SCUOLA INTERATENEO DI SPECIALIZZAZIONE PER LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI DELLA SCUOLA SECONDARIA SIS RELAZIONE FINALE PER L’ESAME DI STATO Scrivere e riscrivere fiabe ANNO ACCADEMICO 2005/2006 Specializzando: Maria Laura Bertoldi Classe di concorso: A043/A050 Libretto No : 267318 Scuola sede di tirocinio: Scuola Secondaria di Primo Grado “Pacinotti” Docente accogliente: prof.ssa Rita Madeo Supervisore di tirocinio: Carla Gatti Parte prima: le teorie di riferimento I.1 Modello teorico didattico-metodologico scelto come riferimento. 0 È importante saper riflettere sui modelli didattici di riferimento utilizzati durante un intervento didattico, soprattutto in un periodo di cambiamento dell’ordine scolastico delicato come quello che si sta verificando in questi anni, in quanto sia l’autonomia scolastica sia il crescente afflusso di studenti stranieri rendono sempre più complesso il compito dei docenti, che si sentono spesso senza delle solide basi teoriche a cui appellarsi nell’incertezza. D’altra parte come diceva il sociologo Schön l’insegnante si trova a dover “agire nell’urgenza e a decidere nell’incertezza”1 e deve sviluppare una professionalità sia riflessiva sia intuitiva, in modo da saper affrontare qualsiasi imprevisto. Detto questo però, all’inizio di ogni progetto deve essere ben chiaro il modello didattico di riferimento. Nel presente lavoro, l’intervento non si rifà ad unico modello teorico, ma si accosta a diversi orientamenti, dal costruttivismo di Piaget a Vygotskij ( zona di sviluppo prossimale), dall’attenzione per l’interazione in classe alla riflessione metacognitiva. Per la caratteristica composizione “multietnica” della classe in cui si è svolto l’intervento didattico si sono tenuti presenti i principi che favoriscono l’interculturalità e il dialogo tra allievi provenienti da culture diverse; infatti, “un insegnamento interculturale deve investire ciascuna disciplina riformulando i contenuti e ridefinendo gli ambiti”2, per fare ciò si deve promuovere la conoscenza e l’acquisizione dell’interazione (importanza del modello interazionista), cioè si deve insegnare ai ragazzi la relazione insieme ai contenuti, e a sviluppare un “pensiero plurale”, cioè una mentalità che riconosca le differenze culturali e che si arricchisca dal reciproco confronto, tramite i momenti di riflessione promossi in classe. L’assunto generale del presente progetto è senz’altro costruttivista, infatti prima di incominciare le esercitazioni di scrittura in classe si sono tenute presenti le conoscenze inerenti le fiabe, che i ragazzi padroneggiavano già dall’anno precedente. Infatti, tutta la classe possedeva già un concetto chiaro di cosa fosse la fiaba, ma non conosceva le varie funzioni di Propp, né tantomeno si aspettava di poter cambiare a proprio piacimento il flusso dei racconti. Durante l’intervento didattico si è fatto largo uso dell’interazione tra pari e tra classe e insegnante, questo ha permesso di incrementare le possibilità di sviluppo delle 1 2 Cfr. D. A. SCHÖN, The reflexive Practitioner, New York, Basi Books, 1983 Cfr. COSIMO LA NEVE, Elementi di didattica generale, Brescia, La Scuola, 1998, pp. 152-153 1 potenzialità di ciascun allievo, cioè di far sì che tramite la relazione tra pari e tra alunno/insegnante potesse essere raggiunta la zona di sviluppo prossimale nella prospettiva vygotskijana. Facendo capo a questo orientamento si è cercato di creare situazioni autentiche in cui l’apprendimento è facilitato, il contesto sociale in cui il soggetto in apprendimento si muove, cioè la classe nello specifico, rappresenta un Community of learnes, basata sulla negoziazione e confronto di saperi per la costruzione di una nuova conoscenza condivisa.3 Durante il corso dell’intervento didattico sono stati dedicati degli spazi alla riflessione in modo da maturare la consapevolezza dell’apprendere a scrivere da parte degli alunni, d’altra parte è oramai un principio acquisito da parte dei teorici della metacognizione che, solo diventando consapevole dei propri processi cognitivi, il soggetto in apprendimento potrà a lungo termine esercitare in modo controllato e autonomo i processi necessari all’esecuzione del compito. Siccome tutto ciò richiede molto tempo, è fondamentale partire dalla Scuola Secondaria di primo grado, al fine di educare lo studente in modo graduale a stabilire autonomamente obiettivi, tempi e strategie di lavoro. Durante il corso dell’intervento l’insegnante ha svolto una funzione fondamentale per favorire l’apprendimento dall’esperienza4, ossia favorire la fusione tra i nuovi saperi veicolati a scuola e i vissuti di ogni allievo, in modo tale da fondere “cultura intellettuale” ed “emozionale”, perché solo in questo modo si può ottenere un apprendimento significativo. In questo delicato processo dell’apprendere dall’esperienza, il docente ha la funzione principe di contenere l’ansia e il disagio degli studenti, che si confrontano con dei nuovi concetti o, nello specifico, con delle nuove modalità di scrittura, dato che il confronto e il cimentarsi in nuovi compiti potrebbe far emergere vissuti di inadeguatezza e far prevalere la “paura di sbagliare” negli allievi; se accadesse questo, le potenzialità non verrebbero sviluppate e gli alunni sarebbero penalizzati. Al fine di prevenire l’ansia dell’apprendere, si è costantemente monitorato e incoraggiato il lavoro svolto in classe, cercando di rassicurare gli studenti e promuovendo i momenti di riflessione collettiva e cooperazione fra allievi. I.2 Ruolo e significato dei contenuti prescelti in relazione alla disciplina e alle sue caratteristiche. 3 4 Cfr. MASON, La ricerca sulla costruzione di conoscenze a scuola, in ID, Valutare a scuola cit., pp. 67-84 G. BLANDINO, B. GRANIERI, Le risorse emotive nella scuola, Ra\ffaello Cortina Editore, Milano, 2002 2 Sviluppare le abilità di scrittura e svincolarsi il più possibile dai testi scritti, per rendersi autonomi nell’esprimere i propri pensieri è sicuramente un obiettivo trasversale da apprendere possibilmente già nella scuola secondaria di primo grado, e da perfezionarsi poi in quella di secondo grado. I programmi ministeriali prestano molta attenzione a far conseguire agli allievi “il possesso dinamico della lingua”5 , ovvero a sviluppare la capacità di adattare a vari contesti un linguaggio specifico e appropriato. Non solo un abile uso della lingua è anche utile per “organizzare la propria comprensione della realtà e per comunicarla, esprimerla, interpretarla”. Si è scelto dunque questo argomento di esercitazioni di scrittura su fiabe, oltre che per la sua valenza in relazione all’insegnamento della lingua italiana, anche per educare gli studenti a svincolarsi dai testi, dare sfogo, nei limiti della grammatica e della sintassi corrette, alla creatività e alla fantasia, in una parola a tradurre i propri pensieri in parole. In una classe multietnica come quella del contesto del presente intervento, l’esercitazione all’ espressione scritta è ancora più importante e di più difficile realizzazione, in quanto oltre alle normali difficoltà tecniche incontrate dagli studenti italiani, si registrano quelle ancora più accentuate degli stranieri, che spesso provengono da culture totalmente diverse dalla nostra (per esempio gli allievi cinesi). L’utilità di questo intervento didattico è stata riconosciuta anche dalla docente accogliente, che ribadiva l’estrema difficoltà riscontratasi nel cimentarsi nella lingua scritta da parte della classe. Dunque, certamente le lezioni hanno fornito nuovi concetti inerenti le fiabe agli studenti (le funzioni di Propp), ma hanno costituito soprattutto momenti di esercitazioni di scrittura in corretta lingua italiana e di sviluppo della capacità creativa ed espressiva; inoltre, per la caratteristica multiculturale del contesto, per la particolare strutturazione del lavoro in classe, basato per lo più sulla cooperazione tra pari, il presente intervento didattico è stata occasione di peer mediation e momento di integrazione tra studenti italiani e stranieri, che hanno condiviso le consegne ed elaborato un pensiero comune. I.3 Scelta delle modalità dell’intervento e degli strumenti da privilegiare. Il modulo è stato caratterizzato per lo più da esercitazioni di scrittura, i momenti di lezione frontale, sono stati pressoché assenti, a parte l’introduzione al lavoro, dove si è presentato 5 Cfr. Programmi Ministeriali 3 alla classe l’obiettivo del ciclo di lezioni e le modalità operative che sarebbero state loro richieste. Lo strumento principe di cui si è fatto largo uso è il cooperative learning, sia per la particolare composizione della classe, come già detto in precedenza, sia per l’argomento che si prestava molto bene a una didattica cooperativa. Il lavoro è però sempre stato monitorato in modo da creare il clima di interdipendenza positiva, cioè quando ogni membro del gruppo si preoccupa e si sente responsabile non solo del proprio lavoro, ma anche di quello degli altri, e di interazione faccia a faccia, relativamente al compito per il quale tutti ascoltano, elaborano, discutono e cercano una soluzione. Il costante monitoraggio del lavoro ha fatto uso principalmente di due strumenti: la riflessione parlata e il reciprocal teaching. Il primo, di matrice rogersiana, consiste in un colloquio individuale volto a indagare le operazioni che la mente del soggetto in apprendimento compie nella soluzione dei problemi o nella formulazione delle ipotesi. Lo studente è invitato a dire tutto quello che pensa e tutto quello che gli accade mentre esegue un compito, senza preoccuparsi di quanto possa essere banale. L’insegnante non interrompe la verbalizzazione ad alta voce dell’allievo per fornire soluzioni corrette, ma assume una funzione di “rispecchiamento”, cioè riprende gli spunti offerti dal soggetto al momento opportuno e li rimette sistematicamente in discussione, in modo che questo arrivi a individuare un procedimento corretto riconoscendovi un elemento di soluzione. Il secondo, nato per l’acquisizione delle competenze necessarie alla lettura, si basa sul principio di trasferimento progressivo di responsabilità dall’insegnante allo studente. Nel caso specifico, esso si ritiene particolarmente adeguato per monitorare la trasformazione della fiaba data in un’altra di creazione dello studente, rispettando i vincoli della correttezza formale. In un momento di riflessione collettiva sul significato e sulla funzione della fiaba, è stato utilizzato anche lo strumento del brainstorming, particolarmente adatto a far esprimere tutta la classe, anche gli allievi più restii a parlare. Infatti, dal contenuto, dai modi e dai toni degli interventi degli allievi è possibile capire meglio come è strutturata la classe al suo interno, quali sono i suoi punti di forza o di debolezza, capire quali sono gli studenti più ansiosi e cercare contenere la loro ansia. 4 I momenti di riflessione in cui si attua la lezione partecipata sono altresì utili per sviluppare la metacognizione negli studenti, per renderli consapevoli dei processi cognitivi messi in atto nella loro mente non appena viene richiesto loro un compito. Per razionalizzare e chiarificare sia i momenti di riflessione sia quelli di lezione frontale e partecipata, è stato fatto largo uso della lavagna e dei gessi colorati, che data la giovanissima età degli studenti si sono rivelati insostituibili; durante il cooperative learning l’aspetto grafico del lavoro è stato espletato molto bene grazie a cartelloni e pennarelli. Parte seconda: Il progetto II. 1 Contesto di indirizzo e di classe in cui si inserisce l’intervento didattico. L’ Istituto Comprensivo “ A. Pacinotti ”, situato nel quartiere San Donato, è composto da tre plessi : le scuole elementari “ C. Boncompagni ” e “ E. De Filippo e la scuola media “ A. Pacinotti ”6 La caratteristica dell’ utenza di questo Istituto sembra essere l’ eterogeneità dal punto di vista socio-economico, culturale ed etnico. 6 La scuola media “ Pacinotti ” dispone di 16 aule dislocate su tre piani, due palestre e di alcune aule e laboratori dotate di attrezzature specifiche. Al secondo piano c’ è una sala audiovisiva dotata di televisore e di videoregistratore. Al primo piano si trovano l’ aula insegnanti, due locali per il Dirigente e i suoi Collaboratori, il centro stampa / ufficio ricevimento, il laboratorio d’ informatica ed un’ aula riservata agli interventi di sostegno ai portatori di handicap. Al piano terreno si trova la palestra più grande. Nell’ interrato ci sono una seconda palestra, i laboratori di musica, educazione artistica e scienze ed un’ altra sala di proiezione. Nel corrente anno scolastico la scuola è oggetto di interventi di ristrutturazione e di messa in sicurezza. 5 Questo perché nella scuola sono di fatto presenti alunni di provenienza culturale e sociale assai diversa. Infatti, accanto ad alunni che provengono da famiglie torinesi agiate, ve ne sono altri di condizione economica più modesta, addirittura, in misura minore, alcuni hanno alle spalle una condizione famigliare disastrosa con gravi problemi sociali. Inoltre in questi ultimi anni, come in tutte le altre scuole torinesi, è cresciuta la presenza degli allievi stranieri, anch’ essi di provenienza eterogenea ( molti cinesi, albanesi e rumeni ). All’ interno di questo contesto, i ragazzini prendono visione della società variegata e multirazziale in cui vivono. Riguardo le classi prime di tutte le sezioni, è attivato il progetto del Bilinguismo. Per tutte le classi sono previste attività di ampliamento dei curricoli mediante lezioni di informatica, seconda lingua straniera, recupero e potenziamento. Sono previste attività opzionali di ampliamento linguistico, di latino e laboratori di educazione ambientale, musicali, motorie, multimediali, tecnico-operative, espressive. Nella scuola media è in atto un’ iniziativa sperimentale che implica maggiore flessibilità e adesione al contesto, con diversificazione dei percorsi in rapporto all’ esigenza dell’ utenza. Essa in fatti è molto eterogenea, come ho scritto in precedenza, di conseguenza le aspettative delle famiglie sono diverse in rapporto alle proprie condizioni sociali e culturali ; le famiglie straniere chiedono attività che promuovano l’ inserimento dei propri figli nella società, per contro le famiglie italiane mostrano maggiore attenzione per la didattica delle lingue straniere e l’ uso del computer. La classe in cui ho portato a termine il mio intervento didattico è una II media (la II C), la stessa classe in cui avevo svolto il tirocinio osservativo un anno fa. Essa si compone di 21 alunni, e rispecchia effettivamente la caratteristica di questo istituto: la multiculturalità. Infatti sono presenti ben 10 studenti stranieri, provenienti da diversi paesi: Perù, Ecuador, Cina, Romania e Albania. La composizione del gruppo classe, rispetto all’anno scorso appare piuttosto cambiata, in quanto si sono aggiunti 4 alunni, dei quali un ragazzino e una ragazzina rumeni, una ripetente e un ragazzino che non si presenta mai a scuola, e in più una ragazzina portatrice di handicap grave, che però è sempre seguita da un’insegnante di sostegno. Inoltre, sono stati bocciati due allievi dall’anno precedente. Essendo una classe molto eterogenea è stato interessante svolgere l’intervento didattico, poiché ho potuto confrontarmi con vari modi e stili di apprendimento diversi, inoltre mi 6 sono resa conto di quanto sia importante calibrare l’azione didattica su un gruppo di studenti molto vario, e soprattutto di quanto sia difficile comprendere quale sia il metodo più adatto alla situazione. La II C appartiene all’indirizzo del bilinguismo e svolge ogni giorno 6 ore di lezione, dalle ore 8 alle ore 13 e 30. Inoltre, per un’ora a settimana, nelle ore di italiano è stato intrapreso il laboratorio teatrale, che durerà per tutto il corso dell’anno scolastico. Per quanto riguarda il livello del rendimento scolastico generale, si può dire che si tratta di una classe di livello medio: quasi tutti gli stranieri presentano gravi difficoltà nella lingua italiana, soprattutto i cinesi, eccezion fatta per una ragazzina rumena e un ragazzino ecuadoreño. Anche tra gli allievi italiani permangono molte difficoltà di lingua, soprattutto nello scritto. Dal punto di vista disciplinare, è sicuramente una classe vivace, ricca di entusiasmo per le iniziative didattiche nuove che vengono proposte, inoltre mi è sembrato che l’affiatamento tra compagni sia abbastanza buono, nonostante le numerose diversità culturali che intercorrono fra di essi. L’esperienza di tirocinio è stata accolta molto positivamente, i ragazzini mi conoscevano già dal tirocinio osservativo e, quando ho detto loro che quest’anno sarei stata io a fare lezione, mi sono sembrati veramente entusiasti. Infatti, mi hanno subito domandato quale sarebbe stato l’oggetto delle mie lezioni e per quanto tempo mi sarei fermata con loro. Certamente una classe di questo tipo, così eterogenea per composizione, ha bisogno continuamente di iniziative didattiche innovative e di stimoli nuovi, in modo che i metodi appaiono insoliti per tutti, italiani e non, e i modelli didattici possano risultare anch’essi dei veicoli di integrazione. II. 2 Scelta dei contenuti in relazione alla programmazione progettata dall’insegnante titolare e ai prerequisiti degli studenti ai quali si rivolge. L’idea di proporre un laboratorio di riscrittura come argomento del mio terzo modulo di tirocinio attivo è scaturita dall’interesse che aveva mosso in me un tirocinio indiretto svolto il mio I anno di SIS, che si intitolava Scrivere è riscrivere. In questa occasione a noi specializzandi era stato proposto di cimentarci in vari tipi di riscrittura di testi, dimostrandoci come la scrittura possa avere degli aspetti ludici fondamentali per abituare gli allievi a scrivere e a sentire la scrittura come espressione del proprio io e non solo come qualcosa di formale legato ad aspetti scolastici. 