SCUOLA INTERATENEO DI SPECIALIZZAZIONE PER LA FORMAZIONE DEGLI
INSEGNANTI DELLA SCUOLA SECONDARIA
SIS
RELAZIONE FINALE PER L’ESAME DI STATO
Scrivere e riscrivere fiabe
ANNO ACCADEMICO 2005/2006
Specializzando: Maria Laura Bertoldi
Classe di concorso: A043/A050
Libretto No : 267318
Scuola sede di tirocinio: Scuola Secondaria di Primo Grado “Pacinotti”
Docente accogliente: prof.ssa Rita Madeo
Supervisore di tirocinio: Carla Gatti
Parte prima: le teorie di riferimento
I.1 Modello teorico didattico-metodologico scelto come riferimento.
0
È importante saper riflettere sui modelli didattici di riferimento utilizzati durante un
intervento didattico, soprattutto in un periodo di cambiamento dell’ordine scolastico
delicato come quello che si sta verificando in questi anni, in quanto sia l’autonomia
scolastica sia il crescente afflusso di studenti stranieri rendono sempre più
complesso il compito dei docenti, che si sentono spesso senza delle solide basi
teoriche a cui appellarsi nell’incertezza. D’altra parte come diceva il sociologo
Schön
l’insegnante
si
trova
a
dover
“agire
nell’urgenza
e
a
decidere
nell’incertezza”1 e deve sviluppare una professionalità sia riflessiva sia intuitiva, in
modo da saper affrontare qualsiasi imprevisto.
Detto questo però, all’inizio di ogni progetto deve essere ben chiaro il modello
didattico di riferimento. Nel presente lavoro, l’intervento non si rifà ad unico
modello teorico, ma si accosta a diversi orientamenti, dal costruttivismo di Piaget a
Vygotskij ( zona di sviluppo prossimale), dall’attenzione per l’interazione in classe
alla riflessione metacognitiva.
Per la caratteristica composizione “multietnica” della classe in cui si è svolto
l’intervento
didattico
si
sono
tenuti
presenti
i
principi
che
favoriscono
l’interculturalità e il dialogo tra allievi provenienti da culture diverse; infatti, “un
insegnamento interculturale deve investire ciascuna disciplina riformulando i
contenuti e ridefinendo gli ambiti”2, per fare ciò si deve promuovere la conoscenza
e l’acquisizione dell’interazione (importanza del modello interazionista), cioè si deve
insegnare ai ragazzi la relazione insieme ai contenuti, e a sviluppare un “pensiero
plurale”, cioè una mentalità che riconosca le differenze culturali e che si arricchisca
dal reciproco confronto, tramite i momenti di riflessione promossi in classe.
L’assunto generale del presente progetto è senz’altro costruttivista, infatti prima di
incominciare le esercitazioni di scrittura in classe si sono tenute presenti le
conoscenze inerenti le fiabe, che i ragazzi padroneggiavano già dall’anno
precedente.
Infatti, tutta la classe possedeva già un concetto chiaro di cosa fosse la fiaba, ma
non conosceva le varie funzioni di Propp, né tantomeno si aspettava di poter
cambiare a proprio piacimento il flusso dei racconti.
Durante l’intervento didattico si è fatto largo uso dell’interazione tra pari e tra classe
e insegnante, questo ha permesso di incrementare le possibilità di sviluppo delle
1
2
Cfr. D. A. SCHÖN, The reflexive Practitioner, New York, Basi Books, 1983
Cfr. COSIMO LA NEVE, Elementi di didattica generale, Brescia, La Scuola, 1998, pp. 152-153
1
potenzialità di ciascun allievo, cioè di far sì che tramite la relazione tra pari e tra
alunno/insegnante potesse essere raggiunta la zona di sviluppo prossimale nella
prospettiva vygotskijana. Facendo capo a questo orientamento si è cercato di
creare situazioni autentiche in cui l’apprendimento è facilitato, il contesto sociale in
cui il soggetto in apprendimento si muove, cioè la classe nello specifico,
rappresenta un Community of learnes, basata sulla negoziazione e confronto di saperi
per la costruzione di una nuova conoscenza condivisa.3
Durante il corso dell’intervento didattico sono stati dedicati degli spazi alla riflessione in
modo da maturare la consapevolezza dell’apprendere a scrivere da parte degli alunni,
d’altra parte è oramai un principio acquisito da parte dei teorici della metacognizione che,
solo diventando consapevole dei propri processi cognitivi, il soggetto in apprendimento
potrà a lungo termine esercitare in modo controllato e autonomo i processi necessari
all’esecuzione del compito. Siccome tutto ciò richiede molto tempo, è fondamentale partire
dalla Scuola Secondaria di primo grado, al fine di educare lo studente in modo graduale a
stabilire autonomamente obiettivi, tempi e strategie di lavoro.
Durante il corso dell’intervento l’insegnante ha svolto una funzione fondamentale per
favorire l’apprendimento dall’esperienza4, ossia favorire la fusione tra i nuovi saperi
veicolati a scuola e i vissuti di ogni allievo, in modo tale da fondere “cultura intellettuale” ed
“emozionale”, perché solo in questo modo si può ottenere un apprendimento significativo.
In questo delicato processo dell’apprendere dall’esperienza, il docente ha la funzione
principe di contenere l’ansia e il disagio degli studenti, che si confrontano con dei nuovi
concetti o, nello specifico, con delle nuove modalità di scrittura, dato che il confronto e il
cimentarsi in nuovi compiti potrebbe far emergere vissuti di inadeguatezza e far prevalere
la “paura di sbagliare” negli allievi; se accadesse questo, le potenzialità non verrebbero
sviluppate e gli alunni sarebbero penalizzati. Al fine di prevenire l’ansia dell’apprendere, si
è costantemente monitorato e incoraggiato il lavoro svolto in classe, cercando di
rassicurare gli studenti e promuovendo i momenti di riflessione collettiva e cooperazione
fra allievi.
I.2 Ruolo e significato dei contenuti prescelti in relazione alla disciplina e alle sue
caratteristiche.
3
4
Cfr. MASON, La ricerca sulla costruzione di conoscenze a scuola, in ID, Valutare a scuola cit., pp. 67-84
G. BLANDINO, B. GRANIERI, Le risorse emotive nella scuola, Ra\ffaello Cortina Editore, Milano, 2002
2
Sviluppare le abilità di scrittura e svincolarsi il più possibile dai testi scritti, per rendersi
autonomi nell’esprimere i propri pensieri è sicuramente un obiettivo trasversale da
apprendere possibilmente già nella scuola secondaria di primo grado, e da perfezionarsi
poi in quella di secondo grado. I programmi ministeriali prestano molta attenzione a far
conseguire agli allievi “il possesso dinamico della lingua”5 , ovvero a sviluppare la capacità
di adattare a vari contesti un linguaggio specifico e appropriato. Non solo un abile uso
della lingua è anche utile per “organizzare la propria comprensione della realtà e per
comunicarla, esprimerla, interpretarla”.
Si è scelto dunque questo argomento di esercitazioni di scrittura su fiabe, oltre che per la
sua valenza in relazione all’insegnamento della lingua italiana, anche per educare gli
studenti a svincolarsi dai testi, dare sfogo, nei limiti della grammatica e della sintassi
corrette, alla creatività e alla fantasia, in una parola a tradurre i propri pensieri in parole.
In una classe multietnica come quella del contesto del presente intervento, l’esercitazione
all’ espressione scritta è ancora più importante e di più difficile realizzazione, in quanto
oltre alle normali difficoltà tecniche incontrate dagli studenti italiani, si registrano quelle
ancora più accentuate degli stranieri, che spesso provengono da culture totalmente
diverse dalla nostra (per esempio gli allievi cinesi).
L’utilità di questo intervento didattico è stata riconosciuta anche dalla docente accogliente,
che ribadiva l’estrema difficoltà riscontratasi nel cimentarsi nella lingua scritta da parte
della classe.
Dunque, certamente le lezioni hanno fornito nuovi concetti inerenti le fiabe agli studenti (le
funzioni di Propp), ma hanno costituito soprattutto momenti di esercitazioni di scrittura in
corretta lingua italiana e di sviluppo della capacità creativa ed espressiva; inoltre, per la
caratteristica multiculturale del contesto, per la particolare strutturazione del lavoro in
classe, basato per lo più sulla cooperazione tra pari, il presente intervento didattico è stata
occasione di peer mediation e momento di integrazione tra studenti italiani e stranieri,
che hanno condiviso le consegne ed elaborato un pensiero comune.
I.3 Scelta delle modalità dell’intervento e degli strumenti da privilegiare.
Il modulo è stato caratterizzato per lo più da esercitazioni di scrittura, i momenti di lezione
frontale, sono stati pressoché assenti, a parte l’introduzione al lavoro, dove si è presentato
5
Cfr. Programmi Ministeriali
3
alla classe l’obiettivo del ciclo di lezioni e le modalità operative che sarebbero state loro
richieste.
Lo strumento principe di cui si è fatto largo uso è il cooperative learning, sia per la
particolare composizione della classe, come già detto in precedenza, sia per l’argomento
che si prestava molto bene a una didattica cooperativa.
Il lavoro è però sempre stato monitorato in modo da creare il clima di interdipendenza
positiva, cioè quando ogni membro del gruppo si preoccupa e si sente responsabile non
solo del proprio lavoro, ma anche di quello degli altri, e di interazione faccia a faccia,
relativamente al compito per il quale tutti ascoltano, elaborano, discutono e cercano una
soluzione.
Il costante monitoraggio del lavoro ha fatto uso principalmente di due strumenti: la
riflessione parlata e il reciprocal teaching.
Il primo, di matrice rogersiana, consiste in un colloquio individuale volto a indagare le
operazioni che la mente del soggetto in apprendimento compie nella soluzione dei
problemi o nella formulazione delle ipotesi. Lo studente è invitato a dire tutto quello che
pensa e tutto quello che gli accade mentre esegue un compito, senza preoccuparsi di
quanto possa essere banale. L’insegnante non interrompe la verbalizzazione ad alta voce
dell’allievo per fornire soluzioni corrette, ma assume una funzione di “rispecchiamento”,
cioè riprende gli spunti offerti dal soggetto al momento opportuno e li rimette
sistematicamente in discussione, in modo che questo arrivi a individuare un procedimento
corretto riconoscendovi un elemento di soluzione.
Il secondo, nato per l’acquisizione delle competenze necessarie alla lettura, si basa sul
principio di trasferimento progressivo di responsabilità dall’insegnante allo studente. Nel
caso specifico, esso si ritiene particolarmente adeguato per monitorare la trasformazione
della fiaba data in un’altra di creazione dello studente, rispettando i vincoli della
correttezza formale.
In un momento di riflessione collettiva sul significato e sulla funzione della fiaba, è stato
utilizzato anche lo strumento del brainstorming, particolarmente adatto a far esprimere
tutta la classe, anche gli allievi più restii a parlare. Infatti, dal contenuto, dai modi e dai
toni degli interventi degli allievi è possibile capire meglio come è strutturata la classe al
suo interno, quali sono i suoi punti di forza o di debolezza, capire quali sono gli studenti
più ansiosi e cercare contenere la loro ansia.
4
I momenti di riflessione in cui si attua la lezione partecipata sono altresì utili per sviluppare
la metacognizione negli studenti, per renderli consapevoli dei processi cognitivi messi in
atto nella loro mente non appena viene richiesto loro un compito.
Per razionalizzare e chiarificare sia i momenti di riflessione sia quelli di lezione frontale e
partecipata, è stato fatto largo uso della lavagna e dei gessi colorati, che data la
giovanissima età degli studenti si sono rivelati insostituibili; durante il cooperative learning
l’aspetto grafico del lavoro è stato espletato molto bene grazie a cartelloni e pennarelli.
Parte seconda: Il progetto
II. 1 Contesto di indirizzo e di classe in cui si inserisce l’intervento didattico.
L’ Istituto Comprensivo “ A. Pacinotti ”, situato nel quartiere San Donato, è composto da
tre plessi : le scuole elementari “ C. Boncompagni ” e “ E. De Filippo e la scuola media “ A.
Pacinotti ”6
La caratteristica dell’ utenza di questo Istituto sembra essere l’ eterogeneità dal punto di
vista socio-economico, culturale ed etnico.
6
La scuola media “ Pacinotti ” dispone di 16 aule dislocate su tre piani, due palestre e di alcune aule e
laboratori dotate di attrezzature specifiche. Al secondo piano c’ è una sala audiovisiva dotata di televisore e
di videoregistratore. Al primo piano si trovano l’ aula insegnanti, due locali per il Dirigente e i suoi
Collaboratori, il centro stampa / ufficio ricevimento, il laboratorio d’ informatica ed un’ aula riservata agli
interventi di sostegno ai portatori di handicap. Al piano terreno si trova la palestra più grande.
Nell’ interrato ci sono una seconda palestra, i laboratori di musica, educazione artistica e scienze ed un’ altra
sala di proiezione.
Nel corrente anno scolastico la scuola è oggetto di interventi di ristrutturazione e di messa in sicurezza.
5
Questo perché nella scuola sono di fatto presenti alunni di provenienza culturale e
sociale assai diversa. Infatti, accanto ad alunni che provengono da famiglie torinesi agiate,
ve ne sono altri di condizione economica più modesta, addirittura, in misura minore, alcuni
hanno alle spalle una condizione famigliare disastrosa con gravi problemi sociali. Inoltre in
questi ultimi anni, come in tutte le altre scuole torinesi, è cresciuta la presenza degli allievi
stranieri, anch’ essi di provenienza eterogenea ( molti cinesi, albanesi e rumeni ). All’
interno di questo contesto, i ragazzini prendono visione della società variegata e
multirazziale in cui vivono.
Riguardo le classi prime di tutte le sezioni, è attivato il progetto del Bilinguismo.
Per tutte le classi sono previste attività di ampliamento dei curricoli mediante lezioni di
informatica, seconda lingua straniera, recupero e potenziamento. Sono previste attività
opzionali di ampliamento linguistico, di latino e laboratori di educazione ambientale,
musicali, motorie, multimediali, tecnico-operative, espressive.
Nella scuola media è in atto un’ iniziativa sperimentale che implica maggiore flessibilità e
adesione al contesto, con diversificazione dei percorsi in rapporto all’ esigenza dell’
utenza. Essa in fatti è molto eterogenea, come ho scritto in precedenza, di conseguenza
le aspettative delle famiglie sono diverse in rapporto alle proprie condizioni sociali e
culturali ; le famiglie straniere chiedono attività che promuovano l’ inserimento dei propri
figli nella società, per contro le famiglie italiane mostrano maggiore attenzione per la
didattica delle lingue straniere e l’ uso del computer.
La classe in cui ho portato a termine il mio intervento didattico è una II media (la II C), la
stessa classe in cui avevo svolto il tirocinio osservativo un anno fa.
Essa si compone di 21 alunni, e rispecchia effettivamente la caratteristica di questo
istituto: la multiculturalità.
Infatti sono presenti ben 10 studenti stranieri, provenienti da diversi paesi: Perù, Ecuador,
Cina, Romania e Albania.
La composizione del gruppo classe, rispetto all’anno scorso appare piuttosto cambiata, in
quanto si sono aggiunti 4 alunni, dei quali un ragazzino e una ragazzina rumeni, una
ripetente e un ragazzino che non si presenta mai a scuola, e in più una ragazzina
portatrice di handicap grave, che però è sempre seguita da un’insegnante di sostegno.
Inoltre, sono stati bocciati due allievi dall’anno precedente.
Essendo una classe molto eterogenea è stato interessante svolgere l’intervento didattico,
poiché ho potuto confrontarmi con vari modi e stili di apprendimento diversi, inoltre mi
6
sono resa conto di quanto sia importante calibrare l’azione didattica su un gruppo di
studenti molto vario, e soprattutto di quanto sia difficile comprendere quale sia il metodo
più adatto alla situazione.
La II C appartiene all’indirizzo del bilinguismo e svolge ogni giorno 6 ore di lezione,
dalle ore 8 alle ore 13 e 30. Inoltre, per un’ora a settimana, nelle ore di italiano è stato
intrapreso il laboratorio teatrale, che durerà per tutto il corso dell’anno scolastico.
Per quanto riguarda il livello del rendimento scolastico generale, si può dire che si tratta
di una classe di livello medio: quasi tutti gli stranieri presentano gravi difficoltà nella lingua
italiana, soprattutto i cinesi, eccezion fatta per una ragazzina rumena e un ragazzino
ecuadoreño. Anche tra gli allievi italiani permangono molte difficoltà di lingua, soprattutto
nello scritto.
Dal punto di vista disciplinare, è sicuramente una classe vivace, ricca di entusiasmo per
le iniziative didattiche nuove che vengono proposte, inoltre mi è sembrato che
l’affiatamento tra compagni sia abbastanza buono, nonostante le numerose diversità
culturali che intercorrono fra di essi.
L’esperienza di tirocinio è stata accolta molto positivamente, i ragazzini mi conoscevano
già dal tirocinio osservativo e, quando ho detto loro che quest’anno sarei stata io a fare
lezione, mi sono sembrati veramente entusiasti. Infatti, mi hanno subito domandato quale
sarebbe stato l’oggetto delle mie lezioni e per quanto tempo mi sarei fermata con loro.
