CARMINE MARIO MULIERE Antologia critica Abito d’Artista CARMINE MULIERE: L’ARTE NUOVA Il pensiero pittorico di un lirico del colore conseguenza di un’arte priva dello scopo del messaggio interiore dell’artista. Quest’arte espressa soventemente in mostre personali e collettive non è educazione pittorica del visitatore, non è il messaggio della vera arte, è solo il manifestarsi pittorico di breve durata che muore nell’istante in cui si modifica l’atmosfera contingente di una mostra. Oggi l’artista che ha della vera arte nelle vene, vive sotto la coppa plumbea di questa società borghese, corrotta, soddisfatta e conservatrice. Domina l’illusione di un modo di vivere composto di speculazioni; ci consola il fatto che ci sono nella vita e quindi nell’esistenza, il fermento, nel travaglio, di forze nuove, troppo a lungo represse e compresse dall’ignoranza e dal pregiudizio. Esse sono queste: l’aspirazione dell’uomo verso la sociologia e a sviluppi di cultura, nel rinnovamento di una progressività di pensiero sia nell’arte che nella vita, in una uguaglianza nella libertà che liberi l’uomo dalla necessità per elevarlo ad umanità nella vita e nel pensiero, nell’esistenza e nel sentimento. Ecco perché un’opera pittorica ed artistica in genere non può piú essere né deve essere semplice imitazione della natura; ma un’opera d’arte deve avere elementi interpretativi di stati d’animo individuali con fini senza confini di forme, colori, volumi, pensieri collettivi. L’arte deve essere risonanza tra uomo ed umanità, tra umanità ed universalità della verità. L’arte è, quando è arte: intuizione, eco, specchio interiore che può e deve suscitare azione profonda di pensiero verso ideali piú alti, che non si accordano con la caccia spietata, spesso comperata o raccomandata, al successo. Il successo cosí acquistato è il caos, la mascherata dell’arte e dello pseudo artista. Questa introduzione è evidentemente, ma volutamente, uscita dai limiti strettamente inerenti la personalità artistica di Carmine Muliere. Queste digressioni non sono neppure superflue perché varranno ad inquadrare lo studio che il critico fa di lui per proporlo nel solco d’infuturamento dell’arte. Con le sue ultime creazioni: Equilibrio della vita: esistenza, Il male del secolo, Delusione, Notte del 20 ottobre, e quasi tutta la sua produzione, Muliere apre un discorso pittorico scevro di pregiudizi, apre un discorso da cui vuole trarre considerazioni generali sulla società del consumismo, dell’arrivismo, del razzismo. È nella manifestazione pittorica di Carmine Muliere che si sente la maturità e la grande necessità di esprimere le sue mete interiori e cioè l’insorgere di un’atmosfera morale, uno sforzo a perseguire mete educative in un colloquio tra l’arte, l’artista, il critico ed il pubblico. Le opere recenti sono la possibilità di azione che possiede l’arte, è la sincronia tra colori e simbolismi, è l’espansione cromatica e volumetrica del suo mondo pittorico interiore in un colloquio teso a liberare l’uomo dai rozzi sentimenti che ha per l’arte. È la parola, il linguaggio del colore e delle forme, che vuole comu- O gni periodo di cultura porta alla manifestazione di un’arte propria, la cui espressione è data dai valori intuitivi e dalla realizzazione immaginativa dell’artista. L’arte, quindi la pittura di Muliere, è un messaggio! Oggi, XX secolo, l’arte deve essere una rottura dal tradizionale esprimere una sola realtà: quella visiva. L’arte come e sola realtà visiva, non costruisce temi, non propone risoluzioni interiori, quindi non assolve al dovere di esprimere un’opera d’arte che sia messaggio di un mondo delle idee e del pensiero. Tra l’arte nuova di Carmine Muliere ed alcune forme tradizionali del passato v’è una differenza sostanziale ed essenziale. L’arte tradizionale che esprime e riproduce il visivo è di natura esteriore; mentre l’arte nuova di Muliere è di natura interiore ed ha perciò in sé il germe del futuro con un nesso di profetico. Tutte le forme d’arte di rinnovamento adempiono al dovere di un messaggio quando sono veramente creazioni artistiche che siano azione del pensiero, nell’arte, nell’uomo, per l’umanità. Molta è la gente che va passeggiando tra decine e centinaia di tele esposte in mostre collettive, questa folla anonima piú che guardare, studiare in un quadro un’opera, quindi entrare nel mondo interiore dell’artista per comprenderlo in ciò che intende esprimere, s’interessa della firma e delle quotazioni; quando poi ha esaurito il suo peregrinare tra una tela e l’altra, se ne va altrettanto povera di pensiero e di conoscenza pittorica di quando è venuta. La folla, la gente che visita le mostre, gironzola per le sale e trova le opere graziose o non graziose a secondo del proprio gusto o guarda in funzione dell’abbinamento con l’arredamento del proprio appartamento e spesso acquista solo perché un quadro nella sua cornice meglio si addice alla sua carta da parati. Guardare le opere esposte con questi soli fini è offesa che la gente fa all’artista, con cuore freddo, con animo assente e pensiero indifferente all’arte. È anche evidente che l’uomo, l’artista, che potrebbe anzi dovrebbe con la sua opera dire qualcosa, non ha detto o suggerito nulla al suo simile. Spieghiamoci perché avvenga ciò: oggi l’artista non è un pensiero libero ma è soggetto alla commerciabilità, ma ancora piú grave è che l’artista è oggetto di un mondo protenzionistico e clientelistico che lo spinge al compromesso con il premio acquisto, e non è piú spinto all’arte per l’arte ma alla semplice soddisfazione della sua vanagloria e avidità. Ed è cosí che ci si lamenta di un eccesso di concorrenza e super produzione pittorica e il piú delle volte nelle mostre non si cimentano l’emulazione e la fraternità ma si fomentano odio, partigianeria, invidia e manie possessive di premi e spesso si osservano intrighi distributivi di meriti che non premiano certamente il vero valore artistico. È la 2 tà oggettiva, quei valori artistici ideali; valori che hanno sfidato i secoli e che diedero, danno e daranno sempre la gloria, il piacere, le speranze al genere umano, ormai saturo di ogni soddisfazione e sofferenza. Ma l’artista, uomo dotato di una forza sconosciuta, sia nel bene che nel male (sta a noi individuare ed assimilare ciò che riteniamo piú valido), sarà sempre all’apice della direttiva sociale come forza precursoria, promotrice di ogni iniziativa psico-scientifica. Muliere, artista molisano, è uno di quei rari geni che emergono dalla spumeggiante arte contemporanea, egli è uomo artista autentico, alieno da ogni preconcetto di piccolo borghese e quindi lontano dall’autodefinirsi divino. È l’uomo artista rivelatore del vero bello oggettivo, forza ideale, intramontabile ed intrinseca (le forme brutte son di tutti ed effimere). Muliere riesce a trasformare tutte le bellezze delle proprietà cromatiche in una forma artistica, nuova, idilliaca, ma che è pur sempre esistita nell’essenza pura dello spirito dell’universo, riesce ad intercettarla e per mezzo della sua facoltà, direi soprannaturale, la fa conoscere pittoricamente agli eccelsi amanti del bello, dell’amore, della vita. nicare all’uomo la sua libertà a liberarlo dalla rozzezza della indifferenza, per interessarlo ad un colloquio che sia un pensiero di risonanza del tempo nello spazio di cui la protesta sociologica ed antipregiudiziale si avverte sin da oggi. Muliere apre con il suo linguaggio pittorico, un discorso che nel suo cromatismo rinnega la paura della verità e le sue composizioni come Arte nuova abbattono i pilastri del pregiudizio, dell’ignoranza, dell’incoscienza. Non vi è fortezza che non si possa abbattere ed espugnare e quando questa fortezza ha a guardia l’egoismo, si può abbattere con la coerenza e la verità. Muliere si batte con la sua creazione pittorica contro i servi ubbidientissimi che trafficano con il drogaggio della ambizione ai premi assegnati con faciloneria. Le opere di Carmine Muliere sono pura melodia di intimo sofferto interiore sentimento; ecco perché ebbi a definirlo un lirico del colore e prima ancora di conoscerlo dopo aver osservato una sua opera in una mostra collettiva gli lasciai questo scritto: Un primo incontro tra il critico e l’artista. Un incontro di pensieri espressi nella colorazione. Lievi tocchi come fughe, magiche espressioni che da percezioni divengono sensazioni di un futuro pittorico che sa d’infinito. Oggi la sua nota pittorica è musicalmente colore e forma, è espressione di vita e di pensiero in una escatologia di forme e volumi geometrici che sono affidati ad un colore che è calore umano. È, la sua arte, un discorso che irradia armonia di un principio di pensiero coloristico che parla e sa di vita esistenza pensiero verità. Carlo Terranova Presentazione catalogo mostra personale Galleria La Vela, Genova maggio-giugno 1972 CITY, maggio 1972, Genova MIGLIORANDO, Galleria La Vela Alfredo Casoria (Ergos, Sogre) Presentazione della mostra personale Sala comunale di S. Elena Sannita 1971 Nuovo Caleidoscopio, dicembre 1971, Roma M uliere è un giovane pittore molisano, che vive a Roma. In questa sua personale alla Vela presenta opere che rivelano un disegno di gusto apprezzabile, una naturale tendenza all’armonia compositiva, un pacato uso del colore. Manca forse un po’ di fusione disegno-materia, sicché finiscono per prevalere i lineamenti formali del quadro. Nei pezzi piú recenti si nota peraltro una tendenza dell’artista a superare le pastoie con un piú libero uso del colore. I l Muliere, nel corrosivo fluire delle vicende umane, filtra l’immagine poetica della natura, diffusa nel tempo e nello spazio, per ottenere l’espressione visiva di una melodia cromatica in un istante lirico e la psicologica indagine della realtà. Un discorso continuo, nuovo, cromatico ma pur sempre umano nell’arcano silenzio della tela ove si dispiega magicamente l’angosciata visione d’un mondo nostalgico vibrante di luce. Sergio Paglieri SECOLO XIX, sabato 20 maggio 1972, Genova Roger Gallizzi Nuovo Caleidoscopio, dicembre 1971, Roma CARMINE MULIERE C armine Muliere è presente, in questo periodo in Calabria ed in Liguria, dove è impegnato con due mostre personali. Le opere, di nuova figurazione, anche se rappresentano una pittura essenzialmente scarnificata, sono tutt’altro che povere, anzi derivano dalla propria essenzialità una felice suggestione. Cosí le sue figure femminili, moderne come impaginazione e come taglio, dalla delica- Un artista molisano alla Vela - LA BELLEZZA DI MULIERE N el frastuono attuale del mondo della pittura, dove tutto è considerato valido o tutto superfluo, si evidenzieranno sempre, alla vista della real- 3 rata. Tutta una tradizione artistica che si rifà alle ricerche dei maggiori temperamenti italiani e stranieri del ‘900, è culturalmente presente nelle opere di Muliere. A noi sembra che proprio qui risieda il maggior merito del giovane pittore: cioè nell’aver saputo fondere, con estrema sensibilità, la sua visione personale con la tradizione figurativa. In numerose delle sue creazioni ci sembra di intravedere un mondo misterioso che si realizza tramite la feconda immaginazione del loro autore, pur restando, tuttavia, opere semplici, spontanee ed estremamente chiare. Muliere ha sempre rifiutato gli aspetti commercialistici dell’arte, scelta questa che non è dovuta esclusivamente ad una sua sentita moralità di comportamento, ma che si riflette integra nelle sue opere che nulla concedono al superfluo, allo spettacolo, all’estetizzazione formale. Parlando del suo carattere non possiamo dimenticarci che in questi ultimi tempi della sua attività, l’artista ci sembra cresciuto in maturità. La sua arte oggi si interessa a tutti i ceti e classi sociali, alla umanità in senso lato. Egli è capace di commuoversi alla vista di un oggetto o di un fenomeno naturale, di fronte al quale gli altri sorvolano distrattamente, perché nella semplicità della natura egli trova gli spunti piú fecondi della sua poesia. Il messaggio che ci comunica è lirico e sociale ad un tempo, ci rende partecipi e responsabili del suo significato coinvolgendoci totalmente. Di lui hanno scritto noti critici: Carlo Terranova, che cosí lo definisce sinteticamente: Muliere riesce a trasformare tutte le bellezze delle proprietà cromatiche in una forma artistica nuova, idilliaca, ma che è pur sempre esistita nell’essenza pura dello spirito dell’universo. Alfredo Casoria: Le ultime opere di Muliere sono la possibilità di azione che possiede l’arte, è la sincronia tra colori e simbolismi, è l’espansione cromatica e volumetrica del suo mondo pittorico interiore in un colloquio teso a liberare l’uomo dai rozzi sentimenti che ha per l’arte: ecco perché ebbi a definirlo un lirico del colore. Ancora una testimonianza che viene dal poeta francese Roger Gallizzi (amico del pittore) al quale ha dedicato un intero libretto dal titolo Come nasce un pittore e una gradevole poesia che ci piace riportare per intero: Non è un poeta / ma una luce errante / che porta con sé / i vasti sogni dell’Infinito. / Fiorisce nel tempo / senza radici. ta sensualità, con una trama concisa e ben definita graficamente, rasentano la sensazione di una contemplazione onirica. Questa maturità Muliere la deve alla sua macerazione, al suo profondo senso d’analisi. Muliere, infatti, invece di arrestarsi opportunisticamente ai valori acquisiti, ha sempre proseguito ascoltando la sua voce interiore, approfondendo e chiarificando il proprio rapporto fra l’io ed il mondo. Generoso Romano Nuovo Caleidoscopio, giugno 1972, Roma CARMINE MULIERE È possibile forse giudicare una ricerca artistica non da ciò che narra, produce, inventa, ma da ciò che indica e appena rivela, da ciò che nasconde o fa riemergere appena, dalla tenuità di un tessuto di armonie profonde, dalla visionarietà di contenuti onirici, dalla prospettiva surreale in recupero di memorie lontane, di infanzie remote, dal futuro apocalittico che furtivamente grava sul presente, da ciò che inventa nel delirio di lontane e cabalistiche visioni. Carmine Muliere è un pittore capace di intrecciare sogni surreali e danze oniriche, racconto del lontano vivere apocalittico, e armonie di colori, di strutturare in un’unica spirale formale l’insignificante della vita, come ripetizione ed eco di luce, col mistero fragile di mondi archetipici freudianamente rivelati. Il gusto violento per una vita eccitata, la tensione per l’oblio apocalittico, l’amore per i misteri sognati da sempre ma mai accolti lí dove la vita diventa scelta ed opzione fondamentale, impegno etico, ossia nella pittura, sono questi i paradossi e i capricci, le debolezze ed i sentieri inseguiti da Carmine Muliere. Una pittura di luce. Luce fuggitiva ma pura e raccolta. Tremante e solida, infernale ed ambigua. Pittura del Tremendum e del Vacuum, come la morte. E la vita. Carmine Benincasa Mostra personale Sala Stampa Italiana - Palazzo Marignoli, 1973 Roma Fides Rara CINEPOP, gennaio1973, Roma ARTISTI CONTEMPORANEI, Carmine Muliere CARMINE MULIERE: Un felice ritorno - La sua personale - oli, sculture e incisioni - aperta a Pietrabbondante fino al 20 agosto D otato di una tecnica raffinata e di ottime capacità disegnative, Muliere si distingue fra gli artisti contemporanei, non solo per la diversità di stile, ma soprattutto per la ricerca sempre impegnata degli argomenti trattati. Anche quando l’oggetto è una natura morta, noi vediamo nell’ambito stesso dell’oggetto, un’intenzione ben precisa di andare al di là della semplice comunicazione figu- U n felice ritorno, quello del pittore Carmine Muliere nella sua terra. Allontanatosi dalla sua S. Elena Sannita quando il fervore creativo non poteva piú resistere nella chiusa cerchia di un piccolissimo ambiente, quando l’esplodere della sua 4 tazione psicoanalitica delle opere d’arte, ivi compresi quelli di Sigmund Freud, del suo collaboratore Breuer e di Jones e di Maria Buonaparte e di Laforgue, di Bachelard, di Adler, di Jung e dei nostri Servadio, Perrotti, Musatti e Miotto, mi chiedo sin dove la psicanalisi sia effettivamente scienza e non mitologia e fenomenologia dell’inconscio. In proposito scrive Giuseppe Sormani (Dizionario delle Arti - De Agostini - Novara):...è fuori di dubbio che l’analisi condotta su questo terreno vale ad estendere l’orizzonte dell’esperienza artistica, a illuminare i motivi piú profondi, a chiarire il senso di una sfera di umanità che davvero sembra urgere sotto la superficie dell’anima. Ma, senza voler dare giudizi che spettano alla scienza, non si può tralasciare di osservare che la psicanalisi rischia di confondere le condizioni con le cause e di vedere in uno stato psichico l’origine di attività umane che, indubbiamente, hanno cause e finalità superiori e non possono essere ricondotte ad una astratta situazione psichica... Nel timore di compiere un atto di crudeltà e nella convinzione che il Sormani abbia perfettamente ragione, tratterò della pittura di Carmine Muliere servendomi degli elementi concreti che essa produce, elementi rilevabili e raffrontabili con l’esperienza umana dell’artista e con quella piú banale del nostro livello quotidiano. vena lo trascinava verso piú ampi orizzonti, torna ora nella Pentria con un nome affermato, con un curriculum critico di tutto rispetto, con una larghissima produzione frutto di un estro di larga prolificità. Espone a Pietrabbondante, in concomitanza con le manifestazioni teatrali che gran folle di intenditori richiamano sugli scanni lapidei del Teatro Pentroromano. La sua personale, comprendente pitture, sculture e incisioni su metallo, resterà aperta fino al 20 di agosto. Arte nuova è stata definita quella del Muliere da Alfredo Casoria ed anche da un noto critico parigino, Gallizzi Roger, su di una rivista francese. Lo è infatti. Ad un primo esame potrebbe notarsi un accostamento a Marc Chagall: la stessa fluidità poetico-cromatica, la stessa evanescenza descrittiva. Se ne discosta, e decisamente, nell’argomentare tematico. L’angoscia di un mondo che ha abbandonato un suo schema vitale e, nella ricerca di uno nuovo, ritorna ad una cosmogenesi da cui attende lo scaturire di una diversa realtà. La fede, la scienza, quale delle due potrà fare da fondamenta al mondo nuovo? Il momento sociologico pare voglia cogliere il Muliere ed operare in esso con possibilità simbiotiche tra fede, intesa quale rigenerazione, e scienza, intesa quale attività evolutiva della mente umana. Vi riesce ? Non sappiamo valutarlo, ma il solo tentare siffatta tematica è da giudicare positivamente. Nella scultura, cui anche attende con risultati felici, il Muliere vuole scoprire, vuole tentare nuove esperienze. Una chiusa pietra ci apre il suo mondo e con precisa arte maieutica porta alla luce quello che mai pensavi potesse contenere. Dal chiuso alla luce, ed è il momento-passaggio di tale fase evolutiva che l’artista si compiace di cogliere. Anche qui il travaglio del divenire è motivo d’angoscia, quell’angoscia democritea insita nel panta rei; non certo l’angoscia di distruzione di chi crede nell’inutilità dell’esistere, ma quella sofferenza nel travaglio rigeneratore da cui scaturirà la verità dell’essere. Pino Amatiello Roma 1975 CARMINE MULIERE: Artista poliedrico e incisivo D al contesto delle opere di questo artista molisano si rivelano due radici espressive che solo in apparenza sembrano divergere. La visionarietà fiabesca dei suoi dipinti è contrapposta alla stringata solidità plastica delle sue sculture. Una versatilità elaborativa che non si discosta mai da una comune chiave onirica con riferimenti memoriali all’ambiente in cui è nato e vissuto per tanti anni. Un mondo che Carmine Muliere si porta dentro e che si manifesta con un sentimento quasi naïf nelle liriche atmosfere coloristiche dei suoi quadri. La folla dei personaggi e dei paesaggi che affollano le sue tele, integrandosi e sovrapponendosi in assoluta libertà compositiva, hanno la levità incorporea della semplice narrazione popolare. Alberi dall’aspetto umano, muri delle case animati da visi e voli di colombe radenti, finestre e porte che sintetizzano paesaggi ideali. Echi di presenze lontane che il pittore rende con emotività esuberante e tonalità vibranti dimostrando una rara padronanza della sintesi pittorica e dell’equilibrio formale. Nelle sculture la figurazione è piú realistica e compiuta. L’intaglio e lo scavo si fa piú scabro ed essenziale Mario Di Nezza Il Mattino, domenica 5 agosto 1975, Isernia SULLA PITTURA DI CARMINE MULIERE, Testimonianza di Pino Amatiello T estimoniare a volte è esercizio di crudeltà. Viviamo nel dubbio e nell’incertezza. Beati coloro che possono presumere di possedere la sintesi e l’attendibilità del giudizio. Beati i depositari della verità: da esecrare, anche, se lasciano noi nella piú bieca oscurità, godendone, forse, con il piú intellettuale cinismo possibile. Tutte le volte che leggo di vari tentativi di interpre- 5 ripescando ataviche fisionomie e volti che sembrano convivere simbioticamente con l’organica materialità dei reperti. Sintesi memoriali che il Muliere realizza con una ieraticità iconica che attinge valori da un profondo senso religioso della vita. Nei disegni, dove la mano corre piú libera e felice, l’artista dà via libera ad una fantasia piú sbrigliata raffigurandoci, con perizia chiaroscurale, una umanità in lotta con i problemi esistenziali e la degradante emarginazione sociale. Una denuncia evidenziata con una copiosa aggregazione segnica ed una pregnante partecipazione emotiva. notte dei tempi. Muliere è già approdato alla sua Itaca e sa bene destreggiarsi nelle sue metamorfosi: calza l’accostamento chagalliano della fluidità poetico-cromatica vista dal Di Nezza. Muliere è per me un aedo della pittura, con una sua profonda tematica compiutamente riuscita; l’esperienza che si è formata sulla tecnica mista, sulla litografia ne fanno uno scultore-pittore congruo che riesce a rappresentare una nuova divina commedia senza rinnegare la realtà che viviamo con i suoi tecnicismi e i provocati esacerbamenti di una natura ormai ecologicamente compromessa. Giulio Cialini La Nazione, 18 aprile 1976, Firenze Antonio Coppola Galleria Colosseo 1976, Roma MULIERE e la Pittura come metafora PIÚ QUALITÀ MENO QUANTITÀ C D onoscendo ed osservando la pittura di Carmine Muliere ho avvertito nei suoi quadri una problematicità saettante, un pionerismo alla Livingstone. Muliere si trova nell’arena della teatralità della vita quasi per gioco, invischiato dalle leggi cosmologiche e da prospettive metastoriche. Non è facile spiegarsi perché Muliere vive in uno spazio tridimensionale, calandosi anima e corpo a rintracciare cabale e sinfonie wagneriane. C’è un forte bisogno di comunicare, di dare la giusta funzione a certi contenuti che soffrono parossisticamente il proprio atto enunciativo; l’essere che pigia sui tasti di una impalcatura freudiana, tutto un corollario crudele e tormentoso vigila i sogni di questo pittore ironicamente balzante quando c’è una visione da catturare, da costringere alla resa e scaricarla dal suo veleno agrodolce. Raramente s’incontra un artista cosí dialettico con se stesso, cosí ambiguo pure, ma non solitamente passatista. La sua pittura è verticistica, piramidale fino alla vertigine, voglio dire che non si riscontrano segni di iniziazione, di ABC pittorico, è logico evidenziare una scaturigine di simboli e metafore che acquistano una aderente decantazione là dove è piú marcata l’ossatura narrativa simbolica e oggettivale. C’è una verità nel discorso di Muliere? La verità è nel sapere trovare Muliere non tra i franchi tiratori di una scuola, ma nelle ragioni profonde di quella società rivoltata nei suoi straniamenti, nelle verità che ci propala. Muliere vigila allo scoperto gli antefatti di protesta e di amore che hanno mosso la mano fino a suggerirgli una mitologia orientale pensata in chissà quale grado della coscienza. Quanto sia Ulisse a cercare la sua Itaca, non l’immagino cosí Muliere, bensí lo vedo manipolatore estroso della sua creta e dei ferri del mestiere, affabulando assai dal suo favoloso armamentario di simboli, di miti e di allegorie che si perdono nella i Carmine Muliere, pittore e scultore molisano, rileviamo, che la sua ansia espressiva non sempre riesce a concretizzarsi in piani e volumi, dal momento che una insorgente inquietudine o una liricità inquietante rende labile l’impianto costruttivo, fino a stemperarlo in una sfumatura coloristica ora stridente, ora timbrica, ora angosciante. Nella scultura, ove la decisa istanza costruttiva risulta dettata dalla forza del togliere piú che da una inclinazione al modellato, Muliere dimostra questa sua connaturale icasticità, a volte ruvida e popolare, ma densa di umori e di lieviti che appartengono piú all’urlo ed al dissidio espressionista, che alla labilità simbolistica ed animistica del colore. Un artista che se riuscirà a contenere la sua labilità ed a dare significato alla sua forza espressiva, avrà non poco da dire nell’ambito della pittura e della scultura contemporanee. Luigi Tallarico MOSTRE - ARTISTI - CORRENTI, Piú qualità meno quantità, Secolo d’Italia, mercoledí 5 gennaio 1976, Roma CARMINE MULIERE R aro è trovare un giovane artista che unisca conoscenza di mezzi tecnici, alla capacità di esprimersi con validità linguistica. Ma per Carmine Muliere, promettente alfiere dell’arte, la materia o il pennello sono strumenti efficaci all’ispirazione del momento. L’arte è verità e sentimento, espressione di sensibilità e ansia di ricerca. Per Carmine Muliere è anche sofferenza, tormento dell’essere che assiste al dramma della umana esistenza. L’iter operativo si alterna fra la pittura, la scultura, la grafica nella ricerca di una propria espressività. Interessante è rilevare la persona umana, risolta sempre con tratti essenziali e ben 6 In effetti, Carmine Muliere, piú che essere interessato dal gioco dei volumi e dalle prospettive (egli è anche scultore, ma nella scultura svolge un altro discorso), affonda il suo interesse negli equilibri tonali, nelle belle composizioni, nell’articolata varietà dei colori, nella estrema piacevolezza degli insiemi, anche quando, per il tema o per la carica emotiva, potrebbe facilmente rifugiarsi in una figuratività a toni bassi. dosati accordi cromatici, che accentuano profondità di emozioni in una trama concisa quanto ricca di pathos. Tramite lo strumento dell’arte, Muliere opera un’indagine conoscitiva su se stesso e sul mondo che lo circonda. Un mondo basato sull’ingiustizia e costruito con la sofferenza. Un mondo aggressivo e spietato, lanciato nell’orbita della repressione dei valori e del sentimento per far esplodere, come azione di riflesso, ogni sorta di cieca violenza. Domenico Policella IL TEMPO d’ABRUZZO, giovedí 11 agosto 1978, Lanciano (CH) Vanna Armeni Lo Zeffiro n.6, luglio-agosto 1976, Milano MACCHIE, raccolta di poesie pubblicata nella Collana PREMIO diretta da Letizia Carile, premessa di Mario Verri, Lo Faro Editore, Roma CARMINE MULIERE L a poesia e la musicalità delle opere di Carmine Muliere non fanno parte di un’atmosfera lieve e romantica, ma di un prorompente mondo fantastico-onirico, carico di vicende passate da raccontare. È l’animo dell’artista che attinge dal bagaglio di questo mondo per narrare storie di guerre, di pace, di amore, di odio, di felicità e di sventura. La trasposizione artistica sulla tela del dipinto, o sulla massa della scultura, è fedele alla visione dell’artista ed alla sua immaginazione, come ricca è proprio la fantasia dell’uomo del Sud. Muliere, infatti, è nativo di S. Elena S. (IS) e, dalla sua terra natale, egli ha tratto quelle caratteristiche prettamente meridionali uniche per il profondo fatalismo e per la ricchezza immaginativa. Anche per quanto riguarda la raffigurazione tecnica e cromatica, l’origine è sempre data dalla sua terra, il Molise, dove le donne vivono costrette dalla rigida tradizione e dove il paesaggio possiede i colori inconfondibili del Sud. Possiamo definire Carmine Muliere come il pittore dell’uomo nella storia, il pittore che dell’uomo narra con tristezza e drammaticità, le sventure e le cattiverie, con slancio e passione le gioie ed i successi. Certo è che l’artista ha tanta umanità e tanta sensibilità da comunicare: il suo mezzo di comunicazione l’ha trovato nell’arte, non saprei dire se meglio con la pittura o con la scultura; certo è che una è il completamento dell’altra. C armine Muliere, una ricerca. Carmine Muliere, la contraddizione, l’insicurezza, il bisogno di essere capito, il dubbio creativo. Tutta questa interiorità titanica e contraddittoria si trasfonde nella sua opera, la permea, la compenetra, presentandoci il Muliere com’è veramente. Certo il Muliere è un artista; lo sa ed è inutile ripeterglielo. Quel che invece noi vogliamo dirgli è che nelle sue opere troviamo infiniti dettagli, piccoli, grandi, palesi, nascosti, trasferiti e constatati dal suo bisogno interiore di appagarsi apparentemente e procedere oltre; ma ancora manca un piú grande respiro, la fatica della vita è ancora presente nei suoi lavori, essi riflettono quella piccola, potente luce che sta lottando tra il fango provocando immensi sconvolgimenti per giungere alla vetta, alla Realizzazione. All’inizio del viaggio della Ricerca-Realizzazione di se stesso e degli altri, il Muliere, in buona parte, riflette fortemente e sentitamente, con chiara struggente nostalgia e sentimento, le vicende e i luoghi suoi natali, dona e pretende ad uno stesso tempo tenerezza e sicurezza. Pian piano, tra formidabili contrasti (lo vediamo dalla violenza e dalla dolcezza delle sue opere), comincia a trasformarsi, trasferendo finalmente alla sua opera piú ampio respiro, piú Universalità. A questo tende il Muliere. Clara Mariani Lo Zeffiro n.6, luglio-agosto 1976, Milano Mario Verri 1976 Roma SUCCESSO DI Muliere Carmine Muliere: MACCHIE, Edizione Lo Faro. C P armine Muliere, un interessante pittore molisano, sta riscuotendo notevole successo di pubblico e di critica a Lanciano, presso la galleria Lo Scalino in via Bocache (traversa di Corso Trento e Trieste, vicino alla nostra redazione), ove sono esposti una ventina dei suoi lavori piú significativi, prodotti dal 1971 a tutt’oggi. er la Collana Premio presentato da Mario Verri, copertina dell’autore che, tra le pagine poetiche, include pure suoi disegni di un certo pregio e sincronia con l’afflato poetico, questo grazioso libretto invero originale per la sua sintesi di raccoglimento e tutt’altro che trascurabile per le evocazioni tutte interiori contenute. 