ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA _____________________ ooOoo_____________________ FACOLTA’ DI CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI Corso di Laurea in Beni Archeologici Lo schifazzo nella tradizione cantieristica trapanese Tesi di laurea in Architettura Navale Presentata da Giampiero Musmeci Relatore Prof. Marco Bonino III Sessione Anno Accademico 2002-2003 1 INDICE 1. Programma e metodo di lavoro. 2. Storia della marineria trapanese attraverso l’utilizzo dello Schifazzo. 3. Posizione dello schifazzo nella tradizione navale della Sicilia occidentale. 4. Individuazione dell’esemplare rilevato. 5. Rilievo fotografico. 6. Schedatura e rilievo delle forme, stato d’uso. 7. Confronti strutture, piano dei legni. 8. Ricostruzione del piano velico. 9. Censimento degli ultimi schifazzi. 10. Il vincolo 11. Conclusioni Ringraziamenti Bibliografia, fonti orali 2 1. PROGRAMMA E METODO DI LAVORO Scopo del presente lavoro è quello di provvedere a predisporre una prima documentazione per una successiva opera di recupero di una imbarcazione storica siciliana. Viene qui utilizzato il termine “recupero” poiché si ritiene possibile, nel caso in esame, recuperare anche la funzione originaria del mezzo. Si ipotizza, infatti, che il ripristino della funzione ed il riuso saranno il fine di un futuro intervento. Il metodo di lavoro, ormai consolidato per la predisposizione di progetti di restauro muove nel presente caso, da una indagine nella storia della marineria del periodo ed in particolare di quella trapanese. In tale indagine sono state incluse ogni informazione possibile ricavata da ricerche d’archivio, ricerche iconografiche, contratti, misure e stime, elenchi di spese, nomi di maestranze. Non è stata trascurata la ricerca di fonti orali, nonché l’individuazione di attrezzature presso collezioni private. Si è proceduto inoltre all’approfondimento della conoscenza del mezzo tramite il rilievo dell’imbarcazione ed alla sua schedatura. Questa metodologia, utilizzata per aumentare le capacità conoscitive è stata finalizzata a restituire il Piano di Costruzione e poiché ogni rilievo comporta le sue proprie difficoltà, e quello di un mezzo navale è particolarmente complesso, ci si è limitati al rilievo delle sole forme, cioè delle linee geometriche che caratterizzano la sua superficie esterna. Al rilievo del piano delle forme dovrà seguire un’ulteriore approfondimento della ricerca rilevando il piano dei legni ed ipotizzando, sulla base di opportuni studi e riscontri anche sullo stesso scafo, una ricostruzione del piano velico. Ciò al fine di predisporre un progetto esecutivo ed un programma di lavori per il recupero del mezzo. 3 2. STORIA DELLA MARINERIA L’UTILIZZO DELLO SCHIFAZZO TRAPANESE ATTRAVERSO Nel porto di Trapani, verso la fine del Settecento, si svolgeva un traffico commerciale suddiviso in due grandi comparti: le rotte di lungo cabotaggio con destinazioni Genova e Venezia, riservate ai legni maggiori presenti nel porto (tali navi appartenevano in gran parte ad armatori esteri) ed il piccolo cabotaggio che invece, aveva come destinazione nel Tirreno Napoli, Livorno, la Sardegna e l’intera costa siciliana svolto da imbarcazioni minori appartenenti ad armatori locali i patruni di varca e alcuni maestri corallari1. La composizione della flottiglia mercantile trapanese per tutto il Settecento fu prevalentemente composta da schifazzi e liudelli2. Lo schifazzo aveva un utilizzo vario. Veniva prevalentemente utilizzato per il trasporto di vino, materiale da costruzione e per il trasporto del sale, formaggi e prodotti di tonnara. Veniva anche usato sia per la pesca che per la pesca delle spugne ed anche per le esportazioni di corallo sia grezzo che lavorato. Le due categorie di mezzi, schifazzi e liudelli costituivano la stragrande maggioranza delle imbarcazioni registrate in entrata o uscita dai libri doganali del periodo. Si tratta di natanti di piccola portata: uno schifazzo poteva caricare infatti da trenta a cinquanta salme di sale Una portata del genere corrispondeva a un modesto, livello di traffici anche se negli anni buoni, la sola produzione di sale, superava le trentamila salme. Le stesse, non numerose, tartane3 trapanesi, pur avendo una portata maggiore, potevano mediamente 1 Benigno 1982: 102 i quali, nel 1633, si erano organizzati in maestranza. 2 Bellabarba -Guerreri 2002: 132-135. Liudello o Lautello, barca con fondo quasi piatto di circa 10/12 metri, armata con due alberi a vela vatina, uno di maestra ed uno più piccolo di mezzana all’estrema poppa su una sovrastruttura che fuoriesce dallo scafo. P.A.Hennique è l’univa fonte. Arca utilizzata a Trapani per la pesca del corallo. 3 Bellabarba -Guerreri 2002: 222-229. Uno dei tipi d’imbarcazione più diffuso in Mediterraneo. La prima menzione è del 1300. Nel 1905 in italia ne sono ancora censite 165. Imbarcazione con forme piuttosto piene di circa 20 metri di lunghezza, caratterizzata da una ruota di prua che si porge in avanti al di sotto di un lungo bompresso. E’ armata con un solo albero a vela latina con controranda e due fiocchi. 4 caricare da centocinquanta a trecento salme 4 di sale ciascuna. FOTO 2.1 Muciare pronte per il rimorchio – foto Prof. Nicola Scariano 1950 circa. 4 La misura ancora oggi utilizzata a Trapani per la pesatura del sale è di Kg 469 (sino alla metà del Seicento misurava per una equivalenza di Kg. 222) 5 FOTO 2.2 Operazioni di caricamento sottobordo anni ’30 – foto Costanza, S., 1988 Le vendite del sale5 in loco, erano sempre effettuate franco a bordo di navi maggiori in sosta nel porto, quindi il proprietario doveva disporre di personale per la raccolta, di barche e di ciurma (personale) per il caricamento. Il trasporto del sale cominciava con la sua raccolta dalle casedde6 (vasche di salinazione), e il trasporto all’ariuni7, mediante ceste coniche intessute con strisce di canna (cartedde) che contenevano circa 25/30 Kg. di prodotto. 5 Il sale esportato era costituito da cloruro di sodio in cristalli, rimasto così come veniva estratto dalle saline: il cosiddetto sale « granito » o « grosso ». Con la macinatura e la riduzione in grani più fini il sale perde quella qualità di resistenza all’umidità che, facendo atto a una lunga conservazione, ne permettevano il trasporto durante le lunghe traversate marine nelle stive dei legni da carico in partenza da Trapani per fuori Regno. Per questo motivo le esportazioni di sale molito erano molto ridotte, dirette verso scali prossimi e per lo più legate ai rifornimenti alle tonnare. 6 Vasche in cui è suddivisa la salina. 7 Ampio argine delle vasche salanti, dove veniva posto il sale in attesa del suo caricamento sulla barca. 6 FOTO 2.3 Salinaio che trasporta una cartedda di sale - foto Prof. Nicola Scariano 1950 circa Le squadre (venne) degli addetti alla raccolta del sale erano composte da venti lavoranti ciascuna, assunti per il lavoro stagionale sotto il comando del curatolo (responsabile) che sorvegliava l’attività della salina durante l’anno: gli uomini delle venne si accompagnavano nel loro lavoro con un canto monotono i cui versi, aiutavano a ricordare il numero delle cartedde trasportate. Arrivati alla ventiquattresima l’uomo che riceveva il sale (u signaturi) faceva una tacca in un bastone di legno (fella o ferula, la pianta delle ombrellifere che cresce spontanea nei campi). I mucchi raccolti negli ariuni, dopo le prime piogge che dilavano il sale delle impurità e dei cloruri di potassio e di magnesio, si coprivano con 7 tegole (ciaramire) in argilla. Da qui gli schifazzari trasportano per mare il sale fino al porto con gli schifazzi forniti di ponte e di una vela latina con fiocco. Nelle stesse saline operavano le muciare8, più piccole e senza vela, che attraversavano i canali che intersecano le saline. FOTO 2.4 Caricamento meccanico di schifazzi e muciare - Prof. Nicola Scariano 1950 circa La retribuzione per le operazioni della raccolta e del trasporto del sale, veniva corrisposto a cottimo e variava secondo la natura dei servizi. La retribuzione per ciascun servizio determinata su otto salme di sale, cioè circa tre 8 Barcone di portata inferiore allo Schifazzo e senza ponte, che navigano a rimorchio con l’aiuto di pali puntati sul fondo dei canali. E per il tipo di trasporto effettuato erano anche dette “salinari”. 