CARMINE MARIO MULIERE
Antologia critica
Abito d’Artista
CARMINE MULIERE: L’ARTE NUOVA
Il pensiero pittorico di un lirico del colore
conseguenza di un’arte priva dello scopo del messaggio interiore dell’artista. Quest’arte espressa
soventemente in mostre personali e collettive non
è educazione pittorica del visitatore, non è il messaggio della vera arte, è solo il manifestarsi pittorico di breve durata che muore nell’istante in cui si
modifica l’atmosfera contingente di una mostra.
Oggi l’artista che ha della vera arte nelle vene, vive
sotto la coppa plumbea di questa società borghese,
corrotta, soddisfatta e conservatrice. Domina l’illusione di un modo di vivere composto di speculazioni; ci consola il fatto che ci sono nella vita e
quindi nell’esistenza, il fermento, nel travaglio, di
forze nuove, troppo a lungo represse e compresse
dall’ignoranza e dal pregiudizio. Esse sono queste:
l’aspirazione dell’uomo verso la sociologia e a sviluppi di cultura, nel rinnovamento di una progressività di pensiero sia nell’arte che nella vita, in una
uguaglianza nella libertà che liberi l’uomo dalla
necessità per elevarlo ad umanità nella vita e nel
pensiero, nell’esistenza e nel sentimento. Ecco
perché un’opera pittorica ed artistica in genere non
può piú essere né deve essere semplice imitazione
della natura; ma un’opera d’arte deve avere elementi interpretativi di stati d’animo individuali
con fini senza confini di forme, colori, volumi,
pensieri collettivi.
L’arte deve essere risonanza tra uomo ed umanità,
tra umanità ed universalità della verità. L’arte è,
quando è arte: intuizione, eco, specchio interiore
che può e deve suscitare azione profonda di pensiero verso ideali piú alti, che non si accordano con
la caccia spietata, spesso comperata o raccomandata, al successo. Il successo cosí acquistato è il caos,
la mascherata dell’arte e dello pseudo artista.
Questa introduzione è evidentemente, ma volutamente, uscita dai limiti strettamente inerenti la
personalità artistica di Carmine Muliere. Queste
digressioni non sono neppure superflue perché
varranno ad inquadrare lo studio che il critico fa di
lui per proporlo nel solco d’infuturamento dell’arte. Con le sue ultime creazioni: Equilibrio della
vita: esistenza, Il male del secolo, Delusione,
Notte del 20 ottobre, e quasi tutta la sua produzione, Muliere apre un discorso pittorico scevro di
pregiudizi, apre un discorso da cui vuole trarre
considerazioni generali sulla società del consumismo, dell’arrivismo, del razzismo.
È nella manifestazione pittorica di Carmine
Muliere che si sente la maturità e la grande necessità di esprimere le sue mete interiori e cioè l’insorgere di un’atmosfera morale, uno sforzo a perseguire mete educative in un colloquio tra l’arte,
l’artista, il critico ed il pubblico. Le opere recenti
sono la possibilità di azione che possiede l’arte, è la
sincronia tra colori e simbolismi, è l’espansione
cromatica e volumetrica del suo mondo pittorico
interiore in un colloquio teso a liberare l’uomo dai
rozzi sentimenti che ha per l’arte. È la parola, il linguaggio del colore e delle forme, che vuole comu-
O
gni periodo di cultura porta alla manifestazione di un’arte propria, la cui espressione è data
dai valori intuitivi e dalla realizzazione immaginativa dell’artista. L’arte, quindi la pittura di Muliere, è
un messaggio! Oggi, XX secolo, l’arte deve essere
una rottura dal tradizionale esprimere una sola
realtà: quella visiva. L’arte come e sola realtà visiva,
non costruisce temi, non propone risoluzioni interiori, quindi non assolve al dovere di esprimere
un’opera d’arte che sia messaggio di un mondo
delle idee e del pensiero. Tra l’arte nuova di
Carmine Muliere ed alcune forme tradizionali del
passato v’è una differenza sostanziale ed essenziale.
L’arte tradizionale che esprime e riproduce il visivo è di natura esteriore; mentre l’arte nuova di
Muliere è di natura interiore ed ha perciò in sé il
germe del futuro con un nesso di profetico. Tutte
le forme d’arte di rinnovamento adempiono al
dovere di un messaggio quando sono veramente
creazioni artistiche che siano azione del pensiero,
nell’arte, nell’uomo, per l’umanità.
Molta è la gente che va passeggiando tra decine e
centinaia di tele esposte in mostre collettive, questa folla anonima piú che guardare, studiare in un
quadro un’opera, quindi entrare nel mondo interiore dell’artista per comprenderlo in ciò che
intende esprimere, s’interessa della firma e delle
quotazioni; quando poi ha esaurito il suo peregrinare tra una tela e l’altra, se ne va altrettanto povera di pensiero e di conoscenza pittorica di quando
è venuta. La folla, la gente che visita le mostre,
gironzola per le sale e trova le opere graziose o non
graziose a secondo del proprio gusto o guarda in
funzione dell’abbinamento con l’arredamento del
proprio appartamento e spesso acquista solo perché un quadro nella sua cornice meglio si addice
alla sua carta da parati. Guardare le opere esposte
con questi soli fini è offesa che la gente fa all’artista, con cuore freddo, con animo assente e pensiero indifferente all’arte. È anche evidente che l’uomo, l’artista, che potrebbe anzi dovrebbe con la sua
opera dire qualcosa, non ha detto o suggerito nulla
al suo simile. Spieghiamoci perché avvenga ciò:
oggi l’artista non è un pensiero libero ma è soggetto alla commerciabilità, ma ancora piú grave è che
l’artista è oggetto di un mondo protenzionistico e
clientelistico che lo spinge al compromesso con il
premio acquisto, e non è piú spinto all’arte per
l’arte ma alla semplice soddisfazione della sua
vanagloria e avidità.
Ed è cosí che ci si lamenta di un eccesso di concorrenza e super produzione pittorica e il piú delle
volte nelle mostre non si cimentano l’emulazione
e la fraternità ma si fomentano odio, partigianeria,
invidia e manie possessive di premi e spesso si
osservano intrighi distributivi di meriti che non
premiano certamente il vero valore artistico. È la
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tà oggettiva, quei valori artistici ideali; valori che
hanno sfidato i secoli e che diedero, danno e
daranno sempre la gloria, il piacere, le speranze al
genere umano, ormai saturo di ogni soddisfazione
e sofferenza.
Ma l’artista, uomo dotato di una forza sconosciuta,
sia nel bene che nel male (sta a noi individuare ed
assimilare ciò che riteniamo piú valido), sarà sempre all’apice della direttiva sociale come forza precursoria, promotrice di ogni iniziativa psico-scientifica.
Muliere, artista molisano, è uno di quei rari geni
che emergono dalla spumeggiante arte contemporanea, egli è uomo artista autentico, alieno da ogni
preconcetto di piccolo borghese e quindi lontano
dall’autodefinirsi divino.
È l’uomo artista rivelatore del vero bello oggettivo,
forza ideale, intramontabile ed intrinseca (le forme
brutte son di tutti ed effimere).
Muliere riesce a trasformare tutte le bellezze delle
proprietà cromatiche in una forma artistica, nuova,
idilliaca, ma che è pur sempre esistita nell’essenza
pura dello spirito dell’universo, riesce ad intercettarla e per mezzo della sua facoltà, direi soprannaturale, la fa conoscere pittoricamente agli eccelsi
amanti del bello, dell’amore, della vita.
nicare all’uomo la sua libertà a liberarlo dalla rozzezza della indifferenza, per interessarlo ad un colloquio che sia un pensiero di risonanza del tempo
nello spazio di cui la protesta sociologica ed antipregiudiziale si avverte sin da oggi. Muliere apre
con il suo linguaggio pittorico, un discorso che nel
suo cromatismo rinnega la paura della verità e le
sue composizioni come Arte nuova abbattono i
pilastri del pregiudizio, dell’ignoranza, dell’incoscienza.
Non vi è fortezza che non si possa abbattere ed
espugnare e quando questa fortezza ha a guardia
l’egoismo, si può abbattere con la coerenza e la
verità. Muliere si batte con la sua creazione pittorica contro i servi ubbidientissimi che trafficano
con il drogaggio della ambizione ai premi assegnati con faciloneria. Le opere di Carmine Muliere
sono pura melodia di intimo sofferto interiore sentimento; ecco perché ebbi a definirlo un lirico del
colore e prima ancora di conoscerlo dopo aver
osservato una sua opera in una mostra collettiva gli
lasciai questo scritto: Un primo incontro tra il critico e l’artista. Un incontro di pensieri espressi
nella colorazione. Lievi tocchi come fughe, magiche espressioni che da percezioni divengono sensazioni di un futuro pittorico che sa d’infinito.
Oggi la sua nota pittorica è musicalmente colore e
forma, è espressione di vita e di pensiero in una
escatologia di forme e volumi geometrici che sono
affidati ad un colore che è calore umano. È, la sua
arte, un discorso che irradia armonia di un principio di pensiero coloristico che parla e sa di vita esistenza pensiero verità.
Carlo Terranova
Presentazione catalogo mostra personale Galleria La Vela,
Genova maggio-giugno 1972
CITY, maggio 1972, Genova
MIGLIORANDO, Galleria La Vela
Alfredo Casoria (Ergos, Sogre)
Presentazione della mostra personale Sala comunale di S.
Elena Sannita 1971
Nuovo Caleidoscopio, dicembre 1971, Roma
M
uliere è un giovane pittore molisano, che
vive a Roma. In questa sua personale alla
Vela presenta opere che rivelano un disegno di
gusto apprezzabile, una naturale tendenza all’armonia compositiva, un pacato uso del colore.
Manca forse un po’ di fusione disegno-materia,
sicché finiscono per prevalere i lineamenti formali
del quadro. Nei pezzi piú recenti si nota peraltro
una tendenza dell’artista a superare le pastoie con
un piú libero uso del colore.
I
l Muliere, nel corrosivo fluire delle vicende
umane, filtra l’immagine poetica della natura,
diffusa nel tempo e nello spazio, per ottenere
l’espressione visiva di una melodia cromatica in un
istante lirico e la psicologica indagine della realtà.
Un discorso continuo, nuovo, cromatico ma pur
sempre umano nell’arcano silenzio della tela ove si
dispiega magicamente l’angosciata visione d’un
mondo nostalgico vibrante di luce.
Sergio Paglieri
SECOLO XIX, sabato 20 maggio 1972, Genova
Roger Gallizzi
Nuovo Caleidoscopio, dicembre 1971, Roma
CARMINE MULIERE
C
armine Muliere è presente, in questo periodo
in Calabria ed in Liguria, dove è impegnato
con due mostre personali. Le opere, di nuova figurazione, anche se rappresentano una pittura essenzialmente scarnificata, sono tutt’altro che povere,
anzi derivano dalla propria essenzialità una felice
suggestione. Cosí le sue figure femminili, moderne come impaginazione e come taglio, dalla delica-
Un artista molisano alla Vela - LA BELLEZZA DI
MULIERE
N
el frastuono attuale del mondo della pittura,
dove tutto è considerato valido o tutto superfluo, si evidenzieranno sempre, alla vista della real-
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rata. Tutta una tradizione artistica che si rifà alle
ricerche dei maggiori temperamenti italiani e stranieri del ‘900, è culturalmente presente nelle opere
di Muliere. A noi sembra che proprio qui risieda il
maggior merito del giovane pittore: cioè nell’aver
saputo fondere, con estrema sensibilità, la sua
visione personale con la tradizione figurativa. In
numerose delle sue creazioni ci sembra di intravedere un mondo misterioso che si realizza tramite la
feconda immaginazione del loro autore, pur
restando, tuttavia, opere semplici, spontanee ed
estremamente chiare. Muliere ha sempre rifiutato
gli aspetti commercialistici dell’arte, scelta questa
che non è dovuta esclusivamente ad una sua sentita moralità di comportamento, ma che si riflette
integra nelle sue opere che nulla concedono al
superfluo, allo spettacolo, all’estetizzazione formale. Parlando del suo carattere non possiamo
dimenticarci che in questi ultimi tempi della sua
attività, l’artista ci sembra cresciuto in maturità. La
sua arte oggi si interessa a tutti i ceti e classi sociali, alla umanità in senso lato. Egli è capace di commuoversi alla vista di un oggetto o di un fenomeno naturale, di fronte al quale gli altri sorvolano
distrattamente, perché nella semplicità della natura egli trova gli spunti piú fecondi della sua poesia.
Il messaggio che ci comunica è lirico e sociale ad
un tempo, ci rende partecipi e responsabili del suo
significato coinvolgendoci totalmente. Di lui
hanno scritto noti critici: Carlo Terranova, che cosí
lo definisce sinteticamente: Muliere riesce a trasformare tutte le bellezze delle proprietà cromatiche in una
forma artistica nuova, idilliaca, ma che è pur sempre esistita nell’essenza pura dello spirito dell’universo. Alfredo
Casoria: Le ultime opere di Muliere sono la possibilità di
azione che possiede l’arte, è la sincronia tra colori e simbolismi, è l’espansione cromatica e volumetrica del suo
mondo pittorico interiore in un colloquio teso a liberare
l’uomo dai rozzi sentimenti che ha per l’arte: ecco perché
ebbi a definirlo un lirico del colore. Ancora una testimonianza che viene dal poeta francese Roger Gallizzi
(amico del pittore) al quale ha dedicato un intero
libretto dal titolo Come nasce un pittore e una gradevole poesia che ci piace riportare per intero: Non
è un poeta / ma una luce errante / che porta con sé / i vasti
sogni dell’Infinito. / Fiorisce nel tempo / senza radici.
ta sensualità, con una trama concisa e ben definita
graficamente, rasentano la sensazione di una contemplazione onirica. Questa maturità Muliere la
deve alla sua macerazione, al suo profondo senso
d’analisi. Muliere, infatti, invece di arrestarsi
opportunisticamente ai valori acquisiti, ha sempre
proseguito ascoltando la sua voce interiore, approfondendo e chiarificando il proprio rapporto fra
l’io ed il mondo.
Generoso Romano
Nuovo Caleidoscopio, giugno 1972, Roma
CARMINE MULIERE
È
possibile forse giudicare una ricerca artistica
non da ciò che narra, produce, inventa, ma da
ciò che indica e appena rivela, da ciò che nasconde
o fa riemergere appena, dalla tenuità di un tessuto
di armonie profonde, dalla visionarietà di contenuti onirici, dalla prospettiva surreale in recupero di
memorie lontane, di infanzie remote, dal futuro
apocalittico che furtivamente grava sul presente, da
ciò che inventa nel delirio di lontane e cabalistiche
visioni.
Carmine Muliere è un pittore capace di intrecciare sogni surreali e danze oniriche, racconto del
lontano vivere apocalittico, e armonie di colori, di
strutturare in un’unica spirale formale l’insignificante della vita, come ripetizione ed eco di luce,
col mistero fragile di mondi archetipici freudianamente rivelati.
Il gusto violento per una vita eccitata, la tensione
per l’oblio apocalittico, l’amore per i misteri sognati da sempre ma mai accolti lí dove la vita diventa
scelta ed opzione fondamentale, impegno etico,
ossia nella pittura, sono questi i paradossi e i
capricci, le debolezze ed i sentieri inseguiti da
Carmine Muliere.
Una pittura di luce. Luce fuggitiva ma pura e raccolta. Tremante e solida, infernale ed ambigua.
Pittura del Tremendum e del Vacuum, come la
morte. E la vita.
Carmine Benincasa
Mostra personale Sala Stampa Italiana - Palazzo
Marignoli, 1973 Roma
Fides Rara
CINEPOP, gennaio1973, Roma
ARTISTI CONTEMPORANEI, Carmine Muliere
CARMINE MULIERE: Un felice ritorno - La sua
personale - oli, sculture e incisioni - aperta a Pietrabbondante fino al 20 agosto
D
otato di una tecnica raffinata e di ottime capacità disegnative, Muliere si distingue fra gli
artisti contemporanei, non solo per la diversità di
stile, ma soprattutto per la ricerca sempre impegnata degli argomenti trattati. Anche quando l’oggetto è una natura morta, noi vediamo nell’ambito
stesso dell’oggetto, un’intenzione ben precisa di
andare al di là della semplice comunicazione figu-
U
n felice ritorno, quello del pittore Carmine
Muliere nella sua terra. Allontanatosi dalla
sua S. Elena Sannita quando il fervore creativo non
poteva piú resistere nella chiusa cerchia di un piccolissimo ambiente, quando l’esplodere della sua
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tazione psicoanalitica delle opere d’arte, ivi compresi quelli di Sigmund Freud, del suo collaboratore Breuer e di Jones e di Maria Buonaparte e di
Laforgue, di Bachelard, di Adler, di Jung e dei
nostri Servadio, Perrotti, Musatti e Miotto, mi
chiedo sin dove la psicanalisi sia effettivamente
scienza e non mitologia e fenomenologia dell’inconscio.
In proposito scrive Giuseppe Sormani (Dizionario
delle Arti - De Agostini - Novara):...è fuori di dubbio che l’analisi condotta su questo terreno vale ad
estendere l’orizzonte dell’esperienza artistica, a
illuminare i motivi piú profondi, a chiarire il senso
di una sfera di umanità che davvero sembra urgere
sotto la superficie dell’anima. Ma, senza voler dare
giudizi che spettano alla scienza, non si può tralasciare di osservare che la psicanalisi rischia di confondere le condizioni con le cause e di vedere in
uno stato psichico l’origine di attività umane che,
indubbiamente, hanno cause e finalità superiori e
non possono essere ricondotte ad una astratta
situazione psichica...
Nel timore di compiere un atto di crudeltà e nella
convinzione che il Sormani abbia perfettamente
ragione, tratterò della pittura di Carmine Muliere
servendomi degli elementi concreti che essa produce, elementi rilevabili e raffrontabili con l’esperienza umana dell’artista e con quella piú banale
del nostro livello quotidiano.
vena lo trascinava verso piú ampi orizzonti, torna
ora nella Pentria con un nome affermato, con un
curriculum critico di tutto rispetto, con una larghissima produzione frutto di un estro di larga
prolificità.
Espone a Pietrabbondante, in concomitanza con le
manifestazioni teatrali che gran folle di intenditori
richiamano sugli scanni lapidei del Teatro Pentroromano. La sua personale, comprendente pitture,
sculture e incisioni su metallo, resterà aperta fino
al 20 di agosto.
Arte nuova è stata definita quella del Muliere da
Alfredo Casoria ed anche da un noto critico parigino, Gallizzi Roger, su di una rivista francese. Lo è
infatti. Ad un primo esame potrebbe notarsi un
accostamento a Marc Chagall: la stessa fluidità
poetico-cromatica, la stessa evanescenza descrittiva. Se ne discosta, e decisamente, nell’argomentare tematico.
L’angoscia di un mondo che ha abbandonato un
suo schema vitale e, nella ricerca di uno nuovo,
ritorna ad una cosmogenesi da cui attende lo scaturire di una diversa realtà. La fede, la scienza,
quale delle due potrà fare da fondamenta al mondo
nuovo? Il momento sociologico pare voglia cogliere il Muliere ed operare in esso con possibilità simbiotiche tra fede, intesa quale rigenerazione, e
scienza, intesa quale attività evolutiva della mente
umana. Vi riesce ? Non sappiamo valutarlo, ma il
solo tentare siffatta tematica è da giudicare positivamente.
Nella scultura, cui anche attende con risultati felici, il Muliere vuole scoprire, vuole tentare nuove
esperienze. Una chiusa pietra ci apre il suo mondo
e con precisa arte maieutica porta alla luce quello
che mai pensavi potesse contenere. Dal chiuso alla
luce, ed è il momento-passaggio di tale fase evolutiva che l’artista si compiace di cogliere. Anche qui
il travaglio del divenire è motivo d’angoscia, quell’angoscia democritea insita nel panta rei; non
certo l’angoscia di distruzione di chi crede nell’inutilità dell’esistere, ma quella sofferenza nel
travaglio rigeneratore da cui scaturirà la verità dell’essere.
Pino Amatiello
Roma 1975
CARMINE MULIERE: Artista poliedrico e incisivo
D
al contesto delle opere di questo artista molisano si rivelano due radici espressive che solo
in apparenza sembrano divergere. La visionarietà
fiabesca dei suoi dipinti è contrapposta alla stringata solidità plastica delle sue sculture. Una versatilità elaborativa che non si discosta mai da una
comune chiave onirica con riferimenti memoriali
all’ambiente in cui è nato e vissuto per tanti anni.
Un mondo che Carmine Muliere si porta dentro e
che si manifesta con un sentimento quasi naïf nelle
liriche atmosfere coloristiche dei suoi quadri. La
folla dei personaggi e dei paesaggi che affollano le
sue tele, integrandosi e sovrapponendosi in assoluta libertà compositiva, hanno la levità incorporea
della semplice narrazione popolare. Alberi dall’aspetto umano, muri delle case animati da visi e
voli di colombe radenti, finestre e porte che sintetizzano paesaggi ideali. Echi di presenze lontane
che il pittore rende con emotività esuberante e
tonalità vibranti dimostrando una rara padronanza
della sintesi pittorica e dell’equilibrio formale.
Nelle sculture la figurazione è piú realistica e compiuta.
L’intaglio e lo scavo si fa piú scabro ed essenziale
Mario Di Nezza
Il Mattino, domenica 5 agosto 1975, Isernia
SULLA PITTURA DI CARMINE MULIERE,
Testimonianza di Pino Amatiello
T
estimoniare a volte è esercizio di crudeltà.
