesce ad evitare.
Indubbiamente qualcosa è cambiato: già a metà degli Anni Novanta nelle grandi città (da Palermo a
può essere elemento fuorviante nella conoscenza della realtà odierna.
Non esiste più, infatti, la classificazione dei livelli criminali così come
in precedenza era conosciuta l’organizzazione: nell’epoca della globalizzazione, e con le nuove generazioni discendenti dalle famiglie mafiose, si deve parlare in termini di
network internazionali di affari illeciti attraverso società lecite che
operano in nome e per conto del crimine. Continuare a sostenere che è
in Sicilia il cuore di questo mondo,
che resta impenetrabile, è limitare e
circoscrivere, e non solo territorial-
Forse i nuovi accordi non
sono ancora stati ratificati.
Gli eredi, forse, non
all’altezza di chi in passato
ha imposto compromessi
ed equilibri instabili
Catania) il numero degli omicidi è
drasticamente calato, la Sicilia non
è più attenzionata dalla stampa nazionale quale regione con il maggior numero di morti ammazzati, il
primato si sposta in altre regioni al
di là dello Stretto di Messina. In verità resta il luogo comune che continua a classificare le attività delinquenziali con il termine Mafia, termine che, a nostro avviso, non corrisponde da tempo allo stato delle
cose: le mutazioni del fenomeno sono talmente evidenti, che chiamare
ancora Mafia il potere criminale,
mente, la questione. Quel che ci
proponiamo, in queste ultime battute, con appena due esempi, è sottolineare la ripetitività con cadenza
periodica dei fatti e le apparenti
contraddizioni dei fatti stessi che si
verificano da un decennio (o più)
all’altro.
Così se di separatismo non si parla per un certo tempo, ecco che inevitabilmente torna alla ribalta: i giochi dei misteri si aprono e si chiudono con estrema velocità. Nel dicembre del 1992 il sociologo Pino
Arlacchi – ancor prima di tutta una
seria di rivelazioni su questo argomento fornite l’anno dopo da pentiti
ritenuti attendibili – sosteneva che il
progetto del separatismo mafioso
esiste. Le considerazioni di Arlacchi
scaturivano da dati raccolti: i boss
mafiosi avendo un’età media di cinquanta/sessant’anni, avendo accumulato fortune difficilmente spendibili senza l’individuazione da parte
degli investigatori, e avendo alle
spalle condanne anche all’ergastolo,
hanno necessità di un sito tranquillo
dove poter trascorrere in serenità il
resto della loro esistenza. Una Sicilia indipendente, con un suo governo facilmente soggetto alle influenze malavitose, da questo punto di
vista è l’ideale. L’altro fattore, quello economico: la prospettiva di una
Sicilia definitivamente staccata dall’Italia, con una posizione geografica veramente invidiabile, può costituire un paradiso fiscale nel Mediterraneo, centro di smistamento da
sempre di traffici illeciti internazionali. Secondo l’opinione di Pino Arlacchi un progetto siffatto verrebbe
favorito e vedrebbe l’appoggio di
imprenditori e uomini d’affari spregiudicati, oltrechè di politici a caccia di nuove fortune. Se si guarda
all’immediato futuro, si può notare
che l’ipotesi avanzata da Arlacchi
non è tanto peregrina: nel 2010 il
Mediterraneo diventerà area di libero scambio, mentre le pressioni della Lega per un’Italia federata si fanno sempre più insistenti. Dall’altra
parte, in Sicilia, all’Assemblea Regionale, è in discussione la modifica dello Statuto autonomistico che
non è mai stato applicato....
Il petrolio siciliano era uno dei
sogni più ricorrenti di Mattei: per
anni e anni non è mai stato ritenuto
dai governanti siciliani una possibile risorsa per cambiare le sorti della
Sicilia. Di un petrolio per il futuro
non si parlava da tempo, così come
è stato per il Tungsteno dei Nebrodi
completamente dimenticato, quan-
do, all’improvviso, ecco, dal 22
marzo 2004, che c’è un via libera a
nuove trivelle. Il quotidiano La Sicilia così descrive l’evento: La Regione ha messo nero su bianco, assieme con i petrolieri, sui disciplinari e decreti idrocarburi che daranno il via alla ricerca e all’estrazione
sul territorio siciliano.
Le società Sarcis, Edison e Panther (compagnia texana) sono le prime ad esplorare il sottosuolo isolano per la ricerca di gas e oli in questa nuova era di liberalizzazione del
settore. Il governo Cuffaro dà così
una svolta in un comparto che, per
decenni, ha visto il monopolio dell’Eni detenuto con la stessa Regione
attraverso la Sarcis (90 per cento
Regione, 10 %per cento Eni), e che
oggi ha visto già pronti anche i texani a mettere in moto le trivelle.
L’americano Jim Smitherman, nel
corso della conferenza di presentazione dell’evento, a Palermo, ha affermato: “Panther Resources e io, in
qualità di presidente della società,
abbiamo il piacere di iniziare la
caccia: l’esplorazione in Sicilia. La
Sicilia è un potenziale enorme ancora non esplorato”. Così è stato.
Ed è stata la parte orientale dell’isola, per il momento, la più interessata a questi progetti. In dettaglio:
le concessioni riguardano l’estrazione dell’idrocarburo, i permessi la ricerca dell’idrocarburo. Le prime riguardano la zona di Saperi dove la
Sarcis opererà in una estensione di
69,20 chilomentri quadrati, con un
investimento di 50.096.319,21 euro;
sempre la Sarcis trivellerà a Case
Squillaci su un territorio di 52,50
chilometri quadrati con un investimento di 18.592.448,36 euro. Seguono i progetti di ricerca, che vedono la Panther scandagliare il Fiume Tellaro, 746,937 chilometri quadrati di territorio con un investimento di 43.400.000 di euro; la
Edison effettuerà la ricerca nella zona di Paternò, 743,80 chilometri
quadrati, investendo 5.500.266,00
di euro. Altre istanze di Compagnie
petrolifere sono al vaglio della Regione.
Un interrogativo è lecito: quali i
meccanismi che muovono le costanti di una sconcertante ripetitività di avvenimenti? Troppo lungo
l’elenco degli uomini abbattuti sulla
strada di un auspicato progresso
della Sicilia. Troppi fatti inquietanti
si sono verificati, troppe trame al
cui centro c’è la Sicilia. La trasformazione in atto sul territorio – dalla
presa di coscienza della gente, alla
produttività dell’imprenditoria che
sembra essersi svegliata da un lungo sonno - necessita di analisi accurate per essere sorretta e indirizzata
verso uno sviluppo che sia coerente
con lo stesso ambiente e per non generare facili avventurismi.
C’è il fantasma della mafia inafferrabile; c’è la mafia non certamente vinta che muta sembianze,
che si fa gli affari suoi che si avvale
degli strumenti che ritiene più opportuni, servendosi di tutti quei mediatori che sono disponibili nella
società. Ci sono gli interessi internazionali trasversali delle grandi
lobby economiche che, al pari della
mafia, sanno farsi gli affari propri,
utilizzando, a loro volta, strumenti e
mediatori disponibili. C’è il potere
dell’informazione, e chi lo detiene
sa farne uso. La Sicilia resta sempre
terra di conquista. C’è, infine, il cittadino rimasto senza punti di riferimento, che non crede più neanche
nel primato della politica.
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L’INTERVISTA
LA VOCE DELL’ISOLA
15-28 Settembre 2007
A colloquio con Giovanni Pellizzeri, candidato sindaco alle prossime elezioni del 2008
Passa per Mascali
il futuro di Mascali
di ENZO LOMBARDO
Q
uella del sette scorso settembre è una fresca e piacevole
serata della fine di un’estate
che ricorderemo tutti come politicamente e climaticamente torrida. A
Nunziata di Mascali, presso il noto
locale “Ore Felici Park”, c’è la serata
di presentazione ed inaugurazione del
comitato elettorale del candidato a
sindaco di Mascali Giovanni Pellizzeri. Onestamente pensavo, quando il
direttore mi ha mandato a “sentire”
gli umori di questa serata per raccontarli a voi lettori, che sarebbe stata la
solita solfa di strette di mano e sorrisi
di complicità conditi da proclami roboanti e da qualche tartina strappata
ad un rachitico buffet.
Mi sbagliavo. Arrivato “in loco” ho
trovato molte persone serene che discutevano, prima del canonico discorso di apertura, delle problematiche
della loro città, Mascali, con toni misurati ma fermi e con la convinzione
che solo con l’impegno diretto di ciascuno sia possibile migliorare la situazione socio-economica del proprio
territorio.