8 tonnellate, veniva così suddivisa9: Rottura e ammucchiamento del sale nelle caselle L. 0, 67 Estrazione dalle caselle………………………… 1, 60 Misuratura……………………………………… 0, 11 Caricamento nelle barche……………………… 1, 93 Trasporto……………………………………….. 3, 40 Caricamento nei bastimenti……………………. 0, 56 Tot. L. 8, 27 Il trasporto con le barche era molto oneroso incidendo nella misura del 28% del costo complessivo dell’intera operazione di raccolta e trasporto sotto bordo e questo faceva dei patruni di varca una categoria meno povera di altre. Ai produttori, per assolvere agli obblighi contrattuali della vendita sin sotto bordo, non restavano che due soluzioni: rivolgersi ai piccoli armatori ovvero costituire una propria flotta di schifazzi. 9 Mondini G., 1881: 21 9 FOTO 2.5 Parte della flotta S.I.E.S. (schifazzi) - Prof. Nicola Scariano 1950 circa Quest’ultima soluzione sarà adottata quasi di regola dalla fine dell’Ottocento fino agli anni 20 del Novecento. Infatti, fin quando le numerose saline del litorale trapanese appartennero a diversi proprietari/affittuari non risultava economicamente valido dotarsi di grandi flotte, sia per il limitato periodo di utilizzo (prevalentemente estivo) sia per l’esigua quantità del sale da trasportare e pertanto spesso ci si rivolgeva al mercato delle “barche”. Quando poi, nel 1920 fu costituita la S.I.E.S.10 (Società Italiana Esportazione Sali) questa società, organizzò un proprio servizio di trasporto con 10 Si succederanno nel tempo due società S.I.E.S.. Quella del ’20 Soc. Italiana Esportazione Sali e quella del ’62 Soc.Industriale Estrazione Sali S.p.a. 1 numerosissime varche (barche) circa 100 tra schifazzi e muciare. Occorre sottolineare che la fusione delle diverse saline del comprensorio, fece cambiare radicalmente l’utilizzo dei diversi impianti. Se precedentemente ciascuna delle saline disponeva, secondo il “Tipo di Salina” tradizionale11 dei suoi canali, degli aironi e delle proprie vasche (fredde, d’acqua cruda, delle ruffiane, delle calde e delle caselle) dopo tale fusione, quasi tutto il comprensorio a sud di Trapani divenne, così com’ ancora oggi, un’unica immensa salina con una superficie complessiva di circa 400 ettari12. In conseguenza di ciò le fasce di vasche sono state diversamente destinate e, dalle fredde, poste lungo la fascia costiera e a sud verso Paceco, un lunghissimo giro porta le acque alle vasche di salinazione poste nelle immediate vicinanze del porto. Questa rivoluzione silenziosa dettata da molteplici fattori, che pure a permesso la sopravvivenza della “coltivazione” del sale, ha avuto notevoli ed immaginabili conseguenze anche per il tipo di trasporto su acqua rappresentato dagli schifazzi. La grande flotta S.I.E.S formata dal conferimento di quote di singoli proprietari/gestori di salina/armatori, fu progressivamente, in un primo tempo privata del piano velico e motorizzata ed in seguito utilizzata alla stessa stregua delle muciare cioè a rimorchio. Nel 1984 la nuova S.I.E.S S.p.a. (Società Industriale Estrazione Sali S.p.a.) dismise le ultime barche delle quali, non poche avevano lavorato per quasi un secolo. 11 12 Mondini, G., 1881. Appendice A, Tipo di Salina. Intervista al Cav. Antonio d’Alì Staiti, si veda bibliografia. 1 DOCUMENTO 1 Estratto dal Registro Navi Minori e Galleggianti dal n. 592 al n.800 (Archivio della Capitaneria di Porto di Trapani). 1 FOTO 2.6 Braccio laterale del Canale di Mezzo. Resti di parte della flotta di schifazzi e muciare dismesse dalla S.I.E.S. S.p.a. nel 1984 – foto achivio Lega Navale Italiana anno 2002. Gli schifazzi, a seconda del tipo di trasporto prevalente venivano realizzate con forme e dimensioni ed armamento leggermente diverso. Le imbarcazioni esclusivamente commerciali si distinguevano poco dalle altre, differendo per una maggiore stazza, la presenza della coperta ed un piano velico con superficie maggiore, “più frazionata”13. Gli schifazzi per il trasporto di cantuna (blocchi di tufo) presentavano un maggiore “bordo libero”14 e due fiocchi (vele di prua), a differenza di quelli da sale che portavano un solo fiocco ed uno scafo con “bordo 13 L’intera superfice velica divisa su più tipologie di vele (randa, controranda, fiocco, controfiocco) anziché un'unica grande vela, permette una più facile riduzione del piano velico in caso di necessità, la manovra con un numero ridotto di equipaggio e la possibilità di scegliere sulla quantità i spinta da imprimere al mezo. Ad esempio per l’entata in porto veniva utilizzato un solo fiocco, ciò per permettere alla barca di fermarsi (il problema maggiore, non disponendo di motore e retromarcia) in banchina con l’abbrivio appena sufficiente. 14 La parte emersa dello scafo, dalla linea di galleggiamento al trincarino. 1 libero” più basso. E interessante notare che oltre all’attività di trasporto per conto terzi, molte imbarcazioni svolgevano attività in proprio, conducendo merci “a sorte” o “a ventura” nella quale venivano trasportate le diverse specie di merci con destinazioni diverse. Spesso ad “armare” le barche, non era il solo proprietario, ma il finanziamento delle singole imprese veniva sottoscritto, in quote, da parte di fasce di popolazione estranee al mondo del porto, riproponendo un modello economico proveniente dalla più antica pesca a corallo. Proporzionalmente alle quote investite divenivano suddivisi gli utili in caso di campagna di pesca favorevole o dell’operazione commerciale conclusa. Non tutte le quote venivano vendute, rimanendo quote di valore per la proprietà della barca e dell’attrezzatura e per l’equipaggio15. Ciò coinvolgeva tutta la città all’attività del porto. Si possono desumere informazioni sugli schifazzi dagli atti delle maestranze16 poiché i consoli17 della maestranza dei naviganti esigevano ogni anno da tutti i proprietari di imbarcazione una tassa proporzionale alla portata ed ugualmente i mastri di galbo18 avevano l’obbligo di versare al console dell’arte una tassa su ogni scafo approntato. Era prevista una tassa di un tarì19 per ogni schifazzo di salina o liudello da pesca; due per schifazzi o liudelli di “riviera” ; quindici tarì per ogni tartana costruita. Non erano previsti contributi per legni di stazza superiore alla tartana, che non venivano evidentemente fabbricati nei modesti cantieri cittadini, ed erano esentate le imbarcazioni di lunghezza inferiore ai 30 palmi20 (circa otto metri). Sotto questa misura, si realizzavano solo barche da pesca, poiché anche uno schifazzo di salina non misurava in 15 Benigno 1982: 107. Corporazione di arti e mestieri in Trapani. 17 Carica elettiva per il governo di ciascuna corporazione. 18 Gli antichi mastri d’ascia, costruttori navali. 19 Il tarì è una moneta d’oro araba e normanna della Sicilia, imitata dalle zecche dell’Italia meridionale e coniata, in multipli sotto gli Svevi e in argento sotto gli Aragonesi, fino alla fine del XVIII sec. 20 Agnello, A., 1861, Un palmo equivale a circa 25 centimetri. 