7 auspicato e tanto tenacemente perseguito. C’è qui l’uomo e l’artista: aspirazioni e delusioni, solitudini e desideri e tanta umanità che domanda, che chiede, che dice: ho “bisogno d’amicizia: cercata-data-perduta e ritrovata: ripersa: (risultato) SOLITUDINE. Una equazione matematica senza risolvenza perché c’è sempre quella x...che non darà forse il (suo) risultato: un dilemma shakespeariano: riuscirà la colomba (la pace) ad essere libera? (da una scultura dell’autore). Ecco l’assillo del cuore, dell’anima di questo poliedrico artista. Poesia densa, riassuntiva di un pathos personale, d’uno stato d’animo speciale e originale e che stanno di bronzo in quello sguardo profondo dell’uomo (già bimbo e già vecchio - che si lascia possedere dal silenzio dell’aria...). Un uomo che con un pugno potrebbe spezzare la scorza dell’albero per provare la sua forza interiore e che fa fatica ad evadere, in una delusione patita e sopportata - racchiusa in un involucro particolare: un uomo che si specchia nell’antico spirito del padre di suo padre...per sopravvivere, per rimaner fermo come quercia, forte davanti alla statua eterna del tempo inesorabile dell’Umanità. Carmine Muliere, un nome con un marchio indelebile di autentico artista e poeta: a lui i nostri complimenti. Franco Fano Catalogo Mostra personale Teatro Civico, agosto 1978, Norcia (PG) IL MEGLIO DI MULIERE IN MOSTRA A LANCIANO C armine Muliere, il noto pittore molisano che vive a Roma, è tornato a Lanciano per la seconda volta, alla galleria Lo Scalino, in via Omobono Bocache. Questa volta l’artista ha mostrato il meglio della sua piú recente pittura ed anche alcune sculture, che sono certamente originali e significative. Un discorso sulla sua arte l’abbiamo già fatto l’anno scorso, ma forse è il caso di ribadire alcuni concetti fondamentali, per meglio inquadrare la sua personalità. Lungi da ogni esigenza di perfezione accademica, Carmine Muliere esprime in tutta libertà un suo affascinante mondo onirico, che è sostanziato piuttosto di un’insanabile angoscia esistenziale che delle fantasie innocenti e fanciullesche. Il senso della morte, certi sdoppiamenti della personalità, i fantasmi e le paure ricorrenti della nostra breve e triste vita di uomini sono rappresentati, di solito, a colori delicati e tenui e con un disegno lieve. Anche nelle sculture - che sono realizzate nella pietra viva delle nostre montagne - il nostro artista diventa sottile e ricercato, per il complesso simbolismo, ed estremamente equilibrato, per il movimento delle masse e dei volumi e per il gioco delle luci. Nino Scalisi 1976, Pordenone CARMINE MULIERE S cultura, grafica, pittura sono tre proposizioni di uno stesso discorso culturale per Carmine Muliere. Un discorso che, proprio come Maritain chiedeva all’artista, marcia nella rotaia della filosofia con una ruota e con l’altra ruota nella rotaia del sentimento, in perfetto parallelo. Un discorso, però, i cui accenti sono rigorosamente umani, umanamente risonanti con il battito cardiaco della società presente. È perciò un discorso concreto, che fa da testimonianza della quotidianità del nostro tempo e, insieme, proposta per una prospettiva diversa, libera da questa alienazione d’oggi. Musil, forse, forse Mirò, forse altri maestri ancora hanno vagamente influenzato il composito dettato di questo giovane artista, che tuttavia ha filtrato ogni esperienza al setaccio della propria acuta sensibilità giungendo sulla tela e sulla carta e nella materia a risultati sempre originali nella dimensione estetica. Dove plasticità e segno e colore assumono valori singolarmente descrittivi esclusivamente ai fini della rappresentazione visibile del messaggio che dicevo, e che Maritain appunto (ma, dal suo versante, anche T. S. Eliot) troverebbe valido alla costruzione di quel tempo migliore Domenico Policella IL TEMPO d’ABRUZZO, 20 settembre 1978, Lanciano (CH) CARTELLA METASOLE, 3 litografie di Muliere per il romanzo Metasole (Rizzoli) di Francesco Volpini. Una pubblicazione della Galleria Toninelli di Milano in collaborazione con la Tipografia Iuliano di Roma e realizzate da Luigi Rianda per la Casa Editrice System Graphic di Roma. Presentazione di Elio Filippo Accrocca e Adolfo Chiesa T re numeri, tre frasi, la prima a pagina 54: l’intelligenza non nasce dal nulla. La seconda a pagina 57: incapsulati nella gabbia, solo una forza esterna fresca ingenua vitale può salvarci. La terza a pagina 58: ci sono i confini dell’Universo? Osservate il rapporto tra intelligenza e nulla, tra gabbia e forza, tra confini e universo: tre binomi che a mio avviso stanno alla base sia del romanzo che delle lito, in apparente interdipendenza di 8 significati, restando invece pienamente autonomo il risultato della duplice ricerca. Il libro, ad una analisi innestografica, coinvolge e sconvolge per la piena di interrogativi che Francesco Volpini si pone alternando narrazione e analisi, spazio e tempo, presente e passato/futuro, l’uomo e l’infinito, realtà e fantasia, società e cosmo, la parte e il tutto. Non so con quale procedimento logico-visivo Carmine Muliere abbia ricavato le tre litografie da Metasole, né m’interessa sapere la consistenza dei tre punti di contatto tra la pagina e il segno. A tale livello di lettura l’uomo-ragazzo sembra procedere realmente col radar tra le dita, e nella mente, per conoscere il congegno di un giocattolo che ha appena migliaia di anni, nel tentativo di dare volto all’ombra in cui siamo ancora avvolti. Che altro possono fare lo scienziato, il biologo, il poeta, l’artista? Decifrare le regole dei numeri: algebra scolpita nelle viscere di epoche sopite al nostro sguardo, o che cerchiamo di comprendere attraverso il segno di un gesto, la macchia d’una linea, le voci graffiate dell’inconscio, ecc. Un itinerario appassionante che ha avuto inizio da tanto, da sempre, com’è facile dimostrare... Interrogarsi da dove veniamo, cosa siamo e dove andiamo affascinò Gauguin. L’uomo ha sempre voluto abbattere le porte nei corridoi kafkiani, vedere al di là del muro per sciogliere un enigma. Capire è una salita, una disperazione. Ma forse già lo sguardo è un velo di simboli, parole, suoni, segni. Interrogare i segmenti del reale e la nostra relativa capacità che ci lacera. Non siamo che frammenti del cosmo, virgole d’universo, furtive scintille del caso. L’altrove, cioè la soglia della proporzione umana, è al di là delle nostre presunzioni e discordanze. La scienza indaga come la ragione. Ma la parola/segno non è la scintilla che accende il fuoco? te grande corrisponde l’analogo dell’infinitamente piccolo, vuol dire che stelle e fiori si disseminano e si intrecciano con la stessa misteriosa casualità, non piú che aggregati, tanto quanto in noi si stratificano immagini, pensieri, ricordi, ognuno con i loro colori, fittamente intrecciati. E non è diverso il linguaggio. Viene poi, se si vuole, il momento del risveglio. Ma a volte il risveglio si perpetua nell’incubo stesso, non se ne esce, lo sposta illusoriamente dal cielo nella profondità della terra, dalla vita (se era vita) alla morte, che poi può essere spettrale sopravvivenza di immagini, semi o barlumi ficcati dentro a maturare o a dissolversi. Metasole cristallizzava quei mobili aggregati stellari o floreali (e umani) in una storia. E in tre tappe le litografie di Carmine Muliere segnalano alla memoria i punti fermi di quel percorso. Elio Filippo Accrocca Luigi Tallarico Secolo d’Italia, venerdí 5 maggio 1978, Roma Adolfo Chiesa MOSTRE A ROMA, Muliere C on la presentazione della cartella Metasole di tre litografie (Toninelli), eseguite da Carmine Muliere per il romanzo appunto, Metasole di Francesco Volpini, (Rizzoli), si è celebrato il gemellaggio tra la letteratura e la grafica, confermando la indissolubile unione che data, come si sa, da lunga pezza. Come hanno felicemente confermato i presentatori, tra cui Elio Filippo Accrocca e Adolfo Chiesa, non si è trattato di una pedissequa illustrazione, quasi una trasposizione di situazioni dal romanzo nel segno grafico, bensí di una traslitterazione di significati e di linguaggi, legati alla memoria, nel rispetto di un’autonomia espressiva ed estetica. C armine Muliere sembra aver distillato a suo modo, nelle tre litografie che qui si presentano, l’aroma del romanzo Metasole di Francesco Volpini. Voglio dire: non c’è illustrazione, e c’è invece memoria. Come se di un intero e vasto paesaggio, da assaporare passo per passo in tutta la sua complicata complessità, Carmine Muliere privilegiasse soltanto tre luoghi di sosta, che però nel ricordo assumono da soli pieno valore riassuntivo. Nel romanzo il protagonista vorrebbe situarsi in rapporti umani astratti e inoffensivi, come quelli che legano tra di loro le stelle raggruppate in costellazioni. È un astronomo: naturale che veda se stesso, mentre vive la contraddittoria rete dei suoi amori, come dentro una vecchia mappa stellare, drammaticamente, direi teatralmente, animata di figure che si spartiscono, incuneate una nell’altra, tutto il cavo dello spazio. E poiché all’infinitamen- MULIERE, CARTELLA METASOLE A ncora un incontro culturale di grande rilievo alla Libreria Croce di Roma per la presentazione delle litografie di Carmine Muliere ispirate al romanzo di Francesco Volpini Metasole, Ed. Rizzoli. Presentatori di eccezione per l’artista: Elio Filippo Accrocca e Adolfo Chiesa. In questa sede ci interessa parlare delle opere dell’artista tralasciando ai critici letterari il giudizio sul romanzo. Basterebbero queste originalissime litografie per confermare il valore del poliedrico artista che ha già dimostrato, in mostre di grande successo, il suo talento come pittore, scultore, incisore. Nella litografia Danza di fiori l’artista ha reso in maniera sorprendente il mistero delle stelle; non 9 punti stilizzati nel grande vuoto del cielo, ma stelle trasformate in fiori nati da un’arida terra. Due elementi: il mistero impalpabile ma luminoso delle stelle che illuminano la materia rappresentata dagli steli contorti tesi quasi a voler rubare una stella come fiore. Nella litografia La vita continua Muliere ha proseguito il suo discorso artistico che lo ha portato a rappresentare il dolore umano confortato da una speranza di resurrezione. Dalla terra che custodisce il corpo di un bimbo si diparte da un grande tronco secco un lungo stelo con un grande fiore all’estremità. Domina la scena una figura di donna in dissolvenza che raccoglie nel suo grembo il bimbo che è nato a nuova vita. Dolore e speranza che danno agli uomini la voglia di continuare, malgrado tutto, a vivere su questa terra inseguendo la luce. Linee, colori, contorni rendono le opere di Muliere una manifesta scelta di operare lontano dagli schemi precostituiti e di facile godimento. I riconoscimenti per questo suo impegno non mancano: il gruppo Poeti di Piazza Navona, che riunisce i maggiori poeti viventi a Roma, hanno affidato proprio a Muliere l’interpretazione grafica delle loro opere poetiche. Entro la fine dell’anno uscirà una strenna che ha solo un neo: sarà riservata a pochissimi e se ne sono lamentati collezionisti ed amici che soltanto di sfuggita potranno godere del nuovo impegno artistico di Carmine Muliere. Fernando Sarandrea 1978, Roma NATURA E RADICI, raccolta di versi, di pensieri e documenti del lavoro artistico. Presentazione di Elio Filippo Accrocca, pubblicato nel 1978, Alberto Iuliano Editore, Roma I l poeta non nasce all’improvviso né si esprime soltanto con le parole. La poesia è una condizione, fa parte del carattere: è dimensione del vivere, un accostarsi alla realtà, viverla e misurarla con il metro dell’esperienza e della cultura, concentrando il visibile e l’invisibile nella lente di un obiettivo personale, o affidandoli al grandangolare del continuo esercizio, o captandoli con il laser dell’analisi, ecc., utilizzando materiali comunicativi di vario genere, verbali e segnici, innestografici, che includano linee, forme, volumi, variazioni tipografiche e visualizzazioni, concettualità, il continuum che assorbe e dilaga dal conoscibile all’inconoscibile, dal consenso al dissenso, dal particolare all’universale, dal segmento al cosmo... Questi sono i mezzi espressivi, linguistici e strutturali, di Carmine Muliere che usa parole e colori, penna e pietra, alfabeto e oli, sintassi e legni, verbi e incisioni, per dare di sé una globale dimensione d’artista, ormai acquisita a vari livelli con prove e risultati che trovano notevoli consensi critici. Da alcuni anni il giovane Muliere (di origine molisana), esercita professionalmente la propria attività qui a Roma e in altre città italiane dove tiene mostre di pittura, scultura, grafica, e ha pure pubblicato già qualche raccolta di poesie e considerazioni, rivelando serietà d’interessi e capacità di stile su cui poggia una nutrita esperienza di ricerca culturale, fatta di letture e naturalmente di incontri: una ricerca che oggi approda a un nuovo volume che raccoglie versi e pensieri, oltre che documenti del suo lavoro artistico. Il suo è un linguaggio d’ascolto su cose vive, concrete. Osservazioni del tempo (non solo ancorato al quotidiano), racconto di attimi che incidono, assenza/presenza, condizione sociale, contestazione, oppressione, macchine, cortili, officine, nervosismi, dubbi, protesta, molotov, incendi, arresti, delusione, consapevolezza: questi i temi della sua poesia, intesa come parola, quadro, scultura, incisione, vetrata. ...Noi siamo il prodotto dei nostri pensieri. Pensare / vedere / volere / conoscere / sapere / è divenire... Non mancano quindi alla sua osservazione i risultati di una pensosa conoscenza, frutto di quel saper cogliere i sintomi dell’inquietudine che è tipica della sua generazione. Conoscendo il suo lavoro di questi anni e apprezzandone pubblicamente gli esiti in piú dimensioni, posso dire che Carmine Muliere s’è avviato su strade di sicura riuscita, sia come poeta che come artista, perché non tradisce né le sue radici né la sua natura umana. È fedele alla continua ricerca esistenziale, intesa come metamorfosi, con i modi di una civile creatività, in cui per fortuna rimangono i segni del dubbio, cioè quella voglia di capire e di capirsi che è il perenne ciclo dell’uomo. E lo confermano queste pagine e queste opere, le quali nascono da esigenze interiori, quasi da uno stato di apprensione che si libera da ogni residuo liricizzante per tramutarsi in graduale testimonianza di sé e per gli altri, in liberazione della materia per divenire simbolo, pensiero, non elusiva evasione ma ulteriore forma inventiva, rivelatrice di profondi contenuti surreali che hanno l’eco di luce remota ai limiti del mistero. Qui è la sua forza introspettiva, la sua razionale religiosità che si fa pietà umana e incisione contro l’ipocrisia, l’emarginazione, l’inquinamento della coscienza. Elio Filippo Accrocca 1978, Roma 10 CARMINE MULIERE: NATURA E RADICI A vevo creduto, sfogliando in sulle prime questo libro, di avere di fronte una delle tante raccolte di versi, rese, nell’intenzione dei loro autori, piú suggestive e cattivanti dalla riproduzione di opere d’arte figurativa; peggio ancora, di essermi imbattuto in una poesia volta ad illustrare quelle opere, quasi come una loro raffinata didascalia o una loro trascrizione in altro linguaggio. È vero che in alcuni casi la poesia ha felicemente colto l’essenza di altre forme espressive, quasi potenziandole nel suo filtro (dai versi danteschi sulle miniature di Oderisi al Cantique des couleures di Paul Valéry affiorano alla memoria suggestivi esempi della possibilità di fissare nella parola poetica il senso piú profondo e vero di altri linguaggi artistici), e d’altro canto piú volte nel corso della storia - in maniera teorizzata e diffusa nell’età neoclassica - la poesia si è proposta come stimolo e modello alle creazioni figurative: Sdegno il verso che suona e che non crea; / Perché Febo mi disse: Io Fidia primo / Ed Apelle guidai con la mia lira. Ma, per alcune eccezioni, quanti tentativi naufragati di poesie miranti a rendere l’essenza di una musica, di un quadro, di una statua. E poi ogni arte ha una sua totalità, raggiunta con particolari mezzi espressivi; né può quindi integrarsi con l’aiuto di altri linguaggi, che oltre tutto ne turberebbero la casta assolutezza, né può conservare il suo significato e il suo valore affidandosi ad un altro sistema semantico, il che avviene perfino nelle traduzioni da una lingua all’altra o nelle copie di opere figurative, ove nessuno sforzo potrà mai creare l’equivalente perfetto dell’originale. Ma mentre almanaccavo questi pensieri venivo anche accorgendomi che qui siamo di fronte a un fenomeno diverso: quello di un poeta che si realizza parimenti in linguaggi artistici diversi e l’uno può illuminare l’altro, ma senza mai scadere ad essere in funzione dell’altro, autonomo e persuasivo e felice ciascuno per un impegno che si avverte serio e per una dote nativa di temperamento. Attratto da un sotterraneo richiamo, il poeta ferma il suo sguardo sulla figura della maternità, una del suo gruppo scultoreo L’albero della vita, e non per compiacimento, ma quasi per penetrare quel grumo d’emozioni e pensieri da cui l’opera è nata e che enigmaticamente serba nel suo volto. Questo indugio su un particolare, che acquista rilievo imprevisto ai suoi occhi e sommuove il fondo oscuro della sua anima, gli appare strano, perché, confessa quasi incidentalmente, “di solito mi piace nulla di quello che faccio dopo averlo fatto”. Non siamo di fronte a un piú o meno consapevole senso tra romantico e decadente della inadeguatezza di ogni espressione rispetto alla volontà di comunicare quanto oscuramente si agita in noi, né al riconoscimento di una sconfitta, magari ostentata come segno di privilegio. Vi è qualcosa di piú sincero e persuasivo in queste parole: la consapevolezza che l’arte è un impegno serio e quotidiano, che all’artista si richiede quella totale dedizione all’opera che ha per le mani, senza vagheggiamenti volti al passato e al futuro, che il momento dell’indugio compiaciuto può spegnere la ricerca inquieta per la piú facile maniera. Artista di temperamento il Muliere, ma anche sorvegliato e consapevole della necessità di una disciplina come elemento connaturato e non estrinseco alla struttura profonda della poesia. Di qui un notevole senso di riserbo e di misura, la capacità di sfuggire le soluzioni facili, l’essere al di fuori delle poetiche cristallizzate in mode, il non contaminare esperienze e linguaggi diversi, quasi intuendo il pericolo di un descrittivismo figurativo o di un pittoricismo o plasticismo verbale. L’impressione di questa contaminazione potrebbe nascere dal considerare il libro nella sua materialità tipografica: siamo convinti che una castità anche esterna si addirebbe meglio alla natura vera di questo poeta cosí autentico, cosí già realizzato, ma anche cosí ricco di possibilità e di imprevedibili sviluppi. Mario Scotti 1978, Roma CARMINE MULIERE: NATURA E RADICI N on ancora trentenne, molisano, Carmine Muliere ha dovuto lottare duramente per la vita e la realizzazione del suo sogno. Ha lavorato di giorno (un lavoro qualsiasi, all’americana) studiato di sera, di notte: oggi si è affermato come pittore e scultore con un notevole curriculum (esposizioni, pubblicazioni, testimonianze critiche). Muliere è anche poeta, come dimostra il recente, e crediamo terzo, volume di versi, Natura e radici, illustrato con riproduzioni di sue sculture e pitture, e presentato con convinzione critica da Elio Filippo Accrocca. La poesia per lui non è semplicemente un hobby o un’attività secondaria nei confronti della professione (dell’arte), ma semmai un complemento, un mezzo in piú offerto all’esigenza di esprimersi, di comunicare. Si hanno in argomento precedenti illustri: basti citare De Pisis, Bartolini, Messina. Non si cerchino qui riferimenti a scuole o movimenti, né adesione o meno a regole formali. Avverte Accrocca: Egli utilizza materiali comunicativi di vario genere, verbali e segnici, innestografici, che includano linee, forme, volumi, variazioni tipografiche e visualizzazioni, concettualità, il continuum che assorbe e dilaga dal conoscibile all’inconoscibile, dal consenso al dissenso, dal particolare all’universale, dal segmento al cosmo...Il tema preferito da Muliere e che si configura quasi come un leit-motiv, è quello del pensiero, della comuni- 11 cazione (e del silenzio, naturalmente). Il pensiero ha tanta potenza da avverare le nostre speranze, addirittura da modellarci (noi siamo il prodotto dei nostri pensieri). A qual fine un pensiero di una potenza impensata? Per la libertà di tutti, per ogni essere e aspetto del mondo. Riuscirà la colomba ad essere libera? chiede a sé e agli altri l’artista riferendosi ad una sua scultura che ne simboleggia la prigionìa. E risponde suggerendo agli invisibili interlocutori: pensala libera...volerà! C’è fede nel lato migliore dell’uomo in questa utopica certezza, c’è un senso di religiosità nel contare sulle risorse umane mai ancora esercitate. Vorremmo davvero che molti fossero animati da cosí nobili desideri e propositi e che essi avessero la forza - data per certa dal poeta - di vincere tendenze opposte, finora tanto prevalenti da toglierci ogni speranza. Ugo Reale Nuovo Mezzogiorno, novembre-dicembre 1978, Roma NATURA E RADICI fu presentato nel corso della serata inaugurale della mostra personale tenuta alla Galleria e Biblioteca Comunale PORFIRI patrocinata dal Comune di Nettuno (Roma) nell’ottobre del 1978. Insieme a Elio Filippo Accrocca intervenne il prof. Mario Petrucciani il cui intervento, ampliato successivamente, divenne la premessa del volume DALL’ESPERIENZA del 1982 Questo l’intervento di Accrocca: C armine Muliere rappresenta una delle voci piú autentiche, piú genuine, piú serie della cultura di oggi. La sua origine molisana non lo ha fatto chiudere in una sorta di elegia del paese, della provincia, gli è servita, invece, ad ampliare il suo orizzonte, la sua carica culturale, la sua ricerca a vari livelli e ci ha portato un nome, un artista ed un poeta che rappresenta bene la sua generazione. Noi, questa sera, abbiamo di fronte delle opere: disegni, dipinti, sculture e c’è anche un volume di poesie, del quale, il prof. Mario Petrucciani parlerà piú ampiamente. Questo libro di poesie è un dato importante della ricerca globale di Carmine Muliere: si presenta anche come poeta. Questa qualità di poeta non è un capriccio: ce l’ha interiormente anche quando si manifesta con la pittura, con la grafica, con la scultura. È essenzialmente un poeta dei nostri anni e la sua matrice poetica si rivela in tutta la sua manifestazione artistica. Questo, a mio avviso, è un dato da sottolineare perché non è soltanto un autore di opere ma un ricercatore di immagini e la parola è, soprattutto, ricerca di immagini. Carmine Muliere riesce ad innestare questi aspetti della realtà esterna ed interiore, riesce ad innestare questa sua ricerca a vari livelli: quindi anche come poeta. Come pittore, chi ne ha seguito la storia, sa qual’è la strada che persegue. È una ricerca della realtà anche interiore: non è solo quello che si vede. Il suo apparente realismo viene bruciato proprio da quella componente poetica per cui la realtà di Carmine Muliere diventa un’altra cosa. Ed è quella sensibilità del poeta che trasforma il volto, l’immagine, l’albero, la pietra, la natura. Tutto ciò viene trasformato proprio da questa sensibilità dell’artista che è anche poeta. Di Muliere si sono interessati critici famosi. È un artista che opera ad ampio raggio: si occupa di edizioni, qui abbiamo un esempio ancora fresco, uscirà il volume dell’INQUIETUDINE con dieci litografie di Muliere e poesie di alcuni scrittori contemporanei. E questo è un tema. Che cosa va sottolineato di questo giovane e non piú promettente ma effettivo artista di oggi?: la sua capacità di stile che è riconoscibile: un’opera come questa scultura (Casa e figure), ne parlavamo poco fa, che rappresenta una casa, le pareti: le pareti che vivono, che si illuminano e si adombrano di immagini, è rara. Per chi ha gli occhi puntati sulla storia dell’arte sa che è difficile trovare un’opera come questa. La sua capacità di stile è unita alla capacità di raccogliere dentro di sé, prima che diventi opera, questi aspetti del vivere, dell’inquietudine, della famiglia, del paesaggio e li trasforma in opera d’arte. C’è anche da sottolineare questo senso di comunicabilità: oggi, chi legge certi testi letterari, chi osserva certe opere d’arte, rimane spesso un po’ perplesso: manca la comunicabilità tra l’artista e l’osservante. In Carmine Muliere questa comunicabilità è immediata, anche se, ripeto, non ha solo quell’aspetto realistico che all’apparenza può rendersi evidente. Questa comunicabilità è data poi dalla forma che egli cura con sapienza, dal colore che sa adoperare con intelligenza e dalla immagine che sa cogliere nella sua essenzialità. Ho detto prima di globalità di interessi o innestografia delle arti: in Carmine Muliere io ho trovato questa globalità a vari interessi: fa parte della sua ricerca anche la sua esperienza: egli osserva la realtà, ed è una realtà visibile ed invisibile, c’è il tempo e lo spazio nella sua opera, queste componenti si ripetono, affiorano sempre, in tutti gli strati della sua opera: visibile/ invisibile / tempo / spazio. Quindi alla fine vedete che non c’è solo arte nella sua opera ma c’è anche un fondamento di ricerca filosofica: questa ricerca dei grandi temi dell’uomo di oggi. In piú vorrei anche sottolineare questo senso del quotidiano: riesce a trasferire nell’area del quotidiano quegli aspetti del tempo e dello spazio che 12 sembrano cosí distanti da noi, dall’uomo, invece lui riesce a raggruppare questo significato in una materia quasi quotidiana: un volto, un pensiero, una posizione, un albero, una barca, un gruppo di famiglia, un incendio o il caos, ecc.: leggete i titoli delle sue opere. Tutto questo è frutto di pensiero e di idee. È un artista che crede nella possibilità, nella importanza, nella influenza che hanno il pensiero e le idee su tutti noi. E il risultato è il senso di creatività, quasi che, ogni cosa che Carmine Muliere tocca, diventa viva, ogni cosa anche apparentemente statica gli diventa immediatamente, attraverso quel pensiero e quella ricerca di idee, una realtà vivente. Quindi questo senso della creatività quasi come metamorfosi penetra nell’animo, nei problemi dell’arte contemporanea: niente staticità di forme: tutto è in movimento nell’opera di Muliere anche se, ed è giusto, perché i migliori artisti, i migliori scrittori, del ‘900 in particolare, sentono questa grave problematica al fondo della propria ricerca: il dubbio che rimane nell’opera di un artista, credo che sia sempre insoddisfatto, ed è bene che sia cosí, non del risultato ma della ricerca: va oltre, ha bisogno di altro e questo dubbio e questa voglia di capirsi e di far capire agli altri è alla base della sua opera. Quasi che la materia, può essere olio, pietra, legno o parola, diventa simbolo, diventa quasi un’eco di luce: e quanta luce c’è nella poesia di Carmine Muliere! Diventa, questa materia, anche fonte di mistero: una qualità che sta al fondo della sua ricerca. Egli non è solo quello che si vede: c’è un Carmine Muliere che rimane nascosto, quasi questa introspezione umana lo fa ragionare piú che parlare. Non grida: parla. Non l’ho mai sentito alzare la voce. Non promette nemmeno: non si sa quello che lui vuole fare, però opera ed ecco le conclusioni: non vince, convince. La tua opera, Carmine, convince ma, il fatto che tu non vinca lo cancello, perché quando un artista riesce a convincere vuol dire che ha già vinto. Questo volevo dirti. Volevo dirtelo qui, davanti ad amici ed in questa città che per molte ragioni mi è cara: dico a te queste cose perché Nettuno, per me, non è soltanto una galleria, non è soltanto una piazza, un posto di mare: è qualcosa di piú profondo, di quel mistero che sta dentro e che non posso e non voglio rivelare ad altri ma a te sí. Elio Filippo Accrocca 1978, Nettuno (RM) CARMINE MULIERE: DALL’ESPERIENZA EA Edizioni d’Arte - Roma Premessa di Mario Petrucciani V orrei soffermarmi brevemente sugli aspetti specificamente letterari del lavoro di Muliere. Purtroppo succede che ogni volta che si parla di letteratura è molto difficile resistere alla tentazione di sentenziare, come fanno quasi tutti, che la letteratura è in crisi. Questo termine crisi è diventato cosí diffuso e consunto, che c’è una crisi energetica, c’è una crisi della scuola, c’è una crisi monetaria, c’è una crisi delle istituzioni e forse corre l’obbligo di essere un pochino piú precisi. Le ragioni della crisi della letteratura, e non soltanto della letteratura, sono molte; sono ragioni storiche, ideologiche, sociologiche, ma soprattutto, forse, linguistiche. Una delle ragioni piú profonde di questa crisi è che il discorso sulla letteratura, in particolare sulla poesia, è diventato, da un po’ di tempo a questa parte, un discorso sui modelli. Cioè la storia della poesia è diventata di fatto, soprattutto attraverso le pagine di troppi critici (anche nostri amici), la storia delle poetiche: cioè la poesia ha risposto a questa crisi, proponendo una serie di modelli o di poetiche, cioè di tendenze, cioè di mode. Del resto mode e modelli hanno la stessa radice. Questi modelli, tipologicamente, si possono raggruppare sotto tre etichette che hanno piú o meno tenuto il campo negli ultimi decenni in Italia. La prima etichetta è rappresentata da quel linguaggio oscuro, cifrato, che è stato ripreso poi dal simbolismo francese soprattutto da Mallarmée e da Valéry e cioè il linguaggio e la poetica dell’ermetismo, che si esprime in un gusto raffinato, aristocratico, di atmosfere rarefatte e sottili, di parole difficili o addirittura oscure. La seconda etichetta o la seconda poetica, che è nata proprio in aspro conflitto con la prima, è stato il Realismo o Neorealismo degli anni dell’immediato dopoguerra, cioè una letteratura, una poesia che