Certamente una classe di questo tipo, così eterogenea per composizione, ha bisogno
continuamente di iniziative didattiche innovative e di stimoli nuovi, in modo che i metodi
appaiono insoliti per tutti, italiani e non, e i modelli didattici possano risultare anch’essi dei
veicoli di integrazione.
II.
2
Scelta
dei
contenuti
in
relazione
alla
programmazione
progettata
dall’insegnante titolare e ai prerequisiti degli studenti ai quali si rivolge.
L’idea di proporre un laboratorio di riscrittura come argomento del mio terzo modulo di
tirocinio attivo è scaturita dall’interesse che aveva mosso in me un tirocinio indiretto svolto
il mio I anno di SIS, che si intitolava Scrivere è riscrivere. In questa occasione a noi
specializzandi era stato proposto di cimentarci in vari tipi di riscrittura di testi,
dimostrandoci come la scrittura possa avere degli aspetti ludici fondamentali per abituare
gli allievi a scrivere e a sentire la scrittura come espressione del proprio io e non solo
come qualcosa di formale legato ad aspetti scolastici.
7
Conoscevo già abbastanza bene la classe, in quanto avevo già svolto un modulo di
tirocinio attivo sulla linguistica. Ero così riuscita a rendermi conto delle varie capacità degli
allievi, sia italiani sia stranieri, a farmi un’idea di cosa potevo chiedere agli studenti in base
al loro livello; inoltre sapevo bene di poter contare sul loro appoggio per le mie iniziative
didattiche, dato che avevo già fatto esperienza del loro entusiasmo e della loro
disponibilità ad apprendere.
Il modulo in questione, avente come oggetto la scrittura e riscrittura di fiabe,
didatticamente era collegabile al laboratorio di ascolto di fiabe che la docente accogliente
aveva intrapreso e portato a termine l’anno scolastico precedente. Infatti, quando ho
presentato agli studenti l’argomento del nuovo modulo che avrei trattato, ho letto sui loro
visi qualche perplessità, che, come pensavo, era dovuta al fatto che i ragazzi si
aspettavano di ripetere a grandi linee il lavoro dell’anno precedente; tuttavia li ho subito
rassicurati, dicendo che avrebbero imparato a vedere le fiabe sotto un altro aspetto, quale
la loro struttura, i loro luoghi comuni e le loro funzioni, ma soprattutto avrebbero capito che
le fiabe si possono cambiare e riscrivere diversamente. Prima di iniziare il mio ciclo di
lezioni ho presentato alla classe il mio piano di lavoro lezione per lezione, che cosa
avrebbero approfondito e quali operazioni sarebbero poi stati in grado di fare al termine
del mio ciclo di lezioni. Inoltre ho anticipato alla classe che sarebbero stati valutati tramite
verifica scritta, e che il voto della valutazione sarebbe stato poi inserito sul registro.
La classe, fin dall’inizio, è stata molto rispettosa nei miei riguardi, manteneva un
comportamento corretto, nonostante ci fossero diversi alunni piuttosto vivaci, tuttavia il
rapporto instauratosi fin dall’inizio è stato di collaborazione e interesse.
Anche la docente accogliente mi è sembrata molto contenta dell’argomento del mio II
modulo di tirocinio, dato che, a suo parere, altro non era che un laboratorio di scrittura.
Conoscendo la difficoltà nello scritto degli studenti della classe in questione, ha ritenuto
fondamentale questo intervento didattico, sia perché presentava alla classe le fiabe in una
maniera diversa da quella a cui era abituata, sia perché offriva un’importante occasione di
esercitazione di scrittura; inoltre ai ragazzi sarebbe stato utile avere una valutazione di un
docente diverso dal proprio in merito ai loro lavori scritti, dato che ultimamente i giudizi
relativi ai loro temi in classe erano piuttosto deludenti, e destavano le perplessità dei
genitori, che come al solito erano propensi a prendersela con la docente, accusandola di
troppe pretese e severità.
Quindi io stessa ero già pronta a non crearmi troppe aspettative e a essere il più obiettiva
possibile nel valutare i lavori.
8
II.3 Descrizione sintetica del progetto dell’intervento didattico7
La progettazione dell’intervento didattico è stata preceduta da alcuni incontri con la
docente accogliente, durante i quali è stato possibile concordare il lavoro didattico svolto
durante le 12 ore di tirocinio attivo. L’osservazione svolta l’anno precedente durante il
tirocinio osservativo e i colloqui con l’insegnante titolare hanno permesso di valutare con
maggior consapevolezza i bisogni formativi degli studenti e le strategie più utili da
impiegare.
Il progetto scaturitone è finalizzato all’acquisizione di una maggiore padronanza della
lingua scritta attraverso la presa di coscienza da parte degli allievi, che essa è espressione
della propria soggettività e libera creazione, anche se inevitabilmente soggetta alle regole
morfosinttattiche.
Per quanto riguarda i prerequisiti necessari, non ne ho individuati di molto specifici,
comunque il progetto comporta la conoscenza della forma narrativa della fiaba, e un’
abilità alla scrittura sufficiente per elaborare dei semplici testi, dunque la conoscenza delle
fondamentali regole ortografiche e morfosintattiche.
Ho presentato alla classe il mio progetto, descrivendo che cosa sarebbe stato chiesto
loro, ma anche che cosa avrebbero imparato dal mio intervento didattico.
Fin dalla prima lezione ho fornito uno strumento atto a scomporre e ricomporre le fiabe,
in modo che fosse chiara la struttura su cui tutte le fiabe europee si fondano;
nello
specifico si trattava della classificazione delle funzioni di Propp, che i ragazzi non
conoscevano ancora, nonostante avessero affrontato l’anno precedente un laboratorio di
ascolto di fiabe.
Il progetto prevedeva poi la trasformazione di varie fiabe, scelte proprio da quelle che i
ragazzi conoscevano già dalla classe I, per far loro comprendere come la propria
immaginazione abbinata allo strumento della scrittura potesse cambiare la trama dei
racconti. Le funzioni di Propp dovevano servire di aiuto alla classe per poter scomporre più
facilmente le fiabe e aggiungere e togliere elementi a proprio piacimento.
Durante le lezioni era stato previsto l’utilizzo di strategie quali il brain storming e il
gallery tour (un tipo di lavoro di gruppo), inoltre per alcune esercitazioni di scrittura la
modalità prevista era quella del think pair .
7
Si allega in appendice la stesura completa del progetto e lo schema di lavoro (pp. 28-34)
9
Queste nuove strategie avevano il compito, secondo il progetto, di stimolare la riflessione
dei ragazzi sulle fiabe in quanto genere letterario e sui messaggi scaturiti dai propri lavori.
Infatti, la conoscenza del genere della fiaba data come prerequisito, comportava il fatto
che i ragazzini possedessero la nozione di morale del racconto, e dunque fossero
consapevoli che anche i loro testi dovessero comunicare un insegnamento, un loro
pensiero o una loro credenza.
Il progetto si può enucleare sinteticamente in tre momenti:
1) descrizione e presentazione dell’intervento didattico e del suo scopo alla classe,
spiegazione dello strumento di analisi costituito dalle funzioni di Propp.
2) Somministrazione ai ragazzi di fiabe da trasformare secondo diverse modalità
indicate dall’insegnante caso per caso, ogni lavoro scritto ha effettivo valore di
verifica formativa in itinere.
3) Riflessione condotta attraverso gli strumenti del brainstorming e del gallery tour.
4) Costruzione di una fiaba finale, mediante pochi essenziali elementi indicati
dall’insegnante, e avente valore di verifica sommativa
Per quanto riguarda la valutazione della verifica finale, il progetto aveva previsto una
griglia di valutazione della fiaba8, prodotta su misura per questa specifica classe seconda
in accordo con la docente accogliente. Gli aspetti tenuti in conto per la valutazione e ai
quali veniva attribuito un punteggio sono stati: lessico, sintassi, ortografia, rielaborazione
degli elementi narrativi dati, capacità creativa. I giudizi assegnati sono i seguenti in scala
descrescente: ottimo, distinto, buono, sufficiente, insufficiente.
8
Cfr. in allegato
10
Parte terza: Analisi del processo
III. 1 Lo svolgimento dell’intervento didattico e le eventuali modifiche apportate e le
loro motivazioni
Il progetto didattico ha preso l’avvio dalla presentazione alla classe dell’argomento del
modulo; come accennato in precedenza, gli studenti sembravano essere perplessi all’idea
di affrontare l’argomento “fiaba”, in quanto pensavano già di sapere tutto su quel tema,
dato il laboratorio di ascolto di fiabe svolto l’anno prima.
Tuttavia ho intrapreso la mia prima lezione parlando di Propp e delle funzioni da lui
individuate e necessarie all’analisi di qualsiasi fiaba. Quindi, ho chiesto a uno dei
ragazzini, che sembravano più “esperti” sull’argomento, di elencare le funzioni più
importanti. Chiaramente, il laboratorio d’ascolto non aveva previsto un’analisi così
approfondita, perciò anche questo allievo, che si riteneva preparatissimo in merito, è
rimasto quasi a bocca aperta.
Credo che il mio intervento, in questa situazione, sia stato piuttosto forte, altrettanto
ritengo che i ragazzini debbano essere consapevoli di dover imparare ancora molte cose;
inoltre la famigliarità che avevo acquistato con l’intera classe, mi consentiva di riprendere i
ragazzini in un certo modo, senza che si sentissero offesi o maltrattati; d’altro canto questa
confidenza faceva sì che a volte gli studenti si prendessero un po’ troppa “libertà”, nel
senso positivo del termine, e che quindi fosse necessario ridimensionare il loro
comportamento.
Dopo questo piccolo contrattempo, sono passata alla descrizione delle funzioni principali
di Propp: antagonista, protagonista, mezzo magico, aiutante, mandante, donatore, perdita,
rottura dell’equilibrio iniziale, partenza, superamento della prova, peripezia, ricomposizione
dell’equilibrio.
Le funzioni sono state elencate alla lavagna e i ragazzini sono stati pregati di riportare il
tutto sul loro quaderno; poi per verificare se alcune funzioni erano già note alla classe, ho
posto delle domande, alle quali gli studenti sono riusciti a rispondere almeno in parte. Ho
nuovamente constatato la disponibilità ad apprendere e la interattività di questo gruppo
classe, sinceramente non mi aspettavo una partecipazione così accentuata alla lezione.
Ho ribadito inoltre la finalità delle fiabe, in quanto portatrici di valori e verità, veicolo di
insegnamento per bambini.
11
Alla parte teorica della prima lezione è seguita un’esercitazione svolta a coppie, in
particolare la consegna dell’esercizio prevedeva un’analisi di una fiaba (il Piccolo Tuc, di
Christian Andersen) in base alle funzioni appena descritte.
Ho pensato che la modalità del lavoro a coppie, fosse la più indicata per svolgere
questa tipologia di esercizio, in quanto i ragazzi non avevano mai avuto un approccio di
questo tipo con le fiabe, dato che era sempre stato richiesto loro o di riassumerle o di
ascoltarle semplicemente, al massimo di cercare di rappresentarle con un disegno.
Quindi la modalità del “Think, pair, share” mi è sembrata la più agevole per loro, inoltre al
termine del lavoro a coppie si è potuto discutere insieme sui risultati dell’analisi, scoprendo
che ci possono essere varie interpretazioni di una fiaba, non soltanto una è quella esatta.
La lezione successiva, ho proposto alla classe un primo esercizio di esercitazione di
scrittura; tuttavia prima di assegnare l’esercizio, ho cercato di veicolare l’idea della
scrittura in quanto espressione del proprio io; spiegando come fin dall’antichità imparare a
scrivere, significava esercizio e gioco allo stesso tempo, ho proposto loro alcuni esempi di
chria dei maestri di scrittura greci, in termini semplici e brevi ho riportato la teoria dei
maestri retori latini (Cicerone, Quintiliano); tramite una brevissima panoramica, ho
elencato gli scrittori italiani che nel corso dell’800 e del ‘900 hanno inventato un nuovo stile
di scrittura, e ho ribadito a conclusione, che nessuno pone mai un fine ad imparare a
scrivere, che il nostro stile cambia in base alle nostre esperienze personali e che la
scrittura non deve solo essere pensata come mezzo di studio, ma anche come mezzo di
indagine del proprio io e soprattutto come un piacere. Esplicati questi concetti, nella
maniera più agevole possibile a mio avviso per degli studenti di seconda media, tuttavia,
mi rendevo conto quanto fossero difficili da comprendere, d’altro canto ritengo che il
piacere per la scrittura si debba coltivare fin da giovanissimi. Detto questo, ho proposto
loro di cimentarsi in una continuazione di un racconto già dato, in particolare l’esercizio si
è svolto nella seguente maniera: ho fornito agli studenti una fiaba per ciascuna coppia, ho
spiegato loro che dopo aver letto qualche riga del testo avrei dato lo “stop”, dopo il quale i
libri dovevano essere chiusi, e ciò che si doveva aprire era la loro immaginazione.
Stranamente, ho riscontrato in quasi tutti gli studenti una forte difficoltà a concentrarsi, e
mi è sembrato piuttosto difficile per loro svincolarsi dal testo e far affidamento sulla loro
fantasia. A parte le difficoltà ortografiche e sintattiche dello scritto, penso che la difficoltà
maggiore per la maggioranza di loro sia stata la mancanza di abitudine all’immaginazione.
Certamente questa è solo una mia impressione, ma i ragazzini erano quasi tutti presi dal
panico del foglio bianco, mi dicevano: “Professoressa, non mi viene in mente niente.., mi
12
aiuti lei..” Le mie aspettative erano davvero differenti, forse ho pensato alla mia prima
adolescenza, quando un lavoro del genere avrebbe divertito tutti i componenti della mia
seconda media di allora. Tuttavia, credo sia impossibile non possedere delle aspettative
nei riguardi dei propri allievi, anche se spesso questo comporta grosse delusioni.
Le fiabe9 scaturite da questo lavoro sono state da me corrette e riportate ai ragazzi con
un giudizio avente valore di verifica formativa.
Sono stata molto stupita dai contenuti dei racconti; intanto molti ragazzini hanno riportato
il tema della fiaba da un piano prettamente fantastico ad uno reale, molti hanno riprodotto
modelli della nostra società: i desideri e le aspirazioni più comuni, vari delitti degni di un
film poliziesco, elementi chiaramente tratti dalla TV e dal mondo dello spettacolo.
Purtroppo, mi rincresce di constatare, che le fiabe meno ricche di fantasia sono risultate
essere proprio quelle degli allievi italiani, mentre l’originalità è stata riscontrata
maggiormente nei racconti di stranieri, in particolare di tre ragazze rumene e un di
ragazzino albanese.
Questi dati mi hanno fatto riflettere molto, così ho pensato di introdurre una lezione
inerente le morali delle fiabe tradizionali, che inizialmente non avevo previsto nel mio
progetto didattico.
Dopo aver fatto notare ai ragazzi le mie perplessità riguardanti i loro racconti, ho chiesto
loro se pensavano che questi fossero portatori di qualche insegnamento o di una morale o
di una scala di valori ben delineata.
Gli studenti in questa occasione tacevano, penso si fossero resi conto di quello che
avevano scritto e che i giudizi negativi che avevo loro sottoposto fossero meritati.
Così ho pensato che per sollevare meglio la questione era necessario proporre alla
classe un brainstorming sui valori che di solito ci si aspetta di trovare nelle fiabe.
Ho scritto alla lavagna tutto ciò che scaturiva dai ragazzi, dopodiché insieme si è cercato
di stilare una classifica10 dal valore più importante al meno importante, quindi ho incaricato
una ragazza, che pare fosse la più brava in ed. artistica, di riportare su cartellone a
carattere cubitale quello che era emerso dalla nostra riflessione.
In seguito ho proposto al gruppo classe un cooperative learning, il cosiddetto Gallery tour.
La classe è stata divisa a gruppi di tre persone, cercando il più possibile di mescolare gli
allievi stranieri con quelli italiani, inoltre ho tenuto conto delle competenze linguistiche di
ciascun allievo, per formare dei gruppi quasi omogenei per capacità e competenze.
9
Cfr. allegato 1, ho riportato le fiabe corrette dagli errori sintattici e orografici
Cfr. allegato 4
10
13
Il lavoro consisteva nel riflettere sul significato e sulla funzione della parola fiaba, a ogni
gruppo era richiesto di formulare almeno 4 definizioni di “fiaba” e di trovare almeno 4
funzioni. Dopo averne discusso, i risultati11 dovevano essere riportati su un dei cartelloni
(uno per gruppo), i cartelloni a loro volta dovevano essere appesi alle pareti dell’aula e a
questo punto, i gruppi di lavoro ruotavano per visitare e discutere ciascuna esposizione.
Era possibile prendere appunti dal cartellone del gruppo vicino, oppure scrivere delle
osservazioni aggiuntive sui cartelloni degli altri gruppi.
Al termine si è discusso il feedback, che gli studenti hanno ricevuto dagli altri gruppi, le
differenze e i punti in comune evidenziati.
Per portare a termine questo lavoro ho impiegato ben due ore di tempo, ma lo ritenevo
troppo importante per le esercitazioni di scrittura di fiabe che avrei fatto dopo, e soprattutto
per la verifica sommativa.