16 1 genere meno di 35-40 palmi. I prezzi delle imbarcazioni erano nel 175021 i seguenti: schifazzo latino in buone condizioni, ad es., veniva venduto per 112 onze22 (75 per lo scafo, 15 per le vele, 6 per i remi, il resto per il sartiame), poteva essere trovato a meno a seconda dello stato d’uso. Uno schifazzo di salina invece valeva molto meno ed era possibile acquistarlo, sempre negli stessi anni, per 25 onze. Il prezzo dei noli dipendeva ovviamente dal quantitativo di merce imbarcato e dalla distanza. La durata del viaggio dipendeva dalle condizioni metereologiche e non veniva specificato in contratto ma il tempo concesso per le operazioni di terra veniva rigidamente prefissato; per ogni giorno di sosta oltre quelli stabiliti (stallie) veniva prevista una penale. Su quest’aspetto, i contratti erano in genere estremamente precisi. Non sempre il nolo era calcolato sulla quantità della merce in viaggio: talvolta, in genere per piccoli carichi, si stabiliva una cifra unitaria forfetaria. Ad esempio Padron Francesco Manca noleggiava il suo schifazzo Gesù, Maria, Giuseppe (la gran parte dei legni trapanesi veniva posta sotto la protezione della Trinità terrestre) per il trasporto di settemila bacarelle(?) da Sciacca a Palermo al prezzo forfetario di tre onze e sette tarì e con pagamento in due rate23. Molte barche erano dedite al contrabbando fatto di traffici ridotti e continui, utilizzando l’occultamento delle merci e la loro non registrazione. Per arginare tale fenomeno un articolo della Sagrezia24 imponeva a tutti i natanti giunti in porto di dichiarare la merce a bordo (obbligo di manifesto) entro ventiquattrore e, a partire dal 167125, per le barche minori entro la stessa giornata. Buona parte di questi mezzi nautici venivano fabbricati in città. La carpenteria navale era un’attività tradizionale e si svolgeva da secoli alla marina, nel porto. Vi lavoravano mastri di galbo (mastri d’ascia), velai, funai (esiste al 21 Benigno 1982: 107 Agnello, A, 1861, una Onza equivale a L. 12,75 23 A.S.T, Notaio Carrara Giuseppe, atto 8 Agosto 1677. 24 Amministrazione periferica del Regno cui era affidata, tra l’altro, la riscossione delle gabelle e dei dazi regi. 25 Bando della Segrezia ordine del Maestro Segreto del Regno durante una sua visita compiuta a Trapani, del 4 Aprile 1671. 22 1 porto una Via Funai), calafati e altri gruppi di artigiani per tutte le necessità della marineria. Il legname per le costruzioni non era disponibile in loco e proveniva dalla Calabria e dalla Sicilia occidentale. Per l’alto costo di approvvigionamento spesso conveniva spostare gli artigiani trapanesi in altre città come ad esempio nel caso di una tartana costruita da maestranze trapanesi a S. Agata di Militello26: I patruni di varca , occupavano una posizione decisiva nel commercio marittimo della città. Socialmente poi, la loro condizione era migliore di molte altre categorie come quelle senza lavoro fisso che pur ruotavano attorno al porto come: pescatori, marinai o lavoratori di tonnara o di salina. I patruni di varca tendevano a trasmettere di padre in figlio l’attrezzatura ed il mestiere sviluppando di generazione in generazione, con una continuità sorprendente, la propria attività di mercanti ambulanti lungo le rotte marine. Un confronto tra i nomi dei consoli dei ceto naviganti e del consolato del mare succedutisi in questo periodo e quelli dei “padroni” registrati nei libri “segreziali” permette di osservare come i cognomi ricorrenti sono circa una ventina ed i rispettivi nuclei familiari operano come piccoli armatori e mercanti. 3. POSIZIONE DELLO SCHIFAZZO NELLA TRADIZIONE NAVALE DELLA SICILIA OCCIDENTALE Lo schifazzo, è stata una barca usata principalmente in Sicilia per i piccoli trasporti locali. Si può dire che si tratta di un’imbarcazione trapanese, perché le scarse fonti la danno presente soprattutto in questa provincia. Il De Negri27 cita una statistica del 1867, secondo la quale a Trapani esistevano allora una vera flotta composta da ben 120 schifazzi. Nel 1991 Rocco Sisci28, riproduce le foto di due schifazzi, ancora in uso a Trapani e Favignana armato ancora con un albero a vela latina, in buono stato d’uso. Il termine schifazzo potrebbe avere dei 26 AST notaio Carrara Giuseppe, atti 4 Luglio e 24 novembre 1677. De Negri, C., 1974. 28 Sisci,R, 1991. 27 1 collegamenti con lo schirazzo, un’imbarcazione presente nei documenti antichi. Pantero Pantera29 lo cita all’inizio del 1600 tra i “vasi” che veleggiano alla quadra (navi cioè attrezzate a vela quadra) Pare indubbio per che lo schifazzo fosse di origine orientale. Sempre il Sisci, spiega il termine schifazzo come grossa barca, cioè grosso schifo. Il termine schifo era un tempo comunissimo, ed equivaleva a barca, canotto di servizio, portato sulle galee o sulle navi a vela sul ponte o a rimorchio. Il Pantera avverte che lo schifo del Mediterraneo occidentale equivaleva all’imbarcazione di servizio denominata copano a Venezia. Schifo è un termine derivazione germanica (schiff, o inglese ship). Dall’italiano provengono lo spagnolo e francese esquife, che fu adottato anche dagli inglesi (skiff). Il termine schifo era anche diffuso in mediterraneo, del quale schifazzo potrebbe essere una variante siciliana analoga a galeazza = grossa galea. Recenti studi30 tendono ad una ipotesi diversa. Schifazzo potrebbe derivare dal latino scapha. Da tale termine deriverebbe scafa e scafaccia delle tradizioni dell’Italia centrale interna (soprattutto il Tevere, ma poi anche la Campania) e, come avvenuto per il navicello31 toscano, la scafa fu anche barca marittima, talvolta a vela latina con tre alberi anche chiamata barca o barcaccia. Barcacce provenienti da Napoli e dalla Sicilia sono documentate nei registri della Fiera di Senigallia della fine del XVIII secolo32. Lo scafo si presenta con linee molto potenti senza slanci, caratterizzato dal fatto che la lunghezza fuori tutto coincide con la linea al galleggiamento. Sopra l’estremità della ruota di prora non è presente, il pelliccione33 che fin dall’antichità veniva inserito come parte integrante del legno per augurio e buon auspicio verso gli dei. Per l’attività cui veniva destinata la barca, l’allestimento 29 Pantera P. 1625. Bonino M. 1978, Archeologia e tradizione navale tra la Romagna e il Po, Ravenna 31 Bellabarba -Guerreri 2002: 158-163. Imbarcazione da carico di circa 20 metri sia fluviale che marittima caratterizzata da un’ampia velatura tra l’albero di maestra e l’albero e di trinchetto a prua. Avevano una capacità di carico da 30,70 anche 100 tonn. Nel 1905 in italia ne sono stati censiti 98 contro i 70 del 1897. 32 Bonino M. 1978, Fig 21. 33 Elemento posto all’estremità superiore del dritto di prua. 30 1 era estremamente sobrio. Il dritto di prua si presenta leggermente inclinato a poppavia. La sua versatilità ne fece il “mulo del mare” e con l’avvento del motore fu utilizzato per qualsiasi uso navale adattato alle diverse ulteriori esigenze (si arrivò anche ad allungarne qualche esemplare quasi di un terzo della lunghezza usuale)34. L’economicità d’esercizio, la versatilità, unita alla longevità, ha fatto sì che questo mezzo contribuisse allo sviluppo dell’economia della Città. Secondo il tipo di caricamento prevalente si sono avuti: • schifazzi da salina (es. San Giacomo); • schifazzi di cantuna, tufi (es. Mizar); • schifazzi di piccolo cabotaggio, “ di riviera”. Venivano, inoltre, realizzati sulle stesse sagome imbarcazioni più piccole detti Schifazzeddi da 7-8-9 metri (es. Gesù, Giuseppe e Maria). Una ricerca degli studenti del Liceo Scientifico Fardella di Trapani Storia della cantieristica trapanese dalle origini fino all’età contemporanea, alla quale stato conferito il secondo premio Paolo Galli, nell’anno 200135, spiega i motivi per cui non esiste un’ampia documentazione sulle antiche imbarcazioni di questa zona: <<i segreti costruttivi sono stati tramandati oralmente di generazione in generazione, quindi la maggior parte delle barche stata costruita senza seguire un progetto preciso. Non esistendo piani cui rifarsi la forma stessa degli scafi poteva subire modifiche in funzione della creatività del costruttore oppure di particolari esigenze del committente. Le barche trapanesi, sono tutte robuste e maestose, caratterizzate da bordi bassi, da generose insellature e da efficienti velature, idonee anche alla navigazione d’alto mare. Un altro aspetto tipico è la presenza di un albero tozzo, adatto a sostenere l’antenna della vela, fissato verso prora e inclinato in avanti, secondo l’antica tecnica araba>>. Le barche erano di proprietà di grandi armatori, in genere proprietari di saline o di cave di tufo, che fornivano il mezzo “a freddo” a comandanti che venivano 34 35 Intervista al Dott.Giacomo d’Alì Staiti, si veda bibliografia Yacht Digest, n.117: 94. 