In tutte le edicole e anche via internet www.lavocedellisola.it Informazioni: [email protected] Lettere: [email protected] GIORNALE SICILIANO DI POLITICA, CULTURA, ECONOMIA, TURISMO, SPETTACOLO ANNO SECONDO Nº 18 • 15 ~ 28 SETTEMBRE 2007 • b 1,50 DIRETTORE RESPONSABILE SALVO BARBAGALLO Vacilla l’esponente di F.I. Poteri dominanti in Sicilia Castiglione in rotta di collisione con la Cdl di VITO PADULA L e note delle polemiche, le schermaglie che precedono scontri più aspri, si avvertono da tempo all’interno della Casa delle Libertà in Sicilia, maggiormente a Catania patria di alcuni leader di spicco, quali Raffaele Lombardo e Pino Firrarello, ma soprattutto sede principale del “laboratorio” politico regionale e, spesso, nazionale. Ogni mossa e contro mossa avviene con velocità, sovente dall’oggi all’indomani, gli avvenimenti difficili da comprendere sia perché appaiono criptati, sia perché quello che accade è il contrario della realtà. In questo campo i nostri politici possono considerarsi dei veri maestri. Il tutto sullo sfondo, purtroppo, dell’indifferenza della gente comune, della gente che vive i problemi del quotidiano. Le ultime bordate pesanti (in ordine di tempo) sono state tirate dopo l’evento registrato il 23 agosto scorso, quello che ha sancito l’alleanza tra UDC e Movimento per l’Autonomia, immediatamente criticata dall’europarlamentare di Forza Italia Giuseppe Castiglione. Ma Giuseppe Castiglione non si è limitato alle critiche per la costituita alleanza UDC-MpA, giudicata “vecchia”: è andato ben oltre. Ha considerata “chiusa” l’esperienza Berlusconiana, affermando che “la coalizione della Casa delle Libertà, così come l’abbiamo conosciuta, non esiste più”. Dichiarazioni pesanti che hanno trovato un immediato contrappunto da parte del leader del MpA, Raffaele Lombardo, che ha reagito energicamente, pronunciando una “sentenza” politica: “…Gli assessori di Forza Italia che fanno capo all’europarlamentare (Castiglione, n.d.r.) lascino la Giunta (della Provincia di Catania, n.d.r.), risparmiando al presidente il compito spiacevole, quanto doveroso, di provvedere all’incombenza”. Questa azione di Raffaele Lombardo porta la data del 7 settembre scorso, mentre scriviamo gli asses- sori di FI sono ancora in carica, ed a loro ancora non è stato dato il benservito. Le esternazioni di Giuseppe Castiglione da molti nella Cdl sono state considerate negativamente o, quanto meno inopportune, ma molti addetti ai lavori attribuiscono le motivazioni dello scontro in atto ad un malessere esclusivamente interno a Forza Italia, ad un malessere che vede protagonista lo stesso Giuseppe Castiglione, le cui iniziative non sarebbero condivise neanche dal senatore Pino Firrarello, al quale erano state attribuite (oggi si dice erroneamente) le responsabilità delle continue fughe di esponenti del partito, quasi tutte confluite nell’ MpA e in parte nei gruppi “indipendenti”, non ultime quelle del sindaco e del vicesindaco di Mascali, Silvio Carota e Alfio Maccarrone, e dei consiglieri Sergio Cucinotta e Rosario Di Mauro. Una situazione scabrosa, che non sarebbe gradita né a Micciché, né ad Alfano che, in questo momento, secondo le voci che circolano, sarebbero ben felici di vedere emigrare altrove l’europarlamentare Giuseppe Castiglione. A queste problematiche si è aggiunta, per tanti inaspettata, per altri prevista, la bufera che si è abbattuta sul sindaco di Catania Umberto Scapagnini, in merito alla controversa vicenda dei parcheggi urbani. Insomma, schermaglie, bordate, sceneggiate e quant’altro, fanno comprendere che il clima politico diventerà sempre più arroventato, in vista delle elezioni per il rinnovo degli organismi della Provincia di Catania, la cui tornata elettorale si terrà nel maggio dell’anno prossimo: a quasi nove mesi da quell’appuntamento, c’è da credere che tanti altri “eventi” potranno verificarsi. Quel che vale oggi, è probabile, che domani non conti più, e che il gioco delle alleanze sia ancora tutto da vedere e verificare. In ogni modo il malessere all’interno di Forza Italia resta, al momento, il problema principale della Casa delle Libertà. L a Sicilia, pur possedendo enormi potenzialità per un suo concreto sviluppo, rimane ancorata ad una situazione costantemente sull’orlo del collasso economico. E’ una sorta di destino iniquo che la costringe dentro una gabbia, senza che la collettività, o le Istituzioni, abbiano la forza di spezzarne le sbarre. E’ una situazione che si protrae da decenni: si attribuiscono alla criminalità organizzata tutte le condizioni negative che impediscono un percorso di vera “resurrezione”. Raramente si parla dei cosiddetti “poteri forti” (economici, politici, eccetera) che determinano e indirizzano, nella realtà pratica, la vita quotidiana del territorio e della gente che lo anima. Noi abbiamo cercato di risalire all’origine di questo stato di cose, ma poiché (ed è comprensibile) mancano gli elementi che possono avallare le “teorie”, abbiamo “disegnato” un teorema: il “teorema siciliano”. Il teorema siciliano parte dall’ipotesi che in Sicilia, in un determinato periodo storico, uomini appartenenti a quattro “aggregazioni” di natura diametralmente diversa, Stato (nel senso delle Istituzioni, più propriamente degli uomini che hanno costituito il “corpo” delle Istituzioni, politici compresi), Chiesa (partecipazione di esponenti dell’Alto clero, di strutture finanziarie del Vaticano, di appartenenti all’Opus Dei), Massoneria (in quanti hanno mantenuto la loro adesione in forma segreta e occulta) e Mafia, si siano trovati in accordo per raggiungere precisi obiettivi, mirati inizialmente, ma molto genericamente, agli interessi della collettività (nazionale e internazionale) e poi sfociati, praticamente e concretamente, in interessi di potere di raggruppamento (in senso assoluto). In merito a questo teorema Stato, Massoneria, Chiesa e Mafia quale perno sul quale ipoteticamente hanno ruotato gli avvenimenti che hanno costituito le fondamenta dell’edificio della nuova Sicilia Autonomistica e di parte della struttura dello Stato italiano, intendiamo ricordare che i tempi e le situazioni in cui gli appartenenti a queste aggregazioni hanno agito negli anni che hanno preceduto lo sbarco anglo-americano in Sicilia, nel 1943, erano ben diversi dagli attuali: coinvolgevano Paesi diversi, e la valenza dei personaggi stessi era ben lontana, a tutti i livelli, da quella dei discendenti che ne hanno assunto, direttamente o indirettamente, l’eredità. Probabilmente le stesse intenzioni (leggasi motivazioni) che hanno spinto protagonisti di natura, ceto e cultura diverse a percorrere una stessa strada, potevano essere condivisibili (leggasi Machiavelli “il fine giustifica i mezzi”) in quei periodi e inserite in quel determinato e particolare contesto storico. E’ chiaro che i protagonisti e loro azioni riletti a distanza, nel Terzo Millennio, e viste le conseguenze che hanno provocato, assamono connotazioni che oggi non solo non possono essere condivise, ma soprattutto non possono essere comprese nella loro reale dimensione. Il teorema enunciato, pertanto e a nostro avviso, può essere utilizzato solo come chiave di lettura per capire connessioni altrimenti difficili da individuare, e usato mantenendo la massima cautela nell’esprimere un giudizio di merito, per evitare il rischio di cadere nei luoghi comuni che per tanti decenni sono stati spacciati per verità assolute. Un inserto Speciale da pagina 9 a pagina 12 A Sigonella i Global Hawk? R iceviamo mentre andiamo in stampa un dettagliato servizio di Antonio Mazzeo –Terrelibere.org – in merito alla scelta di Sigonella, effettuata dal Governo degli Stati Uniti, quale base operativa dei “Global Hawk”, i velivoli senza pilota progettati e prodotti dalla Northrop Grumman. Sull’ipotesi di localizzare la base operativa degli aerei senza pilota in Italia è stata presentata una interrogazione al Parlamento dall’onorevole Elettra Deiana (Prc), ma questa interrogazione, nella pratica, è rimasta inevasa. “Terrelibere”, in base a documenti a sua conoscenza, nel lungo e dettagliato servizio di Mazzeo, porta a conoscenza sia le scelte effettuate dagli USA, sia l’ammontare degli investimenti previsti per la base di Sigonella. Nel prossimo numero de “La Voce dell’Isola” ci occuperemo di questo nuovo e inquietante caso. OPINIONI 2 LA VOCE DELL’ISOLA 15-28 Settembre 2007 Le ipocrite lezioni di moralità dai sepolcri imbiancati Non sono un eroe e ho il diritto di non esserlo C aro direttore, adesso non ho più paura di Cosa Nostra, della Stidda o di qualsiasi altro sodalizio criminale organizzato. Non ho più paura perché so che i miei colleghi di Confindustria Sicilia, quelli che fanno politica imprenditoriale più che fare impresa per intenderci, sono dei paladini della legalità e dell’antimafia. Adesso sono certo che espellendo tutti quegli smidollati collaborazionisti e fiancheggiatori della mafia colpevoli del tremendo reato di subire il pizzo e le intimidazioni giornaliere, l’imprenditoria siciliana avrà la sua svolta legalitaria e Cosa Nostra (e similari) sarà per sempre sconfitta. Evviva. Eppure, proprio mentre scrivo, ho la strana sensazione che ancora una volta, sulle spalle di tanti disgraziati che non vanno in Tv e che non stanno nei “direttivi” e nelle “giunte” (nemmeno in quelle di quartiere) delle varie cricche corporative che affliggono questa isola, si stia combattendo una battaglia mediatica che con il pizzo e con la mafia non c’entra proprio nulla. Io non ho il tempo di andare in Confidustria, nè di partecipare ai dibattiti, e giuro che mi piacerebbe un mondo, perché ogni giorno che il buon Dio manda su questa terra devo difendere la mia azienda non tanto dagli attacchi dei boss e dei ras, ma dallo sfacelo di un sistema economico che è ormai un malato terminale, anche grazie alla folle politica di Confindustria stessa che in questi anni ha fatto massacra- re a più non posso la piccola impresa ed i suoi milioni di lavoratori (che sono l’unica vera spina dorsale economica di questo paese) per favorire una deriva della nostra economia che porta soldi solo al “salotto buono” del sistema bancario-finanziario, alla grande impresa, al consorzio sindacato-partiti, al Nord Italia. Da vent’anni in Sicilia, con questa maledetta scusa della mafia, sono stati azzerati i più grossi insediamenti produttivi che davano lavoro a migliaia di dipendenti e ad un grande indotto. E la mafia? È li, più forte di mafia li fa con i colletti bianchi e con il sistema dei grandi numeri, non certo con qualche centinaio di euro estorte ad un povero disgraziato che ha figli e magari anche nipoti da tutelare. Ecco perché sono disgustato e “stomacato”, mi si passi la volgarità, da questi filosofi della legalità che credono che il modo migliore per combattere la mafia sia quello di mettere all’indice le sue vittime silenziose. Vogliamo vedere che adesso la colpa è di chi ha paura? Avrò il diritto di temere per l’integrità mia, della mia famiglia, della sopravvivenza riciclare denaro ed a perpetrare traffici illeciti ed intimidazione anche quando il “capo” è in galera? Non è normale avere paura quando decine di pubblici amministratori siciliani (ben assortiti per ogni schieramento) che fanno la morale, gestiscono il denaro pubblico (che anche chi paga il pizzo versa nelle casse di Comuni e Regione) con il più totale disprezzo della legalità e ci si inventa pure gli aumenti di imposta illegittimi a scapito delle tasche dei più deboli per truccare i bilanci? Non è normale avere paura se poi il governo taglia “Sono disgustato dai filosofi della legalità che credono che il modo migliore per combattere la mafia sia quello di mettere all'indice le sue vittime silenziose” prima, perchè lo sanno tutti in Sicilia che non è il pizzo a rendere forte, economicamente, la mafia. L’estorsione è ormai solo un simbolo (molto importante per la verità) per mantenere la propria forza di intimidazione, per far capire chi è che deve, comunque, prendere le decisioni. I veri soldi, e dunque la vera potenza, la economica delle famiglie dei miei collaboratori quando assisto tutti i giorni allo schifo incoraggiato di pluriomicidi che si pentono, che patteggiano e che poi tornano, impuniti, a delinquere più e peggio di prima. Avrò diritto di avere paura se lo Stato non riesce ad arginare le immense reti parentali che riescono a drasticamente i fondi alle forze dell’ordine invece di aumentarli? Si, è normale avere paura ed io, come tanti altri, sono un uomo normale non un eroe. Ritengo che in uno Stato di diritto gli uomini normali ed i più deboli vadano difesi e non messi all’indice. Credo che la Sicilia abbia molto più bisogno di imprenditori ed im- prese sane che non di eroi. Vorrei dire al presidente di Confidustria Sicilia che la lotta si fa nel giornaliero lottando contro le banche che non ci fanno credito e drenano il risparmio al Nord, contro la Pubblica Amministrazione che distrugge tutto ciò che tocca, contro il malcostume delle tangenti di cui nessuno parla perché i concussori non mettono le bombe e non maneggiano Kalasnikov. Piuttosto che aspettare l’applauso del Nord colonizzatore che ci vuole tutti mafiosi e poveri (e non è un luogo comune ma una tendenza, pardon un trend, come preferite chiamarlo voi giovani bocconiani) ed invocare aiuti, infrastrutture ed eserciti, si dovrebbe pensare un pò di più alla nostra dignità. Gli eroi come Vecchio e Libero Grassi vanno ammirati ma non credo che sulla loro pelle sia giusto fare le proprie battaglie mediatiche personali. Sono talmente vigliacco da non firmare questa lettera, non mi vergogno a dirlo ma non accetto certo lezioni di moralità dai sepolcri imbiancati da cui gronda ipocrisia. Non sono un eroe ed ho il diritto di non esserlo senza venire accusato di fiancheggiare la mafia. Sarò anche anche un vigliacco ma vorrei che su di me non prosperassero i professionisti dell’antimafia come li definiva il grande Sciascia. O era mafioso anche lui? Ringraziandola per lo spazio che vorrà offrirmi. Piccolo Imprenditore Vigliacco Dopo il nulla, si raccoglie anche la nemesi di quanto fu seminato Giornale Siciliano di politica, cultura, informazione, economia, turismo, spettacolo Iscritto al n° 15/2006 dell’apposito Registro presso il Tribunale di Catania Editore Mare Nostrum Edizioni Srl Amministratore delegato Francesco Dato Direttore responsabile Salvatore Barbagallo Redazione Catania - Via Distefano n° 25 Tel/fax 095 533835 E-mail: [email protected] [email protected] Fotocomposizione e Stampa Litocon Srl - Z.I. Catania Tel. 095 291862 Per la pubblicità: Tel/fax 095 533835 E-mail: [email protected] [email protected] Anno II, nº 18 15 ~ 28 Settembre 2007 Gli articoli rispecchiano l’esclusivo pensiero dei loro autori Arance amare di Sicilia L ’Etna diventa sempre più bella. La Bocca Nuova, dal bosco della Milìa, è una testa d’aquila al centro di due ali immense che si aprono sul Mediterraneo... In tv impazza lo spot dell’aranciata Sanpellegrino: una macchina e un idiota in camice bianco interrogano le arance chiedendo se sono siciliane o clandestine: le prime passano l’esame e finiscono spremute dentro le buatte. Le seconde vengono risucchiate e, diciamo, ributtate a mare. Non ho mai visto, in 43 anni, niente di più criminale, falso, insultante, spacciato con una tale ovvietà. L’ovvietà di uno spot che viene diffuso nell’aria alla velocità di un gas. Un gas di cinismo alimentato da ignoranza e idiozia inaudite. Marketing della putrefazione del tardoimperialismo straccione. Il “declino” italidiota genera zombie. Sono nato a Ramacca, nella piana delle arance, nel cuore della Sicilia zolfifera e contadina. Nei primi anni Settanta, con le rimesse degli emigrati in Germania e a Malànu, si impiantarono giardini di naraji e si aprirono putìe e si costruirono case per i figli studiati... Poi si viveva in nuvole di moscerini che risalivano col profumo di zagare impazzite dagli agrumeti in crisi e dalle arance scafazzate dai trattori dell’AIMA. Una festa...per le rondini. Fu una distruzione pianificata. La pillola scaduta che veniva spacciata nell’Orange Belt del Simetu River, come uno spot neocoloniale: “c’è la crisi di sovraproduzione”. Mi sono permesso di smontarla e di dimostrare che la curva della produzione mondiale di arance era in ascesa costante, con tratti esponenziali e picchi che nessuno stava studiando. Poi dissero che la colpa era delle nostre produzioni tipiche, bisognava riconvertirle “alla spagnola”. Altra pillola scaduta, che “Terra e LiberAzione” smontò nel 1984. Poi arrivarono i “contributi per la riconversione”, con relative truffe reiterate: ne ricordo una, di una sottospecie di boss ammanigghjiato al Consorzio di Bonifica, che ogni anno estirpava e ripiantava il suo agrumeto. In contrada Palma. Erano tempi dif- ficili per me: minacce e incompresione, ma anche tanta muta solidarietà proletaria. Ora, dopo il nulla, si raccoglie anche la nemesi di quanto fu seminato. Sul resto sorvoliamo. I colossi dell’agrobusiness padano comprano arance siciliane a prezzi da AIMA. La filiera agrumicola non esiste (o quasi, c’è Oranfreezer, ma si è radicata solo nel mondo delle Coop. tosco-emiliane, se non ricordo male), e ci sono ristrutturazioni interessanti, come alla Trigona nel Lentinese. Ma - per il comparto - forse è troppo tardi; nè vedo alcun futuro per la “fascia trasformata”, da Mazara a Vittoria: l’agrobusiness romano ha appena chiuso un contratto favoloso in Libya: vedrete. Ma la nemesi verrà dal prossimo POR: una abbuffata di carte che figliano carte con l’alibi della... “identità”! Ancora non capisco perchè non me ne vado... per quale ragione non riesco a lasciarmi alle spalle la mia Scogliera Nera, questi fiumi secchi, questi scecchi che ci “governano”. Questa Sicilia è senza testa, senza partiti, senza università, senza sindacati...che ne coltivino l’Identità e il diritto all’Indipendenza. L’agrobusiness padano si può permettere il crak Parmalat, le riscalate alle nostre ex-banche, e anche gli insulti antisiciliani e antimediterranei dello spot Sanpellegrino. Se fu l’Oro del Sudan, scambiato con la pasta di Trabia e i frutti della Terra, a trasformarsi in kanat, gebbie e giardini di rose e naranj al tempo dell’Emirato di Siqillya, quando Palermo crebbe da tremila a duecentomila abitanti e la Sicilia rinasceva sulle ceneri millenarie della devastazione romano-bizantina, colonia granaria infine delle Chiese di Roma, Milano e Ravenna...oggi, la delizia di un frutto che parlava skallyano, cioè arabo-siciliano, diventa arma mediatica di un razzismo anti-immigrati che non appartiene all’Identità Siciliana, alla nostra Tradizione civile millenaria, al nostro essere figli dell’insularità mediterranea. La Verità siciliana è spremuta, imbuattata e marchiata altrove. Al peggio non v’ha fine?. Stasera mi faccio una bella insalata di arance amare, con la cipolletta di Turi, vecchio massaro che travagghjia o ventu...e conosce tante cose. Mario Di Mauro terraeliberazione.org LA VOCE DELL’ISOLA 15-28 Settembre 2007 RACKET IN SICILIA 3 Per risolvere i nostri problemi abbiamo bisogno delle iniziative degli altri Si invocano le forze armate ma l’esercito siamo noi di FRANCO ALTAMORE S i torna ad invocare la presenza dell’esercito in Sicilia. La Confindustria siciliana, e cioè la rappresentanza professionale degli imprenditori costretti da decenni a pagare il pizzo alla malavita organizzata, ha detto basta; da ora in poi chi paga il pizzo è fuori dall’associazione. Noi facciamo la nostra parte – hanno detto i rappresentanti degli industriali – e lo Stato faccia la sua; poiché la nostra è una resistenza