DIARIO SCOLASTICO Marco Gallizioli urante quest’anno scolastico sono stato chiamato dal Dirigente ad affiancare, in qualità di tutor, due giovani colleghe nel loro anno di prova, in vista della loro immissione in ruolo. Si è trattato di una bellissima esperienza, grazie alla quale ho riscoperto il gusto e l’importanza di lavorare in équipe in un mondo, quello dello scuola, piuttosto autoreferenziale. In fondo, ogni docente è un’isola a sé e anche quando formalmente risulta chiamato a collaborare in organi ufficiali, quali coordinamenti e dipartimenti, in realtà, internamente, coltiva un certo scetticismo nei confronti di qualunque metodo che non sia il proprio. la follia di diventare insegnanti Tuttavia, indipendentemente da questa considerazione, l’occasione di collaborare con Raffaella e Giovanna mi è sembrata da subito interessante. La sensazione era quella che mi sarei trovato a condividere esperienze con due docenti, diverse tra loro per formazione e personalità, ma ugualmente motivate nella scelta di una professione magnifica anche se, per molti versi, poco gratificante. Sollecitato, dunque, da tale compito, mi sono chiesto, in primo luogo, quali possano essere i motivi che spingano delle giovani menti a voler svolgere la professione di insegnante, visto il lungo elenco di possibili dolenti note: dalla perdita di credibilità sociale dell’insegnante, alla sua marginalizzazione culturale; dall’incapacità dei docenti di lavorare in équipe, all’isolamento professionale ineludibile; dalla risibilità del trattamento economico, alla cronica mancanza di fondi che ammorba la scuola. Dunque, prendendo a prestito le frivole parole con cui la bella e civettuola Fiorilla entra in scena ne il Turco in Italia di Gioachino Rossini, si potrebbe quasi dire che, nel mondo contemporaneo, non si dà follia maggiore che voler diventare un insegnante. Ai sensi di una logica stringente e pragmatica, infatti, scegliere la professione docente oggi è una vera pazzia, perché, per il mondo, il «prof» è una figura senza allure, quasi misera e ridicola alla maniera della palazzeschiana Comare Coletta, vecchia e maldestra ballerina, ridotta a compiacere un pubblico malevolo e sarcastico «saltellando e ballettando». L’insegnante è immaginato come una persona dimessa nella figura e goffa nell’incedere, dai risvolti degli abiti perennemente sporchi di gesso, caratterizzato da un ethos meschino e larvatamente sadico che lo porta a godere dell’impreparazione altrui. Più specificatamente, poi, l’insegnante di lettere, pur maneggiando sempre parole e metafore, pare ai più un impiegatuccio della parola e non certo un Dante, un Ariosto o un Leopardi, perché dei processi poetici, quelli capaci di dar respiro a grandi teorie, coglie solo il soffocante e asfittico risvolto tecnico: l’errore di ortografia, l’inceppamento del rigore logico, l’incrinatura della sintassi. Gli insegnanti sono, dunque, avvertiti come dei Don Ferrante della postmodernità, capaci di sentirsi còlti solo davanti alla pletora indifesa degli adolescenti, ma irrimediabilmente considerati ignoranti dal sistema maiuscolo della cultura e irrilevanti, da coloro che si muovono nelle stanze del potere. Insomma, per molti l’insegnante è il figlio di un dio minore, un maggiordomo dei voti, un succube kafkiano pronto a servire una cultura sminuzzata e indigesta con una deferenza quasi sacra, un inetto sveviano incapace di affermarsi nel mondo dei numeri e della tracotanza economica e per questo sempre un po’ in odore di muffa. 29 ROCCA 1 LUGLIO 2014 chi è insegnante? D DIARIO SCOLASTICO non si diventa ma si è ROCCA 1 LUGLIO 2014 Quale follia, dunque, spinge Giovanna e Raffaella a volersi inoltrare nel labirinto della scuola? La risposta è in qualche modo scontata, anche se non tanto come potrebbe sembrare a prima vista: entrano nel labirinto perché non possono fare altrimenti, con la baldanza di Teseo e la consapevolezza di Arianna. La coercizione, quindi, non nasce, in primo luogo, da ragioni di logica pragmatica, ma dal fatto che loro sono, in senso ontologico, delle insegnanti; sono nate per esserlo. Come ebbe a dire Gianfranco Giovannone, in un suo godibilissimo libretto