Ma una cosa è degna di nota: la
grande presenza di giovani in un momento in cui la politica, specie quella
locale, ha perso il suo fascino trainante per le nuove generazioni. Sicuramente il messaggio di forte autonomia che Pellizzeri vorrà dare alla sua
comunità avrà convinto i ragazzi che
la primavera può di nuovo seguire all’inverno.
Diversi erano gli esponenti presenti
del Movimento Per l’Autonomia dell’onorevole Raffaele Lombardo, tra i
quali il Ssenatore Giovanni Pistorio,
componente della Commissione Parlamentare Antimafia, legato da antica
amicizia a Pellizzeri, come d’altra
parte lo stesso attuale Presidente della
Provincia Regionale di Catania. Per
quanto riguarda le tartine d’ordinanza
mi sbagliavo altrettanto, Pellizzeri mi
ha concesso l’intervista a cena, voleva mettermi al tappeto ma ho resistito.
Prima di iniziare a fare sul serio
vuol dirci chi è Giovanni Pellizzeri?
E’ la persona che ha di fronte (sorride), nulla di più. Una delle poche
cose che mi piace di me stesso è di
essere quello che sono per tutti, senza
secondi fini o trasformazioni di circostanza. Naturalmente questo vale anche per lei..
Quindi, a parte la sua monoliticità, cosa vorrebbe raccontare di sé?
Sopra: il palazzo comunale di Mascali e il candidato a sindaco Giovanni Pellizzeri
Sono nato a Mascali nel settembre
del 1961 e qui vivo da sempre. Lavoro part-time per l’ASL 3 e faccio
l’imprenditore. Sono sposato con Maria Concetta (la indica con un sorriso) che mi ha dato due figli meravigliosi, Mario e Tito. La politica è una
vecchia passione che coltivo sin da
ragazzo perché sono convinto che
l’occuparsi delle problematiche co-
dire, vista anche la mia esperienza
nel campo dell’economia reale, che le
soluzioni per riportare la città al suo
glorioso passato sono qui, tra di noi
(indica tutti i canditati con un’ampia
rotazione orizzontale del braccio),
nelle nostre teste, nelle nostre esperienze, nelle nostre intelligenze. Mascali ha bisogno di persone che vengono dal quotidiano lavoro negli uffi-
e territoriale perpetratosi negli anni’80. In quel tempo si è fatto di tutto
fino a fare sciogliere il Consiglio Comunale e far dichiarare il dissesto finanziario del Comune stesso. E’ stato
un momento terribile ed ancora ne
paghiamo, tutti, le conseguenze. Ciò
che mi preoccupa maggiormente e la
mancanza di reddito, in termini generali,che penalizza gli investimenti e lo
“Occuparsi delle problematiche comuni è
importante anche per migliorare se stessi”
muni sia importante anche per migliorare se stessi.
Tutto qui?
Il resto deve chiedermelo lei, altrimenti che intervista è?
Ok, vuol farmi guadagnare la cena. Mi direbbe allora cosa la spinge
a candidarsi alla guida della sua
città?
Essendo mascalese da sempre conosco la realtà locale e credo di poter
ci, nelle fabbriche, nelle amministrazioni pubbliche, nel commercio, dalle
terre, dentro le famiglie. Voglio spendermi per la mia città, perché penso
che la politica di professione non sia
più utile per risolvere i problemi delle
comunità locali, di questa comunità.
Significa che lei vorrebbe essere
un sindaco contro “il palazzo”?
Un sindaco non può essere “contro”. Il sindaco è colui che ha l’onore
e l’onere di governare tutta la città
insieme e con il contributo di tutta
l’amministrazione. Mi riferisco, invece, al fatto che chi viene dal quotidiano non può arrivare dentro la casa
comunale pensando che diventi la
“propria” dimora e sicumera per il
futuro. Chi, per passione politica,
sottrae tempo alla propria famiglia
ed ai propri interessi personali, di
svago o professionali che siano, fa in
modo che il “palazzo”, come lo chiama lei, sia di tutti ed anzi esce spesso
da quel palazzo per andare a cercare
fondi ed opere pubbliche per migliorare il benessere della comunità tutta.
Cosa direbbe della Mascali di oggi che si appresta a rinnovare i suoi
massimi organi istituzionali per i
prossimi cinque anni?
Se spera che per farmi bello davanti a dei potenziali elettori parli male
della mia città si sbaglia di grosso. Io
amo Mascali ed è per questo che vorrei sempre, in termini assoluti, che
fosse migliore. Tuttavia non posso negare che oggi la città viva dei problemi legati allo sfascio amministrativo
sviluppo del territorio.
E quale sarebbe la sua ricetta in
proposito?
In un’azienda, in una famiglia, in
un club o in qualsivoglia contesto che
preveda un “bilancio” e la gestione
di fondi comuni, la chiave del successo e della crescita sta nel reddito che
quel sodalizio è capace di produrre.
Il Comune di Mascali, come tutte le
pubbliche amministrazioni d’altra
parte, non può essere esente da questa logica. Se i cittadini e le aziende
di Mascali non possono aumentare le
prospettive dei propri redditi presenti
e futuri, la città non avrà sufficiente
ricchezza per investire e dipenderà
dalla “carità” delle amministrazioni
superiori. Non è questo quello che
immagino per il futuro. Migliorare il
proprio reddito significa migliorare il
proprio futuro ed essere più liberi e
più autonomi. Questo vale per i singoli ma vale anche per i gruppi sociali. Io mi batterò per portare crescita e sviluppo a Mascali, ma non con
l’effimero, ma creando i presupposti
per un ritorno alla produzione.
Poco fa lei ha duramente condannato la politica mascalese degli anni ‘80. Chi sono stati, a suo parere,
i responsabili del “dissesto”?
Ho già detto poc’anzi che non mi
interessa, per mia natura, essere contro qualcuno in particolare. Quello
che io ho voluto e, confermo, voglio
condannare è un atteggiamento di
tutto un modo, spero che ormai lo
possa definire vecchio, di fare politi-
ca considerando la casa, il territorio
ed il bilancio comuni come trofei da
conquistare e spartire all’interno di
una casta chiusa e circostanziata. Ripeto invece che una squadra di amministratori sereni e provenienti dal
mondo del “quotidiano” avrà tutto
l’interesse a gestire la cosa comune
non secondo gli scopi di una casta
che vive di politica ma secondo l’ottica di un gruppo che intende migliorare la vita della comunità in cui vive. I
mascalesi debbono vivere di progresso non di tattica politica. Vorrei aggiungere che se è successo quel che è
successo la colpa è principalmente di
chi, pur potendo mettere in campo la
propria esperienza e la propria capacità, si è disinteressato della sua città
delegando ad altri la gestione della
vita comune. E’ stato un errore e credo che non sia più tempo di deleghe
in bianco.
Non le sembra una risposta un
po’ diplomatica?
Mi sembra solo la mia risposta
(sorride). Vorrei dire che ognuno di
noi risponde delle proprie azioni di
fronte alla propria coscienza e di
fronte alle istituzioni, non certo di
fronte a me. Posso garantirle che la
mia non sarà una campagna elettorale che spargerà veleni o volgarità
contro i singoli. A me, e spero a tutti i
mascalesi, interessa soltanto che certi
errori non si ripetano e si che si
guardi con fiducia al futuro. Una politica che non sa far guardare al futuro è morta prima di nascere.
Ci sono molti giovani stasera...
Per prima cosa non sono troppo
vecchio nemmeno io (ridiamo insieme
di cuore). Se molti giovani sentono il
richiamo dell’autonomia e dell’attenzione verso la propria terra non posso che esserne felice. Sarà una frase
fatta ma è vera quanto la vita: i giovani sono il futuro.
Solo un’ultima cosa. Se non dovesse vincere la sua sfida cosa farebbe?
Farò quello che farei se vincessi.
E sarebbe?
Lavorerò come ho sempre fatto e
mi godrò la mia famiglia.
Potrei fare qualche domanda a
sua moglie?
Guardi che le si è freddato il cibo…
LA VOCE DELL’ISOLA
15
15-28 Settembre 2007
A Lentini gran festa finale per il sesto campo estivo giovanile
Bulli, pupazzi e spighe
per educare alla legalità
L
a festa finale del 6° campo estivo di educazione alla legalità e
alla cittadinanza “Bulli pupazzi
e spighe” è cominciata di pomeriggio,
con la visita ai terreni confiscati in
contrada Cuccumella, a Lentini, sotto
un sole ancora caldo e si è conclusa a
tarda sera nel cortile del 4° istituto
comprensivo. Un evento eccezionale
alla presenza di centinaia e centinaia
di bambini, di ragazzi, di giovani, di
genitori, di autorità civili e militari.