disarmata contro organizzazioni potentemente armate, per proteggerci e fare rispettare la legalità lo Stato mandi l’esercito. Sono arrivate dichiarazioni di apprezzamento e solidarietà e qualche perplessità; Romano Prodi ed Emanuele Macaluso, ad esempio, hanno detto che se per la difesa della legalità deve essere impiegato l’esercito, la società civile siciliana ne viene mortificata. Tutto questo mentre il presidente della Regione Salvatore Cuffaro era assente, perché impegnato in un lungo pellegrinaggio a piedi per Santiago di Compostela. Per un motivo o per un altro, ancora una volta dunque si conferma che per risolvere i problemi della nostra Isola da soli non ce la caviamo, ma abbiamo bisogno dell’apporto – e persino dell’iniziativa - degli altri. Il costruttore catanese Andrea Vecchio, che ha detto no al racket, dopo aver subito innumerevoli attentati intimidatori, si è rivolto direttamente al capo dello Stato. Nella sua risposta il presidente Napolitano, riferendosi alla lotta contro le estorsioni, ha parlato chiaramente di “inefficienze inaccettabili” dello Stato e si è appellato a governo e parlamento “perché siano adottate ulteriori misure, destinate adeguate risorse, attuati i necessari Nelle foto i militari impegnati nel 1992 nell’operazione “Vespri Siciliani” coordinamenti”. Risulta che in Sicilia il settanta per cento degli imprenditori è costretto a pagare il pizzo alla malavita. La dimensione del fenomeno è tale da incidere considerevolmente sui costi delle imprese siciliane, che vengono costrette alla marginalizzazione e spinte progressivamente fuori mercato. Il racket è un impedimento al lavoro ed allo sviluppo della Sicilia, ma non risulta che il presidente ed il governo della Regione si siano dati seriamente da fare per combatterlo; sicuramente non è risultato ad Andrea Vecchio, che ha preferito rivolgersi direttamente al capo dello Stato. Nemmeno la Confindustria siciliana ha degnato di attenzione il presidente della Regione, che pure per statuto può disporre autorevolmente delle forze dell’ordine dello Stato per far fronte a gravi emergenze. È l’esercito italiano ad essere invocato. Assistiamo dunque ad un clamoroso scollamento fra la classe produttiva siciliana e i rappresentanti delle istituzioni locali. In queste condizioni la società civile evocata da Prodi e da Macaluso, ammesso che in Sicilia ve ne sia rimasta una larva, è un soggetto assolutamente ininfluente. Se il presidente e il governo della Sicilia non sanno far nulla contro la piaga del racket, cosa può fare la società civile, se non solidarizzare con gli imprenditori angariati e invocare con loro l’invio dell’esercito? ca. A questo punto è inutile invocare la società civile, che in Sicilia è molto debole. Occorre invece azzerare tutto, sciogliere l’Assemblea regionale ed eleggere un nuovo presidente, una nuova giunta e un nuovo parlamento, rinnovare radicalmente l’organizzazione amministrativa della Regione e quella degli uffici giudiziari siciliani. Con lo dei soldatini con le tute mimetiche agli incroci delle vie cittadine, ma quello delle coscienze di milioni di cittadini-elettori siciliani che si devono assumere le proprie responsabilità, facendo scelte precise e rimboccandosi le maniche per attuarle. Si ha in Sicilia la cattiva abitudine di esaurire le proprie energie per la soluzione del problemi individuali e È sbagliato pensare di poter stroncare la piaga del pizzo con i soldati. Serve il ricambio dei politici, degli amministratori e dei giudici È una situazione pericolosamente bloccata. Nemmeno la magistratura siciliana è esente da responsabilità. Perché il processo nel quale il presidente Cuffaro è accusato di favoreggiamento nei confronti di Cosa nostra non si conclude mai? Abbiano già denunciato la sconvolgente condizione di una regione inquinata dalla mafia, dove, in libere e democratiche elezioni, alla sorella del magistrato vittima di Cosa nostra viene preferito il presidente uscente, coinvolto in un processo per mafia. I giudici di quel processo avrebbero dovuto stralciare la posizione del presidente e condannarlo od assolverlo subito. Se condannato, al suo posto avremmo presumibilmente avuto un inattaccabile esponente politico; se assolto avremmo eliminato da Cuffaro la gravissima ombra che ne offusca l’immagine, consentendogli di esprimere in pieno le sue indubbie cospicue capacità politiche. In ogni caso la maggioranza dei siciliani, diversamente da ora, avrebbe giudicato sbagliata la decisione di Andrea Vecchio, di scavalcare il presidente della Sicilia e rivolgersi direttamente al presidente della Repubbli- una nuova classe politica e dirigente, con una burocrazia rinnovata e con un corpo giudiziario rapido ed efficace nella giustizia penale e civile, non ci sarà bisogno dell’esercito. Il provvedimento invocato dagli imprenditori siciliani, dettato dalla stanchezza e dall’esasperazione, ha il merito di indicare efficacemente il problema, anche se non coglie nel segno quanto ad efficacia risolutiva. L’esercito da mobilitare non è quel- familiari e di pretendere dagli altri la soluzione di quelli generali. È un malcostume che non rende giustizia alle potenzialità di questa terra e delle sue nuove generazioni, che infatti tendono ad abbandonarla. Se non ci giriamo più dall’altra parte quando vediamo un malavitoso chiedere il pizzo ad un cittadino, nessuno chiederà di mandare l’esercito, l’economia siciliana rifiorirà e i giovani non andranno più via. LA VOCE DELL’ISOLA 4 15-28 Settembre 2007 Via libera alle trivellazioni della compagnia texana “Panther Eureka” Noto: l’assalto dei petrolieri al patrimonio dell’Umanità di ERNESTO GIRLANDO V ia libera alle trivellazioni nel territorio del Val di Noto. La sentenza del Tar di Catania, che ha accolto il ricorso presentato dalla compagnia petrolifera texana “Panther Eureka”, riaccende le polemiche, mai sopite in verità, sullo scempio che da tempo si vuole consumare nella terra dei capolavori del tardo barocco, dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità. La decisione del Tribunale amministrativo arriva in un’afosa mattinata di fine agosto e consente alla società ricorrente di svolgere attività di ricerca petrolifera all’interno di un sito che dista pochi chilometri dalla cattedrale di Noto. L’assessorato regionale al Territorio e ambiente, retto dall’autonomista Rossana Interlandi, aveva comunicato in ritardo la richiesta di una valutazione di impatto ambientale inerente al pozzo oggetto del ricorso, facendo così scattare il silenzio-assenso. Lo stesso tribunale ha contestualmente rigettato il ricorso della società texana relativo a un altro pozzo in territorio di Ragusa, per il quale si ritiene invece necessaria la valutazione di impatto ambientale per la presenza in zona di falde acquifere e di un’ ampia area adibita a discarica di rifiuti solidi. La sentenza riapre una questione che solo pochi mesi fa sembrava apparentemente chiusa rivelando le reali intenzioni dei petrolieri texani e l’ambiguo comportamento del governo regionale. Ma andiamo con ordine. Tutto ha inizio nel marzo del 2004, allorché l’allora assessore all’Industria del primo governo Cuffaro, Marina Noè, firma i decreti che concedono i permessi a quattro compagnie petrolifere per effettuare ricerche di idrocarburi gassosi e liquidi all’interno di una vasta area comprendente quattro province siciliane - Ragusa, Siracusa, Catania, Enna - e includente territori facenti parte della prestigiosa World Heritage List, sedi di oasi naturalistiche e di importanti monumenti dichiarati beni patrimonio dell’umanità. Lo stesso territorio, sede delle ricerche, comprende anche Siti di Importanza Comunitaria, Zone di Protezione Speciale, e I.B.A. (Important Bird Areas), tutte aree tutelate dall’Unione Europea, soggette a un sistema di salvaguardia, controlli e autorizzazioni, con regime di sanzioni per gli Stati che trasgrediscono le direttive comunitarie connesse e obbligatorietà di preliminare valutazione di incidenza per qualsiasi attività svolta all’interno e nelle loro adiacenze. Vibranti saranno le proteste delle popolazioni e degli enti locali interessati dalle attività di ricerche gas-petrolifere, che indurranno il governo regionale a procedere a delle sospensive dei permessi e a portare in aula un emendamento alla legge regionale sul turismo al fine di vietare le trivellazioni nelle zone tutelate dall’Unesco. Ma l’emendamento verrà bocciato con voto segreto da una maggioranza trasversale - il partito unico delle trivelle - mentre l’ineffabile Tar annullerà le sospensive ai permessi consentendo alla Panther di iniziare le attività di ricerca. Si intensificano le iniziative di lotta che culmineranno in una grossa manifestazione svoltasi a Noto nel marzo scorso e avranno eco internazionale attraverso l’appello lanciato nel giungo seguente, dalle pagine del quotidiano “La Repubblica”, da Andrea Camilleri. In poche ore la presa di posizione dello scrittore di Porto Empedocle registrerà l’adesione di migliaia di cittadini e di intellettuali che non esitano a schierarsi contro le trivellazioni, in una battaglia in cui le istituzioni e il ceto politico, salvo rare eccezioni, sembrano sempre più indifferenti e distanti. E arriva il giorno della riapertura delle cattedrale di Noto dopo il restauro a seguito del crollo della cupo- ne e annuncia trionfante, nel corso della conferenza stampa di presentazione della cerimonia di riapertura della cattedrale, il “miracolo”: mai più trivellazioni in tutta la Sicilia. Neanche di metano. In realtà i petrolieri, nel tentativo di porre l’argine all’effetto mediatico ottenuto dell’intervento di Camilleri, si ritirano da zone già supervincolate che mai sarebbero state trivellate. Nei fatti: il centro abitato di Noto, le cosiddette “buffer zone”, ossia le comunque continuare indisturbati a trivellare a fianco delle suddette zone. Adesso la sentenza del Tar. In seguito ad essa Cuffaro promette interventi legislativi risolutori. Gli stessi promessi dall’assessore autonomista Il via allo scempio in un momento di epocali scelte che impongono di rivedere modelli di sviluppo sbagliati la avvenuto nel 1996. Quale migliore occasione per il colpo di teatro? La Panther, con una mossa mediatica finemente studiata, comunica ufficialmente al governatore Cuffaro la sua intenzione di rinunciare a trivellare nei siti dell’Unesco della Sicilia sud orientale. Il governatore non perde l’occasio- zone di rispetto ai limiti dei centri abitati, la zona archeologica di Noto antica e la zona attorno alla Riserva di Vendicari. Zone sostanzialmente impedite, e in ogni caso costituenti solo l’11% del territorio interessato dai permessi, equivalente a 86 kmq su un totale di 746,37. I petrolieri non rinunciano in realtà a nulla, potendo Lino Leanza qualche mese addietro, gli stessi promessi dallo stesso Cuffaro nel 2005 dopo la bocciatura dell’emendamento della legge sul turismo, gli stessi promessi dall’assessore Interlandi. Tutti appassionatamente insieme a difendere da anni, nei fatti, gli interessi dei pochi - le compagnie petrolifere - contro quelli dei molti - i siciliani e la loro terra -. Una terra, quella di Sicilia, che percorre con grande incertezza la via del suo futuro. Per carenze strutturali, motivazioni storiche e assenza di una pianificazione che non permettono all’isola di decollare. Il turismo non riesce ad avere definitiva affermazione in un territorio ad esso vocato, culla di meraviglie paesaggistiche e monumentali senza pari nel mondo, dove si preferisce aggredire le bellezze nel maldestro tentativo di perseguire vie improbabili di un improprio sviluppo, spacciando per tale un intervento volto all’arricchimento di poche compagnie straniere a detrimento del vantaggio collettivo isolano. Operazioni in Sicilia ben note nel passato. Il tutto in un momento di epocali scelte che impongono di rivedere modelli di sviluppo sbagliati, di invertire drasticamente le rotte tracciate nell’ultimo secolo in tema di industrializzazione, politiche energetiche e modo di vivere in tutto il pianeta. Il rapporto di Greenpeace e dell’Epia, l’associazione dell’industria fotovoltaica europea, presentato recentemente alla Fiera di Milano, illustra la straordinaria crescita che negli ultimi dieci anni ha fatto registrare l’energia solare. Essa richiamerà qualcosa come 14 miliardi di euro di investimenti entro il 2010, arriverà a 300 miliardi di euro di fatturato e produrrà 6 milioni e mezzo di posti di lavoro entro il 2030. Da noi si boccia l’eolico e si parla ancora di inceneritori e di idrocarburi fossili, dopo le terrificanti esperienze di Gela, Priolo, Milazzo e Augusta. Si parla di navi cisterna sotto Agrigento a un tiro di schioppo dalla Valle dei Templi. Si tenta di barattare pochi inquinati posti di lavoro e si cementificano i contesti urbani solo per il vantaggio di lobbies e potentati economici che adottano criteri coloniali nei loro interventi in Sicilia. Eppure le alternative ci sarebbero. Basterebbe perseguirle. ROGHI CRIMINALI LA VOCE DELL’ISOLA 15-28 Settembre 2007 5 Solo un cerino e un po’ di carburante per annientare il nostro patrimonio naturale La Sicilia distrutta dal fuoco per mano di piromani assassini di GIUSEPPE FIRRINCIELI Tutto questo è una nuova forma di terrorismo, oppure una catena di atti di vendetta espressi da gente cattiva e senza scrupoli? L a Sicilia distrutta dal fuoco, da Palermo a Messina, da Trapani a Ragusa, da Caltanissetta a Catania, da Enna a Siracusa centinaia di miglia di ettari di bosco, arsi con morti e feriti. Il mese di agosto di quest’anno passerà alla storia per il gran caldo torrido e per i piromani assassini che hanno caratterizzato l’affondamento di un isola anche a livello ambientale e non solo economico. Gli incendi di questa estate, aumentati del 70 per cento rispetto agli scorsi anni, hanno provocato danni immensi ed in termini di moneta sonante ammontano a più di un miliardo di euro. È facile porsi una domanda: “Ma tutto questo è una nuova forma di terrorismo, oppure una catena di atti di vendetta espressi da gente cattiva e senza scrupoli, o anche commessi da gente che per poter lavorare come stagionali nella Forestale e assicurarsi il pane per l’anno intero non guardano in faccia nessuno e non pensano affatto alle gravi conseguenze di una distruzione ambientale e diventare persino assassini?”. Una serie di atti terroristici che commetterli non costa nulla, solo un cerino e un po’ di carburante, per distruggere patrimoni naturali di cui tanto questa martoriata terra necessita. E poi un’altra domanda: “Ma le Istituzioni dove sono?”. Guido Bertolaso, dopo i primi assaggi di fuoco verificatisi nel mese di luglio, è venuto in Sicilia a “bacchettare” Regione e Istituzioni locali e dire “Qui bisogna fare qualcosa, non potete continuare a non far nulla”. E addirittura spedisce truppe di volontari dal Friuli e da altre zone della “vicina” Italia a Custonaci ed organizza un campus vero e proprio, per insegnare a proteggere la nostra terra, perchè a suo dire c’è bisogno di organizzare gli interventi tramite l’addestramento del volontariato in Sicilia (come se qui non esistesse gente organizzata e preparata nel settore del volontariato di protezione civile addestrata nella prevenzione incendi e nell’attività). Forse il responsabile della Protezione civile nazionale non sa o non vuole sapere che in Sicilia, Regione, Province, Comuni ed Enti Parchi, fino a qualche anno fa e quando erano nelle condizioni di poter spendere qualcosa, organizzavano veri e propri campi di avvistamento incendio mediante l’ausilio delle organizzazioni di volontariato e che avevano permesso una drastica caduta di attentati al patrimonio boschivo in buona parte dell’Isola. Basta pensare che nel parco dell’Etna ed in quello dei Nebrodi l’impennata degli incendi di questa “calda”estate non ha precedenti nella storia recente. Ma se abbiamo piromani assassini nella nostra Isola, non è certo colpa della maggior parte dei siciliani che sono persone oneste e non si trovano più soldi per tenere sotto controllo le zone a verde, a livello privato. Di certo non vuole essere un motivo di conforto se la messa in fuoco del nostro verde non sia seconda a nessuno, considerato che episodi del genere si sono verificati anche nella emancipata Italia, ed anche in altri paesi come la Grecia. Esiste peraltro una ragione di fondo. Con il clima torrido propizio anche negli anni passati sono esistiti piromani, quando stagionali della Forestale per continuare a “lavorare” e non perdere il lavoro mandavano a fuoco parchi e riserve con mezzi più disparati e sadici, vedi il sistema dell’uso del gatto che lanciavano nel sot- tobosco con la coda in fiamme perché avvolta, quest’ultima, da una pezza imbevuta di liquido infiammabile. Gli allevatori di ovini che mandavano e mandano ancora a fuoco, zone protette e non, perché nel giro di poco il surriscaldamento del suolo provoca una emersione di acqua per far spuntare in tempi brevi ciuffi di erba e assicurare il pascolo al proprio gregge. Oggi, purtroppo, il responsabile nazionale della Protezione civile, forse non conoscendo a fondo le problematiche di una società siciliana avvinta dai debiti, da un lassismo senza fine, dalla perdita di fiducia nelle Istituzioni, da una Regione Siciliana che ha impiantato un palinsesto di risorse umane, nel proprio Dipartimento di Protezione Civile, basato per la maggior parte sul precariato e con personale in servizio demotivato al massimo e addirittura in stato di agitazione, ed ancora peggio, mandato in ferie coatte, non ha pensato affatto di adottare progetti diversi, tipo il disporre un immediato monitoraggio dell’intero parco regionale della risorse boschive, tramite i quattromila volontari siciliani e forse con costi minori, rispetto a quelli spesi per organizzare un campo di tipo stanziale; le esperienze degli anni passati ci inducono a dire questo. E poi cosa strana, non è stato neanche adottato un programma di attività sinergica, come dire, non è stata messa in campo alcuna collaborazione tra le strutture dello Stato e della Regione Siciliana ed i volontari d’oltre Stretto, fatti arrivare in Sicilia, in quanto né i Vigili del Fuoco, nè il Corpo forestale dello Stato hanno elaborato un piano di programmazione per lavorare in sinergia con le forze del volontariato, d’altra parte, volontari addestrati nell’attività di spegnimento incendio. Ma il problema non è tanto l’attivazione di un sistema si- nergico nel delicato settore degli interventi, ma è dovuto ad una mancata adozione di un progetto per limitare o per meglio dire prevenire situazioni del genere, peraltro ampiamente previste con il sistema di rilevamento meteo. Adesso le cause, bisogna ricercarle altrove e cioè la Regione Siciliana, tramite il proprio assessorato all’Ambiente non ha previsto un patto di sinergia con la protezione civile nazionale e regionale, non ha impegnato, di sicuro, dei fondi, per un controllo continuo del territorio, mettendo anche nelle condizioni Province regionali, Comuni ed Enti Parco ad attivare piani di prevenzione con la pulizia dei bordi stradali, con ordinanze specifiche di sgombero da erbacce proprietà private che insistono nei pressi di parchi ed aree a verde. Che vogliamo? Non ci pensa l’Anas! Pensa un piccolo Comune montano che non ha i soldi per comprare l’in- Scempio, disastri, ammonimenti UE, morti, impunità, cos’altro? Le fiamme del disonore di FRANCO LOMBARDO O ccorrerebbe chiedersi: a quale altro funesto spettacolo bisogna assistere perché la coscienza civile e democratica di chi ci governa ed amministra possa finalmente svegliarsi? In particolare, in