2 Eventi Scala Giovedì 7 Dicembre 2006 Corriere della Sera LA G ENESI DELL’O PERA Verdi e l’Aida La vita 1813 Giuseppe Verdi nasce a Roncole di Busseto (Parma), in una famiglia di modesti bottegai. Affronta i primi studi musicali grazie al vecchio organista di Roncole. 1836 Ottiene il posto di maestro di cappella del comune di Busseto. 1837 Compone la sua prima opera «Oberto conte di san Bonifacio» che, nel 1839, viene rappresentata alla Scala. L’impresario Merelli gli commissiona due opere buffe e un’opera seria. 1842 Debutta alla Scala il «Nabucco» che si preannuncia un vero trionfo fin dalle prove generali, grazie all’entusiasmo di cantanti e orchestra. 1843 Con «I Lombardi alla prima crociata» presentata alla Scala si attira censure politiche ma la fama varca i confini italiani. 1847 Compone il «Macbeth». Quindi nel ’51 il «Rigoletto» e nel ’53 «Il Trovatore» e «La Traviata»: è la trilogia che lo consacra definitivamente. 1855 Invitato dal governo francese a comporre un’opera per l’Esposizione Universale scrive «I Vespri Siciliani» che ottiene enorme successo a Parigi. «La forza del destino», in scena per la prima volta a San Pietroburgo nel 1862, sancisce la fama mondiale di Verdi. 1871 L’«Aida», composta per le celebrazioni sull’apertura del canale di Suez, viene rappresentata all’Opera del Cairo. L’anno seguente, il debutto alla Scala. 1874 Compone la Messa da Requiem per la morte di Manzoni. 1887 Compone «Otello» e, nel 1893, «Falstaff»: entrambi debuttano alla Scala. 1898 Con «Quattro pezzi sacri» conclude la sua attività creativa. Muore a Milano nel 1901. GELO, POI PASSIONE DAL PO AL NILO 1871 La locandina della prima al Cairo DI ARMANDO TORNO V erdi non ne voleva sapere di scrivere un’opera per la «Cär i mè ragass, i’ ò puara ed cla benédeta pòcia». Tradotta in italiano suona così: «Cari i miei ragazzi, ho avuto pauterra dei faraoni, ma il viceré d’Egitto era innamorato follemente della sua musica. All’inaugurazione del Canale ra di quella benedetta pozzanghera». Che sarebbe poi il di Suez, il 17 novembre 1869, da quelle parti si sentivano Mediterraneo. Non c’entra dunque il motivo — come qualche mattacsoprattutto note e arie del maestro di Busseto: il 1˚ novembre aveva entusiasmato un Rigoletto, subito seguito da al- chione ha sostenuto — della «sfiga» egizia, che in quel temtre opere verdiane. Dopo quella stagione fatta di successi e po non era entrata ancora nelle superstizioni più accreditadi spese folli, si pensò di commissionare un lavoro ambien- te, giacché essa comincerà ad avere fortuna solo mezzo setato nell’antico Egitto. La scelta era indirizzata natural- colo più tardi, poco dopo le presunte vendette dello spirito mente a Verdi, ma furono presi in considerazione anche di Tutankhamon, la cui salma fu violata dagli archeologi inglesi dopo un sonno millenario. Anzi, in quegli anni non Gounod e Wagner. Tra il dire e il fare c’erano di mezzo i contatti, i favori, gli era difficile ordinare una nave di «vere mummie d’Egitto» sgambetti e anche l’umore da orso del maestro. Sappiamo e ottenerla a prezzi modici. Non è escluso che qualche bache il viceré d’Egitto investì dell’affare un suo uomo di fi- stimento pieno di questi cadaveri multiuso l’abbia visto lo ducia, Auguste Mariette, allora noto egittologo, fondatore stesso Verdi, quando soggiornava a Genova; del resto, tali del museo archeologico di Bulaq, presso il Cairo, insignito corpi imbalsamati giungevano nel porto ligure per essere anche del titolo di Bey. Costui — tra l’altro soffriva di ma- poi smistati — dopo un’opportuna triturazione — e ricalesseri seri e lasciava volentieri le rive del Nilo per farsi me- varne tabacco o intrugli amorosi. Certo, qualcuno finiva glio curare in Europa — cercò il contatto con Verdi tramite nei musei (a Torino portarono i più belli), ma è anche vero un altro francese, di cui era amico, Camille Du Locle, diret- che in Egitto, soprattutto nella tratta ferroviaria tra il Cairo tore dell’Opéra-Comique, che figura anche come coauto- e Alessandria, mummie intere alimentarono le caldaie delre del libretto di Don Carlos . Il nome era il migliore tra quelli possibili: Du Mistero e mistificazione Locle era l’uomo del grande Peppino in Francia e quindi era continuamente in contatto con il maestro di All’inizio