7 Conoscevo già abbastanza bene la classe, in quanto avevo già svolto un modulo di tirocinio attivo sulla linguistica. Ero così riuscita a rendermi conto delle varie capacità degli allievi, sia italiani sia stranieri, a farmi un’idea di cosa potevo chiedere agli studenti in base al loro livello; inoltre sapevo bene di poter contare sul loro appoggio per le mie iniziative didattiche, dato che avevo già fatto esperienza del loro entusiasmo e della loro disponibilità ad apprendere. Il modulo in questione, avente come oggetto la scrittura e riscrittura di fiabe, didatticamente era collegabile al laboratorio di ascolto di fiabe che la docente accogliente aveva intrapreso e portato a termine l’anno scolastico precedente. Infatti, quando ho presentato agli studenti l’argomento del nuovo modulo che avrei trattato, ho letto sui loro visi qualche perplessità, che, come pensavo, era dovuta al fatto che i ragazzi si aspettavano di ripetere a grandi linee il lavoro dell’anno precedente; tuttavia li ho subito rassicurati, dicendo che avrebbero imparato a vedere le fiabe sotto un altro aspetto, quale la loro struttura, i loro luoghi comuni e le loro funzioni, ma soprattutto avrebbero capito che le fiabe si possono cambiare e riscrivere diversamente. Prima di iniziare il mio ciclo di lezioni ho presentato alla classe il mio piano di lavoro lezione per lezione, che cosa avrebbero approfondito e quali operazioni sarebbero poi stati in grado di fare al termine del mio ciclo di lezioni. Inoltre ho anticipato alla classe che sarebbero stati valutati tramite verifica scritta, e che il voto della valutazione sarebbe stato poi inserito sul registro. La classe, fin dall’inizio, è stata molto rispettosa nei miei riguardi, manteneva un comportamento corretto, nonostante ci fossero diversi alunni piuttosto vivaci, tuttavia il rapporto instauratosi fin dall’inizio è stato di collaborazione e interesse. Anche la docente accogliente mi è sembrata molto contenta dell’argomento del mio II modulo di tirocinio, dato che, a suo parere, altro non era che un laboratorio di scrittura. Conoscendo la difficoltà nello scritto degli studenti della classe in questione, ha ritenuto fondamentale questo intervento didattico, sia perché presentava alla classe le fiabe in una maniera diversa da quella a cui era abituata, sia perché offriva un’importante occasione di esercitazione di scrittura; inoltre ai ragazzi sarebbe stato utile avere una valutazione di un docente diverso dal proprio in merito ai loro lavori scritti, dato che ultimamente i giudizi relativi ai loro temi in classe erano piuttosto deludenti, e destavano le perplessità dei genitori, che come al solito erano propensi a prendersela con la docente, accusandola di troppe pretese e severità. Quindi io stessa ero già pronta a non crearmi troppe aspettative e a essere il più obiettiva possibile nel valutare i lavori. 8 II.3 Descrizione sintetica del progetto dell’intervento didattico7 La progettazione dell’intervento didattico è stata preceduta da alcuni incontri con la docente accogliente, durante i quali è stato possibile concordare il lavoro didattico svolto durante le 12 ore di tirocinio attivo. L’osservazione svolta l’anno precedente durante il tirocinio osservativo e i colloqui con l’insegnante titolare hanno permesso di valutare con maggior consapevolezza i bisogni formativi degli studenti e le strategie più utili da impiegare. Il progetto scaturitone è finalizzato all’acquisizione di una maggiore padronanza della lingua scritta attraverso la presa di coscienza da parte degli allievi, che essa è espressione della propria soggettività e libera creazione, anche se inevitabilmente soggetta alle regole morfosinttattiche. Per quanto riguarda i prerequisiti necessari, non ne ho individuati di molto specifici, comunque il progetto comporta la conoscenza della forma narrativa della fiaba, e un’ abilità alla scrittura sufficiente per elaborare dei semplici testi, dunque la conoscenza delle fondamentali regole ortografiche e morfosintattiche. Ho presentato alla classe il mio progetto, descrivendo che cosa sarebbe stato chiesto loro, ma anche che cosa avrebbero imparato dal mio intervento didattico. Fin dalla prima lezione ho fornito uno strumento atto a scomporre e ricomporre le fiabe, in modo che fosse chiara la struttura su cui tutte le fiabe europee si fondano; nello specifico si trattava della classificazione delle funzioni di Propp, che i ragazzi non conoscevano ancora, nonostante avessero affrontato l’anno precedente un laboratorio di ascolto di fiabe. Il progetto prevedeva poi la trasformazione di varie fiabe, scelte proprio da quelle che i ragazzi conoscevano già dalla classe I, per far loro comprendere come la propria immaginazione abbinata allo strumento della scrittura potesse cambiare la trama dei racconti. Le funzioni di Propp dovevano servire di aiuto alla classe per poter scomporre più facilmente le fiabe e aggiungere e togliere elementi a proprio piacimento. Durante le lezioni era stato previsto l’utilizzo di strategie quali il brain storming e il gallery tour (un tipo di lavoro di gruppo), inoltre per alcune esercitazioni di scrittura la modalità prevista era quella del think pair . 7 Si allega in appendice la stesura completa del progetto e lo schema di lavoro (pp. 28-34) 9 Queste nuove strategie avevano il compito, secondo il progetto, di stimolare la riflessione dei ragazzi sulle fiabe in quanto genere letterario e sui messaggi scaturiti dai propri lavori. Infatti, la conoscenza del genere della fiaba data come prerequisito, comportava il fatto che i ragazzini possedessero la nozione di morale del racconto, e dunque fossero consapevoli che anche i loro testi dovessero comunicare un insegnamento, un loro pensiero o una loro credenza. Il progetto si può enucleare sinteticamente in tre momenti: 1) descrizione e presentazione dell’intervento didattico e del suo scopo alla classe, spiegazione dello strumento di analisi costituito dalle funzioni di Propp. 2) Somministrazione ai ragazzi di fiabe da trasformare secondo diverse modalità indicate dall’insegnante caso per caso, ogni lavoro scritto ha effettivo valore di verifica formativa in itinere. 3) Riflessione condotta attraverso gli strumenti del brainstorming e del gallery tour. 4) Costruzione di una fiaba finale, mediante pochi essenziali elementi indicati dall’insegnante, e avente valore di verifica sommativa Per quanto riguarda la valutazione della verifica finale, il progetto aveva previsto una griglia di valutazione della fiaba8, prodotta su misura per questa specifica classe seconda in accordo con la docente accogliente. Gli aspetti tenuti in conto per la valutazione e ai quali veniva attribuito un punteggio sono stati: lessico, sintassi, ortografia, rielaborazione degli elementi narrativi dati, capacità creativa. I giudizi assegnati sono i seguenti in scala descrescente: ottimo, distinto, buono, sufficiente, insufficiente. 8 Cfr. in allegato 10 Parte terza: Analisi del processo III. 1 Lo svolgimento dell’intervento didattico e le eventuali modifiche apportate e le loro motivazioni Il progetto didattico ha preso l’avvio dalla presentazione alla classe dell’argomento del modulo; come accennato in precedenza, gli studenti sembravano essere perplessi all’idea di affrontare l’argomento “fiaba”, in quanto pensavano già di sapere tutto su quel tema, dato il laboratorio di ascolto di fiabe svolto l’anno prima. Tuttavia ho intrapreso la mia prima lezione parlando di Propp e delle funzioni da lui individuate e necessarie all’analisi di qualsiasi fiaba. Quindi, ho chiesto a uno dei ragazzini, che sembravano più “esperti” sull’argomento, di elencare le funzioni più importanti. Chiaramente, il laboratorio d’ascolto non aveva previsto un’analisi così approfondita, perciò anche questo allievo, che si riteneva preparatissimo in merito, è rimasto quasi a bocca aperta. Credo che il mio intervento, in questa situazione, sia stato piuttosto forte, altrettanto ritengo che i ragazzini debbano essere consapevoli di dover imparare ancora molte cose; inoltre la famigliarità che avevo acquistato con l’intera classe, mi consentiva di riprendere i ragazzini in un certo modo, senza che si sentissero offesi o maltrattati; d’altro canto questa confidenza faceva sì che a volte gli studenti si prendessero un po’ troppa “libertà”, nel senso positivo del termine, e che quindi fosse necessario ridimensionare il loro comportamento. Dopo questo piccolo contrattempo, sono passata alla descrizione delle funzioni principali di Propp: antagonista, protagonista, mezzo magico, aiutante, mandante, donatore, perdita, rottura dell’equilibrio iniziale, partenza, superamento della prova, peripezia, ricomposizione dell’equilibrio. Le funzioni sono state elencate alla lavagna e i ragazzini sono stati pregati di riportare il tutto sul loro quaderno; poi per verificare se alcune funzioni erano già note alla classe, ho posto delle domande, alle quali gli studenti sono riusciti a rispondere almeno in parte. Ho nuovamente constatato la disponibilità ad apprendere e la interattività di questo gruppo classe, sinceramente non mi aspettavo una partecipazione così accentuata alla lezione. Ho ribadito inoltre la finalità delle fiabe, in quanto portatrici di valori e verità, veicolo di insegnamento per bambini. 11 Alla parte teorica della prima lezione è seguita un’esercitazione svolta a coppie, in particolare la consegna dell’esercizio prevedeva un’analisi di una fiaba (il Piccolo Tuc, di Christian Andersen) in base alle funzioni appena descritte. Ho pensato che la modalità del lavoro a coppie, fosse la più indicata per svolgere questa tipologia di esercizio, in quanto i ragazzi non avevano mai avuto un approccio di questo tipo con le fiabe, dato che era sempre stato richiesto loro o di riassumerle o di ascoltarle semplicemente, al massimo di cercare di rappresentarle con un disegno. Quindi la modalità del “Think, pair, share” mi è sembrata la più agevole per loro, inoltre al termine del lavoro a coppie si è potuto discutere insieme sui risultati dell’analisi, scoprendo che ci possono essere varie interpretazioni di una fiaba, non soltanto una è quella esatta. La lezione successiva, ho proposto alla classe un primo esercizio di esercitazione di scrittura; tuttavia prima di assegnare l’esercizio, ho cercato di veicolare l’idea della scrittura in quanto espressione del proprio io; spiegando come fin dall’antichità imparare a scrivere, significava esercizio e gioco allo stesso tempo, ho proposto loro alcuni esempi di chria dei maestri di scrittura greci, in termini semplici e brevi ho riportato la teoria dei maestri retori latini (Cicerone, Quintiliano); tramite una brevissima panoramica, ho elencato gli scrittori italiani che nel corso dell’800 e del ‘900 hanno inventato un nuovo stile di scrittura, e ho ribadito a conclusione, che nessuno pone mai un fine ad imparare a scrivere, che il nostro stile cambia in base alle nostre esperienze personali e che la scrittura non deve solo essere pensata come mezzo di studio, ma anche come mezzo di indagine del proprio io e soprattutto come un piacere. Esplicati questi concetti, nella maniera più agevole possibile a mio avviso per degli studenti di seconda media, tuttavia, mi rendevo conto quanto fossero difficili da comprendere, d’altro canto ritengo che il piacere per la scrittura si debba coltivare fin da giovanissimi. Detto questo, ho proposto loro di cimentarsi in una continuazione di un racconto già dato, in particolare l’esercizio si è svolto nella seguente maniera: ho fornito agli studenti una fiaba per ciascuna coppia, ho spiegato loro che dopo aver letto qualche riga del testo avrei dato lo “stop”, dopo il quale i libri dovevano essere chiusi, e ciò che si doveva aprire era la loro immaginazione. Stranamente, ho riscontrato in quasi tutti gli studenti una forte difficoltà a concentrarsi, e mi è sembrato piuttosto difficile per loro svincolarsi dal testo e far affidamento sulla loro fantasia. A parte le difficoltà ortografiche e sintattiche dello scritto, penso che la difficoltà maggiore per la maggioranza di loro sia stata la mancanza di abitudine all’immaginazione. Certamente questa è solo una mia impressione, ma i ragazzini erano quasi tutti presi dal panico del foglio bianco, mi dicevano: “Professoressa, non mi viene in mente niente.., mi 12 aiuti lei..” Le mie aspettative erano davvero differenti, forse ho pensato alla mia prima adolescenza, quando un lavoro del genere avrebbe divertito tutti i componenti della mia seconda media di allora. Tuttavia, credo sia impossibile non possedere delle aspettative nei riguardi dei propri allievi, anche se spesso questo comporta grosse delusioni. Le fiabe9 scaturite da questo lavoro sono state da me corrette e riportate ai ragazzi con un giudizio avente valore di verifica formativa. Sono stata molto stupita dai contenuti dei racconti; intanto molti ragazzini hanno riportato il tema della fiaba da un piano prettamente fantastico ad uno reale, molti hanno riprodotto modelli della nostra società: i desideri e le aspirazioni più comuni, vari delitti degni di un film poliziesco, elementi chiaramente tratti dalla TV e dal mondo dello spettacolo. Purtroppo, mi rincresce di constatare, che le fiabe meno ricche di fantasia sono risultate essere proprio quelle degli allievi italiani, mentre l’originalità è stata riscontrata maggiormente nei racconti di stranieri, in particolare di tre ragazze rumene e un di ragazzino albanese. Questi dati mi hanno fatto riflettere molto, così ho pensato di introdurre una lezione inerente le morali delle fiabe tradizionali, che inizialmente non avevo previsto nel mio progetto didattico. Dopo aver fatto notare ai ragazzi le mie perplessità riguardanti i loro racconti, ho chiesto loro se pensavano che questi fossero portatori di qualche insegnamento o di una morale o di una scala di valori ben delineata. Gli studenti in questa occasione tacevano, penso si fossero resi conto di quello che avevano scritto e che i giudizi negativi che avevo loro sottoposto fossero meritati. Così ho pensato che per sollevare meglio la questione era necessario proporre alla classe un brainstorming sui valori che di solito ci si aspetta di trovare nelle fiabe. Ho scritto alla lavagna tutto ciò che scaturiva dai ragazzi, dopodiché insieme si è cercato di stilare una classifica10 dal valore più importante al meno importante, quindi ho incaricato una ragazza, che pare fosse la più brava in ed. artistica, di riportare su cartellone a carattere cubitale quello che era emerso dalla nostra riflessione. In seguito ho proposto al gruppo classe un cooperative learning, il cosiddetto Gallery tour. La classe è stata divisa a gruppi di tre persone, cercando il più possibile di mescolare gli allievi stranieri con quelli italiani, inoltre ho tenuto conto delle competenze linguistiche di ciascun allievo, per formare dei gruppi quasi omogenei per capacità e competenze. 