1 I GIOVANI DI OGGI E LA STORIA DEL CSI Convegno organizzato dal Csi Emilia Romagna in occasione del 70esimo dell’associazione ‐ Bologna, Villa Pallavicini, 7 novembre Intervento di Don Giordano Goccini – incaricato regionale di Pastorale Giovanile Buongiorno! Grazie di questo invito. Anzitutto vi debbo chiedere scusa, a nome dei preti e delle parrocchie, perché, secondo me, da almeno 30 anni, ve la passate un po’ male nelle parrocchie. C’è una percezione di “concorrenza”: ​
“I bambini non vengono, al catechismo, perché, hanno la partita”…​
ecc. quindi, le catechiste si lamentano, i Parroci si lamentano: ​
lo sport ci ruba i ragazzi.​
C’è poco da fare, questa mentalità è stata ed è ancora abbastanza forte, con una contrapposizione che non ci aiuta, vi ha isolati, vi ha portato un po’ ai margini, vi ha reso il lavoro più difficile. Non ho dubbi, sul fatto che non sia una contrapposizione facile da sanare, perché poi ci sono delle difficoltà oggettive che richiedono un supplemento di genialità, di fantasia, di pazienza, soprattutto, da parte vostra. Voi avete più capacità di rinnovamento di quanta ne ha la struttura parrocchiale, già troppo impegnata in una nuova organizzazione territoriale, le unità pastorali, quindi, credo che questo supplemento di genialità dobbiate cercare di portarlo voi e io non posso che iniziare con delle scuse. Dove vorrei portarvi questa mattina? Vorrei dare solo alcune note di quello che stiamo cercando di osservare, perché i giovani cambiano, cambiano le generazioni. Ogni ragazzo, ogni ragazza è un mondo a sé, però ci sono delle onde culturali, ci sono dei passaggi che portano, a interpretare in modo diverso le cose che facciamo. Mi spiego: un campo, da calcio è sempre uguale, 100 metri per 60; le regole sono sempre quelle, si gioca a 11, contro 11; c’è un arbitro, c’è un allenatore, poi c’è qualcuno in panchina, le casacche diverse, la partita dura 90 minuti, divisi in due tempi, più qualche minuto di recupero … questo era così 30 anni fa, quando giocavamo noi sui campi da calcio: ma ​
il perché​
un bambino, un ragazzo, un giovane si allaccia le scarpette ed entra in un campo da calcio, questo cambia a seconda della sua cultura. Che cosa si aspetta di vincere? Si entra sempre in un campo, per vincere. Su questo, credo che non abbiate dubbi, si gioca per vincere, ed è proprio il fatto che non sempre si può vincere, che rende significativo il giocare, lo rende forte, importante, quasi assoluto. Ma cosa sogna? Cosa si aspetta un bambino, un ragazzo, un giovane, quando entra in un campo; quando si cimenta in un’attività sportiva? Che cosa lo spinge a sottoporsi a un duro allenamento? Voi, nel mondo educativo, siete gli unici, gli ultimi privilegiati che possono chiedere ai loro discepoli una cosa che ormai non esiste più da nessuna parte: ​
il sacrificio!​
Chiedete agli insegnanti di latino, se possono chiedere, ai loro ragazzi un sacrificio, cioè: quando senti la fatica, quando non ne hai più voglia, vai avanti lo stesso! Provate, a chiedere, a qualcun altro degli operatori nell’educazione se ci riescono: no, nessuno ci riesce! Solo voi avete questo potere incredibile ‐ rimasto solo a voi e a chi fa attività espressive, poi vediamo anche il perché ‐ di poter spingere i ragazzi oltre le loro voglie, di poter chiedere loro 4 o 5 allenamenti la settimana, di vederli rinunciare ad altre cose per venire, non solo alla partita, ma anche all’allenamento. Di questa forza dovete essere coscienti. Provo, allora, a farvi un quadro di quello che è cambiato, almeno nell’arco dell’ultima generazione, nell’universo giovanile, ed è cambiato soprattutto, nel nostro sguardo di adulti che stanno con i ragazzi e con i giovani e vogliono farli crescere, vogliono educarli a una vita bella e buona e come ci hanno detto i nostri Vescovi: ​
la vita bella e buona del Vangelo,​
la vita bella e buona di Gesù … Già 10 anni fa, cioè ancor prima della crisi economica che ha imperversato in America e in Europa, due psichiatri francesi ​
Benasayag e Schmit hanno scritto un libretto molto interessante ​