Ospite graditissimo don Luigi Ciotti,
presidente nazionale dell’associazione Libera. Un lungo e coloratissimo
corteo preceduto dallo striscione con
la scritta “Progetto Libera Terra
Leontinoi – Casa nostra fattoria della
legalità”. Per la prima volta, a circa
sette anni dalla confisca dei beni al
boss Sebastiano Nardo, la città calpesta quei terreni che, messi a coltura
nel mese di dicembre, hanno già permesso un bel raccolto di spighe di
grano biologico.
Quelle spighe sono già un messaggio di speranza. Dalle terre dove si
organizzava la violenza e il crimine è
già spuntato un simbolo della vita.
Ora l’Amministrazione comunale
aspetta il finanziamento del progetto
“Casa nostra fattoria della legalità”,
inviato al PON Sicurezza Sud, per fare nascere un’azienda produttiva in
grado di dare occupazione ai giovani
in cerca di lavoro. “Bisogna fare in
fretta – ha dichiarato don Ciotti -, non
è più possibile tollerare che i beni
confiscati alla mafia non riescano subito ad essere utilizzati socialmente
così come prevede la legge 109 del
’96. Questo progetto come altri progetti non possono avere anni di attesa, perché in questo modo si fa un favore alle mafie. Noi questa sera da
qui, da Lentini, da questo campo, dalla riflessione fatta con i vostri ragazzi, dalla visita in Contrada Cuccumella, dove ci auguriamo che al più presto sorga la fattoria “Casa nostra”,
gridiamo, e lo facciamo attraverso i
canali di cui siamo capaci, affinché
chi di dovere ci ascolti, gridiamo la
necessità di fare in fretta. Però non
chiediamo allo Stato di fare la sua
parte, se noi non facciamo la nostra
parte. La rivolta deve cominciare da
dentro di noi. L’Italia deve svegliarsi
rispetto a questo. Non basta indignarsi, dobbiamo provare disgusto: 2660
morti ammazzati dalle mafie negli ultimi dieci anni sono una guerra che
chiede pace”.
Da sei anni il 4° istituto comprensivo “G.Marconi” di Lentini organizza
nella scuola un campo ponendo l’accento sui temi più importanti di educazione alla legalità e ai diritti e ai
doveri di cittadinanza. “Bulli pupazzi
e… spighe” ha riproposto i due principali temi affrontati negli anni precedenti: il bullismo, diventato oramai
problema nazionale, e il progetto di
riutilizzo sociale dei beni confiscati
alla mafia a Lentini. “Io credo che se
c’è un pregio grande in questa scuola
– ha detto don Luigi Ciotti – è che
non ha mai rincorso la cronaca, ma ha
costruito un pezzo di storia. Sono
troppi quelli che rincorrono la cronaca e propongono dei momenti, dei
convegni, dei percorsi legati alla cronaca.
La dimostrazione di ciò che dico è
che questa scuola ha sollevato il problema del bullismo sei anni fa, affrontando nel modo giusto la complessità delle questioni che poneva
questo problema sociale, coinvolgendo innanzitutto quelli che facevano
più fatica ed erano più inquieti e, insieme, gli altri ragazzi. E poi le famiglie e la città. “Sbulla la città” si chia-
La parola
di don Luigi Ciotti
per centinaia
di ragazzi e
genitori sui terreni
confiscati
alla criminalità
mava significativamente il primo
campo estivo”. Rivolgendosi, poi, al
sindaco di Lentini, Alfio Mangiameli,
nel suo intervento alla festa del campo don Luigi Ciotti ha continuato: “E
lo dico signor sindaco con grande sincerità – non ho mai speso parole fuori
misura – ma quando emergono dei
dati così positivi come questa esperienza concreta di Lentini è giusto
che si sappia che questi ragazzi, questi insegnanti, questo dirigente scolastico hanno costruito un pezzo di storia in Italia.
E lo dice uno che di scuole ne vede
tante, ma proprio tante, al nord, al
centro, al sud del nostro paese. E siate orgogliosi – molte volte noi ci
piangiamo addosso, ci lamentiamo,
mettiamo in evidenza le cose negative –, cogliete il valore della positività
di questo percorso, perché il ritrovarci il 28 di agosto nel cuore di un estate con una scuola che è stata aperta
ancora una volta per offrire delle opportunità, degli stimoli e un sano protagonismo ai vostri ragazzi di fasce di
età completamente diverse, è un fatto
veramente eccezionale di cui la città
può essere orgogliosa.
Lo so che ci sono altre scuole, ma
qui si è partiti anni fa e si è costruito
un percorso e la scuola dimostra di
avere un’anima con i messaggi dei
suoi ragazzi.” Rivolgendosi infine al
dirigente scolastico, Armando Rossitto, don Ciotti ha concluso: “ … e soprattutto, tu, con i tuoi insegnanti,
con gli animatori, hai saputo testimoniare questo: la costanza, la concretezza. Ed io piccolo, piccolo – perché
ti senti sempre piccolo rispetto all’immensità dei problemi, ti senti fragile, ma senti anche il valore e la ricchezza di quando si costruisce con
quel “noi”, senti che è possibile, è
possibile voltare pagina in Italia”.
Il sindaco Alfio Mangiameli ha ringraziato don Ciotti a conclusione del
campo per avere acceso con la sua
presenza a Lentini un faro sulla città
e sulla sua voglia di riscatto e di legalità.
Armando Rossitto, nella sua doppia
veste di dirigente scolastico e di assessore alla legalità e alla cittadinanza ci ha dichiarato: “La mia gratitudine nei confronti di tutti coloro che
aiutano la scuola nel suo difficile
compito di educazione e formazione
delle giovani generazioni è immensa.
I ragazzi, gli insegnanti, gli animatori, i genitori sono stati splendidi.
Stiamo facendo un lavoro prezioso
costruendo legami fortissimi con il
territorio e la città, ricordando alle altre istituzioni di fare la loro parte, di
non arrendersi mai di fronte alle illegalità e alla violenza.
Il caso ha voluto che io oggi sia anche l’assessore che ha scritto ed in-
viato al ministero competente il Progetto “Casa nostra, fattoria della legalità, che è stato presentato questa sera
dai tecnici del Comune ing. Zagami e
dall’architetto Castro.
La città, rappresentata da questa
Amministrazione comunale, ha fatto,
perciò, finalmente la sua parte. Ora è
giusto gridare – come diceva don
Ciotti- il nostro diritto ad avere restituito dalle mafie il maltolto”.
La disinformazione la paga il contribuente
Farmacie e scontrino parlante
di MIRCO ARCANGELI
L
a Finanziaria 2007 (L.296 del 27/12/2006
art. 1 comma 28) è intervenuta in merito alla
detraibilità delle spese mediche. In particolare ha stabilito nuove condizioni perché le spese
relative a medicinali siano detraibili. Si ricorda che
la detrazione d’imposta relativa alle spese mediche
consiste nel 19% delle spese rimaste a carico con
una franchigia di euro 129,11. (Ad esempio su
1.129,00 euro di spese mediche il risparmio è di
190,00 euro). Con la citata Finanziaria, dal 1° luglio 2007 la detrazione relativa alle spese di medicinali è condizionata al possesso o della fattura, o
del cosiddetto “scontrino parlante”, contenente natura, qualità, quantità dei prodotti acquistati, ed an-
che il codice fiscale del contribuente. L’Agenzia
delle Entrate, tenuto conto delle difficoltà tecniche
di adeguamento dei farmacisti, con il Comunicato
Stampa del 28 giugno 2007 ha prorogato l’obbligo
del rilascio dello scontrino parlante al 1/1/2008 se
sostituito da autocertificazione rilasciata dai farmacisti contenente quanto previsto nella Finanziaria.
In sostanza al posto dello scontrino fiscale contenente natura, qualità, quantità dei prodotti acquistati e codice fiscale del contribuente, il farmacista
potrà rilasciare un documento con timbro e firma
del farmacista contenente natura, qualità, quantità
dei prodotti acquistati e codice fiscale del contribuente. Tale documento potrà sicuramente essere
costituito dalla ricetta dei medicinali integrata con
gli elementi di cui sopra con timbro e firma del
farmacista o in mancanza da apposito documento.
L’emissione del documento dovrà essere contestuale all’emissione dello scontrino fiscale.