questo articolo ci soffermiamo con vergogna e costernazione a commentare sui fatti e misfatti che riguardano gli incendi nella nostra isola e penisola. Non sappiamo bene cosa spinge i “ piromani “ ad appiccare il fuoco (motivi personali, vendette, ritorsioni, mitomania, plagio, follia ???), ma una cosa la sappiamo con certezza: l’Italia del Diritto, fonte inesauribile di dichiarata Giurisprudenza, maestra di dettami ed ammonimenti, non è preparata ad affrontare in sede giudiziaria un problema tanto grave, quanto semplice (purtroppo non è l’unico problema) da risolvere. Applicare la legge! È tutto scritto! Non occorrono particolari garantismi od interpretazioni personali, chi sbaglia deve pagare purchè il delitto sia stato realmente riconosciuto ed accertato! Purtroppo leggiamo ed ascoltiamo dei fatti che ci fanno rabbrividire; ma come si rimette in libertà chi è stato colto sul fatto, con degli strumenti già pronti per appiccare il fuoco, o chi è stato colto in flagranza di reato? Chi protegge il cittadino inerme che vive serenamente nella sua abitazione con la famiglia ed all’improvviso si trova “ arrosto “ per colpa di qualche impunito scellerato? Chi protegge i nostri boschi, grande riserva naturale di macchia mediterranea, fonte inesauribile di ossigeno ed equilibrio eco-biologico? Il problema è veramente serio, soprattutto perché, negli ultimi anni, il fenomeno si è andato dilagando sempre più e non solo in Italia (ricordiamo con reverenza i morti del Pelopponneso). Occorre fare molta attenzione, presidiare meglio il territorio, ristrutturare la sorveglianza con sistemi molto più moderni; ripetiamo il problema non è solo ecologico, bensì riguarda la sicurezza del cittadino; aggiungiamo, come se non bastasse, il continuo ammonimento dell’UE, per la salvaguardia del patrimonio boschivo, bene inestimabile contro l’effetto serra, buco di ozono, etc. Ma, esiste un altro problema sicuramente non marginale né secondario: la spesa pubblica. Autorevoli fonti governative attraverso gli organi ufficiali della comunicazione (RAI, MEDIASET, etc,) fanno sapere al popolo che domare gli incendi in Italia, dolosi o non, (i dolosi sono più del 90%) costa ad ogni cittadino, neonati compresi, circa 10 euro a cranio: in buona sostanza più o meno circa 600 milioni di euro all’anno! Nel complesso della spesa pubblica sembrerebbe una cifra irrisoria, di fatto non lo è per i seguenti motivi: primo, non è per niente paragonabile ai reali danni morali, fisici e materiali arrecati, secondo, riteniamo che i numeri riportati riguardino solamente le spese vive realmente sostenute nelle emergenze, e ci sembrano in difetto se consideriamo gli interventi aerei, marittimi, terrestri, fluviali, carburanti, interventi di massa, impiego di tutte le forze disponibili, non solo protezione civile ma, polizia, carabinieri, finanzieri, volontari e tanto altro, per non parlare poi di tutto l’apparato burocratico (costi occulti in quanto forse non definibili). Riteniamo sia giunto il momento di affrontare il problema seriamente, di ristrutturare il sistema, non aumentando la spesa che comunque dovrebbe ridursi, bensì ridistribuendo quelle forze lavorative, oggi fonte di spesa inutile ed improduttiva, che potrebbero sicuramente controllare meglio il territorio, ridurre i danni ed evitare che qualche cervellotico fantasista uomo politico o burocrate si inventi strane soluzioni (enti inutili, strane commissioni) che porterebbero solo ad aumentare la spesa pubblica; altro che tagli alle spese caro sig. ministro Padoa Schioppa. chiostro per la stampante del fax! E allora siamo costretti a subire non solo i danni, ma anche i rimproveri di Bertolaso? Ma adesso gli incendi e i morti sono passati alla cronaca, anche se recente, ma sempre di cronaca si tratta. Sarebbe sciocco fermarci qui, addossare le colpe ai responsabili e concludere che l’esperienza negativa di quest’anno ci faccia solo riflettere nel prepararci per il prossimo anno. Purtroppo le conseguenze di una Sicilia in fiamme ci saranno e ci saranno molto presto e se non si penserà in tempo, almeno da parte delle Istituzioni, di morti e distruzioni ne potremo avere in misura maggiore. Adesso con l’approssimarsi della stagione autunnale e con l’arrivo delle alluvioni, cosa succederà nelle zone devastate dal fuoco, dove i costoni e i contrafforti delle montagne a verde colpite dal fuoco non trovano più difesa nell’apparato radicale della flora che c’era? I paesini che si trovano a valle, dove sono scomparse centinaia di migliaia di ettari di boschi, come verranno protetti nei prossimi mesi quando inizierà la stagione delle piogge ? Purtroppo in Sicilia, oggi, dobbiamo parlare anche di questo, perché non è ormai un fenomeno soltanto tropicale, l’invidiabile clima mediterraneo - siamo riusciti ad annientarlo- non esiste più e la nostra terra entra a far parte dei Paesi tropicali. E di esperienze del genere negli anni passati, anche di recente, ne abbiamo avute parecchie. Ci si dovrà attivare immediatamente, almeno pensando alla individuazione delle zone urbane ed extra urbane in pericolo; attivare una campagna di sensibilità fra la gente che risiede nelle zone a rischio con l’adozione di un piano di autocontrollo per denunziare possibili pericoli, immediatamente inviare nei territori sensibili, tecnici ed esperti per fare adottare dei veri e propri progetti di individuazione dei rischi e delle priorità nel settore degli interventi, innalzare delle strutture di difesa; potenziare la canalizzazione artificiale delle acque, provvedere alla pulitura dei canali e degli alvei dei torrenti e dei fiumi specie in prossimità di strettoie o dove la mano dell’uomo ha creato pericolose deviazioni. E poi alla fine compiere azioni di monitoraggio sulle aree destinate alla raccolta delle acque provenienti da bacini di raccolta per assicurare il razionale deflusso idrico in caso di necessario smaltimento forzato. Ci sarà qualcuno dell’area istituzionale regionale che abbia pensato a queste cose? Ci auguriamo proprio di si! 6 ROGHI CRIMINALI LA VOCE DELL’ISOLA 15-28 Settembre 2007 Incendi, occasione per i mass-media di evidenziare le carenze e le inefficienze In Sicilia la Protezione civile è composta all’80% da precari di GIUSEPPE PARISI A ncora una volta, la nostra Sicilia, in questo caldissimo agosto appena trascorso (rovente non solo a causa del clima), balza all’onore delle cronache grazie alla maggior parte dei giornali a tiratura nazionale, e non certo per episodi gratificanti. Parliamo degli incendi scoppiati a iosa un po’ ovunque, che hanno distrutto insieme ad alcune vite umane e a gran parte del patrimonio boschivo anche il nostro orgoglio isolano che, seppur ci spinge da una parte alla difesa del nostro essere siciliani, dall’altra deve cedere alla luce dei fatti e della ragione. É amara la constatazione che quanto scritto dai colleghi giornalisti del “continente” risponda, stavolta, al vero (ndr: vi invito a leggere con attenzione l’editoriale apparso sul Corriere della Sera del I settembre “La taglia sui fuochisti” a firma di Giovanni Sartori che la dice lunga su altre pungenti problematiche riguardanti l’argomento “fuoco”, questa volta a carico di un governo nazionale sordo a qualsiasi campana). Adesso, a tener viva l’attenzione sulla terra siciliana non viene sbattuta sui giornali la tratta degli immigrati, i cui articoli sono già stipati nei cassetti delle varie redazioni, pronti ad essere pubblicati con scadenza a tempo prestabilito, più o meno regolare secondo gli umori imperanti, ma di fatti gravi che investono una questione di primaria importanza, la Protezione Civile che a domare gli incendi isolani pare abbia fatto abbondante “acqua”, tanto per restare in tema. La Repubblica pubblicava, dopo ferragosto, un pezzo feroce circa alcune tubature largamente remunerate ma costruite in plastica, che non hanno però permesso (si sono liquefatte per il calore) alle autobotti impegnate nell’opera di spegnimento di potersi rifornire regolarmente. Certo, non ci consola il fatto che tanti disservizi siano accaduti anche altrove. Ma proprio “qui” non dovevano succedere, visto che sono stati impegnati nell’opera di prevenzione e nella relativa stesura dei piani d’intervento intelligenze di prima scelta, e ben pagate. Cosa non ha funzionato? Come mai i soccorsi in alcuni casi sono stati tardivi se non addirittura insufficienti? Come mai alcune comunità interessate non sono state avvisate e fatte evacuare in tempo? Questi e altri immaginabili quesiti ci attanagliano il cuore, perché persone sono morte e danni irreversibili, e comunque non recuperabili a breve termine, sono stati causati su tutta l’isola, anche quella produttiva e turistica. Usciamo frustrati da queste realtà inoppugnabili di fronte alle quali bisogna reagire bene e subito se non si vuole prossimamente ricadere negli stessi errori. Stavolta, dire che siamo una regione a statuto autonomo, è come fare karakiri, perché proprio quest’autonomia doveva e deve portarci ad una presa di coscienza e a un approccio diverso dei problemi legati al rischio d’incendio che esiste da sempre nella nostra Isola, per vari fattori tutti da verificare, e non ultimo il clima torrido. Quello che appresso riportiamo è la voce di un autorevole quotidiano che sintetizza ciò che han- picati sulle colline in fiamme, su jeep staffetta di autobotti da smistare via radio. Ma un solitario funzionario rientrato dal mare allarga le braccia, prega di non scrivere il suo nome e rivela: “quasi tutti in ferie”. Incredibile ma vero, fra le pieghe dei ritardi nel piano anti incendi e nell’affanno di una organizzazione che ha lasciato senza aiuti tanti sindaci siciliani brilla il paradosso di una circolare che ha obbligato a prendere le ferie più un esercito già in ferie…”. Il resto dell’articolo lo risparmiamo a nostri lettori perché va da sé per toni e contenuti. C’è una cosa in questo “pezzo” che ci affligge particolarmente, ed è quando il bravo Cavallaro ci molla uno schiaffone in pieno viso con il suo “qui”, perché ci sta dicendo che c’è un altrove… dove tutto funziona. Un “qui” impregnato di una superficialità che investe e ricopre tutta la Sicilia e i siciliani, “come Ai valorosi Vigili del Fuoco, alle Forze dell’Ordine e alle organizzazioni della Protezione Civile, non può mancare il nostro plauso per l’attività svolta no sbandierato in quest’ultimo periodo sia la stampa nazionale sia quella isolana, e che deve portarci, tutti, ad una seria e attenta riflessione. “Sette dipendenti su dieci sono in ferie per ordine della Protezione civile”. Così apre l’articolo di Felice Cavallaro sul Corriere della Sera del 24 agosto 2007 – Inizia: “Nel giorno dei roghi e dei lutti, bussi agli uffici della Protezione Civile, un intero edificio della Regione siciliana sulla circonvallazione di Palermo, e trovi corridoi vuoti, porte chiuse a chiave, saloni deserti. Non c’è l’ombra di dirigenti, tecnici e, come li chiamano qui, di “disaster manager”. Ovvio pensare che siano tutti impegnati a spegnere fuochi, a coordinare soccorsi, arram- del 70% dei settecento dipendenti della Protezione Civile prima di ferragosto. Una circolare datata 27 giugno, in coincidenza con la prima devastante ondata di caldo africano e di incendi dolosi . Un mese dopo, la Sicilia avvampava ancora, ma quelle tre righe redatte con accento burocratico obbligavano a usufruire del congedo ordinario di 19 giorni lavorativi e quattro festività . Il tutto indirizzato al personale contrattualizzzato ex legge n. 61\98 (Italter-Sirap) 4 province Parchi-Fiori 2. Ermetica formulazione che sta per “precari”. Quanto per scoprire che qui la Protezione civile è composta all’80 percento proprio da precari. Tutti rimasti fino al 13 agosto col posto di lavoro a rischio. Perché i contratti, da vent’anni rinnovati di anno in anno, scadevano il 31 agosto. Prorogati in extremis dal governo Cuffaro fino a Natale. In attesa di una leggina per la stabilizzazione. Ma nel dubbio, il gran capo della Protezione, un ingegnere poco amato dai suoi dipendenti […], aveva già mandato tutti a casa a rotazione per più di tre settimane con una devastante concentrazione in questi giorni di fuoco. Un modo per evitare, se davvero fossero stati messi alla porta, il pagamento delle ferie non godute. Conteggi da bilancio in deficit. Incapacità incrociate della politica siciliana e di un’amministrazione regionale che arriva con l’acqua alla gola a ferragosto per lasciare in servizio sempre”, aggiungiamo noi, soppesati in negativo e presentati “fascio di tutta un erba”. Le responsabilità, che sicuramente ci sono, quando saranno accertate (ma saranno accertate?) ci mostreranno appartenere solo a qualche funzionario inefficiente e non certo a tutta un’organizzazione che ha ben evidenziato, ancora una volta e ancor di più in questa occasione davvero catastrofica, di saper lavorare sodo e bene. Ai nostri valorosi Vigili del fuoco, agli uomini delle Forze dell’Ordine e a tutti quelli delle altre organizzazioni componenti il settore della Protezione Civile che hanno compiuto l’opera di spegnimento, non può mancare il nostro plauso per l’attività altamente meritoria svolta con abnegazione e sprezzo del pericolo. Ben sappiamo infatti di altre cronache “locali” non debitamente divulgate dai mass- media d’oltre stretto, che hanno visto uomini e donne, volontari della Protezione Civile, forze dell’ordine e vigili del fuoco a tutti i livelli operativi, stanchi per i turni di riposo a cui hanno rinunciato ma ben “presenti” pur di non venir meno al loro dovere. Piccoli, grandi episodi non c’è dubbio, in questa bollente estate che rimarcano ancora una volta come le responsabilità non vanno ricercate fra gli operatori ma fra altri soggetti più in alto, che avevano il dovere di assumersele, visto anche i lauti stipendi che percepiscono. Chi scrive, e non lo dice per vanto, proprio subito dopo il collocamento nella riserva, ha inteso rendersi utile alla società scrivendo un modesto manuale dal titolo che è tutto un programma: “L’organizzazione dei soccorsi in caso di calamità” dove ha inteso mettere a disposizione di tutti l’esperienza maturata nei molti anni in cui è stato impegnato, quale Ufficiale, a far funzionare, migliorare e crescere una istituzione essenziale della Nazione qual è l’Esercito Italiano, che da sempre ha collocato tra gli obiettivi primari “l’organizzazione” e la “sicurezza”. Non sono i titoli che fanno “qui” un “disaster manager” ma l’esperienza, che in molti casi manca e alla quale si può supplire non con la buona volontà, perché da sola non basta, ma con la preparazione al compito. Istruttori seri e preparati non mancano nelle giuste sedi istituzionali, alle quali bisogna sempre far riferimento in tempi “normali”, che sappiano formare capillarmente il personale che dovrà essere impiegato durante l’emergenza. Non sono certo i classici e ben conosciuti gesti scaramantici che allontanano gli eventi disastrosi o ne contengono gli effetti. All’insorgere di una calamità, può porvi un serio contrasto solo un’ottima e minuziosa organizzazione del personale preposto alla Protezione Civile, accompagnato da una sana e corretta gestione dei mezzi in dotazione. Lo abbiamo già detto, ma non ci stancheremo mai di ripeterlo che sono le esercitazioni continue e improvvise a far sì che allo scoccare dell’emergenza, qualsiasi questa sia, le risposte arrivino immediate e automatiche. Tanto più c’è l’immediatezza dell’intervento, tanto meno saranno i danni che subiranno le persone e il territorio. Ci sia consentito, ancora una volta, essere fortemente critici con tutte quelle esercitazioni di Protezione Civile che sanno di parata trionfale. I cosiddetti “vasetti”, dove il pericolo simulato è noto da tempo e studiato a tavolino in tutte le sue implicazioni, compresa quella implicita o esplicita che sia, di far parlare bene la stampa e le emittenti televisive che creano opinione intorno alla Protezione Civile. Queste burlette servono solo a far ben figurare il politico di turno che si appiccica sul bavero una patacca di merito per le successive elezioni. Se qualcuno crede di giocare con la Protezione Civile magari indossando una divisa nuova per andare in giro a pavoneggiarsi, sappia che non è più il momento delle feste di paese e mai lo è stato. I fatti gravi accorsi non solo in Sicilia e che purtroppo prevedibilmente accadranno ancora, impongono una preparazione specifica e una conoscenza capillare dello strumento “Protezione Civile” che sia a menadito più si ci eleva nella catena gerarchica organizzativa ed operativa. Gli improvvisatori e i volontari “sui generis” privi di adeguata preparazione non servono a nulla e fanno solo confusione, soprattutto se poi occupano posti di coordinamento e controllo a cui sono preposti solo perché facenti parte di questo o quell’ufficio tecnico o per aver partecipato o peggio, presenziato a qualche corso. Alcuni episodi a noi ben noti e pubblicati sul nostro giornale locale “Informa Sicilia”, ci portano però a pensare che siamo, ahimè, ben lungi da una collaborazione costruttiva fra le varie componenti del volontariato di P.C. appartenenti alla stessa comunità, essendosi accese, di recente, polemiche sulle competenze. L’INTERVISTA LA VOCE DELL’ISOLA 15-28 Settembre 2007 7 A colloquio con il sindaco del Comune pedemontano, Nino Borzì Nicolosi porta dell’Etna carta vincente del turismo di GIUSEPPE FIRRINCIELI I l nostro viaggio continua, su per il corollario dell’Etna, ovvero per quei centri abitati che formano e fanno l’altra Catania. Ora ci incontriamo con il nuovo sindaco di Nicolosi, il geometra Nino Borzì. Sulla scrivania del primo cittadino è poggiato bene in vista il programma politico, un libretto, stampato in quadricromia, dal titolo molto semplice “Idee per Nicolosi” e con il sottotitolo “Programma elettorale 20072012” del candidato Sindaco Nino Borzì. In attesa che il primo cittadino si renda libero dal suo cellulare per dare seguito ai nostro appuntamento, terzo di una serie che quindicinalmente ci porta da un Comune all’altro, per dare informazione sulla questione amministrativa e come vivono i cittadini delle realtà urbane dell’altra Catania, abbiamo iniziato a sfogliare il libretto e dalla prima pagina abbiamo capito di aver trovato un politico locale che tiene molto non solo al suo paesino, ma ai cittadini che vi abitano: “La capacità progettuale di un’amministrazione passa attraverso un’analisi accurata dei bisogni e delle necessità della Comunità, che non sono altro che i bisogni e le necessità della sua cellula base, la Persona… la persona è bambino, è giovane, è adulto, è pensionato, è anziano Un percorso di vita che corre su uno stesso binario, ma con bisogni, ruoli, potenzialità fortemente differenziati”. Antonino Borzì, Nino per gli amici, sposato con la signora Adriana e due figli, quarantanni compiuti è funzionario al Comune di Aci Bonaccorsi, ma in aspettativa per la carica di sindaco di Nicolosi a tempo pieno; in politica da giovane democristiano ventenne, ha svolto ininterrottamente la carica di consigliere comunale, essendo stato presidente del civico consesso dal 97 al 2001. Dalle ceneri della Democrazia cristiana confluisce nella Margherita ed oggi gode di una maggioranza in consiglio interamente di centro, ovvero ha l’appoggio di consiglieri del MPA, UDC, Margherita e Italia dei Valori. Dopo dieci anni di sindacatura Moschetto. Turi Moschetto, il sindaco delle famosa eruzione dell’Etna del 2001 e che la stessa ha visto litigare scienziati come Barberi, allora responsabile della Protezione civile nazionale, ed il professore Boschi, sul fatto di mancati interventi di preallertamento per la prevenzione dai rischi e dai danni provocati dal vulcano Etna, e l’impegno dell’onorevole Nello Musumeci, allora presidente della massima istituzione provinciale, nel pensare ad una ricostruzione immediata delle strutture viarie e ricettive, travolte dalla lava, la cui operazione venne chiamata “Emergenza Etna 2001”. Ricordiamo lo sbigottimento del vulcanologo Romolo Romano che seguendo l’evolversi dell’eruzione, diceva: “In quarantanni non ho mai visto l’Etna così arrabbiata! E chiaramente si riferiva all’attività stromboliana del vulcano più alto d’Europa. Ma per la cronaca, l’Etna in quel frangente aprì delle pagine nere sui rapporti sociali con gli italiani nordisti. Qualcuno ricorderà bene quelle frasi scritte sui muri delle città del Nord come “Forza Etna, vedrai che ce la fai, adesso Vesuvio pensaci anche tu!”