erano radicate proprio alle vicende della guerra e della resistenza, alla problematica di quegli anni difficili, letteratura intesa come ideologia, intervento anche politico, ma tutti ricordate che poi questa letteratura ben presto si è degradata a strumento di propaganda ideologica e partitica, si è degradata ad un repertorio di frasi fatte e di direttive conformiste. La terza risposta alla crisi, è la poetica dello sperimentalismo, dell’avanguardia e di quella esplosione anche commerciale che c’è stata in Italia negli anni 60/70 della Neoavanguardia che ha rappresentato una frenetica e, a volte, nevrotica corsa al nuovo, al nuovo inteso come linguaggio dirompente, di sorpresa, di shock. Ora, forse, questa terza poetica ha avuto qualche merito, per esempio, di svecchiamento del linguaggio poetico tradizionale ma, sta di fatto, che questo slancio di novità, di modernità, spesso si è risolto in un gioco 13 pirotecnico qualche volta anche divertente ma fine a se stesso. Un gioco di ghirigori, di arabeschi, di fuochi artificiali che in sostanza è parso spesso un gioco anche di elusione, di evasione dei problemi di fondo della realtà. Ora il critico si trova spesso, quando la mattina la posta gli porta sulla scrivania un libro di poesia o di letteratura, costretto, direi, condannato, a classificare i libri che riceve secondo queste tre etichette: Ermetismo, Realismo, Avanguardia. Perché?, perché spesso, in questi libri, non trova un potenziale di invenzione, di personalità, una autonomia espressiva, trova, molto frequentemente, un ricalco di modelli già noti. La prima constatazione che mi ha sorpreso in Muliere, direi favorevolmente, è che queste poesie, per loro fortuna, non appaiono classificabili in nessuna di queste etichette: cioè non assomigliano ad altre che abbiamo già letto. Del resto Accrocca ha detto questo anche dei quadri di Muliere, cioè non è facile trovare a queste pagine letterarie di Muliere antecedenti o modelli. Certo anche Muliere, come i maestri dell’Ermetismo francese, va in cerca di ragioni profonde sul destino dell’uomo contemporaneo, va in cerca di significati nascosti. Muliere può parlare dell’invisibile, di questi sentieri di fumo, di polvere impalpabile, ma tutto questo egli lo fa senza le astruserie, le astrazioni, i cerebralismi di marca ermetica e nello stesso modo, direi che Muliere non cade negli equivoci del Realismo e del Neorealismo. Accrocca ha detto che la poesia di Muliere certo nasce dal reale ma senza, appunto, nulla concedere a quella retorica del Realismo, anche se, nelle sue pagine come ha detto Accrocca per la pittura, si sente questa forte presa sul reale, sulla cronaca quotidiana, sul discorso parlato di tutti i giorni. Anche Muliere certamente è attento alle ricerche, alla ricerca linguistica e strutturale come i poeti dell’avanguardia, cioè anche Muliere ha sperimentato questa mistione e interconnessione di vari linguaggi comunicativi e questo, mi sembra, sia detto molto bene da Accrocca nella premessa di Natura e radici (1978): ...Carmine Muliere utilizza materiali comunicativi di vario genere, verbali e segnici, innestografici che includano linee, forme, volumi, variazioni tipografiche e visualizzazioni, concettualità..., insomma tutto il continuum delle forme comunicative e Accrocca continua dicendo: ...questi sono i mezzi espressivi, linguistici e strutturali di Muliere, che usa parola e colori, penna e pietra, alfabeto e olii, sintassi e legni, verbi e incisioni, per dare di sé una globale dimensione d’artista ormai acquisita a vari livelli con prove e risultati che trovano notevoli consensi critici... Muliere ha capito appunto che la comunicazione è globale, è dell’uomo intero. Già il titolo di questo nuovo libro, DALL’ESPERIENZA, è il segnale netto di una opzione prioritaria, che ci illumina sulle intenzioni profonde dell’autore. Poeta del reale, si è detto poco fa, ma del reale assiduamente indagato in una impetuosa e a volte dolorosa meditazione, che spesso è ricondotta al proprio io, addirittura in una sorta di autoanalisi. Non c’è dubbio, d’altra parte, che questa inclinazione riflessiva della poesia di Muliere abbia una carica decisamente morale (non moralistica): in tale ottica egli può quindi scorgere l’antica trappola dei sentimenti, può scrutare anche i minimi dettagli con piú acuminata accortezza: Renditi conto / della differenza. Ora, per tornare alla comunicazione globale di cui stavamo parlando, direi che in questa comunicazione il poeta porta una coscienza molto sveglia del linguaggio inteso come innovazione, inteso come scatto innovativo ma senza cadere nella trappola della Neoavanguardia che è la cieca superstizione del nuovo a tutti i costi. Quindi dell’opera di Muliere, possiamo dire che si tratta di un lavoro di consapevole ricerca ma libero e che è attento alle lacerazioni, alle domande, all’inquietudine, come dicono quelle opere della cultura contemporanea (L’INQUIETUDINE), ma tutto questo con una grande autonomia di pensiero e di segno. Dicevo che Muliere è attento alle domande, sulla linea piú vitale della cultura contemporanea: una riprova si ha nelle frasi sospese, nella frequenza degli interrogativi. Però in questo libro egli tenta anche delle risposte, prospetta ipotesi che tuttavia trattengono sempre un forte nucleo problematico: insomma la risposta - apparente - può essere niente altro che una ulteriore forma di interrogazione. In piú c’è un tratto, c’è un carattere nell’arte di Muliere, nell’arte del colore come nelle sculture, come nell’arte della parola, c’è un carattere per me molto singolare: spesso al pittore o allo scultore che è dotato del tratto deciso e vigoroso in pittura, per esempio, sulla luce o sui cromatismi, manca magari poi il senso della sfumatura piú tenera, della carezza piú leggera, dell’ombra segreta o, viceversa, al pittore che ha il segno piú delicato e sottile, manca il coraggio dell’impegno e nella sua tela spesso si annida il rischio del languido, del patetico, del decadente. Questo in lui non accade. A me sembra che Muliere, senza nulle cedere a queste dilettazioni narcisistiche, abbia raggiunto un equilibrio esemplare e del resto nel suo libretto di PENSIERI E CONSIDERAZIONI del ‘73, c’è una pagina dedicata proprio all’Equilibrio della vita: Esistenza. Quindi non invento nulla dicendo che Muliere ha capito anche questo, cioè la funzione dell’equilibrio tra la forza, l’energia della ideazione e della rappresentazione e nello stesso tempo però anche la tenerezza, la delicatezza delle risonanze piú segrete e anche questo, mi sembra in Muliere, è un riconoscimento di grande vitalità espressiva e di ricchezza umana, un riconoscimento di stile, come ha detto Accrocca, un riconoscimento di personalità. Mario Petrucciani Nettuno 1978 - Roma 1982 14 DODICI POETI SI CIMENTANO SUL TEMA DELL’INQUIETUDINE È stato presentato domenica sera a Roma un volume che merita, senza enfasi, la definizione di prezioso: raccoglie in 999 esemplari numerati poesie di Accrocca, Angeli, la Clementelli, la Guidacci, Fano, Lucchese, Luisi, Marniti, Reale, Romani, Spartà e Tentori e dieci litografie di Carmine Muliere. Ed apre una nuova collana, diretta da Elio Filippo Accrocca, dalla significativa titolazione Il polso del tempo. IL VERSO NELL’ANGOSCIA DEL PRESENTE E ra fatale che la drammatica precarietà del tempo che viviamo sospingesse la parola poetica verso una nuova e antica, al contempo, capacità di intervento, non certo per mutare o modificare il presente, che si aggancia a drammi storici e a lacerazioni civili tanto profonde da non consentire all’altrove che una possibile definizione, ma sicuramente per fornire un documento solitario e drammatico di denuncia che si estenda al passato e al futuro, attraversando la nostra stagione dolorosa come un filo ad alta tensione che lascia vibrare a lungo ogni diversa corda della coscienza. Forse l’idea della Casa Editrice System Graphic, di raccogliere dodici documenti poetici intorno al tema dell’inquietudine, è nata da considerazioni analoghe, o forse da altre, ma è certo che le risposte in versi che ne sono risultate battono tutte e interamente sull’indefinibile che ci angoscia, e quindi su quegli interrogativi eterni e invincibili che dall’impatto leopardiano tra finito e infinito, o forse dal Vanitas Vanitatum dell’Ecclesiaste, tormenta e angoscia l’umano, nel duro conflitto fra il sentire e il pensare e quindi fra ragione e sentimento. Dunque, i poeti Siro Angeli, Elena Clementelli, Franco Fano, Margherita Guidacci, Romeo Lucchese, Luciano Luisi, Biagia Marniti, Ugo Reale, Romano Romani, Santino Spartà e Francesco Tentori, guidati da Elio Filippo Accrocca, autore anche della presentazione oltre che direttore della collana Il polso del tempo e poeta in proprio che apre la serie, si sono cimentati sul tema dell’inquietudine, con il supporto visivo, molto efficace, delle litografie di Carmine Muliere che ad ogni silloge ha fornito l’immagine desolata e stravolta di una realtà a volte aggressiva, a volte rigenerata, ma tanto spesso interpretata con il segno dolente di un vagabondaggio drammatico e solitario in un deserto penoso e dissolto, dal quale soltanto l’estrema fiducia nel prezzo della parola poetica, un prezzo impagabile appunto, può salvare o guidare verso una parvenza di liberazione. Nella presentazione, Accrocca stabilisce criticamente i termini del problema, rifiutando il tema dell’inquietudine come remoto attributo responsabile di ismi piú o meno persistenti nella nostra storia letteraria, e concentrando invece i significati e il senso stesso del tema prescelto nella dimensio- ne dell’oggi, filtrato con tutti i suoi acuti segmenti nelle carni stesse dell’umano, fino a ricavarne il grido disperato ed inutile. Ecco: l’ultimo aggettivo riporta immediatamente al ruolo e all’ufficio della poesia, oggi, in un tempo segnato e gestito dall’indifferenza e dall’intolleranza, anche all’interno stesso della creatività. La raggera che implica e coinvolge le singole reazioni dei dodici poeti è inevitabilmente difforme sul piano delle considerazioni, e quindi dei contenuti, struttura trainante delle forme poetiche, ma al di là della testimonianza individuale, il problema di fondo resta quello del poeta di oggi, di mettersi sulle piste del reale precario e di seguirlo rigido e rigoroso, non certo per ridurlo all’impotenza o per gestirlo individualmente, quanto piuttosto per denunciarne la credibilità e riconoscerne le pecche in vista di un futuro che nessuno conosce, ma che tutti all’unisono definiscono piú drammatico dello stesso nostro presente, se ciò fosse possibile: un verso - di Accrocca - è cicatrice del tempo nello spazio di una pagina. Ciò vuol dire che la facoltà di incidenza della poesia nel diagramma del tempo e della storia va a misurarsi con l’impegno morale e civile che il poeta stesso sa immettere nella vicenda di tutti, pur conservando sacrosante e intatte le prerogative della sua individualità e la capacità medesima di misurarsi con il proprio destino. Solo a questa condizione, la parola poetica che è momento libero e solitario di ricerca, si espande fino a coinvolgere in un solo tentativo di abbraccio l’umanità intera, entro le spire di un afflato tanto piú sensibile quanto piú intensamente riesce a vestirsi dei panni della vita e a scandire le pulsazioni lungo il filo teso delle intermittenze, dei contrasti piú che delle assonanze. Di qui, il risentimento, lo sdegno, che è proprio della poesia e che nessun altro momento della creatività riesce a tradurre in termini di tanto sottesa verità come l’incandescente segnale che proviene da un verso, dalla collocazione di una parola all’interno di un grido stremato. L’antologia è composta di versi, ma anche di considerazioni in prosa dei singoli poeti, che interpretano a loro modo di sentire, legittimamente, il tema proposto, e sembra proprio che dall’incontro simbiotico fra parola poetica ed esigenza esplicativa, emerga ancora piú concreta e consistente la dura esigenza della poesia di stabilire un continuum tra vita, pensiero, destino e riversamento lirico, che non permetta dubbi sull’efficacia dell’operazione : anche perché, come si diceva, le litografie di Muliere son lí a determinare non certo un punto fermo, ma al contrario l’apertura emblematica della poesia stessa verso i remoti confini del reale recuperato e recuperabile, che tuttavia non può non sfuggire al controllo diretto di chi vede presente nell’immaginario la concitazione inquieta e contraddittoria del proprio tempo. È infatti quest’ultimo a configurarsi come il termine del raffronto, ma si dovrebbe dire come il bersaglio della 15 sfida. Se la realtà è precaria, e la poesia deve porsi sulle sue tracce, allora il sentimento del tempo e la nozione stessa della parola debbono assumere il ruolo che gli attribuiva Albert Camus in una stagione altrettanto tragica della vita dell’uomo, quella dell’occupazione nazista della Francia. Se è vero che al cospetto di immani sciagure storiche, il poeta possiede in sé la forza di uscire dalla ben nota torre d’avorio per farsi uomo fra gli uomini, allora si può dire, petrarchescamente, che con difficoltà si potrebbe individuare un altro momento storico e civile come quello che attraversiamo, in cui alla poesia spettino compiti e ruoli che non può assolvere l’intellettuale politico per quanti sforzi meritevoli voglia fare, e allora ogni segnale deve provenire dall’intellettuale artista, dal creativo che nel gorgo profondo dell’invenzione e dell’intuito può reperire il segno premonitore, nella logica di una sonda capace di ricondurre in superficie l’insondabile, che poi vuol dire la responsabilità e il rispetto dell’essere, se non si vuole che si traduca nel nulla. Dodici sonde quindi, impegnate a pescare, al margine della morte di un amico poeta a contatto con tragedie ancora piú dolorose, nel torbido, nella melma dell’oggi, il filo conduttore che deve servire al raccordo fra passato, presente e futuro, perché la lezione della poesia antica acquisti un nuovo significato e perché quella nuova all’altra si agganci per reperire quei lumi che sono poi le luci della ragione. Non a caso, nell’inferno dantesco, Virgilio è colui che reca una fiaccola che non serve a indicare a lui una strada che la lucida razionalità gli propone sicura, ma a coloro che vengono alle sue spalle, ad una umanità smarrita e delusa che esige piú che mai dal poeta non il romantico sollievo o la pura contemplazione, ma il significato profondo di un’ideazione che riconduca l’essere alle sue precipue facoltà di pensiero. tempo, e condizionati dallo spazio, si illuminano con la determinazione coloristica degli azzurri e dei gialli, di luce ultraterrena. A riverberare questo afflato interiore interviene l’entità stilistica delle mani slanciate, che interrogano il mistero o che serrano, con felicità di tratti disegnativi, fede e speranza nella trascendenza; e le nervature grafiche con le loro verticali incisioni, sembrano allusivamente continuare l’ascesa oltre la pagina compositiva, per scoprire e conquistare la meta desiderata. Carmine Muliere per esprimere nei volti, nei gesti, negli atteggiamenti, nelle figure, nelle composizioni nobili sforzi metafisici, inventa strutture ascensionali, crea effetti cromatici dalla dinamica illusione, infonde nostalgia del soprannaturale, imprime tensioni di riscatto e alimenta sentimenti di pace e di amore. Analogie e simboli, levità surreali e pennellate sicure contribuiscono a convincere artisticamente e con impegno etico che le opere di Carmine Muliere sono esenti da assurdità pessimistiche. Certo, rimangono le difficoltà, i pericoli, le ansie, i turbamenti, i drammi, le incomprensioni, le ipocrisie e le violenze, ma redenti dalla sottile continuità del sacro e del travaglio formale per l’invisibile. Il colore poi traslitterato in luce nelle ultime opere sfalda i residui figurativi e si fa coscienza del divino. Walter Mauro IL POPOLO, martedí 7 aprile 1980, Roma P La religiosità nell’arte di Carmine Muliere N on so se qualche critico abbia messo in rilievo l’aspetto religioso dell’arte di Carmine Muliere; certo non in senso generico poiché in ogni vera arte alita il respiro dell’immateriale, ma specificamente anche se le sue opere non sono destinate a una finalità liturgica. Nei quadri e nelle sculture si incontrano e si intrecciano i grandi problemi della vita e della morte, che inquietano la presenza individuale e oggettiva dell’uomo. Carmine Muliere scarica a volte con lirica violenza questi fondamentali perché sulla tela e nella materia, aiutato da una consapevole spiritualità e da una convincente abilità tecnica. La quotidianità delle cose e l’uomo con le sue vicende esistenziali, pur restando ritagliati nel Santino Spartà Radio Domenica - Radio Vaticana, novembre 1980, Roma Due mostre a Roma: Carmine Muliere, pittore e poeta, e Gianni Bruni - CERCANDO UNA CITTÀ PER L’UOMO oesia, scultura, grafica e pittura: tutte nel segno della osservazione di una realtà che è quella aspra dei nostri difficili giorni ma che ad essi non si ferma, anelando ad un sogno di luminosa bellezza. Questa impressione colpisce immediatamente il visitatore della mostra romana di Carmine Muliere allestita nella libreria Croce, che accanto ad una scelta di tele e tavole dell’artista molisano presenta anche una cospicua documentazione della sua produzione poetica. L’esposizione, propone opere apparentemente diverse tra loro, che spingono ad individuare nell’incurvarsi delle forme o nella netta scansione cromatica dei gialli e dei rossi, le tappe di una ricerca artistica tormentata e certo aperta ancora ad esiti altri. Se il netto segno, la vigorosa cesura del disegno richiamano una umanità che soffre (che può assumere i toni mesti di una donna in blu), la pittura di Muliere ci pare attinga ai suoi vertici quando la luce si fa materia, come nei suoi Fiori, dove i blu, i verdi, i gialli indicano una speranza al di là della 16 natura morta, l’attesa di una dimensione spirituale della vita che sembra, in quelle tele, trascendere i confini delle forme per divenire libertà dall’alienazione della materia. Presentazione del Libro di Artista XII SERIGRAFIE DOSSIER ARTE - ARCHIVI DELLA SERIGRAFIA ITALIANA, Editore Carlo Eemanuele Bugatti, ANCONA, Libreria Remo Croce, Roma. Carlo Albertini IL POPOLO, sabato 26 febbraio 1980, Roma Giovanna Gualdi: Signori e signore buona sera e benvenuti al nostro centro culturale, vi presentiamo XII serigrafie di Muliere pubblicate dagli Archivi della Serigrafia Italiana di Ancona, diretti da Carlo Emanuele Bugatti. Muliere venne per la prima volta al nostro centro culturale nel 1978 insieme a Francesco Volpini, per presentare la cartella Metasole, ispirata al romanzo omonimo pubblicato da Rizzoli. Quest’anno ha tenuto una sua mostra personale dal 21 febbraio al 19 marzo nella nostra galleria e questa sera ritorna con questa ultima opera; Muliere è un artista che oltre ad essere un grafico, è pittore e scultore (e poeta, sottolinea Accrocca); della sua attività io credo che soprattutto come scultore egli trasporta nella pittura e nella grafica quel segno cosí incisivo che tende sempre a mettere in rilievo e a creare dei contorni ben delimitati intorno a figure e personaggi. XII serigrafie per una cartella sono un buon numero e forse anche per questo l’editore ha deciso giustamente di dare il titolo di libro-cartella a questa opera. I titoli sono: Paese mio, Alberi, Mia madre, Il Cristo, Dubrovnik (Dalmazia), Equilibrio della vita: Essenza, Figura, Nudo, Sul mio tavolo, S. Pietro (Roma), Gare du Montparnasse dalla Senna e Montmartre (Parigi). La prima osservazione che ho fatto subito parlando con Muliere è questa: non ha seguito un cammino deciso, cioè, non ha seguito un filo discorsivo nel numerare questa sua cartella e le ha messe in ordine sparso quasi come se avesse voluto mettere fuori strada chi legge, invece, chi legge, va proprio tentando di ricostruire questo narrare di Muliere nella sua opera. La cartella porta gli scritti di Benincasa, Accrocca, Gigliozzi, Mauro, Spartà; escluso Benincasa che questa sera stavamo aspettando e forse per sopraggiunti impegni non è potuto essere tra noi, gli altri sono tutti presenti e vi parleranno. MULIERE VISIONARIO N ella Galleria-libreria Croce a Roma, Carmine Muliere ha esposto i suoi piú recenti lavori ad olio e di grafica, confermando le sue bivalenze nella ricerca di profonde armonie e di contenuti onirici, come ha scritto Benincasa in una monografia dell’artista. Invero, la sua pittura è percorsa da fremiti surreali e da rivelazioni visionarie notturne, che alterano la sua profonda ricerca compositiva e armonica degli elementi rappresentativi. A volte il colore, nella sua purezza musicale e nella sua carica sensoria, si espande per tutta la tela, cancellando ogni rappresentatività e dimostrando la radice intellettuale della visione allarmata e apocalittica. A volte invece la ricchezza dei contenuti e la subordinazione del colore alla rappresentazione, sia pure rivelata per enigmi e per sogni, lasciano trasparire quel bisogno di equilibrio e di ricomposizione di mondi lontani, come se un filo di memoria affiorasse dal ricordo dell’infanzia alla ricerca dei mondi altri perduti. Luigi Tallarico Agenda Mostre - Secolo d’Italia, giovedí 10 marzo 1980, Roma. CARMINE MULIERE: NATURA E RADICI M ondo di poesia è quello di Carmine Muliere; di poesia e di colore. Mondo incantato, rarefatto eppure efficacemente espressivo. Cosí come nella pittura il segno ritma il colore, anche nella poesia un profondo senso musicale segna i momenti del silenzio e della pausa: Vivere a che serve se non si è padroni del proprio tempo? Forse per questo, per impadronirsi in qualche modo dell’attimo che fugge, Carmine Muliere fa i suoi incantesimi, poetando e dipingendo: è un esorcismo contro il nulla. Esorcismo riuscito che si materia tutto del valore dell’esistenza. Giovanni Gigliozzi RAI - Radio2, 1980 Roma Cedo subito la parola a Elio Filippo Accrocca: Innanzitutto i complimenti a Carmine Muliere che si ripresenta questa sera da Remo Croce, fra tanti amici, con una cartella; non è la prima che Muliere porta a termine, ma si ripresenta con una cartella particolare. Su questa cartella di Carmine ci sarebbe molto da dire per la varietà dei temi, per la freschezza, per la grazia e per la incisività. Muliere oltre che pittore e scultore, è poeta; ebbene in questa cartella c’è lo spirito del poeta, c’è la grazia e la incisività della parola. Il segno di Muliere, il segno grafico si fa segno verbale perché riesce a trarre dalla realtà il sentimento: basterebbe controllare con la cartella sotto gli occhi - e spero 17 che molti lo facciano - Paese mio. Paese mio è…, chi sa l’origine di Muliere sa che significa la provincia di Isernia, il Molise, una regione che in questi giorni e Isernia in particolare, è alla ribalta mondiale per la scoperta archeologica (Homo Aeseriensis, località La Pineta Isernia, 730.000 anni). Quindi ci sono delle radici in quella regione e anche quando qualcuno si trasferisce dalla propria regione, dal proprio paese d’origine, mantiene quelle radici, quelle origini. Ebbene in questa serigrafia - la prima della cartella - ed è colorata a mano, Muliere riesce veramente a dare la poesia di quel paesaggio, poesia e drammaticità. Nello stesso modo - basterebbe vedere la quarta, Il Cristo anche questa colorata a mano, un’altra serigrafia dove il sentimento della pietà, non voglio dire sentimento religioso ma il sentimento della pietà umana, viene posto in evidenza. Cosí come Dubrovnik (Dalmazia) o Montparnasse e Montmartre stanno ad indicare, per esempio, anche un’apertura. Partito da un paese vicino Isernia vive a Roma ormai da tanto; è qui che opera con mostre in varie parti, anche all’estero; ebbene, queste tre serigrafie stanno a dimostrare i suoi interessi al di là della propria provincia. Un’altra serigrafia è Sul mio tavolo, anche qui c’è il tavolo ingombrato di oggetti, di cose; le figure sono date dagli oggetti, dalle cose: sono cose animate, sono oggetti animati perché sempre Muliere pone una sensibilità nella propria ricerca, nella propria opera. E non mi soffermo sulle altre serigrafie... avremo occasione di ascoltare anche gli altri amici; ma voglio anche sottolineare che questa operazione marchigiana di Bugatti, è una operazione ad alto livello perché la cartella di Muliere appartiene al Museo di Senigallia, al Museo di Ancona e quindi c’è tutta un’operazione che abbraccia grandi artisti non soltanto marchigiani ma grandi artisti quali Treccani, Tamburi, e tanti altri; quindi Muliere entra in questo ciclo di operazione artistica e ci entra con le carte in regola per l’attività già svolta dalle tante mostre che ha fatto. Qui da Croce è di casa; voglio anche ricordare l’ultima, non era una mostra ma qualcosa di piú forse, infatti, al Parco Tiburtino qui a Roma, in occasione del Quarantennale del bombardamento di San Lorenzo, 19 luglio 1943 - 19 luglio 1983, Muliere era presente con due sculture, due opere molto apprezzate da Eduardo Di Filippo, dal sindaco di Roma Ugo Vetere che, insieme a tante altre persone, in quel giorno ricordavano il bombardamento di San Lorenzo: ebbene la presenza di Muliere anche in quella circostanza. Quindi sono radici che vengono da un uomo sensibile, da un artista autentico, debbo ricordare - lo faccio con molto interesse, interesse e piacere personale - anche L’INQUIETUDINE, quella bella operazione che ha visto la presenza di alcuni poeti romani o romani di adozione e una edizione d’arte illustrata da opere di Muliere; anche in quella occasione con Muliere c’è stato un rapporto di interesse culturale e umano. Con Muliere inoltre, Carmine pittore, Carmine scultore, Carmine poeta, e poesia e arte sono unite in questa cartella, poesia come le sue raccolte pubblicate: Macchie, Natura e radici, Dall’esperienza, poesia come L’Inquietudine e fino ad un ultimo, anzi sono ultime cose che io conosco in privato, cose ancora inedite ma che verranno pubblicate sicuramente... ma, per tornare a questa cartella e per concludere il mio intervento voglio dire che si tratta di XII serigrafie che sono veramente l’espressione vitale di un uomo che crede realmente nella poesia e quindi nel segno grafico e questo segno grafico o segnale grafico viene fuori da una mano delicata, abituata alla presenza della macchia o delle radici, della natura che sono i titoli della sua poesia. Una cartella da vedere con gli occhi attenti di chi vuole realmente capire l’importanza di questo artista ancora giovane ma che si è venuto affermando a livello non soltanto nazionale e che con la sua modestia procede con un lavoro che gli sta dando soddisfazione e questa sera è una ulteriore dimostrazione di questo affetto. Giovanni Gigliozzi: Quel che dovevo dire di Muliere l’ho già detto, l’ho già espresso, l’ho già scritto. Ho detto che l’arte di Muliere è qualcosa di liberatorio, in un certo senso ripercorre il cammino che faticosamente ha fatto la poesia italiana, cioè il ritrovare una chiarezza anche là dove i motivi che questa poesia vuole esprimere non sono affatto chiari anzi, sono complessi, sono intricati perché nascono da una profondità dell’inconscio. Io credo che qui basta guardarla questa cartella e Accrocca l’ha sfogliata con molta finezza... Diceva Giovanna Gualdi che Carmine ha confuso le carte, cioè non ha messo in ordine le tessere del suo discorso; che forse non si tratta di un discorso unitario giacché di libro si tratta, ma io ho l’impressione che si tratta piú di una raccolta di liriche, di illuminazione; non di una narrativa, non di un libro che abbia un principio e una fine. La realtà di tutte queste cose ritrovano un filo conduttore nella stessa personalità di chi si esprime, è evidente; in fondo però a me pare che sia cosa dell’illuminazione, questo Paese mio, che voi dovreste vedere, è di una bellezza stupenda: ma è un paese che esiste o un paese sognato? oppure è una proiezione di qualche cosa che è dentro di lui e che lui poi riesce a trasfondere nelle cose esistenti e a dare a queste cose esistenti una luce di sogno, e questo bisognerebbe chiederglielo. Questo paese è vero e non è vero, è reale e non è reale; le linee sono giustamente decise direi, come del resto nella poesia - perché la poesia è fatta di accenti, è fatta di silenzi, è fatta di pause, è fatta di colore, è fatta di tante cose la poesia; ebbene questo, secondo me, è proprio l’equivalente di una immagine poetica, la folgorazione poetica, soltanto che il poeta quando si trova 18 di fronte a questo tipo di illuminazione deve esprimersi per versi e un verso segue l’altro, cioè direi, una sorta di prima, poi un fatto mediano, invece qui no: è come se improvvisamente questa impressione poetica ti folgorasse e tu potessi raccoglierla in una parola sola. Qualche volta capita ad un poeta di cogliere il tutto in una parola sola: sono quelle parole magiche, illuminanti, parole straordinarie, parole che sorprendono il poeta stesso, sono come una goccia di pioggia con dentro tutto l’arcobaleno; ma questo non succede spesso mentre qui pare che sia realmente avvenuto. Un’altra cosa che mi ha colpito è Il Cristo, Il Cristo che secondo me ha uno strano movimento: è sí il dolore ma è una sorta di danza del dolore. È il Cristo crocifisso... il Cristo che soffre... il dolore si risolve in una sorta di danza, in una sorta di incantamento, perché? Perché, secondo me, io credo che quest’opera abbia un valore religioso nel senso piú profondo: Cristo che ha vinto la morte, Cristo che è l’ultima vittima, - in realtà questo mondo impazzito ne ha fatte tante di vittime e stiamo danzando sull’orlo di un cratere -, avendo raggiunto il momento in cui afferma...ha appena gridato sono io! la mia vita la do da me stesso, non me la toglie nessuno ha detto, ha proprio gridato e tutto si risolve in una sorta di danza del dolore quasi che ad un certo punto in questo spasimo dell’agonia i movimenti si confondono armoniosamente perché lui è il vincitore, ha vinto: Io ho vinto la morte... ha vinto la morte, ha vinto il dolore, ha vinto questa concezione tribale di Dio per cui, in un certo momento, sull’altare bisognava sgozzare gli agnelli, lui è l’ultimo, vuole essere l’ultimo agnello ad essere sgozzato; questo