Da una indagine effettuata in questi due mesi
trascorsi risulta che ben pochi farmacisti adottano
tali procedure, rilasciando scontrini fiscali di tipo
tradizionale, dichiarando “con troppa superficialità” che l’obbligo dello scontrino parlante è stato
rinviato al 1° gennaio 2008.
Facciamo quindi attenzione poiché in mancanza
di idonea documentazione lo scontrino rilasciato,
se di tipo tradizionale, non potrà essere decurtato
dalle prossima dichiarazione dei redditi, ed il 19%
di detrazione d’imposta è sempre un’opportunità
che dispiace perdere per pura disinformazione.
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ACCADDE DOMANI
LA VOCE DELL’ISOLA
15-28 Settembre 2007
Giorno per giorno le ricorrenze più salienti
Per non disperdere
la nostra memoria
15 settembre
Nel 1993 viene barbaramente ucciso, a Palermo, Don
Pino Puglisi sacerdote attivo contro la criminalità organizzata
Nati:
Oliver Stone (regista, 1946), Fausto Coppi (ciclista,
1919), Agatha Christie (scrittrice, 1890)
Morti:
Oriana Fallaci (scrittrice, 2006), Nino Martoglio (regista, 1921), Joseph Plateau (fisico, 1883)
Si festeggia:
Santa Caterina da Genova
16 settembre
Nel 1904 si celebra, in Italia, il primo sciopero generale nazionale provocato dalla strage dei minatori sardi provocata dai Carabinieri il 4 settembre.
Nati:
Roy Paci (musicista, 1969), Salvatore Todaro (militare, 1908), Michail Kutuzov (generale russo, 1745)
Morti:
Mauro De Mauro (giornalista, 1970), Giuseppe Albeggiani (matematico, 1892), Cecco d'Ascoli (poeta,
1327)
Si festeggia:
In Messico si festeggia l'indipendenza nazionale
17 settembre
Nel 1394 il Re di Francia, Carlo VI, ordina l'espulsione di tutti gli ebrei dal territorio del suo regno.
Nati:
Reinhold Messner (alpinista, 1944), Anne Bancroft
(attrice, 1931), Saverio Marcadante (musicista, 1795)
Morti:
Karl Popper (filosofo, 1994), Gino Lucetti (rivoluzionario, 1943), Roberto Bellarmino (cardinale, 1621)
Si festeggia:
San Satiro
18 settembre
Nel 1851 il celebre quotidiano americano New York
Times inizia le sue pubblicazioni
Nati:
Marco Masini (cantautore, 1964), Mariangela Melato
(attrice, 1941), Jean Focault (fisico, 1819)
Morti:
Jimi Hendrix (chitarrista, 1970), Herbert von Bismarck (politico tedesco, 1904), Pietro Carrera (scac-
chista, 1647)
Si festeggia:
Santa Sofia
19 settembre
Nel 1356 a Poitiers l'esercito inglese sconfigge quello
francese.
Nati:
Giorgio Lucenti (calciatore, 1975), Carlo Fruttero
(scrittore, 1926), Giuseppe Saragat (presidente della
repubblica, 1898)
Morti:
Italo Calvino (scrittore, 1985), Roberto Ardigò (filosofo, 1921), James Garfield (politico Usa, 1881)
Si festeggia:
San Gennaro
20 settembre
Nel 2004 gli Usa revocano l'embargo contro la Libia
del colonnello Gheddafi.
Nati:
Sofia Loren (attrice, 1934), Salvatore Correnti (matematico, 1899), Nazario Sauro (patriota, 1880)
Morti:
Gherman Titov (astronauta russo, 2000), Fiorello La
Guardia (politico Usa, 1947), Pierre Méchain (astronomo, 1804)
Si festeggia:
Santa Candida
21 settembre
Nel 1990, a 38 anni, viene assassinato dalla mafia il
giudice Rosario Livatino
Nati:
Ivano Fossati (cantautore, 1951), Stephen King (scrittore, 1947), Cesare Musatti (psicologo, 1897)
Morti:
Clara Calamai (attrice, 1998), Walter Scott (scrittore,
1832), Girolamo Cardano (matematico, 1576)
Si festeggia:
Le Nazioni Unite (Onu) festeggiano la giornata mondiale della pace.
22 settembre
Nel 1792 in Francia viene proclamata la Repubblica.
Nati:
Giuseppe Saronni (ciclista, 1957), Michelangelo Abbado (musicista, 1900), Anna d'Austria (regina di
Francia, 1601)
Morti:
Enrico Bompiani (matematico, 1975), Sam Wood (regista, 1949), Alain Fourneir (scrittore, 1914)
Si festeggia:
La religione ebraica festeggia Rosh haShana
23 settembre
Nel 1846 Le Verrier ed Adams scoprono il pianeta
Nettuno.
Nati:
Julio Iglesias (cantante, 1943), Giuseppe De Nava
(politico, 1858), Carlo Allioni (botanico, 1728)
Morti:
Pablo Neruda (poeta, 1973), San Pio da Pietralcina
(monaco, 1968), Vincenzo Bellini (compositore,
1835)
Si festeggia:
In Giappone ricorre la festa nazionale
24 settembre
Nel 1961, per la prima volta, compare il personaggio
Disney del Prof. Pico de Paperis.
Nati:
Antonio Tabucchi (scrittore, 1943), Giuseppe Musolino (brigante, 1876), John Marshall (politico Usa,
1755)
Morti:
Angelo Bianchi (geologo, 1970), Aleksandr Radiscev
(scrittore, 1802), Cristoforo Landino (unmanista,
1498)
Si festeggia:
San Prospero
25 settembre
Nel 1555 viene firmata la Pace di Augusta che mette
fine ad uno dei primi conflitti su scala continentale in
Europa. Viene sancito per la prima volta il principio
del cuius regio eius religio.
Nati:
Niccolò Ammaniti (scrittore, 1966), Christopher Reeve (attore, 1952), Silvana Pampanini (attrice, 1925)
Morti:
Cesare Terranova (magistrato, 1979), Vitaliano Brancati (scrittore, 1954), Gian Battista Brocchi (geologo,
1826)
Si festeggia:
Sant'Aurelia
26 settembre
Nel 1789 Thomas Jefferson viene nominato primo segretario di stato statunitense.
Nati:
Enzo Bearzot (allenatore di calcio, 1927), Achille
Compagnoni (alpinista, 1914), Gianfrancesco Malfatti
(matematico, 1731)
Morti:
Luigi Gedda (medico e politico, 2000), Alberto Moravia (scrittore, 1990), Ugo Agostoni (ciclista, 1941)
Si festeggia:
Santi Cosma e Damiano
27 settembre
Nel 1964 furono pubblicati i lavori della commissione
d'inchiesta Warren la quale stabilì che Lee Oswald
aveva da solo assassinato il presidente J.F.Kennedy
Nati:
Claudio Gentile (calciatore, 1953), Alessandro Pavolini (giornalista, 1903), Grazia Deledda (scrittrice,
1871)
Morti:
Leo Longanesi (giornalista, 1957), Piero Calamandrei
(giornalista e politico, 1956), Braxton Bragg (generale
confederato, 1876)
Si festeggia:
Giornata mondiale del turismo
28 settembre
Nel 1066 il normanno Guglielmo il Conquistatore invade l'Inghilterra.
Nati:
Aldo Baglio (comico, 1958), Pietro Badoglio (militare
e politico, 1871), Georges Clemenceau (politico francese, 1841)
Morti:
Edwin Hubble (astronomo, 1953), Louis Pasteur (chimico, 1895), Herman Melville (scrittore, 1891)
Si festeggia:
Sant'Alessandro di Antiochia
Il 16 settembre ricorre il 99° anniversario della nascita dell'eroe militare Salvatore Todaro
Il Don Chisciotte del mare
di ENZO LOMBARDO
S
alvatore Todaro nacque a Messina il 16 settembre del 1908 ed il 18 ottobre del 1923, a
soli quindici anni, venne ammesso all’Accademia Navale di Livorno. Nel 1927 fu promosso al grado di Guardiamarina che rappresenta il
primo cammino della scala gerarchica degli ufficiali della Marina Militare. Nel 1928 gli vennero
conferiti i gradi di Sottotenente di Vascello e venne destinato all’arsenale di Taranto per frequentare i corsi di osservazione aerea. L’anno successivo gli vennero affidate le prime missioni operative sia su unità di superficie che su unità subacquee. A venticinque anni, nel 1933, si sposò e tre
anni dopo, nel 1936, Todaro venne destinato alla
146ª Squadriglia Idrovolanti e l’anno successivo
partecipò alla Guerra Civile spagnola imbarcato
su un sommergibile. Nel 1940 ottenne il grado di
Capitano di Corvetta entrando così nel novero
degli ufficiali superiori della Regia Marina. Poco
prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale gli venne affidato il comando del sommergibile “Luciano Manara” della classe Bandiera
sul quale però stette poco, poichè immediatamente assegnato al comando del “Cappellini” (sommergibile di classe Marcello), che sarà l’unità
che lo consegnerà alla storia. E fu proprio al comando del “Cappellini” che lo colse lo scoppio
della guerra. Come molte altre unità subacquee
italiane (ad esempio il celeberrimo “Tazzoli”) il
“Cappellini” fu destinato a Betasom, la base
sommergibilistica italiana di stanza a Bordeaux
sull’ Oceano Atlantico, dalla quale partivano le
missioni per la Battaglia dell’Atlantico che vede-
va le forze sottomarine dell’Asse combattere
contro i convogli (militari e/o logistici) destinati
alle forze alleate in Europa. In quella grande epopea marinara i sommergibili ed i sommergibilisti
italiani scrissero pagine gloriosissime di onore e
capacità militari ed il siciliano comandante Todaro non fu certo uno degli sconosciuti.