. Ma i siciliani hanno risposto in modo diverso e proprio quando ci fu l’alluvione in Piemonte ed il Po straripò, i volontari di gruppi di sommozzatori etnei partirono subito ed andarono a sturare i canali ottu- Il sindaco di Nicolosi Nino Borzì rati da pietrame, rami e fango, per far defluire le acque e liberare molta gente in pericolo di vita. Sindaco, buon pomeriggio, il nostro giornale sta realizzando un tour di interviste nel cosiddetto comprensorio etneo e aspettando lei, ci è capitato fra le mani il suo programma elettorale risalente allo scorso mese di maggio, quando sono avvenute le elezioni amministrative. Lei sa benissimo che Nicolosi Italia” di 220 anni fa. La mia cittadina merita di ridiventare un luogo di soggiorno prolungato che offre proposte e servizi adeguati e desidero fortemente portare avanti un progetto che accomuni un patto tra i vari Enti regionali, provinciali e locali che trattano il turismo, per arrivare in modo sinergico alla realizzazione di un distretto turistico, di cui Nicolosi diventi Comune capofila. Ma Nicolosi negli anni 50, 60 e 70 cio voluta allora dall’Amministrazione provinciale di Musumeci ha trasformato radicalmente l’area dei Pini, riducendo la frequenza a pochissimi adulti e aumentando solo quella giovanile. Comunque è in programma un progetto di recupero turistico vacanziero e non quello cosiddetto “Mordi e fuggi”. Cercheremo di valorizzare gli impianti sportivi esistenti per migliorare la loro fruibilità, nell’area dei Monti Rossi – Cittadella dello sport e della musica. Ci siamo attivati nell’ organizzare una serie di serate di intrattenimento con fondi comunali; con 36 mila euro abbiamo organizzato l’estate 2007. Ma proprio questo è un turismo “Mordi e fuggi”! A Nicolosi ed in tutto il territorio comunale abbiamo due tipi di turismo, il primo che riguarda Nicolosi Nord (l’Etna) ed è quello mordi e fuggi, perché i pacchetti turistici prevedono escursioni a tempo, solo di poche ore, sia di inverno che d’estate; secondo il turismo stanziale che dura poco, 2-3 giorni al massimo nei nostri alberghi, tra luglio ed agosto e viene registrato normalmente il pienone per una copertura massima di 800 posti letto. Il programma politico amministrativo intende proporre per l’appunto una variante più consistente per evitare i brevi soggiorni ed i vuoti stagionali, cioè ampliare le offerte in periodi meno richiesti come aprile, maggio, settembre e ottobre. Un esempio di attrazione? Il grandioso evento in cui stiamo lavorando “Vulcanica lavori in corso” ed “Etna e il vulcano attivo” con il Recupero del turismo diverso dal “mordi e fuggi”, valorizzazione degli impianti sportivi esistenti, rilancio degli incontri culturali dovrebbe essere il primo centro turistico vacanziero dell’intera provincia Etnea. A parte il fatto che anche qui vi sono tanti residenti pendolari, ma Nicolosi ha una propria identità che non può essere minimamente trascurata, quella di porta dell’Etna. L’obiettivo primario della mia amministrazione è proprio quello di fare di Nicolosi il punto di partenza per arrivare sull’Etna, come avveniva così con gli ospiti illustri che fin dalla seconda metà del 18° secolo si susseguirono a Nicolosi, uno per tutti Goethe come si legge nel suo “Viaggio in era una realtà vacanziera, d’estate le case di via Padovano e dintorni si popolavano di catanesi che trascorrevano le vacanze con le famiglie. Si è vero tutto ciò. In molti venivano a Nicolosi, affittavano le casette, si trasferivano con le famiglie, magari di mattina scendevano alla plaia di Catania per prendere il bagno, poi tornavano a godersi la bell’aria di questi luoghi e gustarsi la frescura delle pinete circostanti, andare a giocare ai tamburelli nel pomeriggio e la sera a frequentare la balera che stava ai “Pini”; purtroppo questi due ultimi siti non esistono più, la pista di ghiac- premio internazionale di vulcanologia; gemellaggi con altri Paesi che vivono la vicinanza di un vulcano. I rapporti con il Parco dell’Etna? I rapporti di collaborazione con l’ente Parco in precedenza sono stati molto ostili, adesso si è instaurato una buona intesa e si punta su progetti interessanti come la realizzazione di nuovi percorsi naturalistici, la stessa sede del Parco è diventata meta turistica per la presenza di una banca di un “Germo plasma”, cioè la possibilità di preservare la flora autoctona dell’Etna. I nicolositi come vivono? L’agricoltura va a ridimensionarsi, tanto è vero che i contadini vanno a scomparire e di contro aumenta il terziario turistico, un’altra piccola fetta del territorio potrà essere definita zona dormitorio, cioè dei pendolari che risiedono a Nicolosi, ma che lavorano a Catania e dintorni, ma la fetta più grossa dei cittadini è gente che risiede e che lavora a Nicolosi; comunque oltre al turismo, sta prendendo piede il commercio dei prodotti tipici locali; poi esiste anche un centro artigianale dove trovano sede 9 imprese con un patrimonio di risorse umane di circa 50 unità e poi c’è un padiglione espositivo nel quale è stata realizzata la scuola di ceramizzazione della pietra lavica. Adesso parliamo dei prossimi cinque anni. Beh! I programmi della mia amministrazione, in primis partono con la cura e lo sviluppo turistico e da ciò derivano tante cose, come la realizzazione del centro Studi di vulcanologia, poi per la crescita della popolazione dobbiamo pensare alle scuole, alla cittadella dello sport e della musica, la ristrutturazione del piano regolatore, questo problema pone dei vincoli di scadenza, a ottobre prossimo si dovrà pensare alla rimodulazione dello strumento urbanistico e alla realizzazione del piano particolareggiato del centro storico. E poi la patata bollente delle tasse locali Tia e Ici; la nascita degli Ato coincide con i problemi economici dei Comuni ed in particolare a Nicolosi ci troviamo in una situazione di vera crisi, visto che le anticipazioni fatte negli anni 2004 e 2005 all’Ato ammontano a circa 900 mila euro. Le risultanze, oggi, ci portano ad un aumento di ben oltre il 50 per cento della Tia e ad un conseguente peggioramento del servizio. L’Ici per fortuna negli ultimi anni è stata mantenuta costante e cioè del 5,50 per la prima casa e 6,50 per la seconda casa, mentre negli ultimi mesi della scorsa legislatura, il consiglio comunale ha deliberato l’aumento dell’addizionale Irpef portandola all’aliquota massima consentita. La sicurezza? Nicolosi non ha registrato incursioni delinquenziali di rilievo come nei Comuni vicini, in termini di rapine e furti, ma più che altro si sono registrati diversi atti di vandalismo. E quindi si è pensato di adottare un progetto per la realizzazione del telecontrollo delle opera pubbliche più importanti, in modo da tutelare il patrimonio pubblico e conseguentemente monitorare anche strade e piazze per garantire una certa sicurezza ai cittadini. LA VOCE DELL’ISOLA 8 15-28 Settembre 2007 Campagna delle primarie del Partito Democratico con tre candidati in corsa Il pallido Enrico Letta e la corsa ad handicap di MARCO MATURANO * E ccoci alla partenza ufficiale della campagna delle primarie del Partito Democratico e tre candidati in corsa sono quelli davvero. Le posizioni che sondaggi e media fotografano oggi non danno dubbi. La corsa la tira l'irraggiungibile sindaco di Roma, lo marca ad uomo (ma senza fargli sentire il fiato sul collo) Rosy Bindi e, dietro la pasionaria, ma con uno stile di corsa da lord inglese, ecco Enrico Letta. Già Enrico Letta, il giovane (per la media italiana) talento che corre in nome e cognome degli anni '80, del ricambio generazionale e, diciamolo, anche della sua responsabilità di governo come sottosegretario di quel Romano Prodi che oggi tutti sembrano schivare. Ma come sta affrontando la competizione il giovane Enrico? La risposta forse si sposa con la sua posizione di gara in questo momento. Ovvero, una corsa senza grandi accelerazioni e con qualche parziale curva sul rettilineo. Una corsa che sta al momento a metà tra la corsa per testimonianza e quella vera. Una corsa che per far sì che cambi almeno la posizione rispetto alla Bindi dovrà di certo variare schemi e ritmi, schemi e ritmi che valorizzino le potenzialità di Letta davvero. Il primo punto problematico, non riparabile, della scesa in campo del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio è stato sicuramente quello dei tempi di scelta. Il tempo ideale sarebbe stato senza dubbio appena dopo il ritiro di Bersani e prima della scelta della Bindi. Il lieve ritardo ha tolto a Letta, infatti, la possibilità di rappresentarsi sin dall'inizio comunque come la vera alternativa a Veltroni. Posizione che ad oggi ha occupato davvero la Bindi. Il secondo punto che caratterizza la campagna di Letta è la personalità. Bisogna riconoscere che, rispetto all'immagine più compassata che normalmente dà di se, è riuscito a lanciare qualche segnale di una maggiore naturalezza, segnali che sono per lui un valore aggiunto. Segnali che, tuttavia, potrebbe sfruttare ancora meglio, rendendo ancora più evidente la differenza anagrafica proprio attraverso il modo di affrontare la politica e la gente. Il terzo elemento è proprio la questione generazionale. Fino ad oggi, inclusa la riuscitissima tre giorni di VeDrò svoltasi qualche settimana fa e con cui Letta da tre anni porta avanti l'idea della costruzione degli scenari della nuova classe dirigente, il tema del ricambio generazionale è stato al centro della sua campagna delle primarie. Ovviamente le icone degli anni '80 e lo stile della campagna sono un aiuto in questa direzione, che però necessita anche di proposte da giovane classe dirigente, proprio sul modello di quelle prodotte a VeDrò. Altrimenti la sensazione fino ad oggi è quella della dichiarazione di intenti. Quarto punto è quello del ritmo e dell'aggressività della campagna. Fino ad oggi, a partire dal lancio della candidatura su internet per continuare con le posizioni assunte e con la pressione gentile sui media, la campagna di Letta è una campagna da gentleman. Con il limite che mai fino ad oggi questa scelta ha dettato l'agenda alle primarie e soprattutto ai suoi due principali concorrenti. E' il punto sul quale Letta dovrà lavorare di più, pur nel rispetto di una campagna che non dovrebbe essere di demonizzazione degli avversari. A sinistra: Walter Veltroni e Rosy Bindi. Sopra: Enrico Letta I sondaggi e i media fotografano una situazione senza dubbi: la corsa la tira il sindaco di Roma Quinto e ultimo punto il pubblico che si è scelto Letta. Dalla prima apparizione con il video su internet la direzione è sembrata essere quella di una campagna pensata su un pubblico alto (per cultura e collocazione politica) e prevalentemente interessato alla questione generazionale. Il seguito, però, non ha sempre dato un'idea di coeren- za rispetto a questa direzione ed è mancato il collante tra le correzioni di rotta. Esempio ne sono il sostegno di Califano e Casadei, mixato con l'inno dei Nomadi. Per quanto poco contino queste cose, come le playlist di Veltroni e gli appelli del mondo dello spettacolo a suo favore o contro (De Gregori), l'idea del mettere insieme in corsa cose diverse può permettersela più il natural born winner Veltroni dello sfidante che rischia di più Letta. Il tempo non manca e insieme non è tantissimo perché Letta scelga se ritiene che funzioni la sua corsa o no. Certo che il suo evento di Piacenza a un mese dal voto delle primarie do- vrebbe essere il punto di arrivo di questa scelta e non di partenza perché la gara possa dare a Letta il risultato che davvero desidera. Il tempo del Vedremo diciamo che è già alle sue spalle. *Presidente di GM&P Dirigente di Giornalismo Politico IULM Sarkozy ha segnato un goal Italia Campione del mondo, Francia alla conquista del Mediterraneo di FRANCO LOMBARDO N ella precedente edizione,nell’inserto speciale, è stato raffigurato il Presidente francese con il cappello di Napoleone Bonaparte, simbolica immagine di un uomo alla conquista dell’Europa. Ma cosa è cambiato da allora ad oggi? Probabilmente poco! A quel tempo tante potenti nazioni ed imperi divisi territorialmente ma uniti per contrastare la prorompente forza militare francese, oggi tanti stati democratici uniti per una Europa governata da interessi economici e finanziari comuni per mantenere e rafforzare la centralità del territorio contro i blocchi contrapposti dell’est e dell’ovest. Dal 1956 ad oggi, sicuramente si sono fatti passi da gigante, nella sostanza l’unica vera “ forza “ che unisce ( e non sempre ) questi stati è la moneta unica poiché per il resto c’è ancora molta strada da fare. La fallimentare politica americana degli ultimi anni ha creato non pochi problemi al sistema europeo, che deve difendersi non solo dall’egemonia statunitense, ma deve guardare con la lente di ingrandimento gli sviluppi del medio-oriente, le strane mosse di Putin in una Russia che potrebbe tornare ad autoreferenziarsi ricreando un neo blocco dell’Est europeo( va ricordato che la Russia è forse la Regione più ricca al mondo di risorse naturali e territoriali ) ma ancora di più all’India ed alla Cina. Tutto passa dall’Europa ed in particolare dal Mediterraneo, il mare nostrum che di nostro ha ben poco considerata l’inefficienza politica dei governi italiani. Qualche tempo fa, un nostro Presidente della Regione, oggi purtroppo nel mondo dei più, ebbe Il premier francese Nicolas Sarkozy la forza di iniziare un serio lavoro di contatti e collegamenti tra la Sicilia ed i Paesi del Mediterraneo valutando tale manovra come essenziale per la centralità della nostra terra e di tutto il continente peninsulare; poi solo chiacchere ed il libero scambio del 2010 ( 2012 ? ) appare ancora lonta- no. Sicuramente la staticità politica ed economica dell’Europa non può durare ancora per molto, ed ecco che si affaccia sulle sponde del Mediterraneo questo nuovo Napoleone ( Sarkozy, anche lui non molto alto ) con propositi di conquiste non militari ( non potrebbe ) ma egemoniche dal punto di vista commerciale e politico. Per fare ciò deve prima ristrutturare il sistema interno della nazione che non è immune ai problemi socio-politici del momento, per poi dedicarsi alla conquista estera. E’ un uomo intelligente e pratico, e se non si fa prendere la mano dalla solita arroganza e prosopopea francese ( anche gli inglesi non scherzano in tal senso ) può iniziare un vero percorso innovativo per la Francia e forse per tutto il Mediterraneo. Mette in pratica il suo progetto chiamando al capezzale del malato Europa un luminare delle scienze politiche-economiche: il prof. Monti, docente alla Bocconi di Milano, uomo di punta nella comunità europea, libero pensatore, grande economista, fedele al liberismo e non al liberalismo. Cosa si vuole di più ? Sicuramente l’Italiano Monti, saprà portare avanti il suo ruolo con dedizione e grande professionalità, come tanti altri cervelli italiani all’estero, ma ancora una volta c’è da chiedersi: perché la politica italiana di destra o di sinistra non lo ha mai impegnato seriamente? Forse perché troppo serio, troppo professionista o forse perché un uomo del genere avrebbe veramente dato fastidio al massimalismo di sinistra oppure ad un pseudo riformismo di centro o di destra ? Intanto aspettiamo di vedere cosa farà il novello Napoleone in groppa al Suo bianco destriero. SPECIALE di Salvo Barbagallo G li accadimenti che caratterizzano la vita di un Paese possono essere descritti in vario modo: o raccontando i fatti, riportandoli fedelmente dopo averli acquisiti da fonti certe, oppure interpretando i fatti, con l'obiettivo di accertare le cause che i fatti hanno determinato. Nell'uno e nell'altro caso la ricerca dovrebbe essere obiettiva, cioè non strumentale, né di parte, poiché, in caso contrario, si offrirebbe un insieme, un pac- chetto preconfezionato di luoghi comuni lontani dalla realtà o, comunque, mistificatore della realtà. Parlare della Sicilia e di ciò che in Sicilia è accaduto dagli anni che vanno dal fascismo ai giorni nostri (o quasi) può essere lavoro facile se si vogliono ripercorrere i luoghi comuni; diventa già opera più complessa voler riportare i fatti asetticamente, con animo cronacistico; impresa ardua voler penetrare nei meandri delle cause che i fatti hanno pro- vocato. Noi intendiamo dare una chiave di lettura ai fatti che possono essere stati all’origine dei fatti stessi, ipotizzando un teorema: il “teorema siciliano”. (Segue nelle pagine successive) LA VOCE DELL’ISOLA LA VOCE DELL’ISOLA 15-28 Settembre 2007 15-28 Settembre 2007 Una chiave di lettura per capire avvenimenti dalle origini a tutt’oggi ignote L’associazionismo come forma di mutuo soccorso Stato, Chiesa, Massoneria segreta Onorata società e Mafia I l teorema siciliano parte dall’ipotesi che in un determinato periodo storico uomini appartenenti a quattro “aggregazioni” di natura diametralmente diversa, Stato (nel senso delle Istituzioni, più propriamente degli uomini che hanno costituito il corpo delle Istituzioni, politici compresi), Chiesa (partecipazione di esponenti dell’Alto clero, di strutture finanziarie del Vaticano, di appartenenti all’Opus Dei), Massoneria (in quanti hanno mantenuto la loro adesione in forma segreta e occulta) e Mafia, si siano trovati in accordo per raggiungere precisi obiettivi, mirati inizialmente, ma molto genericamente, agli interessi della collettività (nazionale e internazionale) e poi sfociati, praticamente e concretamente, in interessi di potere di raggruppamento (in senso assoluto). In merito a questo teorema Stato, Massoneria, Chiesa e Mafia quale perno sul quale ipoteticamente hanno ruotato gli avvenimenti che hanno costituito le fondamenta dell’edificio della nuova Sicilia autonomistica e di gran parte della struttura dello Stato italiano, intendiamo ricordare che i tempi e le situazioni in cui gli appartenenti a queste aggregazioni hanno agito negli anni che hanno preceduto lo sbarco anglo-americano in Sicilia, nel 1943, erano ben diversi dagli attuali: coinvolgevano Paesi diversi, e la valenza dei personaggi stessi era ben lontana, a tutti i livelli, da quella dei discen- C denti che ne hanno assunto, direttamente o indirettamente, l’eredità. Probabilmente le stesse intenzioni (leggasi motivazioni) che hanno spinto protagonisti di natura, ceto e cultura diverse a percorrere una stessa strada, potevano essere condivisibili (leggasi Machiavelli “il fine giustifica i mezzi”) in quei periodi e inserite in quel determinato e particolare contesto storico. È chiaro che protagonisti e loro azioni riletti a distanza, nel Terzo Millennio, e viste le conseguenze che hanno provocato, assumono connotazioni che oggi non solo non possono essere condivise, ma soprattutto non possono essere comprese nella loro reale dimensione. Il teorema