1 impegnati all’occasione e pagati a salmaggio, (a viaggio). I comandanti e la ciurma, quando necessaria, veniva reclutata nella zona di Porta Galli nell’angiporto di Trapani, nell’area oggi corrispondente all’incrocio tra la via Ammiraglio Staiti con la via Funai. Nella stessa zona, poi, si svolgeva nelle ore antimeridiane il tocco (il sorteggio) tra i comandanti per aggiudicarsi il diritto di caricamento. Ci serviva per equilibrare l’evidenza che esistevano inevitabilmente schifazzi più veloci di altri pertanto il turno veniva affidato alla sorte permettendo a tutti il un guadagno per il sostentamento della famiglia, anche se alla condotta di un mezzo lento36. Sino agli anni 50 vi era nella zona di porta galli una grande concentrazione di schifazzi da cantuni che facevano collegamento con Favignana di proprietà della famiglia Gandolfo proprietari di cave ed armatori. Tra i costruttori, mastri d’ascia più famosi del nostro secolo, si ricordano: mastro Michele Damico, mastro Nanai Stabile, mastro Cavasino, mastro Lillo Stampa Tra i mastri di garbo dell’Ottocento: i Bascone, De Vincenzi, Greco, Frusteri (che realizzo tra gli altri il brigantino Fratelli Scalabrino37) e, ancora, Cavasino. Ad uno di questi mastri ancora attivo, mastro Michele D’Amico del cantiere Daromarci, stato affidato il compito per la realizzazione della Venus Ericina, la ricostruzione della nave oneraria romana del II secolo d.C. che la facoltà di Archeologia Navale di Trapani ha avviato in collaborazione con l’Amministrazione Provinciale e l’Università di Bologna38. Documenti significativi di questa attività cantieristica dell’Ottocento sono costituiti dal carteggio inedito, di seguito riportato, dell’archivio privato del Sen. Antonio d’Ali Solina di Trapani39. Tali documenti sono relativi alla commessa per la realizzazione di alcune muciare. E necessario chiarire che non si tratta delle omonime imbarcazioni da tonnara, bensì di barconi direttamente derivati dagli 36 Intervista al Dott. Piero Cudia si veda bibliografia Intervista al Sig. (mastro Nardo) Leonardo D’Amico, si veda bibliografia. 38 Bonino, M, 2001Brochure di progetto presso i Corsi di archeologia Navale. 39 Archivio privato: n.5 documenti. Relazione per le barche; Relazione di una mosciara, lettera di presentazione, convenzione per la realizzazione di otto mugare; Relazione per una barca da galleggio. Documentazione databile tra la fine dell’ Ottocento ed i primi del Novecento. 37 1 schifazzi, senza ponte, utilizzate quasi esclusivamente in salina e per questo erano anche dette salinari. Le muciare (di salina) navigavano prevalentemente a rimorchio con l’aiuto di pali, detti punitori, puntati sul fondo dei canali ovvero trainati lungo le sponde dei canali, mantenute al centro di questi, quando erano in fase di caricamento, a mezzo lunghe funi tirate da entrambe gli argini dagli addetti. 2 DOCUMENTO 2 2 Relazione barche Relazione per le barche (Archivio Sen. Antonio d’Alì Solina, Prima pagina per del le documento Trapani). Oggi in Trapani il 22 Novembre 1878. Si tra i qui sottoscritti Sig. Silvestro Burgarella del fu Agostino e Capo Maestro Greco figlio di Gaspare domiciliati e residenti in Trapani, conchiusa la seguente convenzione in carta privata da avere tutti gli effetti di legge. Dovendo il detto Sig. Burgarella far costruire due barche dette MUCIARE, incaricò il detto di Greco onde con i materiali da lui stesso apprestati, eseguire la detta costruzione, ed il Greco avendo accettato lincarico, stabilirono di accordo le seguenti convenzioni che regolar debbono le modalità ed il prezzo di dette MUCIARE, delle quali per ciascuna di esse il prezzo e le convenzioni sono le seguenti. 1 La massima lunghezza di pascima , delle stesse deve essere di palmi 36. 2 La larghezza nel centro palmi 12. 3 L’altezza nel centro palmi 4 ed once 3. 4 La Chiglia da poppa a prora di legname Ilice, attaccando di poppa e di prora con legname rovere e con la sua grossezza al loco delle Polelle once 4 a finire ad once 3 e . 5 La Chiglia nel centro larga once 6 ed alta once 5. 6 Staminale grossezza once 3, altezza corrispondente alle materie a finire al loco della cinta ad once 2 e di legname Celso Bianco. Così pure li furcazzi e le riempiture di poppa e di prora pure di Celso Bianco. 7 Palamezzano legname rovere, largo palmo 1, alto once 3. 8 Le scuse una per parte larghe once 6, alte once 3 di legno rovere con suo puntuale doppio. 9 Ramo di maestra largo palmo 1 doppio once 3 legname rovere con suoi braccioli corrispondenti. 10 La lunghezza delle coperte di poppa e di prora a piacere del Sig. Burgarella. 11 Le cinte di legname di Pegno ed il sottopiano tutto di rovere della grossezza di oncia 1 e con suo pagliuolo, cassitti e compagna a poppa. 12 Chiavata e rischiavata come richiede l’arte, così pure calafatata ed impiciata lesta a terra. 13 La tavolame non più larga di 1 palmo. 14 La lunghezza della tavolame di rovere, in massimo 3 pezzi per ogni filo; tavolame di pegno 2 pezzi per ogni filo. 16 Paramezzale in 1 pezzo. 17 La consegna delle dette MUCIARE come sopra condizionate e compite sarà fatta al Signor Burgarella il giorno 15 di Febbraio 1879. 18 Il prezzo per tale costruzione e per ogni MUCIARA resta convenuto nella somma di once 60 pari a Lire 765 pagabili 2 in carta moneta. DOCUMENTO 3 Prima pagina del documento Relazione di una masciara (Archivio Sen. Antonio d’Alì Solina, Trapani). 2 Relazione di una mosciara La sua larghezza di rota in rota palmi 33. La larghezza nel centro palmi 41, la sua altezza nel centro palmi 3 e once 8, con sua chiglia di rovere: grossezza di chiglia nel centro once 6, grossezza di rote once 4, grossezza di materia once 5, grossezza di staminale. Li detti staminale e materie che siano legname di Celso, con suo palamizzano di pengno, la sua larghezza ricadente a parte, la sua grossezza once 4, la sua larghezza palmo 1 con suoi scusi di poppa a proda, la sua larghezza once 5 e grossezza once 2 e che siano di pengno (pegno o pino?) con suoi scazzi di poppa a proda, con suoi cinti di poppa a proda che siano di rovere, la sua larghezza once 6. La sua grossezza once 2 e con suo banco di maestra che sia di rovere, la sua larghezza palmo 2, la sua grossezza once 3 e con suo latinotto(?) a poppa che sia di rovere con sua poppa la prora riquidente a l’arte che sia chiusa di pengno con suoi lotti a poppa e a prora li detti lotti che siano di rovere, la coperta di poppa e prora che sia di pegno la sua grossezza di detta tavolame oncia 1 e , tavolame di fuori che sia tutta di pegno, la sua grossezza oncia 1 e con suo pagliolo.con suoi cascitti di poppa, la prora con sua compagna la poppa, calafatata e inchiodata e impiciata come richiede l’arte lesta in terra, tutta la detta legname deve essere fuori fracida (fradicia?) squadrata e stratagliata, più il ristretto prezzo non meno di once ……..60 2 DOCUMENTO 4 Prima pagina del documento Signor se lei vole sapere le barche che io ho fatto….. (Archivio Sen. Antonio d’Alì Solina, Trapani). 2 Signor se lei vole sapere le barche che io ho fatto ai Padrone particolare e schifazzara sono le seguenti. Antonino Gianquinto ci fece Mugare, al coratolo della salina nuova ci fece 2 mugare, a Giuseppe Grillo schifazzaro ci fece 2 mugare, a Salvatore Catania ci fece 2 mugare, a Michele Malato ci fece 2 schifazzi 2 mugare, al coratolo di pietro Pizzardi ci fece 1 mugara, per le proprietari sono Giacomazzi ci fece 4 mugare. Al signor DAgostino Burgarella ci ho fatto diverse barche e presentamente ci sto costruendo barche. Al Sig. D’Alì Giuseppe ci ho fatto diversi barche e lo servo io, e poi ad altri diversi padrone di marina, ed io ho piacere di servire al Sig. D’Alì Giacomo di fare questi barche. Per il prezzo quando vole Lei basta che lo servo io; Gaspare Cavasino 2 DOCUMENTO 5 Prima pagina del documento Commenzionedi farsi n. 8 mugare…… (Archivio Sen. Antonio d’Alì Solina, Trapani). 