Il lavoro proposto successivamente era nuovamente strutturato a gruppi, gli stessi del
gallery tour, la consegna era quella di scrivere la fiaba di Cenerentola o di Cappuccetto
Rosso in tono ironico. Tuttavia prima di iniziare, ho dedicato un bel po’ di tempo a spiegare
che cosa intendevo per “ironico”; ho proposto esempi e ho cercato di farne proporre
qualcuno agli allievi. Tuttavia sembrava che la mia richiesta non fosse per niente chiara
agli alunni; allora mi è venuta in soccorso una ragazzina, molto esuberante e spiritosa
caratterialmente, la quale molto semplicemente rivolgendosi ai compagni ha detto: “ Ma sì,
ma non capite? La professoressa vuole che la facciamo ridere, senza esagerare!”. Devo
dire che questo intervento è stato un chiaro esempio di peer mediation, molto efficace per
l’insegnante quando si trova in un groviglio di dubbi, che solo la mente fresca e semplice
di una ragazzina di 12 anni può risolvere!
Ho constatato che questa esercitazione ha dato i frutti sperati; infatti, le fiabe prodotte12
erano tutte più o meno buffe, magari qualcuna più tendente al grottesco che all’ironico. I
giudizi, sempre aventi valore di verifica formativa, sono stati decisamente migliori della
precedente esercitazione, anche se i loro lavori non erano certo capolavori, senza dubbio,
il concetto di scrittura come libertà espressiva era stato colto maggiormente, perciò ho
ritenuto doveroso premiarli per lo sforzo dimostratomi cercando di essere “clemente” coi
giudizi.
I ragazzini si sono davvero sbizzarriti in questa tipologia di racconto, dimenticando di
essere a scuola, hanno liberato e fatto galoppare la loro fantasia; questo lavoro ha dato
loro occasione di esprimersi nel vero senso del termine, tenendo presente ciò che avevo
11
12
Cfr. allegato 5
Cfr. allegato 3, ho riportato le fiabe corrette dagli errori ortografici e sintattici.
14
detto le lezioni precedenti sulla scrittura e su come è possibile fare di essa un mezzo di
espressione personale potentissimo e un mezzo attraverso il quale ci si sente liberi.
L’ultima esercitazione di scrittura, che per altro doveva costituire la verifica sommativa,
consisteva nel costruire una fiaba a partire da precisi vincoli. Ho deciso di proporre delle
consegne diverse per gli studenti e le studentesse. Infatti, il tempo e la lunghezza
dell’elaborato erano uguali per tutti, ma le fondamentali funzioni di Propp proposte erano
diverse: per i maschi il protagonista doveva essere un nano, l’antagonista un re, l’aiutante
una cavallo e il mezzo magico un calice da vino; per le femmine la protagonista doveva
essere una regina, l’antagonista un fata, l’aiutante una gatta, il mezzo magico un rossetto.
La ragione di differenziare le consegne in base al sesso degli studenti mi è sembrata
utile, in quanto volevo rendere più divertente il lavoro alla classe, a mio avviso all’età di
dodici anni c’è una specie di frattura tra ragazzini e ragazzine, oltre che fisica anche
psicologica. Ciò che diverte i ragazzini di dodici anni, è difficile che risulti divertente anche
per le ragazzine. Ho pensato che, proponendo rispettivamente antagonisti e protagonisti
maschili e femminili, ci sarebbe stata una sorta di identificazione con i personaggi della
fiaba. Probabilmente se la classe in questione non fosse stata una seconda media, ma
una seconda superiore, avrei proposto l’esercizio al contrario, per vedere come le ragazze
pensano il mondo maschile, e i ragazzi quello femminile;
tuttavia, questo tipo di
esercizio mi sembrava prematuro, perché troppo complesso.
Dopo aver corretto i testi prodotti e assegnatigli i giudizi, ho consegnato i lavori alla
classe; nel complesso posso affermare che i ragazzini hanno colto bene la consegna, e
pare
che
una
maggioranza
di
loro
abbia
tenuto
presente
le
considerazioni
precedentemente fatte sulla scrittura.
Ho ritenuto in ultima analisi, proporre un brain storming alla classe come riflessione finale
su quanto appreso. Prima, però, ho fatto notare ai ragazzi come le fiabe da loro prodotte,
sebbene partissero tutte da medesimi vincoli, siano risultate tutte molto diverse tra loro;
appurato questo fatto, sono scaturite una serie di riflessioni riguardanti il valore di ogni
singola idea personale, dell’originalità di ognuno, dell’importanza del proprio modo di
scrivere come “impronta individuale” unica e irripetibile, anche se a volte i lavori, seppur
ricchi di fantasia, dimostravano ancora molte incertezze sul piano sintattico e
grammaticale in genere.
Ho proceduto quindi con la tecnica del brainstorming: alla lavagna ho scritto grande in
stampatello nella parte centrale il termine “scrittura”, ho chiesto ai ragazzini di dire tutto
quello che a loro veniva in mente, alla luce delle considerazioni appena concluse.
15
Devo ammettere che quest’ultima lezione è stata per me una vera soddisfazione, la
prima parola che è emersa è stata “libertà”, poi ne sono seguite tante altre, come ad
esempio “divertimento”, “gioco”, “passione”, “finzione”, “immaginazione”, “conoscenza di
sé”, “comunicazione” ect.
Dopo il brain storming ho cercato insieme alla classe di raggruppare i termini scaturiti
dalle loro opinioni in gruppi semantici, facendo uso di colori diversi, e abbiamo così
costruito insieme una mappa concettuale sulla scrittura.
In seguito, la mappa è stata riportata su due cartelloni (dato la grandezza), e affissa alle
pareti dell’aula. Inoltre, ogni studente l’ha copiata sul proprio quaderno; penso che
quest’ultima attività sia stata di grande importanza metacognitiva per la classe, un
momento di grande crescita personale per ciascuno studente, e un’occasione di crescita
professionale per me stessa.
III.2 Osservazioni relative agli aspetti relazionali sperimentati.
Nei paragrafi precedenti, ho focalizzato l’attenzione sugli aspetti didattici del processo di
insegnamento – apprendimento, facendo soltanto riferimento superficialmente alle
dinamiche relazionali emerse durante l’intervento didattico. Vorrei ora analizzare sia i
rapporti instauratisi tra docente e allievo, sia tra allievo e allievo, dato che per la loro
importanza influenzano in maniera pregnante l’apprendimento degli studenti.
Durante l’intervento ho dovuto mantenere contemporaneamente sotto controllo sia il
rapporto col singolo allievo, dato le frequenti richieste di chiarimenti e spiegazioni, o le
richieste di ausilio durante lo svolgimento degli esercizi, sia il rapporto con tutto il gruppoclasse; ciò non è stato sempre facile, poiché a volte la vivacità dell’atmosfera del gruppoclasse non mi consentiva di capire appieno le richieste dei singoli.
Tenendo sempre ben presenti le finalità del mio intervento didattico, ho cercato di
promuovere in classe la collaborazione e la costruzione di relazioni positive tra gli alunni.
Ho svolto nella medesima classe due moduli di tirocinio attivo, più uno l’anno scolastico
precedente di tirocinio osservativo, dunque gli studenti hanno avuto modo di conoscermi
abbastanza bene, come d’altro canto io ho avuto la possibilità di conoscere loro.
16
Fin dall’inizio si è instaurato un rapporto molto produttivo con la classe, tutti i ragazzini mi
sembravano molto interessati a ciò che spiegavo loro, come effettivamente ho avuto poi
modo di verificare al termine del modulo.
Essendo una classe “multietnica”, il contesto era favorevole alla creazione di contrasti tra
studenti, data la diversità di mondi culturali da cui essi provenivano.
Tuttavia, i ragazzini
sembravano essere abituati a questa dimensione multiculturale, questo è senz’altro un
segno dei tempi! Certamente durante i lavori di gruppo, è stata fondamentale la mia
mediazione nella composizione di gruppi il più possibile omogenei. In generale tra me e gli
studenti si è creato un buon clima comunicativo, che ha permesso di generare una
situazione di feedback reciproco molto produttivo; grazie all’attenzione impiegata sia da
parte mia sia da parte del gruppo classe, è stato possibile risolvere i frequenti dubbi e le
perplessità causate dalla novità degli esercizi proposti.
Per quanto riguarda gli alunni stranieri è opportuno fare alcune distinzioni.
La classe, come già descritto in precedenza, presentava una composizione piuttosto
eterogenea. Infatti, figuravano nell’elenco del registro 11 italiani, di cui uno assenteista, gli
altri 10 erano stranieri, provenienti dai paesi più diversi.
Ho potuto constatare che la diversità di approccio col docente e coi compagni era
fortemente influenzata dal paese di provenienza degli studenti.
Gli allievi cinesi si dimostravano in assoluto i più restii alla comunicazione, i più criptici nei
comportamenti, inoltre a questo si aggiungevano le difficoltà gravi di lingua, anche se devo
ammettere che l’impegno del minore per età dei due allievi era davvero ammirevole.
Inoltre i rapporti coi compagni mi sembravano piuttosto freddi, nell’intervallo o nei cambi
d’ora il maggiore per età dei due si avvicinava sempre all’altro, quasi per distoglierlo
dall’attenzione dei compagni. Questo atteggiamento mi è sembrato molto grave, dato che
questo ragazzino, che sapeva molto meglio l’italiano, avrebbe dovuto facilitare
l’integrazione dell’altro, che invece era arrivato da poco tempo in Italia; al contrario
sembrava che sfruttasse questo suo vantaggio per “sottomettere” e creare una
dipendenza. Mi sono sentita in dovere di intervenire, anche se ero soltanto una tirocinante
e quindi una figura passeggera, riprendendo proprio questo ragazzo durante uno di questi
atteggiamenti, dicendogli che ogni persona è libera di pensare con la propria testa, anche
il suo amico.
Da allora i miei rapporti con lui si sono resi più difficili, il suo impegno nei lavori proposti
era scarso e l’atteggiamento di sufficienza, tuttavia ho continuato ad inserirlo in gruppi di
italiani, addirittura in un gruppo composto di sole ragazze.
17
Per quanto riguarda gli altri allievi stranieri, i problemi di integrazione erano davvero
ridotti al minimo; infatti, sia per i rumeni, sia per gli albanesi e sia per i sudamericani
l’apprendimento della lingua italiana è davvero molto più immediato, anche il sistema di
valori e la cultura dei loro paesi di provenienza sono senz’altro più simili a quelli italiani.
Tutti questi ragazzini, maschi e femmine, apparivano già ben inseriti nel contesto di classe
e ben accolti dai compagni italiani, che, come ho già detto in precedenza, neanche si
accorgevano di appartenere ad una classe multietnica.
Infatti, durante un intervallo, chiacchierando con delle studentesse, ho chiesto loro che
cosa pensavano che ci fosse di diverso dalla scuola del passato nella loro classe, e
queste mi hanno risposto che l’unica differenza consisteva nel fatto che un tempo le classi
erano soltanto o interamente maschili o interamente femminili.
Ho dovuto purtroppo constatare che la motivazione e l’impegno sono molto più
accentuati negli alunni stranieri che non in quelli italiani, sicuramente perché la voglia di
integrarsi è grande, e forse anche perché le scuole dei paesi da cui provengono sono di
alto livello, soprattutto per quanto riguarda gli allievi rumeni.
Durante le lezioni interattive e le riflessioni al termine del cooperative learning o dei
brainstorming si è delineato il carattere esuberante di alcuni alunni, che tendevano a
confrontarsi e a gareggiare per mettersi in buona luce davanti a me e alla docente
accogliente. In particolare si trattava di due ragazzini italiani che dall’anno precedente si
erano affermati come i più “bravi”; era palese la competizione che intercorreva frai due,
tuttavia non avevano ancora realizzato, che dall’inizio dell’anno scolastico in corso si era
inserita una nuova ragazzina rumena, che a mio parere, è di gran lunga più in gamba,
forse perché è più motivata e ci tiene maggiormente ad autoaffermarsi.
Quando
consegnavo le fiabe corrette i due allievi in questione si confrontavano immediatamente i
voti, tuttavia, il fatto che l’ultima arrivata li superasse sempre, li indispettiva, e ciò ha
permesso di ottenere da loro più applicazione; tenendo presente questo fatto, ho cercato
di stimolare la competizione positiva trai ragazzi, mantenendo un’atmosfera simile a quella
della competizione ludica, perché ritengo che il fattore di confronto delle proprie capacità
con i pari possa senza dubbio aiutare a raggiungere più facilmente la zona di sviluppo
prossimale tanto auspicata e teorizzata da Vygotskij.
Non sono riuscita a capire se il gruppo classe avesse o meno un membro che fosse il
leader del gruppo. Certamente in un gruppo variegato come quello in questione è molto
difficile riuscire ad individuare un’unica persona come leader, per cui ritengo che ci fossero
più individui carismatici, che ho identificato essere i più esuberanti e i più brillanti a scuola.
18
Un fatto molto positivo riscontrato, che connota molto bene il gruppo classe, consiste nel
riconoscimento da parte dei ragazzini dei meriti scolastici dei loro compagni; a mio avviso,
questo denota coesione nel gruppo dei pari e assenza di invidia tra di loro. Non a caso,
anche i rappresentanti di classe sono stati scelti dai loro compagni sulla base del
rendimento scolastico e della loro simpatia.
Durante tutto il modulo sono stata attenta a fornire agli studenti delle consegne chiare e
degli scopi precisi. Il loro lavoro è stato continuamente monitorato, incoraggiando coloro
che mi sembravano più deboli dal punto di vista linguistico e creativo, spronando quelli
che, a mio avviso, avrebbero potuto migliorare i loro elaborati.
Infine ho promosso in tutti gli alunni il senso di autoefficacia, elemento fondamentale per
motivare gli allievi alla scrittura e allo studio in genere.
In conclusione dal punto di vista relazionale l’esperienza è stata davvero gratificante,
quando il tempo dedicato al mio modulo è scaduto, i ragazzini parevano davvero
dispiaciuti e a sostegno di ciò, ho avuto occasione di osservare, durante le mie lezioni,
delle vere e proprie dimostrazioni di affetto e stima da parte loro nei miei riguardi; infatti,
tutte le volte che entravo in classe mi accoglievano sorridenti, durante gli intervalli
venivano a parlarmi a gruppetti, chiedendo il prossimo argomento che avrei trattato, se
potevo tornare anche l’anno successivo, se stavo ancora studiando e tante altre domande
di carattere anche personale. Infine, quando ho chiesto loro se si fossero divertiti a
lavorare con me mi hanno fatto un applauso, cosa che mi ha imbarazzato un po’, data la
presenza della docente accogliente.
Al di là dell’entusiasmo che ho suscitato nei ragazzini, cosa che mi risulta facile data la
mia grande esperienza come animatrice in campi estivi, spero sinceramente di aver
lasciato loro la voglia di continuare a cimentarsi nello scritto, qualunque insegnante capiti
loro in futuro.
III.3 Analisi critica dei risultati: confronto tra gli obiettivi del progetto e la
documentazione
dell’apprendimento
della
classe
fornito
dalle
prove
di
accertamento.
Durante la durata dell’intervento didattico è stato monitorato, tramite le verifiche
formative, il progresso conseguito da parte della classe in itinere.
Grazie alle esercitazioni svolte mi è stato possibile intervenire là dove ritenevo ci fossero
dei punti deboli all’interno del gruppo classe, e quindi di dedicare maggior tempo ad
19
aspetti precisi della scrittura, per esempio quelli morfo-sintattici, soprattutto durante la
correzione degli elaborati svolta individualmente.
Gli obiettivi da me prefissati all’inizio del modulo erano certamente molto ambiziosi, non
mi aspettavo di certo che fossero raggiunti da tutti i ragazzi, tuttavia penso che sia giusto
porsi obiettivi più alti di quelli che si possa raggiungere effettivamente, poiché in tal modo
gli sforzi degli studenti saranno orientati verso un modello di alto livello di apprendimento.
Poiché la classe in questione presentava una composizione multietnica, sapevo che
alcuni obiettivi possedevano la priorità su altri, per esempio quello cognitivo della scrittura
e della sintassi dello scritto utilizzate correttamente, tuttavia non ho tralasciato di illustrare
chiaramente tutti gli altri e le loro rispettive funzioni.
La valutazione dei prerequisiti anche in questo modulo, come nel precedente inerente la
linguistica, è stata ritenuta superflua, in quanto l’argomento non richiedeva una particolare
conoscenza di concetti di base.
Inoltre, il laboratorio di ascolto di fiabe svolto l’anno precedente mi assicurava una certa
confidenza della classe con l’argomento in questione.
Ogni lavoro di riscrittura proposto in itinere è stato valutato, con valore di verifica
formativa; in questo modo gli studenti hanno avuto la possibilità di capire i loro errori più
frequenti, e di cercare così di migliorarsi via via.
Al termine del modulo è stata proposta alla classe la costruzione individuale di una fiaba,
con valore di verifica sommativa, rispettando dei vincoli ben precisi e tenendo presente
tutto quanto era stato detto in precedenza in merito alla funzione e alla struttura delle
fiabe. I voti sia per le verifiche formative sia per la verifica sommativa sono stati assegnati
in giudizi, seguendo la seguente scala dal più alto al più basso: ottimo, distinto, buono,
sufficiente, insufficiente.