La prima volta che lo si ritrova agli onori delle
cronache militari fu in occasione dell’affondamento del “Karbalo”. Quest’ultimo era un piroscafo belga da oltre cinquemila tonnellate che
portava rifornimenti all’esercito inglese avvistato
da Todaro nel pomeriggio del 15 ottobre 1940.
Dopo aver inutilmente lanciato tre siluri contro il
piroscafo Todaro, pur di non farsi scappare la
preda si avvicinò pericolosamente e si mise personalmente al cannone di coperta con il quale affondò il piroscafo. Per chi non fosse addentro alle questioni militari, affondare una nave con il
semplice e debole cannone di un sommergibile in
emersione è un impresa che merita il massimo rispetto possibile. L’affondamento del “Karbalo”
provocò il naufragio di ben 26 marinai e fu in
questa occasione che Todaro iniziò a ricoprirsi di
imperitura gloria. Egli raccolse tutti i naufraghi e
non li lasciò a morire in mezzo all’Oceano. Fatto
ciò allestì una zattera sulla quale caricò i naufraghi e che agganciò al “Cappellini” per poterli
“trainare” fino alla spiaggia più vicina. Questo
atto fu estremamente rischioso perché costrinse il
sommergibile a navigare costantemente in emersione divenendo così preda facile per la caccia
aerea e navale nemica. Ma Todaro se ne infischiò
e corse il rischio pur di salvare quegli uomini che
erano dei suoi nemici. Dopo quattro giorni di
odissea il cavo di traino si spezzò e Todaro fece
allora salire i naufraghi sul sommergibile nutrendoli e trattandoli al pari dei suoi uomini fino a
quando non li sbarcò sull’isola di Capo Verde.
L’ammiraglio Doenitz, capo della marina tedesca e componente della schiera dei fidati di Hitler, definì Todaro il Don Chisciotte del mare pregando i suoi superiori di rimproverare il comandante siciliano che, seppure eroico e valoroso,
scambiava la guerra per una missione umanitaria.
Ma il messinese non sentì i rimproveri e si distinse, anzi, per altre valorosissime prove di coraggio
militare ed umanità. Nel gennaio del 1941 si
svolse la drammatica battaglia di Freetown nelle
acque africane dell’Atlantico prospicenti la Liberia. La nave trasporto truppe inglese “Emmaus”
(oltre 7’000 tonnellate di stazza), entrò in contatto con il “Cappellini” e Todaro non voleva farsi
scappare la preda. La battaglia fu sanguinosa e
molti marinai italiani persero la vita tra cui il fido
ufficiale di Todaro, Stepovich, che macciulato da
un colpo della nave inglese chiese al suo comandante di non essere portato in infermeria ma di
poter morire in coperta abbracciato al cannone
vedendo affondare la nave. Todaro fece promessa
solenne e riuscì a fare inabissare il natante inglese e poi chiuse gli occhi a Stepovich. Mentre il
“Cappellini” tentava di immergersi arrivò un aereo inglese che lo colpì in pieno con due bombe.
Tutta la marina inglese si mise alla caccia di Todaro, ma il comandante, nonostante le perdite tremende ed il sommergibile semi-distrutto riuscì a
tornare a Bordeaux. Ormai era un mito. Ma il suo
amino limpido si era ormai sporcato dal dolore
immenso per la perdita dei suoi marinai e chiese
Salvatore Todaro
di essere trasferito da Bordeaux. Ormai voleva
trovare la morte in mare e per questo chiese, ed
ottenne, di essere assegnato alle missioni più rischiose. Nel novembre del 1941 fu affidato alla
X Flottiglia Mas (reparto dalla gloriosa storia militare) con la quale si distinse e venne decorato
nella Battaglia del Mar Nero a Sebastopoli. Poi,
nel 1942, venne spostato al comando del motopeschereccio armato “Cefalo”, unità di supporto alle incursioni nei porti nemici.
E fu proprio mentre rientrava da una missione
notturna che un caccia Spitfire dell’aviazione inglese bombardò la sua nave colpendolo mortalmente alla testa. Era il 13 dicembre del 1942 e
tutti i suoi marinai, devoti a lui come ad un semidio, gridavano e correvano sulla nave come impazziti per una cosa che mai sarebbe potuta succedere. “Il comandante Todaro è morto” era il
grido unanime che quella notte di dicembre si
udiva tra le onde del Mediterraneo non lontano
dalla sua amata Sicilia. A Salvatore Todaro è stato intitolato uno dei due nuovi sommergibili del
tipo U212 della Marina Militare Italiana che ha
preso servizio nel marzo 2007. In precedenza il
suo nome era stato “donato” ad una corvetta antisommergibile della classe Pietro da Cristofaro in
servizio dal 1966 fino al 1994. Le sue onoreficenze parlano da sole: 1 medaglia d’oro, 3 medaglie d’argento, 1 medaglia di bronzo al valore
militare della Marina Militare e due croci di ferro
della Marina tedesca.
LA VOCE DELL’ISOLA
17
15-28 Settembre 2007
Giornalista, scrittrice e cantante legata profondamente alla sua Sicilia
Il lungo viaggio
di Sara Favarò
di MORENA FANTI
I
mpossibile definire con un solo nome l’arte di Sara Favarò. Sarebbe
come voler precisare e circoscrivere nettamente, la sensibilità di un’anima tanto variegata da spaziare in ogni
angolo del bello e del musicale. Dal
canto alla scrittura, passando alla riscoperta e al racconto delle tradizioni
più vere e profonde di una terra, la sua
amata Sicilia, vista con l’attenzione di
chi non vuole vedere solo gli stereotipi.
Sara cerca di farci conoscere gli
aspetti più profondi di una società dove l’essere è protagonista della propria individualità e dove riscoprire antichi riti e leggende può aiutare ad
uscire da un appiattimento culturale,
inevitabile conseguenza della globalizzazione.
Le nostre radici sono importanti. A
volte sono la base su cui ri-trovare la
nostra anima. E, se alcune anime sanno parlare, quella di Sara Favarò sa
addirittura cantare.
Dalla musica e dal canto è iniziato
questo suo viaggio. Ha pensato fin
dall’inizio che l’avrebbe portata ad
ampliare sempre più la conoscenza
artistica e a spaziare in così tanti
settori?
Ogni espressione artistica è frutto
del bisogno di comunicare emozioni,
impressioni, speranze, angosce, voglia
di donarsi e di ricevere. In una parola: VITA! Vita intesa non come accettazione ineluttabile, ma come voglia
di vivere; consapevolezza dell’armonia del creato, acquisizione di quel
principio che ci rende, singolarmente
ed unicamente, parte fondamentale di
una universalità cosmica dove ogni
evento è sintomo e simbolo al contempo, in un cammino che è crescita, anche se talvolta inconsapevole e non
volutamente preordinata.
È come se ognuno di noi abbia un
compito da espletare, dove la stessa
arte è archetipo di altre forme artistiche.
Stare su un palcoscenico la fa sentire più a contatto con la sua anima
e, per questo, più in sintonia con il
suo pubblico?
Sicuramente. L’arte è sempre scambio di anime.
La scrittura è una forma di comunicazione molto profonda e anche
rivelatrice. Cosa pensa di trasmettere con le sue parole scritte?