2 Commenzione di farsi n 8 mugare nuovi con la seguente commenzione cioè la lunghezza per ognuna mugara deve essere di palmi 36, larghezza palmi 12, alta palmi 4 e once 3, la materia di legname di rovere, larghezza di detti materie once 5 , alti once 3 e , le staminale di legname di ceuso, larghezza once 3, alti once 3. Il ginchimento di legname ceuso, il palamizzano di legname di rovere, larghezza di detto once 10, grossezza 3 e , scuse di legname di rovere, larghezza once 5, grossi once 3, il banco di legname di rovere, larghezza once 10, grosso once 3 e 1/2 , le latti di legname di rovere, larghezza once 4, grossi once 2 e , le vernici di legname pegno, larghezza once 5, grossezza once 2 e , la vernici di legname pegno, larghezza once 5, grossezza once due e mezza le cinte di legname pegno larghezza once sei grossi once tre, le soprasole di legname di pegno, grossezza once 2, larghezza richetende alla barca, oppure once 6, la tavolame di coverta di legname pegno, la grossezza once 1,50 , il arronato di fuori di sotto la cinta di legname di pegno e sotto nel piano la tavolame di legname di rovere, la grossezza di once 1 e , franca di serra con il suo pagliolo incassittata e chiodata bene di ferro e bene calafatata e impiciata di dentro e fuori come richiede l’arte e resta a terra senza caparro per il prezzo di detta mugare a piacere del Sig. D’ali. Il costruttore Gaspare Cavasino 2 DOCUMENTO 6 Prima pagina del documento Relazione per una barca da galleggio (Archivio Sen. Antonio d’Alì Solina, Trapani). 2 Relazione per una barca da galleggio Carena d’Inice lunga palmi 37 e rispettivamente di celso spessezza palmi. Once 3 e .Materie di celso spessezza once 3 e larghezza once 5.Staminale larghezza once 3 e ed altezza once 3. Paramezzale di pino largo once 13, alto 3 e .Scuse di pino, larghe once 6 ed alte once 3. Balio di mezzo largo palmo 1, alto once 3 con i suoi bracci. Cinte larghe once 5 alte 2 . spessezza once 1 e .Soprasuola ovvero capo di banda spessezza once due .La larghezza della carena once 5 di quadra. Dimensione: Larghezza della barca di ..misurata palmi 37; Larghezza palmi 12; Altezza palmi 4 e .Prezzo di detta barca posta in mare once 53 pari a Lire 675 e 75 centesimi. Onze 53 pari Lire 675.75. Filippo Di Vincenzo. Se la sopradetta relazione di barca la S.V. la vuole costruita con fasciame e materie di rovere il prezzo donze 58 pari a Lire 739 e centesimi 50.Lire 739.50. Barca intesa sempre posta in mare. 3 4. INIDIVIDUAZIONE DELLESEMPLARE Schifazzo “SAN GIACOMO” Realizzato nel 1879 ed iscritto al registro delle navi minori in data 09.10.1947 con le seguenti caratteristiche: lunghezza mt 11,15 (misurata mt. 11.43), larghezza mt. 3,45 (misurata mt. 4.10), altezza 1,15, stazza lorda 10,61, netta 7,21. Realizzato unitamente ad altre 12/13 imbarcazioni similari per conto del Barone Adragna fu utilizzato per il trasporto del sale dalle Saline site in località Isola Grande nello Stagnone di Marsala al porto di Trapani. In seguito tali imbarcazioni, divennero di proprietà della famiglia Amodeo e continuarono a fare servizio a Marsala. Furono conferite, al momento della fondazione, nel 1920 al patrimonio della SIES, poi nel 1962 alla S.I.E.S. S.p.a. Negli anni 60 fu oggetto di lavori di ristrutturazione e venne adibito a diporto-rappresentanza ed utilizzato dalla famiglia del Cav. Antonio DAli Staiti. Il San Giacomo fu acquistato dal Rag. Piero Cudia dalla S.I.E.S. S.p.a. con atto notaio Giuseppe Di Marzo in data 11 gennaio 1973 e donato alla Provincia Regionale di Trapani con atto Notaio Alfredo Mineo in data 31.12.1999. Secondo la donazione l’Ente Provincia avrebbe dovuto provvedere al restauro. Dopo un anno dalla donazione fu eseguita una relazione perizia tecnica per il progetto di restauro eseguita da un tecnico della stessa Provincia il Geom. Benedetto Mezzapelle con i suggerimenti dell’ex proprietario Dr. Piero Cudia, il Comandante Diego Giacalone ed il Prof. Galia del locale Istituto Nautico. Tale documento descrive puntualmente lo stato d’uso del mezzo (nel novembre 2000) e gli interventi necessari ai lavori di restauro. Oggi il San Giacomo si trova in Trapani in stato d’abbandono presso il cantiere navale Guaiana nelle vicinanze del porto peschereccio. 3 DOCUMENTO 7 Estratto dal Registro Navi Minori e Galleggianti dal n. 592 al n.800 (Archivio della Capitaneria di Porto di Trapani 3 DOCUMENTO 8 Prima pagina Atto di donazione alla Provincia Regionale di Trapani (Archivio Notarile) 3 5. RILIEVO FOTOGRAFICO Foto 5.1 Vista obliqua: si noti la “cabina” posticcia – foto dell’autore. Foto 5.2 Vista laterale: si noti la presenza del timone– foto dell’autore. 3 Foto 5.3 Vista da prua – foto dell’autore. Foto 5.4 Vista da poppa – foto dell’autore. 3 6. SCHEDATURA E RILIEVO DELLE FORME, STATO D’USO Il rilievo è stato eseguito in due fasi: • Scheda per le informazioni generali • Rilievo delle forme • Stato d’uso: relazione Geom. Mezzapelle anno 2000 Scheda per le informazioni generali Tipo di imbarcazione: Schifazzo Scheda n° 001 Località Trapani – Cantiere Guaiana, porto peschereccio. Lunghezza: mt 11,43 Sporgenza della prua: cm. – 11,5 Larghezza: mt. 4,10 Sporgenza della poppa: cm. – 10 Altezza a prua: mt 1.60 Bolzone di baglio: cm. 19.5 Altezza a poppa: mt 1,14 Altezza al centro: mt 1.27 N° di ordinate: 39 Distanza tra le ordinate: cm. 17,5/23,5 N° di bagli: 26 (latte) Spessore delle ordinate: staminali cm. 8x 9 madieri cm. 10 x 12 Ancore: NO Dimensione: h. mt. 8,80 Timone: SI Albero/i n° 1 Caratteristiche presumibilmente si tratta dell’originale. Piede a sezione ottagonale (cm 23) sino all’altezza dei bagli, si raccorda a sezione rotonda a metri due dalla scassa e si rastrema verso la testa d’albero terminando con il “calcese” (ringrossamento contenente due pulegge). Modificato in alcuni particolari: allungamento in testa d’albero oltre la “formaggetta” con elemento metallico; sistemi di ritenuta e paranco della drizza dell’antenna. Bompresso SI Caratteristiche: lunghezza mt. 2.90, diametro cm. 16 si rastrema verso prua a cm 3 10, posizionato in modo fisso al di sopra del dritto di prua (non lateralmente) è sostenuto inferiormente da elemento ligneo, raccordato alla ruota di prua con sagoma a “tartana” che sembra essere estraneo al tipo. Vele n°: NO Tipo: NO Dimensione: NO Manovra: Fisse: SI (n.2 stralli; n.2 coppie di sartie) non originali, Mobili: NO Legnami impiegati: Colori: azzurro (opera viva) Bianco (opera morta) Sezioni di riferimento: N°3 - Distanza dall’estrema prua: mt 2, mt 4, mt 6 - Larghezza: mt 3,95, mt 4,10 (max), mt 4,00 Proprietario: Provincia Regionale di Trapani Data di costruzione: 1879 Costruttore: ignoto Rilievo delle forme Non sono state rilevate le deformazioni dello scafo, dovute alla permanenza in cantiere, che comunque si mantengono entro limiti non apprezzabili visivamente se non in alcuni punti della carena nelle immediate vicinanze della chiglia nei “corsi di fondo”. Per il rilievo si è predisposta in cantiere, una griglia geometrica di riferimento con fili posizionati con l’ausilio di “livella” e “piombo”. Su tale reticolo si è provveduto, in senso inverso di come si predispone un progetto, a riportare sui diversi piani le forme dell’esistente. Le tolleranze sono state previste al centimetro e per la restituzione è stata utilizzata una scala congrua al modello da rappresentare di 1:20 (ridotta nello schema a scala 1:50). 