Viviamo nel dubbio e nell’incertezza. Beati
coloro che possono presumere di possedere la sintesi e l’attendibilità del giudizio. Beati i depositari
della verità: da esecrare, anche, se lasciano noi nella
piú bieca oscurità, godendone, forse, con il piú
intellettuale cinismo possibile.
Tutte le volte che leggo di vari tentativi di interpre-
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ripescando ataviche fisionomie e volti che sembrano convivere simbioticamente con l’organica
materialità dei reperti. Sintesi memoriali che il
Muliere realizza con una ieraticità iconica che
attinge valori da un profondo senso religioso della
vita.
Nei disegni, dove la mano corre piú libera e felice,
l’artista dà via libera ad una fantasia piú sbrigliata
raffigurandoci, con perizia chiaroscurale, una
umanità in lotta con i problemi esistenziali e la
degradante emarginazione sociale. Una denuncia
evidenziata con una copiosa aggregazione segnica
ed una pregnante partecipazione emotiva.
notte dei tempi.
Muliere è già approdato alla sua Itaca e sa bene
destreggiarsi nelle sue metamorfosi: calza l’accostamento chagalliano della fluidità poetico-cromatica vista dal Di Nezza.
Muliere è per me un aedo della pittura, con una
sua profonda tematica compiutamente riuscita;
l’esperienza che si è formata sulla tecnica mista,
sulla litografia ne fanno uno scultore-pittore congruo che riesce a rappresentare una nuova divina
commedia senza rinnegare la realtà che viviamo
con i suoi tecnicismi e i provocati esacerbamenti di
una natura ormai ecologicamente compromessa.
Giulio Cialini
La Nazione, 18 aprile 1976, Firenze
Antonio Coppola
Galleria Colosseo 1976, Roma
MULIERE e la Pittura come metafora
PIÚ QUALITÀ MENO QUANTITÀ
C
D
onoscendo ed osservando la pittura di
Carmine Muliere ho avvertito nei suoi quadri
una problematicità saettante, un pionerismo alla
Livingstone. Muliere si trova nell’arena della teatralità della vita quasi per gioco, invischiato dalle
leggi cosmologiche e da prospettive metastoriche.
Non è facile spiegarsi perché Muliere vive in uno
spazio tridimensionale, calandosi anima e corpo a
rintracciare cabale e sinfonie wagneriane. C’è un
forte bisogno di comunicare, di dare la giusta funzione a certi contenuti che soffrono parossisticamente il proprio atto enunciativo; l’essere che
pigia sui tasti di una impalcatura freudiana, tutto
un corollario crudele e tormentoso vigila i sogni di
questo pittore ironicamente balzante quando c’è
una visione da catturare, da costringere alla resa e
scaricarla dal suo veleno agrodolce. Raramente
s’incontra un artista cosí dialettico con se stesso,
cosí ambiguo pure, ma non solitamente passatista.
La sua pittura è verticistica, piramidale fino alla
vertigine, voglio dire che non si riscontrano segni
di iniziazione, di ABC pittorico, è logico evidenziare una scaturigine di simboli e metafore che
acquistano una aderente decantazione là dove è
piú marcata l’ossatura narrativa simbolica e oggettivale.
C’è una verità nel discorso di Muliere? La verità è
nel sapere trovare Muliere non tra i franchi tiratori di una scuola, ma nelle ragioni profonde di quella società rivoltata nei suoi straniamenti, nelle verità che ci propala.
Muliere vigila allo scoperto gli antefatti di protesta
e di amore che hanno mosso la mano fino a suggerirgli una mitologia orientale pensata in chissà
quale grado della coscienza.
Quanto sia Ulisse a cercare la sua Itaca, non l’immagino cosí Muliere, bensí lo vedo manipolatore
estroso della sua creta e dei ferri del mestiere, affabulando assai dal suo favoloso armamentario di
simboli, di miti e di allegorie che si perdono nella
i Carmine Muliere, pittore e scultore molisano, rileviamo, che la sua ansia espressiva non
sempre riesce a concretizzarsi in piani e volumi,
dal momento che una insorgente inquietudine o
una liricità inquietante rende labile l’impianto
costruttivo, fino a stemperarlo in una sfumatura
coloristica ora stridente, ora timbrica, ora angosciante. Nella scultura, ove la decisa istanza
costruttiva risulta dettata dalla forza del togliere
piú che da una inclinazione al modellato, Muliere
dimostra questa sua connaturale icasticità, a volte
ruvida e popolare, ma densa di umori e di lieviti
che appartengono piú all’urlo ed al dissidio espressionista, che alla labilità simbolistica ed animistica
del colore. Un artista che se riuscirà a contenere la
sua labilità ed a dare significato alla sua forza
espressiva, avrà non poco da dire nell’ambito della
pittura e della scultura contemporanee.
Luigi Tallarico
MOSTRE - ARTISTI - CORRENTI, Piú qualità
meno quantità, Secolo d’Italia, mercoledí 5 gennaio
1976, Roma
CARMINE MULIERE
R
aro è trovare un giovane artista che unisca
conoscenza di mezzi tecnici, alla capacità di
esprimersi con validità linguistica. Ma per
Carmine Muliere, promettente alfiere dell’arte, la
materia o il pennello sono strumenti efficaci
all’ispirazione del momento. L’arte è verità e sentimento, espressione di sensibilità e ansia di ricerca.
Per Carmine Muliere è anche sofferenza, tormento dell’essere che assiste al dramma della umana
esistenza. L’iter operativo si alterna fra la pittura, la
scultura, la grafica nella ricerca di una propria
espressività. Interessante è rilevare la persona
umana, risolta sempre con tratti essenziali e ben
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In effetti, Carmine Muliere, piú che essere interessato dal gioco dei volumi e dalle prospettive (egli è
anche scultore, ma nella scultura svolge un altro
discorso), affonda il suo interesse negli equilibri
tonali, nelle belle composizioni, nell’articolata
varietà dei colori, nella estrema piacevolezza degli
insiemi, anche quando, per il tema o per la carica
emotiva, potrebbe facilmente rifugiarsi in una
figuratività a toni bassi.
dosati accordi cromatici, che accentuano profondità di emozioni in una trama concisa quanto ricca di
pathos. Tramite lo strumento dell’arte, Muliere
opera un’indagine conoscitiva su se stesso e sul
mondo che lo circonda. Un mondo basato sull’ingiustizia e costruito con la sofferenza. Un mondo
aggressivo e spietato, lanciato nell’orbita della
repressione dei valori e del sentimento per far
esplodere, come azione di riflesso, ogni sorta di
cieca violenza.
Domenico Policella
IL TEMPO d’ABRUZZO, giovedí 11 agosto
1978, Lanciano (CH)
Vanna Armeni
Lo Zeffiro n.6, luglio-agosto 1976, Milano
MACCHIE, raccolta di poesie pubblicata nella Collana
PREMIO diretta da Letizia Carile, premessa di Mario
Verri, Lo Faro Editore, Roma
CARMINE MULIERE
L
a poesia e la musicalità delle opere di Carmine
Muliere non fanno parte di un’atmosfera lieve
e romantica, ma di un prorompente mondo fantastico-onirico, carico di vicende passate da raccontare. È l’animo dell’artista che attinge dal bagaglio
di questo mondo per narrare storie di guerre, di
pace, di amore, di odio, di felicità e di sventura. La
trasposizione artistica sulla tela del dipinto, o sulla
massa della scultura, è fedele alla visione dell’artista ed alla sua immaginazione, come ricca è proprio la fantasia dell’uomo del Sud. Muliere, infatti, è nativo di S. Elena S. (IS) e, dalla sua terra natale, egli ha tratto quelle caratteristiche prettamente
meridionali uniche per il profondo fatalismo e per
la ricchezza immaginativa. Anche per quanto
riguarda la raffigurazione tecnica e cromatica,
l’origine è sempre data dalla sua terra, il Molise,
dove le donne vivono costrette dalla rigida tradizione e dove il paesaggio possiede i colori inconfondibili del Sud. Possiamo definire Carmine
Muliere come il pittore dell’uomo nella storia, il
pittore che dell’uomo narra con tristezza e drammaticità, le sventure e le cattiverie, con slancio e
passione le gioie ed i successi. Certo è che l’artista
ha tanta umanità e tanta sensibilità da comunicare:
il suo mezzo di comunicazione l’ha trovato nell’arte, non saprei dire se meglio con la pittura o con la
scultura; certo è che una è il completamento dell’altra.
C
armine Muliere, una ricerca. Carmine
Muliere, la contraddizione, l’insicurezza, il
bisogno di essere capito, il dubbio creativo.
Tutta questa interiorità titanica e contraddittoria si
trasfonde nella sua opera, la permea, la compenetra, presentandoci il Muliere com’è veramente.
Certo il Muliere è un artista; lo sa ed è inutile ripeterglielo. Quel che invece noi vogliamo dirgli è che
nelle sue opere troviamo infiniti dettagli, piccoli,
grandi, palesi, nascosti, trasferiti e constatati dal
suo bisogno interiore di appagarsi apparentemente
e procedere oltre; ma ancora manca un piú grande
respiro, la fatica della vita è ancora presente nei
suoi lavori, essi riflettono quella piccola, potente
luce che sta lottando tra il fango provocando
immensi sconvolgimenti per giungere alla vetta,
alla Realizzazione. All’inizio del viaggio della
Ricerca-Realizzazione di se stesso e degli altri, il
Muliere, in buona parte, riflette fortemente e sentitamente, con chiara struggente nostalgia e sentimento, le vicende e i luoghi suoi natali, dona e pretende ad uno stesso tempo tenerezza e sicurezza.
Pian piano, tra formidabili contrasti (lo vediamo
dalla violenza e dalla dolcezza delle sue opere),
comincia a trasformarsi, trasferendo finalmente
alla sua opera piú ampio respiro, piú Universalità.
A questo tende il Muliere.
Clara Mariani
Lo Zeffiro n.6, luglio-agosto 1976, Milano
Mario Verri
1976 Roma
SUCCESSO DI Muliere
Carmine Muliere: MACCHIE, Edizione Lo Faro.
C
P
armine Muliere, un interessante pittore molisano, sta riscuotendo notevole successo di
pubblico e di critica a Lanciano, presso la galleria
Lo Scalino in via Bocache (traversa di Corso
Trento e Trieste, vicino alla nostra redazione), ove
sono esposti una ventina dei suoi lavori piú significativi, prodotti dal 1971 a tutt’oggi.
er la Collana Premio presentato da Mario Verri,
copertina dell’autore che, tra le pagine poetiche, include pure suoi disegni di un certo pregio e
sincronia con l’afflato poetico, questo grazioso
libretto invero originale per la sua sintesi di raccoglimento e tutt’altro che trascurabile per le evocazioni tutte interiori contenute.
7
auspicato e tanto tenacemente perseguito.
C’è qui l’uomo e l’artista: aspirazioni e delusioni,
solitudini e desideri e tanta umanità che domanda,
che chiede, che dice: ho “bisogno d’amicizia: cercata-data-perduta e ritrovata: ripersa: (risultato)
SOLITUDINE.
Una equazione matematica senza risolvenza perché c’è sempre quella x...che non darà forse il (suo)
risultato: un dilemma shakespeariano: riuscirà la
colomba (la pace) ad essere libera? (da una scultura dell’autore).
Ecco l’assillo del cuore, dell’anima di questo poliedrico artista.
Poesia densa, riassuntiva di un pathos personale,
d’uno stato d’animo speciale e originale e che stanno di bronzo in quello sguardo profondo dell’uomo (già bimbo e già vecchio - che si lascia possedere dal silenzio dell’aria...).
Un uomo che con un pugno potrebbe spezzare la
scorza dell’albero per provare la sua forza interiore
e che fa fatica ad evadere, in una delusione patita e
sopportata - racchiusa in un involucro particolare:
un uomo che si specchia nell’antico spirito del
padre di suo padre...per sopravvivere, per rimaner
fermo come quercia, forte davanti alla statua eterna del tempo inesorabile dell’Umanità.
Carmine Muliere, un nome con un marchio indelebile di autentico artista e poeta: a lui i nostri complimenti.
Franco Fano
Catalogo Mostra personale Teatro Civico, agosto 1978,
Norcia (PG)
IL MEGLIO DI MULIERE IN MOSTRA A
LANCIANO
C
armine Muliere, il noto pittore molisano che
vive a Roma, è tornato a Lanciano per la
seconda volta, alla galleria Lo Scalino, in via
Omobono Bocache.
Questa volta l’artista ha mostrato il meglio della
sua piú recente pittura ed anche alcune sculture,
che sono certamente originali e significative.
Un discorso sulla sua arte l’abbiamo già fatto l’anno scorso, ma forse è il caso di ribadire alcuni concetti fondamentali, per meglio inquadrare la sua
personalità.
Lungi da ogni esigenza di perfezione accademica,
Carmine Muliere esprime in tutta libertà un suo
affascinante mondo onirico, che è sostanziato piuttosto di un’insanabile angoscia esistenziale che
delle fantasie innocenti e fanciullesche.
Il senso della morte, certi sdoppiamenti della personalità, i fantasmi e le paure ricorrenti della nostra
breve e triste vita di uomini sono rappresentati, di
solito, a colori delicati e tenui e con un disegno
lieve.
Anche nelle sculture - che sono realizzate nella
pietra viva delle nostre montagne - il nostro artista
diventa sottile e ricercato, per il complesso simbolismo, ed estremamente equilibrato, per il movimento delle masse e dei volumi e per il gioco delle
luci.
Nino Scalisi
1976, Pordenone
CARMINE MULIERE
S
cultura, grafica, pittura sono tre proposizioni di
uno stesso discorso culturale per Carmine
Muliere. Un discorso che, proprio come Maritain
chiedeva all’artista, marcia nella rotaia della filosofia con una ruota e con l’altra ruota nella rotaia del
sentimento, in perfetto parallelo. Un discorso,
però, i cui accenti sono rigorosamente umani,
umanamente risonanti con il battito cardiaco della
società presente.
È perciò un discorso concreto, che fa da testimonianza della quotidianità del nostro tempo e, insieme, proposta per una prospettiva diversa, libera da
questa alienazione d’oggi.
Musil, forse, forse Mirò, forse altri maestri ancora
hanno vagamente influenzato il composito dettato
di questo giovane artista, che tuttavia ha filtrato
ogni esperienza al setaccio della propria acuta sensibilità giungendo sulla tela e sulla carta e nella
materia a risultati sempre originali nella dimensione estetica. Dove plasticità e segno e colore assumono valori singolarmente descrittivi esclusivamente ai fini della rappresentazione visibile del
messaggio che dicevo, e che Maritain appunto
(ma, dal suo versante, anche T. S. Eliot) troverebbe valido alla costruzione di quel tempo migliore
Domenico Policella
IL TEMPO d’ABRUZZO, 20 settembre 1978,
Lanciano (CH)
CARTELLA METASOLE, 3 litografie di Muliere per
il romanzo Metasole (Rizzoli) di Francesco Volpini. Una
pubblicazione della Galleria Toninelli di Milano in collaborazione con la Tipografia Iuliano di Roma e realizzate
da Luigi Rianda per la Casa Editrice System Graphic di
Roma. Presentazione di Elio Filippo Accrocca e Adolfo
Chiesa
T
re numeri, tre frasi, la prima a pagina 54: l’intelligenza non nasce dal nulla. La seconda a
pagina 57: incapsulati nella gabbia, solo una forza
esterna fresca ingenua vitale può salvarci. La terza
a pagina 58: ci sono i confini dell’Universo?
Osservate il rapporto tra intelligenza e nulla, tra
gabbia e forza, tra confini e universo: tre binomi
che a mio avviso stanno alla base sia del romanzo
che delle lito, in apparente interdipendenza di
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significati, restando invece pienamente autonomo
il risultato della duplice ricerca. Il libro, ad una
analisi innestografica, coinvolge e sconvolge per la
piena di interrogativi che Francesco Volpini si
pone alternando narrazione e analisi, spazio e
tempo, presente e passato/futuro, l’uomo e l’infinito, realtà e fantasia, società e cosmo, la parte e il
tutto. Non so con quale procedimento logico-visivo Carmine Muliere abbia ricavato le tre litografie
da Metasole, né m’interessa sapere la consistenza
dei tre punti di contatto tra la pagina e il segno. A
tale livello di lettura l’uomo-ragazzo sembra procedere realmente col radar tra le dita, e nella
mente, per conoscere il congegno di un giocattolo
che ha appena migliaia di anni, nel tentativo di dare
volto all’ombra in cui siamo ancora avvolti. Che
altro possono fare lo scienziato, il biologo, il poeta,
l’artista? Decifrare le regole dei numeri: algebra
scolpita nelle viscere di epoche sopite al nostro
sguardo, o che cerchiamo di comprendere attraverso il segno di un gesto, la macchia d’una linea,
le voci graffiate dell’inconscio, ecc.
Un itinerario appassionante che ha avuto inizio da
tanto, da sempre, com’è facile dimostrare...
Interrogarsi da dove veniamo, cosa siamo e dove
andiamo affascinò Gauguin. L’uomo ha sempre
voluto abbattere le porte nei corridoi kafkiani,
vedere al di là del muro per sciogliere un enigma.
Capire è una salita, una disperazione. Ma forse già
lo sguardo è un velo di simboli, parole, suoni,
segni. Interrogare i segmenti del reale e la nostra
relativa capacità che ci lacera. Non siamo che
frammenti del cosmo, virgole d’universo, furtive
scintille del caso. L’altrove, cioè la soglia della proporzione umana, è al di là delle nostre presunzioni e discordanze. La scienza indaga come la ragione. Ma la parola/segno non è la scintilla che accende il fuoco?
te grande corrisponde l’analogo dell’infinitamente
piccolo, vuol dire che stelle e fiori si disseminano
e si intrecciano con la stessa misteriosa casualità,
non piú che aggregati, tanto quanto in noi si stratificano immagini, pensieri, ricordi, ognuno con i
loro colori, fittamente intrecciati. E non è diverso
il linguaggio.
Viene poi, se si vuole, il momento del risveglio.
Ma a volte il risveglio si perpetua nell’incubo stesso, non se ne esce, lo sposta illusoriamente dal
cielo nella profondità della terra, dalla vita (se era
vita) alla morte, che poi può essere spettrale
sopravvivenza di immagini, semi o barlumi ficcati
dentro a maturare o a dissolversi. Metasole cristallizzava quei mobili aggregati stellari o floreali (e
umani) in una storia. E in tre tappe le litografie di
Carmine Muliere segnalano alla memoria i punti
fermi di quel percorso.
Elio Filippo Accrocca
Luigi Tallarico
Secolo d’Italia, venerdí 5 maggio 1978, Roma
Adolfo Chiesa
MOSTRE A ROMA, Muliere
C
on la presentazione della cartella Metasole di
tre litografie (Toninelli), eseguite da Carmine
Muliere per il romanzo appunto, Metasole di
Francesco Volpini, (Rizzoli), si è celebrato il
gemellaggio tra la letteratura e la grafica, confermando la indissolubile unione che data, come si sa,
da lunga pezza. Come hanno felicemente confermato i presentatori, tra cui Elio Filippo Accrocca e
Adolfo Chiesa, non si è trattato di una pedissequa
illustrazione, quasi una trasposizione di situazioni
dal romanzo nel segno grafico, bensí di una traslitterazione di significati e di linguaggi, legati alla
memoria, nel rispetto di un’autonomia espressiva
ed estetica.
C
armine Muliere sembra aver distillato a suo
modo, nelle tre litografie che qui si presentano, l’aroma del romanzo Metasole di Francesco
Volpini. Voglio dire: non c’è illustrazione, e c’è
invece memoria. Come se di un intero e vasto paesaggio, da assaporare passo per passo in tutta la sua
complicata complessità, Carmine Muliere privilegiasse soltanto tre luoghi di sosta, che però nel
ricordo assumono da soli pieno valore riassuntivo.
Nel romanzo il protagonista vorrebbe situarsi in
rapporti umani astratti e inoffensivi, come quelli
che legano tra di loro le stelle raggruppate in
costellazioni. È un astronomo: naturale che veda se
stesso, mentre vive la contraddittoria rete dei suoi
amori, come dentro una vecchia mappa stellare,
drammaticamente, direi teatralmente, animata di
figure che si spartiscono, incuneate una nell’altra,
tutto il cavo dello spazio. E poiché all’infinitamen-
MULIERE, CARTELLA METASOLE
A
ncora un incontro culturale di grande rilievo
alla Libreria Croce di Roma per la presentazione delle litografie di Carmine Muliere ispirate al
romanzo di Francesco Volpini Metasole, Ed.
Rizzoli. Presentatori di eccezione per l’artista: Elio
Filippo Accrocca e Adolfo Chiesa.
In questa sede ci interessa parlare delle opere dell’artista tralasciando ai critici letterari il giudizio sul
romanzo. Basterebbero queste originalissime litografie per confermare il valore del poliedrico artista che ha già dimostrato, in mostre di grande successo, il suo talento come pittore, scultore, incisore.
Nella litografia Danza di fiori l’artista ha reso in
maniera sorprendente il mistero delle stelle; non
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punti stilizzati nel grande vuoto del cielo, ma stelle trasformate in fiori nati da un’arida terra. Due
elementi: il mistero impalpabile ma luminoso
delle stelle che illuminano la materia rappresentata dagli steli contorti tesi quasi a voler rubare una
stella come fiore.
Nella litografia La vita continua Muliere ha proseguito il suo discorso artistico che lo ha portato a
rappresentare il dolore umano confortato da una
speranza di resurrezione.