sulla sua esperienza decennale di docente (1), insegnanti non si diventa, ma si è. Col tempo si possono affinare le tecniche, sfumare certi astratti furori dei primi anni, orientarsi meglio nel labirinto burocratico, diventare più rapidi nel fotografare le tipologie di studenti, colleghi e, perché no, dirigenti, ma quella predisposizione all’empatia formativa che è cellula insostituibile della relazione docente-discente è quasi innata, come la mano di un pittore o l’orecchio di un musicista. Non si fa l’insegnante, ma si è un insegnante. Giovanna e Raffaella «sono» delle insegnanti, perché sono capaci di tuffarsi nella complessità della realtà scuola con rare doti di sensibilità, di perspicacia e soprattutto di entusiasmo. E proprio di entusiasmo la scuola italiana ha bisogno, per raccogliere le sfide educative che l’inizio di questo terzo millennio ci pone davanti. Se la comunità scolastica è una delle prime forme di società organizzata che l’individuo, nel suo crescere ed aprirsi al mondo, incontra, si comprende bene come sia fondamentale che essa sia in grado di contenere e sviluppare le peculiarità del singolo, armonizzandole con quelle del gruppo. Per questo non ci si dovrebbe mai dimenticare che la scuola è una communitas il cui senso sta nel valore umanizzante della cultura. Al di fuori di tale dimensione non si dà scuola, perché il compito reale di tale istituzione è proprio quello di favorire la crescita individuale e collettiva all’interno di un orizzonte culturale ampio. È proprio con insegnanti come Giovanna e Raffaella che la scuola può continuare ad essere un luogo in cui lo studente si senta, in pri30 ma istanza, accolto, compreso, contenuto affinché si avvii quel processo di educazione che coincida con un suscitare, un trarre fuori, un condurre per mano. le sfide educative Sul piatto del nostro lavoro in comune, così, si presentavano diverse questioni da tramutare in altrettante sfide educative, dalla questione dei linguaggi letterari in grave affanno, al senso storico che si va smarrendo, dalla difficoltà ad articolare discorsi, alla povertà lessicale, anche se era oggettivamente difficile accettarle tutte. Dunque, con Giovanna ci si è soffermati sulla questione dei linguaggi e della loro applicabilità, mentre con Raffaella sulla questione della storia e della sua trasmissibilità. Affrontare il problema della comunicazione non è compito di poco conto, visto che, se si vuole essere davvero sinceri, la maggior parte degli studenti che frequentano gli istituti professionali e tecnici presentano, in gradi diversi, notevoli difficoltà nell’organizzare e nell’articolare un discorso orale e scritto di una sufficiente consistenza argomentativa. Abituati all’immediatezza del linguaggio per immagini e alla folgorante brevità della rete, i ragazzi, oggi, faticano a dar respiro alle idee, a lasciare che prendano forma, a lottare con i concetti, a confutare posizioni differenti. Se un film è un capolavoro, è sempre e solo bello, mentre, in caso contrario, è ovviamente brutto, oppure, al massimo, «fa schifo». La stessa cosa vale per un libro, per uno spettacolo teatrale, per una canzone o per qualsiasi altra performance artistica: è bella o brutta, punto e a capo! un giornale scolastico on line Motivare è una fatica immane e anche senza senso ai loro occhi. Per queste ragioni, Giovanna s’è fitta in capo di creare una redazione in classe finalizzata alla redazione di un giornale scolastico online, fruibile anche attraverso gli smartphone, i tablet e, ovviamente, il sito di istituto. Così, con la mediazione delle tecnologie e sfruttando l’appeal che queste producono sugli adolescenti, Giovanna ha creato un gruppo di cronisti d’assalto, pronti a intervi- la storia in 3D Con Raffaella, invece, ci siamo soffermati maggiormente sul discorso della storia. Se vi è una disciplina negletta, oggi, nella scuola italiana, è proprio la storia. Le motivazioni di taglio socio-antropologico che si potrebbero addurre sono molteplici e, probabilmente, ci porterebbero lontano, ma vale la pena di accodarsi alle tesi di Marc Augé, secondo il quale abbiamo smarrito il senso del tempo perché viviamo un presente