“L’epoca 2 delle passioni tristi”,​
dove dicono sostanzialmente una cosa molto importante, cioè che ​
il futuro​
che è stato il motore trainante, almeno, in Europa, di tutto il dopo guerra; il futuro ha cambiato segno, non è più luminoso, non illumina più il presente con i suoi raggi, ma è diventato cupo, grigio. Quindi se in Italia, come in tanti altri Paesi di Europa e del mondo, il futuro ha guidato la generazione dei nostri padri e dei nostri nonni a faticare, a spaccarsi la schiena, a sacrificare ogni piacere della vita in nome del fatto che ​
i miei figli potranno studiare, potranno avere, potranno fare, entreranno nella società con un altro credito, con un’altra tessera di accesso​
… se il futuro ha permesso a 2 o 3 generazioni di sacrificarsi in nome di esso, oggi invece il futuro non attira più! Il futuro davanti a noi non è più una promessa, è una minaccia! Se qualcuno di voi è andato in pensione, si baci i gomiti! Chi invece qua dentro, non ci è ancora andato, beh ci sono i siti che ti calcolano … ma non fatelo … ci si fa del male per niente, perché cambieranno almeno altre 3 leggi o altri 3 governi che cambieranno ancora … Noi abbiamo, per la prima volta, la percezione che i nostri figli avranno una vita peggiore della nostra e questo è terribile! Il futuro ha cambiato segno. Per noi il futuro è una promessa di felicità, è una promessa di migliorare, è una promessa di un qualcosa di più. Questa idea si chiama ​
progresso​
e non riguarda soltanto la tecnologia è qualcosa che abbiamo dentro, l’abbiamo interiorizzato nel cuore. Noi ci raccontiamo sempre l’esistenza umana, ci narriamo dentro di noi lo scorrere dei giorni come: “​
Domani sarà meglio di oggi”. ​
Guardate, c’è una bugia grave in questo, perché non sempre “domani sarà meglio di oggi”. Anzi, adesso che la vita si è allungata molto e abbiamo un’ulteriore, non so come chiamarla, iper‐vecchiaia​
fatta di pannoloni, flebo e cose poco simpatiche, dobbiamo dircelo: la vita non è sempre un progresso! Quindi, possiamo dire: i nostri padri si sono ingannati. Questo inganno ha dato loro un’energia prorompente, un’energia di trasformazione della società, ma la vita non è un continuo progresso, comincia con il bisogno di tutto e finisce di nuovo con il bisogno di tutto. Quindi, non darei un giudizio del tutto negativo al fatto che sia finito il mito del progresso e che dobbiamo guardare, in modo diverso al futuro e non con questa ingenua sicurezza che tanto il futuro sarà migliore, perché l’Apple inventerà un aggeggio nuovo che ci risolverà tutti i problemi. L’aggeggio nuovo lo inventerà, sicuramente, ma diventerà un problema, perché non dialogherà più con il nostro aggeggio vecchio, costringendoci a cambiarlo e imparare a usare quello nuovo. Il futuro ha cambiato segno e i nostri ragazzi stanno sotto il segno di un futuro che non è più promessa, ma è minaccia. Pensate a questo cosa significhi nel mondo della scuola. Per noi la scuola era qualcosa che si doveva fare per poi uscire e andare a vivere la vita. Se diventavi ragioniere, tecnico, insegnante o ti laureavi, tu entravi nella società in tutt’altro modo e quindi, ben vengano i sacrifici negli anni della scuola! Nessuno di noi è morto a scuola, però i nostri genitori ci tenevano un po’ a bacchetta su questo: ​
la scuola è il tuo dovere, ti piaccia o non ti piaccia, non importa! Il futuro ha cambiato segno e ha cambiato ​
il significato delle esperienze​
che noi facciamo. Oggi, i ragazzi scelgono di andare, a scuola, perché: “mi piace”, oppure “non mi piace”, perché è una esperienza del presente. Io lo vedo nei ragazzi, alla quinta superiore che vanno in ansia, perché devono decidere l’Università: ​
“Cosa faccio?”.​
Provano qualche test, nella speranza che il test, gli dica cosa devono fare e poi, finalmente, si iscrivono a una Facoltà e dopo 3 mesi vengono a dirmi: “​
don, ho lasciato, perché non mi piace”.​
L’anno dopo si iscrivono a un’altra facoltà e poi vengono a dirmi: “​
Don, finalmente, ho trovato una facoltà che mi piace”. ​
Io dico sempre loro: ​
ma che criterio è “mi piace?”.​