9 Cfr. allegato 1, ho riportato le fiabe corrette dagli errori sintattici e orografici Cfr. allegato 4 10 13 Il lavoro consisteva nel riflettere sul significato e sulla funzione della parola fiaba, a ogni gruppo era richiesto di formulare almeno 4 definizioni di “fiaba” e di trovare almeno 4 funzioni. Dopo averne discusso, i risultati11 dovevano essere riportati su un dei cartelloni (uno per gruppo), i cartelloni a loro volta dovevano essere appesi alle pareti dell’aula e a questo punto, i gruppi di lavoro ruotavano per visitare e discutere ciascuna esposizione. Era possibile prendere appunti dal cartellone del gruppo vicino, oppure scrivere delle osservazioni aggiuntive sui cartelloni degli altri gruppi. Al termine si è discusso il feedback, che gli studenti hanno ricevuto dagli altri gruppi, le differenze e i punti in comune evidenziati. Per portare a termine questo lavoro ho impiegato ben due ore di tempo, ma lo ritenevo troppo importante per le esercitazioni di scrittura di fiabe che avrei fatto dopo, e soprattutto per la verifica sommativa. Il lavoro proposto successivamente era nuovamente strutturato a gruppi, gli stessi del gallery tour, la consegna era quella di scrivere la fiaba di Cenerentola o di Cappuccetto Rosso in tono ironico. Tuttavia prima di iniziare, ho dedicato un bel po’ di tempo a spiegare che cosa intendevo per “ironico”; ho proposto esempi e ho cercato di farne proporre qualcuno agli allievi. Tuttavia sembrava che la mia richiesta non fosse per niente chiara agli alunni; allora mi è venuta in soccorso una ragazzina, molto esuberante e spiritosa caratterialmente, la quale molto semplicemente rivolgendosi ai compagni ha detto: “ Ma sì, ma non capite? La professoressa vuole che la facciamo ridere, senza esagerare!”. Devo dire che questo intervento è stato un chiaro esempio di peer mediation, molto efficace per l’insegnante quando si trova in un groviglio di dubbi, che solo la mente fresca e semplice di una ragazzina di 12 anni può risolvere! Ho constatato che questa esercitazione ha dato i frutti sperati; infatti, le fiabe prodotte12 erano tutte più o meno buffe, magari qualcuna più tendente al grottesco che all’ironico. I giudizi, sempre aventi valore di verifica formativa, sono stati decisamente migliori della precedente esercitazione, anche se i loro lavori non erano certo capolavori, senza dubbio, il concetto di scrittura come libertà espressiva era stato colto maggiormente, perciò ho ritenuto doveroso premiarli per lo sforzo dimostratomi cercando di essere “clemente” coi giudizi. I ragazzini si sono davvero sbizzarriti in questa tipologia di racconto, dimenticando di essere a scuola, hanno liberato e fatto galoppare la loro fantasia; questo lavoro ha dato loro occasione di esprimersi nel vero senso del termine, tenendo presente ciò che avevo 11 12 Cfr. allegato 5 Cfr. allegato 3, ho riportato le fiabe corrette dagli errori ortografici e sintattici. 14 detto le lezioni precedenti sulla scrittura e su come è possibile fare di essa un mezzo di espressione personale potentissimo e un mezzo attraverso il quale ci si sente liberi. L’ultima esercitazione di scrittura, che per altro doveva costituire la verifica sommativa, consisteva nel costruire una fiaba a partire da precisi vincoli. Ho deciso di proporre delle consegne diverse per gli studenti e le studentesse. Infatti, il tempo e la lunghezza dell’elaborato erano uguali per tutti, ma le fondamentali funzioni di Propp proposte erano diverse: per i maschi il protagonista doveva essere un nano, l’antagonista un re, l’aiutante una cavallo e il mezzo magico un calice da vino; per le femmine la protagonista doveva essere una regina, l’antagonista un fata, l’aiutante una gatta, il mezzo magico un rossetto. La ragione di differenziare le consegne in base al sesso degli studenti mi è sembrata utile, in quanto volevo rendere più divertente il lavoro alla classe, a mio avviso all’età di dodici anni c’è una specie di frattura tra ragazzini e ragazzine, oltre che fisica anche psicologica. Ciò che diverte i ragazzini di dodici anni, è difficile che risulti divertente anche per le ragazzine. Ho pensato che, proponendo rispettivamente antagonisti e protagonisti maschili e femminili, ci sarebbe stata una sorta di identificazione con i personaggi della fiaba. Probabilmente se la classe in questione non fosse stata una seconda media, ma una seconda superiore, avrei proposto l’esercizio al contrario, per vedere come le ragazze pensano il mondo maschile, e i ragazzi quello femminile; tuttavia, questo tipo di esercizio mi sembrava prematuro, perché troppo complesso. Dopo aver corretto i testi prodotti e assegnatigli i giudizi, ho consegnato i lavori alla classe; nel complesso posso affermare che i ragazzini hanno colto bene la consegna, e pare che una maggioranza di loro abbia tenuto presente le considerazioni precedentemente fatte sulla scrittura. Ho ritenuto in ultima analisi, proporre un brain storming alla classe come riflessione finale su quanto appreso. Prima, però, ho fatto notare ai ragazzi come le fiabe da loro prodotte, sebbene partissero tutte da medesimi vincoli, siano risultate tutte molto diverse tra loro; appurato questo fatto, sono scaturite una serie di riflessioni riguardanti il valore di ogni singola idea personale, dell’originalità di ognuno, dell’importanza del proprio modo di scrivere come “impronta individuale” unica e irripetibile, anche se a volte i lavori, seppur ricchi di fantasia, dimostravano ancora molte incertezze sul piano sintattico e grammaticale in genere. Ho proceduto quindi con la tecnica del brainstorming: alla lavagna ho scritto grande in stampatello nella parte centrale il termine “scrittura”, ho chiesto ai ragazzini di dire tutto quello che a loro veniva in mente, alla luce delle considerazioni appena concluse. 15 Devo ammettere che quest’ultima lezione è stata per me una vera soddisfazione, la prima parola che è emersa è stata “libertà”, poi ne sono seguite tante altre, come ad esempio “divertimento”, “gioco”, “passione”, “finzione”, “immaginazione”, “conoscenza di sé”, “comunicazione” ect. Dopo il brain storming ho cercato insieme alla classe di raggruppare i termini scaturiti dalle loro opinioni in gruppi semantici, facendo uso di colori diversi, e abbiamo così costruito insieme una mappa concettuale sulla scrittura. In seguito, la mappa è stata riportata su due cartelloni (dato la grandezza), e affissa alle pareti dell’aula. Inoltre, ogni studente l’ha copiata sul proprio quaderno; penso che quest’ultima attività sia stata di grande importanza metacognitiva per la classe, un momento di grande crescita personale per ciascuno studente, e un’occasione di crescita professionale per me stessa. III.2 Osservazioni relative agli aspetti relazionali sperimentati. Nei paragrafi precedenti, ho focalizzato l’attenzione sugli aspetti didattici del processo di insegnamento – apprendimento, facendo soltanto riferimento superficialmente alle dinamiche relazionali emerse durante l’intervento didattico. Vorrei ora analizzare sia i rapporti instauratisi tra docente e allievo, sia tra allievo e allievo, dato che per la loro importanza influenzano in maniera pregnante l’apprendimento degli studenti. Durante l’intervento ho dovuto mantenere contemporaneamente sotto controllo sia il rapporto col singolo allievo, dato le frequenti richieste di chiarimenti e spiegazioni, o le richieste di ausilio durante lo svolgimento degli esercizi, sia il rapporto con tutto il gruppoclasse; ciò non è stato sempre facile, poiché a volte la vivacità dell’atmosfera del gruppoclasse non mi consentiva di capire appieno le richieste dei singoli. Tenendo sempre ben presenti le finalità del mio intervento didattico, ho cercato di promuovere in classe la collaborazione e la costruzione di relazioni positive tra gli alunni. Ho svolto nella medesima classe due moduli di tirocinio attivo, più uno l’anno scolastico precedente di tirocinio osservativo, dunque gli studenti hanno avuto modo di conoscermi abbastanza bene, come d’altro canto io ho avuto la possibilità di conoscere loro. 16 Fin dall’inizio si è instaurato un rapporto molto produttivo con la classe, tutti i ragazzini mi sembravano molto interessati a ciò che spiegavo loro, come effettivamente ho avuto poi modo di verificare al termine del modulo. Essendo una classe “multietnica”, il contesto era favorevole alla creazione di contrasti tra studenti, data la diversità di mondi culturali da cui essi provenivano. Tuttavia, i ragazzini sembravano essere abituati a questa dimensione multiculturale, questo è senz’altro un segno dei tempi! Certamente durante i lavori di gruppo, è stata fondamentale la mia mediazione nella composizione di gruppi il più possibile omogenei. In generale tra me e gli studenti si è creato un buon clima comunicativo, che ha permesso di generare una situazione di feedback reciproco molto produttivo; grazie all’attenzione impiegata sia da parte mia sia da parte del gruppo classe, è stato possibile risolvere i frequenti dubbi e le perplessità causate dalla novità degli esercizi proposti. Per quanto riguarda gli alunni stranieri è opportuno fare alcune distinzioni. La classe, come già descritto in precedenza, presentava una composizione piuttosto eterogenea. Infatti, figuravano nell’elenco del registro 11 italiani, di cui uno assenteista, gli altri 10 erano stranieri, provenienti dai paesi più diversi. Ho potuto constatare che la diversità di approccio col docente e coi compagni era fortemente influenzata dal paese di provenienza degli studenti. Gli allievi cinesi si dimostravano in assoluto i più restii alla comunicazione, i più criptici nei comportamenti, inoltre a questo si aggiungevano le difficoltà gravi di lingua, anche se devo ammettere che l’impegno del minore per età dei due allievi era davvero ammirevole. Inoltre i rapporti coi compagni mi sembravano piuttosto freddi, nell’intervallo o nei cambi d’ora il maggiore per età dei due si avvicinava sempre all’altro, quasi per distoglierlo dall’attenzione dei compagni. Questo atteggiamento mi è sembrato molto grave, dato che questo ragazzino, che sapeva molto meglio l’italiano, avrebbe dovuto facilitare l’integrazione dell’altro, che invece era arrivato da poco tempo in Italia; al contrario sembrava che sfruttasse questo suo vantaggio per “sottomettere” e creare una dipendenza. Mi sono sentita in dovere di intervenire, anche se ero soltanto una tirocinante e quindi una figura passeggera, riprendendo proprio questo ragazzo durante uno di questi atteggiamenti, dicendogli che ogni persona è libera di pensare con la propria testa, anche il suo amico. Da allora i miei rapporti con lui si sono resi più difficili, il suo impegno nei lavori proposti era scarso e l’atteggiamento di sufficienza, tuttavia ho continuato ad inserirlo in gruppi di italiani, addirittura in un gruppo composto di sole ragazze. 17 Per quanto riguarda gli altri allievi stranieri, i problemi di integrazione erano davvero ridotti al minimo; infatti, sia per i rumeni, sia per gli albanesi e sia per i sudamericani l’apprendimento della lingua italiana è davvero molto più immediato, anche il sistema di valori e la cultura dei loro paesi di provenienza sono senz’altro più simili a quelli italiani. Tutti questi ragazzini, maschi e femmine, apparivano già ben inseriti nel contesto di classe e ben accolti dai compagni italiani, che, come ho già detto in precedenza, neanche si accorgevano di appartenere ad una classe multietnica. Infatti, durante un intervallo, chiacchierando con delle studentesse, ho chiesto loro che cosa pensavano che ci fosse di diverso dalla scuola del passato nella loro classe, e queste mi hanno risposto che l’unica differenza consisteva nel fatto che un tempo le classi erano soltanto o interamente maschili o interamente femminili. Ho dovuto purtroppo constatare che la motivazione e l’impegno sono molto più accentuati negli alunni stranieri che non in quelli italiani, sicuramente perché la voglia di integrarsi è grande, e forse anche perché le scuole dei paesi da cui provengono sono di alto livello, soprattutto per quanto riguarda gli allievi rumeni. Durante le lezioni interattive e le riflessioni al termine del cooperative learning o dei brainstorming si è delineato il carattere esuberante di alcuni alunni, che tendevano a confrontarsi e a gareggiare per mettersi in buona luce davanti a me e alla docente accogliente. In particolare si trattava di due ragazzini italiani che dall’anno precedente si erano affermati come i più “bravi”; era palese la competizione che intercorreva frai due, tuttavia non avevano ancora realizzato, che dall’inizio dell’anno scolastico in corso si era inserita una nuova ragazzina rumena, che a mio parere, è di gran lunga più in gamba, forse perché è più motivata e ci tiene maggiormente ad autoaffermarsi. Quando consegnavo le fiabe corrette i due allievi in questione si confrontavano immediatamente i voti, tuttavia, il fatto che l’ultima arrivata li superasse sempre, li indispettiva, e ciò ha permesso di ottenere da loro più applicazione; tenendo presente questo fatto, ho cercato di stimolare la competizione positiva trai ragazzi, mantenendo un’atmosfera simile a quella della competizione ludica, perché ritengo che il fattore di confronto delle proprie capacità con i pari possa senza dubbio aiutare a raggiungere più facilmente la zona di sviluppo prossimale tanto auspicata e teorizzata da Vygotskij. Non sono riuscita a capire se il gruppo classe avesse o meno un membro che fosse il leader del gruppo. Certamente in un gruppo variegato come quello in questione è molto difficile riuscire ad individuare un’unica persona come leader, per cui ritengo che ci fossero più individui carismatici, che ho identificato essere i più esuberanti e i più brillanti a scuola. 18 Un fatto molto positivo riscontrato, che connota molto bene il gruppo classe, consiste nel riconoscimento da parte dei ragazzini dei meriti scolastici dei loro compagni; a mio avviso, questo denota coesione nel gruppo dei pari e assenza di invidia tra di loro. Non a caso, anche i rappresentanti di classe sono stati scelti dai loro compagni sulla base del rendimento scolastico e della loro simpatia. Durante tutto il modulo sono stata attenta a fornire agli studenti delle consegne chiare e degli scopi precisi. Il loro lavoro è stato continuamente monitorato, incoraggiando coloro che mi sembravano più deboli dal punto di vista linguistico e creativo, spronando quelli che, a mio avviso, avrebbero potuto migliorare i loro elaborati. Infine ho promosso in tutti gli alunni il senso di autoefficacia, elemento fondamentale per motivare gli allievi alla scrittura e allo studio in genere. In conclusione dal punto di vista relazionale l’esperienza è stata davvero gratificante, quando il tempo dedicato al mio modulo è scaduto, i ragazzini parevano davvero dispiaciuti e a sostegno di ciò, ho avuto occasione di osservare, durante le mie lezioni, delle vere e proprie dimostrazioni di affetto e stima da parte loro nei miei riguardi; infatti, tutte le volte che entravo in classe mi accoglievano sorridenti, durante gli intervalli venivano a parlarmi a gruppetti, chiedendo il prossimo argomento che avrei trattato, se potevo tornare anche l’anno successivo, se stavo ancora studiando e tante altre domande di carattere anche personale. Infine, quando ho chiesto loro se si fossero divertiti a lavorare con me mi hanno fatto un applauso, cosa che mi ha imbarazzato un po’, data la presenza della docente accogliente. Al di là dell’entusiasmo che ho suscitato nei ragazzini, cosa che mi risulta facile data la mia grande esperienza come animatrice in campi estivi, spero sinceramente di aver lasciato loro la voglia di continuare a cimentarsi nello scritto, qualunque insegnante capiti loro in futuro. III.3 Analisi critica dei risultati: confronto tra gli obiettivi del progetto e la documentazione dell’apprendimento della classe fornito dalle prove di accertamento. Durante la durata dell’intervento didattico è stato monitorato, tramite le verifiche formative, il progresso conseguito da parte della classe in itinere. Grazie alle esercitazioni svolte mi è stato possibile intervenire là dove ritenevo ci fossero dei punti deboli all’interno del gruppo classe, e quindi di dedicare maggior tempo ad 19 aspetti precisi della scrittura, per esempio quelli morfo-sintattici, soprattutto durante la correzione degli elaborati svolta individualmente. Gli obiettivi da me prefissati all’inizio del modulo erano certamente molto ambiziosi, non mi aspettavo di certo che fossero raggiunti da tutti i ragazzi, tuttavia penso che sia giusto porsi obiettivi più alti di quelli che si possa raggiungere effettivamente, poiché in tal modo gli sforzi degli studenti saranno orientati verso un modello di alto livello di apprendimento. Poiché la classe in questione presentava una composizione multietnica, sapevo che alcuni