mi sembra di aver letto, d’altra parte ognuno fa una sua lettura personale delle opere di un’artista. Paesaggi, sua Madre e poi ancora questo magnifico Nudo sul mare, guardate che bello, bellissimo proprio... questo bellissimo nudo sul mare, questa creatura che tu non sai piú se sia distaccata dalla natura circostante o sia natura lei stessa: è veramente una cosa stupenda, veramente bella e poi non vorrei continuare a citarvele una per una queste serigrafie... ma guardate questa Parigi se ad un certo punto non ha la gioia della città sognata; effettivamente Parigi non è cosí allegra, non è cosí viva: è la Parigi che è in fondo all’anima di Carmine e che Carmine la vede cosí e proietta i suoi colori su una città che - tutto sommato - forse ha perso la magia che aveva negli anni venti quando veramente era il crogiolo della cultura europea: ora non lo è piú. Ecco io devo dire che Muliere tratta il disegno, tratta il colore, tratta il segno cosí come tratta il verso; come il poeta tratta il verso e direi che a interrogare... (bellissimo questo S. Pietro), e direi che ad interrogarli con piú tempo e facendo parlare anche l’autore, forse attraverso queste serigrafie e non soltanto attraverso queste, riusciremmo a leggere che cosa si agita nella profondità dell’esse- re di un uomo, un uomo che però - diceva giustamente Accrocca - ha conservato intatte le sue radici, la purezza delle sue radici. Walter Mauro: Sia Accrocca che Gigliozzi hanno analizzato molto in profondità queste serigrafie di Muliere e quindi io vorrei tentare di spostare un momento il discorso su un certo carattere, un certo aspetto di scrittura poetica che mi è sembrato di poter individuare nel tratto del disegno, nel tratto pittorico, nel tratto grafico di Muliere. Realmente, diceva prima Giovanna e come poi confermava Gigliozzi, questo racconto lirico finisce per essere un po’ scompaginato e io credo che - legittimamente - Gigliozzi parlava di illuminazione nel significato proprio di queste improvvise, repentine folgorazioni che si realizzano sulla pagina e che appartengono sicuramente al mondo espressivo oltre al tratto grafico della parola poetica; il discorso che naturalmente sarebbe difficile e anche molto teorico nel senso che bisognerebbe andare ad individuare in quale misura, in quale maniera, anche attraverso quali transfert psicologici si può realizzare graficamente una idea di letteratura, una idea poetica. Io credo che Muliere ci sia riuscito proprio servendosi, utilizzando questa mediazione della parola che si traduce in segno, quindi un legame, una saldatura, un rapporto diretto tra parola e immagine che si realizza attraverso un circuito che è tutto individuale, tutto soggettivo. Muliere, lo accennava prima Accrocca, ha realizzato quell’opera intitolata L’Inquietudine dove compaiono poesie di poeti contemporanei legati a Roma o romani di nascita o di adozione e ha commentato in un certo senso queste poesie attraverso il segno grafico; ecco lí era - tutto sommato - una operazione di sdoppiamento perché era un lavoro compiuto e realizzato su materiale altrui, attraverso i quali tuttavia si finiva poi per identificare molto chiaramente quella che era la personalità dell’artista, cioè la sua capacità tutta soggettiva di realizzare, di filtrare attraverso il segno, quello che la parola poetica aveva voluto esprimere nel momento in cui ha voluto realizzare questa sintesi tra parola e segno pittorico e segno grafico e allora - in questo senso - si è trovato di fronte alla necessità di eliminare il processo di sintesi e di assimilazione e quindi di sdoppiamento e di realizzare attraverso il segno grafico quella che era la propria avventura letteraria, quella che era la propria avventura poetica. Ecco io credo che se intendiamo queste XII serigrafie in questo senso, in questa direzione, si finisce poi per individuare anche i punti, le stazioni proprio precise, limpide, lucide, di un cursus, di un trascorso che è senza dubbio vissuto ma che si realizza anche attraverso un iter narrativo... Ad esempio c’è una grande varietà anche - direi della tecnica in queste serigrafie. Gigliozzi parlava di quella intitolata appunto Paese mio, ma io ricor- 19 derei - Gigliozzi l’ha già fatto - quest’altra in cui si verifica proprio questo fenomeno di stilizzazione dell’immagine là dove invece a contatto diretto con questo paese reale-irreale, razionale o irrazionale ha poca importanza, il tratto grafico di Muliere finisce per isolarsi drammaticamente in uno spazio, in un’area di solitudine. Ritorna invece il tratto del colore, ritorna proprio questa immagine dolorosissima - per esempio - del Cristo e soprattutto l’immagine, il tratto grafico che piú mi ha colpito nell’opera, in queste XII serigrafie, è quello che riguarda il polo tematico della conoscenza che Muliere realizza attraverso certe folgorazioni, certe illuminazioni; riprendo la parola di Gigliozzi perché mi sembra quella piú esatta - cioè certe illuminazioni, certe folgorazioni di alcuni luoghi, di alcuni spazi geografici nei quali Muliere si è trovato a vivere una breve o lunga esperienza, non ha importanza, perché l’avventura conoscitiva in questo senso si può realizzare anche nel giro fulmineo, rapidissimo, diciamo di una immagine, di una proiezione del sensibile. Per esempio, questa immagine della Dalmazia, di Dubrovnik, nel caso specifico, sta proprio a indicare questa caratterizzazione di un elemento vivo, proprio di un vitalismo direi, di una carica umana che è all’interno della poesia direi di questa immagine, ecco, per esempio, L’equilibrio della vita: essenza. È chiaro che quando Muliere dai temi diciamo cosí paesaggistici, oppure dalla realizzazione attraverso il tratto della struttura stessa della realtà passa invece ad una ricerca e quindi ad una proiezione in immagine di un tema, di un problema, a uno spazio che riguarda invece la coscienza, che riguarda invece l’area dell’anima, allora direi che il suo tratto si fa piú drammatico, piú doloroso e quindi i termini della contrapposizione potrebbero essere quella Parigi di Montmartre di cui si parlava prima, contrapposta appunto a questa di Equilibrio della vita: essenza, che, come ripeto, riduce comprime prosciuga addirittura l’immagine in qualcosa di essenziale; in qualcosa di carnoso ma, nello stesso tempo, anche di essenziale. Quindi, per concludere, io direi che è un felice incontro questa cartella di serigrafie, è un felice incontro fra letteratura e creatività artistica; il termine di mediazione, il punto di sintesi è, secondo me, configurato proprio in questa capacità di calare la parola nel tratto, di calare la parola nell’immagine e quindi di restituirla alla sua pura essenza. Evidentemente Accrocca parlava prima di una connaturata e congeniale umiltà di Muliere, io credo che questa gli sia servita soprattutto per calarsi nel modo piú umile in una operazione d’incontro e di mediazione che è certamente fra le piú ardue, fra le piú difficili e quindi anche fra le piú angosciose, fra le piú dolorose che un artista possa vivere. ARTE CONTEMPORANEA Carmine Muliere, pittore e scultore molisano C armine Muliere sembra procedere realmente col radar tra le dita, o nella mente, per conoscere il congegno di un “giocattolo” che ha appena migliaia di anni, nel tentativo di dare volto all’ombra in cui siamo ancora avvolti. Utilizzando materiali comunicativi di vario genere, verbali e segnici, innestografici, che includano linee, forme, volumi, variazioni tipografiche e visualizzazioni, concettualità, il continuum che assorbe e dilaga dal conoscibile all’inconoscibile, dal consenso al dissenso, dal particolare all’universale, dal segmento al cosmo. Sono questi i mezzi espressivi linguistici e strutturali di Carmine Muliere che usa parola e colori, penna e pietra, alfabeto e oli, sintassi e legni, verbi e incisioni, per dare di sé una globale dimensione d’artista, ormai acquisita a vari livelli con prove e risultati che trovano notevoli consensi critici. Carmine Muliere rappresenta una delle voci piú autentiche, piú genuine, piú serie, della cultura di oggi. La sua origine molisana non lo ha fatto chiudere in una sorta di elegia del paese, della provincia, gli è servita invece, ad ampliare il suo orizzonte, la sua carica naturale, la sua ricerca a vari livelli e ci ha portato un nome, un artista e un poeta che rappresenta bene la sua generazione. Che cosa va sottolineato di questo giovane e non piú promettente ma effettivo artista di oggi? La sua capacità di stile che è riconoscibile: un’opera come questa scultura, Casa e figure, che rappresenta una casa, le pareti che vivono, che si illuminano e si adombrano di immagini, è rara. Per chi ha gli occhi puntati sulla storia dell’arte sa che è difficile trovare un’opera come questa. La sua capacità di stile è unita alla capacità di raccogliere dentro di sé, prima ancora che diventi opera, questi aspetti del vivere, dell’inquietudine, della famiglia, del paesaggio e li trasforma in opera d’arte. C’è anche da sottolineare questo senso di comunicabilità: oggi, chi legge certi testi letterari, chi osserva certe opere d’arte, rimane spesso un po’ perplesso: manca la comunicabilità tra l’artista e l’osservante. In Carmine Muliere questa comunicabilità è immediata, anche se, ripeto, non ha solo quell’aspetto realistico che all’apparenza può rendersi evidente. È un artista che crede nella possibilità, nell’importanza, nell’influenza che hanno il pensiero e le idee su tutti noi. E il risultato è il senso di creatività, quasi che, ogni cosa che Carmine Muliere tocca, diventa viva; ogni cosa anche apparentemente statica gli diventa immediatamente, attraverso quel pensiero e quella ricerca di idee, una realtà vivente. Elio Filippo Accrocca ANTICHITÀ E BELLE ARTI - gennaio-febbraio 1984, Roma 20 MOSTRE ROMANE - Le Opere di MULIERE D opo aver visto le opere di Carmine Muliere, pittore e scultore molisano di S. Elena Sannita, ritorni a casa con la consapevolezza di aver fatto un incontro piacevole. Le sue tele e le sue sculture convincono per il pathos e per la professionalità tecnica. Sono anni che Carmine Muliere esercita la propria attività a Roma, facendo tesoro di tutte le sollecitazioni liriche e degli scambi culturali di cui la capitale è ricca. Carmine Muliere, ormai in fase avanzata di affermazione, ha esposto con successo nelle principali città italiane con mostre di pittura, scultura e grafica. Importanti critici militanti hanno apprezzato la sua arte, tra i quali Santino Spartà, collaboratore della Radio Vaticana, di cui riportiamo un suo giudizio: Carmine Muliere per esprimere nei volti, nei gesti, negli atteggiamenti, nelle figure, nobili sforzi metafisici, inventa strutture ascensionali, crea effetti cromatici dalla dinamica illusione, infonde nostalgia del soprannaturale, imprime tensioni di riscatto. A riverberare questo afflato interiore, interviene l’entità stilistica delle mani slanciate, e le nervature grafiche con le loro verticali incisioni... Il colore poi traslitterato in luce nelle ultime opere sfalda i residui figurativi e si fa coscienza del divino. Giuseppe Grieco L’OSSERVATORE ROMANO, 13 giugno - pag. 3, 1984 Roma QUANDO APRIRAI LA LETTERA A ccanto alle poesie, le sculture e i quadri di Carmine Muliere sono altamente spirituali. Questo artista molisano che scolpisce e dipinge, equilibrato e libero, cerca anche lui, come Spartà, l’Invisibile. La sua arte lo guida in questo viaggio, c’è un filo conduttore che passa tra i versi e le opere riprodotte. Sono quei valori morali che la gente dovrebbe meditare, la speranza nell’esperienza umana ma anche nel regno che non è di questa terra. Un regno colmo di letizia e di beatitudine, quel regno che potrebbe già essere in mezzo a noi, se non fossimo sordi e ciechi. Spartà e Muliere ci aiutano a riconoscerlo. Milena Milani Dalla presentazione del libro di poesie di Santino Spartà, Collana “Poesie per una notte” - Editoriale Sette, Firenze. qualcosa di nostro al valore già acquisito, sarebbe come peccare di presunzione quando la critica piú arguta e completa, sta in primo luogo, nell’animo medesimo del poeta a cui la natura - talvolta forse, benevola, volle elargire in lui le doti aggraziate della Musa. Vestito di siffatta dote, egli esprime magistralmente il suo pensiero forbito, ponendolo nei vari aspetti del tempo e della vita, in sintonia col processo della vita stessa. Valente artista (oltre alla poesia), pittore e scultore, Carmine Muliere coltiva con amorevole cura lo spirito, il quale lo trasfonde nell’immagine dell’Arte, per regalare, all’uomo di oggi e di domani, un messaggio d’amore tutto mulieriano, che non vuole essere figura su piedistallo, ma uguaglianza, di fronte alle piccole come alle grandi cose... Poesia, dunque, carezzevole e toccante... anche se in linea ristretta, la quale inghirlanda dolcemente, la struttura metafisica del lettore, inserendolo nel quadro delle visioni riflessive. Pasquale Sansalone AZ Arte e Cultura, aprile-giugno 1984, Roma OPERE GRAFICHE DI MULIERE C on queste recenti opere grafiche, Carmine Muliere dimostra come la forza significante e la tensione del segno possano ottenere rilievi delicati o turbati nell’ambito delle rappresentazioni sia figurali che paesaggistiche. Emblematica è la serigrafia Paese mio che dimostra come la forzatura del segno (che sembra appesantire i rilievi anche lontani delle colline sovrastanti l’agglomerato urbano) non vada a discapito della intensità della visione e dell’incanto della immagine, che si svela invece nella flagranza emotiva e delicatezza poetica. La verità è che Muliere ha le doti del grafico che affida, alla evidenza (e perentorietà) espressiva, anche i moti e i palpiti dell’animo, senza venire meno alla marcatura del segno, inteso come potenzialità stilistica, ma anche come evidenziazione significante del messaggio. Occorre, però, dire che Muliere riesce a superare il tono didascalico e finalistico del grafico, dal momento che il suo segno anche se immediato - viene sempre ricondotto nel piú organico contesto che sanziona il primato della forma sul mero significato. Luigi Tallarico Secolo d’Italia, giovedí 26 luglio 1984, Roma CARMINE MULIERE: DALL’ESPERIENZA E strinsecare dai condotti dell’animo di Carmine Muliere una analisi filologica, o aggiungere 21 Presentate alla Stampa XII Serigrafie di Carmine Muliere Nota critica per SINTESI DI UN DIALOGO APERTO E ININTERROTTO R C ecentemente sono state presentate alla stampa, presso la Libreria Remo Croce di Roma, con interventi critici di Elio Filippo Accrocca, Walter Mauro, Giovanni Gigliozzi e Santino Spartà, XII serigrafie di Carmine Muliere: un artista che con il suo impegno, sia in campo pittorico che in quello scultoreo e poetico, riesce sempre di piú a sorprenderci, non solo per la sua continuità artistica, ma per gli alti livelli espressivi raggiunti dalle sue testimonianze nei vari campi che lo vedono via via sempre piú impegnato. Come già ebbe a dire Carmine Benincasa in occasione di una personale del Nostro svoltasi nelle Sale del Palazzo Marignoli di Roma nel lontano 1973, e cioè che Muliere oltre a racchiudere nella sua arte un racconto del lontano vivere apocalittico e armonie di colori, rappresenta “una pittura di luce, luce fuggitiva ma pura e raccolta, tremante e solida, infernale ed ambigua, pittura del Tremendum e del Vacuum, come la Morte e la Vita”. Se poi ci affacciamo piú da vicino sull’accorto cammino di questo artista, noi lo vediamo crescere a dismisura e quando Elio Filippo Accrocca, nella premessa di un libro di versi di Muliere (Natura e radici) di Alberto Iuliano Editore, ci dice con grande autorevolezza che “Il poeta non nasce all’improvviso né si esprime soltanto con le parole” e che Carmine Muliere “usa parole e colori, penna e pietra, alfabeto e oli, sintassi e legni, verbi e incisioni, per dare di sé una globale dimensione d’artista”, sta proprio a voler dire che “Non mancano quindi alla sua osservazione i risultati di una pensosa conoscenza, frutto di quel saper cogliere i sintomi dell’inquietudine che è tipica della sua generazione”. (Carmine Muliere è nato a S. Elena Sannita, Isernia, il 30 aprile, 1949, vive e lavora a Roma). Ci riesce solo di aggiungere che il cammino di quest’uomo, semplice ma sicuro, giovane ma deciso, lo porterà sempre di piú alla ricerca degli altri, di quegli altri che in una sua poesia gli faranno dire: “Ero di malumore mentre ballavano... si divertivano... / magari si divertissero tutti...”. Egli qui ci fa appena intravedere l’altezza della sua umanità, di quella umanità che riesce sempre a far trasparire dai suoi lavori di poeta e di artista. E quindi se Accrocca ha voluto mettere in evidenza i “mezzi espressivi, linguistici e strutturali” di Carmine Muliere, Gigliozzi, da Croce, ha saputo, con grande umanità, far lievitare da quelle dolcissime dodici serigrafie tutta la energia poetica in esse contenuta soffermandosi in modo particolare su Paese mio, assunto addirittura a simbolo quale paese ideale dei sogni e dei giochi dove si possono ancora mescolare e confondersi la Vita e la Morte, la Pace e l’Amore, gli Ideali e le Speranze. Francesco Agresti SCENA ILLUSTRATA, ottobre 1984, Roma on stile personale, con piglio asciutto, con un linguaggio inequivocabile, senza eufemismi, Muliere affronta i problemi dell’uomo moderno in un momento di svilimento dei valori, dove predomina il disorientamento e il caos, in una dimensione metafisica che sollecita reazioni psicologiche e una riflessione approfondita in chi legge e da chi legge Muliere esige una risposta. Letizia Carile TRAGUARDI 2 - AGENDA 1984 di Letteratura ed Arte, Lo Faro Editore, Roma CARMINE MULIERE I l pittore Carmine Muliere è nato a S. Elena S. (IS), ma vive ed opera a Roma. Ha allestito mostre personali, partecipato a varie collettive sia in Italia che all’estero. È autore inoltre di varie raccolte di poesie, le sue opere grafiche figurano in moltissime pubblicazioni di poeti e scrittori contemporanei. Abbiamo incontrato l’artista, recentemente, durante la personale tenuta alla Galleria d’Arte Comunale di Campobasso che ha riscosso vasti consensi di pubblico e di critica. Muliere poeta del colore riesce ad esprimere nelle sue tele una complessità di sentimenti umani che vanno dalla nostalgia per la sua terra al ricordo dell’infanzia, in un equilibrio di forze. L’olio su tela è la tecnica principalmente usata dall’artista, alla quale si affiancano: la tecnica mista, linoleumgrafia, incisione, acquaforte, litografia, serigrafia. È inoltre un apprezzato scultore che usa, senza alcuna limitazione, qualsiasi tipo di materiale: dalla pietra al gesso, al legno ed al metallo. L’artista prende coscienza delle immagini immagazzinate, trasfondendole sulla tela e nel suo processo di creazione viene a determinarsi una risultante costante tra il sensibile e il verificabile che si realizza nella rappresentazione stessa. Quindi ogni momento pittorico di Muliere nasce dalla visualizzazione d’immagini in una prospettiva che riesce a stabilire un accordo funzionale ed a trovare quel ritmo d’equilibrio delle forze chiamate in causa. La pittura di Muliere va meditata. Ad una prima lettura non si intuisce il travaglio interiore dell’autore, ma riflettendo è facile stabilire il substrato dell’intera tematica mulieriana. Ammiriamo la sua forza espressiva e quel denso calore umano che troviamo nei suoi versi e nella cromaticità dei colori. Camillo Viti Nuova Dimensione, n. 2 - febbraio 1985, Campobasso 22 CARMINE MULIERE: FAVOLA REALE EA Edizioni d’Arte, Roma 1985. Con una lettera di Giacinto Spagnoletti alla introspezione, queste opere si offrono discrete e silenziose, uniche e fluide come appunto... il pensiero. C Donatella Solimbergo aro Muliere, ho apprezzato molto le pubblicazioni che mi hai inviato, tanto di poesie che di opere artistiche riprodotte. Leggo con piacere il testo introduttivo di Petrucciani, con il quale concordo pienamente. Non posso che rivolgerti vivi auguri per la tua attività, augurandomi in un prossimo incontro di parlarci piú a lungo. Cordialità vivissime. Giacinto Spagnoletti 1985, Roma MULIERE Concettuale C armine Muliere, presentato in catalogo da Carmine Benincasa, ha esposto a Cesena, al Free Time Club dal 3 al 22 maggio 1986 dipinti recenti realizzati nei termini di quella concettualità che cerca (e trova) i suoi temi nel territorio della ragione. Ma i suoi voli del pensiero non lo allontanano mai dal gusto della pittura e dalle sue precise scelte cromatiche, che privilegiano lo splendente cobalto, che Muliere utilizza per dare forma alla profondità di una concezione o all’impulso di un sentimento. Berenice (Jolena Baldini) SETTEVOLANTE 10, PAESE SERA, domenica 18 maggio 1986, Roma OPERE DI CARMINE MULIERE Presentazione mostra Associazione culturale Dulcis Înn, aprile-maggio 1986, Roma N ei lavori di Carmine Muliere si ha la sensazione che il pensiero, vivo ma intangibile prenda forma. Luci ed ombre in un affascinante amalgama che sulla tela si traduce in un’armonia inattesa. Qui qualcosa di indefinibile si anima e genera, come attraverso moti sconosciuti, una metamorfosi - dall’infinito al finito - orchestrata con maestrìa da una mano poetica e sensibile. Un’esile trama lega questi trapassi e sembra condurre in una atmosfera silenziosa e irreale; innumerevoli trasparenze si colorano in un viaggio sospeso tra l’arcano e il sorprendente. Come nei sogni ecco che il tempo si dilata e si annulla, le immagini avvolgono, ispirano, rievocano. È uno strano equilibrio quasi anacronistico per la nostra epoca dove la poesia di un gesto, di una parola, di un segno contende lo spazio all’indifferenza, proponendo una verità priva di quella maschera che la vita quotidiana spesso impone. Lette quale invito Carmine Muliere - RAGIONI N el riquadro molto complesso e articolato della poesia contemporanea, Carmine Muliere ricopre un ruolo assolutamente atipico e irregolare, come del resto è possibile constatare anche nell’altra sua attività, quella di pittore fra i piú attenti agli emblemi stravolti del nostro tempo. E tuttavia sarebbe esercizio vano e inutile andare a cercare riflessi e rispecchiamenti della sua parola poetica nel segno pittorico, cosí diverso e concreto a sua volta, da rendersi repentinamente autonomo e sfuggente ad ogni possibile riscontro. Il comune denominatore, semmai, ma è insito nella logica stessa del tessuto naturale di Muliere, può reperirsi nell’ansiosa, ed esigente, ricognizione all’interno dei mali e delle disfunzioni dell’uomo, e perciò in una sartriana capacità di riconoscere ed individuare ovunque le strutture della totalità dell’essere. Ad altri, e con rilevante autorevolezza, è spettato il compito di porre in evidenza i segnali che provengono da raffigurazioni umane drammatiche e dolorose: a me il privilegio di andare ad individuare fra le righe del sensibile di Muliere poeta le tensioni e la natura portante di un verso che scandisce ore e minuti del trauma esistenziale con l’impavido azzardo di chi si pone oltre e al di là di mode, scuole e accademie, nella fiducia che soltanto alla parola in quanto tale, lungo ininterrotti crinali di tempo e di spazio, spetti il ruolo di mediazione, di passaggio, dall’ineffabile all’esprimibile, lungo il filo di una spregiudicata e sorprendente concrezione di linguaggio. Ecco la ragione per la quale ritengo che un’analisi seria e compiuta della poesia di Muliere, in questa silloge non casualmente intitolata RAGIONI, debba muovere da un particolare compito che il poeta attribuisce alla parola, in una poesia che ne soppesa la specificità e ne individua la struttura portante di ogni sua ragione: Che la parola abbia peso / è un fatto reale uguale / alla necessaria bilancia relativa, afferma ad una svolta cruciale del ragionamento che si fa poesia. È il preambolo necessario, l’antefatto indispensabile per misurare una tenacia che torna a farsi ragione per poi riprendere repentinamente la propria funzione di tramite che sorregge il discorso con il supporto della caparbietà: Mai smetterò di rapportarmi / misurarmi / voglio essere tanto ch’io possa, laddove la potenzialità del movimento, il sostegno di ogni dinamico divenire, si concentra interamente e sostanzialmente nella pura razionalità del proprio eloquio conseguente. Tale condizione, antropologica poiché l’universo 23 privilegiato della parola presuppone il relativo e dissacrato tempo distruttivo di ogni possibile barriera, e frontiera, che isola la barbarità, pone Carmine Muliere nella condizione ideale per potersi assumere il ruolo di colui che sentenzia da una postazione di assoluta libertà espressiva e individuale: Chi crede d’aver acquisito / un privilegio, s’adagerà / nel giogo che merita. Ecco realizzarsi, e progressivamente configurarsi, un tipo di espressionismo poetico che travalica i confini della poesia di ieri e di oggi, per assumere invece un ruolo di proposta etica che si affranca da qualsiasi ipotesi condizionante in virtú della consapevolezza cosciente della propria razionalità: Sei padrone di te stesso se ti liberi del tuo spauracchio; il che vuol dire aver già sperimentato sulla propria pelle l’ambiguo dell’indecisione e l’allusività del discorso trasversale ed obliquo, che non può raggiungere meta né traguardo. Ma le disperate certezze dei romantici sono crollate al cospetto della precarietà del reale concreto, e allora la ragione deve cercarsi altri moduli per la sentenza: Voce sapiente di antica saggezza provata e riprovata. Alla verifica della nozione conoscitiva esperita dagli antichi è necessario attribuire quell’indice di innocenza e di verginità. Di primordialità insomma, che scagioni la parola dalla benché minima compromissione del pensiero e della riflessione critica. La scelta drammatica e solitaria della totalità dell’essere di cui si diceva, impone tale impavidità e anche, perché no, l’ipotesi azzardata della presunzione: ma allorquando l’ipotesi stessa gioca a carte scoperte, e rintraccia il suo filo segreto nella piú totalizzante nudità dell’essere, allora ogni prospettiva di riscontro coinvolge il passato ancor prima del presente: Aver bisogno di nulla / senz’aver superato alcunché / rimanere fermo / procedendo per / arrivare in nessun luogo / e dimorarvi / essendo stato uomo, e l’immagine dell’essere, del vitale quotidiano, assume una dimensione esistenziale di inquietante e tormentata verità trasposta: E resto aggrappato al groviglio / di questa vita tormentata / con fede innata / di menzogne intatta / come la vita stessa / che non mi appartiene. L’autocondanna a questo punto è inevitabile (Cosí è anche se non ci pare), e oltre l’impotenza operativa resta e ritorna tenace ed insistente Il peso della parola cui Muliere concede ogni possibile margine di fiducia. Non fa nulla se la risposta è già decretata, e risiede nella logica stravolta della glaciazione: la sottesa speranza che tutto possa venir affrontato e fronteggiato dalla forza evocatrice e sintonica della poesia è tale da non consentire dubbi né infingimenti: se la parola poetica è miscuglio di idee / desideri repressi / o esasperati / perenne lotta / inutilmente provocata e combattuta, ciò vuol dire che i segnali provenienti dai piú remoti recessi dell’io profondo posseggono in sé una efficacia che Carmine Muliere riesce a tradurre in altrettanti mezzi della ragione, per lottare ancora contro l’in- sensato e l’insensibile dell’universo contemporaneo. Walter Mauro 1999, Roma MULIERE - La forma che deve venire D a punti di vista che ad una prima impressione appaiono diversi e contrastanti, in direzioni antagoniste, nel rovello di una ininterrotta sperimentazione di materiali e di linguaggi, Carmine Muliere conduce da anni una ricerca di grandi potenzialità e significato di cui sentiamo oggi prossimo e ormai irreversibile l’approdo ad una maturità decisa. I filoni diversi confluiscono in un’organica unità che oltrepassa la tensione morale e creativa dell’autore e fa del suo lavoro lo specchio di una condizione umana e di temi e problemi fondamentali del nostro tempo e della nostra esistenza. Oggi viviamo il tempo del grande ritorno, che sfalda i percorsi e le costruzioni, ci riconduce all’origine quando la sostanza infinita della kabbala, o il nulla della teoria del Big Bang, si ritirò. E dal suo esilio nacque il mondo. Il nostro mondo è nato dall’esilio e nell’esilio, dalla separazione e nella separazione, dalla rottura e nella rottura, dalla caduta e nella caduta, dall’imperfezione e nella imperfezione. Il nostro mondo è verosimilmente nato da una sorta di accidente in seno ad un infinito senza forma, né spazio né tempo. Di fatto, tutte le cose di questo mondo comportano in esse la loro finitezza, la loro corruttibilità, la loro negazione. Sono inseparabili dall’esplosione-disgregazione iniziale. Muliere, come ognuno di noi, nel profondo spesso inaccessibile questo stato tende con una straordinaria tensione morale a portarlo alla luce come condizione di senso della nostra esistenza. Sviluppa un ponte, la pittura il segno la scultura, come modi di dare emergenza alle forme nelle quali è nascosto il mistero. Il mondo affonda in un mistero inaudito, ma non si sa ancora che questo mistero contiene la debolezza del reale. È qui che ora si determina un processo di trasmutazione e metamorfosi, di cui l’arte si prende un frammento, un segmento, e in esso cerca di intravvedere la forma che deve venire, la genesi e l’atto, quel mondo immaginale, che dà visibilità a ciò che per definizione è invisibile. Abbiamo qui una prima linea di sperimentazione e di ricerca quando l’artista tende ad appropriarsi, tramite l’emozione che la fa vivere, dei segni dell’esterno, in particolare di quelle apparizioni sospese tra sogno-visione e realtà, di figure di donna. Il corpo, in particolare il corpo della donna, è un campo cosmico. O forse non sempre: talora è una terra sconsacrata, come in attesa di gesto e di senso. Ma esso per quanto esasperato, come prigioniero non tradisce in alcun 24 caso un affetto o un moto troppo violento come se del corpo di una donna non si dovesse mai disperare. Come se contenesse in sé tutte le forme e tutti i possibili, il mistero della nascita, e il segreto dell’amore. Tanto è racchiuso di enigma in un cosí breve cosmo che è il corpo della donna. C’è