Dalla terra che custodisce il corpo di un bimbo si
diparte da un grande tronco secco un lungo stelo
con un grande fiore all’estremità. Domina la scena
una figura di donna in dissolvenza che raccoglie
nel suo grembo il bimbo che è nato a nuova vita.
Dolore e speranza che danno agli uomini la voglia
di continuare, malgrado tutto, a vivere su questa
terra inseguendo la luce. Linee, colori, contorni
rendono le opere di Muliere una manifesta scelta
di operare lontano dagli schemi precostituiti e di
facile godimento.
I riconoscimenti per questo suo impegno non
mancano: il gruppo Poeti di Piazza Navona, che
riunisce i maggiori poeti viventi a Roma, hanno
affidato proprio a Muliere l’interpretazione grafica
delle loro opere poetiche. Entro la fine dell’anno
uscirà una strenna che ha solo un neo: sarà riservata a pochissimi e se ne sono lamentati collezionisti
ed amici che soltanto di sfuggita potranno godere
del nuovo impegno artistico di Carmine Muliere.
Fernando Sarandrea
1978, Roma
NATURA E RADICI, raccolta di versi, di pensieri e
documenti del lavoro artistico. Presentazione di Elio
Filippo Accrocca, pubblicato nel 1978, Alberto Iuliano
Editore, Roma
I
l poeta non nasce all’improvviso né si esprime
soltanto con le parole. La poesia è una condizione, fa parte del carattere: è dimensione del vivere,
un accostarsi alla realtà, viverla e misurarla con il
metro dell’esperienza e della cultura, concentrando il visibile e l’invisibile nella lente di un obiettivo personale, o affidandoli al grandangolare del
continuo esercizio, o captandoli con il laser dell’analisi, ecc., utilizzando materiali comunicativi di
vario genere, verbali e segnici, innestografici, che
includano linee, forme, volumi, variazioni tipografiche e visualizzazioni, concettualità, il continuum
che assorbe e dilaga dal conoscibile all’inconoscibile, dal consenso al dissenso, dal particolare
all’universale, dal segmento al cosmo... Questi
sono i mezzi espressivi, linguistici e strutturali, di
Carmine Muliere che usa parole e colori, penna e
pietra, alfabeto e oli, sintassi e legni, verbi e incisioni, per dare di sé una globale dimensione d’artista,
ormai acquisita a vari livelli con prove e risultati
che trovano notevoli consensi critici.
Da alcuni anni il giovane Muliere (di origine molisana), esercita professionalmente la propria attività
qui a Roma e in altre città italiane dove tiene
mostre di pittura, scultura, grafica, e ha pure pubblicato già qualche raccolta di poesie e considerazioni, rivelando serietà d’interessi e capacità di stile
su cui poggia una nutrita esperienza di ricerca culturale, fatta di letture e naturalmente di incontri:
una ricerca che oggi approda a un nuovo volume
che raccoglie versi e pensieri, oltre che documenti
del suo lavoro artistico.
Il suo è un linguaggio d’ascolto su cose vive, concrete. Osservazioni del tempo (non solo ancorato
al quotidiano), racconto di attimi che incidono,
assenza/presenza, condizione sociale, contestazione, oppressione, macchine, cortili, officine, nervosismi, dubbi, protesta, molotov, incendi, arresti,
delusione, consapevolezza: questi i temi della sua
poesia, intesa come parola, quadro, scultura, incisione, vetrata.
...Noi siamo il prodotto dei nostri pensieri.
Pensare / vedere / volere / conoscere / sapere / è
divenire...
Non mancano quindi alla sua osservazione i risultati di una pensosa conoscenza, frutto di quel saper
cogliere i sintomi dell’inquietudine che è tipica
della sua generazione.
Conoscendo il suo lavoro di questi anni e apprezzandone pubblicamente gli esiti in piú dimensioni,
posso dire che Carmine Muliere s’è avviato su
strade di sicura riuscita, sia come poeta che come
artista, perché non tradisce né le sue radici né la
sua natura umana.
È fedele alla continua ricerca esistenziale, intesa
come metamorfosi, con i modi di una civile creatività, in cui per fortuna rimangono i segni del
dubbio, cioè quella voglia di capire e di capirsi che
è il perenne ciclo dell’uomo.
E lo confermano queste pagine e queste opere, le
quali nascono da esigenze interiori, quasi da uno
stato di apprensione che si libera da ogni residuo
liricizzante per tramutarsi in graduale testimonianza di sé e per gli altri, in liberazione della materia
per divenire simbolo, pensiero, non elusiva evasione ma ulteriore forma inventiva, rivelatrice di profondi contenuti surreali che hanno l’eco di luce
remota ai limiti del mistero.
Qui è la sua forza introspettiva, la sua razionale
religiosità che si fa pietà umana e incisione contro
l’ipocrisia, l’emarginazione, l’inquinamento della
coscienza.
Elio Filippo Accrocca
1978, Roma
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CARMINE MULIERE: NATURA E RADICI
A
vevo creduto, sfogliando in sulle prime questo
libro, di avere di fronte una delle tante raccolte di versi, rese, nell’intenzione dei loro autori, piú
suggestive e cattivanti dalla riproduzione di opere
d’arte figurativa; peggio ancora, di essermi imbattuto in una poesia volta ad illustrare quelle opere,
quasi come una loro raffinata didascalia o una loro
trascrizione in altro linguaggio.
È vero che in alcuni casi la poesia ha felicemente
colto l’essenza di altre forme espressive, quasi
potenziandole nel suo filtro (dai versi danteschi
sulle miniature di Oderisi al Cantique des couleures di Paul Valéry affiorano alla memoria suggestivi esempi della possibilità di fissare nella parola
poetica il senso piú profondo e vero di altri linguaggi artistici), e d’altro canto piú volte nel corso
della storia - in maniera teorizzata e diffusa nell’età
neoclassica - la poesia si è proposta come stimolo e
modello alle creazioni figurative: Sdegno il verso
che suona e che non crea; / Perché Febo mi disse:
Io Fidia primo / Ed Apelle guidai con la mia lira.
Ma, per alcune eccezioni, quanti tentativi naufragati di poesie miranti a rendere l’essenza di una
musica, di un quadro, di una statua. E poi ogni arte
ha una sua totalità, raggiunta con particolari mezzi
espressivi; né può quindi integrarsi con l’aiuto di
altri linguaggi, che oltre tutto ne turberebbero la
casta assolutezza, né può conservare il suo significato e il suo valore affidandosi ad un altro sistema
semantico, il che avviene perfino nelle traduzioni
da una lingua all’altra o nelle copie di opere figurative, ove nessuno sforzo potrà mai creare l’equivalente perfetto dell’originale.
Ma mentre almanaccavo questi pensieri venivo
anche accorgendomi che qui siamo di fronte a un
fenomeno diverso: quello di un poeta che si realizza parimenti in linguaggi artistici diversi e l’uno
può illuminare l’altro, ma senza mai scadere ad
essere in funzione dell’altro, autonomo e persuasivo e felice ciascuno per un impegno che si avverte
serio e per una dote nativa di temperamento.
Attratto da un sotterraneo richiamo, il poeta ferma
il suo sguardo sulla figura della maternità, una del
suo gruppo scultoreo L’albero della vita, e non per
compiacimento, ma quasi per penetrare quel
grumo d’emozioni e pensieri da cui l’opera è nata
e che enigmaticamente serba nel suo volto. Questo
indugio su un particolare, che acquista rilievo
imprevisto ai suoi occhi e sommuove il fondo
oscuro della sua anima, gli appare strano, perché,
confessa quasi incidentalmente, “di solito mi piace
nulla di quello che faccio dopo averlo fatto”. Non
siamo di fronte a un piú o meno consapevole senso
tra romantico e decadente della inadeguatezza di
ogni espressione rispetto alla volontà di comunicare quanto oscuramente si agita in noi, né al riconoscimento di una sconfitta, magari ostentata come
segno di privilegio. Vi è qualcosa di piú sincero e
persuasivo in queste parole: la consapevolezza che
l’arte è un impegno serio e quotidiano, che all’artista si richiede quella totale dedizione all’opera che
ha per le mani, senza vagheggiamenti volti al passato e al futuro, che il momento dell’indugio compiaciuto può spegnere la ricerca inquieta per la piú
facile maniera.
Artista di temperamento il Muliere, ma anche sorvegliato e consapevole della necessità di una disciplina come elemento connaturato e non estrinseco
alla struttura profonda della poesia.
Di qui un notevole senso di riserbo e di misura, la
capacità di sfuggire le soluzioni facili, l’essere al di
fuori delle poetiche cristallizzate in mode, il non
contaminare esperienze e linguaggi diversi, quasi
intuendo il pericolo di un descrittivismo figurativo
o di un pittoricismo o plasticismo verbale.
L’impressione di questa contaminazione potrebbe
nascere dal considerare il libro nella sua materialità tipografica: siamo convinti che una castità anche
esterna si addirebbe meglio alla natura vera di questo poeta cosí autentico, cosí già realizzato, ma
anche cosí ricco di possibilità e di imprevedibili
sviluppi.
Mario Scotti
1978, Roma
CARMINE MULIERE: NATURA E RADICI
N
on ancora trentenne, molisano, Carmine
Muliere ha dovuto lottare duramente per la
vita e la realizzazione del suo sogno. Ha lavorato di
giorno (un lavoro qualsiasi, all’americana) studiato
di sera, di notte: oggi si è affermato come pittore e
scultore con un notevole curriculum (esposizioni,
pubblicazioni, testimonianze critiche).
Muliere è anche poeta, come dimostra il recente, e
crediamo terzo, volume di versi, Natura e radici,
illustrato con riproduzioni di sue sculture e pitture, e presentato con convinzione critica da Elio
Filippo Accrocca. La poesia per lui non è semplicemente un hobby o un’attività secondaria nei confronti della professione (dell’arte), ma semmai un
complemento, un mezzo in piú offerto all’esigenza di esprimersi, di comunicare. Si hanno in argomento precedenti illustri: basti citare De Pisis,
Bartolini, Messina.
Non si cerchino qui riferimenti a scuole o movimenti, né adesione o meno a regole formali.
Avverte Accrocca: Egli utilizza materiali comunicativi di vario genere, verbali e segnici, innestografici, che includano linee, forme, volumi, variazioni
tipografiche e visualizzazioni, concettualità, il continuum che assorbe e dilaga dal conoscibile all’inconoscibile, dal consenso al dissenso, dal particolare all’universale, dal segmento al cosmo...Il tema
preferito da Muliere e che si configura quasi come
un leit-motiv, è quello del pensiero, della comuni-
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cazione (e del silenzio, naturalmente). Il pensiero
ha tanta potenza da avverare le nostre speranze,
addirittura da modellarci (noi siamo il prodotto dei
nostri pensieri).
A qual fine un pensiero di una potenza impensata?
Per la libertà di tutti, per ogni essere e aspetto del
mondo. Riuscirà la colomba ad essere libera? chiede a sé e agli altri l’artista riferendosi ad una sua
scultura che ne simboleggia la prigionìa. E risponde suggerendo agli invisibili interlocutori: pensala
libera...volerà! C’è fede nel lato migliore dell’uomo in questa utopica certezza, c’è un senso di religiosità nel contare sulle risorse umane mai ancora
esercitate. Vorremmo davvero che molti fossero
animati da cosí nobili desideri e propositi e che essi
avessero la forza - data per certa dal poeta - di vincere tendenze opposte, finora tanto prevalenti da
toglierci ogni speranza.
Ugo Reale
Nuovo Mezzogiorno, novembre-dicembre 1978,
Roma
NATURA E RADICI fu presentato nel corso della
serata inaugurale della mostra personale tenuta alla
Galleria e Biblioteca Comunale PORFIRI patrocinata
dal Comune di Nettuno (Roma) nell’ottobre del 1978.
Insieme a Elio Filippo Accrocca intervenne il prof. Mario
Petrucciani il cui intervento, ampliato successivamente,
divenne la premessa del volume DALL’ESPERIENZA
del 1982
Questo l’intervento di Accrocca:
C
armine Muliere rappresenta una delle voci piú
autentiche, piú genuine, piú serie della cultura di oggi. La sua origine molisana non lo ha fatto
chiudere in una sorta di elegia del paese, della provincia, gli è servita, invece, ad ampliare il suo orizzonte, la sua carica culturale, la sua ricerca a vari
livelli e ci ha portato un nome, un artista ed un
poeta che rappresenta bene la sua generazione.
Noi, questa sera, abbiamo di fronte delle opere:
disegni, dipinti, sculture e c’è anche un volume di
poesie, del quale, il prof. Mario Petrucciani parlerà
piú ampiamente.
Questo libro di poesie è un dato importante della
ricerca globale di Carmine Muliere: si presenta
anche come poeta. Questa qualità di poeta non è
un capriccio: ce l’ha interiormente anche quando
si manifesta con la pittura, con la grafica, con la
scultura.
È essenzialmente un poeta dei nostri anni e la sua
matrice poetica si rivela in tutta la sua manifestazione artistica. Questo, a mio avviso, è un dato da
sottolineare perché non è soltanto un autore di
opere ma un ricercatore di immagini e la parola è,
soprattutto, ricerca di immagini.
Carmine Muliere riesce ad innestare questi aspetti
della realtà esterna ed interiore, riesce ad innestare
questa sua ricerca a vari livelli: quindi anche come
poeta.
Come pittore, chi ne ha seguito la storia, sa qual’è
la strada che persegue. È una ricerca della realtà
anche interiore: non è solo quello che si vede. Il
suo apparente realismo viene bruciato proprio da
quella componente poetica per cui la realtà di
Carmine Muliere diventa un’altra cosa. Ed è quella sensibilità del poeta che trasforma il volto, l’immagine, l’albero, la pietra, la natura. Tutto ciò
viene trasformato proprio da questa sensibilità dell’artista che è anche poeta. Di Muliere si sono interessati critici famosi. È un artista che opera ad
ampio raggio: si occupa di edizioni, qui abbiamo
un esempio ancora fresco, uscirà il volume
dell’INQUIETUDINE con dieci litografie di
Muliere e poesie di alcuni scrittori contemporanei.
E questo è un tema.
Che cosa va sottolineato di questo giovane e non
piú promettente ma effettivo artista di oggi?: la sua
capacità di stile che è riconoscibile: un’opera come
questa scultura (Casa e figure), ne parlavamo poco
fa, che rappresenta una casa, le pareti: le pareti che
vivono, che si illuminano e si adombrano di
immagini, è rara. Per chi ha gli occhi puntati sulla
storia dell’arte sa che è difficile trovare un’opera
come questa.
La sua capacità di stile è unita alla capacità di raccogliere dentro di sé, prima che diventi opera, questi aspetti del vivere, dell’inquietudine, della famiglia, del paesaggio e li trasforma in opera d’arte.
C’è anche da sottolineare questo senso di comunicabilità: oggi, chi legge certi testi letterari, chi
osserva certe opere d’arte, rimane spesso un po’
perplesso: manca la comunicabilità tra l’artista e
l’osservante.
In Carmine Muliere questa comunicabilità è
immediata, anche se, ripeto, non ha solo quell’aspetto realistico che all’apparenza può rendersi
evidente.
Questa comunicabilità è data poi dalla forma che
egli cura con sapienza, dal colore che sa adoperare
con intelligenza e dalla immagine che sa cogliere
nella sua essenzialità.
Ho detto prima di globalità di interessi o innestografia delle arti: in Carmine Muliere io ho trovato
questa globalità a vari interessi: fa parte della sua
ricerca anche la sua esperienza: egli osserva la realtà, ed è una realtà visibile ed invisibile, c’è il tempo
e lo spazio nella sua opera, queste componenti si
ripetono, affiorano sempre, in tutti gli strati della
sua opera: visibile/ invisibile / tempo / spazio.
Quindi alla fine vedete che non c’è solo arte nella
sua opera ma c’è anche un fondamento di ricerca
filosofica: questa ricerca dei grandi temi dell’uomo
di oggi.
In piú vorrei anche sottolineare questo senso del
quotidiano: riesce a trasferire nell’area del quotidiano quegli aspetti del tempo e dello spazio che
12
sembrano cosí distanti da noi, dall’uomo, invece
lui riesce a raggruppare questo significato in una
materia quasi quotidiana: un volto, un pensiero,
una posizione, un albero, una barca, un gruppo di
famiglia, un incendio o il caos, ecc.: leggete i titoli
delle sue opere. Tutto questo è frutto di pensiero e
di idee. È un artista che crede nella possibilità,
nella importanza, nella influenza che hanno il pensiero e le idee su tutti noi.
E il risultato è il senso di creatività, quasi che, ogni
cosa che Carmine Muliere tocca, diventa viva, ogni
cosa anche apparentemente statica gli diventa
immediatamente, attraverso quel pensiero e quella
ricerca di idee, una realtà vivente. Quindi questo
senso della creatività quasi come metamorfosi
penetra nell’animo, nei problemi dell’arte contemporanea: niente staticità di forme: tutto è in movimento nell’opera di Muliere anche se, ed è giusto,
perché i migliori artisti, i migliori scrittori, del ‘900
in particolare, sentono questa grave problematica
al fondo della propria ricerca: il dubbio che rimane nell’opera di un artista, credo che sia sempre
insoddisfatto, ed è bene che sia cosí, non del risultato ma della ricerca: va oltre, ha bisogno di altro e
questo dubbio e questa voglia di capirsi e di far
capire agli altri è alla base della sua opera.
Quasi che la materia, può essere olio, pietra, legno
o parola, diventa simbolo, diventa quasi un’eco di
luce: e quanta luce c’è nella poesia di Carmine
Muliere!
Diventa, questa materia, anche fonte di mistero:
una qualità che sta al fondo della sua ricerca. Egli
non è solo quello che si vede: c’è un Carmine
Muliere che rimane nascosto, quasi questa introspezione umana lo fa ragionare piú che parlare.
Non grida: parla. Non l’ho mai sentito alzare la
voce. Non promette nemmeno: non si sa quello
che lui vuole fare, però opera ed ecco le conclusioni: non vince, convince. La tua opera, Carmine,
convince ma, il fatto che tu non vinca lo cancello,
perché quando un artista riesce a convincere vuol
dire che ha già vinto.
Questo volevo dirti. Volevo dirtelo qui, davanti ad
amici ed in questa città che per molte ragioni mi è
cara: dico a te queste cose perché Nettuno, per me,
non è soltanto una galleria, non è soltanto una
piazza, un posto di mare: è qualcosa di piú profondo, di quel mistero che sta dentro e che non posso
e non voglio rivelare ad altri ma a te sí.
Elio Filippo Accrocca
1978, Nettuno (RM)
CARMINE MULIERE: DALL’ESPERIENZA
EA Edizioni d’Arte - Roma
Premessa di Mario Petrucciani
V
orrei soffermarmi brevemente sugli aspetti
specificamente letterari del lavoro di Muliere.
Purtroppo succede che ogni volta che si parla di
letteratura è molto difficile resistere alla tentazione
di sentenziare, come fanno quasi tutti, che la letteratura è in crisi. Questo termine crisi è diventato
cosí diffuso e consunto, che c’è una crisi energetica, c’è una crisi della scuola, c’è una crisi monetaria, c’è una crisi delle istituzioni e forse corre l’obbligo di essere un pochino piú precisi.
Le ragioni della crisi della letteratura, e non soltanto della letteratura, sono molte; sono ragioni storiche, ideologiche, sociologiche, ma soprattutto,
forse, linguistiche. Una delle ragioni piú profonde
di questa crisi è che il discorso sulla letteratura, in
particolare sulla poesia, è diventato, da un po’ di
tempo a questa parte, un discorso sui modelli.
Cioè la storia della poesia è diventata di fatto,
soprattutto attraverso le pagine di troppi critici
(anche nostri amici), la storia delle poetiche: cioè
la poesia ha risposto a questa crisi, proponendo
una serie di modelli o di poetiche, cioè di tendenze, cioè di mode. Del resto mode e modelli hanno
la stessa radice. Questi modelli, tipologicamente, si
possono raggruppare sotto tre etichette che hanno
piú o meno tenuto il campo negli ultimi decenni
in Italia. La prima etichetta è rappresentata da quel
linguaggio oscuro, cifrato, che è stato ripreso poi
dal simbolismo francese soprattutto da Mallarmée
e da Valéry e cioè il linguaggio e la poetica dell’ermetismo, che si esprime in un gusto raffinato, aristocratico, di atmosfere rarefatte e sottili, di parole
difficili o addirittura oscure.
La seconda etichetta o la seconda poetica, che è
nata proprio in aspro conflitto con la prima, è stato
il Realismo o Neorealismo degli anni dell’immediato dopoguerra, cioè una letteratura, una poesia
che erano radicate proprio alle vicende della guerra e della resistenza, alla problematica di quegli
anni difficili, letteratura intesa come ideologia,
intervento anche politico, ma tutti ricordate che
poi questa letteratura ben presto si è degradata a
strumento di propaganda ideologica e partitica, si è
degradata ad un repertorio di frasi fatte e di direttive conformiste.