obiettivi possedevano la priorità su altri, per esempio quello cognitivo della scrittura e della sintassi dello scritto utilizzate correttamente, tuttavia non ho tralasciato di illustrare chiaramente tutti gli altri e le loro rispettive funzioni. La valutazione dei prerequisiti anche in questo modulo, come nel precedente inerente la linguistica, è stata ritenuta superflua, in quanto l’argomento non richiedeva una particolare conoscenza di concetti di base. Inoltre, il laboratorio di ascolto di fiabe svolto l’anno precedente mi assicurava una certa confidenza della classe con l’argomento in questione. Ogni lavoro di riscrittura proposto in itinere è stato valutato, con valore di verifica formativa; in questo modo gli studenti hanno avuto la possibilità di capire i loro errori più frequenti, e di cercare così di migliorarsi via via. Al termine del modulo è stata proposta alla classe la costruzione individuale di una fiaba, con valore di verifica sommativa, rispettando dei vincoli ben precisi e tenendo presente tutto quanto era stato detto in precedenza in merito alla funzione e alla struttura delle fiabe. I voti sia per le verifiche formative sia per la verifica sommativa sono stati assegnati in giudizi, seguendo la seguente scala dal più alto al più basso: ottimo, distinto, buono, sufficiente, insufficiente. Mentre la verifica sommativa è andata a rilevare il prodotto, le altre verifiche di carattere formativo hanno permesso di controllare il processo di acquisizione di famigliarità con la scrittura di fiabe e con la propria espressività e immaginazione. In base alle prove formative e alla verifica sommativa, è possibile affermare che la classe si suddivide in quattro fasce di livello diverso: un ristretto gruppetto costituito da tre persone, che è riuscito ad arrivare a un buon livello sia per quanto riguarda la creatività della scrittura di fiabe, sia rispettando le consegne date, sia inserendo elementi curiosi e divertenti, sia osservando le regole grammaticali e sintattiche; un secondo gruppo più numeroso, che ha dimostrato di essersi impegnato e di aver migliorato i propri elaborati durante lo svolgimento del modulo, tuttavia permangono a questo livello molte incertezze 20 dal punto di vista della correttezza grammaticale; un terzo gruppo che ha dimostrato notevole difficoltà nell’espressione scritta, sia per quanto riguarda l’originalità dei contenuti delle fiabe, sia perché le nozioni di lingua italiana erano piuttosto scarse, non a caso il gruppo in questione era composto da stranieri da poco tempo arrivati in Italia. Infine l’ultimo gruppetto, dove le prestazioni sono state più scarse contava soltanto due persone: un ragazzino con un lieve deficit di comprensione, non certificato, ma segnalatomi dalla docente accogliente, e il ragazzino cinese con il quale mi ero scontrata durante l’intervallo, anche se in questo caso ritengo che il rendimento insufficiente sia stato dovuto al poco impegno. Non ho attribuito a nessuno il giudizio di ottimo, ma la maggioranza della classe ha ottenuto il buono, eccezion fatta per le tre persone di cui sopra, a cui ho ritenuto giusto assegnare il giudizio distinto. Nell’attribuzione dei giudizi, ho fatto riferimento a una griglia di valutazione di un testo scritto che tiene conto di vari aspetti: l’adeguatezza pragmatica, caratteristiche del contenuto, organizzazione del testo, lessico, morfologia e sintassi, ortografia13. Il diagramma a torta seguente illustra chiaramente l’andamento generale della prova: insufficiente 10% distinto 14% sufficiente 29% distinto buono sufficiente insufficiente buono 47% III. 4 Riflessione critica sull’esperienza didattica condotta. 13 Cfr. la griglia di valutazione in allegato 6 21 Il modulo in questione si presentava molto diverso da quello precedentemente svolto nella stessa classe, sia per contenuti, sia per obiettivi. L’unico obiettivo in comune trai due era quello appartenente alla sfera metacognitiva del cooperative learning . Inoltre, il carattere di tecnicità della linguistica richiedeva un intervento didattico differente per approccio e metodologie. L’argomento del modulo in questione mi è stato suggerito dall’esperienza di tirocinio indiretto “Scrivere è riscrivere” condotto in SSIS l’anno scorso. Durante questo laboratorio di scrittura ho sperimentato la scrittura creativa, con la quale devo confessare non avevo mai avuto un rapporto diretto prima; ho maturato così l’idea che sia molto importante fare uso di metodi didattici che promuovano la scrittura come voce di espressione personale, non come una serie di noiose regole ortografiche e sintattiche da rispettare; tuttavia le metodologie e i testi proposti alla SSIS si presentavano troppo difficili e non riproponibili per una seconda media. Ho pensato così di far avvicinare i ragazzi alla scrittura creativa tramite un genere che conoscessero già abbastanza bene, o quanto meno con il quale avessero una buona famigliarità. Di qui la mia scelta per la fiaba. Infatti, già l’anno precedente la classe aveva svolto un laboratorio di ascolto di fiabe con la docente accogliente, e l’idea che era stata veicolata loro sul genere, era quella che si trattasse non tanto di qualcosa di molto complicato e difficile da scrivere o da capire, ma quella di una “creazione poetica”, la quale attinge dai costumi e dalle tradizioni popolari i suoi principi e i suoi valori. La ragione principale che mi ha spinto a progettare un intervento didattico di questo tipo è, d’accordo con Dario Corno, quella che: “Si impara a scrivere perché contemporaneamente ci si educa a due libertà che sembrano tipiche del mondo globalizzato: la libertà di pensare in modo libero e autonomo e la libertà di prendere decisioni ragionando e argomentando.”14 Partendo da un approccio alla fiaba di tipo analitico, ho illustrato alla classe le funzioni di Propp, per dare loro uno strumento di composizione e scomposizione delle fiabe, con il quale potessero giocare a costruirle. Avevo programmato una serie di esercizi di riscrittura maggiori rispetto a quelli che effettivamente ho proposto, ma ho ritenuto più importante soffermarmi su delle riflessioni riguardanti le finalità della fiaba, in quanto portatrici di un insegnamento. Infatti i primi lavori consegnatimi, mi hanno lasciata abbastanza sconcertata, in quanto i contenuti delle fiabe erano molto diversi da quelli che mi sarei aspettata da dei ragazzini di 14 Dario Corno, “La scrittura”, Rubettino Editore, Catanzaro,1999 22 12 anni. Com’è possibile infatti, che queste fiabe fossero infarcite di violenza, divorzi, frodi, alcolismo, mafia? Forse ho proiettato verso la classe le aspettative di quello che avrei scritto io e il mio gruppo classe di 13 anni fa. Ho constatato di persona il cambiamento generazionale e l’influenza drammatica dei fatti di cronaca sull’immaginazione dei ragazzi. Nel primo esercizio di scrittura proposto, era richiesto di continuare una fiaba, avendone letto l’inizio, e mantenendo però i personaggi incontrati. Molti di questi racconti erano completamente immersi in un mondo fantastico, in un mondo completamente avulso dalla realtà, eppure molti studenti li hanno riportati su un piano concreto, reale, drammatico e con finali per lo più tragici. Le ragazze, che da sempre sono più sognatrici, hanno prodotto delle fiabe non dai tratti così violenti, ma erano riconoscibili dei riferimenti espliciti ai programmi televisivi, per esempio “Elisa di Rivombrosa”. Dopo aver letto questi primi elaborati, ho ritenuto doveroso fermare il programma del modulo e intraprendere una riflessione15 sulla morale delle fiabe e sui valori che scaturivano dalle fiabe dei ragazzini, dato che la parola che saltava sempre agli occhi nei finali da loro descritti era “ricchi”, o “ricco”, o “tanti soldi”. Ho esposto le mie perplessità, per non dire preoccupazioni, anche al professore di psicologia sociale, il quale però dopo aver letto una o due delle fiabe che gli ho proposto, ha asserito che mi preoccupavo senza ragione, che non c’era nulla di allarmante nei racconti in questione, e che probabilmente io facevo parte di quel gruppo di insegnanti che proiettano le loro aspettative sui ragazzi, e quando queste non vengono soddisfatte, pensano che ci sia qualcosa di sbagliato negli studenti. E’ certamente vero che avessi delle aspettative, chi non le ha? Tuttavia, dopo aver fatto riflettere i ragazzini su ciò che avevano scritto, i contenuti delle loro fiabe sono cambiati, non in maniera radicale, ma quanto meno la consapevolezza di ciò che era scaturito dai lavori precedenti li aveva resi più attenti a comunicare un messaggio che fosse davvero nato dalla loro espressione e non dagli stereotipi che il nostro tipo di società capitalistica e consumistica aveva inculcato in loro. Ho quindi verificato come la scrittura sia inevitabilmente influenzata dalla storia personale, dalla condizione economica, culturale e famigliare dello scrivente, dal livello di alfabetizzazione delle famiglia di origine e dal paese di provenienza. 15 Cfr. Analisi del processo e allegati 23 L’immaginazione è una qualità da coltivare, certamente un ragazzino ha insito in sé la potenza immaginifica, ma se questa non viene fatta esercitare, come altre qualità per esempio la memoria, essa si impoverisce. E’ inutile dire quanta importanza può avere la fantasia e la creatività di conseguenza nella vita di un adolescente, essa non serve soltanto per scopi scolastici, ma anche come forma di difesa nelle situazioni difficili, in quanto si può essere in grado di immaginarsi di essere altrove e allontanarsi per un attimo dalla realtà che spesso non è sempre come si vorrebbe. Ritengo che la vita che conducono molti ragazzini italiani di buona famiglia sia davvero troppo impegnata, gli stessi giochi per esempio la Play Station, non lasciano scampo al vagare delle menti, ma il gioco è già tutto programmato, per non parlare della televisione. Insomma i ragazzini non si annoiano più, e come fanno allora a pensare e a immaginare senza la noia? Proprio a questo proposito volevo inserire un’osservazione riguardante le fiabe, prodotte dagli studenti stranieri. Infatti, esse mi sono sembrate molto più spontanee delle fiabe italiane, forse perché questi ragazzini hanno meno possibilità di avere giochi e passatempi sofisticati e dedicano più tempo a far galoppare la loro fantasia, ma questa è soltanto una mia impressione. Per quanto riguarda l’entusiasmo degli studenti, come ho già detto in precedenza, era davvero straordinario! Il lavoro in coppia e di gruppo è stato gradito particolarmente, anche l’uso dei cartelloni, dei gessi colorati ha stimolato ulteriormente la capacità creativa e artistica. Ho verificato davvero in questo classe la disponibilità ad apprendere, che ha contribuito al formare un contesto davvero produttivo sia per la crescita personale degli allievi, sia per la crescita professionale da parte mia come futura docente. Durante il modulo, ma già dal modulo precedente, si era creato un clima di complicità e affiatamento, sia tra me e i ragazzi, sia tra me e la docente accogliente, la quale dava prova di apprezzare il mio lavoro e i risultati da me raggiunti, constatando che ero riuscita a risvegliare l’attenzione anche in alcuni soggetti piuttosto apatici. Tenendo presente le modifiche apportate al mio progetto didattico, penso di riproporre un domani in un' altra classe questo tipo di intervento didattico, magari proponendolo come un laboratorio pomeridiano, senza troppi limiti di orario. 24 Conclusioni: Aspetti metacognitivi dell’attività svolta La formazione professionale della SIS è stata per me di fondamentale importanza, dato che provenivo da una formazione esclusivamente disciplinare universitaria e non avevo mai avuto occasione di confrontarmi con una classe, perciò le mie esperienze di scuola secondaria superiore di I e di II grado risalivano ai miei ricordi personali di studentessa. Già dal I anno, grazie al tirocinio osservativo, ho avuto la possibilità di essere spettatrice di quanto succede in una classe, di tutti quegli aspetti relazionali che sottendono la comunicazione docente/allievi e allievi/allievi, e che spesso durante la lezione frontale sfuggono all’attenzione dell’insegnante. 25 Ho incominciato così a rendermi conto che il percorso professionale che stavo intraprendendo non era per nulla banale e si mostrava più complesso di quanto io stessa mi aspettassi. Intanto frequentando le lezioni dei corsi trasversali di pedagogia e psicologia, tentavo di capire come calare nella realtà di tutti i giorni le nozioni astratte e le varie teorie che ci venivano veicolate e che mi erano del tutto nuove, non avendo mai studiato materie che si occupassero dello sviluppo degli adolescenti. All’inizio, tutto ciò mi appariva molto avulso dalla pratica quotidiana dell’insegnamento, ma in seguito, riflettendo alla luce delle esperienze svolte in classe durante il mio II anno di SIS sono state utili. Infatti, in quest’ultimo anno ho avuto esperienze dirette sul campo esterne all’esperienza del tirocinio attivo, e devo ammettere che la sensibilità sviluppata verso gli aspetti relazionali e psico-pedagogici dell’insegnamento mi hanno permesso di affrontare con più facilità determinati problemi; la mia prima esperienza sul campo è stata in un professionale regionale, soltanto quattro mesi, tuttavia mi sono resa conto dall’inizio che avevo scelto un esordio di carriera difficile. Le classi affidatemi erano esclusivamente maschili e mostravano una massiccia presenza di stranieri, senza contare gli allievi italiani, molti dei quali aggressivi e di carattere difficile; inoltre l’italiano non era considerato importante, dato che i ragazzi seguivano con interesse solo le materie professionalizzanti. L’unica arma che mi era rimasta, ma che si è dimostrata efficace, è stato il dialogo, il tentativo di pormi in empatia con gli sudenti, l’autostima che cercavo di suscitare verso loro stessi. In questa occasione ho sperimentato le tecniche apprese nei corsi di didattica, per esempio il cooperative learning, e ho verificato sul campo i comportamenti degli adolescenti detti “border line”. L’esperienza di tirocinio attivo, prima in un istituto d’arte e poi in una scuola media, sono state davvero positive nel complesso. La presenza sempre costante della docente accogliente mi rendeva sicura e a mio agio, anche perché dopo aver provato a insegnare in un professionale regionale, il contesto scolastico mi sembrava in entrambe i casi ottimale. In entrambe i moduli di tirocinio, sebbene si trattasse di due fasce d’età ben diverse dato che una classe era una V superiore e l’altra una II media, mi sono resa conto della centralità per gli adolescenti della figura del docente, una figura di riferimento insostituibile, dato che spesso i ragazzi si vedono privi del sostegno delle tradizionali figure parentali. La 26 società, anche soltanto rispetto a una decina d’anni fa, si mostra completamente cambiata, i nuclei famigliari tradizionali sono sempre più carenti, inoltre l’ingresso di una massiccia quantità di stranieri rende la società multietnica e perciò ancora più complessa. Come risulta dalle ricerche i docenti italiani si sentono scontenti dello scarso riconoscimento del compito difficile che svolgono e della scarsa corrispondente retribuzione. Sembrerebbe, guardando dall’esterno, che le lamentele del corpo docenti non siano del tutto fondate, ma non appena ci si immerge nella realtà scolastica, ci si accorge dell’enorme carico di responsabilità richiesto all’insegnante, che deve provvedere a veicolare i contenuti disciplinari, tenere le dinamiche relazionali, aprire la mente dei ragazzi alla criticità rispetto al mondo che li circonda, coinvolgere nei suoi progetti didattici gli enti territoriali etc. Effettivamente la società odierna, come mai in precedenza, obera la scuola di richieste , che spesso non possono essere espletate per mancanza di tempo, strutture e soprattutto fondi. Credo che l’insegnante nel suo piccolo contesto di classe possa però fare molto, sia nel bene, se è impegnato, sia nel male, se svolge il suo compito con superficialità. A mio avviso è di fondamentale importanza far sì che gli studenti apprendano dall’esperienza, ovvero siano in grado di rielaborare le nuove informazioni apprese a scuola, alla luce del loro vissuto emotivo, e superino la paura dell’errore, che è un ostacolo ineliminabile al fine dell’apprendimento significativo. In alte parole il docente deve fare in modo che cada la distinzione tra cultura emozionale e cultura intellettuale 16 , ovvero che l’insegnante sia in grado di creare un clima