in un primo tempo della ricerca di Muliere, questa presenza che nella sua sensibilità di uomo del sud, ritiene e configura un mondo di incantamenti arcaici, che tende a trattenere nell’atmosfera di alba, di teneri azzurri e rosa, come in un’eterna infanzia, a cullare nel sogno di ritmi del tempo sempre eguali, prima della separazione e del viaggio del proprio irraggiungibile destino. Svuotandone la sostanza in altro sogno, in un mondo parallelo, dove gli antichi corpi e paesaggi si ritraggono in se stessi, come per nascondersi ma invece occupano con determinazione la scena di proiezioni fantastiche, di elementi che danno sul nulla dell’origine ormai remota o perduta del tutto: la vita per riaffermare se stessa, l’artista per rivendicare la propria partecipazione alla creazione. La nostra immagine interiore è specchio, è avidità di possesso: un’avidità che strazia ed impegna le molte persone della psiche. L’occhio interiore si rovescia all’interno di se stesso dove si svela il misterioso dell’essere e della pittura. Le figure del quotidiano - luoghi persone cose - ci vengono ancora incontro, indicano questa crisi del nostro modo di rappresentarci, che ci arriva dal di fuori, forse dal futuro. In questo paesaggio di luce limpida è presente il residuo di una esplosione iniziale. L’inizio e la fine stanno in qualche punto di questo orizzonte, all’estremo di un diametro cosmico. Come svelano questi quadri, l’eruzione, l’acqua, il fuoco, sono nell’aria. Tra le brume di un mondo quasi notturno - le concrezioni - avviene un’esplosione di luce, una forma appare nel magma dell’informe: è la nascita stessa che si rivela come realizzazione di realtà estrema. L’esperienza dell’informale, soprattutto nella forma della gestualità di Vedova e nella matericità di Burri si saldano nel lavoro di Muliere ad una nuova dimensione di visione che converge in una sua autonomia, di emozione e di linguaggio, con quanto di piú autentico e vero anima la ricerca della transavanguardia, di Chia e di Cucchi, in questo recupero viscerale del filo che dà emergenza al continente sconosciuto e inaccessibile del profondo; dove è il legame e dove è depositato il mistero. Il rapporto tra l’uomo e l’evento è lo stesso che fantastica l’oggetto del nostro eros: la vita, la luce, il fuoco eruzione, dietro i quali sta la morte, ovvero la sparizione di tutto questo. Insorge, intenso struggente un desiderio-urgenza estrema: il desiderio di proteggere il particolare - la venatura di una foglia, un tronco, un corpo, un gesto, un grumo soltanto di oscura materia - contro l’uni- versale: la fugace tenerezza dei sensi, l’emozione contro la marcia trionfante del distruttivo. Questa dilatazione-distinzione della realtà, intesa come mondo di esperienze in qualche modo consumate-affidate alla operazione artistica, implica la coincidenza di nuove ipotesi di significato, di altre valenze e altri valori. La linea che da Aspirazione si sospinge al limite delle Concrezioni, è affermazione di realtà, disperata, sofferta come nel mondo regolato dal pensiero debole, nella consapevolezza della crisi dei fondamenti del mondo, rivelatrice della sua imperfezione congenita, della sua incompiutezza, della sua degradabilità segno della debolezza della realtà. Ma questa crisi che ha cancellato l’ordine ci ha reso piú struggente il vissuto di ogni presenza; il desiderio di esistenza; ogni grumo di energia, ogni impronta fino al recupero della memoria di ogni elemento. Con una tenacia radicata, nelle origini e nella scelta etica, Muliere oppone ad ogni segreto e ad ogni mistero, questa sua aspirazione a trovare la collocazione giusta; e lo stesso naturalismo non esclude il riferimento ad un universo, ma anzi ne è tramite della trasfigurazione di ogni immagine in valore simbolico, che tende con tutte le forze ad annullare la distanza, nel sogno-follia di Van Gogh, a ritrovare oltre il contatto la propria origine e la propria destinazione finale. È qui che si determina il processo di trasmutazione, della materia e della vita, segno, impronta di cui l’arte si appropria, e in essa cerca appunto di intravvedere la forma che deve venire, cioè il senso che valica ogni logica e si presenta come destino. Elio Mercuri Presentazione Monografia, MULIERE - La forma che deve venire, Iconografia Ed., Roma Biennale d’Arte della Spezia 1° Premio Internazionale ARTISTI PER L’EUROPA - I GRANDI DELL’ARTE ITALIANA - LA SPEZIA 1990 CARMINE MARIO MULIERE L ’artista si identifica con le sue opere dove c’è lo sforzo del ritrovamento e il riconoscimento di se stesso attraverso la dispersione del proprio io nella molteplicità degli esseri e nelle variazioni delle luci dell’animo. Nel suo lavoro si ritrova sostanza piú che sogno, un viaggio metafisico dell’inconscio dove l’uomo nelle sua totalità viene inciso sulla tela ed ha la sacralità di una testimonianza di fede; il colore non esalta le masse della composizione, ma diventa volume, forma vitale che sprigiona energia. Nell’artista ci sorprende la coesistenza di una estrema semplicità e di una estrema complessità: semplicità nella resa poetica, complessità nella tecnica che valorizza gli incroci fulminei di immagi- 25 ni, di colori sovrapposti, come sovrapposte sono le vibrazioni dell’anima nel canto solitario della vita. Quella di Muliere è una pittura visionaria appena sottolineata da graffiti di sogno, e si fa notare per la sua personalità d’espressione cromatica e per la sua sorprendente padronanza tecnica. Il colore è fragrante e sembra restare umido, è essenziale e insieme denso, povero ma può apparire anche sontuoso, fatto sta che i suoi rossi, blu celeste e viola, hanno una novità di palpito, che è difficile ritrovare in altri. Attraverso la sua opera cerca di raggiungere la pienezza del vedere, la saturazione, l’appagamento che non lascia piú spazio ad altre cose; è un vedere totale, non il vedere l’oggetto. Ogni suo lavoro tenta di essere l’accesso ad un senso di verità, al pensiero, all’idea assoluta; il quadro sembra una sorta di teatro dove qualcosa accade, cioè la rivelazione dell’invisibile. In Muliere non c’è in effetti nessuna intenzione rappresentativa: la pittura si dissolve nei singoli aspetti della sua pratica illusionistica: la pittura sembra sovrapporsi alla pittura, gli espedienti si stratificano, le pennellate si intrecciano; l’opera di Muliere è astratta dove però l’astrazione non è solo un pretesto decorativo. L’artista insegue il filo di un mito moderno di sobrietà e purezza espressiva, teso al recupero del livello primario della esperienza creatrice; la lettura di queste opere dà inoltre diverse percezioni prospettiche, mostra sospensioni che alleggeriscono la fruizione, crea un gioco di rimandi continui tra pieni e vuoti, luci e ombre. La ricerca di una gestualità controllata trova in queste opere una maturità espressiva; buona è anche la sobrietà della gamma cromatica, in uno sforzo di essenzializzazione; una sintesi tra colore e rigore, una compenetrazione fisica tra volume, segni e luce. Il rapporto in queste opere tra concretezza della forma e finzione della sua immagine viene continuamente forzato e messo in un gioco di riflessione infinito: l ‘ansia che si genera in questa spirale di segni e di colori non è che il desiderio di scoprire e capire l’essenzialità della vita. Mirella Occhipinti 1990, La Spezia Carmine Muliere, artista molisano alla corte di Roma che non nasconde, anzi ne va fiero, le sue origini - La “Concrezione” come attimo fuggente “Non vedo un’autentica discontinuità tra l’astratto e il figurativo” C armine Muliere parla poco. E parla piano. È un dato quasi simbolico della sua personalità già rilevato dal critico - e poeta - Elio Filippo Accrocca, che da sempre apprezza Muliere come uomo e come artista; la sua è una voce discreta, aliena dalle trombe della pubblicità come dai “con- tratti” coi potentati politico-culturali; forse fin troppo modesta. È nato a S. Elena Sannita ed ha sentito presto l’arte, scoperto dalla sua maestra in un concorso di disegno per i bambini delle elementari. “La mia maestra - dice Muliere commosso - continua ad essere uno dei miei critici piú attenti e costanti”. Dopo le medie si trasferí nella Capitale dove vive ed opera. Frequenti le mostre a Roma, Napoli e altrove; molti gli articoli di encomio su importanti quotidiani. Muliere è anche scultore e poeta, con molti libri di versi alle spalle. La sua non è arte facile, pur se estremamente varia: vi sono nudi dolcissimi in riva al mare e figure complesse, da sogno o da incubo, fino al magma indistinto della pura astrazione, che sembra rappresentare il pensiero allo stato puro o - come egli stesso dice - la Creazione ancor prima d’essere realizzata: è il caso delle “concrezioni” (lui stesso conia il vocabolo) che sembrano voler fotografare le vibrazioni dell’energia prima ancora che si faccia materia. La piú alta vibrazione dell’astratto l’abbiamo a mio avviso in quel quadro dell’85 che ha per titolo: “Il nulla non esiste” e che sembra inventare lo spiraglio di una nuova luce e di un nuovo colore ai confini del buio universale. Facevano invece pensare alle forme chiare ma surreali e simboliche di De Chirico le pitture degli anni ‘70. Laddove oggi Muliere si avventura fino alle estremità dello stilema, nella essenzialità del solo inchiostro: nodi, linee, unite da chissà quale afflato, simili a volte alle macchie degli esercizi psicanalitici. L’autore ci dice: “In realtà non vedo un’autentica discontinuità tra l’astratto e il figurativo; anche la parola, prima di diventare parola, era un gesto, un movimento, poi è venuto il graffito. L’immagine può cogliere la parte finale del processo o uno solo degli stadi: cosí puoi avere una figura nota o qualcosa di meno evidente. Se io disegno una foglia di dice che è un quadro figurativo; se ingrandisco l’immagine e metto sulla tela gli intrecci vitali della foglia stessa o i movimenti dei protozoi; se dipingo l’infinitamente piccolo, allora si dice che il quadro è astratto”. Chiediamo: “Come si sente un artista molisano a Roma?”. Risponde: “Continua a sentirsi molisano: i miei contatti coi molisani di Roma sono continui”. - Ricordi belli e brutti del Molise? “Ricordo con piacere un giornalino del Provveditorato, Il Piccolo Molisano, che organizzava bellissimi concorsi nelle scuole. Non credo che oggi si faccia ancora. Il Molise mi sembra meno attivo autonomamente, piú rassegnato e quasi deciso a dipendere da altri o da altro. Esso non è per niente inferiore culturalmente. Quelli che restano in Molise dovrebbero riscoprire l’orgoglio d’uno stile di vita specifico e autonomo, ed essere gelosi di quello stare quasi fuori del tempo, 26 invece di lasciarsi assimilare da altri contesti”. Sono pienamente d’accordo. Sentite, Muliere, perché dipingete? “Vi risponderò con Picasso: Io non cerco: trovo. L’arte non dipende (soltanto) dall’artista”. - Cos’è per Voi l’arte? “Anche un impegno morale. Mi impegno personalmente a non esprimere nessun concetto senza metterlo in pratica. La parola deve corrispondere ad una scelta etica, che non ha nulla a che vedere con il successo a tutti i costi...”. - Spira un’ammirevole aria di ascesi da quel che dite... “Non è voluta. Penso che rinunciare a qualcosa sia un modo per possedere meglio. Il piú grande ricco è chi sa rinunciare a tutto”. - Lo diceva anche Bossuet. Avete nominato Picasso: qual’è il Vostro maestro? “La Natura. La pietra, il filo d’erba che ho studiato con l’incanto del bambino quand’ero ancora a S. Elena. In quegli elementi sono già tutte le espressioni che un artista può sviluppare per evidenziare quello che sfugge. Gli uomini quasi sempre camminano senza vedere. E spesso non sanno neppure perché camminano”. Sergio Sammartino IL TEMPO - MOLISE CULTURA, domenica 5 agosto 1990, Agnone CARMINE MULIERE, In-finito attuale L a lunga ricerca artistica affrontata da anni da Carmine Muliere, attraversata da influssi figurativi, da momenti scultorei, lo ha condotto ad una maturazione linguistico-formale di chiara impronta informale. L’ “In-finito attuale” qui presentato è una opera in cui vi è un rimando strutturale agli antichi mosaici, dove le tessere che lo compongono appaiono, per la secchezza della materia adottata, come scalfite da un tempo metastorico, evocato, peraltro, dal titolo stesso. Le forme-concrezioni che si espandono dai fondi di acetato trattato, simili a croste parietali, a “coupures” rocciose, sono la rappresentazione di un immaginario arcaico, sedimentato negli strati profondi dell’essere e affiorante nella informe imprevedibilità cromatica. L’utilizzo dell’acetato, se da una parte attutisce il portato materico esaltandone però la sua variazione luministica, dall’altra attribuisce all’intera opera una dimensione oggettuale rivolta alla conquista dello spazio circostante, sintomo, forse, di una sofferta e cercata aderenza alla realtà contemporanea. La schematica composizione a griglia è realizzata da 120 tessere di acetato di cm. 25×35 ciascuna, unite tra loro da anelli di plastica trasparente. Teresa Macrí Presentazione al Picasso cafè aprile-maggio 1990, Roma PITTORI MOLISANI A ROMA, Carmine Muliere ha esposto di recente al Picasso cafè “ L’informale” Muliere di oggi, autore delle 120 tessere del grande mosaico esposto alla galleria Picasso di Roma, non ci sorprende, perché una segreta tendenza all’informale è stata sempre, in nuce, presente nella stessa esperienza figurativa del nostro artista. A prima vista ti si affollano dinanzi trasparenze di acque lacustri disseminate di ninfee, strascichi di colori aurorali, ipotesi di Galassie, esplosioni astrali, liquefazioni sanguigne, che la squisitissima pittrice belga De Bruyne, ricca di talento, ma povera di critici d’arte col becco puntato su piú sostanziosi pasti, intitolerebbe “ascoltando Mozart”, carbonizzazioni di corpi umani e vegetali, iridescenze ectoplasmatiche, oscure radure boschive, sarabande di vegetali e di animali sottomarini ed altro ancora; ma in questo apparente, programmato caos si rintraccia il filo di un discorso da tempo avviato da Muliere: la problematicità di “Domande” del ‘76, di “Uomini” del ‘77, degli splendidi “Nudi” virtualmente informali del ‘73 e del ‘76 anticipa la problematicità di queste ultime composizioni che potrebbero intitolarsi: “Domande alla luce e alla materia”. Sembra che Muliere abbia a lungo meditato in questi ultimi anni sulle pagine de “Il Cantico dei Quanti” di Ortoli e Pharabod, che ipotizzano con la dissolvenza della materia l’esplosione di un’energia vitale ed espressiva nuova, l’energia della luce e dello spazio: “Il nulla non esiste” è il titolo di una composizione dell’85 dell’artista molisano, che sembra mettere tutto in discussione alla ricerca di un segno di vita al di là della materia, dentro la materia stessa; è una pittura quella di Muliere che offre a chi la guarda gli strumenti piú inopinati per articolarla e disarticolarla a propria discrezione e a proprio piacimento, agitarla come un caleidoscopio per ricavarne le piú imprevedibili e opinabili figurazioni, reinventarne le funzioni degli oggetti com’era nell’auspicio di Duchamp, fiducioso nel completamento ideale dell’opera d’arte operabile da parte del fruitore. Se fossi seguace del burocratismo critico dei maniaci del reperimento delle ascendenze, potrei argomentare che certe ondate di mari surreali, ad esempio, di Muliere rimandano ai terrificanti marosi di Hokusai o di Turner, certe puntinistiche panoramiche alle figurazioni spaziali di Lucio Fontana, certi sfilacciati, evanescenti paesaggi agli “Studi di marina” di Constable, certi “Monotipi” dell’86 alle illustrazioni urbanistiche di Joanne o ai reticoli del “Circus trasfigured” di Mark Tobey e, perché no, alle figurazioni gerocliptiche di Pollok; e “Spessore trasparente” dell’85 non ci richiama forse alle apparenti ripetitività strutturalistiche di Capogrossi ? Le analogie, quando non si tratta di plagio, non infirmano il valore estetico dei testi: il dannunziano “sopracciglio della giovinetta”, pur essendo un’allegoria 27 della luna presente nell’antica poesia popolare armena, non è un plagio; contano i contesti poetici nei quali una stessa immagine acquista suono e vita diversi. La cultura è talmente interiorizzata e personalizzata in Muliere che persino la tanto deprecata liricità pittorica che, secondo Luigi Tallarico renderebbe labile l’impianto costruttivo, diventa strumento di penetrazione nelle cose e di sintonia delle cose con l’inconscio o l’ineffabile. È precisamente il dramma di questo tentativo di penetrazione e di sintonizzazione che vitalizza, modernizza e universalizza tutta l’opera di Carmine Muliere. Giuseppe Jovine Forche Caudine, 18 luglio 1990, Roma LORENZO IL MAGNIFICO 12 incisioni all’acquaforte + acquatinta eseguite da Carmine Muliere per “Iconografia poetica: una storia della poesia italiana dal’200 ad oggi”, collana diretta da Elio Mercuri per la Grafica d’Arte Lombardi, Roma. S iamo abituati a considerare Lorenzo il Magnifico spirito grande della politica e della diplomazia quasi incarnazione e simbolo di un’epoca, il Rinascimento di una città mirabile, Firenze, di una cultura e civiltà che ha segnato un tempo assai significativo della storia dell’uomo in un’unità di motivi che come nel mirabile ritratto del Vasari o nel busto del Verrocchio ce ne rendono la figura avvolta in un suo insondabile enigma. La sua poesia ci appare come qualcosa non piú marginale nella sua complessa attività, di diplomatico, di politico, di statista, di banchiere capace sempre di tessere la trama opportuna per la realizzazione di un fine che era poi il segno di un’idea. Era un aspetto della certezza del valore di unità delle attitudini e delle azioni dell’uomo, di questa aspirazione alla totalità, all’equilibrio se non all’impossibile per l’uomo armonia della e nella vita. Esperienza necessaria per l’uomo di stato e politico, ormai liberata dalla severa condanna del De Sanctis che la vedeva opera di corruzione del popolo, nella quale trovare la propria umanità, solo la cultura e la poesia e l’arte possono dare alla nostra spiritualità pienezza e quindi spogliare l’esistenza di tutto quanto non è essenziale e quindi raggiungere quel distacco, la sottile ironia che ci rende possibile collocare le vicende del vivere nella dimensione assoluta della storia e del cosmo. Nei pochi versi della ballata piú celebre “Quanto è bella giovinezza...” come in tutta la sua produzione poetica noi sentiamo la adesione a questa idea e al tempo stesso l’eco di una profonda malinconia. Su tutto domina il senso di questa malinconia persino nello sfrenarsi dei canti carnascialeschi quando il riso e la beffa prevalgono è che Lorenzo è tutt’altro che astratto in una sua visione di sogno e di immaginazione. Ci appare sempre piú sensibile interprete del suo tempo, un tempo che solo un’impropria prospettiva romantica può snaturare a mito di un’età dell’oro. Età dell’oro non esistono se non nella poetica speranza dell’uomo o nella sua elegiaca rimembranza di un sogno; non esistono nel passato, né per il futuro. Il tempo di Lorenzo fu drammatico quanto pochi, percorso da tensioni e passioni; da violenza e guerra; forse mai come allora, bastava il pugnale o il segreto veleno, una congiura o un agguato; la vita anche quella dei grandi, era vulnerabile e precaria; insidiata dall’esilio e dall’intrigo, dalla morte nascosta dietro l’angolo di una strada o avvolta nel velo della notte. Al di là delle luci e degli ori, dello splendore delle vesti, persino nelle immagini di un pittore celebrativo come il Ghirlandaio si immaginano, per la stessa aderenza dei ritratti, queste ombre e sottili, quasi impercettibili, incertezze per non dire di altre intimamente connesse al mistero stesso dell’esistenza. I canti del Magnifico, i canti del Poliziano non sono estranei dal senso di questa malinconia dall’intimo dei versi erompe in colori di una purità primaverile floreale la visione ma anche le è compagna la sensazione struggente della fugacità della vita: “ben venga maggio”, rammentiamola siamo presi nel coro festoso dei giovani, tra rami fioriti, che già l’incantesimo si spezza, è anch’esso un coro che va e si dilegua. C’è dunque dentro questo inno all’attimo fuggente di Lorenzo la lucida coscienza della precarietà di ogni potere e gloria, che assumeva nella memoria il destino del fratello Giuliano e svelava il rischio e la minaccia che incombeva sull’ideale aspirazione alla bellezza e alla perfezione, quando il neo-platonismo si risolve nella malinconia della bellezza di Botticelli o piú tardi nell’inappagata meditazione di Michelangelo che troverà espressione proprio nelle tombe medicee. La vita come opera d’arte, lo stato come opera d’arte che proprio in Lorenzo sembrava avessero trovato naturale incarnazione cedono in questi versi al senso di una invalicabile solitudine. Allora “L’ago della bilancia d’Italia” si trova con se stesso e il momento dionisiaco irrompe come da Tiaso di un antico sarcofago a turbare le plaghe della memoria e dell’anima. Muliere nelle sue incisioni vive la poesia di Lorenzo con la sensibilità acuita dall’interrogazione sul presente, come ansia a tradurre quelle immagini di malinconia e di liberazione in modi e figure di esistenza che il ricordo di un tempo di grande civiltà figurativa incarna non nostalgia ma inattualità di valori. Allora il Magnifico ci appare tale non soltanto per le sue arti, di governo e di diplomazia ma per la segreta umanità che lo spinge con amore a cercare la poesia questo desiderio di felicità nonostante nelle incisioni il tratto nitido sfuma in questa ombra che spegne la festa e trasfigura l’immagine da realtà a fantasma e visione di 28 sogno, “del diman non c’è certezza”. Elio Mercuri Cenni esplicativi per le incisioni del Libro-cartella dedicato a Lorenzo il Magnifico L orenzo il Magnifico (1449-1492) è il cardine della civiltà fiorentina del suo tempo. Un’epoca colma di motivi etici volti alla problematica sociale e all’organizzazione politica e carica anche di sentimenti densi della cultura classica che intravedono una Humanitas in cerca di un possibile sviluppo nella vita civile. Contemporaneamente si evidenza la sfiducia nell’azione dell’uomo e si prende coscienza dei suoi limiti e questo propende al disinteresse per la vita politica. L’arte e la cultura esprimono un desiderio di evasione dalla vita reale per cercare un mondo di pace e serenità nel quale l’animo possa trovare ideale seppur illusorio appagamento. Michelangelo iniziò nella bottega del Ghirlandaio, poi nei giardini di san Marco, dove per volere di Lorenzo erano state radunate statue antiche che servissero di modello ai giovani. L’insegnamento era presieduto da Bertoldo, discepolo di Donatello. Ma la scuola decisiva per Michelangelo fu Lorenzo che subito lo conobbe “d’ingegno e di iudicio” e lo trattenne presso di sé “né altrimenti trattandolo che da figliuolo” e lo volle alla sua mensa “alla quale, come d’un tal’uomo, sedevano ogni giorno personaggi eccezionali: Poliziano, Landini, Ficino, Pico della Mirandola, Pulci, Benivieni, tutti insigni rappresentanti di quell’umanesimo che dall’antico avevano tratto norme di pensiero, di vita e di arte per giungere nello stadio della sua prima maturità, ad una nuova ed originale comprensione. Per la prima acquaforte ho scelto Villa Medici di Careggi perché fu ricostruita per Cosimo il Vecchio, nonno di Lorenzo e fondatore del dominio della sua famiglia in Firenze. 2) Dal poema “Comento” e con questa immagine penso d’aver colto il momento che unisce lo spirito e la materia: il triangolo dei fiori in alto si concretizza nella candidissima mano della Venere del Botticelli. 3/4/5) Il Botticelli dipinse per Lorenzo la “Primavera” e “La nascita di Venere” (10)con la quale si chiude la raccolta e che rappresenta l’ideale femminile per Lorenzo che desidera “o di sognarla in eterno, o che sia un sogno verace confermato dalla realtà. Gli Antichi pensavano che i sogni fallaci uscissero dagli Inferi attraverso una porta d’avorio, mentre da una porta di corno quelli veraci”. 5-7) Entrambe sono commentate nelle note del libro. 8-9) L’Aurora e il Crepuscolo, le due statue della tomba di Lorenzo, Cappella di San Lorenzo ese- guite da Michelangelo. Secondo il Varchi ed il Vasari, Michelangelo volle eternare le glorie della famiglia Medici. Per altri l’interpretazione va rapportata sia con la situazione politica all’inizio del secolo XVI, sia con la letteratura religiosa del tempo, sia con la poesia dei canti carnascialeschi. Per il Tolnay, invece Michelangelo vorrebbe adombrare il concetto neoplatonico dell’anima umana che liberata dal peso del corpo di cui era prigioniera, ritrova la sua vera essenza nel mondo celeste dal quale deriva. Allegorie e figure devono poi essere messe in rapporto con la Madonna che, nel suo profondo sentimento materno, irraggia, invece, l’intensità del sentimento umano della vita. A questi autorevoli giudizi si aggancia il mio che si inserisce nella centralità del pensiero di Lorenzo e di Michelangelo: ognuno di noi può trovare il proprio centro dentro se stesso. L’aurora prelude il giorno, il crepuscolo la notte: noi non sappiamo come sarà ma possiamo immaginarlo affinché possa essere come vogliamo che sia se ci sarà concesso. Carmine Mario Muliere dicembre 1990, Roma ARTE E DINTORNI “DIMENTICARE È SEMPLICE...” “ DIMENTICARE è semplice per chi non deve farlo”. Questa riflessione, che leggo in un ormai vecchio libro (del 1978) di Carmine Muliere, pittore e scultore molisano, è quella che mi restituisce nel modo piú completo la personalità di questo artista, quale l’ho conosciuto in un recente breve incontro. Non so perché: la frase non è di quelle scolpite, non ha un valore storico, non è altisonante. Ma colpisce per la sua capacità di denudare la verità, mettendo allo scoperto un pensiero che sembra ovvio e che invece lascia trapelare una intuizione profonda, che va alle radici della nostra essenza umana. Una sensibilità attenta, ammantata di semplicità: questa è la personalità di Carmine Muliere che ritrovo in quella frase spontanea e rivelatrice. Ma semplicità di atteggiamenti e di comportamenti non significa semplicità di pensiero e di impegno artistico. E il nostro, infatti, dipinge, scolpisce, scrive poesie, detta riflessioni. Dice di lui Elio Filippo Accrocca, nella presentazione di “Natura e radici”, una singolare raccolta delle immagini delle sue opere e dei suoi versi di alcuni anni fa: “usa parola e colori, penna e pietra, alfabeto e oli, sintassi e legni, verbi e incisioni, per dare di sé una globale dimensione d’artista”. Un piú recente documento artistico e letterario sull’artista isernino è “Muliere, la forma che deve venire”, un libro ricco di testimonianze, di contri- 29 buti di critica e di documenti di cronaca, che offrono uno spaccato molto significativo della complessa personalità di Muliere pittore-scultore-incisore. E poeta. Un uomo che vive in modo composto un interiore intenso affanno che lo spinge incessantemente a frugare tra le pieghe dell’anima e nei risvolti continui dell’esistenza, alla ricerca delle infinite perle nascoste - un pensiero, una frase, una immagine - che danno allo spirito alimento e stimolo. E che, nel nostro distratto “quotidiano”, perdiamo sempre piú di vista, lasciando spoglia e insipida la nostra giornata. Boris Fischetti Giornale di Agricoltura, anno 101, agosto 1990, Roma Wiedereröffnung in einem neuen Domizil - Die Hanauer Galerie Thekla mit Arbeiten von Renzullo und Muliere wieder dabei, (rz) (foto v.G.), HANAUERAUERZEIGE, sabato 23 maggio 1992, Hanau. Neueröffnung Galerie Thekla: Gabriele Renzullo und Carmine Muliere haben mit Skulpturen und Bildern Kontrast zu postmodernen Gebäuden geschaffen - ‘KUNSTGENUß BEIM BLICK AUS 112 FENSTERN’, Jutta Rippegather sabato 23 maggio 1992, Frankfurter Rundschau, Francoforte sul Meno. KULTUR - Kunst - vorgedacht und verspielt Bildauer Gabriele Renzullo und Maler Carmine Muliere stellen in Hanauer Galerie aus, Ernst Buck, OFFENBACH-POST, mercoledí 3 giugno, Offenbach/Main. Nach einer mehrjährigen - offenbar kreativen Pause hat die Galerie Thekla in der FriedrichEbert-Anlage 11 b neu eröffnet. Die erste Ausstellung bestreitet der Bildhauer Gabriele Renzullo und sein Landsmann Carmine Muliere. Unsere Bilder zeigen links eine der Freiluftplastiken Renzullos und rechts eine Fensterngestaltung von Muliere. Fotos: v. G. Wiedereröffnung in einem neuen Domizil Die Hanauer Galerie Thekla mit Arbeiten von Renzullo und Muliere wieder dabei. Hanau (rz). er erste Versuch begann im Januar 1984 und dauerte gut drei Jahre: Die Galerie Thekla brachte “frischen Wind in die Hanauer Galerienlandschaft”, wie es Altbürgermeister Strecke einmal bei einer Ausstellungseröffnung in den Räumen in der Mühlstraße formulierte. Gegründet in einer Zeit, da die Hanauer Galerienszene äußerst lebendig war, waren nicht nur die Räumlichkeiten außergewöhnlich, son- D dern auch das Konzept. Im Foyer und den Wartezimmern einer Arztpraxis eine Galerie als eigenständige Einrichtung zu unterhalten und dabei auch noch programmatisch Wege zu finden, die den bis dahin üblichen Rahmen überschritten, mußte fast erfolgreich sein. Letztlich waren es aber gerade die Räumlichkeiten in der Mühlstraße, die auf Dauer nicht mehr den Ansprüchen des Galeriekonzepts entsprachen. Dies wird deutlich, wenn man jetzt die neue Galerie Thekla ansteuert. Untergebracht wiederum in Verbindung mit der Arztpraxis im Haus Friedrich-Ebert-Anlage 11 b wird schon bei der Annäherung deutlich, daß es in der Tat neue Dimensionen sind, die sich auftun. Zwischen zwei, leicht postmoderner Architektur verpflichteten Bauten ist auf einer Freifläche Raum für große Freiluftplastiken. Diese zeigt dann auch ein aus früheren TheklaZeiten nicht unbekannter Künstler: Gabriele Renzullo. War er bei seiner Ausstellung in der Mühlstraße auf kleine Formate zwangsläufig festgelegt, so kann er jetzt mit seinen Freiluftplastiken “in den Raum” gehen. Die Wirkung ist frappierend, wie sich im Vergleich zeigt. Kunst am Bau ist vielleicht zuviel gesagt für das, was der zweite Künstler der Eröffnungsausstellung in dem von dem Hanauer Architekten Haenlein entworfenen Gebäude beisteuert. Doch genau für dieses Haus hat Carmine Muliere die farbige Gestaltung der Fensterflächen mit transparenten Kunststofftafeln übernommen, die im organischen Formund Farbspiel die Kühle der Architektur kontrastieren, dezent und wohlabgestimmt. Die neue Galerie Thekla soll, so die Galeristin Thekla Wildgrube, wieder ein Faktor im Hanauer Kulturleben werden, dazu werde man von nun an mit den neuen Möglichkeiten ein kontinuierliches Ausstellungsprogramm bieten. Daß man den Kulturbegriff dabel nicht allein auf die bildenden Künste beschränken will, signalisierte bei der Vernissage eine kürze Dichterlesung von Paul Gerhard “Hadayath Ullah” Hübsch mit “Gedichten gegen den Haß”. Eine Premiere sollte auch die Aufführung von Dieter Oehms “Raumsequenzen”, vier eigene Stücke für Piano solo, sein doch konnte dieser Auftritt aus technischen Gründen zur Vernissage nicht stattfinden. Er wird aber nachgeholt. Hanaus Oberbürgermeister Hans Martin hatte es sich nicht nehmen lassen, der Neueröffnung der Galerie Thekla durch seine Anwesenheit die Ehre zu geben. 