Tutte le azioni della nostra vita sono importanti se vissute con quel famoso “cuore” (di tante poesie e canzoni) che fa rima con “amore”, e
quando cuore e amore sono assonanza di sentimenti verso quel “Tutto” di
cui si ha consapevolezza di appartenere, si ha bisogno di farsi “tramite”
di altri vissuti, veicolo di sentimenti.
Spero che le mie parole scritte riescano a mettersi al servizio di questo antico e splendido connubio.
“La mia vita è stata contraddistinta dalla lotta contro i luoghi comuni”, cito da una sua frase. Leggo
in questo come una sorta di ribellione verso chi ci vorrebbe sempre
uguali e senza interessi e passioni
vere. Quanto conta la determinazione per realizzare un buon percorso
artistico?
È assolutamente indispensabile.
Specie quando i luoghi comuni, fervido appannaggio dei mediocri, rischiano di catturare, annientare e ingabbiare la volontà di spiriti liberi.
Nei suoi scritti lei cerca spesso di
dare voce alle donne. Crede che, in
certi ambiti, spero non in quello artistico, ci sia ancora ghettizzazione
nei confronti delle donne?
Ogni espressione artistica
è frutto del bisogno
di comunicare emozioni,
speranze e angosce
Non è semplice rispondere, e non
perché non esista ancora la “ghettizzazione”, ma perché la generalizzazione rischia sempre di ingenerare
confusione e di essere improduttiva. E
se è vero, come è vero, che la donna,
in diversi ambiti è ancora costretta a
subire soprusi ed emarginazione, è altrettanto vero che vi sono ambiti professionali, ma soprattutto, umani dove
la donna si trova in una posizione privilegiata.
Lei è anche giornalista professionista. Quando scrive articoli o interviste usa la stessa penna passionale
che usa ad esempio per le poesie? O
il giornalismo è un modo più asettico, più razionale di fare scrittura?
Sicuramente il giornalismo richiede
un modo più essenziale di fare scrittu-
ra, specialmente se ci si occupa di fatti di cronaca. I miei articoli orbitano,
principalmente, nell’ambito culturale
dove, pur nella necessità di un simile
linguaggio, c’è più spazio per trasmettere, anche “tra le righe”, la propria “passione”, quella stessa che
spinge ad amare la cultura.
So che sta lavorando al suo prossimo libro. Sapendo quanto siano
vari i suoi interessi potrebbe trattare di qualsiasi argomento. Ce ne
può parlare?
Protagonista del mio prossimo libro
è l’Anima e il suo divenire. Ma adesso
mi permetta di farle io una domanda.
Perché non ci risentiamo tra qualche
mese, quando l’avrò finito? Sarà, oltretutto, una bella occasione per risentirci. Vuole?
A colloquio con Berarda Del Vecchio
L’emancipazione femminile
e il gioco dei paradossi
di comunicazione, non è che magari in questa società frenetica, dove bisogna sempre correre, sia passato agli archivi? Nel senso che bisogna fare
di fretta e via? Rendendo tutto più spoetizzato?
draiami. Non è l’invocazione disperata di una vecchia zitella in crisi orIn parte purtroppo è vero. Di recente ho anche letto un articolo in cui si dimonale ma il titolo del nuovo libro di Berarda Del Vecchio.. Dopo il
ceva che il sesso lo si fa più come uno sport per perdere le calorie magari
successo riportato con “L’adorazione del piede”, la scrittrice, romana,
trangugiate a cena che come forma di comunicazione tattile-olfattiva fra due
29 anni, laureata in Lettere, agente di moda, si diverte a provocare, a punzecpersone che si attraggono. Le storie da una notte e via vanno anche bene, per
chiare l’orgoglio e la vanità maschile, a suo parere assopiti o addirittura andacarità, l’importante è che non si arrivi poi al dunque troppo stanchi o ubriati in letargo.
chi da consumare il tutto in pochi minuti. Insomma non si può relegare il sesDonne alla ricerca del punto G perduto. Davvero gli uomini di oggi non soso solo a un semplice dessert, per me resta, e resterà per sempre, il piatto
no all’altezza della situazione? Il macho latino villoso e virile è andato in
principale!
estinzione. L’uomo col tempo si è rammollito, si imbelletta, si fa il lifting, si
Il tuo libro sta riscuotendo grande successo. Qual è
stira le rughe, si incipria, si fa la ceretta e si sparge addosstata, a tuo parere, la molla che ha fatto scattare il
so litri di acqua di colonia. E dove lo mettiamo l’afrore di
passaparola tra i lettori?
selvaggio? Lo sfrigolio di un corpo in calore? L’autrice
Credo che la maggior parte dei lettori sia composta da
gioca con tali paradossi. A una progressiva emancipaziodonne che si sono identificate almeno in una mia disavne femminile corrisponde una regressione maschile. Il
ventura amorosa o in qualche racconto della mia adolemaschio di oggi non sa più corteggiare la donna, non ha
scenza. Il libro è alquanto ironico e cerca di sdrammatizun linguaggio proprio, scimmiotta i divi della TV.
zare il più possibile su vicende che altrimenti sarebbero
Troppo edulcorato, troppo portato per le buone maniedavvero tragiche. Magari chi lo ha letto l’ha visto anche
re. Nostalgia per il camionista coi baffoni e la canottiera
come un piccolo manuale curativo per uscire da una stosudata, unta d’olio col panino ai funghi morsicato mentre
ria andata male e allora lo ha consigliato a qualche amiguidava. La Del Vecchio ci propone un’esilarante riflesca. Per il pubblico maschile non so…magari si sono incusione sul rapporto uomo-donna. La manualistica erotica
riositi di come una ragazza abbia avuto l’ardire di mettefattura in Italia 30 milioni di euro l’anno, pare che il 70%
re in discussione la loro fin troppo osannata virilità.
dei fruitori siano donne. Alberto Castelvecchi ha indiviCi sono nel libro episodi della tua adolescenza, i priduato il filone aurifero.
mi amori, le esperienze della maturità, il tutto condito
I manuali di sesso invadono le librerie, ce n’è per tutti i
da una ventata di freschezza e di gioiosa scrittura.
gusti: sesso estremo, lezioni di preliminari, sesso orale,
Pensi che molte ragazze si identificheranno nel libro?
posizioni da triplo salto mortale; lancio dal lampadario,
E molte signore mature lo leggeranno con nostalgia?
dal treno in corsa. Il kamasutra è diventato roba per eduCome ho detto prima ho ricevuto molti riscontri in tal
cande. Tutti a voler dare lezioni. L’onorevole Vladimir
senso. Le ragazze si autoidentificano e le donne un po’
Luxuria veste i panni dell’insegnante di sesso. In passato,
più mature anche… quello che poi accomuna tutte sono le
per la verità, ci ha provato pure Giuliano Ferrara, con
risate che si fanno leggendo il libro.
scarsi risultati.
I vecchi ruoli si sono perduti, non più il maschio
Le bretelle e il pancione prominente non lo rendevano
SDRAIAMI
conquistatore e la donna che difende le proprie virtù.
molto credibile. Ci aspettiamo ciurme di signore assatanaDI Berarda Del Vecchio
Io parlerei di individui che hanno maggiori capacità di
te, libro della Del Vecchio in mano, all’assalto dei propri
Castelvecchi Editore
approccio e altri meno, indipendentemente dal sesso di
partners per rivendicare i diritti perduti.
pagg.120, euro 10,00
appartenenza. Non è più giusto così?
E il maschio siciliano come reagirà alla provocazione?
Beh! Questo c’è sempre stato. Il don Giovanni e l’imL’uomo erectus per eccellenza, lo strapazzafemmine per
branato come la fatalona e la timidona sono stereotipi
antonomasia, discepolo di Ercole Patti e Vitaliano Branche hanno comunque accompagnato, e accompagneranno, ogni generazione.
cati, capace di ingravidare una donna sul balcone con la sola forza dello
Perciò credo che in realtà quello che manca oggi è il “classico” gioco dei
sguardo, come reagirà alla provocazione della signora Del Vecchio? Nel dubruoli che rende ogni relazione molto più intrigante e divertente.
bio le sconsigliamo di girare in costume per le spiagge siciliane.
Prova a immaginare questa scena: una donna entra in un bar, ordina
Ho incontrato virtualmente Berarda, appena scesa dall’aereo, fresca di riuna grappa e si accende un sigaro; poi nota il bel fusto appoggiato al
torno dalle vacanze in Svezia (niente Sicilia), ha accettato di buon grado di
bancone, lo palpa sul sedere e gli offre da bere. Vuol dire che si è ragfare questa chiacchierata sul suo libro, che sta riscuotendo grande successo ed
giunta finalmente la tanto sospirata parità tra i sessi?