A me il seminario faceva schifo, io non riuscivo a starci, ma volevo fare il prete. 3 Il futuro non c’è più, quindi, ogni esperienza viene consumata soltanto nel presente, tranne lo sport e le attività espressive. Nessuno dei nostri ragazzi sogna più, come coronamento e autorealizzazione della propria vita, di diventare ingegnere è una possibilità: ​
chissà, forse lo farò​
… o diventare insegnante o diventare avvocato o … ma, quando entra in un campo da calcio, quando entra in palestra, quando si butta in un’attività sportiva, oppure va a musica, teatro, danza, si lancia in un’attività espressiva, lì è in gioco non solo il suo presente, ma si mettono in moto i sogni del futuro. Il futuro ha cambiato segno e quindi ha costretto i ragazzi, a trasferire i futuri possibili su alcune attività; puoi sognare qualcosa di grande, oggi, solo in alcune attività: lo sport e le attività espressive; puoi sognare di diventare qualcosa di grande, di diventare qualcuno, di sfondare il muro dell’indifferenza, di vedere il tuo nome, soltant, in queste cose. Queste illusioni non abitano solo, nei ragazzi; vi dicevo che ho 12 campi da calcio nel mio Oratorio e sento molto bene cosa dicono i genitori durante una partita e le sentite molto bene anche voi. I genitori quando vedono i loro bambini cimentarsi in un’attività attivano una proiezione di sogni enorme, esagerata, pazzesca, fuori dalla realtà. Tanto che appena voi gli ricordate che è soltanto un ragazzino di 8 anni che gioca al pallone ed è giusto che si diverta, lui, il genitore, vi squalifica, perché voi non vedete quello che lui vede benissimo nel figliolo, cioè il tenero germoglio di un campione. Il fatto che il futuro abbia cambiato segno ci tocca molto in quello che noi facciamo, perché, quando i ragazzi si cimentano o quando vengono i genitori a iscriverli, hanno attese diverse da quelle che avevano i nostri genitori. E i ragazzi stessi assorbono quelle aspettative. Questo ha portato, ad allentare, enormemente i legami comunitari o quelli che qualche sociologo chiama ​
i dispositivi esterni​
. Ad esempio: la maglia​
, cioè il fatto che la maggior parte delle attività sportive si facciano in squadra e anche quelle individuali si costruiscono in squadra. La squadra è diventata meno importante perché, si sono allentati tutti i legami comunitari. Noi non interpretiamo più la nostra esistenza come parte di una comunità che ha una sua solidità. Vediamo dissolversi, ahimè, la comunità fondamentale della nostra società che è la famiglia, vediamo sciogliersi proprio, diventare “​
liquida​
” la stessa famiglia, figuriamoci tutti gli altri legami. Le ultime ricerche dell’Istituto Toniolo dicono che l’80% dei giovani italiani ritiene, come una reale possibilità, di andare all’estero. Ora, questa cosa da una parte, è bellissima: finalmente, ci siamo un po’ sprovincializzati dalle nostre visioni ristrette, ma dall’altra c’è qualche cosa di tragico: non si riconoscono più in una comunità in un popolo; vedono la loro vita assolutamente estirpabile e trapiantabile ovunque! In questo allentamento di questi legami comunitari quello che rimane è ​
l’io:​
c’è un narcisismo culturale. Rimane solo ​
l’io​
che deve autorealizzarsi. L’allentamento dei legami comunitari è l’incapacità che abbiamo di compiere imprese collettive. Lo sport è impresa collettiva, pensate, ai giocatori di rugby, quando fanno la mischia e si stringono e coordinano i loro muscoli, in uno sforzo enorme, come un solo uomo! Noi abbiamo un allentamento dei legami comunitari, di tutti i legami di comunità e quindi non siamo più capaci di imprese collettive. Il risultato è che il ragazzo che gioca nella vostra squadra, la ragazza che fa un’attività nel vostro gruppo, interagisce e gioca con gli altri e voi gli insegnate a farlo e a farlo in modo intelligente, proficuo e anche generoso, ma i suoi sogni sono individuali, non sono legati alla maglia a cui appartiene, ma alla sua personale carriera: ​