3 3 DOCUMENTO 9 Stato d’uso: relazione Geom. Mezzapelle anno 2000 3 4 DOCUMENTO 10 Computo metrico per il restauro dello scafo 4 4 Le condizioni di conservazione dello scafo rilevate oggi, confrontate con la relazione del Geom. Mezzapelle (documento 9 e 10) risultano ulteriormente peggiorate. La permanenza sullo scalo d’alaggio, senza alcuna protezione specie dalle temperature torride estive che tendono a seccare il legname perdendo ogni capacità di resistenza, deformando lo scafo sotto l’effetto del suo stesso peso su appoggi non uniformi. 4 7. CONFRONTI - STRUTTURE PIANO DEI LEGNI Di seguito si riporta il piano dei legni di schifazzi ricavati da disegni dell’Hennique da Corrado Sanfilippo40, per un primo confronto con l’esemplare individuato e per dare indicazioni sulle strutture originarie e un contributo per la ricostruzione definitiva. Piano delle forme (Ricostruzione Sanfilippo C.) Piano dei legni (Ricostruzione Sanfilippo C.) 40 Bellabarba -Guerreri 2002: 200-201. 4 Piano velico (Ricostruzione Sanfilippo C.) Come si nota da un più attenta visione delle linee dello scafo dello schifazzo, esso è caratterizzato da una lunghezza al galleggiamento quasi uguale o minore della lunghezza fuori tutto, cioè priva di slanci di poppa e di prua che anzi sono di valore negativo poiché rientranti verso il centro dello scafo. Inoltre il baglio massimo ovvero al maggiore larghezza dello scafo non si trova al centro dello stesso ma leggermente spostato verso prua. Questa scelta progettuale è tipica delle imbarcazioni da carico che necessitavano di una maggiore immersione a fronte del grande peso imbarcato. Essa era determinata, con l’esperienza di generazioni di costruttori navali, dal fatto di concentrare verso prua il corpo della carena, la parte più immersa e voluminosa, e lasciare verso poppa una maggiore lunghezza per raccordare più dolcemente possibile le linee di carena e ottenere una parte poppiera più filante in modo tale da offrire la minore resistenza all’avanzamento nell’acqua riducendo il “treno” di onde che crea la barca al suo passaggio. Lo scafo risultava quindi più rigonfio nella parte 4 prodiera e ristretto in quella verso poppa. Così descritta la progettazione appare semplice ma essa è estremamente più complessa. Solo per accennare ad alcune problematiche basta considerare che, nelle barche a propulsione velica, a causa dello sbandamento, possono variare le immersioni delle varie parti dello scafo e quindi le spinte relative e che sotto l’azione del vento la barca tende a scarrocciare41 e si rende necessario contrastare questa spinta laterale. Deve essere inoltre ricercato attraverso opportune forme, l’equilibrio tra il “centro di deriva”42 ed il “centro velico”43. Per raccordare poi, le superfici esterne tra l’”opera viva” (la carena) e l’”opera morta” (la parte emersa dello scafo), verso poppa e prua estrema, assumono forme complesse divenendo più svasate verso l’esterno sino ad ottenere all’altezza del “trincarino” forme simili tra l estremità della barca. Per gestire tale complessità i mastri d’ascia utilizzavano per le loro realizzazioni il sistema costruttivo, empirico, del mezzo garbo, FOTO 7.1 Mastro Nardo mostra e spiega l’uso del garbo – foto dell’autore 2004. 41 Medas, S. 2000, Spostamento trasversale della nave rispetto alla direzione di rotta, dovuto alla spinta del vento sulla vela e sullo scafo (da cui scarrocciare). 42 Centro d’applicazione delle forze esercitate dall’acqua sulla parte immersa. 43 Punto di applicazione della forza del vento su una vela o su un piano velico (risultante). 4 FOTO 7.2 Mastro Nardo disegna su cartone un nuovo progetto – foto dell’autore 2004. Esso, utilizzato per le imbarcazioni minori, riproduceva la mezza sezione maestra dell’imbarcazione da costruire ed era realizzata in legno dello spessore di circa un centimetro. Su tale strumento venivano tracciati, dai due lati, alcuni segni, che permettevano la corretta sagomatura delle ordinate e quindi dello scafo, determinandone la sagoma, le rotondità, la pancia44. In seguito, i maestri d’ascia, utilizzando il disegno, realizzato su prevalentemente su tavole di legno o cartoni, definivano le linee del progetto, le ingrandivano al “vero” (scala 1:1) e ne ricavavano le sagome in legno delle ordinate. Con tali sagome, come precedentemente con il garbo (nelle diverse posizioni) ricercavano dei tronchi di legno che avessero lo stesso andamento. Trovato il legno adatto, il mastro provvedeva a segnarlo da entrambe i lati e i giovani di bottega provvedevano a tagliarlo segandolo disponendosi in due persone uno sul tronco (il più giovane) ed un altro sotto, procedendo al taglio lungo i segni. A Trapani nelle botteghe dei 44 Castro, F., 1997 4 mastri marina, vi è l’usanza di conservare di ogni barca realizzata le sagome di tutte le ordinate, come documento della costruzione, per adattarle all’occorrenza a successive nuove costruzioni similari, per eseguire copie della stessa imbarcazione ovvero come testimonianza della propria capacità e delle commesse portate a termine. Tali sagome (che sopravvivono spesso alla stessa costruzione) appaiono ai non esperti come semplici “pezzi di legno” e spesso, non comprendendo la loro funzione vengono dispersi. Costituiscono invece un documento importantissimo della cantieristica navale minore. A volte, per le realizzazioni più impegnative realizzavano anche il “mezzo modello” in legno per il controllo complessivo delle forme prima della costruzione vera e propria. FOTO 7.3 Al soffitto sono conservati i disegni delle barche realizzate: le sagome – foto dell’autore 2004. 4 FOTO 7.4 Giovanni D’Acqui mostra il mezzo modello di una costruzione – foto dell’autore 2004. FOTO 7.5 foto Marzari ’97:337 FOTO 7.6 foto dell’autore 2004 4 FOTO 7.7 foto dell’autore 2004 5 8. RICOSTRUZIONE DEL PIANO VELICO L’unica fonte storica, da cui possiamo attingere la testimonianza di come questa barca era fatta, sono gli schizzi di Hennique, storico francese incaricato da Napoleone Bonaparte di censire le imbarcazioni italiane che nel 1867 rilevò registrate alla capitaneria di porto di Porto Empedocle 4 schifazzi e 120 in quella di Trapani. Ben quattro diversi schifazzi furono ritratti da questo autore, ed in ognuno si possono riscontrare interessanti particolarità dell’attrezzatura. Risulta in generale con tutta evidenza che questa barca era caratterizzata dalla forma dello scafo, identica in tutti gli esemplari mentre per l’alberatura vi è una grande varietà di soluzioni. Dalla diversa tipologia d’armamento si può comunque comprendere che lo schifazzo presentava ottime qualità veliche e buona andatura. Nel tempo, si può presumere, si sia avuta una progressiva riduzione dell’attrezzatura velica ad un sicuro vantaggio delle capacità manovriere. Ciò è forse dovuto alla necessità di aumentare le capacità di evoluire nei bassi fondali e nei canali tipici della zone del trapanese ed inoltre, ultimo ma non minore, al fatto che con tale attrezzatura un solo uomo poteva condurre un’imbarcazione così grande. Da notare inoltre che gli schifazzi visti da Hennique erano impiegati non per il trasporto del sale, dei tufi o per altre merci ma per la pesca delle spugne che allora si trovavano ancora numerose sulle coste della Sicilia e della Tunisia. Sarebbe interessante approfondire il sistema di stivaggio delle piccole imbarcazioni ritratte vicino gli schifazzi durante la navigazione. Da tale fonte è possibile ricostruire i diversi armamenti dello schifazzo: a tre alberi: ha l’albero di trinchetto piantato sull’estrema prora inclinato in avanti. L’antenna di trinchetto ha un’orza (la manovra che tirava verso il basso l’estremità anteriore dell’antenna, detta carro nel Mediterraneo occidentale) che fa “dormiente” sul bompresso, ed addirittura su di un cavaliere scorrevole sul 5 bompresso stesso. Questa antenna di trinchetto, poi, ha la drizza che scende a poppavia dell’albero, il che significa che questa vela probabilmente non veniva passata sottovento quando questo avrebbe potuto migliorarne la portanza. Ma forse, trattandosi di una vela piccola, si riusciva a passare il “carro” nonostante l’ingombro rappresentato dalla drizza. La vela di maestra non era una vela propriamente latina, cioè triangolare; l’angolo prodiero era infatti tagliato, sicché la vela risultava di forma trapezoidale. Simili vele latine col pizzo tagliato appaiono spesso sulle barche arabe, tanto che molti le hanno volute definire “latine arabe”; Disegno Hennique, Bellabarba-Guerreri, 2002:198. 