La terza risposta alla crisi, è la poetica dello sperimentalismo, dell’avanguardia e di quella esplosione anche commerciale che c’è stata in Italia negli
anni 60/70 della Neoavanguardia che ha rappresentato una frenetica e, a volte, nevrotica corsa al
nuovo, al nuovo inteso come linguaggio dirompente, di sorpresa, di shock. Ora, forse, questa
terza poetica ha avuto qualche merito, per esempio, di svecchiamento del linguaggio poetico tradizionale ma, sta di fatto, che questo slancio di novità, di modernità, spesso si è risolto in un gioco
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pirotecnico qualche volta anche divertente ma fine
a se stesso. Un gioco di ghirigori, di arabeschi, di
fuochi artificiali che in sostanza è parso spesso un
gioco anche di elusione, di evasione dei problemi
di fondo della realtà. Ora il critico si trova spesso,
quando la mattina la posta gli porta sulla scrivania
un libro di poesia o di letteratura, costretto, direi,
condannato, a classificare i libri che riceve secondo
queste tre etichette: Ermetismo, Realismo, Avanguardia.
Perché?, perché spesso, in questi libri, non trova
un potenziale di invenzione, di personalità, una
autonomia espressiva, trova, molto frequentemente, un ricalco di modelli già noti.
La prima constatazione che mi ha sorpreso in
Muliere, direi favorevolmente, è che queste poesie, per loro fortuna, non appaiono classificabili in
nessuna di queste etichette: cioè non assomigliano
ad altre che abbiamo già letto. Del resto Accrocca
ha detto questo anche dei quadri di Muliere, cioè
non è facile trovare a queste pagine letterarie di
Muliere antecedenti o modelli. Certo anche
Muliere, come i maestri dell’Ermetismo francese,
va in cerca di ragioni profonde sul destino dell’uomo contemporaneo, va in cerca di significati
nascosti. Muliere può parlare dell’invisibile, di
questi sentieri di fumo, di polvere impalpabile, ma
tutto questo egli lo fa senza le astruserie, le astrazioni, i cerebralismi di marca ermetica e nello stesso modo, direi che Muliere non cade negli equivoci del Realismo e del Neorealismo.
Accrocca ha detto che la poesia di Muliere certo
nasce dal reale ma senza, appunto, nulla concedere a quella retorica del Realismo, anche se, nelle
sue pagine come ha detto Accrocca per la pittura, si
sente questa forte presa sul reale, sulla cronaca
quotidiana, sul discorso parlato di tutti i giorni.
Anche Muliere certamente è attento alle ricerche,
alla ricerca linguistica e strutturale come i poeti
dell’avanguardia, cioè anche Muliere ha sperimentato questa mistione e interconnessione di vari linguaggi comunicativi e questo, mi sembra, sia detto
molto bene da Accrocca nella premessa di Natura
e radici (1978): ...Carmine Muliere utilizza materiali comunicativi di vario genere, verbali e segnici,
innestografici che includano linee, forme, volumi,
variazioni tipografiche e visualizzazioni, concettualità..., insomma tutto il continuum delle forme
comunicative e Accrocca continua dicendo: ...questi sono i mezzi espressivi, linguistici e strutturali
di Muliere, che usa parola e colori, penna e pietra,
alfabeto e olii, sintassi e legni, verbi e incisioni, per
dare di sé una globale dimensione d’artista ormai
acquisita a vari livelli con prove e risultati che trovano notevoli consensi critici... Muliere ha capito
appunto che la comunicazione è globale, è dell’uomo intero. Già il titolo di questo nuovo libro,
DALL’ESPERIENZA, è il segnale netto di una
opzione prioritaria, che ci illumina sulle intenzioni profonde dell’autore. Poeta del reale, si è detto
poco fa, ma del reale assiduamente indagato in una
impetuosa e a volte dolorosa meditazione, che
spesso è ricondotta al proprio io, addirittura in una
sorta di autoanalisi. Non c’è dubbio, d’altra parte,
che questa inclinazione riflessiva della poesia di
Muliere abbia una carica decisamente morale (non
moralistica): in tale ottica egli può quindi scorgere
l’antica trappola dei sentimenti, può scrutare anche
i minimi dettagli con piú acuminata accortezza:
Renditi conto / della differenza.
Ora, per tornare alla comunicazione globale di cui
stavamo parlando, direi che in questa comunicazione il poeta porta una coscienza molto sveglia del
linguaggio inteso come innovazione, inteso come
scatto innovativo ma senza cadere nella trappola
della Neoavanguardia che è la cieca superstizione
del nuovo a tutti i costi. Quindi dell’opera di
Muliere, possiamo dire che si tratta di un lavoro di
consapevole ricerca ma libero e che è attento alle
lacerazioni, alle domande, all’inquietudine, come
dicono quelle opere della cultura contemporanea
(L’INQUIETUDINE), ma tutto questo con una
grande autonomia di pensiero e di segno. Dicevo
che Muliere è attento alle domande, sulla linea piú
vitale della cultura contemporanea: una riprova si
ha nelle frasi sospese, nella frequenza degli interrogativi. Però in questo libro egli tenta anche delle
risposte, prospetta ipotesi che tuttavia trattengono
sempre un forte nucleo problematico: insomma la
risposta - apparente - può essere niente altro che
una ulteriore forma di interrogazione. In piú c’è
un tratto, c’è un carattere nell’arte di Muliere, nell’arte del colore come nelle sculture, come nell’arte della parola, c’è un carattere per me molto singolare: spesso al pittore o allo scultore che è dotato del tratto deciso e vigoroso in pittura, per esempio, sulla luce o sui cromatismi, manca magari poi
il senso della sfumatura piú tenera, della carezza
piú leggera, dell’ombra segreta o, viceversa, al pittore che ha il segno piú delicato e sottile, manca il
coraggio dell’impegno e nella sua tela spesso si
annida il rischio del languido, del patetico, del
decadente. Questo in lui non accade.
A me sembra che Muliere, senza nulle cedere a
queste dilettazioni narcisistiche, abbia raggiunto
un equilibrio esemplare e del resto nel suo libretto
di PENSIERI E CONSIDERAZIONI del ‘73, c’è
una pagina dedicata proprio all’Equilibrio della
vita: Esistenza. Quindi non invento nulla dicendo
che Muliere ha capito anche questo, cioè la funzione dell’equilibrio tra la forza, l’energia della ideazione e della rappresentazione e nello stesso tempo
però anche la tenerezza, la delicatezza delle risonanze piú segrete e anche questo, mi sembra in
Muliere, è un riconoscimento di grande vitalità
espressiva e di ricchezza umana, un riconoscimento di stile, come ha detto Accrocca, un riconoscimento di personalità.
Mario Petrucciani
Nettuno 1978 - Roma 1982
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DODICI POETI SI CIMENTANO SUL TEMA
DELL’INQUIETUDINE
È stato presentato domenica sera a Roma un volume che
merita, senza enfasi, la definizione di prezioso: raccoglie
in 999 esemplari numerati poesie di Accrocca, Angeli, la
Clementelli, la Guidacci, Fano, Lucchese, Luisi,
Marniti, Reale, Romani, Spartà e Tentori e dieci litografie di Carmine Muliere. Ed apre una nuova collana,
diretta da Elio Filippo Accrocca, dalla significativa titolazione Il polso del tempo.
IL VERSO NELL’ANGOSCIA DEL PRESENTE
E
ra fatale che la drammatica precarietà del
tempo che viviamo sospingesse la parola poetica verso una nuova e antica, al contempo, capacità
di intervento, non certo per mutare o modificare il
presente, che si aggancia a drammi storici e a lacerazioni civili tanto profonde da non consentire
all’altrove che una possibile definizione, ma sicuramente per fornire un documento solitario e
drammatico di denuncia che si estenda al passato e
al futuro, attraversando la nostra stagione dolorosa
come un filo ad alta tensione che lascia vibrare a
lungo ogni diversa corda della coscienza. Forse
l’idea della Casa Editrice System Graphic, di raccogliere dodici documenti poetici intorno al tema
dell’inquietudine, è nata da considerazioni analoghe, o forse da altre, ma è certo che le risposte in
versi che ne sono risultate battono tutte e interamente sull’indefinibile che ci angoscia, e quindi su
quegli interrogativi eterni e invincibili che dall’impatto leopardiano tra finito e infinito, o forse dal
Vanitas Vanitatum dell’Ecclesiaste, tormenta e
angoscia l’umano, nel duro conflitto fra il sentire e
il pensare e quindi fra ragione e sentimento.
Dunque, i poeti Siro Angeli, Elena Clementelli,
Franco Fano, Margherita Guidacci, Romeo
Lucchese, Luciano Luisi, Biagia Marniti, Ugo
Reale, Romano Romani, Santino Spartà e
Francesco Tentori, guidati da Elio Filippo
Accrocca, autore anche della presentazione oltre
che direttore della collana Il polso del tempo e
poeta in proprio che apre la serie, si sono cimentati sul tema dell’inquietudine, con il supporto visivo, molto efficace, delle litografie di Carmine
Muliere che ad ogni silloge ha fornito l’immagine
desolata e stravolta di una realtà a volte aggressiva,
a volte rigenerata, ma tanto spesso interpretata con
il segno dolente di un vagabondaggio drammatico
e solitario in un deserto penoso e dissolto, dal
quale soltanto l’estrema fiducia nel prezzo della
parola poetica, un prezzo impagabile appunto, può
salvare o guidare verso una parvenza di liberazione. Nella presentazione, Accrocca stabilisce criticamente i termini del problema, rifiutando il tema
dell’inquietudine come remoto attributo responsabile di ismi piú o meno persistenti nella nostra
storia letteraria, e concentrando invece i significati
e il senso stesso del tema prescelto nella dimensio-
ne dell’oggi, filtrato con tutti i suoi acuti segmenti
nelle carni stesse dell’umano, fino a ricavarne il
grido disperato ed inutile. Ecco: l’ultimo aggettivo
riporta immediatamente al ruolo e all’ufficio della
poesia, oggi, in un tempo segnato e gestito dall’indifferenza e dall’intolleranza, anche all’interno
stesso della creatività. La raggera che implica e
coinvolge le singole reazioni dei dodici poeti è inevitabilmente difforme sul piano delle considerazioni, e quindi dei contenuti, struttura trainante
delle forme poetiche, ma al di là della testimonianza individuale, il problema di fondo resta quello
del poeta di oggi, di mettersi sulle piste del reale
precario e di seguirlo rigido e rigoroso, non certo
per ridurlo all’impotenza o per gestirlo individualmente, quanto piuttosto per denunciarne la
credibilità e riconoscerne le pecche in vista di un
futuro che nessuno conosce, ma che tutti all’unisono definiscono piú drammatico dello stesso
nostro presente, se ciò fosse possibile: un verso - di
Accrocca - è cicatrice del tempo nello spazio di una
pagina. Ciò vuol dire che la facoltà di incidenza
della poesia nel diagramma del tempo e della storia va a misurarsi con l’impegno morale e civile che
il poeta stesso sa immettere nella vicenda di tutti,
pur conservando sacrosante e intatte le prerogative
della sua individualità e la capacità medesima di
misurarsi con il proprio destino. Solo a questa
condizione, la parola poetica che è momento libero e solitario di ricerca, si espande fino a coinvolgere in un solo tentativo di abbraccio l’umanità
intera, entro le spire di un afflato tanto piú sensibile quanto piú intensamente riesce a vestirsi dei
panni della vita e a scandire le pulsazioni lungo il
filo teso delle intermittenze, dei contrasti piú che
delle assonanze. Di qui, il risentimento, lo sdegno,
che è proprio della poesia e che nessun altro
momento della creatività riesce a tradurre in termini di tanto sottesa verità come l’incandescente
segnale che proviene da un verso, dalla collocazione di una parola all’interno di un grido stremato.
L’antologia è composta di versi, ma anche di considerazioni in prosa dei singoli poeti, che interpretano a loro modo di sentire, legittimamente, il tema
proposto, e sembra proprio che dall’incontro simbiotico fra parola poetica ed esigenza esplicativa,
emerga ancora piú concreta e consistente la dura
esigenza della poesia di stabilire un continuum tra
vita, pensiero, destino e riversamento lirico, che
non permetta dubbi sull’efficacia dell’operazione :
anche perché, come si diceva, le litografie di
Muliere son lí a determinare non certo un punto
fermo, ma al contrario l’apertura emblematica
della poesia stessa verso i remoti confini del reale
recuperato e recuperabile, che tuttavia non può
non sfuggire al controllo diretto di chi vede presente nell’immaginario la concitazione inquieta e
contraddittoria del proprio tempo. È infatti quest’ultimo a configurarsi come il termine del raffronto, ma si dovrebbe dire come il bersaglio della
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sfida. Se la realtà è precaria, e la poesia deve porsi
sulle sue tracce, allora il sentimento del tempo e la
nozione stessa della parola debbono assumere il
ruolo che gli attribuiva Albert Camus in una stagione altrettanto tragica della vita dell’uomo, quella dell’occupazione nazista della Francia. Se è vero
che al cospetto di immani sciagure storiche, il
poeta possiede in sé la forza di uscire dalla ben nota
torre d’avorio per farsi uomo fra gli uomini, allora
si può dire, petrarchescamente, che con difficoltà
si potrebbe individuare un altro momento storico
e civile come quello che attraversiamo, in cui alla
poesia spettino compiti e ruoli che non può assolvere l’intellettuale politico per quanti sforzi meritevoli voglia fare, e allora ogni segnale deve provenire dall’intellettuale artista, dal creativo che nel
gorgo profondo dell’invenzione e dell’intuito può
reperire il segno premonitore, nella logica di una
sonda capace di ricondurre in superficie l’insondabile, che poi vuol dire la responsabilità e il rispetto
dell’essere, se non si vuole che si traduca nel nulla.
Dodici sonde quindi, impegnate a pescare, al margine della morte di un amico poeta a contatto con
tragedie ancora piú dolorose, nel torbido, nella
melma dell’oggi, il filo conduttore che deve servire al raccordo fra passato, presente e futuro, perché
la lezione della poesia antica acquisti un nuovo
significato e perché quella nuova all’altra si agganci per reperire quei lumi che sono poi le luci della
ragione. Non a caso, nell’inferno dantesco, Virgilio
è colui che reca una fiaccola che non serve a indicare a lui una strada che la lucida razionalità gli
propone sicura, ma a coloro che vengono alle sue
spalle, ad una umanità smarrita e delusa che esige
piú che mai dal poeta non il romantico sollievo o
la pura contemplazione, ma il significato profondo
di un’ideazione che riconduca l’essere alle sue precipue facoltà di pensiero.
tempo, e condizionati dallo spazio, si illuminano
con la determinazione coloristica degli azzurri e
dei gialli, di luce ultraterrena.
A riverberare questo afflato interiore interviene
l’entità stilistica delle mani slanciate, che interrogano il mistero o che serrano, con felicità di tratti
disegnativi, fede e speranza nella trascendenza; e le
nervature grafiche con le loro verticali incisioni,
sembrano allusivamente continuare l’ascesa oltre
la pagina compositiva, per scoprire e conquistare la
meta desiderata.
Carmine Muliere per esprimere nei volti, nei gesti,
negli atteggiamenti, nelle figure, nelle composizioni nobili sforzi metafisici, inventa strutture ascensionali, crea effetti cromatici dalla dinamica illusione, infonde nostalgia del soprannaturale, imprime
tensioni di riscatto e alimenta sentimenti di pace e
di amore. Analogie e simboli, levità surreali e pennellate sicure contribuiscono a convincere artisticamente e con impegno etico che le opere di
Carmine Muliere sono esenti da assurdità pessimistiche.
Certo, rimangono le difficoltà, i pericoli, le ansie, i
turbamenti, i drammi, le incomprensioni, le ipocrisie e le violenze, ma redenti dalla sottile continuità del sacro e del travaglio formale per l’invisibile. Il colore poi traslitterato in luce nelle ultime
opere sfalda i residui figurativi e si fa coscienza del
divino.
Walter Mauro
IL POPOLO, martedí 7 aprile 1980, Roma
P
La religiosità nell’arte di Carmine Muliere
N
on so se qualche critico abbia messo in rilievo l’aspetto religioso dell’arte di Carmine
Muliere; certo non in senso generico poiché in
ogni vera arte alita il respiro dell’immateriale, ma
specificamente anche se le sue opere non sono
destinate a una finalità liturgica. Nei quadri e nelle
sculture si incontrano e si intrecciano i grandi problemi della vita e della morte, che inquietano la
presenza individuale e oggettiva dell’uomo.
Carmine Muliere scarica a volte con lirica violenza questi fondamentali perché sulla tela e nella
materia, aiutato da una consapevole spiritualità e
da una convincente abilità tecnica.
La quotidianità delle cose e l’uomo con le sue
vicende esistenziali, pur restando ritagliati nel
Santino Spartà
Radio Domenica - Radio Vaticana, novembre
1980, Roma
Due mostre a Roma: Carmine Muliere, pittore e poeta,
e Gianni Bruni - CERCANDO UNA CITTÀ PER
L’UOMO
oesia, scultura, grafica e pittura: tutte nel segno
della osservazione di una realtà che è quella
aspra dei nostri difficili giorni ma che ad essi non
si ferma, anelando ad un sogno di luminosa bellezza. Questa impressione colpisce immediatamente
il visitatore della mostra romana di Carmine
Muliere allestita nella libreria Croce, che accanto
ad una scelta di tele e tavole dell’artista molisano
presenta anche una cospicua documentazione
della sua produzione poetica. L’esposizione, propone opere apparentemente diverse tra loro, che
spingono ad individuare nell’incurvarsi delle
forme o nella netta scansione cromatica dei gialli e
dei rossi, le tappe di una ricerca artistica tormentata e certo aperta ancora ad esiti altri.
Se il netto segno, la vigorosa cesura del disegno
richiamano una umanità che soffre (che può assumere i toni mesti di una donna in blu), la pittura di
Muliere ci pare attinga ai suoi vertici quando la
luce si fa materia, come nei suoi Fiori, dove i blu, i
verdi, i gialli indicano una speranza al di là della
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natura morta, l’attesa di una dimensione spirituale
della vita che sembra, in quelle tele, trascendere i
confini delle forme per divenire libertà dall’alienazione della materia.
Presentazione del Libro di Artista XII SERIGRAFIE DOSSIER ARTE - ARCHIVI DELLA SERIGRAFIA ITALIANA, Editore Carlo Eemanuele Bugatti,
ANCONA, Libreria Remo Croce, Roma.
Carlo Albertini
IL POPOLO, sabato 26 febbraio 1980, Roma
Giovanna Gualdi: Signori e signore buona sera e
benvenuti al nostro centro culturale, vi presentiamo XII serigrafie di Muliere pubblicate dagli
Archivi della Serigrafia Italiana di Ancona, diretti
da Carlo Emanuele Bugatti.
Muliere venne per la prima volta al nostro centro
culturale nel 1978 insieme a Francesco Volpini, per
presentare la cartella Metasole, ispirata al romanzo
omonimo pubblicato da Rizzoli.
Quest’anno ha tenuto una sua mostra personale
dal 21 febbraio al 19 marzo nella nostra galleria e
questa sera ritorna con questa ultima opera;
Muliere è un artista che oltre ad essere un grafico,
è pittore e scultore (e poeta, sottolinea Accrocca);
della sua attività io credo che soprattutto come
scultore egli trasporta nella pittura e nella grafica
quel segno cosí incisivo che tende sempre a mettere in rilievo e a creare dei contorni ben delimitati
intorno a figure e personaggi. XII serigrafie per
una cartella sono un buon numero e forse anche
per questo l’editore ha deciso giustamente di dare
il titolo di libro-cartella a questa opera. I titoli
sono: Paese mio, Alberi, Mia madre, Il Cristo,
Dubrovnik (Dalmazia), Equilibrio della vita:
Essenza, Figura, Nudo, Sul mio tavolo, S. Pietro
(Roma), Gare du Montparnasse dalla Senna e
Montmartre (Parigi).
La prima osservazione che ho fatto subito parlando con Muliere è questa: non ha seguito un cammino deciso, cioè, non ha seguito un filo discorsivo nel numerare questa sua cartella e le ha messe
in ordine sparso quasi come se avesse voluto mettere fuori strada chi legge, invece, chi legge, va proprio tentando di ricostruire questo narrare di
Muliere nella sua opera. La cartella porta gli scritti
di Benincasa, Accrocca, Gigliozzi, Mauro, Spartà;
escluso Benincasa che questa sera stavamo aspettando e forse per sopraggiunti impegni non è
potuto essere tra noi, gli altri sono tutti presenti e
vi parleranno.
MULIERE VISIONARIO
N
ella Galleria-libreria Croce a Roma, Carmine
Muliere ha esposto i suoi piú recenti lavori
ad olio e di grafica, confermando le sue bivalenze
nella ricerca di profonde armonie e di contenuti
onirici, come ha scritto Benincasa in una monografia dell’artista. Invero, la sua pittura è percorsa
da fremiti surreali e da rivelazioni visionarie notturne, che alterano la sua profonda ricerca compositiva e armonica degli elementi rappresentativi. A
volte il colore, nella sua purezza musicale e nella
sua carica sensoria, si espande per tutta la tela, cancellando ogni rappresentatività e dimostrando la
radice intellettuale della visione allarmata e apocalittica. A volte invece la ricchezza dei contenuti e la
subordinazione del colore alla rappresentazione,
sia pure rivelata per enigmi e per sogni, lasciano
trasparire quel bisogno di equilibrio e di ricomposizione di mondi lontani, come se un filo di
memoria affiorasse dal ricordo dell’infanzia alla
ricerca dei mondi altri perduti.
Luigi Tallarico
Agenda Mostre - Secolo d’Italia, giovedí 10 marzo
1980, Roma.
CARMINE MULIERE: NATURA E RADICI
M
ondo di poesia è quello di Carmine Muliere;
di poesia e di colore. Mondo incantato, rarefatto eppure efficacemente espressivo. Cosí come
nella pittura il segno ritma il colore, anche nella
poesia un profondo senso musicale segna i
momenti del silenzio e della pausa: Vivere a che
serve se non si è padroni del proprio tempo?