se, in questa squadra, non c’è la possibilità della mia autorealizzazione, cambio. 4 Naturalmente questo lo vedete a livello micro, nella squadretta di paese, fino al livello macro: il fatto che oggi ci sia un calciomercato che è diventato folle, assurdo, per cui si cambia casacca tra il primo e secondo tempo … e quindi, non ci sono più le appartenenze comunitarie e questo, per voi, cambia molto perché vuol dire che i sogni di futuro che abitano nei vostri ragazzi, nei giovani che avete tra le mani, non riguardano un’impresa collettiva, non riguardano quella realtà che invece voi state dirigendo, cioè una Società sportiva. Quindi, tutto quello che ci ha detto Lamberto prima, 70 anni di storia, questi numeri che crescono: dietro a tutti quei numeri ci sono persone, aggregazioni, paesi, società, attività, c’è un movimento collettivo, comunitario. Oggi, custodire tutto questo è molto più difficile, perché abbiamo, a che fare con sogni individuali: c’è la schiavitù dell’autorealizzazione! I nostri ragazzi sanno che devono autorealizzarsi, ma come? La nostra società è un po’ come una nave, che è fatta di tante mansioni: c’è il capitano che comanda, chi è addetto alla sala macchine, chi si occupa delle pulizie, chi fa funzionare la cucina, chi le cabine, chi i ponti di comando, chi i radar... Ci sono centinaia di persone che hanno mansioni diverse e sono tutti indaffarati. La nostra società è come una nave, ognuno ha tanti compiti che si integrano vicendevolmente, per il buon funzionamento dell’insieme. I giovani, nella nostra società, dove li abbiamo messi? Voi andate alla sala macchine, ne trovate qualcuno? No. Andate, in cucina, non ci sono! Nella cabina di comando, ne trovate qualcuno di giovani? No. Dove stanno i giovani? Nel salone delle feste! Noi siamo stati così bravi, così generosi con la generazione che viene dopo, che gli abbiamo regalato la possibilità di stare nel salone delle feste, al resto ci pensiamo noi! ​
No, alle macchine ci pensiamo noi; alle pulizie ci pensiamo noi; la cucina, non temere! Bellissimo, il posto più bello della nave, c’è la musica, tutto elegante, bello, c’è un buffet enorme! Il salone delle feste è il luogo dove tutti abbiamo sognato di andare e noi l’abbiamo dedicato ai nostri giovani, tutti sono nel salone delle feste! Che meraviglia! Tanto che noi ogni tanto andiamo a dare un’occhiata al salone delle feste e diciamo: ​
bello, eh?!​
​
Divertitevi, finché siete giovani che, poi, vi toccherà invece, andare nella sala macchine, dove c’è puzza di nafta. Bravi, beati voi! Anzi, qualcuno della nostra età tenta di travestirsi e di imbucarsi nel salone delle feste, non pochi. Solo che, nel salone delle feste, che si fa? Si incontra gente, si mangia, si beve, si balla. Poi, ok, di nuovo, si incontra gente, si mangia, si beve, … ecc, ma la musica, dopo un po’ è sempre quella, il buffet viene sempre rinnovato, ma quando non ho più fame … sul bere, non mi dilungo… Cosa possono sognare i nostri giovani? Non sanno come funziona la nave! Forse qualche disegno tecnico, su com’è la sala macchine l’hanno visto, sanno anche disegnarlo… ma non hanno mai sentito l’odore della nafta che c’è nella sala macchine, perché nessuno ce li ha mai portati; sanno le ricette su come si fanno gli insetti canditi in Tailandia, ma tagliare una cipolla, no! Cosa possono sognare? Un quarto d’ora sul palcoscenico del salone delle feste. Il loro mondo è tutto lì, tutti i loro sogni si costruiscono lì, possono solo sognare di salire un quarto d’ora sul palco e cantare, suonare, ballare e avere il loro momento di gloria e avere uno sguardo che gli dice: ​
sì, tu vali! L’unico posto dove possono farlo è lì. E questo è tragico! L’abbiamo creato noi questo mondo, è il nostro sguardo su di loro, il nostro sguardo educativo, che ha creato questa cosa, che li ha estromessi dalle cose faticose, impegnative, dal coinvolgimento responsabilizzante nella società! Il risultato è un po’ paradossale e cioè la visione della vita che ne emerge è un po’ assurda e anche un po’ triste. La visione della vita che abbiamo ereditato noi, quando eravamo ragazzi, era che non contavamo niente, che continuavamo a sentirci dire di no! 5 Papà mi piacerebbe … No! Vorrei andare … No! I miei amici... No!​