5 A due alberi: Questo secondo esemplare di schifazzo porta all’estrema poppa una mezzana con vela aurica, che potremmo definire al quinto. Vele di questo genere erano in uso nell’alto Adriatico e nelle aree lagunari padane, ma non in altre zone del Mediterraneo. Nel Mediterraneo centrale vi era una versione trapezzoidale della vela latina, ma non definibile come vela al terzo o al quinto. Disegno Hennique, Bellabarba-Guerreri, 2002:203. 5 A due alberi: un altro schifazzo ritratto da Hennique mostra un’alberatura meno originale, vale a dire due latine, maestra e trinchetto ed un solo fiocco. Anche qui, l’antenna di trinchetto ha la drizza a poppavia dell’albero. Tutti gli esemplari portano in testa d’albero dei bozzelli, per i quali poteva essere filata una drizza per issare delle gabbiole volanti; Disegno Hennique, Bellabarba-Guerreri, 2002:200. 5 A un solo albero: questo esemplare di schifazzo portava una grande vela latina più due fiocchi. Questo schifazzo fu ritratto da Hennique in prospettiva, di prora, in un momento di pausa durante una pesca di spugne (che si notano issate ad asciugare con l’ausilio di due paranchi). Il taglio della parte anteriore della latina appare chiaramente visibile. Della vela maestra, infatti, a prora ne manca un pezzo, il che permette di far portare meglio una trinchettina, chiamata anche cavalla o pilaccune. Disegno Hennique, Bellabarba-Guerreri, 2002:203. 5 Come si nota il mezzo poteva portare molta “tela” al vento. I diversi armamenti richiedevano differente numero di marinai e differenti capacità nautiche degli stessi. Possiamo supporre che sulle rotte lunghe venissero utilizzati gli armamenti più complessi e frazionati ma con maggiore capacità di spinta specie nelle andature portanti, mentre per le tratte più brevi venisse preferito un armamento più semplice che consentisse l’utilizzo di un equipaggio ridotto (fino a alla condotta di un singolo marinaio), capace di migliori qualità manovriere necessarie sottocosta. In ogni caso era necessaria molta perizia per la condotta “sotto vela” dello schifazzo poiché l’equipaggio era, in ogni caso quello strettamente necessario e la velatura, certamente di dimensioni mediterranee, esponeva al vento la superficie massima possibile con la tecnologia al tempo disponibile. Sull’ultima tipologia di piano velico, e cioè quella ad un albero, giunta sino quasi ai nostri giorni, è possibile fare un approfondimento grazie ad un documento inedito che costituito da un libretto45 di accompagnamento allo schifazzo San Luigi, oggi andato perduto, anch’esso confluito come quota per la costituzione della prima Società S.I.E.S. 45 Archivio privato Sig. Roberto Musmeci: formato cm 10.7 x 15.6, composto da 10 fogli con copertina in carta pergamena e laccio di chiusura. 5 DOCUMENTO 11 Libretto che porta nel frontespizio la seguente dicitura -N.135 Schifazzo T8 San Luigi nel quale sono annotate tutte le attrezzature di bordo (archivio privato Sig. Roberto Musmeci) 5 Maestra Pelaccone grande Scotta di pelacconello Scotta di mangiamento Mante Mante gabbia grossa Mante gabbia piccola Ciunco Menale mante gabbia grossa Manale manta gabbia piccola Stroppo mante gabbia grossa Stroppo mante gabbia piccola Stroppo di taglione Taglione Bracotti 5 Antenna Albero Soprantenna Legane d’antenna Davanti Montone Stroppo davanti (16/11 80) Stroppo montine Staso Ferro grosso Ferro piccolo Palamaro Paleggio Colonne di farrie Stroppo di farrie 5 Menale di farrie Bigliolo Sassola Bozzelli Schifazzari 5/2 81 Baldassare La Francesca Dei termini sottolineati, non si comprende il significato e lo studio necessita di un ulteriore approfondimento. L’attrezzatura elencata sembra prevedere oltre randa e due fiocchi una controranda (gabbia) inferita46 in un secondo albero mobile (contrantenna). Quindi anche lo schifazzo di salina di fine secolo (i numeri riportati nel libretto si ritiene siano abbreviazioni di date: 16 novembre 1880 5 febbraio 1881) utilizzava un’attrezzatura piuttosto complessa come la controranda per aumentare la capacità di spinta delle vele. 46 Medas, S. 2000, Collegata agli alberi mediante una cima. 6 9 . CENSIMENTO DEGLI ULTIMI SCHIFAZZI • MIZAR Acquistato dal Dott. Florio Alagna dalla SIES, è uno schifazzo da cantuni, costruito agli inizi del 900 è stato sottoposto a lavori di “allungamento”. E’ oggi navigante e visibile presso il porto di Marsala; • PENELOPE (Non è il nome originale) Acquistato dalle Famiglie Alagna Pellegrino, negli anni ‘60/70 (non si conosce la precedente proprietà), faceva servizio tra Marsala e Favignana. E’ stato acquistato dalla Sig.ra Martina Alagna, trasferito a Talamone, rientrato a Trapani è stato venduto a Milazzo oggi sede di armamento dove svolge attività di charter alle Eolie; • (senza nome) Schifazzo modificato nella prua e nella poppa dal maestro d’ascia mastro “Liddu” Stampa è oggi di proprietà di Mondo X e si trova conservato presso l’Isola di Formica; • SOLEDAD Uno degli schifazzi che era stato sottoposto a lavori di allungamento, stato per decenni di proprietà della famiglia Forgia. Veduto nel 1999 a Napoli ed affondato durante una traversata nell’ inverno 200247; FIUME PLATANI (Eppuru si move) Ultimo schifazzo costruito a Trapani. Realizzato negli anni ’60, dal mastro d’ascia Leonardo Giovanni Barraco detto “mastro Nardo” per conto della Sig.na Gandolfo di Favignana è stato venduto anni addietro ed oggi si trova a • 47 Intervista ai Sig.ri Fabrizio e Dario Forgia si veda bibliografia. 6 Fiumicino. Eppuru si move è stato il sopranome dato alla barca dalla gente di mare. Il mezzo, in uno dei primi viaggi per Favignana, affondò appena fuori il porto. Nel tragico incedente perse la vita uno dei tre uomini d’equipaggio. Recuperato, lo schifazzo fu riparato dallo stesso costruttore e rimesso in breve tempo in mare a navigare. Da qui la ‘ngiuria (sopranome)48. • (senza nome) Si è avuta notizia di uno schifazzo abbandonata su una banchina nel porto di Genova49; • GESU’, GIUSEPPE E MARIA Schifazzeddu realizzato verso la fine degli anni ’20, forse dal Cantiere Stabile, viene registrato per la prima volta nel 1937. Facente parte di una commessa per la costruzione di due imbarcazioni simili, fu utilizzato quale “postale” per l’isola di Levanzo fino alla metà degli anni ’60 (N. B. nel 1965 entrò in linea il primo aliscafo Rodriquez: Pinturicchio). Appartenuto in seguito al Not. Di Marzo, poi al Rag. Cudia ed in seguito al Cantiere Bonanno di Marsala, fu acquistato dal Sig. Elio Catalano è ora di proprietà dell’Associazione Armatori Amici dello Schifazzo, con sede in Trapani. L’associazione senza scopo di lucro, ne ha provveduto al restauro. L’imbarcazione è navigante e visibile presso la LNI di Trapani. Viene messa a disposizione a richiesta per attività didattiche e divulgative; 48 49 Intervista al Sig. (mastro Nardo) Leonardo D’Amico, si veda bibliografia. Intervista al Com.te Franco Bosco, si veda bibliografia. 