Forse per questo, per impadronirsi in qualche
modo dell’attimo che fugge, Carmine Muliere fa i
suoi incantesimi, poetando e dipingendo: è un
esorcismo contro il nulla. Esorcismo riuscito che si
materia tutto del valore dell’esistenza.
Giovanni Gigliozzi
RAI - Radio2, 1980 Roma
Cedo subito la parola a Elio Filippo Accrocca:
Innanzitutto i complimenti a Carmine Muliere
che si ripresenta questa sera da Remo Croce, fra
tanti amici, con una cartella; non è la prima che
Muliere porta a termine, ma si ripresenta con una
cartella particolare. Su questa cartella di Carmine
ci sarebbe molto da dire per la varietà dei temi, per
la freschezza, per la grazia e per la incisività.
Muliere oltre che pittore e scultore, è poeta; ebbene in questa cartella c’è lo spirito del poeta, c’è la
grazia e la incisività della parola. Il segno di
Muliere, il segno grafico si fa segno verbale perché
riesce a trarre dalla realtà il sentimento: basterebbe
controllare con la cartella sotto gli occhi - e spero
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che molti lo facciano - Paese mio.
Paese mio è…, chi sa l’origine di Muliere sa che
significa la provincia di Isernia, il Molise, una
regione che in questi giorni e Isernia in particolare, è alla ribalta mondiale per la scoperta archeologica (Homo Aeseriensis, località La Pineta Isernia, 730.000 anni).
Quindi ci sono delle radici in quella regione e
anche quando qualcuno si trasferisce dalla propria
regione, dal proprio paese d’origine, mantiene
quelle radici, quelle origini. Ebbene in questa serigrafia - la prima della cartella - ed è colorata a
mano, Muliere riesce veramente a dare la poesia di
quel paesaggio, poesia e drammaticità. Nello stesso modo - basterebbe vedere la quarta, Il Cristo anche questa colorata a mano, un’altra serigrafia
dove il sentimento della pietà, non voglio dire sentimento religioso ma il sentimento della pietà
umana, viene posto in evidenza. Cosí come
Dubrovnik (Dalmazia) o Montparnasse e Montmartre
stanno ad indicare, per esempio, anche un’apertura. Partito da un paese vicino Isernia vive a Roma
ormai da tanto; è qui che opera con mostre in varie
parti, anche all’estero; ebbene, queste tre serigrafie
stanno a dimostrare i suoi interessi al di là della
propria provincia. Un’altra serigrafia è Sul mio
tavolo, anche qui c’è il tavolo ingombrato di oggetti, di cose; le figure sono date dagli oggetti, dalle
cose: sono cose animate, sono oggetti animati perché sempre Muliere pone una sensibilità nella propria ricerca, nella propria opera. E non mi soffermo sulle altre serigrafie... avremo occasione di
ascoltare anche gli altri amici; ma voglio anche sottolineare che questa operazione marchigiana di
Bugatti, è una operazione ad alto livello perché la
cartella di Muliere appartiene al Museo di
Senigallia, al Museo di Ancona e quindi c’è tutta
un’operazione che abbraccia grandi artisti non soltanto marchigiani ma grandi artisti quali Treccani,
Tamburi, e tanti altri; quindi Muliere entra in questo ciclo di operazione artistica e ci entra con le
carte in regola per l’attività già svolta dalle tante
mostre che ha fatto. Qui da Croce è di casa; voglio
anche ricordare l’ultima, non era una mostra ma
qualcosa di piú forse, infatti, al Parco Tiburtino qui
a Roma, in occasione del Quarantennale del bombardamento di San Lorenzo, 19 luglio 1943 - 19
luglio 1983, Muliere era presente con due sculture, due opere molto apprezzate da Eduardo Di
Filippo, dal sindaco di Roma Ugo Vetere che,
insieme a tante altre persone, in quel giorno ricordavano il bombardamento di San Lorenzo: ebbene
la presenza di Muliere anche in quella circostanza.
Quindi sono radici che vengono da un uomo sensibile, da un artista autentico, debbo ricordare - lo
faccio con molto interesse, interesse e piacere personale - anche L’INQUIETUDINE, quella bella
operazione che ha visto la presenza di alcuni poeti
romani o romani di adozione e una edizione d’arte illustrata da opere di Muliere; anche in quella
occasione con Muliere c’è stato un rapporto di
interesse culturale e umano. Con Muliere inoltre,
Carmine pittore, Carmine scultore, Carmine
poeta, e poesia e arte sono unite in questa cartella,
poesia come le sue raccolte pubblicate: Macchie,
Natura e radici, Dall’esperienza, poesia come
L’Inquietudine e fino ad un ultimo, anzi sono ultime cose che io conosco in privato, cose ancora inedite ma che verranno pubblicate sicuramente...
ma, per tornare a questa cartella e per concludere il
mio intervento voglio dire che si tratta di XII serigrafie che sono veramente l’espressione vitale di
un uomo che crede realmente nella poesia e quindi nel segno grafico e questo segno grafico o segnale grafico viene fuori da una mano delicata, abituata alla presenza della macchia o delle radici, della
natura che sono i titoli della sua poesia. Una cartella da vedere con gli occhi attenti di chi vuole realmente capire l’importanza di questo artista ancora
giovane ma che si è venuto affermando a livello
non soltanto nazionale e che con la sua modestia
procede con un lavoro che gli sta dando soddisfazione e questa sera è una ulteriore dimostrazione di
questo affetto.
Giovanni Gigliozzi: Quel che dovevo dire di
Muliere l’ho già detto, l’ho già espresso, l’ho già
scritto. Ho detto che l’arte di Muliere è qualcosa di
liberatorio, in un certo senso ripercorre il cammino che faticosamente ha fatto la poesia italiana,
cioè il ritrovare una chiarezza anche là dove i motivi che questa poesia vuole esprimere non sono
affatto chiari anzi, sono complessi, sono intricati
perché nascono da una profondità dell’inconscio.
Io credo che qui basta guardarla questa cartella e
Accrocca l’ha sfogliata con molta finezza... Diceva
Giovanna Gualdi che Carmine ha confuso le carte,
cioè non ha messo in ordine le tessere del suo
discorso; che forse non si tratta di un discorso unitario giacché di libro si tratta, ma io ho l’impressione che si tratta piú di una raccolta di liriche, di illuminazione; non di una narrativa, non di un libro
che abbia un principio e una fine. La realtà di tutte
queste cose ritrovano un filo conduttore nella stessa personalità di chi si esprime, è evidente; in
fondo però a me pare che sia cosa dell’illuminazione, questo Paese mio, che voi dovreste vedere, è di
una bellezza stupenda: ma è un paese che esiste o
un paese sognato? oppure è una proiezione di
qualche cosa che è dentro di lui e che lui poi riesce
a trasfondere nelle cose esistenti e a dare a queste
cose esistenti una luce di sogno, e questo bisognerebbe chiederglielo. Questo paese è vero e non è
vero, è reale e non è reale; le linee sono giustamente decise direi, come del resto nella poesia - perché
la poesia è fatta di accenti, è fatta di silenzi, è fatta
di pause, è fatta di colore, è fatta di tante cose la
poesia; ebbene questo, secondo me, è proprio
l’equivalente di una immagine poetica, la folgorazione poetica, soltanto che il poeta quando si trova
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di fronte a questo tipo di illuminazione deve esprimersi per versi e un verso segue l’altro, cioè direi,
una sorta di prima, poi un fatto mediano, invece
qui no: è come se improvvisamente questa impressione poetica ti folgorasse e tu potessi raccoglierla
in una parola sola. Qualche volta capita ad un
poeta di cogliere il tutto in una parola sola: sono
quelle parole magiche, illuminanti, parole straordinarie, parole che sorprendono il poeta stesso,
sono come una goccia di pioggia con dentro tutto
l’arcobaleno; ma questo non succede spesso mentre qui pare che sia realmente avvenuto. Un’altra
cosa che mi ha colpito è Il Cristo, Il Cristo che
secondo me ha uno strano movimento: è sí il dolore ma è una sorta di danza del dolore. È il Cristo
crocifisso... il Cristo che soffre... il dolore si risolve in una sorta di danza, in una sorta di incantamento, perché? Perché, secondo me, io credo che
quest’opera abbia un valore religioso nel senso piú
profondo: Cristo che ha vinto la morte, Cristo che
è l’ultima vittima, - in realtà questo mondo impazzito ne ha fatte tante di vittime e stiamo danzando
sull’orlo di un cratere -, avendo raggiunto il
momento in cui afferma...ha appena gridato sono
io! la mia vita la do da me stesso, non me la toglie
nessuno ha detto, ha proprio gridato e tutto si
risolve in una sorta di danza del dolore quasi che
ad un certo punto in questo spasimo dell’agonia i
movimenti si confondono armoniosamente perché lui è il vincitore, ha vinto: Io ho vinto la
morte... ha vinto la morte, ha vinto il dolore, ha
vinto questa concezione tribale di Dio per cui, in
un certo momento, sull’altare bisognava sgozzare
gli agnelli, lui è l’ultimo, vuole essere l’ultimo
agnello ad essere sgozzato; questo mi sembra di
aver letto, d’altra parte ognuno fa una sua lettura
personale delle opere di un’artista. Paesaggi, sua
Madre e poi ancora questo magnifico Nudo sul
mare, guardate che bello, bellissimo proprio...
questo bellissimo nudo sul mare, questa creatura
che tu non sai piú se sia distaccata dalla natura circostante o sia natura lei stessa: è veramente una
cosa stupenda, veramente bella e poi non vorrei
continuare a citarvele una per una queste serigrafie... ma guardate questa Parigi se ad un certo
punto non ha la gioia della città sognata; effettivamente Parigi non è cosí allegra, non è cosí viva: è
la Parigi che è in fondo all’anima di Carmine e che
Carmine la vede cosí e proietta i suoi colori su una
città che - tutto sommato - forse ha perso la magia
che aveva negli anni venti quando veramente era il
crogiolo della cultura europea: ora non lo è piú.
Ecco io devo dire che Muliere tratta il disegno,
tratta il colore, tratta il segno cosí come tratta il
verso; come il poeta tratta il verso e direi che a
interrogare... (bellissimo questo S. Pietro), e direi
che ad interrogarli con piú tempo e facendo parlare anche l’autore, forse attraverso queste serigrafie
e non soltanto attraverso queste, riusciremmo a
leggere che cosa si agita nella profondità dell’esse-
re di un uomo, un uomo che però - diceva giustamente Accrocca - ha conservato intatte le sue radici, la purezza delle sue radici.
Walter Mauro: Sia Accrocca che Gigliozzi hanno
analizzato molto in profondità queste serigrafie di
Muliere e quindi io vorrei tentare di spostare un
momento il discorso su un certo carattere, un
certo aspetto di scrittura poetica che mi è sembrato di poter individuare nel tratto del disegno, nel
tratto pittorico, nel tratto grafico di Muliere.
Realmente, diceva prima Giovanna e come poi
confermava Gigliozzi, questo racconto lirico finisce per essere un po’ scompaginato e io credo che
- legittimamente - Gigliozzi parlava di illuminazione nel significato proprio di queste improvvise,
repentine folgorazioni che si realizzano sulla pagina e che appartengono sicuramente al mondo
espressivo oltre al tratto grafico della parola poetica; il discorso che naturalmente sarebbe difficile e
anche molto teorico nel senso che bisognerebbe
andare ad individuare in quale misura, in quale
maniera, anche attraverso quali transfert psicologici si può realizzare graficamente una idea di letteratura, una idea poetica. Io credo che Muliere ci sia
riuscito proprio servendosi, utilizzando questa
mediazione della parola che si traduce in segno,
quindi un legame, una saldatura, un rapporto
diretto tra parola e immagine che si realizza attraverso un circuito che è tutto individuale, tutto soggettivo. Muliere, lo accennava prima Accrocca, ha
realizzato quell’opera intitolata L’Inquietudine
dove compaiono poesie di poeti contemporanei
legati a Roma o romani di nascita o di adozione e
ha commentato in un certo senso queste poesie
attraverso il segno grafico; ecco lí era - tutto sommato - una operazione di sdoppiamento perché era
un lavoro compiuto e realizzato su materiale altrui,
attraverso i quali tuttavia si finiva poi per identificare molto chiaramente quella che era la personalità dell’artista, cioè la sua capacità tutta soggettiva
di realizzare, di filtrare attraverso il segno, quello
che la parola poetica aveva voluto esprimere nel
momento in cui ha voluto realizzare questa sintesi
tra parola e segno pittorico e segno grafico e allora
- in questo senso - si è trovato di fronte alla necessità di eliminare il processo di sintesi e di assimilazione e quindi di sdoppiamento e di realizzare
attraverso il segno grafico quella che era la propria
avventura letteraria, quella che era la propria
avventura poetica. Ecco io credo che se intendiamo
queste XII serigrafie in questo senso, in questa
direzione, si finisce poi per individuare anche i
punti, le stazioni proprio precise, limpide, lucide,
di un cursus, di un trascorso che è senza dubbio
vissuto ma che si realizza anche attraverso un iter
narrativo...
Ad esempio c’è una grande varietà anche - direi della tecnica in queste serigrafie. Gigliozzi parlava
di quella intitolata appunto Paese mio, ma io ricor-
19
derei - Gigliozzi l’ha già fatto - quest’altra in cui si
verifica proprio questo fenomeno di stilizzazione
dell’immagine là dove invece a contatto diretto con
questo paese reale-irreale, razionale o irrazionale
ha poca importanza, il tratto grafico di Muliere
finisce per isolarsi drammaticamente in uno spazio, in un’area di solitudine. Ritorna invece il tratto del colore, ritorna proprio questa immagine
dolorosissima - per esempio - del Cristo e soprattutto l’immagine, il tratto grafico che piú mi ha
colpito nell’opera, in queste XII serigrafie, è quello che riguarda il polo tematico della conoscenza
che Muliere realizza attraverso certe folgorazioni,
certe illuminazioni; riprendo la parola di Gigliozzi
perché mi sembra quella piú esatta - cioè certe illuminazioni, certe folgorazioni di alcuni luoghi, di
alcuni spazi geografici nei quali Muliere si è trovato a vivere una breve o lunga esperienza, non ha
importanza, perché l’avventura conoscitiva in questo senso si può realizzare anche nel giro fulmineo,
rapidissimo, diciamo di una immagine, di una proiezione del sensibile. Per esempio, questa immagine della Dalmazia, di Dubrovnik, nel caso specifico, sta proprio a indicare questa caratterizzazione
di un elemento vivo, proprio di un vitalismo direi,
di una carica umana che è all’interno della poesia
direi di questa immagine, ecco, per esempio,
L’equilibrio della vita: essenza.
È chiaro che quando Muliere dai temi diciamo
cosí paesaggistici, oppure dalla realizzazione attraverso il tratto della struttura stessa della realtà passa
invece ad una ricerca e quindi ad una proiezione in
immagine di un tema, di un problema, a uno spazio che riguarda invece la coscienza, che riguarda
invece l’area dell’anima, allora direi che il suo tratto si fa piú drammatico, piú doloroso e quindi i
termini della contrapposizione potrebbero essere
quella Parigi di Montmartre di cui si parlava prima,
contrapposta appunto a questa di Equilibrio della
vita: essenza, che, come ripeto, riduce comprime
prosciuga addirittura l’immagine in qualcosa di
essenziale; in qualcosa di carnoso ma, nello stesso
tempo, anche di essenziale. Quindi, per concludere, io direi che è un felice incontro questa cartella
di serigrafie, è un felice incontro fra letteratura e
creatività artistica; il termine di mediazione, il
punto di sintesi è, secondo me, configurato proprio in questa capacità di calare la parola nel tratto,
di calare la parola nell’immagine e quindi di restituirla alla sua pura essenza.
Evidentemente Accrocca parlava prima di una
connaturata e congeniale umiltà di Muliere, io
credo che questa gli sia servita soprattutto per
calarsi nel modo piú umile in una operazione d’incontro e di mediazione che è certamente fra le piú
ardue, fra le piú difficili e quindi anche fra le piú
angosciose, fra le piú dolorose che un artista possa
vivere.
ARTE CONTEMPORANEA
Carmine Muliere, pittore e scultore molisano
C
armine Muliere sembra procedere realmente
col radar tra le dita, o nella mente, per conoscere il congegno di un “giocattolo” che ha appena
migliaia di anni, nel tentativo di dare volto all’ombra in cui siamo ancora avvolti. Utilizzando materiali comunicativi di vario genere, verbali e segnici,
innestografici, che includano linee, forme, volumi,
variazioni tipografiche e visualizzazioni, concettualità, il continuum che assorbe e dilaga dal conoscibile all’inconoscibile, dal consenso al dissenso,
dal particolare all’universale, dal segmento al
cosmo. Sono questi i mezzi espressivi linguistici e
strutturali di Carmine Muliere che usa parola e
colori, penna e pietra, alfabeto e oli, sintassi e legni,
verbi e incisioni, per dare di sé una globale dimensione d’artista, ormai acquisita a vari livelli con
prove e risultati che trovano notevoli consensi critici. Carmine Muliere rappresenta una delle voci
piú autentiche, piú genuine, piú serie, della cultura di oggi. La sua origine molisana non lo ha fatto
chiudere in una sorta di elegia del paese, della provincia, gli è servita invece, ad ampliare il suo orizzonte, la sua carica naturale, la sua ricerca a vari
livelli e ci ha portato un nome, un artista e un
poeta che rappresenta bene la sua generazione.
Che cosa va sottolineato di questo giovane e non
piú promettente ma effettivo artista di oggi? La sua
capacità di stile che è riconoscibile: un’opera come
questa scultura, Casa e figure, che rappresenta una
casa, le pareti che vivono, che si illuminano e si
adombrano di immagini, è rara. Per chi ha gli occhi
puntati sulla storia dell’arte sa che è difficile trovare un’opera come questa. La sua capacità di stile è
unita alla capacità di raccogliere dentro di sé, prima
ancora che diventi opera, questi aspetti del vivere,
dell’inquietudine, della famiglia, del paesaggio e li
trasforma in opera d’arte. C’è anche da sottolineare questo senso di comunicabilità: oggi, chi legge
certi testi letterari, chi osserva certe opere d’arte,
rimane spesso un po’ perplesso: manca la comunicabilità tra l’artista e l’osservante. In Carmine
Muliere questa comunicabilità è immediata, anche
se, ripeto, non ha solo quell’aspetto realistico che
all’apparenza può rendersi evidente. È un artista
che crede nella possibilità, nell’importanza, nell’influenza che hanno il pensiero e le idee su tutti
noi. E il risultato è il senso di creatività, quasi che,
ogni cosa che Carmine Muliere tocca, diventa
viva; ogni cosa anche apparentemente statica gli
diventa immediatamente, attraverso quel pensiero
e quella ricerca di idee, una realtà vivente.
Elio Filippo Accrocca
ANTICHITÀ E BELLE ARTI - gennaio-febbraio
1984, Roma
20
MOSTRE ROMANE - Le Opere di MULIERE
D
opo aver visto le opere di Carmine Muliere,
pittore e scultore molisano di S. Elena
Sannita, ritorni a casa con la consapevolezza di aver
fatto un incontro piacevole.
Le sue tele e le sue sculture convincono per il
pathos e per la professionalità tecnica. Sono anni
che Carmine Muliere esercita la propria attività a
Roma, facendo tesoro di tutte le sollecitazioni liriche e degli scambi culturali di cui la capitale è
ricca. Carmine Muliere, ormai in fase avanzata di
affermazione, ha esposto con successo nelle principali città italiane con mostre di pittura, scultura e
grafica. Importanti critici militanti hanno apprezzato la sua arte, tra i quali Santino Spartà, collaboratore della Radio Vaticana, di cui riportiamo un
suo giudizio: Carmine Muliere per esprimere nei
volti, nei gesti, negli atteggiamenti, nelle figure,
nobili sforzi metafisici, inventa strutture ascensionali, crea effetti cromatici dalla dinamica illusione,
infonde nostalgia del soprannaturale, imprime
tensioni di riscatto. A riverberare questo afflato
interiore, interviene l’entità stilistica delle mani
slanciate, e le nervature grafiche con le loro verticali incisioni... Il colore poi traslitterato in luce
nelle ultime opere sfalda i residui figurativi e si fa
coscienza del divino.
Giuseppe Grieco
L’OSSERVATORE ROMANO, 13 giugno - pag.
3, 1984 Roma
QUANDO APRIRAI LA LETTERA
A
ccanto alle poesie, le sculture e i quadri di
Carmine Muliere sono altamente spirituali.
Questo artista molisano che scolpisce e dipinge,
equilibrato e libero, cerca anche lui, come Spartà,
l’Invisibile.
La sua arte lo guida in questo viaggio, c’è un filo
conduttore che passa tra i versi e le opere riprodotte. Sono quei valori morali che la gente dovrebbe
meditare, la speranza nell’esperienza umana ma
anche nel regno che non è di questa terra. Un
regno colmo di letizia e di beatitudine, quel regno
che potrebbe già essere in mezzo a noi, se non fossimo sordi e ciechi. Spartà e Muliere ci aiutano a
riconoscerlo.
Milena Milani
Dalla presentazione del libro di poesie di Santino
Spartà, Collana “Poesie per una notte” - Editoriale
Sette, Firenze.
qualcosa di nostro al valore già acquisito, sarebbe
come peccare di presunzione quando la critica piú
arguta e completa, sta in primo luogo, nell’animo
medesimo del poeta a cui la natura - talvolta forse, benevola, volle elargire in lui le doti aggraziate della Musa.