E noi abbiamo avuto dei genitori che non avevano paura di prendere le forbici e potare i germogli che gli sembravano un po’ strani, con la scusa che il tronco dovesse crescere dritto, a volte hanno potato tanto, a volte hanno fatto anche sanguinare qualcuno. I nostri genitori ci dicevano: ​
fa’ come ti dico io!​
Noi, ai nostri figli diciamo: ​
fa’ come ti senti!​
Ora, se c’è una età dell’incertezza è proprio quando si è ragazzi, adolescenti, giovani: un giorno senti una cosa, un giorno senti esattamente il contrario; se c’è un tempo in cui il sentire va educato, va plasmato, gli va fatta un po’ di fisioterapia, è proprio, in quello della giovinezza. E noi continuiamo a dire ai nostri ragazzi: ​
fa’ come ti senti! Noi abbiamo ereditato una visione per la quale la vita adulta era la vita bella! Nella vita adulta vieni riconosciuto, per quello che sei; nella vita adulta puoi darti la tua identità; nella vita adulta puoi presentarti alla società e sei riconosciuto per la tua identità! Nella vita adulta puoi prendere le decisioni, puoi vivere la tua autonomia! Oggi, invece, abbiamo spostato questo asse e l’età d’oro della vita non è più la vita adulta. L’età d’oro della vita è dai 18 ai 25 anni trascinabili un pochino fino ai 30 e dopo sono impegni, dopo sono gabbie dove bisogna mettersi: il lavoro, il matrimonio, la casa, vivere in un paese; cioè, gabbie che non ti permettono più di sognare, di andare in America, in Australia, di girare per il mondo, di fare, di disfare, di provare, di tornare indietro. I nostri ragazzi sono molto, in difficoltà, con le scelte irreversibili, vogliono sempre l’uscita di sicurezza, per tornare eventualmente indietro. Ora, noi abbiamo l’età d’oro dai 18 ai 25 anni e, se ci pensate, questo è terrificante, cioè ad esempio, a noi che siamo qui dentro, non ci resta niente di buono: è come quando hai finito il ghiacciolo e ti succhi il bastoncino! Sa di poco! Tenete pure lo stecchino, in bocca, ma … Ora, è chiaro che noi dobbiamo contrastare questa visione dell’esistenza, perché è falsa! Perché non dice all’uomo la strada per una vita bella e buona! Com’è possibile? C’è un’altra cosina che è sempre legata a questa che è ​
la morte del padre​
. Cioè è morta l’autorità; lo sapete bene, nonostante l’allenatore sia ancora, forse, un ultimo baluardo di autorità, ma lo sanno bene quelli che fanno gli insegnanti, lo sanno bene i padri: l’eclisse del padre ha portato a una morte dell’autorità, tanto che noi abbiamo scambiato l’autorità per un concetto negativo; se parlate di autorità, la gente storce il naso, al massimo possono accettare l’autorevolezza. Chiariamoci un attimo sui termini: l’autoritarismo è quella roba per cui ti costringo a fare quello che voglio, sa di coercizione e su questo siamo tutti d’accordo, l’autoritarismo è negativo. Facciamoci una domandina invece sull’autorevolezza, tanto decantata: l’autorevolezza sarebbe quella dell’insegnante che arriva in classe ed è talmente bravo, talmente affascinante, talmente coinvolgente che motiva anche i ragazzi a studiare a casa! Al massimo i ragazzi riescono a stare attenti i 50 minuti di lezione, a studiare a casa fanno una faticaccia enorme. Però l’insegnante autorevole, il prete autorevole, l’allenatore autorevole, è quello che ha talmente tanto carisma, da portare gli altri a volere quello che lui vuole! Siete sicuri che questa cosa sia buona e che non rischi di diventare ​
plagio​
e che non sia la premessa di un populismo che ormai imperversa? Io non so se l’autorevolezza sia così buona io sono, a favore dell’autorità e l’autorità nasce dall’idea che c’è un ordine delle cose, che c’è una legge a cui io e te siamo sottoposti, perché, il mio io è limitato, perché io sono una persona che ho dei limiti, dei confini e quindi sto sotto una legge che è più grande di me. Che sia la legge di Dio, che sia la legge della natura, che sia la legge dello Stato che, 6 naturalmente, è diversa da queste altre due; perché la legge dello Stato la fanno gli uomini e gli uomini possono legittimamente cambiarla. Recalcati parla di “eclisse del padre”, non solo perché mancano in tante famiglie concretamente i padri, ma come figura … in tante famiglie ci sono, di fatto, due madri. Noi abbiamo inaugurato la stagione delle ​