enunciato, pertanto e a nostro avviso, può essere utilizzato solo come chiave di lettura per capire connessioni altrimenti difficili da individuare, e usato mantenendo la massima cautela nell’esprimere un giudizio di merito, per evitare il rischio di cadere nei luoghi comuni che per tanti decenni sono stati spacciati per verità assolute. Inoltre, gli elementi del teorema Stato, Chiesa, Massoneria e Mafia di quegli anni non sono certo quelli che la pubblicistica – più o meno di comodo – nel corso di oltre un cinquantennio, ha divulgato o tenuti segreti, alimentando, strumentalmente o involontariamente, una ignoranza sicuramente utile a quanti hanno voluto mantenere uno stato di conoscenza molto nebulosa. esercitato in prima persona da chi lo detiene, costituiscono i principali fattori dai quali si snoda il processo di attivazione degli interessi che trovano nel territorio-Sicilia il luogo ideale di sedimentazione e il laboratorio sperimentale per le pianificazioni economiche e politiche che vengono applicate solo in minima parte localmente, ma che vengono proiettate altrove, dove, appunto, gli interessi principali convergono. È difficoltoso ricomporre il mosaico degli accadimenti che hanno caratterizzato la vita della Sicilia nell'ultimo secolo, tenuto conto anche che agli scenari socio-politicoeconomico-militari si sono intercalati continui adattamenti nelle linee strategiche tracciate da coloro che sono stati protagonisti (spesso non noti) dei fatti stessi. Non è possibile andare alla ricerca di fonti documentali; non è possibile attingere a memorie storiche in quanto, ovviamente, gli stessi protagonisti hanno provveduto e provvedono (quelli ancora in vita) a coprire le loro azioni passate. Insufficienti, dunque, i punti di riferimento certi. Essendo, però, identificati i pochi elementi - la ricchezza, il potere - che stanno alla base dei variegati intrecci, si può delineare la struttura del mosaico, pur se mancano molti tasselli; si può ricostruire il puzzle della storia siciliana strettamente connessa a quella dell’Italia e di diversi Paesi europei ed extraeuropei, almeno in riferimento agli ultimi sessanta anni. Come premessa all'analisi sulla centralità della Sicilia, nella sua storia e nella sua prospettiva, sono i ruoli ricoperti da alcune nazioni (principalmente Gran Bretagna e Stati Uniti d'America) e da alcune aggregazioni umane (Mafia, Massoneria, Chiesa, Servizi segreti, Politica) nell'indirizzo che è stato dato, a vario titolo, agli episodi che hanno caratterizzato gli ultimi anni del Secondo conflitto mondiale nell'isola, che hanno costituito la base della realtà odier- hiesa, Mafia, Massoneria, Politica, Mondo economico. L'associazionismo è stato costantemente un fattore determinante nella vita della Sicilia, costituendo, nelle varie forme in cui si è manifestato, elemento fondamentale di sopravvivenza, di mutuo soccorso, di autodifesa, di distinzione di classe. L'associazionismo, dunque, forte legame, in determinati casi indissolubile, fra quanti accettano un vincolo reciproco basato su specifici interessi. Quali che siano. Anche per una particolare predisposizione naturale dell'Uomo Siciliano, l'associazionismo segreto, o riservato, o discriminatorio, ha avuto modo di radicarsi sia nel tessuto sociale delle classi dominanti, sia nei ceti medi e nei ceti meno abbienti che, di riflesso, hanno cercato formule di aggregazione imitative, o formule di aggregazione in opposizione Le radici della Massoneria in Sicilia si perdono nel tempo e sicuramente possono considerarsi antecedenti alla stessa Cristianità, se si tengono nel debito conto le trasformazioni che la Chiesa si vide costretta ad operare (feste dedicate a Santi) per fare fronte alle cosiddette ritualità pagane, con l'obiettivo di non perdere i favori e il seguito popolari e di acquisire fedeli sotto l'ombrello della religione. Le radici della Massoneria in Sicilia, pertanto, vanno ricercate negli antichi riti trasmessi dai vicini Paesi del Mediterraneo (vedi l'Egitto, e il rito di "Memphis e Misraim", sino ad oggi attivo), piuttosto che nell'Illuminismo europeo che ebbe funzione determinante quale "catalizzatore" di una materia non ancora codificata in una moderna funzionalità associativa finalizzata a scopi sociali e politici. Nell'Ottocento la Massoneria siciliana diventava espressione di una classe che intendeva mantenere il segreto sulle proprie attività: così come i Liberi Muratori europei rimanevano padroni dei misteri, si trasformava facilmente in associazione segreta che si contrapponeva al potere dominante, trasformandosi ulteriormente, a sua volta, in potere. Dall'altra parte, l'Onorata Società, nata dall'esigenza di coprire il vuoto lasciato dallo Stato, si manifestava come espressione di equilibrio e di giustizia in una società dove, appunto, lo Stato non esercitava la sua funzione, finendo con l'assimilare il sistema strutturale-organizzativo della Massoneria quale società segreta. Storicamente, ai primi dell'Ottocento, l'area di formazione del modello dell'Onorata Società era su base estremamente settaria, così come lo era la Massoneria; nel secondo Ottocento l'Onorata Società al settarismo aggiungeva il mutuo soccorso, così come avveniva nella Massoneria. Onorata Società e Massoneria trovavano, pertanto, momenti di incontro, momenti di alleanza. I territori dove questo reciproco travaso è stato più accentuato (e dove in diverse istanze esiste ancora) Trapani, Palermo, Caltanissetta, Enna. La trasformazione dell'Onorata Società in Mafia-soggetto di arricchimento economico con metodi violenti e di sopraffazione, non poteva non influire sui continui adattamenti del modo d'essere della Massoneria nei territori della Sicilia occidentale. La Mafia diventa, così, una ramificata associazione a fini criminali, riferendosi al sistema organizzativo piramidale tipico della Massoneria. La Mafia, insomma, prende a mutuare i propri modelli in maniera funzionale agli obiettivi che intende raggiungere, adattandosi al mutare dei tempi e dei luoghi con tutta una serie di caratterizzazioni culturali specifiche degli uomini di comando che ne costituiscono il vertice, e della qualità degli uomini e dei mezzi che ha a disposizione. La Mafia è, a questo punto, una organizzazione criminale organizzata, saldamente strutturata, che si avvale nel tempo di rapporti con ogni tipo di potere (pubblico, economico, sociale) per svolgere le proprie attività. La Massoneria della Sicilia occidentale, presa a modello dall'Onorata Società, in vari comparti, subisce la trasformazione di quell'aggregazione in Mafia, organizzazione di sfruttamento che sta al passo con i tempi. Non c'è dunque da stupirsi di trovare (ieri, come presumibilmente anche oggi) in un gruppo massonico (ieri nella sola Sicilia occidentale, oggi presumibilmente sul piano nazionale e internazionale) personaggi (nel mondo pubblico o privato) di un certo rilievo che realizzano insieme con i cosiddetti mafiosi un livello di collaborazione che può avere riflessi politici o economico-affaristici. Il Caso Sindona è un esempio emblematico. In questo quadro nessuno può escludere (come hanno dimostrato gli scandali dell'ultimo trentennio) che in determinati momenti personalità del mondo politico o imprenditoriale con origini massoniche, possono essere stati (o sono) organiche all'interno di operazioni di natura squisitamente mafiosa. Ciò si è verificato quando tra la Mafia e potere politico-economico-massonico si è avuta (e si può avere) una sostanziale coincidenza di finalità riguardanti, soprattutto, la gestione di interessi comuni. Da tenere nel giusto conto che gli elementi alla base della progressiva integrazione tra Massoneria e Mafia, sotto la compiacente copertura quantomeno di una parte della Chiesa, hanno avuto ragioni specifiche proprio negli anni del Secondo conflitto mondiale, con una forte accelerazione nel periodo antecedente allo sbarco alleato in Sicilia, per consolidarsi alla fine della guerra e articolarsi (come già rilevato) in precisi patteggiamenti, sfociati ufficialmente nel compromesso della concessione alla Sicilia dello Statuto Speciale Autonomistico, ma che possono benissimo sottindendere altri tipi di accordi. Le radici della libera muratoria in Sicilia si perdono nel tempo e sicuramente possono considerarsi antecedenti alla stessa Cristianità Don Calogero Vizzini Ruolo determinante della Sicilia in riferimento agli scenari internazionali N on è azzardato affermare che la Sicilia ha avuto, in qualsiasi tempo, un ruolo importante e spesso determinante non solo nella vita del Paese, ma anche in riferimento allo scenario internazionale. La posizione geografica dell'isola estremamente strategica da un punto di vista degli scambi commerciali e come avamposto militare - ha fatto sì che la Sicilia diventasse crocevia di interessi variegati che hanno costantemente travalicato i confini nazionali, ma che sempre nel territorio regionale hanno trovato la loro ragione d'essere. È per questi motivi che personaggi siciliani hanno ottenuto e detenuto un potere economico, politico e criminale che è riuscito a condizionare lo sviluppo e il futuro della regione ed a provocare particolari scelte di indirizzo politico sia sul piano nazionale che nei rapporti internazionali. In poche parole, la Sicilia ha avuto costantemente una sua particolare centralità negli avvenimenti più incisivi della storia italiana, dell'Europa, dei Paesi del Mediterraneo e, spesso, dei Paesi d’Oltre Oceano. Centralità accentuatasi maggiormente nel corso dell'ultimo secolo; centralità che la Sicilia continua a mantenere al di là di quanto possa trasparire, al di là delle apparenti condizioni di sudditanza al potere politico ed economico centrale, al di là del diffuso malessere delle classi meno abbienti. La ricchezza è accentrata nelle mani di una circoscritta classe dominante che rifugge dall'apparire. Questa classe dominante, nel corso dell'ultimo mezzo secolo, ha raffinato le sue strategie, creando rapporti imperscrutabili con il mondo finanziario, politico (a volte anche con quello criminale) nazionale e internazionale. A supporto di tale classe dominante, una serie di sub categorie e di forme di associazionismo trasversali non sempre identificabili. L'accumulo della ricchezza, l'esercizio del potere quasi mai 11 na. Ciò che è accaduto, infatti, dal 1940 sino allo sbarco degli Alleati in Sicilia, all’occupazione dell’isola (luglio 1943), fino ai primi anni dell’autonomia dell’Isola, è stato rilevante: ha visto in prima linea personaggi che hanno agito in nome e per conto degli Stati Uniti, dell'Inghilterra, della Mafia, della Massoneria, della Chiesa. È in quegli anni che questi personaggi hanno costruito la ricchezza e il potere che, poi, hanno condizionato nei decenni successivi non solamente il futuro della Sicilia, ma anche molti degli assetti socio-politicoeconomici dell'Italia, influenzando e, a volte, determinando le stesse strategie dei governi in ambito nazionale, europeo e, spesso, nell'ambito di alcuni Paesi del Mediterraneo. È un periodo estremamente complesso ed articolato, quello che va dagli Anni Quaranta sino alla conclusione del conflitto mondiale, poiché in quei 5 anni si stabilirono accordi e patti scelleratiindissolubili (quali i personaggi che agirono? quale la dimensione e la sostanza dei patti?) che sarebbero dovuti durare 50 anni, e che non riguardavano soltanto il futuro della Sicilia, ma anche quello dell'Italia e degli equilibri che si sarebbero dovuti stabilire nello scacchiere del Mediterraneo. È sufficiente ricordare che la Sicilia venne liberata nel luglio del 1943, quando le sorti della guerra non erano ancora certe; che l'Italia venne liberata nell'estate del 1945 e che l'Italia divenne Repubblica nel 1946 per potere superficialmente capire quali enormi interessi vennero giocati in Sicilia proprio in quella manciata di anni. Comprensibile, da parte di coloro che condussero gli eventi, la necessità di cancellare ogni traccia del loro operato. Comprensibile, soprattutto, la necessità di fare in modo che venisse soppressa, a tutti i livelli, la memoria storica. SPECIALE SPECIALE 10 SPECIALE LA VOCE DELL’ISOLA 12 15-28 Settembre 2007 Costante la presenza di politici siciliani nel Governo nazionale Dai “patti scellerati” privilegi e potere per pochi E state 1943-Sicilia liberata, 1945 fine della guerra. L'amministrazione della Sicilia "liberata", da parte degli alleati anglo statunitensi nasce come frutto di una mediazione del contrasto tra la Gran Bretagna (che vuol governare da sola la Sicilia per porre una opzione sulla futura egemonia nel bacino del Mediterraneo) e gli Stati Uniti (il cui governo riceve pressioni dall'importante componente italo-americana) che premono per una gestione diretta e completa dell'Isola, consapevoli che l'occupazione dell'Italia avrebbe presentato difficoltà e che la conclusione del conflitto ancora era lontana. Un compromesso non facile, che comunque viene raggiunto, con la sottoscrizione di patti della durata cinquantennale (ipotesi: “x” numero di ministeri in ogni governo nazionale a personaggi siciliani; “x” provvidenze per la Sicilia programmate nella “canalizzazione” di finanziamenti e sussidi mirati,, Sicilia che deve restare - in ogni modo - regione non industrializzata, ma regione "consumatrice" di prodotti del nord; “x” privilegi per la classe dominante in Sicilia, eccetera). La maggior parte dei sottoscrittori di quei patti oggi sono scomparsi per morte naturale (oppure no), e ciò che abbiamo affermato intendiamo considerarlo una ipotesi di approfondimento. Continuando. All'approssimarsi della scadenza dei 50 anni della durata degli accordi, gli equilibri nati dal compromesso incominciarono a rompersi: i nuovi patti ancora oggi non riescono ad essere sottoscritti, gli equilibri, pertanto, stentano a consolidarsi. Oggi è già domani, e la Sicilia aspetta ancora il suo futuro. Utile ricordare che la Sicilia ha ottenuto uno Statuto Autonomistico Speciale ancor prima della Costituzione italiana: uno Statuto che non è mai stato applicato, e che, se fosse stato applicato nelle sue normative, avrebbe potuto cambiare le sorti dell’Isola. Non è superfluo chiedere il perché della mancata applicazione di uno Statuto simile. Il "Teorema Siciliano" non ha ragione d’essere, nella misura in cui non può essere documentalmente dimostrato, ma le ipotesi tracciate probabilmente costituiscono una realtà che non necessita di “interpretazioni”, ma di ricerca di riscontri oggettivi. Dal 1942 a oggi tanti e tanti fatti, caratterizzati da profondi chiaroscuri, si sono aggiunti nella telenovela della storia isolana: appaiono tutti come fotocopie di episodi precedentemente accaduti. Agli omicidi di Mafia si sono aggiunti altri omicidi: dal dopoguerra cancellati 540 nomi, noti e meno noti, fra i quali i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, vittime di una logica che poco ha di umano. Un rosario di morte. Nel contempo il macrofenomeno di tangentopoli non ha risparmiato la Sicilia; poi i grandi processi agli insospettabili (leggasi Andreotti o Contrada o Mannino) e a centinaia di affiliati alle cosche; gli arresti spettacolari dei Capi riconosciuti della mafia (leggasi Totò Riina o Benedetto Santapaola, Provenzano). La Sicilia ha cambiato volto nel giro di qualche decennio, nel Terzo Millennio appare come un’altra terra, se è vero, come è vero (i dati statistici lo dimostrano), che il turismo internazionale ne fa una meta ambi- Mattei (al centro della foto) e gli impianti del petrolio siciliano ta. Ma nulla nello scenario conosciuto muta, anche se Don Luigi Ciotti si mobilita unitamente alla società civile, ai sindacati e ai sindaci di tutta Italia (a Gela il 23 marzo 2004) raccogliendo quindicimila manifestanti per “La giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime della mafia”, per denunciare ancora le nuove infiltrazioni criminali negli appalti pubblici e il lavoro nero come piaga che non si riesce ad evitare. Indubbiamente qualcosa è cambiato: già a metà degli Anni Novanta nelle grandi città (da Palermo a può essere elemento fuorviante nella conoscenza della realtà odierna. Non esiste più, infatti, la classificazione dei livelli criminali così come in precedenza era conosciuta l’organizzazione: nell’epoca della globalizzazione, e con le nuove generazioni discendenti dalle famiglie mafiose, si deve parlare in termini di network internazionali di affari illeciti attraverso società lecite che operano in nome e per conto del crimine. Continuare a sostenere che è in Sicilia il cuore di questo mondo, che resta impenetrabile, è limitare e circoscrivere, e non solo territorial- Forse i nuovi accordi non sono ancora stati ratificati. Gli eredi, forse, non all’altezza di chi in passato ha imposto compromessi ed equilibri instabili Catania) il numero degli omicidi è drasticamente calato, la Sicilia non è più attenzionata dalla stampa nazionale quale regione con il maggior numero di morti ammazzati, il primato si sposta in altre regioni al di là dello Stretto di Messina. In verità resta il luogo comune che continua a classificare le attività delinquenziali con il termine Mafia, termine che, a nostro avviso, non corrisponde da tempo allo stato delle cose: le mutazioni del fenomeno sono talmente evidenti, che chiamare ancora Mafia il potere criminale, mente, la questione. Quel che ci proponiamo, in queste ultime battute, con appena due esempi, è sottolineare la ripetitività con cadenza periodica dei fatti e le apparenti contraddizioni dei fatti stessi che si verificano da un decennio (o più) all’altro. Così se di separatismo non si parla per un certo tempo, ecco che inevitabilmente torna alla ribalta: i giochi dei misteri si aprono e si chiudono con estrema velocità. Nel dicembre del 1992 il sociologo Pino Arlacchi – ancor prima di tutta una seria di rivelazioni su questo argomento fornite l’anno dopo da pentiti ritenuti attendibili – sosteneva che il progetto del separatismo mafioso esiste. Le considerazioni di Arlacchi scaturivano da dati raccolti: i boss mafiosi avendo un’età media di cinquanta/sessant’anni, avendo accumulato fortune difficilmente spendibili senza l’individuazione da parte degli investigatori, e avendo alle spalle condanne anche all’ergastolo, hanno necessità di un sito tranquillo dove poter trascorrere in serenità il resto della loro esistenza. Una Sicilia indipendente, con un suo governo facilmente soggetto alle influenze malavitose, da questo punto di vista è l’ideale. L’altro fattore, quello economico: la prospettiva di una Sicilia definitivamente staccata dall’Italia, con una posizione geografica veramente invidiabile, può costituire un paradiso fiscale nel Mediterraneo, centro di smistamento da sempre di traffici illeciti internazionali. Secondo l’opinione di Pino Arlacchi un progetto siffatto verrebbe favorito e vedrebbe l’appoggio di imprenditori e uomini d’affari spregiudicati, oltrechè di politici a caccia di nuove fortune. Se si guarda all’immediato futuro, si può notare che l’ipotesi avanzata da Arlacchi non è tanto peregrina: nel 2010 il Mediterraneo diventerà area di libero scambio, mentre le pressioni della Lega per un’Italia federata si fanno sempre più insistenti. Dall’altra parte, in Sicilia, all’Assemblea Regionale, è in discussione la modifica dello Statuto autonomistico che non è mai stato applicato.... Il petrolio siciliano era uno dei sogni più ricorrenti di Mattei: per anni e anni non è mai stato ritenuto dai governanti siciliani una possibile risorsa per cambiare le sorti della Sicilia. Di un petrolio per il futuro non si parlava da tempo, così come è