è nelle vetrine di tutte le migliori librerie. È un libro godibilissimo, che traMagari fosse così semplice…purtroppo non è così, se no non si parlerebbe
smette buon umore e sana allegria, letteratura d’evasione ma che tratta temi
di quote rosa, di diversi tipi di stipendio pur con lo stesso ruolo lavorativo, di
importanti quali il rapporto di coppia e la difficoltà tra i due sessi a comunicadiritti negati e via dicendo.
re. Ecco il colloquio:
Credo la strada per la parità fra i sessi sia ancora lunga anche se molte
Berarda, dal tam tam, ai telefonini, a internet. Gli strumenti di comuvolte si crede, ingenuamente, di esserci già arrivati.
nicazione dell’uomo nei secoli si sono evoluti. Anche il sesso è una forma
di SALVO ZAPPULLA
S
18
MISTERI SICILIANI
LA VOCE DELL’ISOLA
LA VOCE DELL’ISOLA
15-28 Settembre 2007
15-28 Settembre 2007
MISTERI SICILIANI
19
Spacciate per verità le “invenzioni” di Pietro Carrera
Una combriccola di falsari
sullo sfondo di una rivolta
di CORRADO RUBINO
I
l 18 settembre di 360 anni fa moriva don Pietro Carrera, dopo essere
stato trasportato dalla sua residenza
catanese all’ospedale di Messina e alla
veneranda età (per quei tempi) di 74
anni. Era l’anno 1647 e a Catania era
in atto una grave rivolta scoppiata il 27
maggio dello stesso anno. Dopo Palermo, trascorsi alcuni giorni, anche Catania era stata teatro di gravi tumulti e i
rivoltosi delle due città divennero i
promotori di una vera e propria “ondata insurrezionale” che, espandendosi a
macchia d’olio in tutta la Sicilia, rivendicava l’abolizione delle gabelle, una
più razionale distribuzione delle risorse
alimentari e il ritorno al demanio di
“casali” feudalizzati per risanare le
casse del vicerè e ripianare così il debito finanziario.
Don Pietro viveva a Catania già dal
1633 e aveva assistito alla privatizzazione dei “casali etnei”. In realtà per il
ceto medio-basso la vendita dei “casali” era stato un duro colpo. Camporotondo, Mascalucia, Misterbianco, Pedara, San Giovanni Galermo, San Giovanni la Punta, San Gregorio, Sant’Agata li vattiati, Trecastagni, Tremestieri, Viagrande (per citare solo i più noti), tra il 1640 e il 1642, erano stati
venduti a privati, affaristi e mercanti
implicati nei traffici finanziari con cui
il viceré cercava di far fronte alle continue richieste di denaro da parte del
governo spagnolo e così Catania si ritrovò amputata delle sue terre migliori
e strozzata nei rifornimenti alimentari.
Qualche anno prima che ciò accadesse il Senato della città aveva commissionato al Carrera un’opera che esaltasse la storia patria e le origini delle famiglie nobili di Catania per ricordare al
viceré spagnolo e al governo che togliere all’aristocrazia locale gli antichi
privilegi sarebbe stata una violenza
perpetrata contro le antiche tradizioni e
consuetudini. Don Pietro Carrera, come vedremo, era un personaggio noto
ed autorevole nell’ambiente dell’aristocrazia catanese; era un erudito sacerdote che, oltre ai suoi molteplici interessi,
aveva anche scritto di storia locale. E
così nel 1639 il prelato diede alle stampe la sua opera storica più nota: il Delle memorie historiche della città di Catania, (il primo volume fu pubblicato
nel ‘39 e il secondo nel ’41). Quest’opera, che ebbe molta diffusione, ha sicuramente contribuito a segnare negativamente l’evoluzione della storiografia
catanese. In origine i volumi dovevano
essere tre ma il terzo, dedicato alle famiglie nobili della città, disse lo storico
Francesco Ferrara, fu bruciato per non
causare liti fra i componenti del Senato
a cui era dedicata l’opera.
Ebbene, anche se la critica degli storici fin dagli inizi del ’900, non fu molto benevola nei suoi confronti bollandolo, assieme ad Ottavio (D’)Arcangelo, Valeriano Di Franchi, Giovan Battista De Grossis e ad altri suoi contemporanei, come falsario, ancora oggi
vengono pubblicati scritti di carattere
storico e archeologico su Catania che
riportano, come verità storico-archeologiche, le “invenzioni” che Pietro Carrera ha contribuito grandemente a veicolare ai posteri.
È chiaro che nella cerchia del mondo
scientifico già da tempo queste “invenzioni” non trovano più seguaci, ma
quando si riuscirà a trovare in libreria
testi divulgativi che non raccontino
più, sulla storia di Catania (e forse anche su quella delle altre città della Sicilia), le solite storielle nate dalla fantasia della “combriccola dei falsari del
‘600” ? Don Pietro Carrera era nato nel
1573 a Militello in Val di Catania, uno
Sopra: ritratto di Pietro Carrera, sotto: S. Maria degli ammalati a Misterbianco
dei centri collinari che chiudono a sud
ovest la piana di Catania. La sua carriera ecclesiastica ebbe inizio con gli studi presso il seminario di Siracusa, dove
fu anche ordinato sacerdote. Fra i poeti
lo ha citato Giovanni Ventimiglia nel
suo De Poetis Siculis, e in quanto storico lo hanno citato Rocco Pirri e Giovan Battista De Grossis. La sua erudizione fu vasta ma disordinata. I suoi
di Petrapezia; si misurò anche con Salvatore Albino detto il Beneventano e, a
suo dire, riuscì a superarlo. Il trattato
del Carrera è teoricamente importante,
ma è sopratutto utile come fonte di notizie sui giocatori del suo tempo. Va da
se, quindi, che don Pietro non era uno
sprovveduto. Divenuto sacerdote fu
nominato cappellano di s. Maria della
Stella in Militello riuscendo ad entrare
Don Francesco Branciforti, a destra il Castello Branciforti a Militello
za, scritto per magnificare l’operato del
“suo” principe.
Ma, già qui a Militello, Carrera cominciò ad intraprendere una strada storico-letteraria che l’avrebbe portato ad
essere unanimemente riconosciuto come “falsario” e seguace di quella che,
nel 1908, Vincenzo Casagrandi, professore di Storia Antica nell’Università di
Catania, definì, in un suo famoso arti-
Ancora oggi vengono pubblicati scritti di carattere
storico-archeologico che erano serviti nel 1640
per mantenere i privilegi di un’aristocrazia
arida e senza scrupoli
scritti spaziarono dalla poesia alla storia locale, dall’antiquaria alla numismatica, dalla botanica alla tecnica
scacchistica. Già! perché forse quello
che non tutti sanno è che don Pietro
Carrera fu anche un notissimo giocatore di scacchi. Durante gli studi sacerdotali visitò molte città siciliane e si
misurò con parecchi scacchisti. Appena
ventiquattrenne, conobbe a Palermo il
campione Paolo Boi detto il siracusano
già vecchio e risale a questo periodo la
sua Pessopedia (pervenuta solo in parte), che era una raccolta di esametri latini sul gioco degli scacchi e sarà da
questo suo lavoro che nel 1617 trarrà le
regole per il suo Il giuoco de’ scacchi,
il noto trattato stampato a Militello.
Non giocò spesso in torneo, ma vinse il
campione Gerolamo Cascio in varie
partite giocate in presenza del principe
nelle grazie di donna Giovanna d’Austria, consorte di don Francesco Branciforti, signore di Militello e Pietraperzia. Giovanna, figlia illegittima di Giovanni d’Austria (a sua volta figlio dell’imperatore Carlo V), era giunta a Militello nel 1604 come consorte del principe Francesco e vi rimase fino alla
morte del marito avvenuta nel 1622.
In questi anni, il Carrera, protetto
dalla “signora” di Militello e dal suo
mecenate, oltre a frequentare gli uomini colti presenti a corte, poté far parte
della “libera accademia di dotte conversazioni” letterarie ed avere accesso
alla ricchissima biblioteca che il Branciforti andava costituendo (circa
10.000 volumi).
Il frutto di tale permanenza fu la produzione di alcune composizioni in lingua italiana e latina, e il poemetto Ziz-
colo, la «combricola di falsari di documenti costituitasi in Catania ed in Acireale nella prima metà del secolo XVII
sotto l’ispirazione di Ottavio D’Arcangelo».