1984 hatte er anläßlich einer Ausstellungseröffnung in der alten Galerie darauf hingewiesen, daß Kultur stets eine breite Plattfonn brauche. Seine Worte von damals gelten heute gleicherrnaßen. Und mit der Neueröffhung der Galerie 30 Thekla ergibt sich eine weitere Facette des Hanauer Kunstlebens, der man Erfolg wünschen muß und vor allem auch Ermutigung durch eine wohlwollende Unterstützung durch die Kulturverwaltung. Dies indes sicherte Hanaus, Oberbürgermeister zu. Die Galerie in der Friedrich-Ebert-Anlage 11 b (hinter der Aral-Tankstelle) ist montags bis freitags von 11 bis 13 Uhr, montags, mittwochs und donnerstags von 16 bis 18 Uhr geöffnet. Weitere Termine können unter der Telefonnummer 93 77 50 vereinbart werden. HANAUERAUZEIGE, samstag 23 Mai 1992 / Seite 6 - Hanau Dopo una “pausa creativa” di diversi anni, riapre la galleria Thekla nella Friedrich-Ebert-Anlage 11b. La prima mostra è dello scultore Gabriele Renzullo e del suo connazionale Carmine Muliere. Le nostre fotografie mostrano a sinistra una delle sculture di Renzullo e a destra un lavoro apposto alla finestra di Carmine Muliere. RIAPERTURA AL NUOVO DOMICILIO La galleria Thekla di Hanau con i lavori di Renzullo e Muliere di nuovo in scena Hanau (rz) l primo approccio cominciò a gennaio del 1984 e durò ben tre anni: la galleria Thekla portò “vento fresco tra le gallerie di Hanau” come dichiarò l’allora sindaco Streke all’apertura di una mostra nella Mühlstraße. Fondata in un periodo fiorente per le gallerie di Hanau, non solo lo spazio, ma anche il concetto era al di fuori del normale. Nell’atrio e nelle sale d’aspetto dello studio medico si sviluppava la galleria che trovava metodi al di là dell’attività normale, quindi già predisposta ad avere successo. Infine furono proprio gli spazi della vecchia galleria a non poter piú soddisfare le esigenze che crescevano man mano. Ciò diventa chiaro quando si osserva adesso la nuova galleria. Di nuovo incorporata nello studio medico, mostra subito nuove dimensioni. Tra due edifici postmoderni c’è uno spazio per le sculture. In questo spazio espone un artista già conosciuto dalla galleria Thekla: Gabriele Renzullo. Per la mostra nella Mühlstraße dovette limitarsi a sculture di piccolo formato, adesso invece può dilatarsi nello spazio. L’effetto è straordinario. Arte integrata nell’architettura è detto troppo per quello che presenta il secondo artista nella casa ideata dall’architetto di Hanau, Haenlein. Proprio per questa casa Carmine Muliere ha creato, su fogli trasparenti, un gioco organico di forme e colori, un contrasto decente e ben equilibrato con la fredda architettura. La nuova galleria deve, cosí la gallerista Wildgrube, essere una determinante nella vita culturale di Hanau e con le nuove possibilità, offrire un pro- I gramma costante. Che il concetto di cultura non si limita solo alle arti figurative lo dimostra la corta lettura di testi inediti dello scrittore Paul Gerhard “Hadayath Ullah” Hübsch: “Poesie contro l’odio”, durante l’inaugurazione della mostra. Un’anteprima avrebbe dovuto essere l’esibizione di Dieter Oehm: “Sequenze spaziali” 4 sonate per piano solo, ma non è stato possibile per motivi tecnici. Verrà fatto in un secondo momento. Il sindaco di Hanau Hans Martin non si è lasciato sfuggire l’occasione di dare l’onore della sua presenza. Nel 1984 aveva fatto notare che la cultura ha bisogno di un ampio raggio. Le parole di allora sono valide ancora oggi. Con l’apertura della nuova galleria si apre un nuovo spiraglio nella vita culturale di Hanau. A ciò si deve augurare successo e appoggio dalle autorità competenti, rassicura il sindaco di Hanau. (RZ), HANAUERAUERZEIGE, 23 maggio 1992, Hanau Neueröffnung Galerie Thekla: Gabriele Renzullo und Carmine Muliere haben mit Kunstgenuß beim Blick aus 112 Fenstern Die Ausstellung in der Friedrich-Ebert-Anlage 11 B ist noch bis zum 20. Juni zu sehen {Didascalia della fotografia: Der sich ewig wandeinde Blick aus dem Fenstern: “Un-endlich aktuell” nennt Carmine Muliere sein Gesamtkunstwerk aus Transparenzbildern. (FRBilder: Benno Grieshaber)} H ANAU. Der Gegensatz könnte kaum krasser sein: Und dennoch wirken sie nicht wie Fremdkörper, die archaischen Skulpturen zwischen den beiden postmodernen Geschäft shäusern in der Friedrich-Ebert-Anlage 11. Zur Neueröffnung der Galerie Thekla haben Gabriele Renzullo und Carmine Muliere das gesamte hintere Gebäude in Beschlag genommen. Der eine mit seinen Holz ufid Bronzesckulpturen, der andere mit seinen Transparenzbildern, die den Blick durch sämtliche 112 Fenstern verfremden. “In-finito attuale”, un-endlich aktuell, nennt Muliere das aus 3340 Einheiten bestehende Kunstwerk. Ein jedes Einzelteil stellt ein Unikat dar, eine andersfarbige Schau auf die Dinge, auf die Stadt. Bevor er im November mit dieser Arbeit begann, sammelte der in Rom lebende Künstler intensiv Eindrücke von dem Ambiente, von dem Standort für das geplante Gesamtkunstwerks. Für das un-endlich aktuelle, das das Lebmen darstellt, die “ewige Sache aus verschiedenen Sachen” - und dennoch eine Einheit bildet, die bis eine Unendliche reicht. Aus jeweils zwei Folien bestehen die Rechtecke, zwinchen denen der 42 jährige individuelle Mixturen aus Klebstoff, Glasfarbe, Stoffarbe und Tempera aufeträgt: Künstliche Aquarien, die er 31 mittels runder Plastikringe zu großen Einheiten zusammenfügt. Seit sieben Jahren entwikkelt Muliere diese ungewöhnliche Technik: “Das ist für mich Malerei, Skulptur und Grafik zusammen.” Seine Kontakte nach Hanau knüpfte er über den in Offenbach lebenden Landsmann Gabriele Renzullo. Er hatte ihn im vergangenen Jahr bei einer Austellung italienischer Küstler in der Galerie Amadei in Frankfurt kennengelernt. Muliere konnte sich für das Projekt in der “Galerie Thekla” begeistern. Für ein Gesamtkunstwerk in enger Zusammenarbeit mit Renzullo. Der präsentiert eine umfangreiche Schau seiner Skulpturen, die auf den ersten Blick wie Indianerkunst wirken. Insbesondere die Werke aus Eichenholz: Um einen großen stilisierten Menschen tanzen acht kleinere Figuren. “Handwagen” heißt das Objekt auf vier umbewegbaren Rädern. Auch hier reduziert der Italiener die Darstellung des Menschen auf die für ihn wichtigsten Teile: Den Kopf als befehlendes Organ, das Auge als Licht zur Welt und die Hände, die ausführenden Organe. Je dichter diese drei wichtigen Elemente aneinanderliegen, umso erreichbarer ist die Einheit, meint der Künstler. Und hier setzt seine Sozialkritik ein: Je mehr ein Mensch ohne ein Zusammenspiel dieser drei Kräfte arbeitet, desto stärker wird er von sich entfremdet und damit manipulierbar. “Arte digiuna” - nüchterne Kunst - nennt der Wahl-Offenbacher seine Werke. Die “reale Erscheinung der Materie” den “Ist zustand” müsse der Künstler akzaptieren. “Die Nüchternheit dieses Zustands wird so zum Gegenstand und spricht eine einfache Sprache.” Darüberhinaus beschreibt der Begriff “digiuna” aber einen Teil des Dünndarms, durch den - im Krankheistfall - der Mensch künstlich ernährt werden kann. “Kultur ist anfällig” sagt der aus einem Ort nahe Neapel stammende Bildhauer. “Sie ist nicht krank, aber auch nicht gesund.” Kunst stellt für ihn den Mund dar, der “die Weltkultur” ernährt. Die Ausstellung in der Galerie Thekla, FriedrichEbert-Anlage 11B, ist bis zum 20. Juni zu sehen. Die Öffnungzeiten: Montag, Mittwoch und Donnerstag von 16 bis 18 Uhr, außerdem nach telefonischer Vereinbarung unter der Rufnummer 937750. Jutta Rippegather Frankfurter Rundschau, samstag, 23 Mai 1992, Hanau PIACERE ARTISTICO OSSERVANDO ATTRAVERSO 112 FINESTRE L ’opposto non potrebbe essere piú evidente, eppure non sono affatto estranee le sculture arcaiche tra gli edifici postmoderni della FriedrichEbert-Anlage 11b. Per la riapertura della galleria, Gabriele Renzullo e Carmine Muliere si sono impossessati di tutto l’edificio retrostante. L’uno con sculture in legno e bronzo e l’altro con i suoi lavori trasparenti, che estraneano lo sguardo attraverso tutte le 112 finestre. “In-finito attuale”, unendlich aktuell, chiama Muliere le 3340 tessere che compongono l’opera d’arte. Ogni tessera rappresenta un’unicum; un’altro modo di vedere le cose e la città. Prima di cominciare il lavoro, nel mese di novembre 1991, l’artista che vive a Roma, ha raccolto le sue impressioni intensive dell’ambiente e del posto dove doveva poi essere collocata l’opera d’arte totale: l’In-finito attuale che rappresenta la vita, “l’eterna cosa da diverse cose” e che oltretutto forma un’unità che raggiunge l’infinito. Di due fogli sono composti i rettangoli tra i quali il 42enne stende la sua tecnica mista personale, composta da colla, colori per il vetro, stoffa e acrilici: acquari artificiali che lui collega con anelli di plastica facendoli diventare una grande unità. Da sette anni Muliere sviluppa questa tecnica non usuale: “Per me, questa è contemporaneamente pittura, scultura e grafica”. I suoi contatti con Hanau li ha stabiliti tramite il connazionale Gabriele Renzullo che vive ad Offenbach. L’ha conosciuto anni addietro in una mostra di artisti italiani nella galleria Amadé di Francoforte. Muliere si è potuto entusiasmare per il progetto della “Galleria Thekla”, per la sua opera d’arte totale tenendosi in stretta collaborazione con Renzullo. Questi presenta una vasta gamma delle sue sculture, che a prima vista danno una sensazione come la dà l’arte indiana. Specialmente le sue opere in legno di quercia: intorno ad una grande persona stilizzata, ballano otto figure piccole. “Carro a mano” si chiama l’oggetto su quattro ruote immobili. Anche qua riduce l’italiano la raffigurazione dell’uomo ad elementi per lui essenziali: la testa come organo direttivo, l’occhio come la luce sul mondo, e le mani, organi esecutivi. Quanto piú vicini sono questi elementi, tanto piú è raggiungibile l’unità, afferma l’artista. E qui inizia la sua critica sociale: piú l’uomo lavora senza un effetto complessivo di queste tre forze, piú si estranea da se stesso ed è soggetto a manipolazioni. “Arte digiuna” - nüchterne Kunst - chiama l’offenbacher per scelta le sue opere. “L’apparizione reale della materia”, lo “Stato dell’è” dovrebbe essere accettato dall’artista. “La sobrietà di questo stato diventa contenuto e parla un linguaggio semplice”. Oltretutto il concetto “digiuno” descrive una parte dell’intestino tenue, attraverso la quale l’uomo può, in caso di malattia, essere nutrito artificial- 32 mente. “La cultura è malaticcia” sostiene lo scultore proveniente dalle vicinanze di Napoli. “Non è malata, ma nemmeno sana”. L’arte rappresenta per lui una bocca attraverso la quale la “cultura mondiale” si nutre. Jutta Rippegather Frankfurter Rundschau, Francoforte sul Meno 23 maggio 1992, OFFEMBACH-POST, NR. 128 MITTWOCH, 3. JUNI 1992, SEITE 7 KULTUR K unst - vorgedacht und verspielt. Bildhauer Gabriele Renzullo und Maler Carmine Muliere stellen in Hanauer Galerie aus. Nur selten findet ein Bildhauer soviel Raum im Freien, um seine Arbeiten vorzustellen, wie in der neu eröffneten “Galerie Thekla” in Hanau. Inmitten eines neu erbauten Gebäudekomplexes wurde ein Hof belassen. Auf ihm kann der in Offenbach lebende Bildhauer Gabriele Renzullo den größten Teil seiner insgesamt 15 plastischen Arbeiten ausstellen: großformatige Skulpturen, vorwiegend aus Holz, einige in Bronze oder Marmor. Die wuchtig und urtümlich erscheinenden bildhauerischen Arbeiten Renzullos bezeugen wesentliche Denkarbeit des Künstlers, bevor er an sein Material Hand anlegt. Der Künstler ist sein eigener Philosoph. Seine im Katalog niedergeschriebenen Gedangen verweisen auf einen “Istzustand” der Materie, den der Künstler zu respektieren versucht. Auch die Kunst “ist”, und sie “ermöglicht ihm das Zustandekommen der Einheit zwischen Denken und Sein”. Erfreulicherweise bewahrt den Künstler sein mediterranisches Lebensbewußtsein davor, sich in der künstlerischen Praxis allzu sehr einem Ästhetizismus oder gar Mystizismus hinzugeben: Die elementare Gebärdensprache der Skulpturen spricht den Betrachter unmittelbar an. Hier kämpft ein Künstler wie ein Titan gleichermaßen, mit und für die Materie, um sie in jene Form zu zwingen, die er ihr zugedacht hat, stets den Menschen im Sinn und doch auch über ihn hinausweisend. Mit Renzullo zusammen stellt der in Rom lebende Maler Carmine Muliere in der “Galerie Thekla” aus. Er bedarf keiner Freihöfe, um seine Arbeiten zu zeigen. Im Gegenteil, sie sind für Innenräume geschaffen in ihrer Transparenz und Verletzbarkeit. Muliere bedient sich bei seinen abstrakten Werken einer besonderen Technik: Auf eine durchsichtige Folie werden lasierende Farben aufgetragen, dann eine zwite Folie darübergelegt und die beiden Folien zusammengepreßt sowie verschweißt. Obwhol der Maler bei dieser Arbeit durch den Auftrag der Farben Einfluß auf die Gestaltung nehmen kann, bleibt beim Zusammenfügen der Folien vieles dem Zufall überlassen. Die frischen Farben zwischen der Folien verteilen sich je nach Druck auf der Fläche - und der Zufall hat oft die schösten Einfälle. Ir der Galerie sind die Folien an Fenatern angebracht. Das von außen einfallende Licht erweckt sie zurn Leben. Ein Reiz dieser Doppelausstellung liegt im Gegensatz zwischen dem präzise vorausdenkenden Planen und Gestalten des Bildhauers und dem eher verapielten, intuitiven und auf den Augenblick reagierenden Handeln des Malers. Die Ausstellung Renzullo und Muliere in der “Galerie Thekla”, Hanau, Frederich-Ebert-Anlage 11 B, ist bis 20. Juni, montags bis freitags von 11 bis 13 Uhr, montags, mittwochs und donnerstags auch von 16 bis 18 Uhr und nach Vereinbarung zu besichtigen. Ernst Buck A RTE - Prepensata e immediatezza in movimento. Lo scultore Gabriele Renzullo e il pittore Carmine Muliere espongono in una galleria di Hanau Solo raramente uno scultore trova tanto spazio all’aperto, per presentare i suoi lavori, come nella “Galleria Thekla” appena riaperta in Hanau. Tra due complessi di edifici è stato lasciato un cortile. In questo cortile lo scultore Gabriele Renzullo che vive in Offenbach può presentare 15 lavori: sculture di grande formato per la maggior parte in legno, alcune in bronzo o marmo. I lavori di Renzullo che si mostrano poderosi ed elementari testimoniano una elaborazione mentale essenziale dell’artista prima di mettere mano al materiale. L’artista è il suo proprio filosofo. I pensieri scritti nel catalogo indicano uno “stato dell’è” della materia che l’artista deve cercare di rispettare. Anche l’arte “è” e “rende possibile il divenire dell’unità tra il pensare e l’essere”. Per fortuna l’artista conserva il suo modo di essere mediterraneo e nell’operare artistico lo difende da ogni estetismo o persino misticismo: il linguaggio mimico elementare delle sculture comunica direttamente con l’osservatore. Qui lotta un’artista come un titano in egual modo con e per la materia per costringerla in quella forma che da lui per essa è pensata, spesso ha in mente l’uomo e certo anche al di fuori di esso. Con Renzullo espone il pittore Carmine Muliere che vive a Roma. Lui non ha bisogno di cortili liberi per i suoi lavori. Al contrario essi sono creati nella loro trasparenza e mutevolezza per ambienti interni. Muliere si serve per le sue opere astratte di una tecnica particolare: su una pellicola trasparente vengono stesi dei colori, poi viene sovrapposta un’altra pellicola e ambedue vengono compresse e saldate. All’influenza data dal pittore 33 con la colorazione s’aggiunge qualcosa nell’incontro combinatorio delle pellicole. Gli inchiostri freschi tra le pellicole si espandono secondo la pressione esercitata sulla superficie e questa combinazione spesso ha le ispirazioni piú belle. In galleria questi lavori trasparenti sono apposti alle finestre. La luce che filtra all’interno risveglia a vita il lavoro. Un fascino di questa doppia mostra consiste nell’opposto tra il piano preciso e prepensato nel disporre le forme dello scultore e il piuttosto mosso ed intuitivo operare del pittore nel momento reale dell’attimo fuggente. Ernst Buck OFFENBACH-POST, KULTUR, 3 giugno 1992 CARMINE MARIO MULIERE, Arte e Cinema G li influssi che oggi il cinema esercita sulle arti visive trova uno degli esempi piú significativi nell’installazione (pittura o scultura a tutto tondo, godibile da ogni punto di vista?), “In-finito attuale” di Carmine Mario Muliere, a partire dal materiale flessibile e trasparente dell’acetato che è lo stesso della pellicola cinematografica dagli anni Cinquanta in poi, alla scansione ritmica della griglia di centoventi fotogrammi, fino alla poetica di considerare l’allestimento come “luogo di espressione” che assembla in modo soggettivo e personale, le diverse esperienze di cui è il risultato: tecniche miste, materia cromatica, gestualità, cinema, valori luministici e trasparenza come “quarta dimensione”, capace di aprire la visione verso l’immensità dello spazio immaginario. Anna Iozzino I PROFILI D’ARTE - Catalogo Mostra - Biblioteca comunale di Marino (RM), Ed. COMED, Milano CARMINE MULIERE, La trasparenza dentro C armine Muliere, dopo aver percorso la realtà ammaliante dell’arte figurativa con l’animo del poeta, affronta con la sacralità di un gesto adulto le problematiche dell’arte informale. Con la coscienza e la perspicacia del ricercatore, sperimentando ed analizzando le risultanze espressive di materiali vecchi e nuovi, organizza la materia in situazioni inedite, attivandola, con il contributo di un’immaginazione superattiva, in ritmi vitali ed evolutivi ed in nuovi percorsi di lettura. L’informale, che nasce come esigenza di contrapposizione alla logica della ragione, afferma con Muliere l’esistenza di una poetica della materia. La natura coloristica, ricercata e affermata, dà luogo in ogni opera a fenomeni di suggestione immaginativi. Gioacchino Ruocco Annuario comed 1993, Milano PERSONAGGI - Carmine Muliere, pittore di Sant’Elena Sannita, vive a Roma da molti anni. È uno dei massimi artisti molisani LA PUREZZA DEI MESSAGGI C armine Muliere, giovane artista santelenese, a molti molisani già noto, riesce ad incantare per la purezza dei suoi messaggi, per l’estrema coerenza ad un principio guida, da cui discende una cristallina onestà intellettuale. L’opera dell’artista è supportata da una ricca ed eminente critica, ad esempio Elio Mercuri, Carmine Benincasa, Milena Milani, Gallizzi, Tallarico , Verri e tanti altri, e si manifesta in modo alquanto eclettico, posto che si muove in uno spazio che va dalla pittura e dalla rappresentazione grafica alla scultura, dalla poesia alla sintesi del pensiero teoretico. Queste attività unite ed interdipendenti, legate da una medesima ermeneutica, formano per l’appunto un tutt’uno, costituiscono in sostanza l’opera omnia di Carmine Muliere, sia alla luce di una profonda e rigorosa esperienza esistenziale, sia nelle rappresentazioni visive informali, sia nelle manifestazioni di pensiero che vanno dall’astrazione teoretica a quella lirica. Insomma non abbandona le radici e gli archetipi della sua tradizione, gli usi, i costumi e la visione generale del mondo della sua gente, della sua terra. Muliere inizia le sue esperienze artistiche nell’opera pittorica verso i primi anni settanta. Come accade per quasi tutti i pittori, ed è normale che sia cosí, si affaccia sulla scena dell’arte come pittore figurativo, connettendo a tale stile tutto quel bagaglio ideologico che naturalmente piú gli è insito e pertanto si possono osservare paesaggi, “soggetti sacri”, immagini simboliche che narrano la vita di tutti i giorni con le sue angosce esistenziali nonché i suoi problemi etico-sociali, nudi femminili ecc. In tali dipinti, forse anche per il periodo in cui sono stati eseguiti, appare chiara la vena simbolicoonirica dell’artista ed il ricorso evidente a talune forme tipiche di un certo surrealismo di maniera, senza peraltro tralasciare anche esperienze che ci rimandano ad un timido approccio ai temi del postcubismo. Al riguardo si osservi l’olio su tela intitolato “Figure” del 1973. Successivamente la pittura di Muliere va sempre piú stilizzandosi e pur non abbandonando i motivi preacquisiti, si nota come l’artista inizi sottilmente a diluire e demolire progressivamente il mondo in precedenza edificato. In un equilibrio interiore perfetto, piano piano si aprono le porte verso l’Informale. Non a caso un quadro è intitolato “Ascesa” (1977). Sono gli anni ottanta che conducono Muliere ad una profonda maturazione e dunque ad un vero e proprio sviluppo di quelle che sono le caratteristiche peculiari dell’artista: l’eleganza e la flessuosità del segno, la potenza metafisica del colore. Opere come “Esplosioni” o “Il nulla non esiste”, solo per 34 citarne alcune, sono stupende nel loro lirismo cromatico e compositivo. L’artista, nel suo percorso ascensionale, si accosta anche alle tematiche della transavanguardia, pur non rimanendone formalmente condizionato. La pittura di Muliere, infatti, nonostante le apparenze è personalissima. Tranne alcuni recenti lavori in acquaforte, che esprimono senza dubbio una ricerca sempre piú convinta del segno e del disegno, che delimitando lo spazio crea nuove armonie informali, non appaiono purtroppo nel catalogo le ultimissime opere dell’artista: ciò è un peccato perché mostrerebbero sicuramente una dimensione evolutiva sia sotto il profilo dei contenuti espressivi sia concettuali. Un’occasione in piú per conoscere da vicino questo giovane e geniale artista molisano. Umberto Salmeri Forche Caudine - Molise Vip - Arte, febbraiomarzo 1994, Roma San Cesareo e i suoi artisti - Carmine Muliere Nell’IN-FINITO ATTUALE P ittore, scultore e poeta, sancesarese di adozione, vive e lavora in località Casa Romana. Molto conosciuto e apprezzato in Italia e all’estero Nato a Sant’Elena Sannita (Isernia) il 30 aprile 1949, nel 1960 si è trasferito dal Molise nel Lazio. Nel 1974, avendo acquistato una villetta in località “Casa Romana”, ha chiesto e ottenuto la residenza a San Cesareo. Ha manifestato precocemente la disposizione all’arte e già nel ‘57, a soli otto anni, ha ottenuto il suo primo attestato. Da allora non ha piú abbandonato pennelli, tele e scalpelli. Carmine Muliere, oltre all’attività di pittore e di scultore, è poeta e grafico, un artista, insomma, nel senso piú completo della parola. Molto è stato scritto su di lui e ancora di piú, siamo sicuri, si scriverà, in quanto Muliere ha rivelato indubbie capacità e una costante crescita sia formale che sostanziale. L’iniziale pratica figurativa certifica la lunga ricerca affrontata e, massimamente nella scultura, è tangibile l’esigenza di voler “entrare” nella materia. Dal suo bagaglio di esperienza nascono negli anni ‘84-85 gli “Spessori trasparenti” e le “Concrezioni”, che definiscono successivamente l’”In-finito attuale”, lavoro con il quale riesce a fermare il colore nell’aria. L’”In-finito attuale” è un’opera con la struttura aperta, che si lascia attraversare anche nella sua tridimensionalità, cosicché appare una “astrazione” completa; pittura (il colore), scultura (il supporto), grafica (la composizione), parola (il titolo). Tutti questi elementi risultano interconnessi nella luce in un modulo unito con anelli che collegano l’interdipendenza delle tessere che compongono l’originale opera d’arte. Carmine Muliere espone dal ‘71 in mostre sia personali che collettive in Italia e all’estero. Ha pubblicato volumi di versi e di pensieri e raccolte di opere grafiche. Ogni successo è stato l’inizio di nuove esperienze e di nuovi traguardi, che lo hanno fatto approdare alla intuizione dell’”In-finito attuale”. Conosciamo da molto tempo Carmine Muliere, lo abbiamo seguito passo passo e ammiriamo soprattutto la sua fede incrollabile nel lavoro. Ci ha detto, infatti, testualmente: “Io credo che nell’arte tutto è possibile: SempliceMente (1). Vorrei che i miei lavori venissero interpretati a mente libera, per questo credo che il lavoro dell’artista dovrebbe fondarsi non soltanto sulla certezza preliminare del ruolo della creatività nel contesto sociale, ma anche sulla convinzione - trovata la propria immagine nel mondo - della reciproca comunicabilità”. N.B. (1) “SempliceMente” esprime il credo artistico di Carmine Muliere: rinunciare alla ricerca artistica fine a se stessa, per il desiderio di comunicare, scambievolmente, nella migliore forma possibile. Pino Pompilio 7 giorni in cronaca, sabato 16 ottobre 1994, San Cesareo Carmine Muliere: IN-FINITO ATTUALE O sservando le opere di Muliere, soprattutto le sue sculture modulari, è chiara l’esigenza dell’artista di penetrare la materia. Ciò che appare al fruitore negli Spessori trasparenti e nelle Concrezioni è una struttura aperta e tridimensionale che si lascia attraversare dall’immaginazione creando un percorso diretto verso la piú totale astrazione. L’In-finito attuale è dunque una sorta di espressione che produce il senso di spazialità dell’opera d’arte poiché si pone come fine ultimo quello di fermare il colore nell’aria. L’infinito si esprime cosí attraverso il finito ed il finito si trasforma nell’agente primario dell’infinito stesso, il tutto realizzato nella contemporaneità dell’ispirazione. Da tutto ciò deriva un movimento circolare fortemente accattivante per il fruitore. È chiaro che le opere di Muliere sono strutture che sfruttano lo sterile significato della serialità che contraddistingue la produzione moderna soltanto per capovolgerlo. Le sue sculture modulari si compongono di tessere apparentemente uguali e disposte in modo lineare, ma che sono ben lungi dal ricalcare i metodi industriali. Ogni tessera è un supporto trasparente che fermando il colore nell’aria invita lo spettatore che vi pone attenzione a seguire con la mente i suoi sviluppi tridimensionali. L’attenzione dunque e di conseguenza la mente si astraggono dalla materialità terrena tuffandosi in una dimensione diversa e perciò liberatoria. 