di condivisione e di confronto, in grado di contenere l’ansia che ogni studente nutre verso i contenuti a lui ancora oscuri e verso cui si sente inadeguato. Se all’inizio del persorso SIS nutrivo una profonda convinzione che il compito preponderante del docente si attenesse alla sfera disciplinare, ora alla fine dell’abilitazione posso affermare che si deve cercare di coniugare il modello del magister con quello del pastore, che nel limite del possibile cerca di accompagnare tutti i suoi studenti in ugual maniera e con uguale riguardo alla fine del percorso scolastico. La classe in cui ho svolto il presente intervento didattico era senz’altro un esempio più che mai efficace della società complessa entro cui viviamo: molti ragazzini stranieri, la maggior parte senza padre e madre; per quanto riguarda gli allievi italiani, un folto gruppetto era figlio di genitori separati. E’ naturale che in un contesto del genere 16 G. BLANDINO, B. GRANIERI , Le risorse emotive nella scuola, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002 27 l’insegnante di lettere viene ad assumere un ruolo di forte riferimento per dei ragazzini di scuola media, data la giovanissima età degli studenti e il cospicuo numero di ore trascorse insieme secondo i programmi ministeriali. Più volte ho avuto modo di notare l’affetto che gli studenti provavano per la docente accogliente, e il bisogno di risposte da parte sua. La loro curiosità verso le opinioni dell’insegnante in merito a varie problematiche sottolineavano proprio l’importanza e l’ascolto dato alle sue parole, che rappresentavano una fonte autorevole. In conclusione vorrei richiamare le parole del sociologo P. Perrenoud, che definisce l’insegnante come professionista riflessivo e intuitivo ad un tempo, dato che spesso si trova a dover “agire nell’urgenza e a decidere nell’incertezza”; egli deve possedere, a mio avviso, sia una forte vocazione sia un impegno considerevole, e soprattutto deve tener presente la forte dimensione relazionale propria della professione docente, senza la quale tutto si ridurrebbe a un banale ed arido reiteramento di lezioni frontali tutte uguali e per nulla arricchenti da un punto di vista caratteriale e personale. Bibliografia essenziale Fonti relative agli aspetti trasversali: L.S. VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio, Firenze, Giunti, 1966 COSIMO LANEVE, Elementi di didattica generale, Editrice La Scuola, Brescia, 1998 L.S. VYGOTSKIJ, Immaginazione e creatività nell’età infantile, Roma, Editori Riuniti, 1986 D.W. WINNICOTT, Gioco e realtà, Roma, Armando, 1974 D.A. SCHÖN, The reflexive Practitioner, New York, Basi Books, 1983, trad.it., Il professionista riflessivo, Bari, Dedalo, 1993 P. PERRENOUD, Enseigner: agir dans l’urgence, décider dans l’incertitude, Paris, ESF éditeur, 1996 G. BLANDINO, B.GRANIERI, Le risorse emotive nella scuola, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002 Fonti relative ai contenuti disciplinari trattati 28 CONTI, CORNO, MES Manuale di educazione alla scrittura, La Nuova Italia D. CORNO, Scrivere e comunicare, Bruno Mondatori, Milano, 2002 TORTONESI, Il laboratorio della scrittura, Marietti P.FAUDELLA, Esercizi di scrittura, Torino, Celid, 2002 Libri di testo H. C. ANDERSEN, Quaranta Novelle, Milano, Editore Ulrico Hoepli, 1984 FRATELLI GRIMM, Cinquanta Novelle, Milano, Editore Ulrico Hoepli, 1984 ALLEGATI Stesura completa della programmazione Progetto Argomento: Scrivere e riscrivere fiabe Classe destinataria: II media Tempi: All’inizio avevo programmato per il modulo una durata di 12 ore, tuttavia, non avevo calcolato che per alcune attività, per esempio il lavoro di gruppo e il brain storming, era necessario più tempo. Così in extremis ho dovuto chiedere alla docente accogliente altre tre ore, che fortunatamente mi sono state concesse, dato che cadevano nella settimana prima delle vacanze di Natale. Le lezioni, come già per il modulo precedente, cadevano in due giorni infrasettimanali: il mercoledì in tre ore, intervallate dalla ricreazione; e il giovedì in due ore. Modulo: laboratorio di scrittura modulo di 12 ore, divenute poi 15 per gentile concessione della docente accogliente Motivazione della scelta dell’argomento: Come già detto in precedenza, ho scelto questo argomento sulla base di una mia esperienza di un laboratorio di tirocinio indiretto, svolta il mio primo anno di SiS, che si intitolava Scrivere è riscrivere. E che era tenuto dalla prof.ssa Emilia Abelli e dalla prof.ssa Carla Gatti. 29 In questa occasione sono stata colpita dalla modalità con cui è possibile insegnare ai ragazzi a scrivere, sfruttando la dimensione ludica e creativa della lingua scritta. In una seconda media, non mi è stato di certo possibile proporre ai ragazzi una serie di testi appartenenti a diverse tipologie narrative come quelli preparati per noi specializzandi, perché non li avrebbero compresi. Perciò, ho ritenuto che il testo più famigliare col quale potevano confrontarsi e analizzare la sua struttura scomponibile in più parti per la seconda media in questione era la fiaba. Rispetto allo statuto epistemologico della disciplina L’argomento scelto e il percorso proposto si propongono di potenziare la padronanza dell’uso della lingua scritta in relazione alle esigenze creative del ragazzo, all’uso dinamico della lingua, in modo che si possa attraverso di essa organizzare la propria comprensione della realtà e comunicarla correttamente agli altri. E’ fondamentale per l’adolescente utilizzare uno strumento potente come quello linguistico per esplicitare i suoi pensieri e le sue fantasie. L’argomento proposto si inserisce quindi in riferimento all’ampio quadro delle finalità dell’educazione linguistica definite dai programmi ministeriali della scuola media, riassumibili nella frase “ far acquisire all’alunno, come suo diritto fondamentale, l’uso del linguaggio in tutta la varietà delle sue funzioni efrome nonché lo sviluppo delle capacità critiche nei confronti della realtà”. Rispetto alle valenze culturali Nonostante l’argomento venga affrontato attraverso l’uso del genere letterario della fiaba, esso in induce i ragazzi all’organizzazione delle proprie idee e della propria immaginazione mediante la lingua scritta e le regole che ad essa attengono. Lo sforzo condotto nello specifico, educa i ragazzi all’elaborazione di un testo corretto morfosintatticamente, senza dimenticare l’aspetto personale e estremamente soggettivo dell’espressione. L’intervento didattico quindi si propone, attraverso l’uso “ludico” della lingua scritta, di consentire agli allievi di percepire sempre di più lo scritto come vicino a loro, e di utilizzarlo per molti altri scopi, che vanno dall’elaborazione di un diario personale allo sviluppo di un’opinione critica sulla realtà, al sogno di diventare giornalista o scrittore. 30 Rispetto alle valenze pedagogico-didattiche in relazione al tipo di classe e di studenti cui si rivolge. L’argomento scelto si presta ad un lavoro basato sull’interazione docente-allievi e tra pari, elaborando insieme delle riflessioni e riducendo al minimo le lezioni frontali, privilegiando l’esercitazione singola o in gruppi. In un’ottica costruttivista, che tenga conto delle conoscenze pregresse degli studenti, dei loro vissuti perconali, delle loro diverse provenienze da paesi anche extraeuropei, l’intervento progettato di propone di valorizzare nella scrittura le suggestioni personali già possedute dagli allievi e di sviluppare la capacità immaginifica e riflessiva. La richiesta della partecipazione attiva di tutta la classe alle attività di scrittura proposte e la costante supervisione e guida della tirocinante sono le basi per la realizzazione di una maggiore autonomia degli studenti nell’elaborazione di un corretto testo scritto, sia esso fiaba, tema, testo descrittivo etc. E’ ancora da sottolineare l’importanza dell’intervento didattico per la funzione metacognitiva che svolge, in quanto stimola la riorganizzazione dei pensieri e dei processi cognitivi nell’elaborazione di un messaggio che sia conforme alla volontà dello scrivente e allo stesso tempo usufruibile al lettore. Scopo dell’intervento: L’educazione alle abilità linguistiche ha molta importanza a tutti i livelli scolastici; l’uso della lingua si può distinguere in uso funzionale, cioè riferito alla comunicazione con fini pratici, al contesto professionale e allo studio, e in uso creativo, cioè per scopi espressivi, ludici e letterari. Il modulo in questione si propone di far lavorare gli studenti sulla base della loro creatività, in modo da migliorare la loro educazione alle abilità linguistiche e a maturare emotivamente. Obiettivi: Competenze e abilità: 1) condividere un’idea 2) ascoltare attentamente 3) discutere il feedback ricevuto dagli altri compagni, le differenze tra il loro e gli altri lavori, ottenendo una crescita del gruppo-classe 4) imparare a porsi delle domande 31 5) capire bene i testi sia nelle informazioni che forniscono, sia negli scopi che vogliono raggiungere 6) sviluppare le capacità di sintesi 7) imparare a modulare il linguaggio in base al contesto 8) imparare a controllare la propria espressività 9) riconoscere nelle fiabe le principali strutture e funzioni di Propp 10) saper estrapolare una morale da un racconto 11) rispettare i vincoli dati dalla consegna dell’esercizio di riscrittura Obiettivi cognitivi: 1) sapere che la scrittura è per definizione un’arte da apprendere 2) conoscere le principali funzioni di Propp 3) essere a conoscenza della funzione delle fiabe 4) conoscere la grammatica e la sintassi corrette dello scritto Obiettivi metacognitivi: 1) riflettere sul lavoro altrui e cercare di trarne degli insegnamenti 2) sviluppare l’immaginazione 3) imparare a dominare l’espressività 4) progettare e pensare la scrittura Prerequisiti: 1) Conoscenza del concetto di fiaba 2) Sufficiente padronanza della lingua italiana nei suoi aspetti morfosintattici e lessicali Strumenti: 1) cartelloni 2) gessi colorati 3) lavagna 4) libri di testi di fiabe: H. C. ANDERSEN, Quaranta Novelle, Milano, Editore Ulrico Hoepli, 1984 FRATELLI GRIMM, Cinquanta Novelle, Milano, Editore Ulrico Hoepli, 1984 32 I Lezione 33 Contenuto Testi scelti Presentazione dell’argomento: 1)la fiaba come genere letterario 2)le funzioni di Propp Attività e modalità Tempi Lezione frontale 1H Lezione interattiva Esercitazione su testo: analisi mediante Il Piccolo Tuc funzioni di Propp Christian Andersen di Think pair share 1H II lezione Contenuto 1)Introduzione all’idea di scrittura come espressione soggettiva regolata da precise convenzioni 2) concetto di chria 3) esempi dei maggiori retori latini 4) modifica della lingua scritta ad opera dei più importanti esponenti dell’800 e ‘900 Esercitazione di continuazione di un testo a piacere, avente valore di verifica formativa Testi scelti Attività e modalità Tempi Lezione frontale Lezione interattiva 1H Mappa concettuale fornita dalla tirocinante ai ragazzi L’esercitazione svolta in coppia, prevede la 2 H I tre cedri La principessa costruzione di una nuova fiaba, dopo aver incantata Le pelli del fringuello letto la prima pagina di e del coniglio quella fornita dalla Lo sceicco cieco tirocinante, Il libricino magico mantenendo però i Il principe Almed e la personaggi principali fata Parì Banuù Vardiello e Grannonia L’acqua della vita Barbablù III lezione 34 Contenuto Testi scelti Attività e modalità Esercitazione su testo Re Bazzaditordo La villanella accorta Fratellino e sorellina La luna La guardiana d’oche Pollicino Tremotino I sette corvi Il ricco e il povero Le fortune di Nanni Nevolina Il contadino e il Diavolo I nati d’oro Rosaspina L’indovinello I tre fratelli Gli omini misteriosi Cuffietta Rossa Raperonzolo Re rospo Singolarmente i ragazzi 2 H dovranno analizzare la fiaba assegnata loro mediante le funzioni di Propp e riscrivere il racconto, cercando di sminuire la cattiveria dell’antagonista mettendolo in ridicolo Testi scelti Attvità e modalità Tempi IV Lezione Contenuto Riflessione collettiva La riflessione prende sulla fiaba e sulla sua l’avvio dai testi funzione e definizione precedentemente utilizzati ed elaborati dai ragazzi Tempi Gallery tour: i ragazzi 1, 50 H sono divisi in gruppi di 4 persone e devono riportare sui cartelloni le definizioni di fiaba scaturite dalla riflessione di gruppo, al termine essi potranno confrontare le proprie opinioni e aggiungere sui cartelloni, che nel frattempo sono stati appesi alle pareti dell’aula, gli spunti raccolti dai compagni V lezione 35 Contenuto Esercitazione riscrittura Testi scelti di Cappuccetto Rosso Cenerentola Attività e modalità Tempi Riscrittura del racconto 1,50 H in tono ironico a coppie. Sono stati scelti le fiabe più conosciute dai ragazzi anche da quelli stranieri VI lezione Contenuto Testi scelti Attività e modalità Verifica sommativa Allievi: protagonista: nano antagonista: re mezzo magico: calice aiutante: cavallo Ai ragazzi è richiesto a 2 H partire da degli elementi forniti dalla tirocinante, sulla base delle funzioni di Propp, di costruire un racconto. La consegna è stata differenziata per gli allievi e per le allieve. Allieve: protagonista: regina antagonista: fata aiutante: gatta mezzo magico: rossetto Tempi Allegato 1 Continuazione di fiabe 36 La Principessa incantata (D. R.) ….Il Principe galoppando verso il castello, giunto alla porta l’aprì ed entrò. Trovò tre corridoi lui scelse il terzo; Elmerico preoccupato del pericolo trovò davanti una strega che incominciò a lanciarle palle di fuoco, allora evitandole, prese una spada da per terra e la colpì. La strega sparì come per magia, Elmerico uscì dalla stanza ed entrò nella stanza numero 2. Qui trovò un giullare che ballava e cantava dicendo: “La principessa è spacciata, nessuno arriverà al terzo piano perché il giullare ti farà a pezzi”. Lui ascoltando il giullare trovò un’altra spada diversa dalla prima, si sorprese perché la spada era magica, la agitò in aria e il giullare sparì. All’improvviso un mago apparve davanti a lui e prese la spada e scomparse, allora entrò nell’ultima stanza e vide il mago che impugnava una delle spade, prese quella che stava vicino a lui e si mise a combattere e vinse, intanto i draghi presero la principessa. Elmerico corse dietro ai draghi, sperando di salvarla, ma nella corsa andò a sbattere contro un palo. Intanto i draghi atterrarono, la principessa incuriosita da una vetrina di un negozio. Il proprietario la vide e la invitò ad entrare, la principessa gli spiegò la sua storia e allora Giovanni, così si chiamava, la riportò al castello di suo padre. Il re fece una grande accoglienza a sua figlia e a Giovanni, tanto che promise in sposa sua figlia al coraggioso e intraprendente negoziante. Le pelli del fringuello e del coniglio (G. R.) …..I tessitori continuarono a far vestiti per il re, ma alla fanciulla chiese aiuto alla sua madrina, che gli fece una proposta: andare nel bosco, trovare un animale, ucciderlo e poi squartarlo, prendendo solo la sua pelle per poi farlo diventare il vestito del re . La ragazza andò nel bosco, prese un fringuello e fece quello che gli aveva detto la sua madrina. I tessitori cucirono la pelle dell’animale e la portarono al re. Egli non sapeva niente della storia che c’era dietro. Il re rimase molto contento e disse ai suoi servitori di portarlo in cucina e di cucinarlo per il pranzo. La fanciulla non sapeva che il re era un mangiatore di pelli di animali e che aveva vinto anche dieci medaglie d’oro per quello che faceva. I servitori andarono alla fanciulla per dirgli che il re rimase molto contento del regalo. Essi però non avevano detto al re che quel regalo era come un ricatto: se prendeva quel regalo, in cambio non poteva più sposare la fanciulla. La fanciulla rimase un po’ scontenta del lavoro che avevano fatto i servitori del re, ma nonostante tutto diede loro un’altra opportunità: riandare nel bosco a prendere un altro animale da portare al re. Essi riandarono, presero un coniglio, lo uccisero e con la sua pelle fecero un altro vestito per il sovrano, che rimase anche stavolta insoddisfatto. I servitori incominciarono a raccontare che quel vestito era stato fatto in cambio della fanciulla che non lo voleva sposare., tuttavia mentre raccontavano l’accaduto, il re si era già mangiato le pelli del coniglio. Purtroppo la fanciulla dopo svariati tentativi si rassegnò e decise di sposare il re; arrivò il giorno delle nozze e mentre si scambiavano le fedi si sentì un tonfo. Il re era caduto e incominciò a gonfiarsi come una mongolfiera, fino a che scoppiò. La fanciulla non credeva ai suoi occhi, era