stato per il Tungsteno dei Nebrodi completamente dimenticato, quan- do, all’improvviso, ecco, dal 22 marzo 2004, che c’è un via libera a nuove trivelle. Il quotidiano La Sicilia così descrive l’evento: La Regione ha messo nero su bianco, assieme con i petrolieri, sui disciplinari e decreti idrocarburi che daranno il via alla ricerca e all’estrazione sul territorio siciliano. Le società Sarcis, Edison e Panther (compagnia texana) sono le prime ad esplorare il sottosuolo isolano per la ricerca di gas e oli in questa nuova era di liberalizzazione del settore. Il governo Cuffaro dà così una svolta in un comparto che, per decenni, ha visto il monopolio dell’Eni detenuto con la stessa Regione attraverso la Sarcis (90 per cento Regione, 10 %per cento Eni), e che oggi ha visto già pronti anche i texani a mettere in moto le trivelle. L’americano Jim Smitherman, nel corso della conferenza di presentazione dell’evento, a Palermo, ha affermato: “Panther Resources e io, in qualità di presidente della società, abbiamo il piacere di iniziare la caccia: l’esplorazione in Sicilia. La Sicilia è un potenziale enorme ancora non esplorato”. Così è stato. Ed è stata la parte orientale dell’isola, per il momento, la più interessata a questi progetti. In dettaglio: le concessioni riguardano l’estrazione dell’idrocarburo, i permessi la ricerca dell’idrocarburo. Le prime riguardano la zona di Saperi dove la Sarcis opererà in una estensione di 69,20 chilomentri quadrati, con un investimento di 50.096.319,21 euro; sempre la Sarcis trivellerà a Case Squillaci su un territorio di 52,50 chilometri quadrati con un investimento di 18.592.448,36 euro. Seguono i progetti di ricerca, che vedono la Panther scandagliare il Fiume Tellaro, 746,937 chilometri quadrati di territorio con un investimento di 43.400.000 di euro; la Edison effettuerà la ricerca nella zona di Paternò, 743,80 chilometri quadrati, investendo 5.500.266,00 di euro. Altre istanze di Compagnie petrolifere sono al vaglio della Regione. Un interrogativo è lecito: quali i meccanismi che muovono le costanti di una sconcertante ripetitività di avvenimenti? Troppo lungo l’elenco degli uomini abbattuti sulla strada di un auspicato progresso della Sicilia. Troppi fatti inquietanti si sono verificati, troppe trame al cui centro c’è la Sicilia. La trasformazione in atto sul territorio – dalla presa di coscienza della gente, alla produttività dell’imprenditoria che sembra essersi svegliata da un lungo sonno - necessita di analisi accurate per essere sorretta e indirizzata verso uno sviluppo che sia coerente con lo stesso ambiente e per non generare facili avventurismi. C’è il fantasma della mafia inafferrabile; c’è la mafia non certamente vinta che muta sembianze, che si fa gli affari suoi che si avvale degli strumenti che ritiene più opportuni, servendosi di tutti quei mediatori che sono disponibili nella società. Ci sono gli interessi internazionali trasversali delle grandi lobby economiche che, al pari della mafia, sanno farsi gli affari propri, utilizzando, a loro volta, strumenti e mediatori disponibili. C’è il potere dell’informazione, e chi lo detiene sa farne uso. La Sicilia resta sempre terra di conquista. C’è, infine, il cittadino rimasto senza punti di riferimento, che non crede più neanche nel primato della politica. Viale Vittorio Veneto, 160 - 95126 Catania Telefono 095 383810 - Fax 095 383380 e-mail: [email protected] 14 L’INTERVISTA LA VOCE DELL’ISOLA 15-28 Settembre 2007 A colloquio con Giovanni Pellizzeri, candidato sindaco alle prossime elezioni del 2008 Passa per Mascali il futuro di Mascali di ENZO LOMBARDO Q uella del sette scorso settembre è una fresca e piacevole serata della fine di un’estate che ricorderemo tutti come politicamente e climaticamente torrida. A Nunziata di Mascali, presso il noto locale “Ore Felici Park”, c’è la serata di presentazione ed inaugurazione del comitato elettorale del candidato a sindaco di Mascali Giovanni Pellizzeri. Onestamente pensavo, quando il direttore mi ha mandato a “sentire” gli umori di questa serata per raccontarli a voi lettori, che sarebbe stata la solita solfa di strette di mano e sorrisi di complicità conditi da proclami roboanti e da qualche tartina strappata ad un rachitico buffet. Mi sbagliavo. Arrivato “in loco” ho trovato molte persone serene che discutevano, prima del canonico discorso di apertura, delle problematiche della loro città, Mascali, con toni misurati ma fermi e con la convinzione che solo con l’impegno diretto di ciascuno sia possibile migliorare la situazione socio-economica del proprio territorio. Ma una cosa è degna di nota: la grande presenza di giovani in un momento in cui la politica, specie quella locale, ha perso il suo fascino trainante per le nuove generazioni. Sicuramente il messaggio di forte autonomia che Pellizzeri vorrà dare alla sua comunità avrà convinto i ragazzi che la primavera può di nuovo seguire all’inverno. Diversi erano gli esponenti presenti del Movimento Per l’Autonomia dell’onorevole Raffaele Lombardo, tra i quali il Ssenatore Giovanni Pistorio, componente della Commissione Parlamentare Antimafia, legato da antica amicizia a Pellizzeri, come d’altra parte lo stesso attuale Presidente della Provincia Regionale di Catania. Per quanto riguarda le tartine d’ordinanza mi sbagliavo altrettanto, Pellizzeri mi ha concesso l’intervista a cena, voleva mettermi al tappeto ma ho resistito. Prima di iniziare a fare sul serio vuol dirci chi è Giovanni Pellizzeri? E’ la persona che ha di fronte (sorride), nulla di più. Una delle poche cose che mi piace di me stesso è di essere quello che sono per tutti, senza secondi fini o trasformazioni di circostanza. Naturalmente questo vale anche per lei.. Quindi, a parte la sua monoliticità, cosa vorrebbe raccontare di sé? Sopra: il palazzo comunale di Mascali e il candidato a sindaco Giovanni Pellizzeri Sono nato a Mascali nel settembre del 1961 e qui vivo da sempre. Lavoro part-time per l’ASL 3 e faccio l’imprenditore. Sono sposato con Maria Concetta (la indica con un sorriso) che mi ha dato due figli meravigliosi, Mario e Tito. La politica è una vecchia passione che coltivo sin da ragazzo perché sono convinto che l’occuparsi delle problematiche co- dire, vista anche la mia esperienza nel campo dell’economia reale, che le soluzioni per riportare la città al suo glorioso passato sono qui, tra di noi (indica tutti i canditati con un’ampia rotazione orizzontale del braccio), nelle nostre teste, nelle nostre esperienze, nelle nostre intelligenze. Mascali ha bisogno di persone che vengono dal quotidiano lavoro negli uffi- e territoriale perpetratosi negli anni’80. In quel tempo si è fatto di tutto fino a fare sciogliere il Consiglio Comunale e far dichiarare il dissesto finanziario del Comune stesso. E’ stato un momento terribile ed ancora ne paghiamo, tutti, le conseguenze. Ciò che mi preoccupa maggiormente e la mancanza di reddito, in termini generali,che penalizza gli investimenti e lo “Occuparsi delle problematiche comuni è importante anche per migliorare se stessi” muni sia importante anche per migliorare se stessi. Tutto qui? Il resto deve chiedermelo lei, altrimenti che intervista è? Ok, vuol farmi guadagnare la cena. Mi direbbe allora cosa la spinge a candidarsi alla guida della sua città? Essendo mascalese da sempre conosco la realtà locale e credo di poter ci, nelle fabbriche, nelle amministrazioni pubbliche, nel commercio, dalle terre, dentro le famiglie. Voglio spendermi per la mia città, perché penso che la politica di professione non sia più utile per risolvere i problemi delle comunità locali, di questa comunità. Significa che lei vorrebbe essere un sindaco contro “il palazzo”? Un sindaco non può essere “contro”. Il sindaco è colui che ha l’onore e l’onere di governare tutta la città insieme e con il contributo di tutta l’amministrazione. Mi riferisco, invece, al fatto che chi viene dal quotidiano non può arrivare dentro la casa comunale pensando che diventi la “propria” dimora e sicumera per il futuro. Chi, per passione politica, sottrae tempo alla propria famiglia ed ai propri interessi personali, di svago o professionali che siano, fa in modo che il “palazzo”, come lo chiama lei, sia di tutti ed anzi esce spesso da quel palazzo per andare a cercare fondi ed opere pubbliche per migliorare il benessere della comunità tutta. Cosa direbbe della Mascali di oggi che si appresta a rinnovare i suoi massimi organi istituzionali per i prossimi cinque anni? Se spera che per farmi bello davanti a dei potenziali elettori parli male della mia città si sbaglia di grosso. Io amo Mascali ed è per questo che vorrei sempre, in termini assoluti, che fosse migliore. Tuttavia non posso negare che oggi la città viva dei problemi legati allo sfascio amministrativo sviluppo del territorio. E quale sarebbe la sua ricetta in proposito? In un’azienda, in una famiglia, in un club o in qualsivoglia contesto che preveda un “bilancio” e la gestione di fondi comuni, la chiave del successo e della crescita sta nel reddito che quel sodalizio è capace di produrre. Il Comune di Mascali, come tutte le pubbliche amministrazioni d’altra parte, non può essere esente da questa logica. Se i cittadini e le aziende di Mascali non possono aumentare le prospettive dei propri redditi presenti e futuri, la città non avrà sufficiente ricchezza per investire e dipenderà dalla “carità” delle amministrazioni superiori. Non è questo quello che immagino per il futuro. Migliorare il proprio reddito significa migliorare il proprio futuro ed essere più liberi e più autonomi. Questo vale per i singoli ma vale anche per i gruppi sociali. Io mi batterò per portare crescita e sviluppo a Mascali, ma non con l’effimero, ma creando i presupposti per un ritorno alla produzione. Poco fa lei ha duramente condannato la politica mascalese degli anni ‘80. Chi sono stati, a suo parere, i responsabili del “dissesto”? Ho già detto poc’anzi che non mi interessa, per mia natura, essere contro qualcuno in particolare. Quello che io ho voluto e, confermo, voglio condannare è un atteggiamento di tutto un modo, spero che ormai lo possa definire vecchio, di fare politi- ca considerando la casa, il territorio ed il bilancio comuni come trofei da conquistare e spartire all’interno di una casta chiusa e circostanziata. Ripeto invece che una squadra di amministratori sereni e provenienti dal mondo del “quotidiano” avrà tutto l’interesse a gestire la cosa comune non secondo gli scopi di una casta che vive di politica ma secondo l’ottica di un gruppo che intende migliorare la vita della comunità in cui vive. I mascalesi debbono vivere di progresso non di tattica politica. Vorrei aggiungere che se è successo quel che è successo la colpa è principalmente di chi, pur potendo mettere in campo la propria esperienza e la propria capacità, si è disinteressato della sua città delegando ad altri la gestione della vita comune. E’ stato un errore e credo che non sia più tempo di deleghe in bianco. Non le sembra una risposta un po’ diplomatica? Mi sembra solo la mia risposta (sorride). Vorrei dire che ognuno di noi risponde delle proprie azioni di fronte alla propria coscienza e di fronte alle istituzioni, non certo di fronte a me. Posso garantirle che la mia non sarà una campagna elettorale che spargerà veleni o volgarità contro i singoli. A me, e spero a tutti i mascalesi, interessa soltanto che certi errori non si ripetano e si che si guardi con fiducia al futuro. Una politica che non sa far guardare al futuro è morta prima di nascere. Ci sono molti giovani stasera... Per prima cosa non sono troppo vecchio nemmeno io (ridiamo insieme di cuore). Se molti giovani sentono il richiamo dell’autonomia e dell’attenzione verso la propria terra non posso che esserne felice. Sarà una frase fatta ma è vera quanto la vita: i giovani sono il futuro. Solo un’ultima cosa. Se non dovesse vincere la sua sfida cosa farebbe? Farò quello che farei se vincessi. E sarebbe? Lavorerò come ho sempre fatto e mi godrò la mia famiglia. Potrei fare qualche domanda a sua moglie? Guardi che le si è freddato il cibo… LA VOCE DELL’ISOLA 15 15-28 Settembre 2007 A Lentini gran festa finale per il sesto campo estivo giovanile Bulli, pupazzi e spighe per educare alla legalità L a festa finale del 6° campo estivo di educazione alla legalità e alla cittadinanza “Bulli pupazzi e spighe” è cominciata di pomeriggio, con la visita ai terreni confiscati in contrada Cuccumella, a Lentini, sotto un sole ancora caldo e si è conclusa a tarda sera nel cortile del 4° istituto comprensivo. Un evento eccezionale alla presenza di centinaia e centinaia di bambini, di ragazzi, di giovani, di genitori, di autorità civili e militari. Ospite graditissimo don Luigi Ciotti, presidente nazionale dell’associazione Libera. Un lungo e coloratissimo corteo preceduto dallo striscione con la scritta “Progetto Libera Terra Leontinoi – Casa nostra fattoria della legalità”. Per la prima volta, a circa sette anni dalla confisca dei beni al boss Sebastiano Nardo, la città calpesta quei terreni che, messi a coltura nel mese di dicembre, hanno già permesso un bel raccolto di spighe di grano biologico. Quelle spighe sono già un messaggio di speranza. Dalle terre dove si organizzava la violenza e il crimine è già spuntato un simbolo della vita. Ora l’Amministrazione comunale aspetta il finanziamento del progetto “Casa nostra fattoria della legalità”, inviato al PON Sicurezza Sud, per fare nascere un’azienda produttiva in grado di dare occupazione ai giovani in cerca di lavoro. “Bisogna fare in fretta – ha dichiarato don Ciotti -, non è più possibile tollerare che i beni confiscati alla mafia non riescano subito ad essere utilizzati socialmente così come prevede la legge 109 del ’96. Questo progetto come altri progetti non possono avere anni di attesa, perché in questo modo si fa un favore alle mafie. Noi questa sera da qui, da Lentini, da questo campo, dalla riflessione fatta con i vostri ragazzi, dalla visita in Contrada Cuccumella, dove ci auguriamo che al più presto sorga la fattoria “Casa nostra”, gridiamo, e lo facciamo attraverso i canali di cui siamo capaci, affinché chi di dovere ci ascolti, gridiamo la necessità di fare in fretta. Però non chiediamo allo Stato di fare la sua parte, se noi non facciamo la nostra parte. La rivolta deve cominciare da dentro di noi. L’Italia deve svegliarsi rispetto a questo. Non basta indignarsi, dobbiamo provare disgusto: 2660 morti ammazzati dalle mafie negli ultimi dieci anni sono una guerra che chiede pace”. Da sei anni il 4° istituto comprensivo “G.Marconi” di Lentini organizza nella scuola un campo ponendo l’accento sui temi più importanti di educazione alla legalità e ai diritti e ai doveri di cittadinanza. “Bulli pupazzi e… spighe” ha riproposto i due principali temi affrontati negli anni precedenti: il bullismo, diventato oramai problema nazionale, e il progetto di riutilizzo sociale dei beni confiscati alla mafia a Lentini. “Io credo che se c’è un pregio grande in questa scuola – ha detto don Luigi Ciotti – è che non ha mai rincorso la cronaca, ma ha costruito un pezzo di storia. Sono troppi quelli che rincorrono la cronaca e propongono dei momenti, dei convegni, dei percorsi legati alla cronaca. La dimostrazione di ciò che dico è che questa scuola ha sollevato il problema del bullismo sei anni fa, affrontando nel modo giusto la complessità delle questioni che poneva questo problema sociale, coinvolgendo innanzitutto quelli che facevano più fatica ed erano più inquieti e, insieme, gli altri ragazzi. E poi le famiglie e la città. “Sbulla la città” si chia- La parola di don Luigi Ciotti per centinaia di ragazzi e genitori sui terreni confiscati alla criminalità mava significativamente il primo campo estivo”. Rivolgendosi, poi, al sindaco di Lentini, Alfio Mangiameli, nel suo intervento alla festa del campo don Luigi Ciotti ha continuato: “E lo dico signor sindaco con grande sincerità – non ho mai speso parole fuori misura – ma quando emergono dei dati così positivi come questa esperienza concreta di Lentini è giusto che si sappia che questi ragazzi, questi insegnanti, questo dirigente scolastico hanno costruito un pezzo di storia in Italia. E lo dice uno che di scuole ne vede tante, ma proprio tante, al nord, al centro, al sud del nostro paese. E siate orgogliosi – molte volte noi ci piangiamo addosso, ci lamentiamo, mettiamo in evidenza le cose negative –, cogliete il valore della positività di questo percorso, perché il ritrovarci il 28 di agosto nel cuore di un estate con una scuola che è stata aperta ancora una volta per offrire delle opportunità, degli stimoli e un sano protagonismo ai vostri ragazzi di fasce di età completamente diverse, è un fatto veramente eccezionale di cui la città può essere orgogliosa. Lo so che ci sono altre scuole, ma qui si è partiti anni fa e si è costruito un percorso e la scuola dimostra di avere un’anima con i messaggi dei suoi ragazzi.” Rivolgendosi infine al dirigente scolastico, Armando Rossitto, don Ciotti ha concluso: “ … e soprattutto, tu, con i tuoi insegnanti, con gli animatori, hai saputo testimoniare questo: la costanza, la concretezza. Ed io piccolo, piccolo – perché ti senti sempre piccolo rispetto all’immensità dei problemi, ti senti fragile, ma senti anche il valore e la ricchezza di quando si costruisce con quel “noi”, senti che è possibile, è possibile voltare pagina in Italia”. Il sindaco Alfio Mangiameli ha ringraziato don Ciotti a conclusione del campo per avere acceso con la sua presenza a Lentini un faro sulla città e sulla sua voglia di riscatto e di legalità. Armando Rossitto, nella sua doppia veste di dirigente scolastico e di assessore alla legalità e alla cittadinanza ci ha dichiarato: “La mia gratitudine nei confronti di tutti coloro che aiutano la scuola nel suo difficile compito di educazione e formazione delle giovani generazioni è immensa. I ragazzi, gli insegnanti, gli animatori, i genitori sono stati splendidi. Stiamo facendo un lavoro prezioso costruendo legami fortissimi con il territorio e la città, ricordando alle altre istituzioni di fare la loro parte, di non arrendersi mai di fronte alle illegalità e alla violenza. Il caso ha voluto che io oggi sia anche l’assessore che ha scritto ed in- viato al ministero competente il Progetto “Casa nostra, fattoria della legalità, che è stato presentato questa sera dai tecnici del Comune ing. Zagami e dall’architetto Castro. La città, rappresentata da questa Amministrazione comunale, ha fatto, perciò, finalmente la sua parte. Ora è giusto gridare – come diceva don Ciotti- il nostro diritto ad avere restituito dalle mafie il maltolto”. La disinformazione la paga il contribuente Farmacie e scontrino parlante di MIRCO ARCANGELI L a Finanziaria 2007 (L.296 del 27/12/2006 art. 1 comma 28) è intervenuta in merito alla detraibilità delle spese mediche. In particolare ha stabilito nuove condizioni perché le spese relative a medicinali siano detraibili. Si ricorda che la detrazione d’imposta relativa alle spese mediche consiste nel 19% delle spese rimaste a carico con una franchigia di euro 129,11. (Ad esempio su 1.129,00 euro di spese mediche il risparmio è di 190,00 euro). Con la citata Finanziaria, dal 1° luglio 2007 la detrazione relativa alle spese di medicinali è condizionata al possesso o della fattura, o del cosiddetto “scontrino parlante”, contenente natura, qualità, quantità dei prodotti acquistati, ed an- che il codice fiscale del contribuente. L’Agenzia delle Entrate, tenuto conto delle difficoltà tecniche di adeguamento dei farmacisti, con il Comunicato Stampa del 28 giugno 2007 ha prorogato l’obbligo del rilascio dello scontrino parlante al 1/1/2008 se sostituito da autocertificazione rilasciata dai farmacisti contenente quanto previsto nella Finanziaria. In sostanza al posto dello scontrino fiscale contenente natura, qualità, quantità dei prodotti acquistati e codice fiscale del contribuente, il farmacista potrà rilasciare un documento con timbro e firma del farmacista contenente natura, qualità, quantità dei prodotti acquistati e codice fiscale del contribuente. Tale documento potrà sicuramente essere costituito dalla ricetta dei medicinali integrata con gli elementi di cui sopra con timbro e firma del farmacista o in mancanza da apposito documento. L’emissione del documento dovrà essere contestuale all’emissione dello scontrino fiscale. Da una indagine effettuata in questi due mesi trascorsi risulta che ben pochi farmacisti adottano tali procedure, rilasciando scontrini fiscali di tipo tradizionale, dichiarando “con troppa superficialità” che l’obbligo dello scontrino parlante è stato rinviato al 1° gennaio 2008. Facciamo quindi attenzione poiché in mancanza di idonea documentazione lo scontrino rilasciato, se di tipo tradizionale, non potrà essere decurtato dalle prossima dichiarazione dei redditi, ed il 19% di detrazione d’imposta è sempre un’opportunità che dispiace perdere per pura disinformazione. 