Vestito di siffatta dote, egli esprime magistralmente il suo pensiero forbito, ponendolo nei vari
aspetti del tempo e della vita, in sintonia col processo della vita stessa.
Valente artista (oltre alla poesia), pittore e scultore,
Carmine Muliere coltiva con amorevole cura lo
spirito, il quale lo trasfonde nell’immagine
dell’Arte, per regalare, all’uomo di oggi e di domani, un messaggio d’amore tutto mulieriano, che
non vuole essere figura su piedistallo, ma uguaglianza, di fronte alle piccole come alle grandi
cose...
Poesia, dunque, carezzevole e toccante... anche se
in linea ristretta, la quale inghirlanda dolcemente,
la struttura metafisica del lettore, inserendolo nel
quadro delle visioni riflessive.
Pasquale Sansalone
AZ Arte e Cultura, aprile-giugno 1984, Roma
OPERE GRAFICHE DI MULIERE
C
on queste recenti opere grafiche, Carmine
Muliere dimostra come la forza significante e
la tensione del segno possano ottenere rilievi delicati o turbati nell’ambito delle rappresentazioni sia
figurali che paesaggistiche. Emblematica è la serigrafia Paese mio che dimostra come la forzatura
del segno (che sembra appesantire i rilievi anche
lontani delle colline sovrastanti l’agglomerato
urbano) non vada a discapito della intensità della
visione e dell’incanto della immagine, che si svela
invece nella flagranza emotiva e delicatezza poetica. La verità è che Muliere ha le doti del grafico che
affida, alla evidenza (e perentorietà) espressiva,
anche i moti e i palpiti dell’animo, senza venire
meno alla marcatura del segno, inteso come potenzialità stilistica, ma anche come evidenziazione
significante del messaggio. Occorre, però, dire che
Muliere riesce a superare il tono didascalico e finalistico del grafico, dal momento che il suo segno anche se immediato - viene sempre ricondotto nel
piú organico contesto che sanziona il primato della
forma sul mero significato.
Luigi Tallarico
Secolo d’Italia, giovedí 26 luglio 1984, Roma
CARMINE MULIERE: DALL’ESPERIENZA
E
strinsecare dai condotti dell’animo di Carmine
Muliere una analisi filologica, o aggiungere
21
Presentate alla Stampa XII Serigrafie di Carmine
Muliere
Nota critica per SINTESI DI UN DIALOGO
APERTO E ININTERROTTO
R
C
ecentemente sono state presentate alla stampa,
presso la Libreria Remo Croce di Roma, con
interventi critici di Elio Filippo Accrocca, Walter
Mauro, Giovanni Gigliozzi e Santino Spartà, XII
serigrafie di Carmine Muliere: un artista che con il
suo impegno, sia in campo pittorico che in quello
scultoreo e poetico, riesce sempre di piú a sorprenderci, non solo per la sua continuità artistica, ma
per gli alti livelli espressivi raggiunti dalle sue testimonianze nei vari campi che lo vedono via via
sempre piú impegnato.
Come già ebbe a dire Carmine Benincasa in occasione di una personale del Nostro svoltasi nelle
Sale del Palazzo Marignoli di Roma nel lontano
1973, e cioè che Muliere oltre a racchiudere nella
sua arte un racconto del lontano vivere apocalittico e armonie di colori, rappresenta “una pittura di
luce, luce fuggitiva ma pura e raccolta, tremante e solida,
infernale ed ambigua, pittura del Tremendum e del
Vacuum, come la Morte e la Vita”.
Se poi ci affacciamo piú da vicino sull’accorto cammino di questo artista, noi lo vediamo crescere a
dismisura e quando Elio Filippo Accrocca, nella
premessa di un libro di versi di Muliere (Natura e
radici) di Alberto Iuliano Editore, ci dice con grande autorevolezza che “Il poeta non nasce all’improvviso né si esprime soltanto con le parole” e che Carmine
Muliere “usa parole e colori, penna e pietra, alfabeto e
oli, sintassi e legni, verbi e incisioni, per dare di sé una globale dimensione d’artista”, sta proprio a voler dire che
“Non mancano quindi alla sua osservazione i risultati di
una pensosa conoscenza, frutto di quel saper cogliere i sintomi dell’inquietudine che è tipica della sua generazione”.
(Carmine Muliere è nato a S. Elena Sannita,
Isernia, il 30 aprile, 1949, vive e lavora a Roma). Ci
riesce solo di aggiungere che il cammino di quest’uomo, semplice ma sicuro, giovane ma deciso,
lo porterà sempre di piú alla ricerca degli altri, di
quegli altri che in una sua poesia gli faranno dire:
“Ero di malumore mentre ballavano... si divertivano... /
magari si divertissero tutti...”.
Egli qui ci fa appena intravedere l’altezza della sua
umanità, di quella umanità che riesce sempre a far
trasparire dai suoi lavori di poeta e di artista.
E quindi se Accrocca ha voluto mettere in evidenza i “mezzi espressivi, linguistici e strutturali” di
Carmine Muliere, Gigliozzi, da Croce, ha saputo,
con grande umanità, far lievitare da quelle dolcissime dodici serigrafie tutta la energia poetica in
esse contenuta soffermandosi in modo particolare
su Paese mio, assunto addirittura a simbolo quale
paese ideale dei sogni e dei giochi dove si possono
ancora mescolare e confondersi la Vita e la Morte,
la Pace e l’Amore, gli Ideali e le Speranze.
Francesco Agresti
SCENA ILLUSTRATA, ottobre 1984, Roma
on stile personale, con piglio asciutto, con un
linguaggio inequivocabile, senza eufemismi,
Muliere affronta i problemi dell’uomo moderno
in un momento di svilimento dei valori, dove predomina il disorientamento e il caos, in una dimensione metafisica che sollecita reazioni psicologiche
e una riflessione approfondita in chi legge e da chi
legge Muliere esige una risposta.
Letizia Carile
TRAGUARDI 2 - AGENDA 1984 di Letteratura
ed Arte, Lo Faro Editore, Roma
CARMINE MULIERE
I
l pittore Carmine Muliere è nato a S. Elena S.
(IS), ma vive ed opera a Roma. Ha allestito
mostre personali, partecipato a varie collettive sia
in Italia che all’estero. È autore inoltre di varie raccolte di poesie, le sue opere grafiche figurano in
moltissime pubblicazioni di poeti e scrittori contemporanei. Abbiamo incontrato l’artista, recentemente, durante la personale tenuta alla Galleria
d’Arte Comunale di Campobasso che ha riscosso
vasti consensi di pubblico e di critica. Muliere
poeta del colore riesce ad esprimere nelle sue tele
una complessità di sentimenti umani che vanno
dalla nostalgia per la sua terra al ricordo dell’infanzia, in un equilibrio di forze. L’olio su tela è la tecnica principalmente usata dall’artista, alla quale si
affiancano: la tecnica mista, linoleumgrafia, incisione, acquaforte, litografia, serigrafia.
È inoltre un apprezzato scultore che usa, senza
alcuna limitazione, qualsiasi tipo di materiale: dalla
pietra al gesso, al legno ed al metallo.
L’artista prende coscienza delle immagini immagazzinate, trasfondendole sulla tela e nel suo processo di creazione viene a determinarsi una risultante costante tra il sensibile e il verificabile che si
realizza nella rappresentazione stessa. Quindi ogni
momento pittorico di Muliere nasce dalla visualizzazione d’immagini in una prospettiva che riesce a
stabilire un accordo funzionale ed a trovare quel
ritmo d’equilibrio delle forze chiamate in causa. La
pittura di Muliere va meditata. Ad una prima lettura non si intuisce il travaglio interiore dell’autore, ma riflettendo è facile stabilire il substrato dell’intera tematica mulieriana. Ammiriamo la sua
forza espressiva e quel denso calore umano che
troviamo nei suoi versi e nella cromaticità dei
colori.
Camillo Viti
Nuova Dimensione, n. 2 - febbraio 1985,
Campobasso
22
CARMINE MULIERE: FAVOLA REALE
EA Edizioni d’Arte, Roma 1985. Con una lettera di
Giacinto Spagnoletti
alla introspezione, queste opere si offrono discrete
e silenziose, uniche e fluide come appunto... il
pensiero.
C
Donatella Solimbergo
aro Muliere, ho apprezzato molto le pubblicazioni che mi hai inviato, tanto di poesie che di
opere artistiche riprodotte.
Leggo con piacere il testo introduttivo di
Petrucciani, con il quale concordo pienamente.
Non posso che rivolgerti vivi auguri per la tua attività, augurandomi in un prossimo incontro di parlarci piú a lungo.
Cordialità vivissime.
Giacinto Spagnoletti
1985, Roma
MULIERE Concettuale
C
armine Muliere, presentato in catalogo da
Carmine Benincasa, ha esposto a Cesena, al
Free Time Club dal 3 al 22 maggio 1986 dipinti
recenti realizzati nei termini di quella concettualità che cerca (e trova) i suoi temi nel territorio della
ragione. Ma i suoi voli del pensiero non lo allontanano mai dal gusto della pittura e dalle sue precise
scelte cromatiche, che privilegiano lo splendente
cobalto, che Muliere utilizza per dare forma alla
profondità di una concezione o all’impulso di un
sentimento.
Berenice (Jolena Baldini)
SETTEVOLANTE 10, PAESE SERA, domenica
18 maggio 1986, Roma
OPERE DI CARMINE MULIERE
Presentazione mostra Associazione culturale Dulcis Înn,
aprile-maggio 1986, Roma
N
ei lavori di Carmine Muliere si ha la sensazione che il pensiero, vivo ma intangibile
prenda forma. Luci ed ombre in un affascinante
amalgama che sulla tela si traduce in un’armonia
inattesa. Qui qualcosa di indefinibile si anima e
genera, come attraverso moti sconosciuti, una
metamorfosi - dall’infinito al finito - orchestrata
con maestrìa da una mano poetica e sensibile.
Un’esile trama lega questi trapassi e sembra condurre in una atmosfera silenziosa e irreale; innumerevoli trasparenze si colorano in un viaggio
sospeso tra l’arcano e il sorprendente. Come nei
sogni ecco che il tempo si dilata e si annulla, le
immagini avvolgono, ispirano, rievocano. È uno
strano equilibrio quasi anacronistico per la nostra
epoca dove la poesia di un gesto, di una parola, di
un segno contende lo spazio all’indifferenza, proponendo una verità priva di quella maschera che la
vita quotidiana spesso impone. Lette quale invito
Carmine Muliere - RAGIONI
N
el riquadro molto complesso e articolato
della poesia contemporanea, Carmine
Muliere ricopre un ruolo assolutamente atipico e
irregolare, come del resto è possibile constatare
anche nell’altra sua attività, quella di pittore fra i
piú attenti agli emblemi stravolti del nostro tempo.
E tuttavia sarebbe esercizio vano e inutile andare a
cercare riflessi e rispecchiamenti della sua parola
poetica nel segno pittorico, cosí diverso e concreto
a sua volta, da rendersi repentinamente autonomo
e sfuggente ad ogni possibile riscontro. Il comune
denominatore, semmai, ma è insito nella logica
stessa del tessuto naturale di Muliere, può reperirsi nell’ansiosa, ed esigente, ricognizione all’interno
dei mali e delle disfunzioni dell’uomo, e perciò in
una sartriana capacità di riconoscere ed individuare ovunque le strutture della totalità dell’essere. Ad
altri, e con rilevante autorevolezza, è spettato il
compito di porre in evidenza i segnali che provengono da raffigurazioni umane drammatiche e
dolorose: a me il privilegio di andare ad individuare fra le righe del sensibile di Muliere poeta le tensioni e la natura portante di un verso che scandisce
ore e minuti del trauma esistenziale con l’impavido azzardo di chi si pone oltre e al di là di mode,
scuole e accademie, nella fiducia che soltanto alla
parola in quanto tale, lungo ininterrotti crinali di
tempo e di spazio, spetti il ruolo di mediazione, di
passaggio, dall’ineffabile all’esprimibile, lungo il
filo di una spregiudicata e sorprendente concrezione di linguaggio. Ecco la ragione per la quale ritengo che un’analisi seria e compiuta della poesia di
Muliere, in questa silloge non casualmente intitolata RAGIONI, debba muovere da un particolare
compito che il poeta attribuisce alla parola, in una
poesia che ne soppesa la specificità e ne individua
la struttura portante di ogni sua ragione: Che la
parola abbia peso / è un fatto reale uguale / alla
necessaria bilancia relativa, afferma ad una svolta
cruciale del ragionamento che si fa poesia. È il preambolo necessario, l’antefatto indispensabile per
misurare una tenacia che torna a farsi ragione per
poi riprendere repentinamente la propria funzione
di tramite che sorregge il discorso con il supporto
della caparbietà: Mai smetterò di rapportarmi /
misurarmi / voglio essere tanto ch’io possa, laddove la potenzialità del movimento, il sostegno di
ogni dinamico divenire, si concentra interamente e
sostanzialmente nella pura razionalità del proprio
eloquio conseguente.
Tale condizione, antropologica poiché l’universo
23
privilegiato della parola presuppone il relativo e
dissacrato tempo distruttivo di ogni possibile barriera, e frontiera, che isola la barbarità, pone
Carmine Muliere nella condizione ideale per
potersi assumere il ruolo di colui che sentenzia da
una postazione di assoluta libertà espressiva e individuale: Chi crede d’aver acquisito / un privilegio,
s’adagerà / nel giogo che merita.
Ecco realizzarsi, e progressivamente configurarsi,
un tipo di espressionismo poetico che travalica i
confini della poesia di ieri e di oggi, per assumere
invece un ruolo di proposta etica che si affranca da
qualsiasi ipotesi condizionante in virtú della consapevolezza cosciente della propria razionalità: Sei
padrone di te stesso se ti liberi del tuo spauracchio;
il che vuol dire aver già sperimentato sulla propria
pelle l’ambiguo dell’indecisione e l’allusività del
discorso trasversale ed obliquo, che non può raggiungere meta né traguardo. Ma le disperate certezze dei romantici sono crollate al cospetto della
precarietà del reale concreto, e allora la ragione
deve cercarsi altri moduli per la sentenza: Voce
sapiente di antica saggezza provata e riprovata. Alla
verifica della nozione conoscitiva esperita dagli
antichi è necessario attribuire quell’indice di innocenza e di verginità. Di primordialità insomma,
che scagioni la parola dalla benché minima compromissione del pensiero e della riflessione critica.
La scelta drammatica e solitaria della totalità dell’essere di cui si diceva, impone tale impavidità e
anche, perché no, l’ipotesi azzardata della presunzione: ma allorquando l’ipotesi stessa gioca a carte
scoperte, e rintraccia il suo filo segreto nella piú
totalizzante nudità dell’essere, allora ogni prospettiva di riscontro coinvolge il passato ancor prima
del presente: Aver bisogno di nulla / senz’aver
superato alcunché / rimanere fermo / procedendo
per / arrivare in nessun luogo / e dimorarvi / essendo stato uomo, e l’immagine dell’essere, del vitale
quotidiano, assume una dimensione esistenziale di
inquietante e tormentata verità trasposta: E resto
aggrappato al groviglio / di questa vita tormentata /
con fede innata / di menzogne intatta / come la vita
stessa / che non mi appartiene.
L’autocondanna a questo punto è inevitabile (Cosí
è anche se non ci pare), e oltre l’impotenza operativa resta e ritorna tenace ed insistente Il peso della
parola cui Muliere concede ogni possibile margine
di fiducia. Non fa nulla se la risposta è già decretata, e risiede nella logica stravolta della glaciazione:
la sottesa speranza che tutto possa venir affrontato
e fronteggiato dalla forza evocatrice e sintonica
della poesia è tale da non consentire dubbi né
infingimenti: se la parola poetica è miscuglio di
idee / desideri repressi / o esasperati / perenne lotta
/ inutilmente provocata e combattuta, ciò vuol dire
che i segnali provenienti dai piú remoti recessi dell’io profondo posseggono in sé una efficacia che
Carmine Muliere riesce a tradurre in altrettanti
mezzi della ragione, per lottare ancora contro l’in-
sensato e l’insensibile dell’universo contemporaneo.
Walter Mauro
1999, Roma
MULIERE - La forma che deve venire
D
a punti di vista che ad una prima impressione
appaiono diversi e contrastanti, in direzioni
antagoniste, nel rovello di una ininterrotta sperimentazione di materiali e di linguaggi, Carmine
Muliere conduce da anni una ricerca di grandi
potenzialità e significato di cui sentiamo oggi prossimo e ormai irreversibile l’approdo ad una maturità decisa. I filoni diversi confluiscono in un’organica unità che oltrepassa la tensione morale e creativa dell’autore e fa del suo lavoro lo specchio di
una condizione umana e di temi e problemi fondamentali del nostro tempo e della nostra esistenza.
Oggi viviamo il tempo del grande ritorno, che sfalda i percorsi e le costruzioni, ci riconduce all’origine quando la sostanza infinita della kabbala, o il
nulla della teoria del Big Bang, si ritirò. E dal suo
esilio nacque il mondo. Il nostro mondo è nato
dall’esilio e nell’esilio, dalla separazione e nella
separazione, dalla rottura e nella rottura, dalla
caduta e nella caduta, dall’imperfezione e nella
imperfezione.
Il nostro mondo è verosimilmente nato da una
sorta di accidente in seno ad un infinito senza
forma, né spazio né tempo. Di fatto, tutte le cose
di questo mondo comportano in esse la loro finitezza, la loro corruttibilità, la loro negazione. Sono
inseparabili dall’esplosione-disgregazione iniziale.
Muliere, come ognuno di noi, nel profondo spesso inaccessibile questo stato tende con una straordinaria tensione morale a portarlo alla luce come
condizione di senso della nostra esistenza.
Sviluppa un ponte, la pittura il segno la scultura,
come modi di dare emergenza alle forme nelle
quali è nascosto il mistero. Il mondo affonda in un
mistero inaudito, ma non si sa ancora che questo
mistero contiene la debolezza del reale. È qui che
ora si determina un processo di trasmutazione e
metamorfosi, di cui l’arte si prende un frammento,
un segmento, e in esso cerca di intravvedere la
forma che deve venire, la genesi e l’atto, quel
mondo immaginale, che dà visibilità a ciò che per
definizione è invisibile. Abbiamo qui una prima
linea di sperimentazione e di ricerca quando l’artista tende ad appropriarsi, tramite l’emozione che la
fa vivere, dei segni dell’esterno, in particolare di
quelle apparizioni sospese tra sogno-visione e realtà, di figure di donna. Il corpo, in particolare il
corpo della donna, è un campo cosmico. O forse
non sempre: talora è una terra sconsacrata, come in
attesa di gesto e di senso. Ma esso per quanto esasperato, come prigioniero non tradisce in alcun
24
caso un affetto o un moto troppo violento come se
del corpo di una donna non si dovesse mai disperare. Come se contenesse in sé tutte le forme e
tutti i possibili, il mistero della nascita, e il segreto
dell’amore. Tanto è racchiuso di enigma in un cosí
breve cosmo che è il corpo della donna. C’è in un
primo tempo della ricerca di Muliere, questa presenza che nella sua sensibilità di uomo del sud,
ritiene e configura un mondo di incantamenti
arcaici, che tende a trattenere nell’atmosfera di
alba, di teneri azzurri e rosa, come in un’eterna
infanzia, a cullare nel sogno di ritmi del tempo
sempre eguali, prima della separazione e del viaggio del proprio irraggiungibile destino.
Svuotandone la sostanza in altro sogno, in un
mondo parallelo, dove gli antichi corpi e paesaggi
si ritraggono in se stessi, come per nascondersi ma
invece occupano con determinazione la scena di
proiezioni fantastiche, di elementi che danno sul
nulla dell’origine ormai remota o perduta del
tutto: la vita per riaffermare se stessa, l’artista per
rivendicare la propria partecipazione alla creazione. La nostra immagine interiore è specchio, è avidità di possesso: un’avidità che strazia ed impegna
le molte persone della psiche. L’occhio interiore si
rovescia all’interno di se stesso dove si svela il
misterioso dell’essere e della pittura. Le figure del
quotidiano - luoghi persone cose - ci vengono
ancora incontro, indicano questa crisi del nostro
modo di rappresentarci, che ci arriva dal di fuori,
forse dal futuro.
In questo paesaggio di luce limpida è presente il
residuo di una esplosione iniziale. L’inizio e la fine
stanno in qualche punto di questo orizzonte,
all’estremo di un diametro cosmico. Come svelano questi quadri, l’eruzione, l’acqua, il fuoco, sono
nell’aria. Tra le brume di un mondo quasi notturno - le concrezioni - avviene un’esplosione di luce,
una forma appare nel magma dell’informe: è la
nascita stessa che si rivela come realizzazione di
realtà estrema.
L’esperienza dell’informale, soprattutto nella
forma della gestualità di Vedova e nella matericità
di Burri si saldano nel lavoro di Muliere ad una
nuova dimensione di visione che converge in una
sua autonomia, di emozione e di linguaggio, con
quanto di piú autentico e vero anima la ricerca
della transavanguardia, di Chia e di Cucchi, in
questo recupero viscerale del filo che dà emergenza al continente sconosciuto e inaccessibile del
profondo; dove è il legame e dove è depositato il
mistero.