contentissima. Tutti i presenti erano felicissimi, talmente tanto che, presi dall’euforia, divisero il re in tante parti che ognuno ne prese una e se la mangiò; la fanciulla visse poi felice e contenta. Lo sceicco cieco (E. M. e S. P.) 37 …..quando incontrò una vecchia ella gli chiese cosa ci faceva da quelle parti. Kisrà le disse che doveva commerciare dell’alcool. La vecchia gli chiese dove aveva preso tutto quell’alcool e Kisrà rispose che l’aveva avuto in cambio di pietre preziose. La vecchia rimase sorpresa…però poi gli chiese qualche bottiglia. Kisrà gliele diede per 60 monete d’oro, la vecchia accettò e gliele diede. Poi continuò il suo viaggio arrivando in Turchia, ad Ankara ed incontrò un commerciante famosissimo che si chiamava Abdulà Aziz. Egli chiese a Kisrà che cosa aveva da barattare e il ragazzo rispose che aveva della grappa, della birra e del vino. Abdulà disse che voleva una dozzina di bottiglie di grappa e un’altra dozzina di birra. Kisrà disse che era molto costosa, ma Abdulà le comprò lo stesso. Kisrà gli fece il tutto a 200 monete d’oro, Abdulà accettò e se ne andò. Egli riuscì a viaggiare per tutti i paesi centro orientali, vendendo tutta la merce e guadagnando 2 milioni di monete d’oro. Con quel bottino comprò altra merce e venne in Europa per venderla, ma fu arrestato dalla polizia, che lo vide trafficare alcool e per questo lo arrestarono, egli spiegò che non sapeva che era illegale il commercio di alcolici, ma tutto fu inutile. Kisrà passò 11 anni in prigione, e ne avrebbe dovuti passare altri se non si fosse interessato a lui suo zio, uno sceicco cieco, molto potente, amico di numerosi avvocati, grazie ai quali fu scagionato. Tuttavia a questo zio lui doveva molti soldi, che in questi lunghi 11 anni non era riuscito ad accumulare, così poco dopo la sua liberazione venne ucciso dai sicari dello zio. Il libricino magico (A. C. e D. H.) ….dopo alcuni giorni dalla promessa al maestro. Simone non aveva neanche sfiorato il libricino rosso, nonostante fosse molto curioso. Simone viveva felice con il suo maestro e imparava molto bene il lavoro. Tutto però non poteva continuare ad essere così tranquillo, infatti un giorno in cui il maestro era uscito per lavoro Simone, divorato dalla curiosità, prese ed aprì il famoso libricino rosso. Simone all’interno del libro trovò una mappa del tesoro, secondo la mappa il tesoro si trovava in una piccola isola del Mar Rosso. Quando il maestro tornò a casa Simone gli fece vedere la mappa del tesoro, egli chiese al ragazzo dove l’aveva trovata, Simone, che non sapeva mentire, gli disse che spinto dalla curiosità aveva aperto il libricino dove aveva trovato la mappa. Subito il maestro mise in punizione Simone perché non aveva mantenuto la promessa; finito il castigo si ristabilì un certo equilibrio, finché una sera Simone disse che gli sarebbe molto piaciuto andare in giro per il mondo. Decisero che la loro prima meta sarebbe stata l’Isoletta sul Mar Rosso. Partirono e dopo alcune ricerche trovarono il tesoro, con i soldi che trovarono nel forziere viaggiarono per il mondo, alla ricerche di nuove avventure e tesori da scoprire. Il principe Almed e la fata Parì Banù (E.O. e M. B.) ….Un tempo c’era un sovrano che aveva tre figli: Husson, Alì, Almed. Non solo aveva anche una ragazza orfana di una bellezza assoluta di nome Nurunnihar, però c’era un problema; i tre principi erano innamorati di lei (bisticciavano per sposarla). Il padre non sapendo come fare, disse che dovevano portare una cosa preziosa e in cambio avrebbe dato Nurunnihar in sposa. Così si trasformarono come mercanti e vanno al mercato per trovare una cosa di inestimabile valore. Ahmed portò un tappeto volante, Alì portò il cannocchiale d’oro, Hussan portò una mela che serviva per far svanire ogni malattia. Tuttavia il padre non riteneva queste tre cose di valore così alto da concedere la ragazza. Lui voleva a tutti costi la “coppa d’oro con perline di Swarosky. 38 Per ottenere la coppa si doveva vincere un torneo, in cui occorreva molto coraggio. La prima prova consisteva nel lottare nel fango, la seconda prova consisteva nell’attraversamento di un tragitto di fuoco e in ultimo si doveva affrontare un test di intelligenza. Alla gara parteciparono i tre principi e uno sconosciuto. Nella lotta nel fango il primo ad essere eliminato fu lo sconosciuto, nel circuito di fuoco fu eliminato il principe Alì, così la terza prova sull’intelligenza fu affrontata da Ahmed e Hussun. Fu una prova molto lunga, non si finiva più, perché tutti e due avevano studiato; infatti, solo alla cinquantesima domanda si aggiudicò la gara Ahmed. Finalmente si sposò con Nuronnihar ed ella fece conoscere le sue sorelle agli altri principi…erano tutte gemelle! Così anche loro si sposarono e vissero felici e contenti. I Tre Cedri (V. e G.) Vincenzo partì alla ricerca della sposa…la cercò sui monti, sulle montagne e nelle isole più sperdute, ma con scarsi risultati. Ad un certo punto si trovò in una foresta sperduta tutto solo e scoprì un villaggio e bussò ad una porta e gli aprì la ragazza dei suoi desideri, allora lui disse: “ Tu sei la ragazza che stavo cercando, qual è il tuo nome?” lei rispose: “ Mi chiamo Rossana sua maestà, e non credo di essere la donna dei suoi sogni!” Alla fine però il re la convinse con belle parole a seguirlo, e se la portò al regno. Si sposarono ed ebbero tre figli, che nel passare degli anni diventarono tre cedri, perché la madrina di Rossana gli aveva detto che, se si fosse sposata con Vincenzo, i suoi figli quando avrebbero compiuto 15 anni sarebbero diventati alberi. La maledizione si avverò e Vincenzo morì, perché aveva osato combattere contro la madrina della moglie, che di fatto era una strega malvagia. La povera Rossana per il dolore si uccise, impiccandosi, e infine i figli rimasero per sempre alberi. Vardiello e Grannonia Il bambino Vardiello dopo aver ucciso la gallina andò al mercato in cerca di un commerciante che vendesse la gallina, ma non c’erano. Trovò invece un commerciante che vendeva uova fresche. Egli corse a casa per prendere i soldi, ma trovò solo una monetina. Poi la mamma tornò, ma visto che mentre lei era al mercato lo aveva visto tra la folla, gli chiese cosa ci faceva lì, e Vardiello dovette confessare di aver ucciso la gallina, perché era uscita dal suo nido, così la mamma Grannonia lo riempì di sberle e lo mandò a letto senza cena per punizione. Vardiello promise che non sarebbe mai più successo, poi ammise di non averlo fatto apposta, perciò la mamma lo perdonò, nonostante il disastro, ma gli disse che la prossima volta non lo avrebbe perdonato e comunque la punizione durò una settimana. L’acqua della vita (S. G. e E. C.) Dopo un po’ di tempo vedendo che il terzo fratello non tornava, il secondo decise di scappare dal castello di nascosto per cercare l’acqua della vita e sua fratello maggiore nel suo cammino incontrò il nano e gentilmente gli chiese informazioni sull’acqua della vita e di suo fratello. Il nano apprezza la sua gentilezza dicendogli che era un’impresa pericolosa raggiungere il posto dove si trovava quello che lui stava cercando. Aggiunse anche che per raggiungere il suo scopo doveva dimostrare di avere un animo gentile e pieno d’amore nei confronti degli altri. Il secondo fratello camminò in continuazione per tante settimane, non sapendo dove andare ad un certo punto intravide le cime di un castello, e si diresse verso di esse.davanti al castello lo accolse una giovane fanciulla, che sorprendentemente sapeva che cosa stava cercando il secondo fratello. Essa disse: “ Vieni so esattamente cosa tu stai cercando per ottenere l’acqua della vita dovrai sconfiggere il custode dell’acqua, un pericoloso centauro a 20 teste. Inoltre dovrai sconfiggere il 39 mostro e prendere l’acqua che si trova nella fontana in fondo al giardino, in 9 minuti esatti, se tu non riuscirai a prenderla prima del tempo, le porte del castello si chiuderanno e non uscirai mai più” L’impresa sembrava impossibile, ma con il suo coraggio e l’aiuto della ragazza riuscì a sconfiggere il mostro e a prendere l’acqua, prima dello scadere del tempo. Dopo questa vittoria la fanciulla decise di tornare con il secondo principe nel suo regno e durante il cammino rincontrarono il nano e il terzo fratello ancora sotto incantesimo, il secondo principe si rifiutò di chiedere al nano di spezzare l’incantesimo e passò indifferente, continuando la sua strada. La ragazza vide l’accaduto, ma non disse niente; dopo un giorno di cammino arrivarono al castello del re e si precipitarono nella sala del trono dove trovarono il fratello minore e il re. Il secondo principe stava per dare l’acqua al padre quando venne fermato dalla ragazza che disse: “ quell’acqua non può salvare tuo padre, tu non l’hai ottenuta dimostrando amore per tuo padre, ma hai dimostrato di essere crudele nei confronti di tuo fratello più grande. Tu non volevi salvare il re, ma prenderti il suo regno, invece tuo fratello minore ha accettato di passare per vigliacco davanti a tutti pur di rimanere al fianco di vostro padre, vegliando sulla sua salute” il fratello minore scoppiò a piangere, per la sua mancanza di coraggio e la fanciulla raccolse le sue lacrime in un boccale e le diede da bere al re, che guarì. Dopo qualche minuto, la fanciulla rivelò la sua vera identità, cioè quella di essere una maga, liberò quindi il terzo principe dall’incantesimo, mentre il padre fece punire il secondo principe e vissero per sempre felici e contenti. Barbablu (M. M. e Y.) …..il giorno dopo si sposarono e andarono a vivere nel suo castello, che era molto grande. Dopo un mese che erano spostati si separarono e il re si sposò con la sorella di sua moglie, Anna. Anna piano piano stava progettando un piano per ammazzare suo marito per impadronirsi dei suoi soldi e del suo palazzo. Ad un certo punto Anna andò al mercato e incontrò un mercante che le sembrava un po’ strano; lui le disse: “Senta vuole delle sostanze letali?” Anna: “ Sì, vorrei del veleno o della droga..” La sera tornata a casa nel cibo gli mise della droga e questo accadde per un mese. Lui ad un certo punto si accorse che sua moglie gli metteva della droga nel cibo; a questo punto Barbablù cominciò a buttare il cibo dalla finestra. La moglie resa sospettosa dal fatto che non era ancora morto gli cominciò a mettere droga nell’acqua, il marito cominciò a star male. Infine gli mise il veleno con la droga nell’acqua e questo fu letale. Anna ottenne quel che voleva: diventare ricca, e visse felice e contenta. ALLEGATO 2 Riscrivi la fiaba di Cappuccetto Rosso o di Cenerentola cercando di renderla comica: 40 Cappuccetto Rosso o meglio Nano (E. O., M. B.) C’era una volta una ragazza di nome Cappuccetto Rosso, aveva 8 anni era una ragazza educata, molto responsabile e molto ingenua. Tutti la chiamavano Cappuccetto Nano, perché anche se aveva 8 anni era molto bassa, era alta soltanto 98 cm. Ella viveva nel bosco insieme a sua mamma, aveva anche una nonna che viveva poco lontano da lei. La mamma poverina era pazza e infatti voleva uccidere la figlia. Non sapendo come fare si inventò la scusa che la nonna stava male e le chiese se andava dalla nonna per portarle le medicine. La nonna stava male, aveva dei crampi al dente, così Cappuccetto Nano doveva andare non solo per le medicine, ma anche perché doveva portare il brodino perché non poteva masticare. Si incamminò per la casa della nonna! Cammina cammina, vide dei bei fiori, tutto ad un tratto il fiore si aprì e le voleva mangiare una mano. Erano dei fiori carnivori…non si mangiarono la mano intera per fortuna, soltanto un dito. Cappuccetto incominciò a piangere, così si mise in cerca di una pianta medicinale che le facesse passare il bruciore. L’aveva letto, cercò, cercò, finalmente la trovò, la prese e l’avvicinò al mezzo dito, però non passò, anzi si mise ancora di più a piangere: erano ortiche! Andò più avanti, e incontrò il lupo, era per terra, si era fatto male. Così Cappuccetto Nano prese le medicine della nonna e le diede a lui; purtroppo le medicine peggiorarono le condizioni del lupo, che incominciò ad avere il singhiozzo. Cappuccetto, ingenua, le chiese qual era la strada più corta per andare dalla nonna, il lupo le rispose che era a destra del bosco, invece quella era la strada più pericolosa con cani e gatti cattivi. Comunque alla fine Cappuccetto Nano arrivò, entrò in casa e vide la nonna che stava ballando col lupo. La bambina, ingenua, non capendo le cattive intenzioni del lupo, si mise a ballare con loro, ma quando si addormentarono il lupo se le mangiò tutte e due. Il cacciatore vide tutto ed entrò, soltanto che sparò alla pancia del lupo…Così Cappuccetto e sua nonna morirono insieme al lupo, e vissero tutti ammazzati e scontenti. Cappuccetto Rosso (E. M. e S. P.) Un giorno Cappuccetto rosso doveva andare dalla nonna a darle le pillole per la pressione, incontrò il lupo-rap, che le chiese se voleva fare un concerto rap con lui. Cappuccetto andò con il lupo, quando ad un tratto si ritrovarono in un vicolo e la bambina si accorse che il lupo aveva l’acquolina in bocca e così scappò. Ritrovatasi in un parcheggio rubò una GTO del ’70 decappottabile, e cominciò a correre per tutta Manhattan inseguita dalla polizia. Ad un certo punto li seminò, però non si rese conto che c’era un ponte levatoio che si stava alzando e cadde in acqua. Cappuccetto si salvò perché mentre la macchina stava cadendo uscì dal finestrino con un tuffo carpiato con tre avvitamenti e 6 capriole, che era degno di una medaglia d’oro. Cappuccetto tornò a riva e incontrò il lupo, che teneva in ostaggio la nonna con una pistola, la bambina cercò di liberarla, ma il lupo fece fuoco e la uccise. Allora Cappuccetto inseguì il lupo con una bomba a mano. La lanciò e inciampò nel marciapiede con la faccia, intanto la bomba esplose e uccise il lupo. Purtroppo anche la nostra eroina morì . Intanto in Paradiso il lupo continua a inseguire Cappuccetto per il resto della sua misera vita. Cappuccetto Rosso (V. La B. e G. P.) C’era una volta una bambina di nome Cappuccetto Rosso. Un giorno la mamma le ordinò di andare ad uccidere la nonna, perché la odiava. Allora si incamminò e incontrò il supereroe del bosco “Lupomen”! 