Mentre la verifica sommativa è andata a rilevare il prodotto, le altre verifiche di carattere
formativo hanno permesso di controllare il processo di acquisizione di famigliarità con la
scrittura di fiabe e con la propria espressività e immaginazione.
In base alle prove formative e alla verifica sommativa, è possibile affermare che la classe
si suddivide in quattro fasce di livello diverso: un ristretto gruppetto costituito da tre
persone, che è riuscito ad arrivare a un buon livello sia per quanto riguarda la creatività
della scrittura di fiabe, sia rispettando le consegne date, sia inserendo elementi curiosi e
divertenti, sia osservando le regole grammaticali e sintattiche; un secondo gruppo più
numeroso, che ha dimostrato di essersi impegnato e di aver migliorato i propri elaborati
durante lo svolgimento del modulo, tuttavia permangono a questo livello molte incertezze
20
dal punto di vista della correttezza grammaticale; un terzo gruppo che ha dimostrato
notevole difficoltà nell’espressione scritta, sia per quanto riguarda l’originalità dei contenuti
delle fiabe, sia perché le nozioni di lingua italiana erano piuttosto scarse, non a caso il
gruppo in questione era composto da stranieri da poco tempo arrivati in Italia. Infine
l’ultimo gruppetto, dove le prestazioni sono state più scarse
contava soltanto due
persone: un ragazzino con un lieve deficit di comprensione, non certificato, ma
segnalatomi dalla docente accogliente, e il ragazzino cinese con il quale mi ero scontrata
durante l’intervallo, anche se in questo caso ritengo che il rendimento insufficiente sia
stato dovuto al poco impegno.
Non ho attribuito a nessuno il giudizio di ottimo, ma la maggioranza della classe ha
ottenuto il buono, eccezion fatta per le tre persone di cui sopra, a cui ho ritenuto giusto
assegnare il giudizio distinto.
Nell’attribuzione dei giudizi, ho fatto riferimento a una griglia di valutazione di un testo
scritto che tiene conto di vari aspetti: l’adeguatezza pragmatica, caratteristiche del
contenuto, organizzazione del testo, lessico, morfologia e sintassi, ortografia13.
Il diagramma a torta seguente illustra chiaramente l’andamento generale della prova:
insufficiente
10%
distinto
14%
sufficiente
29%
distinto
buono
sufficiente
insufficiente
buono
47%
III. 4 Riflessione critica sull’esperienza didattica condotta.
13
Cfr. la griglia di valutazione in allegato 6
21
Il modulo in questione si presentava molto diverso da quello precedentemente svolto
nella stessa classe, sia per contenuti, sia per obiettivi. L’unico obiettivo in comune trai due
era quello appartenente alla sfera metacognitiva del cooperative learning .
Inoltre, il carattere di tecnicità della linguistica richiedeva un intervento didattico differente
per approccio e metodologie.
L’argomento del modulo in questione mi è stato suggerito dall’esperienza di tirocinio
indiretto “Scrivere è riscrivere” condotto in SSIS l’anno scorso.
Durante questo laboratorio di scrittura ho sperimentato la scrittura creativa, con la quale
devo confessare non avevo mai avuto un rapporto diretto prima; ho maturato così l’idea
che sia molto importante fare uso di metodi didattici che promuovano la scrittura come
voce di espressione personale, non come una serie di noiose regole ortografiche e
sintattiche da rispettare; tuttavia le metodologie e i testi proposti alla SSIS si presentavano
troppo difficili e non riproponibili per una seconda media.
Ho pensato così di far avvicinare i ragazzi alla scrittura creativa tramite un genere che
conoscessero già abbastanza bene, o quanto meno con il quale avessero una buona
famigliarità. Di qui la mia scelta per la fiaba. Infatti, già l’anno precedente la classe aveva
svolto un laboratorio di ascolto di fiabe con la docente accogliente, e l’idea che era stata
veicolata loro sul genere, era quella che si trattasse non tanto di qualcosa di molto
complicato e difficile da scrivere o da capire, ma quella di una “creazione poetica”, la quale
attinge dai costumi e dalle tradizioni popolari i suoi principi e i suoi valori.
La ragione principale che mi ha spinto a progettare un intervento didattico di questo tipo
è,
d’accordo
con
Dario
Corno,
quella
che:
“Si
impara
a
scrivere
perché
contemporaneamente ci si educa a due libertà che sembrano tipiche del mondo
globalizzato: la libertà di pensare in modo libero e autonomo e la libertà di prendere
decisioni ragionando e argomentando.”14
Partendo da un approccio alla fiaba di tipo analitico, ho illustrato alla classe le funzioni di
Propp, per dare loro uno strumento di composizione e scomposizione delle fiabe, con il
quale potessero giocare a costruirle.
Avevo programmato una serie di esercizi di riscrittura maggiori rispetto a quelli che
effettivamente ho proposto, ma ho ritenuto più importante soffermarmi su delle riflessioni
riguardanti le finalità della fiaba, in quanto portatrici di un insegnamento.
Infatti i primi lavori consegnatimi, mi hanno lasciata abbastanza sconcertata, in quanto i
contenuti delle fiabe erano molto diversi da quelli che mi sarei aspettata da dei ragazzini di
14
Dario Corno, “La scrittura”, Rubettino Editore, Catanzaro,1999
22
12 anni. Com’è possibile infatti, che queste fiabe fossero infarcite di violenza, divorzi, frodi,
alcolismo, mafia? Forse ho proiettato verso la classe le aspettative di quello che avrei
scritto io e il mio gruppo classe di 13 anni fa.
Ho constatato di persona il cambiamento generazionale e l’influenza drammatica dei fatti
di cronaca sull’immaginazione dei ragazzi.
Nel primo esercizio di scrittura proposto, era richiesto di continuare una fiaba, avendone
letto l’inizio, e mantenendo però i personaggi incontrati. Molti di questi racconti erano
completamente immersi in un mondo fantastico, in un mondo completamente avulso dalla
realtà, eppure molti studenti li hanno riportati su un piano concreto, reale, drammatico e
con finali per lo più tragici.
Le ragazze, che da sempre sono più sognatrici, hanno prodotto delle fiabe non dai tratti
così violenti, ma erano riconoscibili dei riferimenti espliciti ai programmi televisivi, per
esempio “Elisa di Rivombrosa”.
Dopo aver letto questi primi elaborati, ho ritenuto doveroso fermare il programma del
modulo e intraprendere una riflessione15 sulla morale delle fiabe e sui valori che
scaturivano dalle fiabe dei ragazzini, dato che la parola che saltava sempre agli occhi nei
finali da loro descritti era “ricchi”, o “ricco”, o “tanti soldi”.
Ho esposto le mie perplessità, per non dire preoccupazioni, anche al professore di
psicologia sociale, il quale però dopo aver letto una o due delle fiabe che gli ho proposto,
ha asserito che mi preoccupavo senza ragione, che non c’era nulla di allarmante nei
racconti in questione, e che probabilmente io facevo parte di quel gruppo di insegnanti che
proiettano le loro aspettative sui ragazzi, e quando queste non vengono soddisfatte,
pensano che ci sia qualcosa di sbagliato negli studenti.
E’ certamente vero che avessi delle aspettative, chi non le ha? Tuttavia, dopo aver fatto
riflettere i ragazzini su ciò che avevano scritto, i contenuti delle loro fiabe sono cambiati,
non in maniera radicale, ma quanto meno la consapevolezza di ciò che era scaturito dai
lavori precedenti li aveva resi più attenti a comunicare un messaggio che fosse davvero
nato dalla loro espressione e non dagli stereotipi che il nostro tipo di società capitalistica e
consumistica aveva inculcato in loro.
Ho quindi verificato come la scrittura sia inevitabilmente influenzata dalla storia
personale, dalla condizione economica, culturale e famigliare dello scrivente, dal livello di
alfabetizzazione delle famiglia di origine e dal paese di provenienza.
15
Cfr. Analisi del processo e allegati
23
L’immaginazione è una qualità da coltivare, certamente un ragazzino ha insito in sé la
potenza immaginifica, ma se questa non viene fatta esercitare, come altre qualità per
esempio la memoria, essa si impoverisce. E’ inutile dire quanta importanza può avere la
fantasia e la creatività di conseguenza nella vita di un adolescente, essa non serve
soltanto per scopi scolastici, ma anche come forma di difesa nelle situazioni difficili, in
quanto si può essere in grado di immaginarsi di essere altrove e allontanarsi per un attimo
dalla realtà che spesso non è sempre come si vorrebbe.
Ritengo che la vita che conducono molti ragazzini italiani di buona famiglia sia davvero
troppo impegnata, gli stessi giochi per esempio la Play Station, non lasciano scampo al
vagare delle menti, ma il gioco è già tutto programmato, per non parlare della televisione.
Insomma i ragazzini non si annoiano più, e come fanno allora a pensare e a immaginare
senza la noia?
Proprio a questo proposito volevo inserire un’osservazione riguardante le fiabe, prodotte
dagli studenti stranieri. Infatti, esse mi sono sembrate molto più spontanee delle fiabe
italiane, forse perché questi ragazzini hanno meno possibilità di avere giochi e passatempi
sofisticati e dedicano più tempo a far galoppare la loro fantasia, ma questa è soltanto una
mia impressione.
Per quanto riguarda l’entusiasmo degli studenti, come ho già detto in precedenza, era
davvero straordinario! Il lavoro in coppia e di gruppo è stato gradito particolarmente, anche
l’uso dei cartelloni, dei gessi colorati ha stimolato ulteriormente la capacità creativa e
artistica. Ho verificato davvero in questo classe la disponibilità ad apprendere, che ha
contribuito al formare un contesto davvero produttivo sia per la crescita personale degli
allievi, sia per la crescita professionale da parte mia come futura docente.
Durante il modulo, ma già dal modulo precedente, si era creato un clima di complicità e
affiatamento, sia tra me e i ragazzi, sia tra me e la docente accogliente, la quale dava
prova di apprezzare il mio lavoro e i risultati da me raggiunti, constatando che ero riuscita
a risvegliare l’attenzione anche in alcuni soggetti piuttosto apatici.
Tenendo presente le modifiche apportate al mio progetto didattico, penso di riproporre un
domani in un'
altra classe questo tipo di intervento didattico, magari proponendolo come un
laboratorio pomeridiano, senza troppi limiti di orario.
24
Conclusioni: Aspetti metacognitivi dell’attività svolta
La formazione professionale della SIS è stata per me di fondamentale importanza, dato
che provenivo da una formazione esclusivamente disciplinare universitaria e non avevo
mai avuto occasione di confrontarmi con una classe, perciò le mie esperienze di scuola
secondaria superiore di I e di II grado risalivano ai miei ricordi personali di studentessa.
Già dal I anno, grazie al tirocinio osservativo, ho avuto la possibilità di essere spettatrice
di quanto succede in una classe, di tutti quegli aspetti relazionali che sottendono la
comunicazione docente/allievi e allievi/allievi, e che spesso durante la lezione frontale
sfuggono all’attenzione dell’insegnante.
25
Ho incominciato così a rendermi conto che il percorso professionale che stavo
intraprendendo non era per nulla banale e si mostrava più complesso di quanto io stessa
mi aspettassi. Intanto frequentando le lezioni dei corsi trasversali di pedagogia e
psicologia, tentavo di capire come calare nella realtà di tutti i giorni le nozioni astratte e le
varie teorie che ci venivano veicolate e che mi erano del tutto nuove, non avendo mai
studiato materie che si occupassero dello sviluppo degli adolescenti.
All’inizio, tutto ciò mi appariva molto avulso dalla pratica quotidiana dell’insegnamento,
ma in seguito, riflettendo alla luce delle esperienze svolte in classe durante il mio II anno di
SIS sono state utili.
Infatti, in quest’ultimo anno ho avuto esperienze dirette sul campo esterne all’esperienza
del tirocinio attivo, e devo ammettere che la sensibilità sviluppata verso gli aspetti
relazionali e psico-pedagogici dell’insegnamento mi hanno permesso di affrontare con più
facilità determinati problemi; la mia prima esperienza sul campo è stata in un professionale
regionale, soltanto quattro mesi, tuttavia mi sono resa conto dall’inizio che avevo scelto un
esordio di carriera difficile.
Le classi affidatemi erano esclusivamente maschili e mostravano una massiccia
presenza di stranieri, senza contare gli allievi italiani, molti dei quali aggressivi e di
carattere difficile; inoltre l’italiano non era considerato importante, dato che i ragazzi
seguivano con interesse solo le materie professionalizzanti.
L’unica arma che mi era rimasta, ma che si è dimostrata efficace, è stato il dialogo, il
tentativo di pormi in empatia con gli sudenti, l’autostima che cercavo di suscitare verso
loro stessi.
In questa occasione ho sperimentato le tecniche apprese nei corsi di didattica, per
esempio il cooperative learning, e ho verificato sul campo i comportamenti degli
adolescenti detti “border line”.
L’esperienza di tirocinio attivo, prima in un istituto d’arte e poi in una scuola media, sono
state davvero positive nel complesso. La presenza sempre costante della docente
accogliente mi rendeva sicura e a mio agio, anche perché dopo aver provato a insegnare
in un professionale regionale, il contesto scolastico mi sembrava in entrambe i casi
ottimale.
In entrambe i moduli di tirocinio, sebbene si trattasse di due fasce d’età ben diverse dato
che una classe era una V superiore e l’altra una II media, mi sono resa conto della
centralità per gli adolescenti della figura del docente, una figura di riferimento insostituibile,
dato che spesso i ragazzi si vedono privi del sostegno delle tradizionali figure parentali. La
26
società, anche soltanto rispetto a una decina d’anni fa, si mostra completamente
cambiata, i nuclei famigliari tradizionali sono sempre più carenti, inoltre l’ingresso di una
massiccia quantità di stranieri rende la società multietnica e perciò ancora più complessa.
Come risulta dalle ricerche i docenti italiani si sentono scontenti dello scarso
riconoscimento del compito difficile che svolgono e della scarsa corrispondente
retribuzione. Sembrerebbe, guardando dall’esterno, che le lamentele del corpo docenti
non siano del tutto fondate, ma non appena ci si immerge nella realtà scolastica, ci si
accorge dell’enorme carico di responsabilità richiesto all’insegnante, che deve provvedere
a veicolare i contenuti disciplinari, tenere le dinamiche relazionali, aprire la mente dei
ragazzi alla criticità rispetto al mondo che li circonda, coinvolgere nei suoi progetti didattici
gli enti territoriali etc.
Effettivamente la società odierna, come mai in precedenza, obera la scuola di richieste ,
che spesso non possono essere espletate per mancanza di tempo, strutture e soprattutto
fondi.
Credo che l’insegnante nel suo piccolo contesto di classe possa però fare molto, sia nel
bene, se è impegnato, sia nel male, se svolge il suo compito con superficialità.
A mio avviso è di fondamentale importanza far sì che gli studenti apprendano
dall’esperienza, ovvero siano in grado di rielaborare le nuove informazioni apprese a
scuola, alla luce del loro vissuto emotivo, e superino la paura dell’errore, che è un ostacolo
ineliminabile al fine dell’apprendimento significativo.
In alte parole il docente deve fare in modo che cada la distinzione tra cultura emozionale
e cultura intellettuale
16
, ovvero che l’insegnante sia in grado di creare un clima di
condivisione e di confronto, in grado di contenere l’ansia che ogni studente nutre verso i
contenuti a lui ancora oscuri e verso cui si sente inadeguato.
Se all’inizio del persorso SIS nutrivo una profonda convinzione che il compito
preponderante del docente si attenesse alla sfera disciplinare, ora alla fine dell’abilitazione
posso affermare che si deve cercare di coniugare il modello del magister con quello del
pastore, che nel limite del possibile cerca di accompagnare tutti i suoi studenti in ugual
maniera e con uguale riguardo alla fine del percorso scolastico.
La classe in cui ho svolto il presente intervento didattico era senz’altro un esempio più
che mai efficace della società complessa entro cui viviamo: molti ragazzini stranieri, la
maggior parte senza padre e madre; per quanto riguarda gli allievi italiani, un folto
gruppetto era figlio di genitori separati. E’ naturale che in un contesto del genere
16
G. BLANDINO, B. GRANIERI , Le risorse emotive nella scuola, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002
27
l’insegnante di lettere viene ad assumere un ruolo di forte riferimento per dei ragazzini di
scuola media, data la giovanissima età degli studenti e il cospicuo numero di ore trascorse
insieme secondo i programmi ministeriali.
Più volte ho avuto modo di notare l’affetto che gli studenti provavano per la docente
accogliente, e il bisogno di risposte da parte sua. La loro curiosità verso le opinioni
dell’insegnante in merito a varie problematiche sottolineavano proprio l’importanza e
l’ascolto dato alle sue parole, che rappresentavano una fonte autorevole.
In conclusione vorrei richiamare le parole del sociologo P. Perrenoud, che definisce
l’insegnante come professionista riflessivo e intuitivo ad un tempo, dato che spesso si
trova a dover “agire nell’urgenza e a decidere nell’incertezza”; egli deve possedere, a mio
avviso, sia una forte vocazione sia un impegno considerevole, e soprattutto deve tener
presente la forte dimensione relazionale propria della professione docente, senza la quale
tutto si ridurrebbe a un banale ed arido reiteramento di lezioni frontali tutte uguali e per
nulla arricchenti da un punto di vista caratteriale e personale.