Il rapporto tra l’uomo e l’evento è lo stesso che
fantastica l’oggetto del nostro eros: la vita, la luce,
il fuoco eruzione, dietro i quali sta la morte, ovvero la sparizione di tutto questo. Insorge, intenso
struggente un desiderio-urgenza estrema: il desiderio di proteggere il particolare - la venatura di
una foglia, un tronco, un corpo, un gesto, un
grumo soltanto di oscura materia - contro l’uni-
versale: la fugace tenerezza dei sensi, l’emozione
contro la marcia trionfante del distruttivo. Questa
dilatazione-distinzione della realtà, intesa come
mondo di esperienze in qualche modo consumate-affidate alla operazione artistica, implica la
coincidenza di nuove ipotesi di significato, di altre
valenze e altri valori. La linea che da Aspirazione si
sospinge al limite delle Concrezioni, è affermazione di realtà, disperata, sofferta come nel mondo
regolato dal pensiero debole, nella consapevolezza
della crisi dei fondamenti del mondo, rivelatrice
della sua imperfezione congenita, della sua incompiutezza, della sua degradabilità segno della debolezza della realtà.
Ma questa crisi che ha cancellato l’ordine ci ha reso
piú struggente il vissuto di ogni presenza; il desiderio di esistenza; ogni grumo di energia, ogni
impronta fino al recupero della memoria di ogni
elemento.
Con una tenacia radicata, nelle origini e nella scelta etica, Muliere oppone ad ogni segreto e ad ogni
mistero, questa sua aspirazione a trovare la collocazione giusta; e lo stesso naturalismo non esclude il
riferimento ad un universo, ma anzi ne è tramite
della trasfigurazione di ogni immagine in valore
simbolico, che tende con tutte le forze ad annullare la distanza, nel sogno-follia di Van Gogh, a ritrovare oltre il contatto la propria origine e la propria
destinazione finale. È qui che si determina il processo di trasmutazione, della materia e della vita,
segno, impronta di cui l’arte si appropria, e in essa
cerca appunto di intravvedere la forma che deve
venire, cioè il senso che valica ogni logica e si presenta come destino.
Elio Mercuri
Presentazione Monografia, MULIERE - La forma che
deve venire, Iconografia Ed., Roma
Biennale d’Arte della Spezia
1° Premio Internazionale ARTISTI PER L’EUROPA
- I GRANDI DELL’ARTE ITALIANA - LA SPEZIA 1990 CARMINE MARIO MULIERE
L
’artista si identifica con le sue opere dove c’è lo
sforzo del ritrovamento e il riconoscimento di
se stesso attraverso la dispersione del proprio io
nella molteplicità degli esseri e nelle variazioni
delle luci dell’animo.
Nel suo lavoro si ritrova sostanza piú che sogno,
un viaggio metafisico dell’inconscio dove l’uomo
nelle sua totalità viene inciso sulla tela ed ha la
sacralità di una testimonianza di fede; il colore non
esalta le masse della composizione, ma diventa
volume, forma vitale che sprigiona energia.
Nell’artista ci sorprende la coesistenza di una
estrema semplicità e di una estrema complessità:
semplicità nella resa poetica, complessità nella tecnica che valorizza gli incroci fulminei di immagi-
25
ni, di colori sovrapposti, come sovrapposte sono le
vibrazioni dell’anima nel canto solitario della vita.
Quella di Muliere è una pittura visionaria appena
sottolineata da graffiti di sogno, e si fa notare per la
sua personalità d’espressione cromatica e per la sua
sorprendente padronanza tecnica. Il colore è fragrante e sembra restare umido, è essenziale e insieme denso, povero ma può apparire anche sontuoso, fatto sta che i suoi rossi, blu celeste e viola,
hanno una novità di palpito, che è difficile ritrovare in altri.
Attraverso la sua opera cerca di raggiungere la pienezza del vedere, la saturazione, l’appagamento
che non lascia piú spazio ad altre cose; è un vedere totale, non il vedere l’oggetto. Ogni suo lavoro
tenta di essere l’accesso ad un senso di verità, al
pensiero, all’idea assoluta; il quadro sembra una
sorta di teatro dove qualcosa accade, cioè la rivelazione dell’invisibile.
In Muliere non c’è in effetti nessuna intenzione
rappresentativa: la pittura si dissolve nei singoli
aspetti della sua pratica illusionistica: la pittura
sembra sovrapporsi alla pittura, gli espedienti si
stratificano, le pennellate si intrecciano; l’opera di
Muliere è astratta dove però l’astrazione non è solo
un pretesto decorativo. L’artista insegue il filo di
un mito moderno di sobrietà e purezza espressiva,
teso al recupero del livello primario della esperienza creatrice; la lettura di queste opere dà inoltre
diverse percezioni prospettiche, mostra sospensioni che alleggeriscono la fruizione, crea un gioco di
rimandi continui tra pieni e vuoti, luci e ombre. La
ricerca di una gestualità controllata trova in queste
opere una maturità espressiva; buona è anche la
sobrietà della gamma cromatica, in uno sforzo di
essenzializzazione; una sintesi tra colore e rigore,
una compenetrazione fisica tra volume, segni e
luce. Il rapporto in queste opere tra concretezza
della forma e finzione della sua immagine viene
continuamente forzato e messo in un gioco di
riflessione infinito: l ‘ansia che si genera in questa
spirale di segni e di colori non è che il desiderio di
scoprire e capire l’essenzialità della vita.
Mirella Occhipinti
1990, La Spezia
Carmine Muliere, artista molisano alla corte di
Roma che non nasconde, anzi ne va fiero, le sue
origini - La “Concrezione” come attimo fuggente “Non vedo un’autentica discontinuità tra l’astratto e il
figurativo”
C
armine Muliere parla poco. E parla piano. È
un dato quasi simbolico della sua personalità
già rilevato dal critico - e poeta - Elio Filippo
Accrocca, che da sempre apprezza Muliere come
uomo e come artista; la sua è una voce discreta,
aliena dalle trombe della pubblicità come dai “con-
tratti” coi potentati politico-culturali; forse fin
troppo modesta.
È nato a S. Elena Sannita ed ha sentito presto l’arte, scoperto dalla sua maestra in un concorso di
disegno per i bambini delle elementari.
“La mia maestra - dice Muliere commosso - continua ad essere uno dei miei critici piú attenti e
costanti”.
Dopo le medie si trasferí nella Capitale dove vive
ed opera. Frequenti le mostre a Roma, Napoli e
altrove; molti gli articoli di encomio su importanti
quotidiani. Muliere è anche scultore e poeta, con
molti libri di versi alle spalle.
La sua non è arte facile, pur se estremamente varia:
vi sono nudi dolcissimi in riva al mare e figure
complesse, da sogno o da incubo, fino al magma
indistinto della pura astrazione, che sembra rappresentare il pensiero allo stato puro o - come egli
stesso dice - la Creazione ancor prima d’essere realizzata: è il caso delle “concrezioni” (lui stesso
conia il vocabolo) che sembrano voler fotografare
le vibrazioni dell’energia prima ancora che si faccia
materia. La piú alta vibrazione dell’astratto l’abbiamo a mio avviso in quel quadro dell’85 che ha per
titolo: “Il nulla non esiste” e che sembra inventare
lo spiraglio di una nuova luce e di un nuovo colore ai confini del buio universale.
Facevano invece pensare alle forme chiare ma surreali e simboliche di De Chirico le pitture degli
anni ‘70. Laddove oggi Muliere si avventura fino
alle estremità dello stilema, nella essenzialità del
solo inchiostro: nodi, linee, unite da chissà quale
afflato, simili a volte alle macchie degli esercizi psicanalitici.
L’autore ci dice: “In realtà non vedo un’autentica
discontinuità tra l’astratto e il figurativo; anche la
parola, prima di diventare parola, era un gesto, un
movimento, poi è venuto il graffito. L’immagine
può cogliere la parte finale del processo o uno solo
degli stadi: cosí puoi avere una figura nota o qualcosa di meno evidente. Se io disegno una foglia di
dice che è un quadro figurativo; se ingrandisco
l’immagine e metto sulla tela gli intrecci vitali della
foglia stessa o i movimenti dei protozoi; se dipingo l’infinitamente piccolo, allora si dice che il quadro è astratto”.
Chiediamo: “Come si sente un artista molisano a
Roma?”. Risponde: “Continua a sentirsi molisano:
i miei contatti coi molisani di Roma sono continui”. - Ricordi belli e brutti del Molise?
“Ricordo con piacere un giornalino del
Provveditorato, Il Piccolo Molisano, che organizzava bellissimi concorsi nelle scuole. Non credo
che oggi si faccia ancora. Il Molise mi sembra
meno attivo autonomamente, piú rassegnato e
quasi deciso a dipendere da altri o da altro. Esso
non è per niente inferiore culturalmente. Quelli
che restano in Molise dovrebbero riscoprire l’orgoglio d’uno stile di vita specifico e autonomo, ed
essere gelosi di quello stare quasi fuori del tempo,
26
invece di lasciarsi assimilare da altri contesti”.
Sono pienamente d’accordo. Sentite, Muliere, perché dipingete?
“Vi risponderò con Picasso: Io non cerco: trovo.
L’arte non dipende (soltanto) dall’artista”. - Cos’è
per Voi l’arte?
“Anche un impegno morale. Mi impegno personalmente a non esprimere nessun concetto senza
metterlo in pratica. La parola deve corrispondere
ad una scelta etica, che non ha nulla a che vedere
con il successo a tutti i costi...”.
- Spira un’ammirevole aria di ascesi da quel che
dite...
“Non è voluta. Penso che rinunciare a qualcosa sia
un modo per possedere meglio. Il piú grande ricco
è chi sa rinunciare a tutto”.
- Lo diceva anche Bossuet. Avete nominato
Picasso: qual’è il Vostro maestro? “La Natura. La
pietra, il filo d’erba che ho studiato con l’incanto
del bambino quand’ero ancora a S. Elena. In quegli elementi sono già tutte le espressioni che un
artista può sviluppare per evidenziare quello che
sfugge. Gli uomini quasi sempre camminano
senza vedere. E spesso non sanno neppure perché
camminano”.
Sergio Sammartino
IL TEMPO - MOLISE CULTURA, domenica 5
agosto 1990, Agnone
CARMINE MULIERE, In-finito attuale
L
a lunga ricerca artistica affrontata da anni da
Carmine Muliere, attraversata da influssi figurativi, da momenti scultorei, lo ha condotto ad una
maturazione linguistico-formale di chiara impronta informale. L’ “In-finito attuale” qui presentato è
una opera in cui vi è un rimando strutturale agli
antichi mosaici, dove le tessere che lo compongono appaiono, per la secchezza della materia adottata, come scalfite da un tempo metastorico, evocato, peraltro, dal titolo stesso. Le forme-concrezioni che si espandono dai fondi di acetato trattato,
simili a croste parietali, a “coupures” rocciose,
sono la rappresentazione di un immaginario arcaico, sedimentato negli strati profondi dell’essere e
affiorante nella informe imprevedibilità cromatica.
L’utilizzo dell’acetato, se da una parte attutisce il
portato materico esaltandone però la sua variazione luministica, dall’altra attribuisce all’intera opera
una dimensione oggettuale rivolta alla conquista
dello spazio circostante, sintomo, forse, di una sofferta e cercata aderenza alla realtà contemporanea.
La schematica composizione a griglia è realizzata
da 120 tessere di acetato di cm. 25×35 ciascuna,
unite tra loro da anelli di plastica trasparente.
Teresa Macrí
Presentazione al Picasso cafè aprile-maggio 1990, Roma
PITTORI MOLISANI A ROMA, Carmine Muliere
ha esposto di recente al Picasso cafè
“
L’informale” Muliere di oggi, autore delle 120
tessere del grande mosaico esposto alla galleria
Picasso di Roma, non ci sorprende, perché una
segreta tendenza all’informale è stata sempre, in
nuce, presente nella stessa esperienza figurativa del
nostro artista. A prima vista ti si affollano dinanzi
trasparenze di acque lacustri disseminate di ninfee,
strascichi di colori aurorali, ipotesi di Galassie,
esplosioni astrali, liquefazioni sanguigne, che la
squisitissima pittrice belga De Bruyne, ricca di
talento, ma povera di critici d’arte col becco puntato su piú sostanziosi pasti, intitolerebbe “ascoltando Mozart”, carbonizzazioni di corpi umani e
vegetali, iridescenze ectoplasmatiche, oscure radure boschive, sarabande di vegetali e di animali sottomarini ed altro ancora; ma in questo apparente,
programmato caos si rintraccia il filo di un discorso da tempo avviato da Muliere: la problematicità
di “Domande” del ‘76, di “Uomini” del ‘77, degli
splendidi “Nudi” virtualmente informali del ‘73 e
del ‘76 anticipa la problematicità di queste ultime
composizioni che potrebbero intitolarsi:
“Domande alla luce e alla materia”. Sembra che
Muliere abbia a lungo meditato in questi ultimi
anni sulle pagine de “Il Cantico dei Quanti” di
Ortoli e Pharabod, che ipotizzano con la dissolvenza della materia l’esplosione di un’energia vitale ed espressiva nuova, l’energia della luce e dello
spazio: “Il nulla non esiste” è il titolo di una composizione dell’85 dell’artista molisano, che sembra
mettere tutto in discussione alla ricerca di un
segno di vita al di là della materia, dentro la materia stessa; è una pittura quella di Muliere che offre
a chi la guarda gli strumenti piú inopinati per articolarla e disarticolarla a propria discrezione e a
proprio piacimento, agitarla come un caleidoscopio per ricavarne le piú imprevedibili e opinabili
figurazioni, reinventarne le funzioni degli oggetti
com’era nell’auspicio di Duchamp, fiducioso nel
completamento ideale dell’opera d’arte operabile
da parte del fruitore. Se fossi seguace del burocratismo critico dei maniaci del reperimento delle
ascendenze, potrei argomentare che certe ondate
di mari surreali, ad esempio, di Muliere rimandano ai terrificanti marosi di Hokusai o di Turner,
certe puntinistiche panoramiche alle figurazioni
spaziali di Lucio Fontana, certi sfilacciati, evanescenti paesaggi agli “Studi di marina” di Constable,
certi “Monotipi” dell’86 alle illustrazioni urbanistiche di Joanne o ai reticoli del “Circus trasfigured” di Mark Tobey e, perché no, alle figurazioni
gerocliptiche di Pollok; e “Spessore trasparente”
dell’85 non ci richiama forse alle apparenti ripetitività strutturalistiche di Capogrossi ? Le analogie,
quando non si tratta di plagio, non infirmano il
valore estetico dei testi: il dannunziano “sopracciglio della giovinetta”, pur essendo un’allegoria
27
della luna presente nell’antica poesia popolare
armena, non è un plagio; contano i contesti poetici nei quali una stessa immagine acquista suono e
vita diversi. La cultura è talmente interiorizzata e
personalizzata in Muliere che persino la tanto
deprecata liricità pittorica che, secondo Luigi
Tallarico renderebbe labile l’impianto costruttivo,
diventa strumento di penetrazione nelle cose e di
sintonia delle cose con l’inconscio o l’ineffabile. È
precisamente il dramma di questo tentativo di
penetrazione e di sintonizzazione che vitalizza,
modernizza e universalizza tutta l’opera di
Carmine Muliere.
Giuseppe Jovine
Forche Caudine, 18 luglio 1990, Roma
LORENZO IL MAGNIFICO
12 incisioni all’acquaforte + acquatinta eseguite da
Carmine Muliere per “Iconografia poetica: una storia
della poesia italiana dal’200 ad oggi”, collana diretta da
Elio Mercuri per la Grafica d’Arte Lombardi, Roma.
S
iamo abituati a considerare Lorenzo il
Magnifico spirito grande della politica e della
diplomazia quasi incarnazione e simbolo di
un’epoca, il Rinascimento di una città mirabile,
Firenze, di una cultura e civiltà che ha segnato un
tempo assai significativo della storia dell’uomo in
un’unità di motivi che come nel mirabile ritratto
del Vasari o nel busto del Verrocchio ce ne rendono la figura avvolta in un suo insondabile enigma.
La sua poesia ci appare come qualcosa non piú
marginale nella sua complessa attività, di diplomatico, di politico, di statista, di banchiere capace
sempre di tessere la trama opportuna per la realizzazione di un fine che era poi il segno di un’idea.
Era un aspetto della certezza del valore di unità
delle attitudini e delle azioni dell’uomo, di questa
aspirazione alla totalità, all’equilibrio se non all’impossibile per l’uomo armonia della e nella vita.
Esperienza necessaria per l’uomo di stato e politico, ormai liberata dalla severa condanna del De
Sanctis che la vedeva opera di corruzione del
popolo, nella quale trovare la propria umanità, solo
la cultura e la poesia e l’arte possono dare alla
nostra spiritualità pienezza e quindi spogliare l’esistenza di tutto quanto non è essenziale e quindi
raggiungere quel distacco, la sottile ironia che ci
rende possibile collocare le vicende del vivere nella
dimensione assoluta della storia e del cosmo.
Nei pochi versi della ballata piú celebre “Quanto è
bella giovinezza...” come in tutta la sua produzione poetica noi sentiamo la adesione a questa idea e
al tempo stesso l’eco di una profonda malinconia.
Su tutto domina il senso di questa malinconia persino nello sfrenarsi dei canti carnascialeschi quando il riso e la beffa prevalgono è che Lorenzo è tutt’altro che astratto in una sua visione di sogno e di
immaginazione. Ci appare sempre piú sensibile
interprete del suo tempo, un tempo che solo
un’impropria prospettiva romantica può snaturare
a mito di un’età dell’oro. Età dell’oro non esistono
se non nella poetica speranza dell’uomo o nella sua
elegiaca rimembranza di un sogno; non esistono
nel passato, né per il futuro.
Il tempo di Lorenzo fu drammatico quanto pochi,
percorso da tensioni e passioni; da violenza e guerra; forse mai come allora, bastava il pugnale o il
segreto veleno, una congiura o un agguato; la vita
anche quella dei grandi, era vulnerabile e precaria;
insidiata dall’esilio e dall’intrigo, dalla morte
nascosta dietro l’angolo di una strada o avvolta nel
velo della notte. Al di là delle luci e degli ori, dello
splendore delle vesti, persino nelle immagini di un
pittore celebrativo come il Ghirlandaio si immaginano, per la stessa aderenza dei ritratti, queste
ombre e sottili, quasi impercettibili, incertezze per
non dire di altre intimamente connesse al mistero
stesso dell’esistenza.
I canti del Magnifico, i canti del Poliziano non
sono estranei dal senso di questa malinconia dall’intimo dei versi erompe in colori di una purità
primaverile floreale la visione ma anche le è compagna la sensazione struggente della fugacità della
vita: “ben venga maggio”, rammentiamola siamo
presi nel coro festoso dei giovani, tra rami fioriti,
che già l’incantesimo si spezza, è anch’esso un coro
che va e si dilegua. C’è dunque dentro questo inno
all’attimo fuggente di Lorenzo la lucida coscienza
della precarietà di ogni potere e gloria, che assumeva nella memoria il destino del fratello Giuliano e
svelava il rischio e la minaccia che incombeva sull’ideale aspirazione alla bellezza e alla perfezione,
quando il neo-platonismo si risolve nella malinconia della bellezza di Botticelli o piú tardi nell’inappagata meditazione di Michelangelo che troverà
espressione proprio nelle tombe medicee. La vita
come opera d’arte, lo stato come opera d’arte che
proprio in Lorenzo sembrava avessero trovato
naturale incarnazione cedono in questi versi al
senso di una invalicabile solitudine. Allora “L’ago
della bilancia d’Italia” si trova con se stesso e il
momento dionisiaco irrompe come da Tiaso di un
antico sarcofago a turbare le plaghe della memoria
e dell’anima.
Muliere nelle sue incisioni vive la poesia di
Lorenzo con la sensibilità acuita dall’interrogazione sul presente, come ansia a tradurre quelle
immagini di malinconia e di liberazione in modi e
figure di esistenza che il ricordo di un tempo di
grande civiltà figurativa incarna non nostalgia ma
inattualità di valori. Allora il Magnifico ci appare
tale non soltanto per le sue arti, di governo e di
diplomazia ma per la segreta umanità che lo spinge con amore a cercare la poesia questo desiderio
di felicità nonostante nelle incisioni il tratto nitido
sfuma in questa ombra che spegne la festa e trasfigura l’immagine da realtà a fantasma e visione di
28
sogno, “del diman non c’è certezza”.
Elio Mercuri
Cenni esplicativi per le incisioni del Libro-cartella
dedicato a Lorenzo il Magnifico
L
orenzo il Magnifico (1449-1492) è il cardine
della civiltà fiorentina del suo tempo.
Un’epoca colma di motivi etici volti alla problematica sociale e all’organizzazione politica e carica
anche di sentimenti densi della cultura classica che
intravedono una Humanitas in cerca di un possibile sviluppo nella vita civile. Contemporaneamente
si evidenza la sfiducia nell’azione dell’uomo e si
prende coscienza dei suoi limiti e questo propende
al disinteresse per la vita politica. L’arte e la cultura
esprimono un desiderio di evasione dalla vita reale
per cercare un mondo di pace e serenità nel quale
l’animo possa trovare ideale seppur illusorio appagamento.
Michelangelo iniziò nella bottega del Ghirlandaio,
poi nei giardini di san Marco, dove per volere di
Lorenzo erano state radunate statue antiche che
servissero di modello ai giovani. L’insegnamento
era presieduto da Bertoldo, discepolo di
Donatello. Ma la scuola decisiva per Michelangelo
fu Lorenzo che subito lo conobbe “d’ingegno e di
iudicio” e lo trattenne presso di sé “né altrimenti
trattandolo che da figliuolo” e lo volle alla sua
mensa “alla quale, come d’un tal’uomo, sedevano
ogni giorno personaggi eccezionali: Poliziano,
Landini, Ficino, Pico della Mirandola, Pulci,
Benivieni, tutti insigni rappresentanti di quell’umanesimo che dall’antico avevano tratto norme
di pensiero, di vita e di arte per giungere nello stadio della sua prima maturità, ad una nuova ed originale comprensione.