35 L’immaginazione viene indotta a seguire il colore nei suoi movimenti, a fluttuare con esso in uno spazio appositamente creato, senza per questo dimenticare la propria materialità. L’astrazione proposta da Muliere non rifiuta infatti la vita materiale, ma vuole essere soltanto un attimo di respiro offerto come compromesso all’accettazione passiva dei ritmi moderni. Ogni tessera rappresenta una possibilità di liberazione e le molte tessere componenti l’opera sono tanti momenti che l’artista vuole donare a se stesso e all’uomo in genere affinché possa scrollarsi di dosso, se pur temporaneamente, la modernità stereotipa, frenetica ed opprimente. Questo non significa dimenticare se stessi, ma soltanto fermarsi a riposare. Daniela Liali Il nuovo GIORNALE DEI POETI, febbraio 1994, Roma ARTE, e interni S i è mai pensato o scritto che cosa possa capitare all’opera d’arte dal momento in cui si assoggetta al mercato come un qualsiasi altro bene di scambio? Finora ben poco proviene dalla schiera dei teorici dell’arte; mentre qualche tentativo, con valutazioni del tutto asettiche sull’incontro della domanda e dell’offerta, affiora da parte di economisti che da circa due decenni si occupano di economia dell’arte. E adesso che il mercato dell’arte mostra, all’apice storico della sua stasi o ristagno, e della conseguente caduta a picco della domanda fino quasi allo zero, i punti deboli del “sistema”, sarà proprio questo il momento d’interrogarsi e agire una rinascita? Piú che altro necessita reagire, e con invenzione. Le regole, all’uopo, si rifaranno. E, quantunque, il risveglio dall’illusione di falso benessere dei dinamici e controversi anni Ottanta abbia coinciso con un lungo paralizzante inverno per gli scambi, è pur sempre possibile pensare che la dolorosa esperienza riscopra tutti piú cresciuti. Se per la storia, poi, la strettoia è stata inevitabile, almeno sia tesoro l’esperienza. Non moralisticamente, ma nientemeno tanto sembrerà indispensabile. Peraltro, una lettura attenta dei fenomeni in cui sia possibile rintracciare responsabilità ed errori di ciascuno, permetterà di passare da considerazioni in micro a proiezioni in macro. È anche probabile che un primo esame non consegua risultati eclatanti, ma si potrebbe sviluppare la coscienza su quanto non dovrà essere ripetuto. Anche se, molti degli errori sono la summa dei tanti commessi nel corso di tutto il secolo. Lampante, quello di aver voluto fare dell’arte un sistema o un regime con regole economiche precise, o simili a qualsiasi altro modello produttivo o di fabbrica, avendo ad un tratto, tra gli anelli della catena, assegnato al mercato importanza pari, se non maggiore, alla produzione stessa. L’opera d’arte, tranne il caso della sua riproducibilità tecnica che automaticamente sposta il discorso sulla moltiplicazione del pezzo unico per mera esigenza di mercato, è frutto del sentire, dello spirito. E poiché tale, con la produzione in serie, o la grande distribuzione, ha poco se non nulla da condividere. Spingere in tale direzione ha significato, nel corso di questo secolo, snaturare la fonte e predisporre il terreno in modo tale da mettere in molti casi l’artista a disposizione del mercato. Cambiato anche dalle vicende autoritaristiche culturali ed intellettuali del XX secolo, l’ecosistema dell’arte, non ha piú controllato le conseguenze negative che vivono sotto gli occhi di tutti. Il mercato, depresso, vede magazzini di mercanti e galleristi esplodere di “merce”, con una offerta esagerata rispetto alla domanda che ristagna per motivi precisi; i prezzi perciò, crollati, sono in tal senso anche stabili. In attesa che i tempi trovino nuovi equilibri, potrà aiutare la riflessione. Anche se, nell’idea di ripresa, tentativi vengono operati, o messi in atto. Arteroma itinerans è la proposta di un cammino a tappe per l’arte, col presupposto di rivitalizzare il mercato; è una maniera che permetterà agli artisti protagonisti di esperire direttamente il rapporto con la committenza e la critica, in sei testanti città. Stazionando in alcune piazze italiane, Arteroma diventa, nel metodo, cantiere aperto agli scambi dialettici o di mercato, ma anche riflesso di tutto il work in progress che, al di là del bene e del male, e piú per principio che per esigenze reali, il nostro secolo ha estremamente rappresentato e incarnato. Gli artisti della prima edizione condividono lo spirito dell’iniziativa appoggiandone il processo sperimentale. Artisti diversi del territorio e non, che normalmente lavorano in condizioni di marginalità rispetto ai rigidi canoni del piú propriamente dirigistico sistema dell’arte; uniti da indizi comuni nel produrre un’arte funzione di una percezione non molto intellettualizzata e che dialoga coi sentimenti. Artisti liberi dal condizionamento dei dettami della moda. Per Catalani, Cavina, Cilia, Conte, Corvino, De Simone, Gennaro, Libonati, Messina, Muliere, Nardi, Orlando, Torre e Zinnanti, l’arte è felicità e libertà, soprattutto dal clima di ottusità, oscurità e schiavitú che alcuni intellettuali, o leadership critica, preparano o vogliono. Una impostazione di libertà che, se fa capo a una speranza come quella dei sentimenti, del rispetto e dell’esistenza, è altresí contro, convenendo con l’affondo dell’irriverente P. K. Feyerabend, “l’avidità, l’incompetenza, le lotte di potere che sembrano circondare le cause piú nobili”. Adriana Martino Catalogo Mostra ArteRoma itinerans, 1994-95, Roma, Cortina d’Ampezzo, Venezia, Orvieto, Spoleto, Pescara 36 CARMINE MARIO MULIERE D ice Muliere: “Nell’arte tutto è possibile, SempliceMente”. Una sua mostra recente si intitolava “In-finito attuale”. La base di partenza è quindi quella di una irrequietezza intellettuale, di un’ansia cioè di rompere le regole per protendersi verso un mondo diverso. Forse l’Avanguardia è andata davvero “in cassa integrazione”; ma la fantasia non ha confini. Ecco quindi questo spaziare di Muliere oltre la pittura, oltre la stessa gestualità dell’espressionismo astratto, per cogliere suggestioni dalle materie nuove, fino a trasparenze di superfici inserite nella natura. L’arte diventa una continua avventura, una ricerca al di là delle colonne d’Ercole della nostra convenzionalità. Ed è ciò che colpisce: la bellezza come riscoperta della vita: uno stare sospesi galleggiando nello spazio. Paolo Rizzi Catalogo Mostra ArteRoma itinerans 1994-’95, Roma, Cortina d’Ampezzo, Venezia, Orvieto, Spoleto, Pescara In galleria - Artisti emergenti F ra le molte proposte di gallerie e mostre d’arte presentate in questo ultimo periodo a Cortina, una merita particolare attenzione: si tratta di una “collettiva di tante personali” presentata dallo “Studio 5” di Roma e allestita al piano terra della Casa delle Regole. Invece dei soliti De Chirico, Sironi, Campigli, De Pisis, ormai onnipresenti nelle gallerie, vi sono nomi nuovi, proposte interessanti nel panorama dell’arte contemporanea. Promuovere operazioni di tal genere è sicuramente piú “rischioso” ma anche piú coraggioso e valido per la promozione di artisti emergenti. [...] Carmine Mario Muliere crea oggetti, soprattutto in vetro o in plastica, sospesi nello spazio, sculture che si liberano della propria materialità e che, nello spazio, assumono evidenza vitale perché immerso nella realtà della luce e dell’atmosfera. Le opere assumono cosí quella naturalezza che è nel colore e si proiettano in una dimensione fantastica, di libertà senza limiti, che fa bene al cuore. La mostra, che alla Casa delle Regole chiuderà il 30 gennaio, sarà successivamente a Venezia, dove le opere saranno esposte all’Ateneo S. Basso. Simonetta Cini ALTO ADIGE - Corriere delle Alpi - Quotidiano indipendente del mattino, giovedì 19 gennaio 1994, Cortina d’Ampezzo L’INFINITA CONOSCENZA, Nella sua opera Carmine Mario Muliere concretizza l’astratto e sospende il colore nella luce N on si tratta di magia e neppure del trucco di un abile e allenato prestigiatore. Partito da una sperimentazione multimediale, il lavoro di Carmine Mario Muliere è approdato a risultati estremamente personali che definiscono oggi L’infinito attuale, struttura con la quale l’artista sospende il colore nell’aria e nella luce. Un’opera con la struttura aperta che si lascia attraversare nella sua tridimensionalità tanto da divenire un’astrazione completamente concreta: pittura (il colore), scultura (il supporto), grafica (la composizione), parola (il titolo) interconnesse nella luce in un modulo unito con anelli che collegano le tessere che lo compongono. Nell’arte tutto è possibile SempliceMente, afferma l’autore e cosí, in armonia e perfetta sintesi, nasce l’opera, interessante e particolare nella sua accezione simbolica e strutturale. Fenomeno primario dello spirito, l’arte è forma per conoscere il mondo e comunicare con gli altri lasciando libertà di interpretazione nel giudicare e leggere l’opera. “...Cosí vorrei che i miei lavori venissero interpretati, a mente libera. Né si può fare diversamente perché non sono soltanto miei. Forse sono piú del supporto e del pennello. Io, al massimo, posso considerarmi il colore. Nell’incisione, posso considerarmi l’acquaforte. Nella scultura, il controllo della forza nello spazio...”, confessa questo versatile artista che ha trovato nella sincerità delle sue idee una forza davvero rara. Nel suo rapporto con la forma, intelligente e vivo, si scopre la curiosità di un intelletto fervido, teso all’invenzione non fine a se stessa ma strumento di relazione e approfondimento della realtà oggettiva. Il suo linguaggio artistico, di chiara matrice informale, è un aggregato di concetti e soluzioni stilistiche del tutto originale; un composto di concretezza e astrazione che genera una sorta di liberazione personale, di catarsi intimistica, un compromesso esistenziale tra la frenetica automazione moderna e la vecchia e piú classica tradizione. A seconda dell’angolazione da cui si osserva l’opera di Muliere è possibile scontrarsi con ipotesi interpretative diversissime e a giocare un ruolo prioritario contribuisce lo spazio scenico e contestuale in cui abitualmente l’artista colloca i suoi lavori, spazio ambientale, esterno o interno che sia, che si integra completamente con l’opera conferendole un nuovo significato. Senza obbligazioni tecniche, Muliere riesce a dare libero sfogo alla piú totale creatività che aggiunge forma e volume a rappresentazioni che sembrano quasi sfidare qualsiasi modulo tradizionale: “Non esiste forma artistica privilegiata, la forma è l’arte stessa; è un discorso interdipendente, sostiene l’artista, cercando una qualsiasi risposta ognuno si 37 avvicina alla forma”. Pur essendo estremamente varia, quella di Muliere non è arte facile, perché facile non è la ricerca che egli persegue. Dalle Concrezioni degli anni ‘84-85, rappresentazioni del pensiero allo stato puro, energia in divenire prima della sua materializzazione, all’In-finito attuale di oggi: un percorso, dalla figurazione degli esordi all’astrazione contemporanea, che comunque non sembra aver subìto stacchi bruschi. L’autore stesso dice che in realtà non esiste un’autentica discontinuità tra l’astratto e il figurativo, che anche una parola prima di diventare parola era in fondo un gesto. Cosí Muliere ci toglie dall’impasse di trovare forzatamente definizioni incasellanti, accompagnandoci, al contrario, in un mondo dove tutto sembra fluttuare liberamente e dove tutto si ritrova per evidenziare quello che agli umani sfugge continuamente. Artista completo, attento e sensibile alle problematiche del vivere odierno, Muliere ha saputo tradurre in comunicazione per immagini il suo vasto pensiero, cercando di raggiungere gli altri con i mezzi che gli sono piú propri: colore e parola. Alla ricerca di quel senso che affannosamente diamo alla vita e ai suoi segreti, Muliere, senza voltare le spalle al passato, ha scoperto un proprio codice di conoscenza che, attualizzandosi in forma artistica, ha preso il posto della narrazione orale. Le potenzialità del suo lavoro sono molte, legate indissolubilmente alla grande energia che le sottende; il valore intrinseco dell’opera sta poi nel suo significato attuale e nella generosità con cui viene presentato al pubblico: nell’estrema semplicità della dimensione umana. Susanna Busnelli DISEGNO & PITTURA, ottobre 1995, Milano QUADRI & SCULTURE - Una rivista, 2030 artisti, 364.000 schede diffuse in tre anni e tredici numeri, 33.654 schede ritornate, 29.754 valide. Per la prima volta in Europa il pubblico decide. L’Altra Arte? Un catalogo ed una mostra: 26 ottobre - 7 novembre 1996, Palazzo Barberini, Roma, i primi quaranta: GEOMETRIA: Anna Maria Vancheri, Cornelia Stauffer, Carmine Mario Muliere, Giuliano Romano, Toni Zanussi, Siliberto, Mauro Starrantino, Giancarlo Montuschi, Lillo Messina, Carlo Cioni, Wanda Raheli, Paolo Gubinelli. INTIMISMO: Salvatore Pupillo, Luciano Bonello, Roberto Fabris, Armodio, Aldo Mondino, Franco Beraldo, Massimo Campi, Vittorio Reali, Roberto Gasperini, Lorenzo Lovo, Giancarlo Renzetti, Leonardo Scarinzi. ONIRISMO: Valeriano Trubbiani, Lorenzo Tornabuoni, Giuseppe Vignani, Pino Procopio, Giorgio Chiesi, Marta Czok, Marco Berlanda, Silvano Braido, Jorge Romeo, Sergio Zanni, Franco Franchi, Vanni Penone. REALISMO: Saturno Buttò, Paolo Giorgi, Bernardo Siciliano, Sergio Unia. Q uando, tre anni fa, pensammo di sottoporre al giudizio dei lettori gli artisti esposti in Galleria Italia nemmeno lontanamente avremmo immaginato che oltre 33.000 persone, vuoi per dileggio, vuoi per interesse, avrebbero presa la penna e ritornata alla redazione di Quadri & Sculture la cartolina che andavamo diffondendo, in 360.000 copie complessive, con la rivista. Peraltro nemmeno speravamo che piú di 2.000 autori si rivolgessero a noi per vedere pubblicata la loro opera. Scartata ogni offesa è rimasta la grande gioia, la soddisfazione incontenibile di 29.754 preferenze espresse intorno ad essi. Il risultato incredibile poneva immediatamente un problema: come celebrare degnamente il fatto (anche sperando in qualche ritorno di notorietà, sulla stampa quotidiana che nell’ultimo anno si è dimostrata molto galante nei nostri confronti). Fare una mostra: ecco la soluzione. Mostra nella quale fossero presenti gli autori piú votati, mostra tuttavia che non morisse due giorni dopo la chiusura. Questo vuole essere L’altra arte?, segnalando già nel titolo la novità assoluta di una manifestazione decisa interamente dal grande pubblico (e con metodo assai diverso dalle astuzie del mercato). Ma l’assoluta assenza di un criterio critico poneva un altro dilemma: organizzare l’esposizione per ordine alfabetico, oppure, invece, puntare sul numero di voti, esponendo uno in fila all’altro i risultati della classifica? Entrambi i criteri ci sembravano inadeguati e non riuscivamo a venirne a capo. Cosí, fedelmente allo spirito di Quadri & Sculture, si è pensata una esposizione riassunta intorno a quattro temi, immediatamente desunti dalle opere, si è cercato di rilevarne i caratteri formali, oltre tutte le suggestioni della critica, sicché fosse l’occhio ad avere ogni parte. Questa introduzione, fatta salva la scaturigine dell’evento, vuole essere minimo vademecum fra le opere, omaggio agli autori. Ma vuole anche rendere attraverso essi alcuni aspetti dell’arte italiana sopraffatti, sommersi dal clamore pubblicitario, dalla volontà (di artisti e galleristi) di essere sempre nuovi e per forza diversi. L’unico sale, infatti, che si può trarre dall’intera esposizione è la predilezione nettissima, nella gente semplice, per ciò che intende, per ciò che ama e, in ogni modo, per quella particolare tendenza della poesia a farsi immediatamente intima, aliena in tutto alle seduzioni del secolo. Ma questo è il seme della tradizione italiana. In altri anni, molti degli autori qui presentati non avrebbero avuto patente di artista, sarebbero stati derisi e insultati passatisti. Per fortuna le cose mutano ed oggi la massima parte di essi hanno riconoscimento nazionale, taluni, non pochi, sono noti ai cono- 38 scitori di tutto il mondo. E ciò senza rinunciare a se stessi! La saldezza a se stessi segna, per ritornare a noi, le quattro sezioni della mostra. La prima ha per titolo Geometria e vuole significare il passaggio docile dalla massima oggettività, che sempre la retta propone, al continuo confondersi delle linee, che disegna luoghi e spazi raccolti nell’anima, oltre ogni sensibile figura. Anna Maria Vancheri apre con l’immagine limpida, iper razionale del mare e del cielo, indicando in forme e colori puri tutti i caratteri dell’orizzonte. Ancora un’istallazione, quella di Cornelia Stauffer, conosce già il continuo rimontare della linea come un pensiero che torni ostinatamente su se stesso, per la mano che corre rapida sulle pareti, oltre ogni definita volontà. La visione oggettiva è dispersa nella complessità del reale, la linea diviene semplicemente un modo di rappresentarlo, marcandone i tratti. Cosí, appaiono linee dominanti e linee secondarie che si stendono a velo intorno ad esse, come un piano diafano oltre il quale ritrarre profondità, disvelare segreti. Anche la trasparenza, quale appare in Muliere, è fatta di linee piú o meno marcate per significare astrazioni universali (Ovunque e sempre), [...]. Valgano questi autori, tutti e quaranta come esempi della pertinace volontà dell’arte di farsi, fuori d’ogni cartello, proclama, programma o movimento, lo specchio piú ampio, vario e fedele della realtà. Nulla, non un pensiero, un gesto, un atto, una gioia, un dolore stanno fuori della realtà. L’arte pretende di essere la realtà in tutti i modi nei quali essa esiste. L’arte per intero si dà come realismo. Purché sia sincera, non sopporti che il proprio giogo. Perché l’arte ed ogni lavoro d’arte è fatto per essere esso solo senza paragoni e senza confronti. Per essere gratuito. Senza valore. Ed inestimabile. Matteo Smolizza Presentazione catalogo Mostra Palazzo Barberini, ottobre-novembre 1996, Roma DAL COLORE ALLA LUCE: L’ESTETICA DELLA TRASPARENZA L a vicenda artistica di Carmine Muliere, iniziata da autodidatta, è passata attraverso ricerche e sperimentazioni di carattere sia naturalistico che astratto, per cercare una forma diversa, comunicativa, ma da “interpretare a mente libera”, realizzata con grande varietà di materiali e di tecniche tradizionali e d’avanguardia, che mai prescindono però dall’intervento concreto dell’artista, dalla manualità, dal “fare” inteso come processo di catarsi spirituale, come insostituibile ausilio alla vuota frenesia della vita. Partendo da un linguaggio figurativo, attraverso lo studio e l’esaltazione del valore espressivo del colore, è giunto ad accostarsi all’in- formale, assegnando alla forza concreta della materia, o all’analitica complessità del segno, mai ripetitivo, il compito di entrare in contatto con il fruitore, il quale cerca di scorgere, immergendosi senza perdersi negli impasti densi e coagulati delle Concrezioni, animate da esplosioni di luci, o nel fitto labirinto grafico della Forma che deve venire, il mistero delle emozioni e dell’interiorità dell’artista. La ricerca degli ultimi anni si concentra sul rapporto tra la luce e la forma creata dal colore, che poco alla volta diventa qualcosa di lontano dalla realtà, trasparente e delicata vibrazione luminosa in Arcobaleno, pastoso e denso coagulo di pigmenti amalgamati al fondo illuminato da polvere d’oro in Non è tutto oro quello che luccica per approdare all’In-finito attuale: una struttura mobile, tridimensionale ed attraversabile, una Gesamtkunstwerk che unisce pittura, scultura, grafica, ma anche natura e parola (nel titolo). L’installazione è costituita da tessere modulari trasparenti in acetato, unite da anelli, su cui l’artista ha depositato fluide concrezioni, fusioni e combinazioni cromatiche sempre diverse, che attraversate dalla luce, mosse dal vento o, semplicemente, dal passaggio dello spettatore, si animano suggerendo infinite, imprevedibili rifrazioni ed emozioni, investendo di continue trasformazioni l’ambiente circostante. È stato sottolineato (Teresa Macrí) il rimando colto, nella struttura, agli antichi mosaici, ma il tessuto dei riferimenti è piú ampio, non solo formale, perché Muliere conosce profondamente il passato; la sua vasta cultura, interiorizzata, viene trasfigurata in un’espressione artistica attuale e personale. Mosaici, vetrate, ori, tessuti, gemme preziose, colori, creavano effetti luminosi, indispensabili, secondo l’estetica medievale, per aiutare l’uomo a progredire dal visibile all’invisibile, dal mondo materiale all’immaterialità dell’eterna sapienza: la luce e la bellezza terrena erano mezzi di ascesa spirituale. Allo stesso modo l’In-finito attuale “sospende il colore nella luce”, si lascia attraversare dalla luminosità, è “un’opera viva”, una ricerca dell’unità nella varietà, che conduce l’immaginazione dal concreto all’infinito. Preparano l’opera e la affiancano le continue esplorazioni sul tema della trasparenza realizzate costruendo dei libri, di ogni dimensione, dal monumentale all’infinitamente piccolo. Risalendo all’antica etimologia della trasparenza, apparire attraverso, dai materiali naturali, legno, carta, pietra, usati da Muliere per comporre i libri, compare la forma, la conoscenza, oppure si libera, purificata da ogni impulso quotidiano, la parola, scavata nella coscienza e nel vissuto personale. Poeta, oltre che pittore e scultore, Muliere realizza con Dentro la trasparenza, la trasparenza dentro, intagliando il sottile spessore del cartoncino, un’opera in cui immagine e parola, percorse dalla luce, animate dall’ombra, si fondono. Come un alchimista che cerca attraverso innumerevoli ope- 39 razioni e trasmutazioni di carpire al fuoco, al cristallo, alle pietre preziose, il segreto della pietra filosofale, la scala per accedere alla sapienza, cosí l’artista incide, ritaglia, sovrappone materiali trasparenti, inserendoli in cornici di cartone o di legno in modo da formare pagine che, voltate dal lettore, costituiscono per successive Velature, un mondo di luci, ombre, vuoti e forme sempre diverse, fantasticamente interpretabili, suggestioni di verità. Il percorso sapienziale si approfondisce ulteriormente nell’indagine sull’armonioso segreto delle proporzioni pitagoriche del Pentagramma, disposto entro un segnale ligneo, emblema del legame spirituale, atemporale, tra passato e presente. Anche nella Quadratura del cerchio, operando con la luce, geometrizzando lo spazio con una sottile trama di linee, Muliere affonda nel mistero della conoscenza, propone un’immagine priva di intenzioni rappresentative, un movimento di percezioni luminose che tentano di rivelare l’invisibile e di invitare alla meditazione, per aiutare a ritrovare noi stessi nel vuoto dell’attualità. Laura Testa Presentazione Mostra Libreria Remo Croce, gennaio, COLLEGAMENTIATEMPORALI Edizioni SestoSenso MULIERE, San Cesareo, Arti Grafiche Mauro Rossini, Roma COLLEGAMENTI ATEMPORALI “ In interiore homine abitat veritas”. Questa affermazione agostiniana, connaturata nella cultura occidentale e cosí vicina alla sensibilità moderna, può essere assunta come il motivo che guida l’intera creazione artistica di Carmine Muliere, caratterizzata dalla volontà di rendere trasparenti le cose, per penetrare in esse e lasciare che l’idea contenuta nel loro interno si manifesti liberamente e semplicemente da sé. Gli strumenti di cui si serve sono essenzialmente due: la luce e il segno. Muliere recupera concettualmente il valore mistico della luce, intesa come rivelazione e manifestazione di una verità superiore. Tale pensiero, infatti, sottende alla sua produzione fin dalle prime opere non figurative. In Arcobaleno l’artista molisano, utilizzando sapientemente gli effetti di diafana evanescenza consentiti dall’acquarello, ottiene un grado di massima intensità luminosa che evidentemente non è motivato da esigenze di rappresentazione del fenomeno nella sua realtà oggettiva, ma da significati simbolici. In Non è oro tutto ciò che brilla l’impiego dell’oro rimanda al mosaico o ai “fondi oro” e alle valenze con le quali tali tecniche sono impiegate nel mondo bizantino e medievale. Il processo di liberazione della luce, ovvero della verità della materia, è approfondito in Spessori trasparenti e nelle Concrezioni. Qui il segno è utilizzato per definire zone di vuoto che sono come degli affondi, quasi dei tagli, nella materia, fino a giungere alla sua negazione, ottenendo la completa trasparenza. Effetto diverso, ma analogo sul piano dei contenuti, è ottenuto in La forma che deve venire. In questo caso il segno riempie l’intera superficie, guidando la mano dell’artista che si fa strumento, al pari della matita o della biro, quasi per assecondare un impulso energetico che innesca un processo infinito nella creazione della forma. Questo è il senso dei millesettecentocinquanta quadretti che costituiscono l’opera, un lavoro quasi catartico, in cui però nulla è sforzo o dolore, bensí sereno compimento di una rivelazione. La volontà di ricercare la verità dentro le cose è alla base di una serie di libri d’artista, eseguiti in vari materiali, in esemplari unici. Il libro è interpretato da Muliere come luogo della memoria e della sapienza e, in quanto tale, è reso trasparente, privato sostanzialmente delle parole, ma attraversato dalla luce e fonte esso stesso di luce. Le pagine, in carta lucida, sono infatti sezionate con dei tagli che consentono alla luce di passare liberamente e di creare caleidoscopici effetti ordinati in un disegno aritmetico, basato sulla sottrazione e sull’addizione della quantità luminosa. Il segno, come taglio, e la luce, come bianco su bianco, sono ancora i protagonisti di Quadratura del cerchio e Dentro la trasparenza, La trasparenza dentro in cui la manifestazione dell’idea si serve della figura geometrica come principio ordinatore della materia. Il percorso cognitivo che abbiamo visto fin qui articolarsi e approfondirsi nei diversi momenti creativi di Carmine Muliere culmina in In-finito attuale, che di questo percorso è quasi il naturale epilogo. In In-finito attuale, interpretabile come un mosaico in chiave moderna, la tessera d’oro, fonte di luce, viene sostituita dalla luce stessa che attraversa i moduli della struttura. Il colore sospeso nell’aria, cessando di identificarsi in una superficie, diventa “attraversabile” e coinvolge attivamente il fruitore, sia nella sfera motoria, guidando i suoi movimenti intorno e dentro l’opera, sia nella sfera psichica, innescando un processo immaginativo che può ripetere all’infinito il modulo seriale. In tal modo, In-finito attuale, come i mobiles di Calder, per citare solo uno degli esempi di piú immediata lettura, si propone come “un’opera aperta” in cui si attua “un superamento del rapporto puramente teoretico di presentazione-contemplazione in un processo attivo in cui convergono motivi intellettuali ed emotivi, teoretici e pratici” (Umberto Eco), nel quale è stato individuato uno degli aspetti piú connotativi della sensibilità estetica moderna. In-finito attuale, come l’intera produzione di Muliere, risponde alla volontà di interiorizzare la realtà esterna, riassorbendo anche il concetto di tempo nella sfera della soggettività spirituale. Anche il tempo infatti, è ricondotto alla dimensione soggettiva, in cui passato e futuro, seguendo dei “collegamentiatempora- 40 li”, vivono solo nel presente “attuale” della coscienza, come memoria e come aspettazione. In questa condizione metastorica Muliere elabora le sue personalissime creazioni, facendo riaffiorare le suggestioni che gli provengono dalla lettura dell’arte e che si sono sedimentate nella sua coscienza, in cui la pittura medievale vive accanto al tachisme di Hartung; la action painting americana, ai disegni di Leonardo; l’arte concettuale di On Kawara all’informale e allo spazialismo di Fontana, alla ricerca di una verità vissuta come interiore rivelazione. Dalma Frascarelli Presentazione Mostra Libreria Remo Croce, gennaio, COLLEGAMENTIATEMPORALI Edizioni SestoSenso MULIERE, San Cesareo, Arti Grafiche Mauro Rossini, Roma MULIERE. Un artista che si interroga. Sui misteri della vita P ittura, scultura, grafica. E poesia. Sono le modalità espressive con cui Carmine Muliere dà forma alla propria riflessione. Che è squisitamente filosofica. “Il mio lavoro è una proposta e una domanda” , spiega l’artista molisano. E sospende a mezz’aria un “Dove inizia?” di sapore cosmologico. “E dove termina?”. Muliere medita sulla finitezza della realtà e “tende a portarla alla luce”, scrive il critico Elio Mercuri, “come condizione di senso della nostra esistenza”. Autodidatta, nato a S. Elena Sannita nel 1949, l’artista parte dalla figura. La descrive nei dipinti con un segno netto, un profilo che delimita cromìe contrastate o morbide. Poi passa all’astratto. Sceglie di “entrare” nella materia. Ingrandisce il particolare di una forma. Ed ecco le Esplosioni, gli Spessori trasparenti, le Concrezioni, nate per aggiunte di elementi, come indica l’etimo cum crescere. Esperienze che confluiscono nel piú recente ciclo In-finito attuale, composizioni di tessere in cui il colore, inglobato nell’acetato, è sospeso nell’aria e nella luce. Una struttura aperta, leggibile nelle tre dimensioni, in cui l’artista unifica i linguaggi di cui fa uso. Il titolo è un simbolo. Ossia “la migliore formulazione possibile di una realtà inattingibile per altra via”, dice Muliere, “e non la traduzione diretta di una realtà altra e conoscibile”. In mostra a Roma. Collegamentiatemporali è il titolo dell’esposizione che Muliere tiene dal 18 al 24 gennaio a Roma, alla Libreria Remo Croce. In mostra anche In-finito attuale. Michela Delfino Arte/PITTURA, Editoriale Giorgio Mondadori, gennaio 1998, Milano Eccezionale mostra da Remo Croce con quadri e installazioni di Carmine Mario Muliere IL RESPIRO DELLO SPAZIO R emo Croce, maestro nell’amore e nella tenacia di far camminare i libri, con la collaborazione allertante di una intellettuale quale Giovanna Gualdi, organizza mostre settimanali. Famose. Ricercate. Generose. Nella mostra della settimana fa centro totale, presentando un artista in pienezza di azione inventiva, nel mare grosso della invenzione visiva, avanzante chissà come chissà dove. Carmine Mario Muliere (Sant’Elena Sannita 1949) ha allestito parte della sua produzione, per come ha potuto, e con risultati piú sollecitanti che in una normale galleria, sulle pareti librarie di Remo Croce. La mostra, dapprima, può intimidire qualcuno dei visitatori. Lo sguardo, e insieme agli occhi il desiderio tattile di toccare i vuoti apparenti, poi obbediscono alla cattura di un artista che utilizza malìe e progetti delle avanguardie, per una propria strada. Che ha già imbeccato. Sono ricerche di battersi con lo spazio, inteso in tutte le dimensioni, inganni, realtà effettive, verso lidi matematici, fisici, che portano ad astrazioni concretizzabili: dinanzi allo spettatore, e dentro di noi. Lo Spazio si ascolta e si tocca nel respiro suo, in sintonia con il nostro. Magìe e tecniche si fondono. Da sperimentare. La mostra è presentata con una limpida miniedizione, limpida anche nei testi per una pittoscultura, o come si può dire?, anche intricata. Autori Laura Testa, Dalma Frascarelli, e lo stesso Carmine Mario Muliere, anche nostro collega nella pagina scritta. Si sente, anzi si vede. Giuseppe Selvaggi ARTE - IL GIORNALE D’ITALIA, mercoledí 21 gennaio 1998, Roma ARTE IN TRANSITO - FASTI E FASTIGI Mostra del gruppo di artisti dell’Associazione Arte in Transito - Ex Convitto Comunale - Sala delle Esposizioni - Città di Veroli (FR) - Marzo/Aprile 1999 - Presentazione di Gabriella Dalesio L ’universo è dunque una massa ed anzi una massa in continuo movimento. Quanto poi allo spazio che contiene l’universo, esso deve essere assai piú grande onde possedere la capacità di contenere il continuo moto universale senza che questo soffra per l’angustia e subisca arresti nella sua evoluzione... Com’è allora o Trismegisto, che le cose di quaggiú si muovono con i loro motori ? “Ma qui si tratta, o Asclepio non già d’un movimento concorde, bensí di un movimento differenziato: ché le sfere non sono mosse da un moto uniforme, ma da moti differenziati l’uno rispetto all’altro, e tale diversità implica un punto di equilibrio fisso, stando al fatto che la reazione al 41 moto è l’immobilità. [...] Tu vedi le due Orse che non si levano né tramontano e sembrano girare sempre nello stesso punto: credi tu che esse si muovano o stiano ferme?”