41 L’animale sapeva il piano della bambina e cercò di fermarla. Ci fu un sanguinoso combattimento e ad un certo punto il lupo inciampò e finì infilzato contro un ramo appuntito. Allora Cappuccetto Rosso che aveva fame si pappò il lupo, però si sporcò il vestito e quindi dovette ritornare a casa per cambiarsi e si mise un vestito blu, dopodiché ripartì per il suo viaggio. Raggiunse la casa della nonna e vide uno spettacolo terrificante: il cacciatore ci stava provando con la povera nonnina. La bambina decise di entrare e non credette ai propri occhi, inciampò nella dentiera della nonna, e cadde a terra, ma il cacciatore, che non l’aveva riconosciuta, prese la falce e la tagliò a cubetti. Subito dopo arriva la mamma per verificare se la figlia avesse fatto un buon lavoro, ma trovò Cappuccetto a cubetti, per vendicarsi la mamma ammazzò la nonna, allora il cacciatore uccise la mamma perché gli aveva tolto la sua bella. Alla fine morirono tutti felici e contenti, perché anche il cacciatore preso dalla disperazione si impiccò ad un albero. Cappuccetto Rosso ( Y. S. ) Cappuccetto Rosso è una bambina molto bassa, come un banco. Un giorno la mamma dice : “Vai a casa della nonnina, non passare nel bosco” Cappuccetto ha portato un cestino di frutta tutto sporco, nel mezzo della strada ha incontrato un lupo che non ha coda e dice: “ Dove vai?” “Vado dalla nonna” e il lupo passa dal bosco, lui era più veloce di Cappuccetto, quando Cappuccetto è arrivata alla casa della nonnina ha visto la casa in disordine e la sua nonnina con occhi grandi e becco grande e ha chiesto, la nonna ha risposto “occhi grandi per guardarti meglio e becco grande per mangiarti” poi il cacciatore è arrivato, ma il lupo era saltato fuori dalla finestra, poi è arrivata la polizia e con la macchina ha investito il lupo e ha tirato fuori la nonnina. Capuccetto rosso ( A. G. e L. ) C’era una volta una bambina chiamata Cappuccetto Rosso che faceva i capricci per andare dalla nonna vecchia. Un giorno la mamma le chiese di andare dalla nonna a portare pane e vino. Andò nel bosco e incontrò la puzzola pazza e puzzolente di nome Alexandra. La puzzola le disse che sarebbe andata prima di lei dalla nonna. Allora si misero a correre fino alla casa della nonna, infatti arrivò prima la puzzola Alexandra di Cappuccetto Rosso. Quando Cappuccetto Rosso arrivò alla casa della nonna sentì un puzzo terribile, e si mise la maschera antigas, anche perché la nonna si era fatta la cacca nei mutandoni. Allora Cappuccetto Rosso in cucina e prese la vecchia motosega e tagliò la coda della puzzola, portò con fatica fuori casa e le cambiò i mutandoni e vissero felici e contenti. Cenerentola era una bella ragazza che viveva con la matrigna cattiva e le sorellastre perfide. Un giorno venne il consigliere del re e disse che al castello c’era un ballo col principe, allora lei corse nel bosco e chiese alla Fata Turchina un bel vestito del color del cielo e delle scarpette di cristallo. Lei andò al ballo di nascosto dalla matrigna e le sorellastre cattive. Ballò tutta la notte col principe, ma lui mise male il piede e le strappò il vestito facendo vedere i mutandoni di lana. La ragazza scappò via piangendo, ma per sbaglio le cadde una scarpetta nel tombino. Il principe per farsi perdonare la invitò a cena e le comprò di nuovo un vestito bellissimo e si sposarono vissero felici e contenti. Cappuccetto Rosso (S. G. e E. C.) C’era due volte una bambina di nome Cappuccetto Rouge, che viveva in una sottospecie di grotta ai margini di un bosco francese, con sua madre. Non dimentichiamo di descrivere la petit Cappuccetto 42 Rouge come una forma vivente tragicamente squilibrata e con un atteggiamento tipico maschile, anche se la sua bonette rouge la indicava come femmina. La madre, scozzese di origine, uscita recentemente da un manicomio ad alta sorveglianza, aveva un particolare modo di educare sua figlia. Un giorno la madre decise di spedire sua figlia n un bosco, sperando che riuscisse entro tre giorni a ricordare che sua nonna era una vecchia malata e scorbutica. Cappuccetto si avventurò nel bosco con in mano una cesta, che conteneva delle medicine per la diarrea, e del formaggio. Strada facendo, saltellando come un elefante squilibrato, non si accorse che un lupo in gonnella la stava seguendo. Dopo un po’ di tempo, il lupo si presentò a Cappuccetto Rouge, come un abitante del bosco, sospettosamente vegetariano, dicendole che si occupava della sicurezza delle strade, La petit Cappuccetto non fece caso a lui e continuò il suo cammino urlando a squarciagola dove si trovava la casa della nonna. Il lupo, dotato di capacità auditive particolari, sentì esattamente l’addresse della vecchia e decise improvvisamente di cambiare il suo menù, fatto di formaggio e patate. Il lupo fregò la cesta di Cappuccetto e si recò verso la maison della nonna, prendendo una scorciatoia. Arrivato davanti alla casa della nonna, il lupo bussò e la nonna lo fece entrare. L’animale non esitò ad inghiottire la vecchia, nel frattempo arrivò la bambina, strillando il nome della nonna; entrando il lupo la inghiottì senza esitare. Tuttavia il lupo, a causa della malattia della nonna, ebbe un attacco di gastrite e vomitò le due vittime. Il cacciatore in quel momento passò davanti alla casa e sentì una puzza orrenda: entrò e capì subito l’accaduto, uccise il lupo e portò in salvo le due vittime. Da quel momento la mamma di Cappuccetto Rouge capì che sua figlia era dotata di un grande coraggio e di un grande spirito di umorismo, e vissero per sempre felici e contente, continuando la loro vita di pazzi squilibrati. Cappuccetto Rosso (A. C. e D. H.) Cappuccetto Rosso era una bambina più larga che lunga, e voleva sempre andare dalla nonna, per rimpinzarsi di trote e di cioccolatini. Un giorno, mentre andava dalla nonna, in mezzo al bosco, il lupo le fece lo sgambetto, tanto che lei finì con la faccia nel fango. Subito dopo si rialzò e ringraziò il favore, tirando dietro al lupo una manciata di feci d scoiattolo. Da lì incominciò una battaglia composta per lo più da “armi” scorrette. Queste armi erano: bacche, che fecero diversi bernoccoli sulla testa del lupo, fango, funghi, castagne e pigne, che fecero un occhio nero a Cappuccetto. Poi tutto ad un tratto il lupo sparì, e così Cappuccetto Rosso, con un occhio nero e coperta di fango, decise di continuare il viaggio verso la casa della nonna. Arrivata dalla nonna, Cappuccetto vide il lupo che si stava nascondendo nell’armadio. La battaglia riprese e volarono sul soffitto nell’ordine: la gamba del tavolo, cioccolatini, l’anta dell’armadio e infine la nonna, che colpì in testa il cacciatore, appena entrato, perché credeva che ci fosse un pigiama party. Cappuccetto Rosso e il lupo, rimasti soli, iniziarono a mangiare cioccolatini a più non posso, finché poi non scoppiarono. Cappuccetto Rosso ( M. M. e D. R. ) C’era una volta una ragazzina di nome Cappuccetto Rosso. Un bel giorno a Cappuccetto venne in mente di andare dalla nonna; la mamma, per precauzione, le diede due ceste, una con dentro 43 dinamite, bombe nucleari, bazuca, mitra, f 14…..l’altra cesta conteneva del normale cibo per la nonna. Cappuccetto andò nel bosco con la Ferrari 360 Modena, ad un certo punto incontrò un bivio, uscì il lupo e le disse che doveva andare a destra. Cappuccetto scese dalla macchina e prese una cosa dal cestino e gliela mise alla gamba…Davanti alla casa della nonna c’era una macchina molto alta e lei decise di scendere dalla sua Ferrari, salire su quella e schiacciare il lupo. Tuttavia entrò nella casa e trovò già l’animale che l’aveva preceduta, allora la bambina che era furba, mise attorno al letto della nonna qualche bomba e poi scappò con la nonnina, sopra la Ferrari per la città. Arrivata a destinazione, fece saltare la casa, e vissero felici e contenti. Cappuccetto Rosso ( G., R. e Z.) C’era una volta una bambina di nome Cappuccetto rosso, soprannominata “Cappuccetto grassa”, perché mangiava come una balena. Questa bambina abitava con la mamma, che era tutto il contrario di sua figlia; magrissima come una spilla da baglia. Abitavano in una casa piena di vermi e di tarantole, con un leone da guardia. Cappuccetto aveva una nonna molto malata. La madre di Cappuccetto le ordinò di andare a portare del mangiare alla nonna e le prese tre fette di pizza con pepe e ananas, una marmellata piena di muffa e una bottiglia di Wiskhy. Partì, ma per arrivare dalla nonna, doveva attraversare il bosco, che era pieno di pericoli, soprattutto di lupi cannibali. Per i sentieri incontrò un lupo, un po’ strano, che le chiese dove stava andando. Egli aveva al posto di una coda da lupo, una da maialino, aveva solo due denti di tricheco, aveva una proboscide ed aveva anche sei occhi, uno diverso dall’altro. Lei, come un’imbranata, disse che stava andando dalla sua amata nonnina, si fa per dire. Il lupo la costrinse a prendere una strada più corta: quella a sinistra, e lui prese quella più lunga, che era a destra. Il lupo l’aveva ingannata! “Avevo proprio ragione, è un’imbranata nata, fa pure rima! Stai tranquilla Cappuccy, sto solo scherzando, però ti posso solo dire che hai sbagliato strada, quella che ti ha fatto prendere il lupaccio è quella più lunga, però mi dispiace, non posso dirti più niente, perché la storia è tua e la defi finire da sola”. Ritorniamo alla fiaba. Il lupo arrivò alla casa della nonna, aprì la porta, prese la nonna e la buttò per terra, uccidendola, perdendo uno dei suoi denti da tricheco e bucandosi uno dei suoi occhi; poi si travestì coi vestiti di lei. Il lupo mentre va al supermercato, dopo aver comprato un dvd e dei pop corns, ritornò a casa, si stese sul letto e guardò quello che aveva comprato. Dopo un’ora e 16 minuti esatti, arrivò Cappuccetto e insieme al lupo si mise a guardare il film, mangiando insieme la marmellata e la pizza che aveva comprato lei. Ad un certo punto Cappuccetto si accorse che la nonnina aveva qualcosa di strano e le chiese: “Cara nonnina, perché hai sei occhi?” E il lupo rispose: “ Per guardare te e il film contemporaneamente”. Cappuccetto incuriosita gli chiese ancora: “ Nonnina come mai ti sono cresciuti così tanto i denti?” E il lupo rispose: “Per afferrarti e masticarti meglio” Lei, urlando a squarciagola cercò di scappare, ma il lupo la prese e la ingoiò, facendola passare per le sue orecchie. Intanto per quella zona passò un uomo molto grasso, con una baguette fra le mani, egli sentì le urla di Cappuccetto, entrò nella casa e tirò una baghettata al lupo, che rintronato cadde per terra.e fece uscire dal suo orecchio sinistro Cappuccetto e dalla sua narice destra la nonna. Insieme per festeggiare divisero il corpo del lupo in tre parti, e brindando insieme con il Wiskhy lo mangiarono, e tutti insieme vissero felici e contenti. 44 ALLEGATO 3 Fiabe composte durante la verifica finale: Agli alunni era stata data la consegna di sviluppare una fiaba a partire da elementi dati; ai ragazzini era stato chiesto di svolgere una fiaba che comprendesse un nano come protagonista, un re come antagonista, un calice come mezzo magico e un cavallo come aiutante. Per le ragazzine l’esercizio era lo stesso, ma gli elementi iniziali cambiavano; infatti, come protagonista doveva figurare una regina, come antagonista una fata, come mezzo magico un rossetto e infine come aiutante una gatta. Il testo non doveva essere svolto in più di 35 righe e in meno di 25. Il topo piede e il chirurgo fata. (G. R.) C’era una volta una regina di nome Guendalina, che aveva la passione per le scarpe: ne aveva più di mille, di tutti i tipi e di tutti i colori, però c’era un problema: la regina, quando comprava le scarpe, non badava alla loro taglia, ma le comprava a caso e poi, quando arrivava a casa, le provava, ma nessuna di queste le andava, perché lei indossava il numero cinquantadue. Un giorno la regina decise di andare dal chirurgo estetico, perché era stufa di avere dei piedoni così grandi. Entrò in sala operatoria, dove l’aspettava un chirurgo. La regina non sapeva che quel chirurgo era una fata cattiva, che il più delle volte le sue operazioni erano letali per la povera gente. Il chirurgo fata addormentò la regina e incominciò ad operarla. Al suo risveglio, la regina si trovò al posto dei piedi due topi. La regina, molto spaventata, incominciò ad urlare come una pazza, ma ormai era troppo tardi, il chirurgo fata era scomparso! La regina incominciò ad urlare come una pazza e a correre per tutta la città, chiedere aiuto alla gente che piano piano scompariva, perché la regina con quei suoi due piedi da topo schiacciava e ammazzava le persone. Ad un certo punto, la regina vide spuntare una gatta da una via. Questa gatta era un po’ strana, perché collezionava rossetti di tutti i tipi e di tutti i colori, ma avevano due particolarità: ogni rossetto aveva un gusto diverso, come ad esempio d’aglio, di cavolfiore e persino di un calzino puzzolente, ed ognuno conteneva un veleno diverso. La gatta diede alla regina un rossetto al gusto di fontina e con dentro della morfina, che doveva mettersi, per poi attirare i topi, perché a loro piaceva molto il formaggio. La regina doveva far cadere il rossetto, i topi lo dovevano mangiare e se tutto procedeva nel modo corretto, i topi dovevano morire avvelenati. La regina fece quello che le aveva detto la gatta, ed andò tutto a gonfie vele, i topi morirono e i piedi della regina tornarono a una misura normale: non più taglia 52, ma taglia 38. La gatta si trasformò in un principe e il chirurgo fata morì, perché si cacciò un ferro chirurgico in un occhio. La regina e il principe si sposarono e vissero felici e contenti. Una regina liberata ( S. G.) C’era una volta una regina, che però era sempre triste, perché non poteva avere figli, perché la sorella cattiva che era una fata , le aveva fatto un incantesimo. Un giorno però vide sopra al suo davanzale una gatta, e questa gatta aveva un rossetto in bocca. 45 Questo rossetto era diverso da tutti gli altri: era fatto di un metallo così lucente, che alla luce del sole era accecante. La regina lo prese e lo aprì, per vedere di che colore era, ma appena l’aprì, uscì una luce accecante, così lei lo buttò subito a terra. Dopo che la regina si alzò, dal rossetto uscì una figura umana che le spiegò a che cosa serviva il rossetto e le disse che era magico. La regina sbalordita prese il rossetto e pensò subito: “Con questo rossetto potrò battere mia sorella e liberarmi del mio sortilegio”. Allora uscì dal castello e chiese alla gatta se le poteva dare una mano a trovare la casa della sorella; allora la gatta le passò davanti e incominciò a fiutare per terra e partì. Arrivarono davanti alla casa della fata malvagia e aprirono subito la porta. Trovarono la fata, che stava facendo una pozione magica, la regina tirò subito fuori dalla tasca il rossetto e lo aprì. Subito uscì una luce abbagliante, la fata cadde subito a terra accecata da questa luce, così la regina ne approfittò e la colpì. La fata morì sul colpo e l’incantesimo svanì. Finalmente trovò marito ed ebbero tanti figli e vissero sempre felici e contenti. Così si conclude la favola, anche se non è tanto divertente, diciamo che ce l’ho messa tutta. Uno strano calice (A.) Un nano voleva andarsene di casa, perché i suoi genitori lo volevano far entrare nell’esercito. Un giorno finalmente si decise e scappò di casa. La madre, che non voleva bene al suo piccolo, non si allarmò anzi disse: “Spero che lo mangino i leoni, così non darà più fastidio a nessuno”. Ma Ufo, così si chiamava il nanetto, non fu mangiato dai leoni, anche se di fastidi alla gente ne creò molti. Ufo, quando fu arrestato, aveva rubato 56 orologi e derubato più di settanta persone. Un giorno la sua carriera da malavitoso si concluse, perché fu arrestato. Poiché era un nemico del re fu anche messo in galera. Lì capì i suoi errori e tornò ad essere un bravo ragazzo. Un giorno un consigliere convinse il re a dare un’altra possibilità, anzi lo picchiò con la corona piena di gemme. Uno strano calice all’improvviso si animò e si trasformò in una bacchetta magica. Il cavallo corse a prendere la bacchetta e la portò a Ufo, gli spiegò come usarla e gli disse la formula magica per far diventare il re un rospo. Ufo usò la formula e trasformò il re, poi, aiutato dal cavallo, che conosceva bene il palazzo, uscì da esso. Fuori dal palazzo, Ufo fu acclamato da tutta la gente, perché aveva ucciso il re tiranno. Poi in seguito, si decise che il nano dovesse salire al trono. Fiaba (V.) C’era una volta un re che aveva un figlio. Il figlio voleva sposarsi con una ragazza bella. Egli era figlio di re e non gli piaceva nessuna ragazza del suo Paese. Il figlio del re decise di andare in una altro Paese, con il suo amico, dove poteva trovare una ragazza bella come voleva lui. Ma lui disse al suo amico di non rivelare a nessuno che lui era figlio di re. Presero un calice di vino e da mangiare, perché senza morivano di fame. In tempo si ricordarono che non avevano preso i cavalli. Si misero in viaggio e dopo trenta minuti trovarono un uomo che aveva un figlio nano, il re e il suo amico dissero: “ Avete due cavalle per favore?” “Noi non ne abbiamo, andatevene!” “Ma ve le pago!” “Vattene via!” Dopo un minuto viene il suo papà e disse: “Che cosa volete da me?” “Vogliamo solo due cavalli” 46 “E va bene prendete i cavalli e andatevene” Presero i cavalli e partirono , arrivarono in un paese e presero una casa in affitto; nello stesso palazzo abitava una bellissima ragazza, proprio come la voleva il principe. Dopo 23 giorni, incominciarono a parlarsi e il principe, nel giorno più importante della sua vita, le chiese di sposarla : “Vuoi sposarmi” le disse, “io sono venuto quaggiù per trovare una ragazza bella come te, perché io diventerò re di un altro Paese”. La ragazza acconsentì, dopo un paio di giorni di viaggio giunsero al castello si sposarono: mai nessuna sposa era stata così bella! Il nano e il calice da vino (S. P.) C’era una volta un re malvagio che catturava tutte le persone che calpestavano il suo territorio. Egli quando vedeva qualcuno calpestare il suo terreno, lo catturava, lo scuoiava vivo e lo dava in pasto ai cani feroci, e poi la carcassa la legava e la faceva marcire nelle carceri sotterranee. Un nano di nome Rey Mysterious un giorno passò nel terreno del re ed egli lo vide. Rey cominciò a scappare, sapendo che, se il re l’avesse catturato, l’avrebbe torturato e poi gettato nelle carceri. Il nano cominciò a correre sempre più veloce, quando ad un certo punto uscì da un angolo Triple H,il suo cavallo, Rey gli montò sopra e scappò. A sera i due si ritrovarono in un cimitero ed uscì da una bara Undertaker, che era un loro grande amico e così continuarono il loro viaggio insieme. I tre si ritrovarono al paese con il re che aspettava il nano, allora il cavallo si buttò addosso al re, ma involontariamente cadde e svenì. Rey intanto entrò nel castello e trovò il calice da vino, che incominciò ad alzarsi in volo e a lanciare fulmini, che rompevano qualsiasi cosa