6 FOTO 9,1 Lo schifazzeddu Gesù. Giuseppe e Maria – foto Avv. Vito Scuderi 2002 6 10. IL VINCOLO Per il “San Giacomo”, la sua storia e le sue caratteristiche, può essere richiesto il riconoscimento di “bene culturale” e l’apposizione del vincolo di salvaguardia. Tale procedura, che prende spunto dalle precedenti norme di tutela, è prevista, per i beni mobili e specificatamente per le imbarcazioni, nella nuova legge sulla Nautica (Legge 8.07.2003, n 172). Infatti all’art. 7 della stessa legge, che riprende concettualmente tutte le disposizioni sancite dal Testo Unico n° 490 (Legge 1089/’49), viene definita la categoria delle barche di “valore storico”. Questo concetto è innovativo per la nautica e contempla la riconduzione a beni culturali delle unità da diporto “storiche” e, comunque, con particolari valori nella storia della nautica e della marineria. In particolare il comma I. considera beni culturali (DL n° 490) <<…le navi ed i galleggianti di cui all’art.136 del codice della navigazione e le unità da diporto di cui all’art. I della legge 11 febbraio 1971, n°50…>> con più di 25 anni di età (la precedente legge 1089 ne contemplava 50 anni) e che possiedono particolari requisiti in merito a peculiarità progettuale, tecnica o ingegneristica nella costruzione e nei materiali adottati; traguardi sportivi o tecnici; interesse storico o etnologico; sviluppo sociale o economico del Paese; riproduzioni storiche. Il comma 3 definisce una commissione che esprima opinione sulla rispondenza ai requisiti richiesti e sull’individuazione di eventuali interventi di restauro e recupero, nonché le relative professionalità atte ad intervenire in tal senso. Il comma 5 richiama l’applicazione del DL 29/10/1999 n° 490 nella parte che regola tutte le eventuali prerogative, opportunità ed obblighi connessi all’identificazione di “bene culturale”. I risvolti per le unità navali possono essere molteplici: dalla possibilità di contributi ai restauri alle misure conservative; da facilitazioni per la mobilità del mezzo, all’impiego in mostre; dalla possibilità di ottenere contributi per la ricerca al premio per il ritrovamento; dall’esproprio, all’impiego per scopi 6 scolastici e didattici; dalla contraffazione ai danneggiamenti ed alle relative sanzioni. Le modalità sulla procedura di richiesta a vincolo sono di seguito riportate. La richiesta del vincolo, può essere inoltrata da qualsiasi soggetto ente, associazione, privato cittadino, anche non proprietario. La richiesta può essere inoltrata sia nel caso di una barca già restaurata, che in caso, come il presente, di una imbarcazione da sottoporre a restauro. Dovrà essere redatto un documento che attesti tutti i requisiti richiesti sull’identificazione del bene ed il “profilo storico”. Questo dovrà essere redatto da un professionista del settore archeologico navale, etnologo appartenente ad un Istituto riconosciuto. Alla relazione dovranno essere allegate le fotografie, l’eventuale certificato di stazza dell’imbarcazione ed ogni altra documentazione ritenuta utile ad attestare l’importanza del bene e comunque la rispondenza dello stesso ai requisiti previsti dalla Legge. La documentazione completa dovrà essere inviata a mezzo raccomandata, alla Soprintendenza per i BB. CC. AA. di zona che provvederà, qualora lo ritenga opportuno, avviare un procedimento di vincolo ai sensi delle leggi in materia e ad inoltrare tale documentazione al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali – Ufficio Centrale per i Beni Archeologici Architettonici Artistici e Storici – V Divisione – Roma. Espletate tutte le procedure di legge, viene emesso un decreto di tutela a firma del Direttore Generale dell’Assessorato regionale ai BB. CC.AA. con successiva notifica all’armatore proprietario. L’imbarcazione, ottenuto il riconoscimento richiesto, dovrà essere conservata, mantenuta, restaurata, ed anche eventualmente ceduta, seguendo quanto previsto dalle leggi in vigore. 6 Normativa di riferimento • Legge 1.06.1939, n° 1089 Tutela del patrimonio storico artistico, demoetno-antropologico, archeologico,archivistico, librario; • Decreto Legislativo 3.12.1993, n° 29; • Legge 8.10.1997, n° 352 Disposizione sui beni culturali; • Decreto Legislativo – Testo Unico 29.10.1999, n° 490 Testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali ed ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n.352; 11. CONCLUSIONI Questa ricerca è intesa a dare un contributo di conoscenza indispensabile per il successivo recupero dell’imbarcazione. La pratica della tutela della conservazione e del recupero si è estesa oggi a tutto il patrimonio culturale anche “minore”, e pertanto anche al nostro schifazzo, e poiché questo si è conservato attraverso la “memoria collettiva” della società cui appartiene, diviene produttore e riproduttore di cultura ed il suo recupero ne spiega l’utilità sociale. La pratica del restauro << è il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica in vista della sua trasmissione al futuro>>50. Il “San Giacomo”, l’esemplare da noi individuato, è ancora recuperabile. L’impresa è tecnicamente fattibile, poiché la cantieristica locale ha ancora le capacità tecnica d’intervenire e le conoscenze navali antiche non sono ancora del tutto andate disperse e le recenti normative consentendo l’apposizione “ufficiale” del vincolo di salvaguardia e tutela potrebbero evitarne un ulteriore degrado. Il mezzo restaurato, poi, anche 50 Carbonara, G., 1996, vol I: pp. 5 – 7, 10 -14. 6 sull’esperienza di simili recuperi già attuati in italia51, potrebbe riprendere il mare e avere un futuro come strumento didattico presso la nostra sede universitaria. Giampiero Musmeci Si ringraziano: Associazione Armatori Amici dello Schifazzo nelle persone dell’Avv. Vito Scuderi, Sig. Elio Catalano, Dott. Nicola Scariano; Rag. Piero Cudia; Dott. Giuseppe Pino Fuggiano; Sig. Davide Grasso; Sen. Antonio d’Ali Solina; Prof. Pietro Monteleone; Lega Navale Sez. di Trapani; Liceo Scientifico Fardella Trapani. 51 Intervista al Dott. Pino Fuggiano.si veda bibliografia. Risultano sottoposte a vincolo (ancora con la legge 1089/39) almeno cinque imbarcazioni: Anno 1997 – lancia romagnola a due alberi – “Assunta” – Proprietà Marini – Cervia; Anno 1998 – lancione romagnolo-marchigiano a due alberi – “Saviolina” già “Nino Bixio” – proprietà Comune di Riccione- Armatore Club Nautico Riccione; Anno 1998 – leudo rivano – “Dominica Nina” ex San Marco – proprietà Passigli Armando. 6 BIBLIOGRAFIA AGNELLO, A., 1861, Di misure pesi e monete, Palermo. BALLABARBA, S., - GUERRERI, E., 1993, Lo Schifazzo, Yacht Digest, n.56/57: 38 – 43. BALLABARBA, S., - GUERRERI, E., 2002, Vele italiane, Milano. BARBERA, G., 2001, Ottocento Siciliano, Napoli. BENIGNO, F., 1982, Il porto di Trapani nel Settecento, Trapani. BONINO, M., Ricostruzione grafica delle linee dello scafo, (barca di Ravenna), in “Navis” N.2, Sottomarina (Ve). BONINO, M. 1978, Archeologia e tradizione navale tra la Romagna e il Po, Ravenna. 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SISCI, R., 1991, Tonnare e barche tradizionali di Sicilia, Messina. INTERVISTE (effettuate nel periodo ottobre 2003 gennaio2004) Com.te Franco Bosco Rag. Piero Cudia Sig. Leonardo D’Amico Cav. Antonio d’Alì Staiti Dott. Giacomo d’Alì Staiti Sig.ri. Fabrizio e Dario Forgia Dott. Piero Fuggiano 7 ALTRE FONTI Archivio privato - Sen. Antonio D’Ali Solina, n.5 documenti: Relazione per le barche; Relazione di una mosciara, lettera di presentazione, convenzione per la realizzazione di otto mugare; Relazione per una barca da galleggio (databili tra la fine dell’ Ottocento ed i primi del Novecento). - Sig. Roberto Musmeci, n.1 documento: Libretto contenete le attrezzature dello schifazzo N. 135, T8, San Luigi, formato cm 10.7 x 15.6, composto da 10 fogli con copertina in carta pergamena e laccio di chiusura (databile 1880 -1881). Raccolta privata - Rag. Piero Cudia, n. 4 elementi: Campione di legname denominato “legno santo” dimensioni cm 19,8 x 7 x 5,8; Paranco a tre vie dell’amante dell’antenna composto da Taglione in legno cm 39 x 16 x19 e Taglia cm 44 x 11 x 13,5; Imbuto da calafato cm 52 diametro cm 14,5; - Avv. Vito Scuderi, n. 1 elemento: elemento mobile di coperta per il rimando per cime di ormeggio o rimorchio. SITI INTERNET DI RIFERIMENTO Dizionario termini nautici in trapanese, http://www.trapanisiannu.it/marinai.htp RONCI, E., Lo Schifazzo, in Bacheca dei vecchi cantieri italiani, http://www.modellismonavale.com/schifazzo,htm. 7