. Il fitto dialogo tra Ermete Trismegisto e Asclepio riportato nei Libri Sublimi è uno dei piú antichi dialoghi sulle domande che da sempre arrovellano la mente umana, misurandone sia il limite che le stesse possibilità esperienziali, governate dall’impassibile orologio cosmico, che tutto tiene e controlla nella sua infinitesima precisione. Precisione che nei secoli si è tentato di decodificare in tutti i modi possibili: sia leggendone i rapporti e traducendoli in termini oracolari per comprenderne l’influsso e le ascendenze sulle azioni e le vicende umane. Tentare di tradurre il grande libro che dalla natura spazia al cosmo, alle sue inesorabili ma sempre piú sondabili leggi, riporta la mente umana, ogni volta, al suo grado zero, ovvero ai gradi che dallo zero fanno emergere l’uno. E via di seguito, la nostra capacità di numerare, contare, ma ogni volta, alla fine, si prosegue sommando cicli su cicli negli infiniti gradi di un cerchio, negli infiniti raggi di una sfera. Tradurre quegli infiniti raggi che ogni volta ci appaiono in luce, orme, cose, pianeti, cicli di movimento, susseguirsi di gradazioni di luce e ombra: gradi che si aggiungono a gradi, sino a che lo Yin non muti nello Yang, è l’arduo compito che gli umani da sempre si sono prefissi, misurare il cosmo, comprenderlo nelle nostre dimensioni. Lo zero e la sua invenzione mitica risale ai quattro lati del pianeta, ai maya, agli arabi e all’antica Cina, ma è nella sua nascita che sta il mistero e il fine della nostra esigenza di “contare” il tempo o i tempi. Che ogni volta in esso coincidono. Il calendario è quel tentativo di tradurre quei gradi della sfera, di riportarne l’inesorabile unicità ed insondabilità sul piano fenomenico in cui tutto accade, miracolo dei miracoli in un accadere ciclico. È un modo quindi di spiegarne ogni volta il sorgere del sole, capirne l’inclinazione nelle varie stagioni, comprendendone la bellezza in quel deflagrare di mutazioni continue che ogni giorno e ogni notte governano ogni singolo, minuscolo o gigantesco fenomeno. Quella perfezione inesorabile che gli antichi riconducevano alla sfera, si traduce ancor oggi nel mistero del numero, la cui sacralità governa l’incidere del tempo. Incidere come tagliare ma anche coincidere: tagliare o (incedere) insieme nella medesima regione, del tempo e dello spazio. Il numero romano, avverte un’artista che partecipa alla mostra, di cui qui si da presentazione, “Fasti e fastigi”, è nella sua stessa costituzione relativo al progressivo e ciclico succedersi del tempo. La progressiva perdita di un senso temporale mediato dal ciclo biologico e, in senso piú ampio, biocosmico della nostra sensitività, isola nella nostra società l’essere umano, oscurandone il senso di un sé partecipato e partecipante di altri infiniti cicli, annullandolo ed omologandolo alla serialità dell’enume- razione quantitativa. La concezione del tempo dei romani e quello di temporalità e di sua suddivisione da essi ereditato, è il soggetto della mostra “Fasti e fastigi”. Il luogo da cui si diparte è quello relativo al ritrovamento di un prezioso frammento di calendario romano nelle zone dell’antico Forum Verulanum. Questo frammento fornisce l’occasione di riflettere, da diverse angolazioni, ad alcuni artisti contemporanei sul legame sotterraneo che da tempi remoti lega l’essere umano, la sua fragilissima parzialità ad una totalità che l’attraversa. [...]. I cicli si chiudono in cerchio, le cui dimensioni potrebbero propagarsi all’infinito, anche se ogni volta sono mediati dal finito delle materie, degli elementi, delle pesantezze o delle loro leggerezze. Le velocità si possono bloccare al piede o colonna che ne ferma e ne tutela l’elemento fisso. È quanto emerge dall’opera di Carmine Mario Muliere, “Giano”, sintesi del doppio ma anche passaggio epifenomenico dei doppi cicli che appuntano, complementari, gli avvenimenti umani, rivolgendoli ora in un modo, ora nell’altro, ai cicli solari o lunari. Questi due astri che con la loro presenza attivano forze ed energie la cui polarità demanda al corpo umano la corrispondenza in processi che ne attivano funzioni e tensioni, sposta di nuovo l’ago di una bussola verso un punto impermanente. Il simbolismo nel lavoro di Muliere è momento di disvelamento, incontro di culture. L’oriente e l’occidente si rincontrano su una medesima carta o mappa, come lui sostiene di “collegamentiatemporali”. Gabriella Dalesio Catalogo Mostra Artisti dell’Associazione culturale ARTE IN TRANSITO, Ex Convitto comunale, marzo-aprile 1999, Veroli OMAGGIO A ELIO FILIPPO ACCROCCA Un fagotto di carta & un po’ d’inchiostro e altre poesie, a cura e con la presentazione di Carmine Mario Muliere. EA Edizioni d’Arte - S. Cesareo 1999 L a pubblicazione di questo volumetto, concordata con Elio Filippo Accrocca, era prevista per il mese di agosto del 1996 e rientrava in un programma culturale che prevedeva la sua partecipazione. A nulla valse il mio disappunto con gli organizzatori che evidentemente subordinarono la realizzazione del volumetto alla presenza di Accrocca che ci lasciò l’11 marzo di quell’anno. Oggi, passati tre anni, voglio mantenere quella promessa. Un fagotto di carta è il titolo di una poesia scritta da Elio il 12 settembre del 1990 e che volle dedicarmi. A questi versi a mia volta, ho dedicato, aggiungendo un po’ d’inchiostro, un Libro d’Artista esemplare unico, dal quale fu scelto e pubblicato nei risguardi interni de “Lo sdraia- 43 to di pietra” (Newton Compton 1991), uno dei disegni scaturito da quei versi. La poesia è nel cuore dell’uomo / come la verità è dentro le cose. / La poesia disgiunta dalla verità / è finzione. Inizia cosí la prima raccolta di poesie di Elio Filippo Accrocca e questa affermazione resta la base della sua scelta che fece scrivere a Giuseppe Ungaretti nella premessa a “Portonaccio” (1949): “E certo la poesia di Accrocca è la piú refrattaria a farsi attanagliare in regole che non siano quelle reclamate dalla propria ispirazione. È, la sua, una voce di estrema tenerezza davanti alla terribilità degli eventi, voce d’una tenerezza quasi silenziosa per la sua intensità di commozione davanti a inermi povere cose, a poveri esseri travolti”. Giancarlo Vigorelli qualche decennio dopo può confermare per “Innestogrammi/corrispondenze”: “Un libro-germe, un libro-innesto di tutta una nuova misura di poesia... L’autore si è buttato già nel solco del domani, del duemila, appunto perché del futuro ha preveduto e li innesta nel sangue, nel canto, i cambiamenti di sostanza, non di forma”. Ed è per questo che Accrocca non abbandona la propria convinzione e situazione del suo campo specifico che puntualizza nella dichiarazione a “La distanza degli anni”: “Trame e rammendi, dettagli sul filo dell’immaginario, parole scippate come impronte della mente, passi e appigli (o la loro eco) da aggiungere nella riserva in rosso degli anni. Visioni e oggetti che nascono dal silenzio e dal contrasto, dalle corsie dell’inganno che avanza. Attraversato dalla vita e senza alcuna rosa dei venti, non inseguo altro che orme ai limiti del campo che resta”. Le orme inseguite crediamo siano il legame persistente dell’invisibile filo della vita che ci consente la propria scelta di esistenza, e quindi, una prova incessante di sincera partecipazione. Perciò, questa piccola raccolta vuole essere una testimonianza tangibile verso Elio Filippo Accrocca, uno dei maggiori poeti contemporanei al quale ci lega un profondo sentimento di stima e di affetto. Carmine Mario Muliere 1999, San Cesareo Il volumetto di Accrocca è stato presentato ed offerto al pubblico presente nella Sede dell’Istituto Nazionale di Studi Romani il 16 aprile 1999. Alla presenza del prof. Mario Petrucciani, presidente dell’Istituto, hanno ricordato Accrocca, Luciano Luisi e Mario Guidotti; di Claudio Mazzenga è l’intervento che segue: Omaggio a Elio Filippo Accrocca Un fagotto di carta & un po’ d’inchiostro e altre poesie, a cura di Carmine Mario Muliere Accrocca-Muliere Cori 1923 - Roma 1996 - S. Elena Sannita 1949 L a pubblicazione di un libro d’artista è sempre un evento interessante e piacevole, da seguire con attenzione, ma in questo caso il valore dell’evento si amplia poiché gli artisti autori sono due, un poeta ed un pittore scultore, si amplia ancor piú perché l’operazione è un doveroso omaggio al poeta Elio Filippo Accrocca voluto affettuosamente dal suo amico il pittore Carmine Mario Muliere. Ed il mio intervento nasce dalla stima e dall’ammirazione per Accrocca e per Muliere che ho seguito entrambi nei rispettivi diversi, per cronologia e produzione, percorsi e risente ovviamente del mio interesse professionale ed intimo per l’arte e per la poesia romana dagli anni Trenta ad oggi, anni che nel passato recente ho studiato su materiali spesso inediti contribuendo al riesame delle cosí dette scuole romane. Inoltre la conoscenza di Accrocca, del suo ambiente, dei suoi luoghi, compreso quello natale, Cori, mi ha dato modo di seguire un percorso particolarmente interessante nella rivisitazione di molte vicende della cultura del periodo e nella ricostruzione del contributo degli artisti della sua cerchia, alla determinazione delle tendenze romane dell’arte italiana. Sarà inevitabile, quindi, accennare brevemente agli esordi di queste tendenze, sarà inevitabile partire da Giuseppe Ungaretti che, nella presentazione della raccolta Portonaccio, allude con incredibile sintesi al clima culturale romano dagli anni Trenta sino agli anni Cinquanta / Sessanta, dalla pittura della prima Scuola romana di Scipione, Mafai, Raphael e Mazzacurati, a quella di Vespignani e Buratti, dalla propria poesia a quella di Accrocca. È di poche righe la rievocazione che Ungaretti dedica alla pittura di quel periodo, ma nelle poche righe, per chi legge oltre le parole, si trova una parte importantissima della storia dell’arte della capitale in quegli anni e si trova, soprattutto il senso del sodalizio fra pittori e poeti, fra poesia e pittura, che ha saldato rapporti inseparabili fra nomi rilevanti per la cultura italiana. C’è, in quelle parole, un sottilissimo filo che riunisce in profonde spire, non in nome di scuole o di tendenze, ovviamente, tanti personaggi fra i quali spiccano Scipione, Mafai, Vespignani, Buratti, Accrocca. È, come dice Ungaretti, l’estrema “tenerezza”, quasi una pietas, esplosa “dinnanzi alla terribilità degli eventi”, “dinnanzi a inermi povere cose, a poveri esseri travolti” che costituisce il legame ed il legante fra i nomi da lui ricordati. Basta pensare agli “Uomini che si voltano”, alla “Apocalisse” di Scipione, alle “Demolizioni”, ai “Fiori secchi” di Mafai. E la prima Scuola romana nasce proprio in nome della pietà dovuta a uomini immersi in una realtà offuscata e priva di stimoli che sta andando verso destini poi rivelatisi tragici. È il Barocco-antibarocco romano di Scipione, di Ungaretti che si risolve nella visione del tragico umano, scovato fra il fasto architettonico, coloristico, letterario; e mentre tutto ciò che sopravvive 43 all’uomo trema, vacilla nella profonda incertezza contemporanea come trema e vacilla l’immagine della tradizione borghese nella “Piazza Navona” di Scipione, l’arte sola sembra avvertire queste vibrazioni vitali che hanno la forza ancora di generare impulsi, di trasmettere sentimento, di contagiare il mondo proprio con quella pietà evocata da Ungaretti ereditata da Accrocca. Dopo Scipione, Mafai e Raphael, altri come Melli, Fausto Pirandello, Cagli, Capogrossi, Ziveri, Fazzini, Mirko e Afro, Guttuso, Stradone, Scialoja, Leoncillo, seguitano quella tendenza analitica iniziata dai romani di via Cavour in cui la scelta figurativa presupponeva una sottile astrazione intellettuale: le loro figure esprimevano proprio il contrario della retorica ufficiale, di regime prima, di stato poi, era un figurativismo sempre meno figurativo, per nulla realista, per nulla celebrativo, piuttosto intimista ed evocativo, “magico” come fu detto, ma di magia ce n’era poca, semmai limitata alla manualità, al tono, alla forma, il resto era analisi, un’analisi concreta che denunciava la disgregazione dell’individuo, dei valori sociali, della cultura in un momento in cui l’individuo era già stato disgregato fisicamente e moralmente dall’esperienza della seconda, ed in questo momento come non mai speriamo ultima, guerra mondiale. “Fronte Nuovo delle Arti” nel 1946, “Forma” 1947: si ricostituí allora, dopo il conflitto, il circolo ungarettiano, erano gli anni in cui Accrocca dedicava, al suo maestro e professore, Portonaccio, versi su un agglomerato di povere architetture industriali vicino alle quali però c’era una delle più importanti fonderie d’arte italiane da dove era uscito quasi tutto il bronzo modellato in Italia nei precedenti anni, comprese statue e fregi del Monumento a Vittorio Emanuele II ed anche numerose sculture futuriste: la Fonderia Chiurazzi, il cui responsabile gestirà, negli anni Cinquanta e Sessanta, la Galleria “La vetrina” in via del Babuino dove passeranno nomi eccellenti dell’arte italiana del dopoguerra da De Pisis a De Chirico, da Rosai, Maccari, Mafai a Burri. A Portonaccio abitò Accrocca fino al bombardamento di San Lorenzo, bombardamenti di cui oggi purtroppo udiamo ancora l’eco proveniente dall’Est, solo in televisione, ma comunque, ancora oggi, sempre cosí micidiali per l’umanità intera, cosí letali per tutti gli esseri viventi, per la poesia, per l’arte. E se l’arte non si interroga sul significato della vita, sul significato dell’uomo ma soprattutto se non prende posizione, se non urla il suo dissenso quando la morte dagli uomini è cosí imposta ad altri uomini, anche l’arte muore uccisa dagli eventi. “Non sparerò sul costato degli uomini. / Gli uomini sono fratelli. / Non sparerò sui miei fratelli.”, si legge in una poesia di Accrocca scritta durante il servizio militare a Cesano fra il 1949 ed il 1951. A Portonaccio abitò anche Renzo Vespignani e l’ef- fetto distruttivo dei bombardamenti a Roma è rimasto come un grido di orrore e di denunce nelle sue tele neorealiste ed espressioniste, nella “Periferia”, ne “La mia casa bombardata”, tele in cui un quartiere sopravvive straziato alla folle furia della guerra e reagisce con disperata forza e carattere: sono questi gli esordi del pittore romano che, subito, trova corrispondenze con altri artisti, alcuni amici d’infanzia, altri nati nello stesso rione, come Armando Buratti, Marcello Muccini, Spartaco Zianna, Graziella Urbinati, Fausto Pinada costituendo quel Gruppo di Portonaccio di cui Accrocca era critico, teorico, poeta, amico, ammiratore e molto altro. Le tematiche sociali delle periferie, dell’emarginazione, della solitudine rappresentano il motivo di comune interesse degli artisti, per lo piú autodidatti del Gruppo: è una presa di posizione umana, ma anche sociale ed a volte politica tradotta nel linguaggio del neorealismo. La pittura del Gruppo di Portonaccio interpreta tematiche care anche ad Accrocca, ritroviamo nei suoi scritti, nelle sue parole, nella sua poesia e dai luoghi desolati delle periferie estreme è arrivato poi a cantare i mondi universali degli uomini, dai vocaboli della quotidianità è arrivato alle sperimentazioni, da Portonaccio, da Caserma agli Innestogrammi, agli Esercizi radicali, ai Videogrammi della prolunga. Ma dopo la guerra un clima di rinnovata fiducia si andava diffondendo a Roma. Mentre Ungaretti teneva le sue lezioni su Leopardi, come ricordava Ponente, si erano viste le prime mostre su Kandinsky, su Pollock che entusiasmavano poeti e pittori e innescavano interminabili discussioni sull’arte, sul significato di poesia e di pittura. A quelle lezioni, a quelle discussioni dovette partecipare anche Accrocca che si laureò appunto con Ungaretti proprio quando il gruppo “Forma” muoveva i primi passi, proprio quando Dorazio entusiasmava il Poeta suo Professore e Maestro. Le scuole, le tendenze romane, assumenvano posizioni e sfumature diverse, l’astrattismo, l’informale, il figurativo, il neorealismo, il realismo socialista proponevano soluzioni formali estremamente lontane una dall’altra, ma riconducibili, in un’analisi, ardita, ma non priva di motivazioni, all’esperienza di Scipione, alla sua intuizione dello stravolgimento materico della superficie pittorica, al suo agitare le forme che lentamente stavano informi scrollandosi di dosso qualsiasi materialismo umano, diventando universo umano, sintesi e analisi nello stesso tempo. Scipione, per molti artisti, costituí forse quel confine, a volte anche un poco indefinito, fra il figurativo e l’astratto, le sue indicazioni potevano condurre in un campo o nell’altro poiché la sua è una linea che separa e che collega piú tendenze. Dopo la difficile esperienza dell’Informale in una Roma poco preparata alle opere di Burri a tal 44 punto che in occasione della prima esposizione dei “Sacchi” alla Galleria La Salita un anonimo richiese l’intervento dell’Ufficio d’Igiene per far controllare che la iuta non fosse portatrice di germi contagiosi, la Città conobbe ed accettò le tendenze piú disparate dell’arte acquisendo modelli estetici diversi di portata europea ed in seguito mondiale. È il periodo degli Innestogrammi/Corrispondenze di Accrocca, è il periodo in cui la tecnologia spinta dal benessere economico entrava di forza nella cultura italiana determinando nuovi linguaggi e nuove tecniche artistiche, è il periodo in cui la contestazione giovanile poneva domande ed anche dubbi a tutta la cultura mondiale. Ed i modelli tecnologici ed i dubbi senza risposte sono ancora oggi, nell’arte, energici motori capaci di trainare tematiche e problematiche su cui lavorano autori nei diversi ambiti d’indagine artistica: dal Concettuale alla Transavanguardia, dalla Nuova figurazione ai Graffitisti e cosí via dicendo. Ma Accrocca è stato subito pronto, negli anni piú caldi della cultura italiana, a cogliere il cambiamento ed avvertí l’esigenza di accostarsi con ironia e con interesse a produzioni di rinnovata matrice letteraria e formale, senza, però, dimenticare i suoi temi piú cari e piú intimi. Questa sua attenzione alle espressioni, alle innovazioni, ai giovani artisti fece sí che Accrocca, proprio in quegli anni, ebbe modo di conoscere l’arte di Muliere e subito dopo il primo incontro si sviluppò l’amicizia, la collaborazione, il dialogo umano e culturale. Accrocca apprezzò immediatamente la ricerca condotta da un artista partito da lontano anch’egli, dalle tematiche della quotidianità, dal contesto della propria terra, dal difficile rapporto interiore con la vita. Tematiche che Muliere aveva analizzato spinto dalla curiosità intima di indagare sull’incontro dell’uomo con gli altri uomini, con le cose, di ripercorrere le strade della ricerca dell’uomo sulla verità delle cose, svelare i segreti delle cose, perché, appunto come scrisse Accrocca quasi come monito per la propria ed altrui riflessione di artista “La poesia è nel cuore dell’uomo come la verità è dentro le cose. La poesia disgiunta dalla verità è finzione”. Muliere iniziò dalla figurazione ad analizzare la realtà, ma le sue figure erano, già agli inizi, essenza, erano già sintesi di una ricerca interiore che partiva da quella pietas propria della poesia di Accrocca; poi le strade di Muliere si andavano moltiplicando: dal figurativo al concettuale, dal monumento di piazza alla piccola incisione; in seguito, piú avanti fino alla semantica dei materiali, degli assemblaggi, delle installazioni, quindi l’attività di scrittore, di poeta, di autore/editore di libri d’arte di una raffinata sperimentazione che non ha conosciuto sosta. Accrocca percepí affinità ed intenti comuni considerando Muliere amico e discepolo, collega e col- laboratore dedicandogli versi e parole di presentazione in diverse occasioni: “Non mancano...alla sua osservazione - scrive Accrocca - i risultati di una pensosa conoscenza, frutto di quel saper cogliere i sintomi dell’inquietudine. È fedele alla sua ricerca esistenziale, intesa come metamorfosi, con i modi di una civile creatività, in cui per fortuna rimangono i segni del dubbio, cioè quella voglia di capire e capirsi che è il perenne ciclo dell’uomo....”. Accrocca e Muliere dunque insieme in “Un fagotto di carta & un po’ d’inchiostro e altre poesie” e credo che da questa occasione debba partire una piú approfondita analisi su questo rapporto artistico. Mi riprometto di farlo. Claudio Mazzenga 1999 Roma IMPALPABILITÀ, la ricerca di Muliere alle soglie del 2000 – Conferenza (successivamente redatta) di Stefania Severi pronunciata in occasione della mostra da lei stessa curata nella sede del C.I.A.S., Roma, gennaio 2000. “ Impalpabilità” è il titolo che raccoglie alcune opere di Carmine Mario Muliere caratterizzate dalla ricerca di una nuova e originale definizione. Un’opera, infatti, si definisce normalmente grazie al coesistere dialettico di materia e di idea che alla materia stessa dà forma. Nel caso di Muliere la ricerca si appunta su nuovi modi di definizione, a cominciare da quello della sottrazione, che va a sostituire il piú diffuso operare per aggiunte. In “Velature”, opere e Libri d’artista realizzati in poliester films nel 1991-’92, l’immagine si produce grazie alla sottrazione progressiva di pellicole. La luce è certamente l’elemento guida di tutta questa produzione, e l’urgenza di autodefinizione della luce stessa diviene elemento di creazione artistica. È infatti la luce che produce gli effetti di trasparenza, diafanicità e brillìo intesi come autonomi. Nell’installazione “In-finito attuale”, originaria del ‘91 ma che è a tutti gli effetti un work in progress, i vari elementi di materiale plastico trasparente si animano, di volta in volta, a sconda dell’elemento luce e della relazione luce ed ombra. Assumere la luce come principio di ricerca assume un chiaro carattere simbolico, in particolare in una visione alchemica di Albedo. Ma la luce è determinante anche nella ricerca artistica piú tradizionale ed è in tal senso esemplare la celebre grata posta dal Verrocchio sulla Tomba Medici nella Sacrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze: la grata si modifica a seconda dell’incidenza luminosa poiché l’ombra che essa proietta è parte integrante dell’insieme. Una raffinata ricerca è sottesa in tutta l’opera di Muliere che il video “IMPALPABILITÀ”, recentemente realizzato nello studio Insight di 45 Antonella Federico ha messo in luce. Mettere in luce, da espressione linguistica si fa, nell’opera di Muliere, espressione visiva. Del resto contaminazioni tra lingua e linguaggio visivo si ritrovano in molte opere dell’artista che può certamente indicarsi come uno dei piú significativi esponenti della poesia visiva. “IMPALPABILITÀ” sottende non solo l’impossibilità tattile ma anche una sorta di indeterminatezza a vantaggio della fantasia che è la base di ogni creazione. ‘La vedete quella nuvola, che ha quasi la forma di un cammello?’ dice Amleto a Polonio, osservando il cielo al disopra degli spalti del castello di Elsinore, nell’Amleto di Shakespeare (III,II). E il dialogo cosí prosegue: Polonio: ‘Per la messa, pare un cammello davvero.’ Amleto: ‘A me pare una donnola.’ Pollonio: ‘Ha la schiena di una donnola.’ Amleto: ‘O di una balena.’ Polonio: ‘È identica a una balena’. Questo ricorrere ad una scenografia verbale, in un’epoca in cui l’apparato scenografico era estremamente esiguo, riconduce alla capacità evocativa della lingua che va a sovrapporsi ed a sostituirsi all’immagine visiva ma rimanda altresí alla capacità del nulla di farsi concreto, mimando l’azione creatrice dell’arte. Tornando alla suggestiva installazione “In-finito attuale”, la definizione piú puntuale di essa la troviamo in un breve trattato di René de Cléré (1899), “Necessità matematica dell’esistenza di Dio”. Qui il filosofo dice: “L’intervento di un Essere Infinito di fronte al niente ha per effetto la trasformazione di questo niente in ogni entità possibile”. Ecco dunque che il singolo elemento in materiale plastico, di per sé “niente”, si trasforma in “ogni entità possibile” per intervento dell’Essere Infinito. In questo caso l’artista, demiurgicamente, trasforma l’entità minima in un massimo. Di particolare interesse sono infine i libri di Muliere, nei quali testo e immagine si fondono per amplificare la loro rispettiva portata e giungere nel piú profondo dell’anima del fruitore i cui sensi sono interamente coinvolti. “Certezza e impalpabilità / stupenda lega dell’energia mattutina / quando il sole – in campagna - / filtra nella stanza e crea / movimenti luminosi sulla parete.” Questi primi versi dei testi dell’autore “IMPALPABILITÀ” e “VERIFICHE: l’oro del mattino”, inseriti nel video, possono essere di guida all’intera opera di Muliere tesa a raccogliere l’eco profonda delle cose ed a ricreare con esse quel rapporto empatico che la nostra civiltà tende ad eliminare. Impalpabile è l’anima delle cose nel vasto universo creato, che si fa tuttavia “palpabile” in quell’universo ricreato dall’artista. Stefania Severi International contemporary Art – Gruppo ‘78 è un’associazione culturale no profit, nata a Trieste nel ‘78, ed ha come obbiettivo principale la promozione dell’arte contemporanea. Ha realizzato nell’arco di 20 anni oltre 200 mostre, eventi artistici multimediali, e attinenti alla spettacolarità sperimentale, stages e seminari sull’espressività corporea. Ha portato a Venezia, in occasione della Biennale, la mostra internazionale intitolata “Transformation”, realizzata dal 7 agosto al 6 settembre ‘99 al Teatro Miela. D all’11 al 28 febbraio 2000, presenta in collaborazione con Bonawentura una mostra collettiva di tre artisti romani curata da Maria Campitelli. Una mostra dalle tre diverse anime i cui segnali però non si negano l’un l’altro, ma al contrario, nel reciproco ascolto, possono interagire. I tre artisti provengono da Roma, Carmine vi si è stabilito piú tardi, alternando ora la capitale a S. Cesareo. Tutti e tre sono in possesso di un curriculum articolato. [...] Carmine Mario Muliere è un artista dalle esperienze molteplici che da un’iniziale figurazione è passato ad esplorazioni materiche e alla tridimensionalità delle “Concrezioni”. “L’In-finito attuale” presentato a Trieste, è una ricerca che l’artista conduce già da qualche tempo, fondata sulle trasparenze, sulla luce. “Sospendo il colore nell’aria – dice l’artista – e nella luce, un’opera con la struttura aperta che si lascia attraversare…”. Come una sorta di mosaico dalle tessere mobile e trasparenti, sostenuto da un fervido spessore culturale incentrato sul valore del simbolo. Maria Campitelli Miela Web: www.miela.it/gruppo 78.html 11-28 febbraio. (2) «il mercatino» 19-25 febbraio, Trieste In Galleria – Coraggiose sperimentazioni di un trio di artisti al «Miela» T rieste. Entrando al Teatro Miela per la mostra (che chiude domani) allestita dal «Gruppo 78» ad opera di Maria Campitelli si resta immediatamente presi da una visione d’insieme, che privilegia, a livello coloristico l’argento e la plastica trasparente. Sono le opere degli artisti protagonisti di questa collettiva che ben s’inserisce negli ambienti colorati e postmoderni del Miela. […] Carmine Mario Muliere per l’occasione ha approntato un pannello formato da grandi rettangoli di plastica trasparente e posizionato a parete. Questo riflette i segni luminosi dell’ambiente circostante: operazione leggera dal punto di vista formale non vuole esserlo da quello contenutistico. È un oggetto significante che possiede un alone di precarietà troppo sottolineata per esserlo davvero. Ci sembra di riconoscere qualche traccia di quelle bolle di fumo di Pipilotti Rist della Biennale vene- 46 ziana che erano talmente gratuite da diventare simbolo di un’arte contemporanea che si compiace nell’intraprendere una strada che si chiama annullamento. Per Muliere le sue opere possiedono valore di simbolo, per noi una prova di un coraggioso atteggiamento di sperimentazione con soluzioni oltranziste che provocano e infastidiscono proprio per la loro finta debolezza. È un vero suicidio artistico o solo una nuova tabula rasa, in questo caso di matrice concettuale, per ritrovare una strada perduta, un linguaggio artistico nuovo, proprio ora in cui quasi tutto appare sorpassato e inutile, insignificante o comunque debole? Lorenzo Michelli Il Piccolo, 27 febbraio 2000, Trieste Arte nell’orto – Sinapsi infinite Con Gabbia di Faraday si intende qualunque sistema costituito da un contenitore in materiale elettricamente conduttore (o conduttore cavo) in grado di isolare l’ambiente interno da un qualunque campo elettrostatico presente al suo esterno, per quanto intenso questo possa essere. (Da Wikipedia, alla voce Gabbia di Faraday) Un celebre fisico matematico olandese-americano, il 48enne Erik Verlinde che ha già legato il suo nome alla «teoria delle stringhe» (la supersimmetria negli universi paralleli), sta agitando il mondo accademico degli Stati Uniti con una serie di conferenze in cui fa a pezzi la teoria della gravità. (Dall’articolo Gravità addio di Federico Rampini da la Repubblica del 15 luglio 2010) SPRAY ITALY La gabbia di EBZN (Il centro della sfera) A D l Teatro Miela, Maria Campitelli (per conto del Gruppo 78) presenta una collettiva di artisti provenienti da Roma. Tutti e tre partono unendo brani di realtà a interventi artistici che affondano, di volta in volta, per Marinaccio sul versante emotivo, per la Del Brocco su quello etico-sociale e per Muliere su considerazioni simboliche. [...] Carmine Mario Muliere appronta installazioni di plastica, qui al Miela, trasparente, che l’artista mette a colloquio con lo spazio espositivo. Le luci si riflettono su queste superfici dando vita a uno spettacolo luminescente che per Muliere possiede il valore di simbolo: comunicazione di pensiero, esso stesso significante. È un intervento che si basa sull’ossimoro, sugli opposti: dalla visività trasparente si percepisce l’eco di contenuti sostanziosi. È un agire leggero, che sento consono alle bolle veneziane di Pipilotti Rist, troppo inutili per considerarle davvero inutili. Lorenzo Michelli JULIET art magazine, n.97 April-May 2000, Trieste opo l’avaria dell’astronave e il conseguente atterraggio di fortuna, avvenuto provvidenzialmente in una verde e collinosa località della Terra, EBZN si era costruito con i pochi mezzi a disposizione un rifugio che le avanzatissime conoscenze della sua specie aliena avevano reso irriconoscibile e davvero inviolabile. Una specie di gabbia di Faraday, come i terrestri l’avrebbero potuta definire, ma molto più evoluta e sicura. Fondamentali erano le sue semplici strutture sull’impianto di base e l’intenso magnetismo nascosto in essa, e poi altre particolarità apparentemente insignificanti, come il pulsante piccolo nucleo, che l’arretratezza culturale dei terrestri non avrebbe potuto rilevare e tanto meno comprendere, neanche con le spiegazioni più semplici della supersimmetria negli universi paralleli. Però se i suoi simili avessero di nuovo sorvolato il pianeta alla sua ricerca, senz’altro l’avrebbero localizzata con precisione, riuscendo a trarlo in salvo. [...] Enrico Smith EQUIPèCO, anno VII n. 25, 2010, pp.80-81 La Bacheca n.4: Libri d’artista – a cura di Mirella Bentivoglio – “Libri trasparenti” – Galleria de LA CUBA D’ORO U na intensa ricerca quasi esoterica di effetti luminosi spinge Carmine Muliere all’incisione libera, diffusa, di carte traslucide e acetati montati a libro. Mirella Bentivoglio Comunicato Stampa della mostra, giugno 2000, Roma 47