16 ACCADDE DOMANI LA VOCE DELL’ISOLA 15-28 Settembre 2007 Giorno per giorno le ricorrenze più salienti Per non disperdere la nostra memoria 15 settembre Nel 1993 viene barbaramente ucciso, a Palermo, Don Pino Puglisi sacerdote attivo contro la criminalità organizzata Nati: Oliver Stone (regista, 1946), Fausto Coppi (ciclista, 1919), Agatha Christie (scrittrice, 1890) Morti: Oriana Fallaci (scrittrice, 2006), Nino Martoglio (regista, 1921), Joseph Plateau (fisico, 1883) Si festeggia: Santa Caterina da Genova 16 settembre Nel 1904 si celebra, in Italia, il primo sciopero generale nazionale provocato dalla strage dei minatori sardi provocata dai Carabinieri il 4 settembre. Nati: Roy Paci (musicista, 1969), Salvatore Todaro (militare, 1908), Michail Kutuzov (generale russo, 1745) Morti: Mauro De Mauro (giornalista, 1970), Giuseppe Albeggiani (matematico, 1892), Cecco d'Ascoli (poeta, 1327) Si festeggia: In Messico si festeggia l'indipendenza nazionale 17 settembre Nel 1394 il Re di Francia, Carlo VI, ordina l'espulsione di tutti gli ebrei dal territorio del suo regno. Nati: Reinhold Messner (alpinista, 1944), Anne Bancroft (attrice, 1931), Saverio Marcadante (musicista, 1795) Morti: Karl Popper (filosofo, 1994), Gino Lucetti (rivoluzionario, 1943), Roberto Bellarmino (cardinale, 1621) Si festeggia: San Satiro 18 settembre Nel 1851 il celebre quotidiano americano New York Times inizia le sue pubblicazioni Nati: Marco Masini (cantautore, 1964), Mariangela Melato (attrice, 1941), Jean Focault (fisico, 1819) Morti: Jimi Hendrix (chitarrista, 1970), Herbert von Bismarck (politico tedesco, 1904), Pietro Carrera (scac- chista, 1647) Si festeggia: Santa Sofia 19 settembre Nel 1356 a Poitiers l'esercito inglese sconfigge quello francese. Nati: Giorgio Lucenti (calciatore, 1975), Carlo Fruttero (scrittore, 1926), Giuseppe Saragat (presidente della repubblica, 1898) Morti: Italo Calvino (scrittore, 1985), Roberto Ardigò (filosofo, 1921), James Garfield (politico Usa, 1881) Si festeggia: San Gennaro 20 settembre Nel 2004 gli Usa revocano l'embargo contro la Libia del colonnello Gheddafi. Nati: Sofia Loren (attrice, 1934), Salvatore Correnti (matematico, 1899), Nazario Sauro (patriota, 1880) Morti: Gherman Titov (astronauta russo, 2000), Fiorello La Guardia (politico Usa, 1947), Pierre Méchain (astronomo, 1804) Si festeggia: Santa Candida 21 settembre Nel 1990, a 38 anni, viene assassinato dalla mafia il giudice Rosario Livatino Nati: Ivano Fossati (cantautore, 1951), Stephen King (scrittore, 1947), Cesare Musatti (psicologo, 1897) Morti: Clara Calamai (attrice, 1998), Walter Scott (scrittore, 1832), Girolamo Cardano (matematico, 1576) Si festeggia: Le Nazioni Unite (Onu) festeggiano la giornata mondiale della pace. 22 settembre Nel 1792 in Francia viene proclamata la Repubblica. Nati: Giuseppe Saronni (ciclista, 1957), Michelangelo Abbado (musicista, 1900), Anna d'Austria (regina di Francia, 1601) Morti: Enrico Bompiani (matematico, 1975), Sam Wood (regista, 1949), Alain Fourneir (scrittore, 1914) Si festeggia: La religione ebraica festeggia Rosh haShana 23 settembre Nel 1846 Le Verrier ed Adams scoprono il pianeta Nettuno. Nati: Julio Iglesias (cantante, 1943), Giuseppe De Nava (politico, 1858), Carlo Allioni (botanico, 1728) Morti: Pablo Neruda (poeta, 1973), San Pio da Pietralcina (monaco, 1968), Vincenzo Bellini (compositore, 1835) Si festeggia: In Giappone ricorre la festa nazionale 24 settembre Nel 1961, per la prima volta, compare il personaggio Disney del Prof. Pico de Paperis. Nati: Antonio Tabucchi (scrittore, 1943), Giuseppe Musolino (brigante, 1876), John Marshall (politico Usa, 1755) Morti: Angelo Bianchi (geologo, 1970), Aleksandr Radiscev (scrittore, 1802), Cristoforo Landino (unmanista, 1498) Si festeggia: San Prospero 25 settembre Nel 1555 viene firmata la Pace di Augusta che mette fine ad uno dei primi conflitti su scala continentale in Europa. Viene sancito per la prima volta il principio del cuius regio eius religio. Nati: Niccolò Ammaniti (scrittore, 1966), Christopher Reeve (attore, 1952), Silvana Pampanini (attrice, 1925) Morti: Cesare Terranova (magistrato, 1979), Vitaliano Brancati (scrittore, 1954), Gian Battista Brocchi (geologo, 1826) Si festeggia: Sant'Aurelia 26 settembre Nel 1789 Thomas Jefferson viene nominato primo segretario di stato statunitense. Nati: Enzo Bearzot (allenatore di calcio, 1927), Achille Compagnoni (alpinista, 1914), Gianfrancesco Malfatti (matematico, 1731) Morti: Luigi Gedda (medico e politico, 2000), Alberto Moravia (scrittore, 1990), Ugo Agostoni (ciclista, 1941) Si festeggia: Santi Cosma e Damiano 27 settembre Nel 1964 furono pubblicati i lavori della commissione d'inchiesta Warren la quale stabilì che Lee Oswald aveva da solo assassinato il presidente J.F.Kennedy Nati: Claudio Gentile (calciatore, 1953), Alessandro Pavolini (giornalista, 1903), Grazia Deledda (scrittrice, 1871) Morti: Leo Longanesi (giornalista, 1957), Piero Calamandrei (giornalista e politico, 1956), Braxton Bragg (generale confederato, 1876) Si festeggia: Giornata mondiale del turismo 28 settembre Nel 1066 il normanno Guglielmo il Conquistatore invade l'Inghilterra. Nati: Aldo Baglio (comico, 1958), Pietro Badoglio (militare e politico, 1871), Georges Clemenceau (politico francese, 1841) Morti: Edwin Hubble (astronomo, 1953), Louis Pasteur (chimico, 1895), Herman Melville (scrittore, 1891) Si festeggia: Sant'Alessandro di Antiochia Il 16 settembre ricorre il 99° anniversario della nascita dell'eroe militare Salvatore Todaro Il Don Chisciotte del mare di ENZO LOMBARDO S alvatore Todaro nacque a Messina il 16 settembre del 1908 ed il 18 ottobre del 1923, a soli quindici anni, venne ammesso all’Accademia Navale di Livorno. Nel 1927 fu promosso al grado di Guardiamarina che rappresenta il primo cammino della scala gerarchica degli ufficiali della Marina Militare. Nel 1928 gli vennero conferiti i gradi di Sottotenente di Vascello e venne destinato all’arsenale di Taranto per frequentare i corsi di osservazione aerea. L’anno successivo gli vennero affidate le prime missioni operative sia su unità di superficie che su unità subacquee. A venticinque anni, nel 1933, si sposò e tre anni dopo, nel 1936, Todaro venne destinato alla 146ª Squadriglia Idrovolanti e l’anno successivo partecipò alla Guerra Civile spagnola imbarcato su un sommergibile. Nel 1940 ottenne il grado di Capitano di Corvetta entrando così nel novero degli ufficiali superiori della Regia Marina. Poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale gli venne affidato il comando del sommergibile “Luciano Manara” della classe Bandiera sul quale però stette poco, poichè immediatamente assegnato al comando del “Cappellini” (sommergibile di classe Marcello), che sarà l’unità che lo consegnerà alla storia. E fu proprio al comando del “Cappellini” che lo colse lo scoppio della guerra. Come molte altre unità subacquee italiane (ad esempio il celeberrimo “Tazzoli”) il “Cappellini” fu destinato a Betasom, la base sommergibilistica italiana di stanza a Bordeaux sull’ Oceano Atlantico, dalla quale partivano le missioni per la Battaglia dell’Atlantico che vede- va le forze sottomarine dell’Asse combattere contro i convogli (militari e/o logistici) destinati alle forze alleate in Europa. In quella grande epopea marinara i sommergibili ed i sommergibilisti italiani scrissero pagine gloriosissime di onore e capacità militari ed il siciliano comandante Todaro non fu certo uno degli sconosciuti. La prima volta che lo si ritrova agli onori delle cronache militari fu in occasione dell’affondamento del “Karbalo”. Quest’ultimo era un piroscafo belga da oltre cinquemila tonnellate che portava rifornimenti all’esercito inglese avvistato da Todaro nel pomeriggio del 15 ottobre 1940. Dopo aver inutilmente lanciato tre siluri contro il piroscafo Todaro, pur di non farsi scappare la preda si avvicinò pericolosamente e si mise personalmente al cannone di coperta con il quale affondò il piroscafo. Per chi non fosse addentro alle questioni militari, affondare una nave con il semplice e debole cannone di un sommergibile in emersione è un impresa che merita il massimo rispetto possibile. L’affondamento del “Karbalo” provocò il naufragio di ben 26 marinai e fu in questa occasione che Todaro iniziò a ricoprirsi di imperitura gloria. Egli raccolse tutti i naufraghi e non li lasciò a morire in mezzo all’Oceano. Fatto ciò allestì una zattera sulla quale caricò i naufraghi e che agganciò al “Cappellini” per poterli “trainare” fino alla spiaggia più vicina. Questo atto fu estremamente rischioso perché costrinse il sommergibile a navigare costantemente in emersione divenendo così preda facile per la caccia aerea e navale nemica. Ma Todaro se ne infischiò e corse il rischio pur di salvare quegli uomini che erano dei suoi nemici. Dopo quattro giorni di odissea il cavo di traino si spezzò e Todaro fece allora salire i naufraghi sul sommergibile nutrendoli e trattandoli al pari dei suoi uomini fino a quando non li sbarcò sull’isola di Capo Verde. L’ammiraglio Doenitz, capo della marina tedesca e componente della schiera dei fidati di Hitler, definì Todaro il Don Chisciotte del mare pregando i suoi superiori di rimproverare il comandante siciliano che, seppure eroico e valoroso, scambiava la guerra per una missione umanitaria. Ma il messinese non sentì i rimproveri e si distinse, anzi, per altre valorosissime prove di coraggio militare ed umanità. Nel gennaio del 1941 si svolse la drammatica battaglia di Freetown nelle acque africane dell’Atlantico prospicenti la Liberia. La nave trasporto truppe inglese “Emmaus” (oltre 7’000 tonnellate di stazza), entrò in contatto con il “Cappellini” e Todaro non voleva farsi scappare la preda. La battaglia fu sanguinosa e molti marinai italiani persero la vita tra cui il fido ufficiale di Todaro, Stepovich, che macciulato da un colpo della nave inglese chiese al suo comandante di non essere portato in infermeria ma di poter morire in coperta abbracciato al cannone vedendo affondare la nave. Todaro fece promessa solenne e riuscì a fare inabissare il natante inglese e poi chiuse gli occhi a Stepovich. Mentre il “Cappellini” tentava di immergersi arrivò un aereo inglese che lo colpì in pieno con due bombe. Tutta la marina inglese si mise alla caccia di Todaro, ma il comandante, nonostante le perdite tremende ed il sommergibile semi-distrutto riuscì a tornare a Bordeaux. Ormai era un mito. Ma il suo amino limpido si era ormai sporcato dal dolore immenso per la perdita dei suoi marinai e chiese Salvatore Todaro di essere trasferito da Bordeaux. Ormai voleva trovare la morte in mare e per questo chiese, ed ottenne, di essere assegnato alle missioni più rischiose. Nel novembre del 1941 fu affidato alla X Flottiglia Mas (reparto dalla gloriosa storia militare) con la quale si distinse e venne decorato nella Battaglia del Mar Nero a Sebastopoli. Poi, nel 1942, venne spostato al comando del motopeschereccio armato “Cefalo”, unità di supporto alle incursioni nei porti nemici. E fu proprio mentre rientrava da una missione notturna che un caccia Spitfire dell’aviazione inglese bombardò la sua nave colpendolo mortalmente alla testa. Era il 13 dicembre del 1942 e tutti i suoi marinai, devoti a lui come ad un semidio, gridavano e correvano sulla nave come impazziti per una cosa che mai sarebbe potuta succedere. “Il comandante Todaro è morto” era il grido unanime che quella notte di dicembre si udiva tra le onde del Mediterraneo non lontano dalla sua amata Sicilia. A Salvatore Todaro è stato intitolato uno dei due nuovi sommergibili del tipo U212 della Marina Militare Italiana che ha preso servizio nel marzo 2007. In precedenza il suo nome era stato “donato” ad una corvetta antisommergibile della classe Pietro da Cristofaro in servizio dal 1966 fino al 1994. Le sue onoreficenze parlano da sole: 1 medaglia d’oro, 3 medaglie d’argento, 1 medaglia di bronzo al valore militare della Marina Militare e due croci di ferro della Marina tedesca. LA VOCE DELL’ISOLA 17 15-28 Settembre 2007 Giornalista, scrittrice e cantante legata profondamente alla sua Sicilia Il lungo viaggio di Sara Favarò di MORENA FANTI I mpossibile definire con un solo nome l’arte di Sara Favarò. Sarebbe come voler precisare e circoscrivere nettamente, la sensibilità di un’anima tanto variegata da spaziare in ogni angolo del bello e del musicale. Dal canto alla scrittura, passando alla riscoperta e al racconto delle tradizioni più vere e profonde di una terra, la sua amata Sicilia, vista con l’attenzione di chi non vuole vedere solo gli stereotipi. Sara cerca di farci conoscere gli aspetti più profondi di una società dove l’essere è protagonista della propria individualità e dove riscoprire antichi riti e leggende può aiutare ad uscire da un appiattimento culturale, inevitabile conseguenza della globalizzazione. Le nostre radici sono importanti. A volte sono la base su cui ri-trovare la nostra anima. E, se alcune anime sanno parlare, quella di Sara Favarò sa addirittura cantare. Dalla musica e dal canto è iniziato questo suo viaggio. Ha pensato fin dall’inizio che l’avrebbe portata ad ampliare sempre più la conoscenza artistica e a spaziare in così tanti settori? Ogni espressione artistica è frutto del bisogno di comunicare emozioni, impressioni, speranze, angosce, voglia di donarsi e di ricevere. In una parola: VITA! Vita intesa non come accettazione ineluttabile, ma come voglia di vivere; consapevolezza dell’armonia del creato, acquisizione di quel principio che ci rende, singolarmente ed unicamente, parte fondamentale di una universalità cosmica dove ogni evento è sintomo e simbolo al contempo, in un cammino che è crescita, anche se talvolta inconsapevole e non volutamente preordinata. È come se ognuno di noi abbia un compito da espletare, dove la stessa arte è archetipo di altre forme artistiche. Stare su un palcoscenico la fa sentire più a contatto con la sua anima e, per questo, più in sintonia con il suo pubblico? Sicuramente. L’arte è sempre scambio di anime. La scrittura è una forma di comunicazione molto profonda e anche rivelatrice. Cosa pensa di trasmettere con le sue parole scritte? Tutte le azioni della nostra vita sono importanti se vissute con quel famoso “cuore” (di tante poesie e canzoni) che fa rima con “amore”, e quando cuore e amore sono assonanza di sentimenti verso quel “Tutto” di cui si ha consapevolezza di appartenere, si ha bisogno di farsi “tramite” di altri vissuti, veicolo di sentimenti. Spero che le mie parole scritte riescano a mettersi al servizio di questo antico e splendido connubio. “La mia vita è stata contraddistinta dalla lotta contro i luoghi comuni”, cito da una sua frase. Leggo in questo come una sorta di ribellione verso chi ci vorrebbe sempre uguali e senza interessi e passioni vere. Quanto conta la determinazione per realizzare un buon percorso artistico? È assolutamente indispensabile. Specie quando i luoghi comuni, fervido appannaggio dei mediocri, rischiano di catturare, annientare e ingabbiare la volontà di spiriti liberi. Nei suoi scritti lei cerca spesso di dare voce alle donne. Crede che, in certi ambiti, spero non in quello artistico, ci sia ancora ghettizzazione nei confronti delle donne? Ogni espressione artistica è frutto del bisogno di comunicare emozioni, speranze e angosce Non è semplice rispondere, e non perché non esista ancora la “ghettizzazione”, ma perché la generalizzazione rischia sempre di ingenerare confusione e di essere improduttiva. E se è vero, come è vero, che la donna, in diversi ambiti è ancora costretta a subire soprusi ed emarginazione, è altrettanto vero che vi sono ambiti professionali, ma soprattutto, umani dove la donna si trova in una posizione privilegiata. Lei è anche giornalista professionista. Quando scrive articoli o interviste usa la stessa penna passionale che usa ad esempio per le poesie? O il giornalismo è un modo più asettico, più razionale di fare scrittura? Sicuramente il giornalismo richiede un modo più essenziale di fare scrittu- ra, specialmente se ci si occupa di fatti di cronaca. I miei articoli orbitano, principalmente, nell’ambito culturale dove, pur nella necessità di un simile linguaggio, c’è più spazio per trasmettere, anche “tra le righe”, la propria “passione”, quella stessa che spinge ad amare la cultura. So che sta lavorando al suo prossimo libro. Sapendo quanto siano vari i suoi interessi potrebbe trattare di qualsiasi argomento. Ce ne può parlare? Protagonista del mio prossimo libro è l’Anima e il suo divenire. Ma adesso mi permetta di farle io una domanda. Perché non ci risentiamo tra qualche mese, quando l’avrò finito? Sarà, oltretutto, una bella occasione per risentirci. Vuole? A colloquio con Berarda Del Vecchio L’emancipazione femminile e il gioco dei paradossi di comunicazione, non è che magari in questa società frenetica, dove bisogna sempre correre, sia passato agli archivi? Nel senso che bisogna fare di fretta e via? Rendendo tutto più spoetizzato? draiami. Non è l’invocazione disperata di una vecchia zitella in crisi orIn parte purtroppo è vero. Di recente ho anche letto un articolo in cui si dimonale ma il titolo del nuovo libro di Berarda Del Vecchio.. Dopo il ceva che il sesso lo si fa più come uno sport per perdere le calorie magari successo riportato con “L’adorazione del piede”, la scrittrice, romana, trangugiate a cena che come forma di comunicazione tattile-olfattiva fra due 29 anni, laureata in Lettere, agente di moda, si diverte a provocare, a punzecpersone che si attraggono. Le storie da una notte e via vanno anche bene, per chiare l’orgoglio e la vanità maschile, a suo parere assopiti o addirittura andacarità, l’importante è che non si arrivi poi al dunque troppo stanchi o ubriati in letargo. chi da consumare il tutto in pochi minuti. Insomma non si può relegare il sesDonne alla ricerca del punto G perduto. Davvero gli uomini di oggi non soso solo a un semplice dessert, per me resta, e resterà per sempre, il piatto no all’altezza della situazione? Il macho latino villoso e virile è andato in principale! estinzione. L’uomo col tempo si è rammollito, si imbelletta, si fa il lifting, si Il tuo libro sta riscuotendo grande successo. Qual è stira le rughe, si incipria, si fa