Bibliografia essenziale
Fonti relative agli aspetti trasversali:
L.S. VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio, Firenze, Giunti, 1966
COSIMO LANEVE, Elementi di didattica generale, Editrice La Scuola, Brescia, 1998
L.S. VYGOTSKIJ, Immaginazione e creatività nell’età infantile, Roma, Editori Riuniti, 1986
D.W. WINNICOTT, Gioco e realtà, Roma, Armando, 1974
D.A. SCHÖN, The reflexive Practitioner, New York, Basi Books, 1983, trad.it., Il
professionista riflessivo, Bari, Dedalo, 1993
P. PERRENOUD, Enseigner: agir dans l’urgence, décider dans l’incertitude, Paris, ESF
éditeur, 1996
G. BLANDINO, B.GRANIERI, Le risorse emotive nella scuola, Raffaello Cortina Editore,
Milano, 2002
Fonti relative ai contenuti disciplinari trattati
28
CONTI, CORNO, MES Manuale di educazione alla scrittura, La Nuova Italia
D. CORNO, Scrivere e comunicare, Bruno Mondatori, Milano, 2002
TORTONESI, Il laboratorio della scrittura, Marietti
P.FAUDELLA, Esercizi di scrittura, Torino, Celid, 2002
Libri di testo
H. C. ANDERSEN, Quaranta Novelle, Milano, Editore Ulrico Hoepli, 1984
FRATELLI GRIMM, Cinquanta Novelle, Milano, Editore Ulrico Hoepli, 1984
ALLEGATI
Stesura completa della programmazione
Progetto
Argomento: Scrivere e riscrivere fiabe
Classe destinataria: II media
Tempi:
All’inizio avevo programmato per il modulo una durata di 12 ore, tuttavia, non avevo
calcolato che per alcune attività, per esempio il lavoro di gruppo e il brain storming, era
necessario più tempo. Così in extremis ho dovuto chiedere alla docente accogliente altre
tre ore, che fortunatamente mi sono state concesse, dato che cadevano nella settimana
prima delle vacanze di Natale.
Le lezioni, come già per il modulo precedente, cadevano in due giorni infrasettimanali: il
mercoledì in tre ore, intervallate dalla ricreazione; e il giovedì in due ore.
Modulo: laboratorio di scrittura modulo di 12 ore, divenute poi 15 per gentile concessione
della docente accogliente
Motivazione della scelta dell’argomento:
Come già detto in precedenza, ho scelto questo argomento sulla base di una mia
esperienza di un laboratorio di tirocinio indiretto, svolta il mio primo anno di SiS, che si
intitolava Scrivere è riscrivere. E che era tenuto dalla prof.ssa Emilia Abelli e dalla prof.ssa
Carla Gatti.
29
In questa occasione sono stata colpita dalla modalità con cui è possibile insegnare ai
ragazzi a scrivere, sfruttando la dimensione ludica e creativa della lingua scritta.
In una seconda media, non mi è stato di certo possibile proporre ai ragazzi una serie di
testi appartenenti a diverse tipologie narrative come quelli preparati per noi specializzandi,
perché non li avrebbero compresi. Perciò, ho ritenuto che il testo più famigliare col quale
potevano confrontarsi e analizzare la sua struttura scomponibile in più parti per la seconda
media in questione era la fiaba.
Rispetto allo statuto epistemologico della disciplina
L’argomento scelto e il percorso proposto si propongono di potenziare la padronanza
dell’uso della lingua scritta in relazione alle esigenze creative del ragazzo, all’uso dinamico
della lingua, in modo che si possa attraverso di essa organizzare la propria comprensione
della realtà e comunicarla correttamente agli altri.
E’ fondamentale per l’adolescente utilizzare uno strumento potente come quello
linguistico per esplicitare i suoi pensieri e le sue fantasie. L’argomento proposto si
inserisce quindi in riferimento all’ampio quadro delle finalità dell’educazione linguistica
definite dai programmi ministeriali della scuola media, riassumibili nella frase “ far
acquisire all’alunno, come suo diritto fondamentale, l’uso del linguaggio in tutta la varietà
delle sue funzioni efrome nonché lo sviluppo delle capacità critiche nei confronti della
realtà”.
Rispetto alle valenze culturali
Nonostante l’argomento venga affrontato attraverso l’uso del genere letterario della fiaba,
esso in induce i ragazzi all’organizzazione delle proprie idee e della propria
immaginazione mediante la lingua scritta e le regole che ad essa attengono. Lo sforzo
condotto nello specifico, educa i ragazzi all’elaborazione di un testo corretto
morfosintatticamente, senza dimenticare l’aspetto personale e estremamente soggettivo
dell’espressione.
L’intervento didattico quindi si propone, attraverso l’uso “ludico” della lingua scritta, di
consentire agli allievi di percepire sempre di più lo scritto come vicino a loro, e di utilizzarlo
per molti altri scopi, che vanno dall’elaborazione di un diario personale allo sviluppo di
un’opinione critica sulla realtà, al sogno di diventare giornalista o scrittore.
30
Rispetto alle valenze pedagogico-didattiche in relazione al tipo di classe e di studenti
cui si rivolge.
L’argomento scelto si presta ad un lavoro basato sull’interazione docente-allievi e tra
pari, elaborando insieme delle riflessioni e riducendo al minimo le lezioni frontali,
privilegiando l’esercitazione singola o in gruppi. In un’ottica costruttivista, che tenga
conto delle conoscenze pregresse degli studenti, dei loro vissuti perconali, delle loro
diverse provenienze da paesi anche extraeuropei, l’intervento progettato di propone
di valorizzare nella scrittura le suggestioni personali già possedute dagli allievi e di
sviluppare la capacità immaginifica e riflessiva. La richiesta della partecipazione
attiva di tutta la classe alle attività di scrittura proposte e la costante supervisione e
guida della tirocinante sono le basi per la realizzazione di una maggiore autonomia
degli studenti nell’elaborazione di un corretto testo scritto, sia esso fiaba, tema, testo
descrittivo etc.
E’ ancora da sottolineare l’importanza dell’intervento didattico per la funzione
metacognitiva che svolge, in quanto stimola la riorganizzazione dei pensieri e dei
processi cognitivi nell’elaborazione di un messaggio che sia conforme alla volontà
dello scrivente e allo stesso tempo usufruibile al lettore.
Scopo dell’intervento: L’educazione alle abilità linguistiche ha molta importanza a tutti i
livelli scolastici; l’uso della lingua si può distinguere in uso funzionale, cioè riferito alla
comunicazione con fini pratici, al contesto professionale e allo studio, e in uso creativo,
cioè per scopi espressivi, ludici e letterari. Il modulo in questione si propone di far lavorare
gli studenti sulla base della loro creatività, in modo da migliorare la loro educazione alle
abilità linguistiche e a maturare emotivamente.
Obiettivi:
Competenze e abilità:
1) condividere un’idea
2) ascoltare attentamente
3) discutere il feedback ricevuto dagli altri compagni, le differenze tra il
loro e gli altri lavori, ottenendo una crescita del gruppo-classe
4) imparare a porsi delle domande
31
5) capire bene i testi sia nelle informazioni che forniscono, sia negli scopi
che vogliono raggiungere
6) sviluppare le capacità di sintesi
7) imparare a modulare il linguaggio in base al contesto
8) imparare a controllare la propria espressività
9) riconoscere nelle fiabe le principali strutture e funzioni di Propp
10) saper estrapolare una morale da un racconto
11) rispettare i vincoli dati dalla consegna dell’esercizio di riscrittura
Obiettivi cognitivi:
1) sapere che la scrittura è per definizione un’arte da apprendere
2) conoscere le principali funzioni di Propp
3) essere a conoscenza della funzione delle fiabe
4) conoscere la grammatica e la sintassi corrette dello scritto
Obiettivi metacognitivi:
1) riflettere sul lavoro altrui e cercare di trarne degli insegnamenti
2) sviluppare l’immaginazione
3) imparare a dominare l’espressività
4) progettare e pensare la scrittura
Prerequisiti:
1) Conoscenza del concetto di fiaba
2)
Sufficiente
padronanza
della
lingua
italiana
nei
suoi
aspetti
morfosintattici e lessicali
Strumenti:
1) cartelloni
2) gessi colorati
3) lavagna
4) libri di testi di fiabe:
H. C. ANDERSEN, Quaranta Novelle, Milano, Editore Ulrico Hoepli, 1984
FRATELLI GRIMM, Cinquanta Novelle, Milano, Editore Ulrico Hoepli, 1984
32
I Lezione
33
Contenuto
Testi scelti
Presentazione
dell’argomento:
1)la fiaba come genere
letterario
2)le funzioni di Propp
Attività e modalità
Tempi
Lezione frontale
1H
Lezione interattiva
Esercitazione su testo:
analisi
mediante
Il Piccolo Tuc
funzioni di Propp
Christian Andersen
di Think pair share
1H
II lezione
Contenuto
1)Introduzione all’idea
di
scrittura
come
espressione soggettiva
regolata da precise
convenzioni
2) concetto
di
chria
3) esempi
dei
maggiori retori
latini
4) modifica della
lingua scritta ad
opera dei più
importanti
esponenti
dell’800 e ‘900
Esercitazione
di
continuazione di un
testo a piacere, avente
valore
di
verifica
formativa
Testi scelti
Attività e modalità
Tempi
Lezione frontale
Lezione interattiva
1H
Mappa
concettuale
fornita dalla tirocinante
ai ragazzi
L’esercitazione svolta
in coppia, prevede la 2 H
I tre cedri
La
principessa costruzione di una
nuova fiaba, dopo aver
incantata
Le pelli del fringuello letto la prima pagina di
e del coniglio
quella fornita dalla
Lo sceicco cieco
tirocinante,
Il libricino magico
mantenendo però i
Il principe Almed e la personaggi principali
fata Parì Banuù
Vardiello e Grannonia
L’acqua della vita
Barbablù
III lezione
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Contenuto
Testi scelti
Attività e modalità
Esercitazione su testo
Re Bazzaditordo
La villanella accorta
Fratellino e sorellina
La luna
La guardiana d’oche
Pollicino
Tremotino
I sette corvi
Il ricco e il povero
Le fortune di Nanni
Nevolina
Il contadino e il
Diavolo
I nati d’oro
Rosaspina
L’indovinello
I tre fratelli
Gli omini misteriosi
Cuffietta Rossa
Raperonzolo
Re rospo
Singolarmente i ragazzi 2 H
dovranno analizzare la
fiaba assegnata loro
mediante le funzioni di
Propp e riscrivere il
racconto, cercando di
sminuire la cattiveria
dell’antagonista
mettendolo in ridicolo
Testi scelti
Attvità e modalità
Tempi
IV Lezione
Contenuto
Riflessione collettiva La riflessione prende
sulla fiaba e sulla sua l’avvio
dai
testi
funzione e definizione precedentemente
utilizzati ed elaborati
dai ragazzi
Tempi
Gallery tour: i ragazzi 1, 50 H
sono divisi in gruppi di
4 persone e devono
riportare sui cartelloni
le definizioni di fiaba
scaturite
dalla
riflessione di gruppo, al
termine essi potranno
confrontare le proprie
opinioni e aggiungere
sui cartelloni, che nel
frattempo sono stati
appesi
alle
pareti
dell’aula, gli spunti
raccolti dai compagni
V lezione
35
Contenuto
Esercitazione
riscrittura
Testi scelti
di Cappuccetto Rosso
Cenerentola
Attività e modalità
Tempi
Riscrittura del racconto 1,50 H
in tono ironico a
coppie.
Sono stati scelti le fiabe
più conosciute dai
ragazzi anche da quelli
stranieri
VI lezione
Contenuto
Testi scelti
Attività e modalità
Verifica sommativa
Allievi:
protagonista: nano
antagonista: re
mezzo magico: calice
aiutante: cavallo
Ai ragazzi è richiesto a 2 H
partire
da
degli
elementi forniti dalla
tirocinante, sulla base
delle funzioni di Propp,
di
costruire
un
racconto.
La consegna è stata
differenziata per gli
allievi e per le allieve.
Allieve:
protagonista: regina
antagonista: fata
aiutante: gatta
mezzo magico: rossetto
Tempi
Allegato 1
Continuazione di fiabe
36
La Principessa incantata (D. R.)
….Il Principe galoppando verso il castello, giunto alla porta l’aprì ed entrò. Trovò tre corridoi lui
scelse il terzo; Elmerico preoccupato del pericolo trovò davanti una strega che incominciò a
lanciarle palle di fuoco, allora evitandole, prese una spada da per terra e la colpì. La strega sparì
come per magia, Elmerico uscì dalla stanza ed entrò nella stanza numero 2. Qui trovò un giullare
che ballava e cantava dicendo: “La principessa è spacciata, nessuno arriverà al terzo piano perché il
giullare ti farà a pezzi”. Lui ascoltando il giullare trovò un’altra spada diversa dalla prima, si
sorprese perché la spada era magica, la agitò in aria e il giullare sparì.
All’improvviso un mago apparve davanti a lui e prese la spada e scomparse, allora entrò nell’ultima
stanza e vide il mago che impugnava una delle spade, prese quella che stava vicino a lui e si mise a
combattere e vinse, intanto i draghi presero la principessa. Elmerico corse dietro ai draghi, sperando
di salvarla, ma nella corsa andò a sbattere contro un palo. Intanto i draghi atterrarono, la principessa
incuriosita da una vetrina di un negozio. Il proprietario la vide e la invitò ad entrare, la principessa
gli spiegò la sua storia e allora Giovanni, così si chiamava, la riportò al castello di suo padre. Il re
fece una grande accoglienza a sua figlia e a Giovanni, tanto che promise in sposa sua figlia al
coraggioso e intraprendente negoziante.
Le pelli del fringuello e del coniglio (G. R.)
…..I tessitori continuarono a far vestiti per il re, ma alla fanciulla chiese aiuto alla sua madrina, che
gli fece una proposta: andare nel bosco, trovare un animale, ucciderlo e poi squartarlo, prendendo
solo la sua pelle per poi farlo diventare il vestito del re .
La ragazza andò nel bosco, prese un fringuello e fece quello che gli aveva detto la sua madrina. I
tessitori cucirono la pelle dell’animale e la portarono al re. Egli non sapeva niente della storia che
c’era dietro.
Il re rimase molto contento e disse ai suoi servitori di portarlo in cucina e di cucinarlo per il pranzo.
La fanciulla non sapeva che il re era un mangiatore di pelli di animali e che aveva vinto anche dieci
medaglie d’oro per quello che faceva. I servitori andarono alla fanciulla per dirgli che il re rimase
molto contento del regalo. Essi però non avevano detto al re che quel regalo era come un ricatto: se
prendeva quel regalo, in cambio non poteva più sposare la fanciulla.
La fanciulla rimase un po’ scontenta del lavoro che avevano fatto i servitori del re, ma nonostante
tutto diede loro un’altra opportunità: riandare nel bosco a prendere un altro animale da portare al re.
Essi riandarono, presero un coniglio, lo uccisero e con la sua pelle fecero un altro vestito per il
sovrano, che rimase anche stavolta insoddisfatto.
I servitori incominciarono a raccontare che quel vestito era stato fatto in cambio della fanciulla che
non lo voleva sposare., tuttavia mentre raccontavano l’accaduto, il re si era già mangiato le pelli del
coniglio.
Purtroppo la fanciulla dopo svariati tentativi si rassegnò e decise di sposare il re; arrivò il giorno
delle nozze e mentre si scambiavano le fedi si sentì un tonfo.
Il re era caduto e incominciò a gonfiarsi come una mongolfiera, fino a che scoppiò. La fanciulla non
credeva ai suoi occhi, era contentissima.
Tutti i presenti erano felicissimi, talmente tanto che, presi dall’euforia, divisero il re in tante parti
che ognuno ne prese una e se la mangiò; la fanciulla visse poi felice e contenta.
Lo sceicco cieco (E. M. e S. P.)
37
…..quando incontrò una vecchia ella gli chiese cosa ci faceva da quelle parti. Kisrà le disse che
doveva commerciare dell’alcool.
La vecchia gli chiese dove aveva preso tutto quell’alcool e Kisrà rispose che l’aveva avuto in
cambio di pietre preziose. La vecchia rimase sorpresa…però poi gli chiese qualche bottiglia.
Kisrà gliele diede per 60 monete d’oro, la vecchia accettò e gliele diede.
Poi continuò il suo viaggio arrivando in Turchia, ad Ankara ed incontrò un commerciante
famosissimo che si chiamava Abdulà Aziz. Egli chiese a Kisrà che cosa aveva da barattare e il
ragazzo rispose che aveva della grappa, della birra e del vino. Abdulà disse che voleva una dozzina
di bottiglie di grappa e un’altra dozzina di birra. Kisrà disse che era molto costosa, ma Abdulà le
comprò lo stesso. Kisrà gli fece il tutto a 200 monete d’oro, Abdulà accettò e se ne andò. Egli riuscì
a viaggiare per tutti i paesi centro orientali, vendendo tutta la merce e guadagnando 2 milioni di
monete d’oro.