famiglie affettive​
, cioè quelle che pretendono di farsi obbedire dai figli per amore. Noi pretendiamo che i nostri figli facciano quello che vogliamo noi per amore! E quindi, i figli hanno spesso due madri, cioè due figure fortemente affettive … che custodiscono in grembo … allora, dice Recalcati, che ​
l’eclisse del padre ha portato a venire meno questa idea dell’autorità​
, la sensazione che c’è una legge sopra di me. Il padre è quello che, quando sono bambino, mi appare un eroe invincibile, ma poi, scopro che anche lui è un uomo limitato che sta sotto la legge e, nonostante, questo, anzi, proprio grazie a questo è grande. Grande non vuol dire che è illimitato, che il suo ego può invadere qualsiasi cosa; no! “Grande” vuol dire che sa prendere il limite della sua esistenza e migliorarla e costruirci bellezza e costruirci qualcosa di buono. Ora, l’eclisse del padre, dice Recalcati, è che i giovani oggi sono come Telemaco, sugli scogli, ad aspettare il ritorno del padre, schifati ormai, inorriditi dall’orgia dei proci che vogliono conquistare il regno, che vogliono usurpare la madre e c’è nei giovani questa grande nostalgia del padre, dell’ordine, della giustizia. Credo che abbia ragione, se penso alla mia piccola Reggio Emilia dove i movimenti più attivi, dal punto di vista giovanile in città e in provincia sono quelli legati alla lotta contro le mafie. Questo anelito alla giustizia è forse il valore che i giovani colgono di più, c’è questa nostalgia di Ulisse, che torni e riporti giustizia nel regno, questo vomito, questo schifo che hanno dell’orgia dei proci. Un campo da calcio, una palestra, un’attività sportiva è un luogo molto interessante, dal punto di vista della autorità, ci sono dei vestiti, degli atteggiamenti, un fischietto, che denotano alcune figure, con una grande autorità; la figura dell’arbitro, ad esempio, autorità assoluta, al punto che, anche quando sbaglia ha ragione. Se ci pensate non esiste da nessun’altra parte nemmeno il Presidente della Corte Costituzionale, quando sbaglia ha ragione, nemmeno il Presidente della Repubblica quando sbaglia ha ragione. L’Arbitro, quando sbaglia ha ragione, quindi, secondo me, avete molti, moltissimi strumenti, a disposizione che purtroppo ormai sono negati alle altre istituzioni educative, ad esempio, alla scuola. Voi avete ancora una forza enorme, anzi, in un certo senso, avete gli strumenti sananti delle malattie dei giovani del nostro tempo, voi avete futuro, cioè quando i ragazzi danno un calcio a un pallone, prendono in mano un attrezzo in palestra, non stanno facendo solo un’attività, ma dentro li guida un sogno di futuro, di migliorarsi, di vincere. Certo, a volte sogni di futuro esagerati, anzi spesso, sono sogni di futuro esagerati, da parte loro e da parte delle loro famiglie, ma ce li hanno; voi non lavorate solo con i 50 kili di muscoli e l’intelligenza del ragazzo, ma anche con i suoi sogni di futuro e allora, credo che dobbiate insegnare ai vostri allenatori a plasmare, a riportare dentro il senso del limite, i sogni di futuro dei ragazzi. Non a tarparli, ma a canalizzarli, a espanderli in tutte le dimensioni della vita. Come è che la sessualità non ha più futuro? La sessualità dei nostri giovani non porta sogni di futuro. Noi scrivevamo sugli alberi ​
Giordano e Cesira​
​
for ever​
, per sempre. Uso un nome immaginario … per noi, la sessualità, l’affettività era immediatamente legata a sogni di futuro: ​
sto bene con te stasera, voglio stare bene con te per sempre​
. C’era molta ingenuità in tutto questo, lo sa bene chi è sposato da 30 ‐ 40 anni, ma era un comportamento naturale. I ragazzi oggi non vivono più l’affettività con lo sguardo al futuro, tutto si consuma nell’oggi, stiamo bene insieme, ​
oggi io e te, tre metri sopra il cielo​