Nel 1620 tradusse dal latino e pubblicò I tre libri dell’epistole, di Giovanni Tommaso Moncada, conte di
Adrano, ma il sospetto che si trattasse
di false epistole è stato espresso dal
biografo Nigro, in quanto il personaggio, vissuto 120 anni prima, era un
componente della potente famiglia
Moncada e il Carrera si era affannato
troppo a dimostrare che costui era stato
un «fecondo oratore», un «fiorito poeta» e un «cristiano politico».
Oltre a Francesco Branciforti, ebbe
come mecenati Nicolò Placido Branciforti, principe di Leonforte, e Giacomo
Bonanni(o), barone di Canicattini e du-
ca di Montalbano, che gli sovvenzionarono i suoi numerosi viaggi fatti per la
Sicilia e finalizzati ad illustrare e magnificare i possedimenti del re Filippo
IV di Spagna.
Dopo la morte di Francesco Branciforti, avvenuta il 23 febbraio 1622,
Carrera, cinquantenne, si allontanò da
Militello, per recarsi, nel 1624, al seguito di Giacomo Bonanni(o), a Cani-
cattini. Nel 1633 si trasferì a Catania
dove continuò con tenace perseveranza
la sua azione di falsario.
Già nel 1636 pubblicò i tre libri Del
Mongibello, che mescolavano con disinvoltura serie notizie botaniche, mineralogiche, erudite, con miti letterari,
leggende agiografiche, superstizioni
popolari, sul tema delle eruzioni dell’Etna e dei miracoli di s. Agata, patro-
na di Catania. I contenuti di questi
scritti saranno poi ripetuti dai suoi estimatori fino ai nostri tempi.
In quegli anni il regno attraversava
un momento storico turbolento, segnato da una profonda crisi economica dovuta a guerre e carestie, per far fronte
alle quali Filippo IV di Spagna e III di
Sicilia aveva dovuto vendere città e
fortezze ai privati. In Sicilia, il viceré
Los Veles, diede attuazione alle disposizioni regie attuando un’abile operazione politica di privatizzazione selvaggia che in realtà costringeva le comunità delle città demaniali a riscattare
i “casali” venduti dal viceré agli speculatori, e facendo ricadere il costo dell’operazione in definitiva sulle spalle
dei ceti medio bassi; il tutto con il beneplacito dello stesso governo spagnolo.
Ma il Senato della città, vide in tutto
questo anche una minaccia agli antichi
privilegi della città e così, tra l’altro,
commissionò a Carrera un’opera che
dimostrasse l’antichità ed il prestigio
rispetto alle rivali Messina e Palermo
ed esaltasse la storia patria e le origini
delle famiglie nobili di Catania. Leggendo il Delle memorie historiche della città di Catania si intuisce che il
Carrera ha forse conosciuto personalmente Ottavio (D’)Arcangelo e che
quindi ha letto i suoi manoscritti, e
quindi fa un ampio e disinvolto uso dei
molti documenti, in gran parte falsi o
falsificati, raccolti dal (D’)Arcangelo e
mai pubblicati; lo difende puntualmente dalle accuse di falsità e così, data autorevolezza delle sue fonti, le usa con
sicurezza per le sue deduzioni storiche.
Il suo modo di procedere è questo: in
realtà (D’)Arcangelo si è inventato la
Epistole di Diodoro Siculo e il Trattato
delle cose ammirabili, di Pietro Biondo
(inventato pure lui). Carrera invece assicura che (D’)Arcangelo ha visto a
stampa questi testi, quindi asserisce
che sono autentici e li cita a dimostrazione della maggiore antichità di Cata-
trovato a sua volta, nel monastero di s.
Nicolò la Rena, questa cronaca scritta
nel ‘200 da un frate benedettino; ma in
realtà non si è mai trovato ne l’originale ne alcuna copia manoscritta. Si tratta
di una serie di forzate dimostrazioni
dell’esistenza del porto di Catania fin
dal ‘200, di tentativi di avvalorare le
antiche discendenze della famiglie nobili catanesi, di elogi sul coraggio contro i francesi e sulla fedeltà dei catanesi
al casato aragonese. Il 1640 è l’anno
della rivolta separatista della Catalogna
che cede alle lusinghe del re di Francia
Luigi XIII, e i maggiorenti catanesi
evidentemente non perdono tempo a
far notare la fedeltà spagnola di Catania contro le simpatie francesi di Messina. Il secondo è la prova che s. Agata
(alla quale erano particolarmente devoti gli Aragonesi) era catanese di nascita. Nell’ultimo decennio del ‘500 il ceto politico che governava la città fu costretto a prendere posizione nel contrasto fra Palermo, sede vicereale, e Messina città che da recente aveva ottenuto
i privilegi di capitale della cuspide
nord orientale della Sicilia. Catania,
quindi, politicamente e culturalmente,
doveva riconquistare i privilegi di cui
aveva goduto sotto i Martini.
Il vescovo Ottavio Branciforte e le
famiglie aristocratiche che si alternarono al governo di Catania, quindi, precettarono chiunque potesse dare lustro
alla città o potesse soprattutto dimostrare, in tutti i modi, la legalità storica
dei privilegi già posseduti o la possibilità di maturarne di nuovi.
La “pia contesa” tra Catania e Paler-
che questa seconda parte dell’encomio
di S. Agata, (nella prima parte composto in greco da S. Metodio di Siracusa,
patriarca di Costantinopoli (843-847),
è una grossolana falsificazione secentesca.
L’erudito militellese era troppo compromesso; già dagli inizi del ’900 la
critica non fu molto benevola nei suoi
confronti. Fu bollato, assieme ad Ottavio (D’)Arcangelo e ad altri suoi contemporanei come falsario. L’abate
Francesco Ferrara nella prefazione della sua Storia di Catania…, lo definisce
«credulo come Arcangelo». Giuseppe
La rivolta del 1647 a Catania rivendicava
l’abolizione delle gabelle, una razionale
distribuzione delle risorse alimentari e il ritorno
al demanio di casali feudalizzati dai vicerè
nia rispetto a Palermo. Nigro giustamente definisce il Delle memorie historiche come «il capolavoro pseudostoriografico» del Carrera.
Ma i veri “capolavori” di Carrera sono in realtà due geniali falsi storiografici: una cronaca medievale in dialetto
siciliano e un apocrifo secentesco su S.
Agata, patrona di Catania. Si tratta di
falsi che hanno suscitato polemiche e
creato convinti detrattori ma anche
convinti fautori.
Il primo è la cronaca La vinuta e lu
suggiurnu di lu Re Japicu in la gitati di
Catania, l’annu MCCLXXXVII, narrati
da frate Athanasio di Jaci. Purtroppo il
manoscritto fu utilizzato da Michele
Amari per la sua opera La guerra del
Vespro Siciliano. Lo scritto narra l’ingresso del re Giacomo d’Aragona a
Catania nel 1287. Carrera dice di aver
mo (secondo la tradizione s. Agata fu
martirizzata a Catania nel 251 d. C.
sotto l’imperatore Decio) raggiunse toni accesi e quasi violenti nel corso del
‘600. Nel 1601, in occasione della riforma del Breviario Romano che fu
promossa da papa Clemente VIII, una
disputa sulla patria di Agata si tenne a
Roma direttamente davanti ai cardinali
Antoniani e Bellarmino. Carrera aveva
sfoderato una buona arma: un documento falso che attestava, chiaramente
e più di una volta, che la martire era
nata a Catania.
L’apocrifo, che a suo dire gli era pervenuto tra mani solo in una traduzione
latina secentesca, fu poi definitivamente inserito negli Acta Sanctorum e nella
Patrologia greca. Ma i recenti studi di
Elpidio Mioni e di Carmelo Crimi hanno dimostrato, senza ombra di dubbio
Maria Mira, nella sua Bibliografia siciliana, esprime nei confronti dell’opera
del Carrera il seguente giudizio: «Questa eruditissima opera è mancante di
critica, piena di falsità, e di credulità, e
disordinata». Infine lo storico Giuseppe Giarrizzo lo inchioda come «scrittore da tempo dannato come falsario».
L’opera del Carrera fu anche al centro del noto episodio che vide il pittore
Giuseppe Sciuti prendere ingenuamente a soggetto, per l’illustrazione del sipario del teatro Massimo Bellini, un
racconto che era presente nel Delle memorie historiche ..., e che parlava di
una vittoriosa battaglia dei Catanesi sui
Libici e sui loro elefanti; peccato che si
trattava di un evento storico mai accaduto e partorito dalla fantasia del
(D’)Arcangelo e ribadito da don Pietro
Carrera.
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