Con quel bottino comprò altra merce e venne in Europa per venderla, ma fu arrestato dalla polizia,
che lo vide trafficare alcool e per questo lo arrestarono, egli spiegò che non sapeva che era illegale
il commercio di alcolici, ma tutto fu inutile. Kisrà passò 11 anni in prigione, e ne avrebbe dovuti
passare altri se non si fosse interessato a lui suo zio, uno sceicco cieco, molto potente, amico di
numerosi avvocati, grazie ai quali fu scagionato. Tuttavia a questo zio lui doveva molti soldi, che in
questi lunghi 11 anni non era riuscito ad accumulare, così poco dopo la sua liberazione venne
ucciso dai sicari dello zio.
Il libricino magico (A. C. e D. H.)
….dopo alcuni giorni dalla promessa al maestro. Simone non aveva neanche sfiorato il libricino
rosso, nonostante fosse molto curioso.
Simone viveva felice con il suo maestro e imparava molto bene il lavoro.
Tutto però non poteva continuare ad essere così tranquillo, infatti un giorno in cui il maestro era
uscito per lavoro Simone, divorato dalla curiosità, prese ed aprì il famoso libricino rosso.
Simone all’interno del libro trovò una mappa del tesoro, secondo la mappa il tesoro si trovava in
una piccola isola del Mar Rosso.
Quando il maestro tornò a casa Simone gli fece vedere la mappa del tesoro, egli chiese al ragazzo
dove l’aveva trovata, Simone, che non sapeva mentire, gli disse che spinto dalla curiosità aveva
aperto il libricino dove aveva trovato la mappa.
Subito il maestro mise in punizione Simone perché non aveva mantenuto la promessa; finito il
castigo si ristabilì un certo equilibrio, finché una sera Simone disse che gli sarebbe molto piaciuto
andare in giro per il mondo.
Decisero che la loro prima meta sarebbe stata l’Isoletta sul Mar Rosso.
Partirono e dopo alcune ricerche trovarono il tesoro, con i soldi che trovarono nel forziere
viaggiarono per il mondo, alla ricerche di nuove avventure e tesori da scoprire.
Il principe Almed e la fata Parì Banù (E.O. e M. B.)
….Un tempo c’era un sovrano che aveva tre figli: Husson, Alì, Almed. Non solo aveva anche una
ragazza orfana di una bellezza assoluta di nome Nurunnihar, però c’era un problema; i tre principi
erano innamorati di lei (bisticciavano per sposarla).
Il padre non sapendo come fare, disse che dovevano portare una cosa preziosa e in cambio avrebbe
dato Nurunnihar in sposa. Così si trasformarono come mercanti e vanno al mercato per trovare una
cosa di inestimabile valore.
Ahmed portò un tappeto volante, Alì portò il cannocchiale d’oro, Hussan portò una mela che
serviva per far svanire ogni malattia.
Tuttavia il padre non riteneva queste tre cose di valore così alto da concedere la ragazza.
Lui voleva a tutti costi la “coppa d’oro con perline di Swarosky.
38
Per ottenere la coppa si doveva vincere un torneo, in cui occorreva molto coraggio.
La prima prova consisteva nel lottare nel fango, la seconda prova consisteva nell’attraversamento di
un tragitto di fuoco e in ultimo si doveva affrontare un test di intelligenza.
Alla gara parteciparono i tre principi e uno sconosciuto.
Nella lotta nel fango il primo ad essere eliminato fu lo sconosciuto, nel circuito di fuoco fu
eliminato il principe Alì, così la terza prova sull’intelligenza fu affrontata da Ahmed e Hussun.
Fu una prova molto lunga, non si finiva più, perché tutti e due avevano studiato; infatti, solo alla
cinquantesima domanda si aggiudicò la gara Ahmed.
Finalmente si sposò con Nuronnihar ed ella fece conoscere le sue sorelle agli altri principi…erano
tutte gemelle! Così anche loro si sposarono e vissero felici e contenti.
I Tre Cedri (V. e G.)
Vincenzo partì alla ricerca della sposa…la cercò sui monti, sulle montagne e nelle isole più
sperdute, ma con scarsi risultati. Ad un certo punto si trovò in una foresta sperduta tutto solo e
scoprì un villaggio e bussò ad una porta e gli aprì la ragazza dei suoi desideri, allora lui disse: “ Tu
sei la ragazza che stavo cercando, qual è il tuo nome?” lei rispose: “ Mi chiamo Rossana sua
maestà, e non credo di essere la donna dei suoi sogni!”
Alla fine però il re la convinse con belle parole a seguirlo, e se la portò al regno.
Si sposarono ed ebbero tre figli, che nel passare degli anni diventarono tre cedri, perché la madrina
di Rossana gli aveva detto che, se si fosse sposata con Vincenzo, i suoi figli quando avrebbero
compiuto 15 anni sarebbero diventati alberi.
La maledizione si avverò e Vincenzo morì, perché aveva osato combattere contro la madrina della
moglie, che di fatto era una strega malvagia. La povera Rossana per il dolore si uccise,
impiccandosi, e infine i figli rimasero per sempre alberi.
Vardiello e Grannonia
Il bambino Vardiello dopo aver ucciso la gallina andò al mercato in cerca di un commerciante che
vendesse la gallina, ma non c’erano. Trovò invece un commerciante che vendeva uova fresche. Egli
corse a casa per prendere i soldi, ma trovò solo una monetina. Poi la mamma tornò, ma visto che
mentre lei era al mercato lo aveva visto tra la folla, gli chiese cosa ci faceva lì, e Vardiello dovette
confessare di aver ucciso la gallina, perché era uscita dal suo nido, così la mamma Grannonia lo
riempì di sberle e lo mandò a letto senza cena per punizione.
Vardiello promise che non sarebbe mai più successo, poi ammise di non averlo fatto apposta, perciò
la mamma lo perdonò, nonostante il disastro, ma gli disse che la prossima volta non lo avrebbe
perdonato e comunque la punizione durò una settimana.
L’acqua della vita (S. G. e E. C.)
Dopo un po’ di tempo vedendo che il terzo fratello non tornava, il secondo decise di scappare dal
castello di nascosto per cercare l’acqua della vita e sua fratello maggiore nel suo cammino incontrò
il nano e gentilmente gli chiese informazioni sull’acqua della vita e di suo fratello.
Il nano apprezza la sua gentilezza dicendogli che era un’impresa pericolosa raggiungere il posto
dove si trovava quello che lui stava cercando. Aggiunse anche che per raggiungere il suo scopo
doveva dimostrare di avere un animo gentile e pieno d’amore nei confronti degli altri.
Il secondo fratello camminò in continuazione per tante settimane, non sapendo dove andare ad un
certo punto intravide le cime di un castello, e si diresse verso di esse.davanti al castello lo accolse
una giovane fanciulla, che sorprendentemente sapeva che cosa stava cercando il secondo fratello.
Essa disse: “ Vieni so esattamente cosa tu stai cercando per ottenere l’acqua della vita dovrai
sconfiggere il custode dell’acqua, un pericoloso centauro a 20 teste. Inoltre dovrai sconfiggere il
39
mostro e prendere l’acqua che si trova nella fontana in fondo al giardino, in 9 minuti esatti, se tu
non riuscirai a prenderla prima del tempo, le porte del castello si chiuderanno e non uscirai mai più”
L’impresa sembrava impossibile, ma con il suo coraggio e l’aiuto della ragazza riuscì a sconfiggere
il mostro e a prendere l’acqua, prima dello scadere del tempo. Dopo questa vittoria la fanciulla
decise di tornare con il secondo principe nel suo regno e durante il cammino rincontrarono il nano e
il terzo fratello ancora sotto incantesimo, il secondo principe si rifiutò di chiedere al nano di
spezzare l’incantesimo e passò indifferente, continuando la sua strada. La ragazza vide l’accaduto,
ma non disse niente; dopo un giorno di cammino arrivarono al castello del re e si precipitarono nella
sala del trono dove trovarono il fratello minore e il re. Il secondo principe stava per dare l’acqua al
padre quando venne fermato dalla ragazza che disse: “ quell’acqua non può salvare tuo padre, tu
non l’hai ottenuta dimostrando amore per tuo padre, ma hai dimostrato di essere crudele nei
confronti di tuo fratello più grande. Tu non volevi salvare il re, ma prenderti il suo regno, invece tuo
fratello minore ha accettato di passare per vigliacco davanti a tutti pur di rimanere al fianco di
vostro padre, vegliando sulla sua salute” il fratello minore scoppiò a piangere, per la sua mancanza
di coraggio e la fanciulla raccolse le sue lacrime in un boccale e le diede da bere al re, che guarì.
Dopo qualche minuto, la fanciulla rivelò la sua vera identità, cioè quella di essere una maga, liberò
quindi il terzo principe dall’incantesimo, mentre il padre fece punire il secondo principe e vissero
per sempre felici e contenti.
Barbablu (M. M. e Y.)
…..il giorno dopo si sposarono e andarono a vivere nel suo castello, che era molto grande.
Dopo un mese che erano spostati si separarono e il re si sposò con la sorella di sua moglie, Anna.
Anna piano piano stava progettando un piano per ammazzare suo marito per impadronirsi dei suoi
soldi e del suo palazzo.
Ad un certo punto Anna andò al mercato e incontrò un mercante che le sembrava un po’ strano; lui
le disse: “Senta vuole delle sostanze letali?” Anna: “ Sì, vorrei del veleno o della droga..”
La sera tornata a casa nel cibo gli mise della droga e questo accadde per un mese.
Lui ad un certo punto si accorse che sua moglie gli metteva della droga nel cibo; a questo punto
Barbablù cominciò a buttare il cibo dalla finestra.
La moglie resa sospettosa dal fatto che non era ancora morto gli cominciò a mettere droga
nell’acqua, il marito cominciò a star male. Infine gli mise il veleno con la droga nell’acqua e questo
fu letale.
Anna ottenne quel che voleva: diventare ricca, e visse felice e contenta.
ALLEGATO 2
Riscrivi la fiaba di Cappuccetto Rosso o di Cenerentola cercando di renderla comica:
40
Cappuccetto Rosso o meglio Nano (E. O., M. B.)
C’era una volta una ragazza di nome Cappuccetto Rosso, aveva 8 anni era una ragazza educata,
molto responsabile e molto ingenua.
Tutti la chiamavano Cappuccetto Nano, perché anche se aveva 8 anni era molto bassa, era alta
soltanto 98 cm.
Ella viveva nel bosco insieme a sua mamma, aveva anche una nonna che viveva poco lontano da
lei. La mamma poverina era pazza e infatti voleva uccidere la figlia. Non sapendo come fare si
inventò la scusa che la nonna stava male e le chiese se andava dalla nonna per portarle le medicine.
La nonna stava male, aveva dei crampi al dente, così Cappuccetto Nano doveva andare non solo per
le medicine, ma anche perché doveva portare il brodino perché non poteva masticare.
Si incamminò per la casa della nonna! Cammina cammina, vide dei bei fiori, tutto ad un tratto il
fiore si aprì e le voleva mangiare una mano. Erano dei fiori carnivori…non si mangiarono la mano
intera per fortuna, soltanto un dito. Cappuccetto incominciò a piangere, così si mise in cerca di una
pianta medicinale che le facesse passare il bruciore.
L’aveva letto, cercò, cercò, finalmente la trovò, la prese e l’avvicinò al mezzo dito, però non passò,
anzi si mise ancora di più a piangere: erano ortiche!
Andò più avanti, e incontrò il lupo, era per terra, si era fatto male.
Così Cappuccetto Nano prese le medicine della nonna e le diede a lui; purtroppo le medicine
peggiorarono le condizioni del lupo, che incominciò ad avere il singhiozzo.
Cappuccetto, ingenua, le chiese qual era la strada più corta per andare dalla nonna, il lupo le rispose
che era a destra del bosco, invece quella era la strada più pericolosa con cani e gatti cattivi.
Comunque alla fine Cappuccetto Nano arrivò, entrò in casa e vide la nonna che stava ballando col
lupo. La bambina, ingenua, non capendo le cattive intenzioni del lupo, si mise a ballare con loro, ma
quando si addormentarono il lupo se le mangiò tutte e due.
Il cacciatore vide tutto ed entrò, soltanto che sparò alla pancia del lupo…Così Cappuccetto e sua
nonna morirono insieme al lupo, e vissero tutti ammazzati e scontenti.
Cappuccetto Rosso (E. M. e S. P.)
Un giorno Cappuccetto rosso doveva andare dalla nonna a darle le pillole per la pressione, incontrò
il lupo-rap, che le chiese se voleva fare un concerto rap con lui.
Cappuccetto andò con il lupo, quando ad un tratto si ritrovarono in un vicolo e la bambina si
accorse che il lupo aveva l’acquolina in bocca e così scappò. Ritrovatasi in un parcheggio rubò una
GTO del ’70 decappottabile, e cominciò a correre per tutta Manhattan inseguita dalla polizia. Ad un
certo punto li seminò, però non si rese conto che c’era un ponte levatoio che si stava alzando e
cadde in acqua. Cappuccetto si salvò perché mentre la macchina stava cadendo uscì dal finestrino
con un tuffo carpiato con tre avvitamenti e 6 capriole, che era degno di una medaglia d’oro.
Cappuccetto tornò a riva e incontrò il lupo, che teneva in ostaggio la nonna con una pistola, la
bambina cercò di liberarla, ma il lupo fece fuoco e la uccise. Allora Cappuccetto inseguì il lupo con
una bomba a mano. La lanciò e inciampò nel marciapiede con la faccia, intanto la bomba esplose e
uccise il lupo. Purtroppo anche la nostra eroina morì . Intanto in Paradiso il lupo continua a
inseguire Cappuccetto per il resto della sua misera vita.
Cappuccetto Rosso (V. La B. e G. P.)
C’era una volta una bambina di nome Cappuccetto Rosso. Un giorno la mamma le ordinò di andare
ad uccidere la nonna, perché la odiava.
Allora si incamminò e incontrò il supereroe del bosco “Lupomen”!
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L’animale sapeva il piano della bambina e cercò di fermarla. Ci fu un sanguinoso combattimento e
ad un certo punto il lupo inciampò e finì infilzato contro un ramo appuntito. Allora Cappuccetto
Rosso che aveva fame si pappò il lupo, però si sporcò il vestito e quindi dovette ritornare a casa per
cambiarsi e si mise un vestito blu, dopodiché ripartì per il suo viaggio.
Raggiunse la casa della nonna e vide uno spettacolo terrificante: il cacciatore ci stava provando con
la povera nonnina.
La bambina decise di entrare e non credette ai propri occhi, inciampò nella dentiera della nonna, e
cadde a terra, ma il cacciatore, che non l’aveva riconosciuta, prese la falce e la tagliò a cubetti.
Subito dopo arriva la mamma per verificare se la figlia avesse fatto un buon lavoro, ma trovò
Cappuccetto a cubetti, per vendicarsi la mamma ammazzò la nonna, allora il cacciatore uccise la
mamma perché gli aveva tolto la sua bella.
Alla fine morirono tutti felici e contenti, perché anche il cacciatore preso dalla disperazione si
impiccò ad un albero.
Cappuccetto Rosso ( Y. S. )
Cappuccetto Rosso è una bambina molto bassa, come un banco.
Un giorno la mamma dice : “Vai a casa della nonnina, non passare nel bosco”
Cappuccetto ha portato un cestino di frutta tutto sporco, nel mezzo della strada ha incontrato un
lupo che non ha coda e dice: “ Dove vai?” “Vado dalla nonna” e il lupo passa dal bosco, lui era più
veloce di Cappuccetto, quando Cappuccetto è arrivata alla casa della nonnina ha visto la casa in
disordine e la sua nonnina con occhi grandi e becco grande e ha chiesto, la nonna ha risposto “occhi
grandi per guardarti meglio e becco grande per mangiarti” poi il cacciatore è arrivato, ma il lupo era
saltato fuori dalla finestra, poi è arrivata la polizia e con la macchina ha investito il lupo e ha tirato
fuori la nonnina.
Capuccetto rosso ( A. G. e L. )
C’era una volta una bambina chiamata Cappuccetto Rosso che faceva i capricci per andare dalla
nonna vecchia. Un giorno la mamma le chiese di andare dalla nonna a portare pane e vino.
Andò nel bosco e incontrò la puzzola pazza e puzzolente di nome Alexandra. La puzzola le disse
che sarebbe andata prima di lei dalla nonna. Allora si misero a correre fino alla casa della nonna,
infatti arrivò prima la puzzola Alexandra di Cappuccetto Rosso. Quando Cappuccetto Rosso arrivò
alla casa della nonna sentì un puzzo terribile, e si mise la maschera antigas, anche perché la nonna si
era fatta la cacca nei mutandoni. Allora Cappuccetto Rosso in cucina e prese la vecchia motosega e
tagliò la coda della puzzola, portò con fatica fuori casa e le cambiò i mutandoni e vissero felici e
contenti.
Cenerentola era una bella ragazza che viveva con la matrigna cattiva e le sorellastre perfide. Un
giorno venne il consigliere del re e disse che al castello c’era un ballo col principe, allora lei corse
nel bosco e chiese alla Fata Turchina un bel vestito del color del cielo e delle scarpette di cristallo.
Lei andò al ballo di nascosto dalla matrigna e le sorellastre cattive. Ballò tutta la notte col principe,
ma lui mise male il piede e le strappò il vestito facendo vedere i mutandoni di lana. La ragazza
scappò via piangendo, ma per sbaglio le cadde una scarpetta nel tombino. Il principe per farsi
perdonare la invitò a cena e le comprò di nuovo un vestito bellissimo e si sposarono vissero felici e
contenti.