fagocitante e dilatato. L’eccesso di informazioni cui tutti noi, nolenti o volenti, siamo sottoposti, ci dà l’impressione di essere sempre al passo con i tempi, mentre, in realtà, ci sospinge ad una corsa che impedisce ogni reale riflessione, dato che ponderare è un’operazione che necessita di quiete e di tempo. Così, fluttuiamo sempre sulla cresta dell’onda del momento, senza avere mai il tempo per tuffarci o per guardare indietro. Gli adolescenti, poi, che sono i più esposti al moltiplicarsi delle informazioni e che stanno sempre con l’occhio incollato al loro cellulare, vivono il passato prossimo e quello remoto come se fossero entrambi avvolti nelle foschie della stessa indistinzione, tanto che il Paleolitico, le poleis greche, Carlo Magno, la seconda guerra mondiale e l’11 settembre sono, più o meno, dentro la stessa nebulosa. Per spiegare la storia antica, dunque, Raffaella si è inventata il metodo 3D, cercando di ricreare, per alcuni eventi e per alcune grandi battaglie, una storia situazionale, narrata da uno dei verosimili protagonisti minori: un legionario fedele al suo comandante o uno schiavo che entra nella tenda di Cesare a portare una missiva. La storia in 3D di Raffaella non parte dalla disamina fredda delle fonti e dei materiali, ma dal racconto basato sulle immagini e sui personaggi evocati, nel tentativo di dimostrare che il passato è un amalgama di vicende umane, importanti per comprendere il proprio presente. Un racconto che guarda agli eventi da più punti di vista, per esempio entrambi i fronti, se si tratta di un conflitto, ed è capace di ricreare le emozioni, le tensioni, le paure, le speranze, le motivazioni profonde che verosimilmente hanno caratterizzato i protagonisti anonimi di quegli eventi. Così, dal punto di vista privilegiato della focalizzazione interna, Raffaella è riuscita a parlare dei grandi personaggi storici, secondo le differenti prospettive della storiografia, appassionando gli studenti che le continuavano a ripetere di raccontare un’altra storia nella Storia. Con Raffaella e Giovanna, dunque, ho più che mai compreso che non esiste alcuna educazione possibile al di fuori di una seduzione culturale pervasiva e che solo nella misura in cui l’insegnante sa suscitare questo interesse per la conoscenza, esso si traduce in ricerca, studio e applicazione. Forse non ci piacerà, ma se vogliamo che i nostri ragazzi studino, la via scelta dalle due giovani colleghe, ossia quella di stanare gli allievi dalla loro ignoranza andando a cercarli là dove si rintanano, mi pare l’unica che si possa davvero percorrere. Marco Gallizioli dello stesso Autore LA RELIGIONE FAI DA TE il fascino del sacro nel postmoderno pp. 112 - i 13,00 (vedi Indice in RoccaLibri www.rocca.cittadella.org) per i lettori di Rocca • 10,00 anziché • 13,00 spedizione compresa richiedere a Rocca - Cittadella 06081 Assisi (1) Cfr. G. Giovannone, Perché non sarò mai un e-mail [email protected] insegnante, Longanesi, Milano 2005. Nota 31 . ROCCA 1 LUGLIO 2014 stare e a relazionare per iscritto dalla vita d’istituto alla crisi di governo; una redazione e un comitato di valutazione, con il compito di creare una scaletta e decidere l’impaginazione; un team di grafici, per procedere all’individuazione del formato e della grafica e, infine, un équipe di correttori di bozze, facente anche funzioni di comitato di direzione. Ne è uscito fuori un piccolo capolavoro, fresco e a tratti ingenuo, ma vitale ed efficace, attraverso cui gli studenti sono stati condotti, senza nemmeno che se ne accorgessero, alla riflessione, alla disamina delle questioni, all’assunzione di responsabilità e di decisioni. Ovviamente, la rivista ha dato spazio anche al conflitto delle interpretazioni, obbligando implicitamente gli studenti a declinare i loro «è bello» o «è brutto» in giudizi più articolati, più ricchi di sfumature e punti di vista e, soprattutto, meno sbrigativi. Giovanna, così, ha trovato un modo non pesante per avviare una riflessione sulla lingua che dimostrasse ai ragazzi quanto sia importante sapersi esprimere, conoscere il lessico, lavorare con le parole e la sintassi per trovare una maniera di dirsi e di comunicarsi.