il compositore non voleva impegnarsi in una Busseto e conosceva le tecniche per aggirare il suo caratteraccio e i tempi creazione per Il Cairo. Quindi accettò, ma non andò per presentargli una richiesta. Anche le ricerche più approfondite sulla genesi dell’ Aida non riescoalla prima. Superstizioni sui faraoni? No, mal di mare no a fare piena luce sulle trattative iniziali. D’altra parte, l’epistolario tra Du Locle e Mariette non risolve il problema e quello di Verdi non riporle locomotive e dovette intervenire il governo di Sua Maeta alcuna notizia sull’argomento sino alla fine di maggio stà Britannica per mettere fine alla poco onorevole abitudidel 1870. Si sa qualcosa da fonti indirette: di certo Du Lo- ne. cle fece scivolare nei discorsi la richiesta per la composizioIn ogni caso, dopo i primi approcci, dobbiamo immagine dell’opera nei giorni intorno al Natale del 1869, durante nare il rifiuto del compositore, un tira e molla che viene una sua visita a Genova; ci riprovò tre mesi più tardi, allor- dibattuto nell’epistolario Mariette-Du Locle: uno consiglia ché Verdi soggiornò a Parigi. Ma i due tentativi furono re- di assecondare la volontà del maestro per il non-viaggio, spinti. In genere manuali e biografie motivano il rifiuto ri- l’altro riesce a trovare un punto molle del carattere di Vercordando che il maestro non aveva voglia di recarsi in di e gli fa spedire le informazioni, le caratteristiche dello quel Paese lontano, perché mal sopportava i viaggi in ma- scenario et similia. re, e non gli sembrava il caso di intraprenderne uno. Sarà, A tali questioni si deve aggiungere quel po’ di mistero ma a Napoli ci andò con il piroscafo. Vale comunque la che in Egitto non manca mai, soprattutto furono tirate in pena notare che quest’idea, legata a una certa paura del- ballo tracce frammentarie di papiri dissepolti lungo le rive l’acqua, si è rafforzata grazie alla testimonianza di un pro- del Nilo per giustificare proprio lo scenario (ma tutto deve fessore d’orchestra parmigiano, tale Stefano Sivelli, che essere passato probabilmente da qualche plagio...). In era presente alla prima del Cairo. Una sua lettera alla «Gaz- ogni caso, va detto che del soggetto di Aida è difficile stabizetta di Parma» dell’11 luglio 1913 reca appunto la notizia lire quale fu la vera origine se non la pura fantasia; ci basti con una frase in vernacolo, che gli confidò lo stesso Verdi: inoltre sapere che Mariette si arrangiò e riuscì nell’impre- sa. Non furono né le sue insistenze, né quelle di Du Locle a convincere Verdi, forse nemmeno quella cifra da capogiro che rappresentavano i 150 mila franchi del tempo (non vanno sottovalutati, data la taccagneria del compositore), probabilmente tutto si risolse dopo la lettura dello scenario dell’opera. Quanto al denaro, occorre ricordare che fu una richiesta scritta espressamente dallo stesso Verdi, il quale prometteva comunque di realizzare il libretto a sue spese e ancora a sue spese avrebbe mandato una persona per concertare e dirigere l’opera. La scelta cadde sul contrabbassista cremasco Giovanni Bottesini, dopo l’impossibilità di Muzio e il rifiuto di Mariani. Per quel che riguarda il libretto, firmato da Antonio PRIMA Ghislanzoni, va detto che in realtà fu scritto da Verdi DELLA stesso e il letterato si limitò «PRIMA» a verseggiare i minuziosi appunti del musicista, come del resto testimonia la loro densa corrispondenza. C’è da aggiungere che anche se l’Egitto in quel tempo era di gran moda, il musicista non I costumi ne sapeva più di tanto e volle documentarsi sugli struSono quasi menti e sui costumi di quelcinquecento la terra. A Parigi, sotto la guigli abiti di da di Mariette, si fece il rescena. Nella sto, vale a dire scene e vestifoto, quello di ti. E siccome la Ville Luun sacerdote mière fu investita dalla guerra franco-prussiana, si dovette far slittare sia la prima del Cairo, sia l’esecuzione alla Scala. Ma questi, come si suol dire, sono inconvenienti noti. Tra lo scenario, il lavoro di Ghislanzoni e le rappresentazioni occorre metterci la creatività di Verdi. La quale fu particolarmente felice in questa occasione e soltanto le malelingue cercarono di ricordare che per l’edizione milanese dell’8 febbraio 1872 aveva ideato una sinfonia che saggiamente non fece eseguire