Cappuccetto Rosso (S. G. e E. C.)
C’era due volte una bambina di nome Cappuccetto Rouge, che viveva in una sottospecie di grotta ai
margini di un bosco francese, con sua madre. Non dimentichiamo di descrivere la petit Cappuccetto
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Rouge come una forma vivente tragicamente squilibrata e con un atteggiamento tipico maschile,
anche se la sua bonette rouge la indicava come femmina. La madre, scozzese di origine, uscita
recentemente da un manicomio ad alta sorveglianza, aveva un particolare modo di educare sua
figlia. Un giorno la madre decise di spedire sua figlia n un bosco, sperando che riuscisse entro tre
giorni a ricordare che sua nonna era una vecchia malata e scorbutica. Cappuccetto si avventurò nel
bosco con in mano una cesta, che conteneva delle medicine per la diarrea, e del formaggio. Strada
facendo, saltellando come un elefante squilibrato, non si accorse che un lupo in gonnella la stava
seguendo. Dopo un po’ di tempo, il lupo si presentò a Cappuccetto Rouge, come un abitante del
bosco, sospettosamente vegetariano, dicendole che si occupava della sicurezza delle strade,
La petit Cappuccetto non fece caso a lui e continuò il suo cammino urlando a squarciagola dove si
trovava la casa della nonna.
Il lupo, dotato di capacità auditive particolari, sentì esattamente l’addresse della vecchia e decise
improvvisamente di cambiare il suo menù, fatto di formaggio e patate. Il lupo fregò la cesta di
Cappuccetto e si recò verso la maison della nonna, prendendo una scorciatoia.
Arrivato davanti alla casa della nonna, il lupo bussò e la nonna lo fece entrare. L’animale non esitò
ad inghiottire la vecchia, nel frattempo arrivò la bambina, strillando il nome della nonna; entrando il
lupo la inghiottì senza esitare. Tuttavia il lupo, a causa della malattia della nonna, ebbe un attacco di
gastrite e vomitò le due vittime.
Il cacciatore in quel momento passò davanti alla casa e sentì una puzza orrenda: entrò e capì subito
l’accaduto, uccise il lupo e portò in salvo le due vittime.
Da quel momento la mamma di Cappuccetto Rouge capì che sua figlia era dotata di un grande
coraggio e di un grande spirito di umorismo, e vissero per sempre felici e contente, continuando la
loro vita di pazzi squilibrati.
Cappuccetto Rosso (A. C. e D. H.)
Cappuccetto Rosso era una bambina più larga che lunga, e voleva sempre andare dalla nonna, per
rimpinzarsi di trote e di cioccolatini.
Un giorno, mentre andava dalla nonna, in mezzo al bosco, il lupo le fece lo sgambetto, tanto che lei
finì con la faccia nel fango.
Subito dopo si rialzò e ringraziò il favore, tirando dietro al lupo una manciata di feci d scoiattolo.
Da lì incominciò una battaglia composta per lo più da “armi” scorrette. Queste armi erano: bacche,
che fecero diversi bernoccoli sulla testa del lupo, fango, funghi, castagne e pigne, che fecero un
occhio nero a Cappuccetto.
Poi tutto ad un tratto il lupo sparì, e così Cappuccetto Rosso, con un occhio nero e coperta di fango,
decise di continuare il viaggio verso la casa della nonna.
Arrivata dalla nonna, Cappuccetto vide il lupo che si stava nascondendo nell’armadio.
La battaglia riprese e volarono sul soffitto nell’ordine: la gamba del tavolo, cioccolatini, l’anta
dell’armadio e infine la nonna, che colpì in testa il cacciatore, appena entrato, perché credeva che ci
fosse un pigiama party.
Cappuccetto Rosso e il lupo, rimasti soli, iniziarono a mangiare cioccolatini a più non posso, finché
poi non scoppiarono.
Cappuccetto Rosso ( M. M. e D. R. )
C’era una volta una ragazzina di nome Cappuccetto Rosso. Un bel giorno a Cappuccetto venne in
mente di andare dalla nonna; la mamma, per precauzione, le diede due ceste, una con dentro
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dinamite, bombe nucleari, bazuca, mitra, f 14…..l’altra cesta conteneva del normale cibo per la
nonna.
Cappuccetto andò nel bosco con la Ferrari 360 Modena, ad un certo punto incontrò un bivio, uscì il
lupo e le disse che doveva andare a destra. Cappuccetto scese dalla macchina e prese una cosa dal
cestino e gliela mise alla gamba…Davanti alla casa della nonna c’era una macchina molto alta e lei
decise di scendere dalla sua Ferrari, salire su quella e schiacciare il lupo.
Tuttavia entrò nella casa e trovò già l’animale che l’aveva preceduta, allora la bambina che era
furba, mise attorno al letto della nonna qualche bomba e poi scappò con la nonnina, sopra la Ferrari
per la città.
Arrivata a destinazione, fece saltare la casa, e vissero felici e contenti.
Cappuccetto Rosso ( G., R. e Z.)
C’era una volta una bambina di nome Cappuccetto rosso, soprannominata “Cappuccetto grassa”,
perché mangiava come una balena.
Questa bambina abitava con la mamma, che era tutto il contrario di sua figlia; magrissima come una
spilla da baglia. Abitavano in una casa piena di vermi e di tarantole, con un leone da guardia.
Cappuccetto aveva una nonna molto malata.
La madre di Cappuccetto le ordinò di andare a portare del mangiare alla nonna e le prese tre fette di
pizza con pepe e ananas, una marmellata piena di muffa e una bottiglia di Wiskhy.
Partì, ma per arrivare dalla nonna, doveva attraversare il bosco, che era pieno di pericoli, soprattutto
di lupi cannibali.
Per i sentieri incontrò un lupo, un po’ strano, che le chiese dove stava andando.
Egli aveva al posto di una coda da lupo, una da maialino, aveva solo due denti di tricheco, aveva
una proboscide ed aveva anche sei occhi, uno diverso dall’altro.
Lei, come un’imbranata, disse che stava andando dalla sua amata nonnina, si fa per dire.
Il lupo la costrinse a prendere una strada più corta: quella a sinistra, e lui prese quella più lunga, che
era a destra. Il lupo l’aveva ingannata!
“Avevo proprio ragione, è un’imbranata nata, fa pure rima! Stai tranquilla Cappuccy, sto solo
scherzando, però ti posso solo dire che hai sbagliato strada, quella che ti ha fatto prendere il
lupaccio è quella più lunga, però mi dispiace, non posso dirti più niente, perché la storia è tua e la
defi finire da sola”.
Ritorniamo alla fiaba.
Il lupo arrivò alla casa della nonna, aprì la porta, prese la nonna e la buttò per terra, uccidendola,
perdendo uno dei suoi denti da tricheco e bucandosi uno dei suoi occhi; poi si travestì coi vestiti di
lei. Il lupo mentre va al supermercato, dopo aver comprato un dvd e dei pop corns, ritornò a casa, si
stese sul letto e guardò quello che aveva comprato.
Dopo un’ora e 16 minuti esatti, arrivò Cappuccetto e insieme al lupo si mise a guardare il film,
mangiando insieme la marmellata e la pizza che aveva comprato lei.
Ad un certo punto Cappuccetto si accorse che la nonnina aveva qualcosa di strano e le chiese: “Cara
nonnina, perché hai sei occhi?”
E il lupo rispose: “ Per guardare te e il film contemporaneamente”. Cappuccetto incuriosita gli
chiese ancora: “ Nonnina come mai ti sono cresciuti così tanto i denti?”
E il lupo rispose: “Per afferrarti e masticarti meglio”
Lei, urlando a squarciagola cercò di scappare, ma il lupo la prese e la ingoiò, facendola passare per
le sue orecchie.
Intanto per quella zona passò un uomo molto grasso, con una baguette fra le mani, egli sentì le urla
di Cappuccetto, entrò nella casa e tirò una baghettata al lupo, che rintronato cadde per terra.e fece
uscire dal suo orecchio sinistro Cappuccetto e dalla sua narice destra la nonna.
Insieme per festeggiare divisero il corpo del lupo in tre parti, e brindando insieme con il Wiskhy lo
mangiarono, e tutti insieme vissero felici e contenti.
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ALLEGATO 3
Fiabe composte durante la verifica finale:
Agli alunni era stata data la consegna di sviluppare una fiaba a partire da elementi dati; ai
ragazzini era stato chiesto di svolgere una fiaba che comprendesse un nano come
protagonista, un re come antagonista, un calice come mezzo magico e un cavallo come
aiutante. Per le ragazzine l’esercizio era lo stesso, ma gli elementi iniziali cambiavano; infatti,
come protagonista doveva figurare una regina, come antagonista una fata, come mezzo
magico un rossetto e infine come aiutante una gatta.
Il testo non doveva essere svolto in più di 35 righe e in meno di 25.
Il topo piede e il chirurgo fata. (G. R.)
C’era una volta una regina di nome Guendalina, che aveva la passione per le scarpe: ne aveva più di
mille, di tutti i tipi e di tutti i colori, però c’era un problema: la regina, quando comprava le scarpe,
non badava alla loro taglia, ma le comprava a caso e poi, quando arrivava a casa, le provava, ma
nessuna di queste le andava, perché lei indossava il numero cinquantadue.
Un giorno la regina decise di andare dal chirurgo estetico, perché era stufa di avere dei piedoni così
grandi. Entrò in sala operatoria, dove l’aspettava un chirurgo. La regina non sapeva che quel
chirurgo era una fata cattiva, che il più delle volte le sue operazioni erano letali per la povera gente.
Il chirurgo fata addormentò la regina e incominciò ad operarla.
Al suo risveglio, la regina si trovò al posto dei piedi due topi.
La regina, molto spaventata, incominciò ad urlare come una pazza, ma ormai era troppo tardi, il
chirurgo fata era scomparso!
La regina incominciò ad urlare come una pazza e a correre per tutta la città, chiedere aiuto alla
gente che piano piano scompariva, perché la regina con quei suoi due piedi da topo schiacciava e
ammazzava le persone.
Ad un certo punto, la regina vide spuntare una gatta da una via. Questa gatta era un po’ strana,
perché collezionava rossetti di tutti i tipi e di tutti i colori, ma avevano due particolarità: ogni
rossetto aveva un gusto diverso, come ad esempio d’aglio, di cavolfiore e persino di un calzino
puzzolente, ed ognuno conteneva un veleno diverso.
La gatta diede alla regina un rossetto al gusto di fontina e con dentro della morfina, che doveva
mettersi, per poi attirare i topi, perché a loro piaceva molto il formaggio.
La regina doveva far cadere il rossetto, i topi lo dovevano mangiare e se tutto procedeva nel modo
corretto, i topi dovevano morire avvelenati.
La regina fece quello che le aveva detto la gatta, ed andò tutto a gonfie vele, i topi morirono e i
piedi della regina tornarono a una misura normale: non più taglia 52, ma taglia 38. La gatta si
trasformò in un principe e il chirurgo fata morì, perché si cacciò un ferro chirurgico in un occhio.
La regina e il principe si sposarono e vissero felici e contenti.
Una regina liberata ( S. G.)
C’era una volta una regina, che però era sempre triste, perché non poteva avere figli, perché la
sorella cattiva che era una fata , le aveva fatto un incantesimo. Un giorno però vide sopra al suo
davanzale una gatta, e questa gatta aveva un rossetto in bocca.
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Questo rossetto era diverso da tutti gli altri: era fatto di un metallo così lucente, che alla luce del
sole era accecante.
La regina lo prese e lo aprì, per vedere di che colore era, ma appena l’aprì, uscì una luce accecante,
così lei lo buttò subito a terra. Dopo che la regina si alzò, dal rossetto uscì una figura umana che le
spiegò a che cosa serviva il rossetto e le disse che era magico.
La regina sbalordita prese il rossetto e pensò subito: “Con questo rossetto potrò battere mia sorella e
liberarmi del mio sortilegio”. Allora uscì dal castello e chiese alla gatta se le poteva dare una mano
a trovare la casa della sorella; allora la gatta le passò davanti e incominciò a fiutare per terra e partì.
Arrivarono davanti alla casa della fata malvagia e aprirono subito la porta. Trovarono la fata, che
stava facendo una pozione magica, la regina tirò subito fuori dalla tasca il rossetto e lo aprì.
Subito uscì una luce abbagliante, la fata cadde subito a terra accecata da questa luce, così la regina
ne approfittò e la colpì.
La fata morì sul colpo e l’incantesimo svanì. Finalmente trovò marito ed ebbero tanti figli e vissero
sempre felici e contenti.
Così si conclude la favola, anche se non è tanto divertente, diciamo che ce l’ho messa tutta.
Uno strano calice (A.)
Un nano voleva andarsene di casa, perché i suoi genitori lo volevano far entrare nell’esercito.
Un giorno finalmente si decise e scappò di casa. La madre, che non voleva bene al suo piccolo, non
si allarmò anzi disse: “Spero che lo mangino i leoni, così non darà più fastidio a nessuno”.
Ma Ufo, così si chiamava il nanetto, non fu mangiato dai leoni, anche se di fastidi alla gente ne creò
molti. Ufo, quando fu arrestato, aveva rubato 56 orologi e derubato più di settanta persone.
Un giorno la sua carriera da malavitoso si concluse, perché fu arrestato.
Poiché era un nemico del re fu anche messo in galera. Lì capì i suoi errori e tornò ad essere un
bravo ragazzo. Un giorno un consigliere convinse il re a dare un’altra possibilità, anzi lo picchiò
con la corona piena di gemme.
Uno strano calice all’improvviso si animò e si trasformò in una bacchetta magica. Il cavallo corse a
prendere la bacchetta e la portò a Ufo, gli spiegò come usarla e gli disse la formula magica per far
diventare il re un rospo.
Ufo usò la formula e trasformò il re, poi, aiutato dal cavallo, che conosceva bene il palazzo, uscì da
esso.
Fuori dal palazzo, Ufo fu acclamato da tutta la gente, perché aveva ucciso il re tiranno. Poi in
seguito, si decise che il nano dovesse salire al trono.
Fiaba (V.)
C’era una volta un re che aveva un figlio.
Il figlio voleva sposarsi con una ragazza bella. Egli era figlio di re e non gli piaceva nessuna
ragazza del suo Paese. Il figlio del re decise di andare in una altro Paese, con il suo amico, dove
poteva trovare una ragazza bella come voleva lui. Ma lui disse al suo amico di non rivelare a
nessuno che lui era figlio di re.
Presero un calice di vino e da mangiare, perché senza morivano di fame.
In tempo si ricordarono che non avevano preso i cavalli. Si misero in viaggio e dopo trenta minuti
trovarono un uomo che aveva un figlio nano, il re e il suo amico dissero:
“ Avete due cavalle per favore?”
“Noi non ne abbiamo, andatevene!”
“Ma ve le pago!”
“Vattene via!”
Dopo un minuto viene il suo papà e disse: “Che cosa volete da me?”
“Vogliamo solo due cavalli”
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“E va bene prendete i cavalli e andatevene”
Presero i cavalli e partirono , arrivarono in un paese e presero una casa in affitto; nello stesso
palazzo abitava una bellissima ragazza, proprio come la voleva il principe.
Dopo 23 giorni, incominciarono a parlarsi e il principe, nel giorno più importante della sua vita, le
chiese di sposarla : “Vuoi sposarmi” le disse, “io sono venuto quaggiù per trovare una ragazza bella
come te, perché io diventerò re di un altro Paese”.
La ragazza acconsentì, dopo un paio di giorni di viaggio giunsero al castello si sposarono: mai
nessuna sposa era stata così bella!
Il nano e il calice da vino (S. P.)
C’era una volta un re malvagio che catturava tutte le persone che calpestavano il suo territorio. Egli
quando vedeva qualcuno calpestare il suo terreno, lo catturava, lo scuoiava vivo e lo dava in pasto
ai cani feroci, e poi la carcassa la legava e la faceva marcire nelle carceri sotterranee. Un nano di
nome Rey Mysterious un giorno passò nel terreno del re ed egli lo vide. Rey cominciò a scappare,
sapendo che, se il re l’avesse catturato, l’avrebbe torturato e poi gettato nelle carceri. Il nano
cominciò a correre sempre più veloce, quando ad un certo punto uscì da un angolo Triple H,il suo
cavallo, Rey gli montò sopra e scappò.
A sera i due si ritrovarono in un cimitero ed uscì da una bara Undertaker, che era un loro grande
amico e così continuarono il loro viaggio insieme. I tre si ritrovarono al paese con il re che
aspettava il nano, allora il cavallo si buttò addosso al re, ma involontariamente cadde e svenì. Rey
intanto entrò nel castello e trovò il calice da vino, che incominciò ad alzarsi in volo e a lanciare
fulmini, che rompevano qualsiasi cosa trovavano lungo il loro tragitto.
Rey lo afferrò e il calice s illuminò, allora provò ad usarlo e ad un certo punto lanciò un fulmine su
un lampadario: il calice aveva avverato proprio quello che Rey aveva pensato!
Accortosi del potere miracoloso del calice, il nano pensò ad un fulmine che colpisse il re, e subito
dal calice uscì un fulmine che andò dritto al re, che così morì carbonizzato, e i suoi sudditi si
liberarono e distrussero il castello, vivendo per sempre felici. Il cavallo se la cavò con qualche
rottura alla gamba.