trovavano lungo il loro tragitto. Rey lo afferrò e il calice s illuminò, allora provò ad usarlo e ad un certo punto lanciò un fulmine su un lampadario: il calice aveva avverato proprio quello che Rey aveva pensato! Accortosi del potere miracoloso del calice, il nano pensò ad un fulmine che colpisse il re, e subito dal calice uscì un fulmine che andò dritto al re, che così morì carbonizzato, e i suoi sudditi si liberarono e distrussero il castello, vivendo per sempre felici. Il cavallo se la cavò con qualche rottura alla gamba. La regina e la magia del rossetto. (G.) C’era una volta una regina, che viveva in un bel castello, ma non aveva un marito. Allora un giorno andò da una fata, che viveva in una grotta, per chiederle dove ne avrebbe trovato uno. La fata, che nessuno lo sapeva, ma era cattiva, usava filtri magici per far innamorare le persone, e ne fece uno. Poi la fata cattiva aveva anche una gatta, perfida, che serviva per portare i filtri che la fata preparava alle persone. Solo che questa pozione serviva anche per annullare gli effetti di pozioni bevute prima. La gatta sentì che dalla boccetta veniva un buon profumino, allora decise di berne solo un sorso. La gatta, che in passato era buona, e che era diventata perfida per colpa di una pozione che le aveva fatto bere la fata, tornò gentile e buona. Si accorse subito della orrenda pozione che stava per portare alla regina, e allora entrò nel castello della regina e le spiegò che la fata voleva usare un modo sleale di far innamorare gli uomini. Allora la regina tirò fuori dal suo scrigno un rossetto magico, che poteva trasformare con un bacio le persone malvagie in farfalle variopinte. Poi la gatta si offrì di portare il rossetto alla fata. Appena quella lo vide, se lo spalmò sulle labbra e subito si trasformò in una farfallina celeste, che volò via. Nella grotta della fata c’era un uomo prigioniero, che finalmente venne liberato. La gatta lo condusse dalla regina, che se ne innamorò e se lo sposò. E vissero per sempre felici e contenti Un nano alla scoperta del passato (D.) 47 C’era una volta un nano venuto dal futuro, che si chiamava Aldo, ed era un grande viaggiatore. Era andato in tutte le parti del mondo, tranne nell’isola sperduta, dove le persone vivono ancora come nel Medioevo. Aldo provò ad andarci e passò tutto il deserto, poi prese una nave ed arrivò al polo Nord a piedi, e finalmente arrivò nell’isola sperduta. Lì trovò persone affamate, che lavoravano giorno e notte per colpa del re. Egli si arrabbiò, vedendo questa ingiustizia, e andò dal re a reclamare. Il re voleva punirlo, per la sua mancanza di rispetto nei confronti della massima carica, e il nano si accorse che voleva farlo mediante un calice da vino che pareva avere il potere di esaudire i desideri. Il nano tuttavia fu rilasciato fino all’indomani; durante la notte, passò tra le sbarre della prigione, dove era stato alloggiato, prese il calice e scappò via. Egli aveva sempre voluto essere alto, allora bevette un po’ di vino dal calice e espresse il suo desiderio: in un attimo fu alto. Poi se ne tornò nel suo paese e visse felice e contento. Il sogno diventa realtà (D.) C’era un re che dominava un grandissimo paese. E gli abitanti erano come schiavi: lavoravano giorno e notte; mentre il re beveva un calice di vino, gli abitanti pagavano le tasse e mangiavano una volta al giorno. Gli uomini facevano i lavori pesanti, le donne lavoravano nei campi e ai bambini veniva insegnato a rubare nei negozi e nei mercati; alle bambine veniva insegnato a cucinare per il re e per gli adulti. Un giorno arrivò un nano, che voleva diventare re, con lui c’era un grandissimo amico, che era un cavallo molto bravo e visto che il suo amico era piccolo di statura, il cavallo lo aiutava a salire. Nel paese trovò un anziano, che gli raccontò tutta la storia delle condizioni dei sudditi. Il nano e il suo cavallo decidono di liberare il paese. Prima di tutto si comprano spade e scudi. Una sera si liberano delle guardie, poi vanno a liberare tutti i prigionieri, infine giungono davanti al re, lo prendono e lo mettono in prigione. Gli abitanti decidono che il loro re sarebbe stato il nano. Il nano e suo migliore amico cavallo sono felicissimi, anche se non hanno una principessa. Da allora vivono felici. L’amore per i figli (E.) C’era una volta in un paese dell’Inghilterra Medievale,una regina bella giovane e generosa, ma oramai vedova da due anni e l’unica sua compagnia era la figlioletta di 10 anni, di nome Charlotte. La giovane regina era talmente amata, che non aveva quasi nessun nemico. Dico “quasi” perché la sorella della regina era una fata conosciuta nel regno come portatrice di dolore e disgrazia. La fata non aveva molto a cuore la regina e lo sapevano tutti da sempre che voleva uccidere la regina e la piccola Charlotte. Al trentesimo compleanno della regina, la fata si recò di nascosto nel castello e lanciò sulla scrivania della bambina un rossetto di colore rosa lucente. Durante i festeggiamenti la fata andò nella stanza della regina e le lasciò un messaggio sul muro, scritto con lo stesso colore del rossetto: “L’amore per tua figlia ti distruggerà.” Dopo se ne andò. Alla fine della serata e dopo che gli ospiti sene erano andati, Charlotte se ne andò nella sua stanza e trovò il rossetto, ma appena se lo mise sulle labbra, si trasformò in una splendida gatta. Intanto la regina nella sua stanza leggeva il messaggio e si disperava, andò subito nella stanza della principessina o meglio dire gatta (oramai). Trovò la gattina e disperandosi le chiese di Charlotte, la gatta disse che era lei stessa Charlotte e che il rossetto era incantato. Poi le fece vedere un antico libro di incantesimi, e disse alla regina che l’unico modo per farla ridiventare umana, era quello di mettersi il rossetto. Il problema era che se la 48 regina si fosse messa il rossetto, avrebbe spezzato l’incantesimo e avrebbe distrutta la persona che lo aveva creato, ma la sostanza del rossetto l’avrebbe uccisa. La era una prova che le sarebbe costata la vita. La regina prese il rossetto e se lo spalmò piangendo. Prese in braccio la gatta, che era ridiventata principessa e le disse: “cara, tu mi hai aiutata a distruggere la malvagità della fata, ma lei aveva ragione: l’amore per te mi ha uccisa”. E la regina morì. La vendetta della fata (V.) C’era una volta una regina che si chiamava Rita, lei era amata da tutti i suoi sudditi, perché era brava e buona con tutti. Tanto tempo fa, la regina fece rinchiudere nelle celle del castello una vecchia fata, che aveva commesso uno dei delitti più gravi: aveva tentato di uccidere la buona regina. Però arrivò un brutto giorno: il giorno ela scarcerazione della fata cattiva, lei giurò vendetta. Quando vennero a sapere della minaccia, tutto l’esercito del regno proteggeva la regina; erano tutti molto spaventati, perché sapevano che la vecchia fata era molto potente e tutti la temevano. Nel covo segreto la fata escogitò un terribile piano contro la regina; il piano consisteva in un incantesimo che faceva sparire il ricordo della regina, cioè faceva in modo che lei non fosse mai esistita, però aveva bisogno di uno strumento, che la regina usava spesso, cioè il suo rossetto. Riuscì a rubarglielo e preparò la pozione. Il gatto della regina, che le era molto fedele, aveva seguito la fata e scoprì il suo piano ed informò la regina, dato che era un gatto parlante, quindi la fermarono in tempo. Alla fine bruciarono sul rogo la vecchia fata, e la regina regnò di nuovo felice e contenta. Il regno delle fate (G.) C’era una volta un regno bellissimo, questo era chiamato “il regno delle fate”, ma per diventare una fata, si dovevano superare tante durissime prove. Come in tutti i regni che si rispettino, c’era una regina, di nome Marissa; ella era bellissima e intelligente e buona, in poche parole era perfetta e tutti le volevano bene, tranne una fata di nome Melinda, che la odiava, perché, siccome ogni anno bisognava fare dei test per passare ad un altro livello, a lei non era stato permesso farlo ed era rimasta indietro di un anno. Un giorno la regina decise di andare a fare una passeggiata per le vie del regno, ad un certo punto la carrozza si fermò, e davanti ad essa trovarono una piccola gattina, metà bianca e metà nera. Marissa si sentì molto in colpa, così la prese e la fece sua, per di più le diede pure un nome: Titì la Bianconera. Per tutto questo tempo, Melinda preparò vari e vari incantesimi, però non sapeva mai come farglieli avere, ma si ricordò del suo vizio per il rossetto, così ne preparò uno sia per farla addormentare sia per farla svegliare. Il giorno dopo gliel’aveva dato e lei se lo mise subito, ma l’incantesimo non fece in tempo ad agire, perché alla regina non piaceva tanto i colore, così lo diede a una sua serva , che dopo due ore si addormentò. La regina catturò Melinda, e le chiese di scegliere tra la pena di morte e diventare sua schiava, così lei scelse di morire, e disse che non sarebbe mai diventata la schiava della sua peggiore nemica. Così tutti vissero felici e contenti. Il nano e il re ammazza cavalli (D.) 49 C’era una volta in un castello un re, che tagliava le teste ai cavalli, per trovare il calice da vino, che aveva mangiato un cavallo. In una foresta intanto, un nano di nome Pipino, che viveva in una capanna, si ricordò di avviarsi verso il castello a Seckpinton. Lungo il cammino trovò un cavallo catturato dai soldati, allora li prese e li buttò in acqua, liberò il cavallo, salì sopra il cavallo e galoppò fino al castello. Nel castello vide un drago, che voleva proteggere il fossato del castello dai visitatori, egli prese una spada e colpì il drago. Ad un certo punto il cavallo sputò un calice tutto d’oro, con dei diamanti ai lati, dentro c’era del vino, tuttavia anche se il calice era rovesciato il contenuto rimaneva sempre intatto, non ne cadeva neanche una goccia! Egli capì che era una magia, allora entrò nel castello e affrontò il re e lo batté, ma con il potere del suo calice, riuscì a vincere e a distruggere il sovrano, e vissero felici e contenti Il nano e un calice da vino (M. M.) C’era una volta un nano molto povero, ma che aveva un sogno nel cassetto: entrare nelle wwe. Però c’erano dei problemi, perché un re li teneva schiavi e quindi non poteva andarci. Per vari giorni e varie settimane, egli provò a scappare, ma non ci riuscì, perché c’erano delle guardie davanti all’uscita con dei dobermann. Una sera uscì di nascosto, si portò dietro un calice da vino e lo riempì di vino e veleno, per addormentare le guardie. Egli facendo finta che ci fosse una festa in onore delle guardie, gli fece bere del vino e si addormentarono. Mentre stava uscendo, incontrò un cavaliere su un cavallo parlante di nome Triple H, che gli disse che se voleva poteva salire a cavallo, per andare in America ed entrare nelle wwe e diventare ricco e famoso. Arrivati in America, il nano voleva andare in un tendone, dove facevano le iscrizioni per le wwe. Incontrò dei wrestlers di nome Big show e Kane e gli chiesero se voleva far parte della loro squadra, per diventare ricchi. Dopo 7 anni diventò ricco e ritornò nel suo paese, dove ammazzò il re. Il nano e la sua famiglia vissero felici e contenti. La Regina con un brufolo (E.) C’era una volta una regina di nome Elisa. Ella era tanto bella, che quando andavano a trovarla si incantavano. Possedeva una gatta di nome Bianca. Un giorno andò in città, logicamente sulla sua carrozza, con la gatta. Tutto ad un tratto si incantò e vide un ragazzo di nome Fabrizio. Egli non era molto ricco, anche perché faceva il mercante, Elisa scese dalla carrozza e andò a vederlo da vicino. Chiacchierarono un po’, finché Fabrizio le chiese cosa faceva l’indomani sera. Ella rispose che non aveva nulla in programma, così Fabrizio le chiese se voleva andare a mangiare fuori a cena! La regina, emozionata, accettò. Così Fabrizio disse che sarebbe andato a prenderla l’indomani alle sette. Elisa, quando ritornò a casa, andò subito a guardarsi allo specchio e si mise a urlare, perché aveva un brufolo sul mento. Provò di tutto, ma niente! Il brufolo era ancora là. Ad un tratto apparse una fata, era la fata più cattiva e brutta che ci fosse. Chiese ad Elisa perché si disperava, la regina le raccontò tutto e le mostrò il brufolo. La fata, visto che era gelosa, le diede un rossetto. 50 Elisa se lo mise, me vennero ancora di più i brufoli, e non andò più a cena fuori. Il desiderio della regina (Michelle) C’era un castello lontano, dove viveva una regina bellissima e brava, che aveva una gatta che si chiamava Serafina. Un giorno la regina disse: “Vado a fare un viaggio per rilassarmi e stare tranquilla”, però lei non sapeva quello che le sarebbe successo in quel viaggio. Il giorno seguente si svegliò presto, si cambiò e portò con sé anche Serafina, perché non poteva lasciarla da sola in quel castello grande. Dopo tante ore, arrivarono in un posto brutto e non sapevano cosa fare, così presero una macchina. La regina andò in un posto dove c’era gente povera, e guardava e si metteva a pensare, però c’era anche della gente cattiva e c’erano dei ladri. Di notte, non sapendo dove andare, dopo tanto girare, vide un albergo, chiusa la macchina e anche Serafina, la regina scese a chiedere informazioni. In macchina Serafina vide avvicinarsi dei ladri e con le sue zampe e le sue unghie li picchia, così se ne andarono via subito; ritornò la regina e vide i ladri urlare tutti graffiati, ella si spaventò e per quella notte alloggiarono in quel posto. Il giorno seguente decisero di ritornare, però c’era un guaio: i ladri tornarono per vendicarsi e le rubarono tutto. La regina non sapeva cosa fare, stava piangendo e prese il rossetto che la mamma le aveva regalato e gli disse: “Aiutami a ritornare”. All’improvviso si ritrovarono gatta e regina nel loro castello. ALLEGATO 4 Dal brainstorming sui valori, si è stilata una classifica che è la seguente: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) La salute La famiglia Amore Amicizia Onestà Rispetto Ricchezza Realizzare i sogni 9) Piacere ALLEGATO 5 Nel cooperative learning è stato chiesto di dare per ogni gruppo almeno 4 definizioni di fiaba e di dire almeno 4 cose che è in grado di fare la fiaba: Cos’ è la fiaba? A cosa serve? 51 Gruppo I Un racconto surreale Aiuta a distinguere il bene dal male La fiaba è un messaggio ai lettori Stimolare l’immaginazione Un racconto ispirato a un fatto reale Far comprendere ai bambini le lettere È un racconto con una morale dell’alfabeto Divertire i bambini Gruppo II Un racconto fantastico Dà insegnamenti di vita Un passatempo per bambini Fa immaginare un mondo senza guerra Un mondo fantastico dove tutti i bambini e sofferenza vorrebbero vivere Arricchisce il nostro linguaggio La fiaba è una cosa che non potrà mai avvenire Serve a dirci che il dolore nella vita è nella realtà necessario Gruppo III Un insegnamento Fa capire che bisogna essere onesti e sinceri Una storia che fa divertire e rattristare Insegna a vivere Un racconto con una morale Insegna e vendicarsi È una storia fantastica Insegna a insistere per i propri obiettivi 52 Gruppo IV E’ un racconto fantastico Insegna ai bambini le conseguenze delle azioni Storia per bambini Isegna anche agli adulti Qualcosa di magico Insegna a leggere e a scrivere Qualcosa di divertente Fa imparare a sognare e a immaginare Gruppo V Un racconto di fantasia Insegna delle regole Una storia di un bambino magico Insegna a leggere ai più piccoli e a capire Un insegnamento per adulti e bambini Insegna la differenza tra bontà e cattiveria Un sogno Serve a sognare Gruppo VI Storia con personaggi surreali Fa imparare a leggere meglio Storia che finisce con “ e vissero felici…” Fa viaggiare con la mente Racconto morale Fa addormentare i bambini Racconto divertente Dà fantasia al cervello ALLEGATO 6 Griglia di valutazione Criteri e descrittori Punteggio Adeguatezza pragmatica • Aderenza alla consegna • Presenza degli elementi caratteristici Punteggio 3 2 1 del genere testuale • Efficacia complessiva del testo 53 Caratteristiche del contenuto • Completezza delle informazioni • Pertinenza delle informazioni • Significatività e originalità degli elementi e delle idee esposte Organizzazione del testo • Articolazione chiara e ordinata • Equilibrio fra le parti • Assenza di contraddizioni e ripetizioni • Continuità fra le parti Lessico • Proprietà lessicale • Ricchezza lessicale Morfologia e sintassi • Coesione testuale • Costruzione corretta delle frasi • Uso della punteggiatura • Modi e tempi verbali • Uso corretto dei pronomi Ortografia • Accenti,apostrofi • Doppie • Uso dell’h 54