perché gli riuscì bruttina e che dovette riscrivere l’aria di Aida «O cieli azzurri». Il maestro di Busseto, in realtà, trasportò sulle rive del Nilo quel che si agitava nel suo spirito, compresa qualche aria popolare che era nata accanto al Po. Sarà vero, non sarà vero, comunque da generazioni si ripete che la supplica delle sacerdotesse alla gran Madre Iside egli la ricavò modificando il richiamo di un venditore di pere cotte operante in quel tempo a Parma. Poi l’opera divenne un miracolo e non riuscì più a lasciare le scene, con o senza elefanti. Ma questa è un’altra storia. Chissà se un giorno riusciremo a raccontarvela. LE LETTERE IL CARATTERE EMERGE DA APPUNTI E COMMENTI SPEDITI ALL’EDITORE E AGLI AMICI «Vedrete quando i Tromboni urlano...» Prima titubante, poi immerso nella stesura dell’opera, infine impegnato in mille appunti sui personaggi, le scene, la musica. Ecco alcuni stralci di lettere scritte da Verdi. A Camille Du Locle, che propose a Verdi il soggetto di «Aida» maturato da un’idea dell’archeologo Mariette-Bey: Nel libro «Etudes sur l’Espagne contemporaine» leggo un resoconto d’una commedia di Lopez d’Ayala che mi pare eccellente per l’Opéra Comique. È certamente difficile giudicare da un resoconto, ma a me pare che il soggetto vi sia. Se voi siete della mia opinione, trovate la commedia e fatela tradurre. (25 aprile 1870) A Du Locle, che aveva inviato a Verdi un biglietto di Mariette-Bey del 28 aprile il quale scriveva che il re era «vivamente contrariato e addolorato dall’ipotesi di dover rinunciare alla collaborazione del Maestro Verdi», e ventilava di chiamare Gounod o Wagner»: Ho letto il Dramma spagnolo di Ayala. È fatto da mano maestra, ma è freddo, e per la musica non mi par fatto.... Ho letto il programma egiziano: è ben fatto, è splendido di «mise en scene», e vi sono due o tre situazioni, se non nuovissime, certamente molto belle. Ma chi l’ha fatto? Vi è dentro una mano molto esperta. Sentiremo ora le condizioni pecu- niarie dell’Egitto, e poi decideremo. (26 maggio) . Ancora a Du Locle: Prima di tutto bisogna che mi riservi tempi a comporre l’Opera, perché si tratta di lavoro a vastissime proporzioni. Ammettendo dunque ch’io possa arrivare in tempo eccovi le condizioni: 1˚ Farò fare il libretto a mie spese; 2˚ Manderò a mie spese persona a concertare e dirigere l’opera al Cairo; 3˚ Manderò copia dello spartito e lascerò l’assoluta proprietà del libretto e della musica pel solo regno d’Egitto. In compenso mi si pagherà la somma di 150.000 franchi pagabili a Parigi nella banca Rothschild. (2 giugno) . Al senatore Giuseppe Piroli: Vi dissi che sono occupato. Indovinate!...A fare un’opera pel Cairo!!! Auf, io non andrò a metterla in scena perché temerei di restarvi mummificato, ma manderò una copia dello spartito, e riterrò l’originale per Ricordi. (16 luglio) A Giulio Ricordi su Ghislanzoni, il librettista proposto dall’editore: Gli ho scritto che può mettere le sacerdotesse. Annunciate pure l’opera del Cairo. Alla Scala si com- bina o no? O bene o niente. Non dimenticate che ci vuole una gran donna per Aida, e un baritono a voce mordente per Amonasro; e la massa buona, buonissima, arcibuonissima. (12 agosto) Ad Antonio Ghislanzoni: Mi pare che questa scena della consacrazione non sia riuscita dell’importanza che mi aspettavo. I personaggi non dicono sempre quello che devono dire, i preti non sono abbastanza preti. Parmi altresì che la «parola scenica» non vi sia, o se è, è sepolta sotto la rima o sotto il verso, e quindi non salta fuori netta ed evidente... (14 agosto) A Ricordi dopo la prima del Cairo, a dimostrazione che Verdi considerava la rappresentazione egiziana una prova generale, suscettibile di modifiche, mentre il vero debutto sarebbe stato quello della Scala: Vi mando una sinfonia ancora bagnata d’inchiostro che forse metteremo avanti «Aida»... In ogni modo abbiamo sempre il preludio: vi ho fatte alcune aggiustature. Vedrete in sul finire della sinfonia quando i Tromboni e Contrabassi urlano il Canto dei Sacerdoti; Violini ad istromenti a fiato gridano la gelosia d’Amneris, vi è il canto d’Aida fatto fortissimo dalle Trombe. Quello squarcio o è un pasticcio, o un effetto. Ma non può essere effetto se le Trombe non hanno attacco, suono e squillo. (13 gennaio 1871)