La regina e la magia del rossetto. (G.)
C’era una volta una regina, che viveva in un bel castello, ma non aveva un marito. Allora un giorno
andò da una fata, che viveva in una grotta, per chiederle dove ne avrebbe trovato uno. La fata, che
nessuno lo sapeva, ma era cattiva, usava filtri magici per far innamorare le persone, e ne fece uno.
Poi la fata cattiva aveva anche una gatta, perfida, che serviva per portare i filtri che la fata preparava
alle persone. Solo che questa pozione serviva anche per annullare gli effetti di pozioni bevute
prima.
La gatta sentì che dalla boccetta veniva un buon profumino, allora decise di berne solo un sorso. La
gatta, che in passato era buona, e che era diventata perfida per colpa di una pozione che le aveva
fatto bere la fata, tornò gentile e buona.
Si accorse subito della orrenda pozione che stava per portare alla regina, e allora entrò nel castello
della regina e le spiegò che la fata voleva usare un modo sleale di far innamorare gli uomini.
Allora la regina tirò fuori dal suo scrigno un rossetto magico, che poteva trasformare con un bacio
le persone malvagie in farfalle variopinte.
Poi la gatta si offrì di portare il rossetto alla fata. Appena quella lo vide, se lo spalmò sulle labbra e
subito si trasformò in una farfallina celeste, che volò via.
Nella grotta della fata c’era un uomo prigioniero, che finalmente venne liberato. La gatta lo
condusse dalla regina, che se ne innamorò e se lo sposò. E vissero per sempre felici e contenti
Un nano alla scoperta del passato (D.)
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C’era una volta un nano venuto dal futuro, che si chiamava Aldo, ed era un grande viaggiatore.
Era andato in tutte le parti del mondo, tranne nell’isola sperduta, dove le persone vivono ancora
come nel Medioevo.
Aldo provò ad andarci e passò tutto il deserto, poi prese una nave ed arrivò al polo Nord a piedi, e
finalmente arrivò nell’isola sperduta.
Lì trovò persone affamate, che lavoravano giorno e notte per colpa del re. Egli si arrabbiò, vedendo
questa ingiustizia, e andò dal re a reclamare.
Il re voleva punirlo, per la sua mancanza di rispetto nei confronti della massima carica, e il nano si
accorse che voleva farlo mediante un calice da vino che pareva avere il potere di esaudire i desideri.
Il nano tuttavia fu rilasciato fino all’indomani; durante la notte, passò tra le sbarre della prigione,
dove era stato alloggiato, prese il calice e scappò via.
Egli aveva sempre voluto essere alto, allora bevette un po’ di vino dal calice e espresse il suo
desiderio: in un attimo fu alto. Poi se ne tornò nel suo paese e visse felice e contento.
Il sogno diventa realtà (D.)
C’era un re che dominava un grandissimo paese. E gli abitanti erano come schiavi: lavoravano
giorno e notte; mentre il re beveva un calice di vino, gli abitanti pagavano le tasse e mangiavano
una volta al giorno.
Gli uomini facevano i lavori pesanti, le donne lavoravano nei campi e ai bambini veniva insegnato a
rubare nei negozi e nei mercati; alle bambine veniva insegnato a cucinare per il re e per gli adulti.
Un giorno arrivò un nano, che voleva diventare re, con lui c’era un grandissimo amico, che era un
cavallo molto bravo e visto che il suo amico era piccolo di statura, il cavallo lo aiutava a salire.
Nel paese trovò un anziano, che gli raccontò tutta la storia delle condizioni dei sudditi. Il nano e il
suo cavallo decidono di liberare il paese.
Prima di tutto si comprano spade e scudi.
Una sera si liberano delle guardie, poi vanno a liberare tutti i prigionieri, infine giungono davanti al
re, lo prendono e lo mettono in prigione.
Gli abitanti decidono che il loro re sarebbe stato il nano. Il nano e suo migliore amico cavallo sono
felicissimi, anche se non hanno una principessa. Da allora vivono felici.
L’amore per i figli (E.)
C’era una volta in un paese dell’Inghilterra Medievale,una regina bella giovane e generosa, ma
oramai vedova da due anni e l’unica sua compagnia era la figlioletta di 10 anni, di nome Charlotte.
La giovane regina era talmente amata, che non aveva quasi nessun nemico. Dico “quasi” perché la
sorella della regina era una fata conosciuta nel regno come portatrice di dolore e disgrazia. La fata
non aveva molto a cuore la regina e lo sapevano tutti da sempre che voleva uccidere la regina e la
piccola Charlotte.
Al trentesimo compleanno della regina, la fata si recò di nascosto nel castello e lanciò sulla
scrivania della bambina un rossetto di colore rosa lucente.
Durante i festeggiamenti la fata andò nella stanza della regina e le lasciò un messaggio sul muro,
scritto con lo stesso colore del rossetto: “L’amore per tua figlia ti distruggerà.” Dopo se ne andò.
Alla fine della serata e dopo che gli ospiti sene erano andati, Charlotte se ne andò nella sua stanza e
trovò il rossetto, ma appena se lo mise sulle labbra, si trasformò in una splendida gatta.
Intanto la regina nella sua stanza leggeva il messaggio e si disperava, andò subito nella stanza della
principessina o meglio dire gatta (oramai).
Trovò la gattina e disperandosi le chiese di Charlotte, la gatta disse che era lei stessa Charlotte e che
il rossetto era incantato. Poi le fece vedere un antico libro di incantesimi, e disse alla regina che
l’unico modo per farla ridiventare umana, era quello di mettersi il rossetto. Il problema era che se la
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regina si fosse messa il rossetto, avrebbe spezzato l’incantesimo e avrebbe distrutta la persona che
lo aveva creato, ma la sostanza del rossetto l’avrebbe uccisa. La era una prova che le sarebbe
costata la vita.
La regina prese il rossetto e se lo spalmò piangendo. Prese in braccio la gatta, che era ridiventata
principessa e le disse: “cara, tu mi hai aiutata a distruggere la malvagità della fata, ma lei aveva
ragione: l’amore per te mi ha uccisa”. E la regina morì.
La vendetta della fata (V.)
C’era una volta una regina che si chiamava Rita, lei era amata da tutti i suoi sudditi, perché era
brava e buona con tutti.
Tanto tempo fa, la regina fece rinchiudere nelle celle del castello una vecchia fata, che aveva
commesso uno dei delitti più gravi: aveva tentato di uccidere la buona regina.
Però arrivò un brutto giorno: il giorno ela scarcerazione della fata cattiva, lei giurò vendetta.
Quando vennero a sapere della minaccia, tutto l’esercito del regno proteggeva la regina; erano tutti
molto spaventati, perché sapevano che la vecchia fata era molto potente e tutti la temevano.
Nel covo segreto la fata escogitò un terribile piano contro la regina; il piano consisteva in un
incantesimo che faceva sparire il ricordo della regina, cioè faceva in modo che lei non fosse mai
esistita, però aveva bisogno di uno strumento, che la regina usava spesso, cioè il suo rossetto.
Riuscì a rubarglielo e preparò la pozione.
Il gatto della regina, che le era molto fedele, aveva seguito la fata e scoprì il suo piano ed informò
la regina, dato che era un gatto parlante, quindi la fermarono in tempo.
Alla fine bruciarono sul rogo la vecchia fata, e la regina regnò di nuovo felice e contenta.
Il regno delle fate (G.)
C’era una volta un regno bellissimo, questo era chiamato “il regno delle fate”, ma per diventare una
fata, si dovevano superare tante durissime prove.
Come in tutti i regni che si rispettino, c’era una regina, di nome Marissa; ella era bellissima e
intelligente e buona, in poche parole era perfetta e tutti le volevano bene, tranne una fata di nome
Melinda, che la odiava, perché, siccome ogni anno bisognava fare dei test per passare ad un altro
livello, a lei non era stato permesso farlo ed era rimasta indietro di un anno.
Un giorno la regina decise di andare a fare una passeggiata per le vie del regno, ad un certo punto la
carrozza si fermò, e davanti ad essa trovarono una piccola gattina, metà bianca e metà nera.
Marissa si sentì molto in colpa, così la prese e la fece sua, per di più le diede pure un nome: Titì la
Bianconera.
Per tutto questo tempo, Melinda preparò vari e vari incantesimi, però non sapeva mai come farglieli
avere, ma si ricordò del suo vizio per il rossetto, così ne preparò uno sia per farla addormentare sia
per farla svegliare.
Il giorno dopo gliel’aveva dato e lei se lo mise subito, ma l’incantesimo non fece in tempo ad agire,
perché alla regina non piaceva tanto i colore, così lo diede a una sua serva , che dopo due ore si
addormentò.
La regina catturò Melinda, e le chiese di scegliere tra la pena di morte e diventare sua schiava, così
lei scelse di morire, e disse che non sarebbe mai diventata la schiava della sua peggiore nemica.
Così tutti vissero felici e contenti.
Il nano e il re ammazza cavalli (D.)
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C’era una volta in un castello un re, che tagliava le teste ai cavalli, per trovare il calice da vino, che
aveva mangiato un cavallo. In una foresta intanto, un nano di nome Pipino, che viveva in una
capanna, si ricordò di avviarsi verso il castello a Seckpinton.
Lungo il cammino trovò un cavallo catturato dai soldati, allora li prese e li buttò in acqua, liberò il
cavallo, salì sopra il cavallo e galoppò fino al castello.
Nel castello vide un drago, che voleva proteggere il fossato del castello dai visitatori, egli prese una
spada e colpì il drago.
Ad un certo punto il cavallo sputò un calice tutto d’oro, con dei diamanti ai lati, dentro c’era del
vino, tuttavia anche se il calice era rovesciato il contenuto rimaneva sempre intatto, non ne cadeva
neanche una goccia!
Egli capì che era una magia, allora entrò nel castello e affrontò il re e lo batté, ma con il potere del
suo calice, riuscì a vincere e a distruggere il sovrano, e vissero felici e contenti
Il nano e un calice da vino (M. M.)
C’era una volta un nano molto povero, ma che aveva un sogno nel cassetto: entrare nelle wwe.
Però c’erano dei problemi, perché un re li teneva schiavi e quindi non poteva andarci.
Per vari giorni e varie settimane, egli provò a scappare, ma non ci riuscì, perché c’erano delle
guardie davanti all’uscita con dei dobermann.
Una sera uscì di nascosto, si portò dietro un calice da vino e lo riempì di vino e veleno, per
addormentare le guardie.
Egli facendo finta che ci fosse una festa in onore delle guardie, gli fece bere del vino e si
addormentarono.
Mentre stava uscendo, incontrò un cavaliere su un cavallo parlante di nome Triple H, che gli disse
che se voleva poteva salire a cavallo, per andare in America ed entrare nelle wwe e diventare ricco e
famoso.
Arrivati in America, il nano voleva andare in un tendone, dove facevano le iscrizioni per le wwe.
Incontrò dei wrestlers di nome Big show e Kane e gli chiesero se voleva far parte della loro
squadra, per diventare ricchi.
Dopo 7 anni diventò ricco e ritornò nel suo paese, dove ammazzò il re.
Il nano e la sua famiglia vissero felici e contenti.
La Regina con un brufolo (E.)
C’era una volta una regina di nome Elisa. Ella era tanto bella, che quando andavano a trovarla si
incantavano. Possedeva una gatta di nome Bianca.
Un giorno andò in città, logicamente sulla sua carrozza, con la gatta. Tutto ad un tratto si incantò e
vide un ragazzo di nome Fabrizio.
Egli non era molto ricco, anche perché faceva il mercante, Elisa scese dalla carrozza e andò a
vederlo da vicino.
Chiacchierarono un po’, finché Fabrizio le chiese cosa faceva l’indomani sera.
Ella rispose che non aveva nulla in programma, così Fabrizio le chiese se voleva andare a mangiare
fuori a cena!
La regina, emozionata, accettò.
Così Fabrizio disse che sarebbe andato a prenderla l’indomani alle sette.
Elisa, quando ritornò a casa, andò subito a guardarsi allo specchio e si mise a urlare, perché aveva
un brufolo sul mento.
Provò di tutto, ma niente! Il brufolo era ancora là.
Ad un tratto apparse una fata, era la fata più cattiva e brutta che ci fosse.
Chiese ad Elisa perché si disperava, la regina le raccontò tutto e le mostrò il brufolo.
La fata, visto che era gelosa, le diede un rossetto.
50
Elisa se lo mise, me vennero ancora di più i brufoli, e non andò più a cena fuori.
Il desiderio della regina (Michelle)
C’era un castello lontano, dove viveva una regina bellissima e brava, che aveva una gatta che si
chiamava Serafina.
Un giorno la regina disse: “Vado a fare un viaggio per rilassarmi e stare tranquilla”, però lei non
sapeva quello che le sarebbe successo in quel viaggio.
Il giorno seguente si svegliò presto, si cambiò e portò con sé anche Serafina, perché non poteva
lasciarla da sola in quel castello grande.
Dopo tante ore, arrivarono in un posto brutto e non sapevano cosa fare, così presero una macchina.
La regina andò in un posto dove c’era gente povera, e guardava e si metteva a pensare, però c’era
anche della gente cattiva e c’erano dei ladri.
Di notte, non sapendo dove andare, dopo tanto girare, vide un albergo, chiusa la macchina e anche
Serafina, la regina scese a chiedere informazioni.
In macchina Serafina vide avvicinarsi dei ladri e con le sue zampe e le sue unghie li picchia, così se
ne andarono via subito; ritornò la regina e vide i ladri urlare tutti graffiati, ella si spaventò e per
quella notte alloggiarono in quel posto.
Il giorno seguente decisero di ritornare, però c’era un guaio: i ladri tornarono per vendicarsi e le
rubarono tutto. La regina non sapeva cosa fare, stava piangendo e prese il rossetto che la mamma le
aveva regalato e gli disse: “Aiutami a ritornare”. All’improvviso si ritrovarono gatta e regina nel
loro castello.
ALLEGATO 4
Dal brainstorming sui valori, si è stilata una classifica che è la seguente:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
La salute
La famiglia
Amore
Amicizia
Onestà
Rispetto
Ricchezza
Realizzare i sogni
9) Piacere
ALLEGATO 5
Nel cooperative learning è stato chiesto di dare per ogni gruppo almeno 4 definizioni di fiaba e
di dire almeno 4 cose che è in grado di fare la fiaba:
Cos’ è la fiaba?
A cosa serve?
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Gruppo I
Un racconto surreale
Aiuta a distinguere il bene dal male
La fiaba è un messaggio ai lettori
Stimolare l’immaginazione
Un racconto ispirato a un fatto reale
Far comprendere ai bambini le lettere
È un racconto con una morale
dell’alfabeto
Divertire i bambini
Gruppo II
Un racconto fantastico
Dà insegnamenti di vita
Un passatempo per bambini
Fa immaginare un mondo senza guerra
Un mondo fantastico dove tutti i bambini
e sofferenza
vorrebbero vivere
Arricchisce il nostro linguaggio
La fiaba è una cosa che non potrà mai avvenire
Serve a dirci che il dolore nella vita è
nella realtà
necessario
Gruppo III
Un insegnamento
Fa capire che bisogna essere onesti e sinceri
Una storia che fa divertire e rattristare
Insegna a vivere
Un racconto con una morale
Insegna e vendicarsi
È una storia fantastica
Insegna a insistere per i propri obiettivi
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Gruppo IV
E’ un racconto fantastico
Insegna ai bambini le conseguenze delle azioni
Storia per bambini
Isegna anche agli adulti
Qualcosa di magico
Insegna a leggere e a scrivere
Qualcosa di divertente
Fa imparare a sognare e a immaginare
Gruppo V
Un racconto di fantasia
Insegna delle regole
Una storia di un bambino magico
Insegna a leggere ai più piccoli e a capire
Un insegnamento per adulti e bambini
Insegna la differenza tra bontà e cattiveria
Un sogno
Serve a sognare
Gruppo VI
Storia con personaggi surreali
Fa imparare a leggere meglio
Storia che finisce con “ e vissero felici…”
Fa viaggiare con la mente
Racconto morale
Fa addormentare i bambini
Racconto divertente
Dà fantasia al cervello
ALLEGATO 6
Griglia di valutazione
Criteri e descrittori
Punteggio
Adeguatezza pragmatica
•
Aderenza alla consegna
•
Presenza degli elementi caratteristici
Punteggio
3
2
1
del genere testuale
•
Efficacia complessiva del testo
53
Caratteristiche del contenuto
•
Completezza delle informazioni
•
Pertinenza delle informazioni
•
Significatività
e
originalità
degli
elementi e delle idee esposte
Organizzazione del testo
•
Articolazione chiara e ordinata
•
Equilibrio fra le parti
•
Assenza di contraddizioni e ripetizioni
•
Continuità fra le parti
Lessico
•
Proprietà lessicale
•
Ricchezza lessicale
Morfologia e sintassi
•
Coesione testuale
•
Costruzione corretta delle frasi
•
Uso della punteggiatura
•
Modi e tempi verbali
•
Uso corretto dei pronomi
Ortografia
•
Accenti,apostrofi
•
Doppie
•
Uso dell’h
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RELAZIONE FINALE PER L`ESAME DI STATO - Roberto