. 7 Voi, quindi, aiutate i ragazzi a guardare il futuro, a espanderlo, a guardare con fiducia il domani, anche nelle altre dimensioni; voi avete tra le mani un futuro che conosce i colpi della sconfitta. È molto interessante, si gioca per vincere, ma poi si perde e quando si perde, bisogna rigiocarsela, cioè quando si perde,bisogna prendere quel futuro che si è un po’ offuscato, che si è messo un po’ in crisi e illuminarlo di nuovo, quindi c’è una manutenzione del futuro che continuamente fate con i ragazzi. Voi avete tra le mani un futuro che si lascia educare dal limite e ogni volta che incontra il limite decide di investire ancora e di cercare di superarlo e questa, secondo me, è una opportunità grandiosa. Seconda cosa, voi avete la squadra. C’è bisogno di costruire lo spirito di squadra, la fedeltà alla squadra, in questo senso, lo so che dovete tribolare anche con i soldi, maledetti soldi, maledetti quando ci sono, perché quando non ci sono, si sviluppa sempre di più l’ingegno. Io capisco che la vendita di un cartellino e cose del genere, per voi sono strategicamente importanti per un bilancio, però è proprio questo che mina l’esperienza di squadra che fanno i ragazzi, dove sperimentano qualcosa di umano, del bisogno di essere insieme, del bisogno di una comunione, di una rappresentazione di una comunione e di un’armonia del nostro vivere insieme che possiamo sperimentare solo nella comunità e quindi vi chiedo: lavorate molto, sulla comunità. Le vostre Società non possono diventare supermercati, dove si entra e si esce a guardare il prezzo di quel prodotto: ​
lo compro, non lo compro, passo, negli scaffali e lo metto nel carrello​
; funzionali a un modello di commercio ma dove nessuno si chiama per nome. Le vostre Società credo, debbano essere di più, come il negozio sotto casa, dove prima ancora di dire che voglio il pane o il latte, dico: ​
buon giorno, come sta tua sorella? com’è andata questa cosa? Le vostre società dovrebbero essere, secondo me, comunitarie, perché i ragazzi hanno molto bisogno di comunità, che attenui almeno il mostro dell’autorealizzazione che loro sentono di dover compiere, ma non sanno come compiere. L’autorealizzazione vera è sempre nella relazione con qualcuno, poi, e questo noi lo sappiamo, da cristiani che è l’incontro con Qualcuno più grande, che è l’incontro misterioso con Gesù. L’ultima nota è questa: che il futuro, l’esperienza comunitaria, con tutti i suoi corollari dell’autorità, delle figure, della complessità di una comunità, tutto questo porta a una visione nuova della vita, dove ci sono dei tempi e non è vero che la giovinezza sia l’unico tempo di felicità, anzi, io credo che la vita adulta sia molto migliore. La dimensione dello sport è gioco e funziona quando è gioco, creatività, libertà, fantasia, sottratto al mondo dei doveri, separato dal mondo delle costrizioni, dal mondo degli impegni. La dimensione ludica del gioco è, estremamente, importante, quindi, rimettere in equilibrio le dimensioni della vita, rimettere in equilibrio le età, riportare in equilibrio le dimensioni della vita, il gioco e lo sport con tutte le altre dimensioni: la dimensione affettiva, la dimensione confessionale, la dimensione comunitaria del vivere nella società, l’impegno; noi dobbiamo riassettare questo equilibrio che è un po’, come una danza, sul ghiaccio. Oggi, questo equilibrio si è dissolto,la vita è liquida ci dice Bauman. È possibile una vita bella? Sì, ma è un po’, come una danza sul ghiaccio, precaria, non ci sono più binari sicuri, una danza insieme, dove i corpi devono continuamente rimettersi in movimento, per trovare sempre equilibri nuovi; una danza dove le possibilità di cadute sono tante e quindi c’è bisogno di qualcuno che ti tenga una mano, che ti rialzi dicendoti: ​
tutto a posto, ti sei fatto male? No! Andiamo!​
C’è la possibilità di una vita bella, oggi, ma assomiglia più a una danza che alla marcia di un esercito, a una danza sul ghiaccio, molto precaria, molto leggera, ma anche, diciamolo pure, molto elegante, molto bella, molto armoniosa, quindi, c’è grande opportunità, per noi e per i nostri ragazzi. Grazie​
… 
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