la ceretta e si sparge addosstata, a tuo parere, la molla che ha fatto scattare il so litri di acqua di colonia. E dove lo mettiamo l’afrore di passaparola tra i lettori? selvaggio? Lo sfrigolio di un corpo in calore? L’autrice Credo che la maggior parte dei lettori sia composta da gioca con tali paradossi. A una progressiva emancipaziodonne che si sono identificate almeno in una mia disavne femminile corrisponde una regressione maschile. Il ventura amorosa o in qualche racconto della mia adolemaschio di oggi non sa più corteggiare la donna, non ha scenza. Il libro è alquanto ironico e cerca di sdrammatizun linguaggio proprio, scimmiotta i divi della TV. zare il più possibile su vicende che altrimenti sarebbero Troppo edulcorato, troppo portato per le buone maniedavvero tragiche. Magari chi lo ha letto l’ha visto anche re. Nostalgia per il camionista coi baffoni e la canottiera come un piccolo manuale curativo per uscire da una stosudata, unta d’olio col panino ai funghi morsicato mentre ria andata male e allora lo ha consigliato a qualche amiguidava. La Del Vecchio ci propone un’esilarante riflesca. Per il pubblico maschile non so…magari si sono incusione sul rapporto uomo-donna. La manualistica erotica riositi di come una ragazza abbia avuto l’ardire di mettefattura in Italia 30 milioni di euro l’anno, pare che il 70% re in discussione la loro fin troppo osannata virilità. dei fruitori siano donne. Alberto Castelvecchi ha indiviCi sono nel libro episodi della tua adolescenza, i priduato il filone aurifero. mi amori, le esperienze della maturità, il tutto condito I manuali di sesso invadono le librerie, ce n’è per tutti i da una ventata di freschezza e di gioiosa scrittura. gusti: sesso estremo, lezioni di preliminari, sesso orale, Pensi che molte ragazze si identificheranno nel libro? posizioni da triplo salto mortale; lancio dal lampadario, E molte signore mature lo leggeranno con nostalgia? dal treno in corsa. Il kamasutra è diventato roba per eduCome ho detto prima ho ricevuto molti riscontri in tal cande. Tutti a voler dare lezioni. L’onorevole Vladimir senso. Le ragazze si autoidentificano e le donne un po’ Luxuria veste i panni dell’insegnante di sesso. In passato, più mature anche… quello che poi accomuna tutte sono le per la verità, ci ha provato pure Giuliano Ferrara, con risate che si fanno leggendo il libro. scarsi risultati. I vecchi ruoli si sono perduti, non più il maschio Le bretelle e il pancione prominente non lo rendevano SDRAIAMI conquistatore e la donna che difende le proprie virtù. molto credibile. Ci aspettiamo ciurme di signore assatanaDI Berarda Del Vecchio Io parlerei di individui che hanno maggiori capacità di te, libro della Del Vecchio in mano, all’assalto dei propri Castelvecchi Editore approccio e altri meno, indipendentemente dal sesso di partners per rivendicare i diritti perduti. pagg.120, euro 10,00 appartenenza. Non è più giusto così? E il maschio siciliano come reagirà alla provocazione? Beh! Questo c’è sempre stato. Il don Giovanni e l’imL’uomo erectus per eccellenza, lo strapazzafemmine per branato come la fatalona e la timidona sono stereotipi antonomasia, discepolo di Ercole Patti e Vitaliano Branche hanno comunque accompagnato, e accompagneranno, ogni generazione. cati, capace di ingravidare una donna sul balcone con la sola forza dello Perciò credo che in realtà quello che manca oggi è il “classico” gioco dei sguardo, come reagirà alla provocazione della signora Del Vecchio? Nel dubruoli che rende ogni relazione molto più intrigante e divertente. bio le sconsigliamo di girare in costume per le spiagge siciliane. Prova a immaginare questa scena: una donna entra in un bar, ordina Ho incontrato virtualmente Berarda, appena scesa dall’aereo, fresca di riuna grappa e si accende un sigaro; poi nota il bel fusto appoggiato al torno dalle vacanze in Svezia (niente Sicilia), ha accettato di buon grado di bancone, lo palpa sul sedere e gli offre da bere. Vuol dire che si è ragfare questa chiacchierata sul suo libro, che sta riscuotendo grande successo ed giunta finalmente la tanto sospirata parità tra i sessi? è nelle vetrine di tutte le migliori librerie. È un libro godibilissimo, che traMagari fosse così semplice…purtroppo non è così, se no non si parlerebbe smette buon umore e sana allegria, letteratura d’evasione ma che tratta temi di quote rosa, di diversi tipi di stipendio pur con lo stesso ruolo lavorativo, di importanti quali il rapporto di coppia e la difficoltà tra i due sessi a comunicadiritti negati e via dicendo. re. Ecco il colloquio: Credo la strada per la parità fra i sessi sia ancora lunga anche se molte Berarda, dal tam tam, ai telefonini, a internet. Gli strumenti di comuvolte si crede, ingenuamente, di esserci già arrivati. nicazione dell’uomo nei secoli si sono evoluti. Anche il sesso è una forma di SALVO ZAPPULLA S 18 MISTERI SICILIANI LA VOCE DELL’ISOLA LA VOCE DELL’ISOLA 15-28 Settembre 2007 15-28 Settembre 2007 MISTERI SICILIANI 19 Spacciate per verità le “invenzioni” di Pietro Carrera Una combriccola di falsari sullo sfondo di una rivolta di CORRADO RUBINO I l 18 settembre di 360 anni fa moriva don Pietro Carrera, dopo essere stato trasportato dalla sua residenza catanese all’ospedale di Messina e alla veneranda età (per quei tempi) di 74 anni. Era l’anno 1647 e a Catania era in atto una grave rivolta scoppiata il 27 maggio dello stesso anno. Dopo Palermo, trascorsi alcuni giorni, anche Catania era stata teatro di gravi tumulti e i rivoltosi delle due città divennero i promotori di una vera e propria “ondata insurrezionale” che, espandendosi a macchia d’olio in tutta la Sicilia, rivendicava l’abolizione delle gabelle, una più razionale distribuzione delle risorse alimentari e il ritorno al demanio di “casali” feudalizzati per risanare le casse del vicerè e ripianare così il debito finanziario. Don Pietro viveva a Catania già dal 1633 e aveva assistito alla privatizzazione dei “casali etnei”. In realtà per il ceto medio-basso la vendita dei “casali” era stato un duro colpo. Camporotondo, Mascalucia, Misterbianco, Pedara, San Giovanni Galermo, San Giovanni la Punta, San Gregorio, Sant’Agata li vattiati, Trecastagni, Tremestieri, Viagrande (per citare solo i più noti), tra il 1640 e il 1642, erano stati venduti a privati, affaristi e mercanti implicati nei traffici finanziari con cui il viceré cercava di far fronte alle continue richieste di denaro da parte del governo spagnolo e così Catania si ritrovò amputata delle sue terre migliori e strozzata nei rifornimenti alimentari. Qualche anno prima che ciò accadesse il Senato della città aveva commissionato al Carrera un’opera che esaltasse la storia patria e le origini delle famiglie nobili di Catania per ricordare al viceré spagnolo e al governo che togliere all’aristocrazia locale gli antichi privilegi sarebbe stata una violenza perpetrata contro le antiche tradizioni e consuetudini. Don Pietro Carrera, come vedremo, era un personaggio noto ed autorevole nell’ambiente dell’aristocrazia catanese; era un erudito sacerdote che, oltre ai suoi molteplici interessi, aveva anche scritto di storia locale. E così nel 1639 il prelato diede alle stampe la sua opera storica più nota: il Delle memorie historiche della città di Catania, (il primo volume fu pubblicato nel ‘39 e il secondo nel ’41). Quest’opera, che ebbe molta diffusione, ha sicuramente contribuito a segnare negativamente l’evoluzione della storiografia catanese. In origine i volumi dovevano essere tre ma il terzo, dedicato alle famiglie nobili della città, disse lo storico Francesco Ferrara, fu bruciato per non causare liti fra i componenti del Senato a cui era dedicata l’opera. Ebbene, anche se la critica degli storici fin dagli inizi del ’900, non fu molto benevola nei suoi confronti bollandolo, assieme ad Ottavio (D’)Arcangelo, Valeriano Di Franchi, Giovan Battista De Grossis e ad altri suoi contemporanei, come falsario, ancora oggi vengono pubblicati scritti di carattere storico e archeologico su Catania che riportano, come verità storico-archeologiche, le “invenzioni” che Pietro Carrera ha contribuito grandemente a veicolare ai posteri. È chiaro che nella cerchia del mondo scientifico già da tempo queste “invenzioni” non trovano più seguaci, ma quando si riuscirà a trovare in libreria testi divulgativi che non raccontino più, sulla storia di Catania (e forse anche su quella delle altre città della Sicilia), le solite storielle nate dalla fantasia della “combriccola dei falsari del ‘600” ? Don Pietro Carrera era nato nel 1573 a Militello in Val di Catania, uno Sopra: ritratto di Pietro Carrera, sotto: S. Maria degli ammalati a Misterbianco dei centri collinari che chiudono a sud ovest la piana di Catania. La sua carriera ecclesiastica ebbe inizio con gli studi presso il seminario di Siracusa, dove fu anche ordinato sacerdote. Fra i poeti lo ha citato Giovanni Ventimiglia nel suo De Poetis Siculis, e in quanto storico lo hanno citato Rocco Pirri e Giovan Battista De Grossis. La sua erudizione fu vasta ma disordinata. I suoi di Petrapezia; si misurò anche con Salvatore Albino detto il Beneventano e, a suo dire, riuscì a superarlo. Il trattato del Carrera è teoricamente importante, ma è sopratutto utile come fonte di notizie sui giocatori del suo tempo. Va da se, quindi, che don Pietro non era uno sprovveduto. Divenuto sacerdote fu nominato cappellano di s. Maria della Stella in Militello riuscendo ad entrare Don Francesco Branciforti, a destra il Castello Branciforti a Militello za, scritto per magnificare l’operato del “suo” principe. Ma, già qui a Militello, Carrera cominciò ad intraprendere una strada storico-letteraria che l’avrebbe portato ad essere unanimemente riconosciuto come “falsario” e seguace di quella che, nel 1908, Vincenzo Casagrandi, professore di Storia Antica nell’Università di Catania, definì, in un suo famoso arti- Ancora oggi vengono pubblicati scritti di carattere storico-archeologico che erano serviti nel 1640 per mantenere i privilegi di un’aristocrazia arida e senza scrupoli scritti spaziarono dalla poesia alla storia locale, dall’antiquaria alla numismatica, dalla botanica alla tecnica scacchistica. Già! perché forse quello che non tutti sanno è che don Pietro Carrera fu anche un notissimo giocatore di scacchi. Durante gli studi sacerdotali visitò molte città siciliane e si misurò con parecchi scacchisti. Appena ventiquattrenne, conobbe a Palermo il campione Paolo Boi detto il siracusano già vecchio e risale a questo periodo la sua Pessopedia (pervenuta solo in parte), che era una raccolta di esametri latini sul gioco degli scacchi e sarà da questo suo lavoro che nel 1617 trarrà le regole per il suo Il giuoco de’ scacchi, il noto trattato stampato a Militello. Non giocò spesso in torneo, ma vinse il campione Gerolamo Cascio in varie partite giocate in presenza del principe nelle grazie di donna Giovanna d’Austria, consorte di don Francesco Branciforti, signore di Militello e Pietraperzia. Giovanna, figlia illegittima di Giovanni d’Austria (a sua volta figlio dell’imperatore Carlo V), era giunta a Militello nel 1604 come consorte del principe Francesco e vi rimase fino alla morte del marito avvenuta nel 1622. In questi anni, il Carrera, protetto dalla “signora” di Militello e dal suo mecenate, oltre a frequentare gli uomini colti presenti a corte, poté far parte della “libera accademia di dotte conversazioni” letterarie ed avere accesso alla ricchissima biblioteca che il Branciforti andava costituendo (circa 10.000 volumi). Il frutto di tale permanenza fu la produzione di alcune composizioni in lingua italiana e latina, e il poemetto Ziz- colo, la «combricola di falsari di documenti costituitasi in Catania ed in Acireale nella prima metà del secolo XVII sotto l’ispirazione di Ottavio D’Arcangelo». Nel 1620 tradusse dal latino e pubblicò I tre libri dell’epistole, di Giovanni Tommaso Moncada, conte di Adrano, ma il sospetto che si trattasse di false epistole è stato espresso dal biografo Nigro, in quanto il personaggio, vissuto 120 anni prima, era un componente della potente famiglia Moncada e il Carrera si era affannato troppo a dimostrare che costui era stato un «fecondo oratore», un «fiorito poeta» e un «cristiano politico». Oltre a Francesco Branciforti, ebbe come mecenati Nicolò Placido Branciforti, principe di Leonforte, e Giacomo Bonanni(o), barone di Canicattini e du- ca di Montalbano, che gli sovvenzionarono i suoi numerosi viaggi fatti per la Sicilia e finalizzati ad illustrare e magnificare i possedimenti del re Filippo IV di Spagna. Dopo la morte di Francesco Branciforti, avvenuta il 23 febbraio 1622, Carrera, cinquantenne, si allontanò da Militello, per recarsi, nel 1624, al seguito di Giacomo Bonanni(o), a Cani- cattini. Nel 1633 si trasferì a Catania dove continuò con tenace perseveranza la sua azione di falsario. Già nel 1636 pubblicò i tre libri Del Mongibello, che mescolavano con disinvoltura serie notizie botaniche, mineralogiche, erudite, con miti letterari, leggende agiografiche, superstizioni popolari, sul tema delle eruzioni dell’Etna e dei miracoli di s. Agata, patro- na di Catania. I contenuti di questi scritti saranno poi ripetuti dai suoi estimatori fino ai nostri tempi. In quegli anni il regno attraversava un momento storico turbolento, segnato da una profonda crisi economica dovuta a guerre e carestie, per far fronte alle quali Filippo IV di Spagna e III di Sicilia aveva dovuto vendere città e fortezze ai privati. In Sicilia, il viceré Los Veles, diede attuazione alle disposizioni regie attuando un’abile operazione politica di privatizzazione selvaggia che in realtà costringeva le comunità delle città demaniali a riscattare i “casali” venduti dal viceré agli speculatori, e facendo ricadere il costo dell’operazione in definitiva sulle spalle dei ceti medio bassi; il tutto con il beneplacito dello stesso governo spagnolo. Ma il Senato della città, vide in tutto questo anche una minaccia agli antichi privilegi della città e così, tra l’altro, commissionò a Carrera un’opera che dimostrasse l’antichità ed il prestigio rispetto alle rivali Messina e Palermo ed esaltasse la storia patria e le origini delle famiglie nobili di Catania. Leggendo il Delle memorie historiche della città di Catania si intuisce che il Carrera ha forse conosciuto personalmente Ottavio (D’)Arcangelo e che quindi ha letto i suoi manoscritti, e quindi fa un ampio e disinvolto uso dei molti documenti, in gran parte falsi o falsificati, raccolti dal (D’)Arcangelo e mai pubblicati; lo difende puntualmente dalle accuse di falsità e così, data autorevolezza delle sue fonti, le usa con sicurezza per le sue deduzioni storiche. Il suo modo di procedere è questo: in realtà (D’)Arcangelo si è inventato la Epistole di Diodoro Siculo e il Trattato delle cose ammirabili, di Pietro Biondo (inventato pure lui). Carrera invece assicura che (D’)Arcangelo ha visto a stampa questi testi, quindi asserisce che sono autentici e li cita a dimostrazione della maggiore antichità di Cata- trovato a sua volta, nel monastero di s. Nicolò la Rena, questa cronaca scritta nel ‘200 da un frate benedettino; ma in realtà non si è mai trovato ne l’originale ne alcuna copia manoscritta. Si tratta di una serie di forzate dimostrazioni dell’esistenza del porto di Catania fin dal ‘200, di tentativi di avvalorare le antiche discendenze della famiglie nobili catanesi, di elogi sul coraggio contro i francesi e sulla fedeltà dei catanesi al casato aragonese. Il 1640 è l’anno della rivolta separatista della Catalogna che cede alle lusinghe del re di Francia Luigi XIII, e i maggiorenti catanesi evidentemente non perdono tempo a far notare la fedeltà spagnola di Catania contro le simpatie francesi di Messina. Il secondo è la prova che s. Agata (alla quale erano particolarmente devoti gli Aragonesi) era catanese di nascita. Nell’ultimo decennio del ‘500 il ceto politico che governava la città fu costretto a prendere posizione nel contrasto fra Palermo, sede vicereale, e Messina città che da recente aveva ottenuto i privilegi di capitale della cuspide nord orientale della Sicilia. Catania, quindi, politicamente e culturalmente, doveva riconquistare i privilegi di cui aveva goduto sotto i Martini. Il vescovo Ottavio Branciforte e le famiglie aristocratiche che si alternarono al governo di Catania, quindi, precettarono chiunque potesse dare lustro alla città o potesse soprattutto dimostrare, in tutti i modi, la legalità storica dei privilegi già posseduti o la possibilità di maturarne di nuovi. La “pia contesa” tra Catania e Paler- che questa seconda parte dell’encomio di S. Agata, (nella prima parte composto in greco da S. Metodio di Siracusa, patriarca di Costantinopoli (843-847), è una grossolana falsificazione secentesca. L’erudito militellese era troppo compromesso; già dagli inizi del ’900 la critica non fu molto benevola nei suoi confronti. Fu bollato, assieme ad Ottavio (D’)Arcangelo e ad altri suoi contemporanei come falsario. L’abate Francesco Ferrara nella prefazione della sua Storia di Catania…, lo definisce «credulo come Arcangelo». Giuseppe La rivolta del 1647 a Catania rivendicava l’abolizione delle gabelle, una razionale distribuzione delle risorse alimentari e il ritorno al demanio di casali feudalizzati dai vicerè nia rispetto a Palermo. Nigro giustamente definisce il Delle memorie historiche come «il capolavoro pseudostoriografico» del Carrera. Ma i veri “capolavori” di Carrera sono in realtà due geniali falsi storiografici: una cronaca medievale in dialetto siciliano e un apocrifo secentesco su S. Agata, patrona di Catania. Si tratta di falsi che hanno suscitato polemiche e creato convinti detrattori ma anche convinti fautori. Il primo è la cronaca La vinuta e lu suggiurnu di lu Re Japicu in la gitati di Catania, l’annu MCCLXXXVII, narrati da frate Athanasio di Jaci. Purtroppo il manoscritto fu utilizzato da Michele Amari per la sua opera La guerra del Vespro Siciliano. Lo scritto narra l’ingresso del re Giacomo d’Aragona a Catania nel 1287. Carrera dice di aver mo (secondo la tradizione s. Agata fu martirizzata a Catania nel 251 d. C. sotto l’imperatore Decio) raggiunse toni accesi e quasi violenti nel corso del ‘600. Nel 1601, in occasione della riforma del Breviario Romano che fu promossa da papa Clemente VIII, una disputa sulla patria di Agata si tenne a Roma direttamente davanti ai cardinali Antoniani e Bellarmino. Carrera aveva sfoderato una buona arma: un documento falso che attestava, chiaramente e più di una volta, che la martire era nata a Catania. L’apocrifo, che a suo dire gli era pervenuto tra mani solo in una traduzione latina secentesca, fu poi definitivamente inserito negli Acta Sanctorum e nella Patrologia greca. Ma i recenti studi di Elpidio Mioni e di Carmelo Crimi hanno dimostrato, senza ombra di dubbio Maria Mira, nella sua Bibliografia siciliana, esprime nei confronti dell’opera del Carrera il seguente giudizio: «Questa eruditissima opera è mancante di critica, piena di falsità, e di credulità, e disordinata». Infine lo storico Giuseppe Giarrizzo lo inchioda come «scrittore da tempo dannato come falsario». L’opera del Carrera fu anche al centro del noto episodio che vide il pittore Giuseppe Sciuti prendere ingenuamente a soggetto, per l’illustrazione del sipario del teatro Massimo Bellini, un racconto che era presente nel Delle memorie historiche ..., e che parlava di una vittoriosa battaglia dei Catanesi sui Libici e sui loro elefanti; peccato che si trattava di un evento storico mai accaduto e partorito dalla fantasia del (D’)Arcangelo e ribadito da don Pietro Carrera.