Per la prima acquaforte ho scelto Villa Medici di
Careggi perché fu ricostruita per Cosimo il
Vecchio, nonno di Lorenzo e fondatore del dominio della sua famiglia in Firenze.
2) Dal poema “Comento” e con questa immagine
penso d’aver colto il momento che unisce lo spirito e la materia: il triangolo dei fiori in alto si concretizza nella candidissima mano della Venere del
Botticelli.
3/4/5) Il Botticelli dipinse per Lorenzo la
“Primavera” e “La nascita di Venere” (10)con la
quale si chiude la raccolta e che rappresenta l’ideale femminile per Lorenzo che desidera “o di
sognarla in eterno, o che sia un sogno verace confermato dalla realtà. Gli Antichi pensavano che i
sogni fallaci uscissero dagli Inferi attraverso una
porta d’avorio, mentre da una porta di corno quelli veraci”.
5-7) Entrambe sono commentate nelle note del
libro.
8-9) L’Aurora e il Crepuscolo, le due statue della
tomba di Lorenzo, Cappella di San Lorenzo ese-
guite da Michelangelo.
Secondo il Varchi ed il Vasari, Michelangelo volle
eternare le glorie della famiglia Medici. Per altri
l’interpretazione va rapportata sia con la situazione
politica all’inizio del secolo XVI, sia con la letteratura religiosa del tempo, sia con la poesia dei canti
carnascialeschi.
Per il Tolnay, invece Michelangelo vorrebbe adombrare il concetto neoplatonico dell’anima umana
che liberata dal peso del corpo di cui era prigioniera, ritrova la sua vera essenza nel mondo celeste dal
quale deriva. Allegorie e figure devono poi essere
messe in rapporto con la Madonna che, nel suo
profondo sentimento materno, irraggia, invece,
l’intensità del sentimento umano della vita.
A questi autorevoli giudizi si aggancia il mio che si
inserisce nella centralità del pensiero di Lorenzo e
di Michelangelo: ognuno di noi può trovare il proprio centro dentro se stesso.
L’aurora prelude il giorno, il crepuscolo la notte:
noi non sappiamo come sarà ma possiamo immaginarlo affinché possa essere come vogliamo che
sia se ci sarà concesso.
Carmine Mario Muliere
dicembre 1990, Roma
ARTE E DINTORNI
“DIMENTICARE È SEMPLICE...”
“
DIMENTICARE è semplice per chi non deve
farlo”. Questa riflessione, che leggo in un ormai
vecchio libro (del 1978) di Carmine Muliere, pittore e scultore molisano, è quella che mi restituisce nel modo piú completo la personalità di questo
artista, quale l’ho conosciuto in un recente breve
incontro. Non so perché: la frase non è di quelle
scolpite, non ha un valore storico, non è altisonante. Ma colpisce per la sua capacità di denudare la
verità, mettendo allo scoperto un pensiero che
sembra ovvio e che invece lascia trapelare una
intuizione profonda, che va alle radici della nostra
essenza umana.
Una sensibilità attenta, ammantata di semplicità:
questa è la personalità di Carmine Muliere che
ritrovo in quella frase spontanea e rivelatrice. Ma
semplicità di atteggiamenti e di comportamenti
non significa semplicità di pensiero e di impegno
artistico. E il nostro, infatti, dipinge, scolpisce,
scrive poesie, detta riflessioni. Dice di lui Elio
Filippo Accrocca, nella presentazione di “Natura e
radici”, una singolare raccolta delle immagini delle
sue opere e dei suoi versi di alcuni anni fa: “usa
parola e colori, penna e pietra, alfabeto e oli, sintassi e legni, verbi e incisioni, per dare di sé una globale dimensione d’artista”.
Un piú recente documento artistico e letterario
sull’artista isernino è “Muliere, la forma che deve
venire”, un libro ricco di testimonianze, di contri-
29
buti di critica e di documenti di cronaca, che offrono uno spaccato molto significativo della complessa personalità di Muliere pittore-scultore-incisore.
E poeta. Un uomo che vive in modo composto un
interiore intenso affanno che lo spinge incessantemente a frugare tra le pieghe dell’anima e nei
risvolti continui dell’esistenza, alla ricerca delle
infinite perle nascoste - un pensiero, una frase, una
immagine - che danno allo spirito alimento e stimolo. E che, nel nostro distratto “quotidiano”,
perdiamo sempre piú di vista, lasciando spoglia e
insipida la nostra giornata.
Boris Fischetti
Giornale di Agricoltura, anno 101, agosto 1990,
Roma
Wiedereröffnung in einem neuen Domizil - Die
Hanauer Galerie Thekla mit Arbeiten von
Renzullo und Muliere wieder dabei, (rz)
(foto v.G.), HANAUERAUERZEIGE, sabato 23
maggio 1992, Hanau.
Neueröffnung Galerie Thekla: Gabriele Renzullo
und Carmine Muliere haben mit Skulpturen und
Bildern Kontrast zu postmodernen Gebäuden
geschaffen - ‘KUNSTGENUß BEIM BLICK
AUS 112 FENSTERN’, Jutta Rippegather
sabato 23 maggio 1992, Frankfurter Rundschau,
Francoforte sul Meno.
KULTUR - Kunst - vorgedacht und verspielt Bildauer Gabriele Renzullo und Maler Carmine
Muliere stellen in Hanauer Galerie aus, Ernst
Buck, OFFENBACH-POST, mercoledí 3 giugno,
Offenbach/Main.
Nach einer mehrjährigen - offenbar kreativen Pause hat die Galerie Thekla in der FriedrichEbert-Anlage 11 b neu eröffnet. Die erste
Ausstellung bestreitet der Bildhauer Gabriele
Renzullo und sein Landsmann Carmine Muliere.
Unsere Bilder zeigen links eine der
Freiluftplastiken Renzullos und rechts eine
Fensterngestaltung von Muliere. Fotos: v. G.
Wiedereröffnung in einem neuen Domizil Die
Hanauer Galerie Thekla mit Arbeiten von
Renzullo und Muliere wieder dabei.
Hanau (rz).
er erste Versuch begann im Januar 1984 und
dauerte gut drei Jahre: Die Galerie Thekla
brachte “frischen Wind in die Hanauer
Galerienlandschaft”, wie es Altbürgermeister
Strecke einmal bei einer Ausstellungseröffnung in
den Räumen in der Mühlstraße formulierte.
Gegründet in einer Zeit, da die Hanauer
Galerienszene äußerst lebendig war, waren nicht
nur die Räumlichkeiten außergewöhnlich, son-
D
dern auch das Konzept.
Im Foyer und den Wartezimmern einer Arztpraxis
eine Galerie als eigenständige Einrichtung zu
unterhalten und dabei auch noch programmatisch
Wege zu finden, die den bis dahin üblichen
Rahmen überschritten, mußte fast erfolgreich
sein.
Letztlich waren es aber gerade die Räumlichkeiten
in der Mühlstraße, die auf Dauer nicht mehr den
Ansprüchen des Galeriekonzepts entsprachen.
Dies wird deutlich, wenn man jetzt die neue
Galerie Thekla ansteuert. Untergebracht wiederum in Verbindung mit der Arztpraxis im Haus
Friedrich-Ebert-Anlage 11 b wird schon bei der
Annäherung deutlich, daß es in der Tat neue
Dimensionen sind, die sich auftun. Zwischen
zwei, leicht postmoderner Architektur verpflichteten Bauten ist auf einer Freifläche Raum für große
Freiluftplastiken.
Diese zeigt dann auch ein aus früheren TheklaZeiten nicht unbekannter Künstler: Gabriele
Renzullo. War er bei seiner Ausstellung in der
Mühlstraße auf kleine Formate zwangsläufig
festgelegt, so kann er jetzt mit seinen
Freiluftplastiken “in den Raum” gehen. Die
Wirkung ist frappierend, wie sich im Vergleich
zeigt. Kunst am Bau ist vielleicht zuviel gesagt für
das, was der zweite Künstler der Eröffnungsausstellung in dem von dem Hanauer Architekten
Haenlein entworfenen Gebäude beisteuert. Doch
genau für dieses Haus hat Carmine Muliere die
farbige Gestaltung der Fensterflächen mit transparenten Kunststofftafeln übernommen, die im
organischen Formund Farbspiel die Kühle der
Architektur kontrastieren, dezent und wohlabgestimmt.
Die neue Galerie Thekla soll, so die Galeristin
Thekla Wildgrube, wieder ein Faktor im Hanauer
Kulturleben werden, dazu werde man von nun an
mit den neuen Möglichkeiten ein kontinuierliches
Ausstellungsprogramm bieten.
Daß man den Kulturbegriff dabel nicht allein auf
die bildenden Künste beschränken will, signalisierte bei der Vernissage eine kürze Dichterlesung
von Paul Gerhard “Hadayath Ullah” Hübsch mit
“Gedichten gegen den Haß”. Eine Premiere sollte
auch die Aufführung von Dieter Oehms
“Raumsequenzen”, vier eigene Stücke für Piano
solo, sein doch konnte dieser Auftritt aus technischen Gründen zur Vernissage nicht stattfinden.
Er wird aber nachgeholt.
Hanaus Oberbürgermeister Hans Martin hatte es
sich nicht nehmen lassen, der Neueröffnung der
Galerie Thekla durch seine Anwesenheit die Ehre
zu geben. 1984 hatte er anläßlich einer
Ausstellungseröffnung in der alten Galerie darauf
hingewiesen, daß Kultur stets eine breite Plattfonn
brauche.
Seine Worte von damals gelten heute gleicherrnaßen. Und mit der Neueröffhung der Galerie
30
Thekla ergibt sich eine weitere Facette des
Hanauer Kunstlebens, der man Erfolg wünschen
muß und vor allem auch Ermutigung durch eine
wohlwollende Unterstützung durch die
Kulturverwaltung. Dies indes sicherte Hanaus,
Oberbürgermeister zu.
Die Galerie in der Friedrich-Ebert-Anlage 11 b
(hinter der Aral-Tankstelle) ist montags bis freitags
von 11 bis 13 Uhr, montags, mittwochs und donnerstags von 16 bis 18 Uhr geöffnet. Weitere
Termine können unter der Telefonnummer 93 77
50 vereinbart werden.
HANAUERAUZEIGE, samstag 23 Mai 1992 /
Seite 6 - Hanau
Dopo una “pausa creativa” di diversi anni, riapre la
galleria Thekla nella Friedrich-Ebert-Anlage 11b.
La prima mostra è dello scultore Gabriele
Renzullo e del suo connazionale Carmine
Muliere. Le nostre fotografie mostrano a sinistra
una delle sculture di Renzullo e a destra un lavoro
apposto alla finestra di Carmine Muliere.
RIAPERTURA AL NUOVO DOMICILIO
La galleria Thekla di Hanau con i lavori di
Renzullo e Muliere di nuovo in scena
Hanau (rz)
l primo approccio cominciò a gennaio del 1984 e
durò ben tre anni: la galleria Thekla portò “vento
fresco tra le gallerie di Hanau” come dichiarò l’allora
sindaco Streke all’apertura di una mostra nella
Mühlstraße. Fondata in un periodo fiorente per le
gallerie di Hanau, non solo lo spazio, ma anche il
concetto era al di fuori del normale. Nell’atrio e
nelle sale d’aspetto dello studio medico si sviluppava la galleria che trovava metodi al di là dell’attività normale, quindi già predisposta ad avere successo. Infine furono proprio gli spazi della vecchia
galleria a non poter piú soddisfare le esigenze che
crescevano man mano. Ciò diventa chiaro quando
si osserva adesso la nuova galleria. Di nuovo incorporata nello studio medico, mostra subito nuove
dimensioni. Tra due edifici postmoderni c’è uno
spazio per le sculture. In questo spazio espone un
artista già conosciuto dalla galleria Thekla:
Gabriele Renzullo. Per la mostra nella Mühlstraße
dovette limitarsi a sculture di piccolo formato,
adesso invece può dilatarsi nello spazio. L’effetto è
straordinario.
Arte integrata nell’architettura è detto troppo per
quello che presenta il secondo artista nella casa
ideata dall’architetto di Hanau, Haenlein.
Proprio per questa casa Carmine Muliere ha creato, su fogli trasparenti, un gioco organico di forme
e colori, un contrasto decente e ben equilibrato
con la fredda architettura.
La nuova galleria deve, cosí la gallerista Wildgrube,
essere una determinante nella vita culturale di
Hanau e con le nuove possibilità, offrire un pro-
I
gramma costante. Che il concetto di cultura non si
limita solo alle arti figurative lo dimostra la corta
lettura di testi inediti dello scrittore Paul Gerhard
“Hadayath Ullah” Hübsch: “Poesie contro l’odio”,
durante
l’inaugurazione
della
mostra.
Un’anteprima avrebbe dovuto essere l’esibizione
di Dieter Oehm: “Sequenze spaziali” 4 sonate per
piano solo, ma non è stato possibile per motivi tecnici. Verrà fatto in un secondo momento. Il sindaco di Hanau Hans Martin non si è lasciato sfuggire l’occasione di dare l’onore della sua presenza.
Nel 1984 aveva fatto notare che la cultura ha bisogno di un ampio raggio. Le parole di allora sono
valide ancora oggi. Con l’apertura della nuova galleria si apre un nuovo spiraglio nella vita culturale
di Hanau. A ciò si deve augurare successo e appoggio dalle autorità competenti, rassicura il sindaco
di Hanau.
(RZ), HANAUERAUERZEIGE, 23 maggio
1992, Hanau
Neueröffnung Galerie Thekla: Gabriele Renzullo
und Carmine Muliere haben mit
Kunstgenuß beim Blick aus 112 Fenstern
Die Ausstellung in der Friedrich-Ebert-Anlage 11
B ist noch bis zum 20. Juni zu sehen
{Didascalia della fotografia: Der sich ewig wandeinde Blick aus dem Fenstern: “Un-endlich
aktuell” nennt Carmine Muliere sein
Gesamtkunstwerk aus Transparenzbildern. (FRBilder: Benno Grieshaber)}
H
ANAU. Der Gegensatz könnte kaum krasser
sein: Und dennoch wirken sie nicht wie
Fremdkörper, die archaischen Skulpturen zwischen den beiden postmodernen Geschäft shäusern in der Friedrich-Ebert-Anlage 11.
Zur Neueröffnung der Galerie Thekla haben
Gabriele Renzullo und Carmine Muliere das
gesamte hintere Gebäude in Beschlag genommen.
Der eine mit seinen Holz ufid Bronzesckulpturen,
der andere mit seinen Transparenzbildern, die den
Blick durch sämtliche 112 Fenstern verfremden.
“In-finito attuale”, un-endlich aktuell, nennt
Muliere das aus 3340 Einheiten bestehende
Kunstwerk. Ein jedes Einzelteil stellt ein Unikat
dar, eine andersfarbige Schau auf die Dinge, auf
die Stadt. Bevor er im November mit dieser Arbeit
begann, sammelte der in Rom lebende Künstler
intensiv Eindrücke von dem Ambiente, von dem
Standort für das geplante Gesamtkunstwerks. Für
das un-endlich aktuelle, das das Lebmen darstellt,
die “ewige Sache aus verschiedenen Sachen” - und
dennoch eine Einheit bildet, die bis eine
Unendliche reicht.
Aus jeweils zwei Folien bestehen die Rechtecke,
zwinchen denen der 42 jährige individuelle
Mixturen aus Klebstoff, Glasfarbe, Stoffarbe und
Tempera aufeträgt: Künstliche Aquarien, die er
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mittels runder Plastikringe zu großen Einheiten
zusammenfügt. Seit sieben Jahren entwikkelt
Muliere diese ungewöhnliche Technik: “Das ist
für mich Malerei, Skulptur und Grafik zusammen.”
Seine Kontakte nach Hanau knüpfte er über den
in Offenbach lebenden Landsmann Gabriele
Renzullo. Er hatte ihn im vergangenen Jahr bei
einer Austellung italienischer Küstler in der
Galerie Amadei in Frankfurt kennengelernt.
Muliere konnte sich für das Projekt in der “Galerie
Thekla” begeistern. Für ein Gesamtkunstwerk in
enger Zusammenarbeit mit Renzullo.
Der präsentiert eine umfangreiche Schau seiner
Skulpturen, die auf den ersten Blick wie
Indianerkunst wirken. Insbesondere die Werke aus
Eichenholz: Um einen großen stilisierten
Menschen tanzen acht kleinere Figuren.
“Handwagen” heißt das Objekt auf vier umbewegbaren Rädern. Auch hier reduziert der Italiener die
Darstellung des Menschen auf die für ihn wichtigsten Teile: Den Kopf als befehlendes Organ, das
Auge als Licht zur Welt und die Hände, die ausführenden Organe. Je dichter diese drei wichtigen
Elemente aneinanderliegen, umso erreichbarer ist
die Einheit, meint der Künstler. Und hier setzt
seine Sozialkritik ein: Je mehr ein Mensch ohne
ein Zusammenspiel dieser drei Kräfte arbeitet,
desto stärker wird er von sich entfremdet und
damit manipulierbar.
“Arte digiuna” - nüchterne Kunst - nennt der
Wahl-Offenbacher seine Werke. Die “reale
Erscheinung der Materie” den “Ist zustand” müsse
der Künstler akzaptieren.
“Die Nüchternheit dieses Zustands wird so zum
Gegenstand und spricht eine einfache Sprache.”
Darüberhinaus beschreibt der Begriff “digiuna”
aber einen Teil des Dünndarms, durch den - im
Krankheistfall - der Mensch künstlich ernährt
werden kann. “Kultur ist anfällig” sagt der aus
einem Ort nahe Neapel stammende Bildhauer.
“Sie ist nicht krank, aber auch nicht gesund.”
Kunst stellt für ihn den Mund dar, der “die
Weltkultur” ernährt.
Die Ausstellung in der Galerie Thekla, FriedrichEbert-Anlage 11B, ist bis zum 20. Juni zu sehen.
Die Öffnungzeiten: Montag, Mittwoch und
Donnerstag von 16 bis 18 Uhr, außerdem nach
telefonischer Vereinbarung unter der Rufnummer
937750.
Jutta Rippegather
Frankfurter Rundschau, samstag, 23 Mai 1992,
Hanau
PIACERE
ARTISTICO
OSSERVANDO
ATTRAVERSO 112 FINESTRE
L
’opposto non potrebbe essere piú evidente,
eppure non sono affatto estranee le sculture
arcaiche tra gli edifici postmoderni della FriedrichEbert-Anlage 11b. Per la riapertura della galleria,
Gabriele Renzullo e Carmine Muliere si sono
impossessati di tutto l’edificio retrostante. L’uno
con sculture in legno e bronzo e l’altro con i suoi
lavori trasparenti, che estraneano lo sguardo attraverso tutte le 112 finestre. “In-finito attuale”, unendlich aktuell, chiama Muliere le 3340 tessere
che compongono l’opera d’arte. Ogni tessera rappresenta un’unicum; un’altro modo di vedere le
cose e la città. Prima di cominciare il lavoro, nel
mese di novembre 1991, l’artista che vive a Roma,
ha raccolto le sue impressioni intensive dell’ambiente e del posto dove doveva poi essere collocata
l’opera d’arte totale: l’In-finito attuale che rappresenta la vita, “l’eterna cosa da diverse cose” e che
oltretutto forma un’unità che raggiunge l’infinito.
Di due fogli sono composti i rettangoli tra i quali il
42enne stende la sua tecnica mista personale, composta da colla, colori per il vetro, stoffa e acrilici:
acquari artificiali che lui collega con anelli di plastica facendoli diventare una grande unità. Da sette
anni Muliere sviluppa questa tecnica non usuale:
“Per me, questa è contemporaneamente pittura,
scultura e grafica”. I suoi contatti con Hanau li ha
stabiliti tramite il connazionale Gabriele Renzullo
che vive ad Offenbach. L’ha conosciuto anni addietro in una mostra di artisti italiani nella galleria
Amadé di Francoforte. Muliere si è potuto entusiasmare per il progetto della “Galleria Thekla”, per la
sua opera d’arte totale tenendosi in stretta collaborazione con Renzullo. Questi presenta una vasta
gamma delle sue sculture, che a prima vista danno
una sensazione come la dà l’arte indiana.
Specialmente le sue opere in legno di quercia:
intorno ad una grande persona stilizzata, ballano
otto figure piccole. “Carro a mano” si chiama l’oggetto su quattro ruote immobili. Anche qua riduce
l’italiano la raffigurazione dell’uomo ad elementi
per lui essenziali: la testa come organo direttivo,
l’occhio come la luce sul mondo, e le mani, organi
esecutivi.
Quanto piú vicini sono questi elementi, tanto piú
è raggiungibile l’unità, afferma l’artista. E qui inizia la sua critica sociale: piú l’uomo lavora senza un
effetto complessivo di queste tre forze, piú si estranea da se stesso ed è soggetto a manipolazioni.
“Arte digiuna” - nüchterne Kunst - chiama l’offenbacher per scelta le sue opere. “L’apparizione reale
della materia”, lo “Stato dell’è” dovrebbe essere
accettato dall’artista. “La sobrietà di questo stato
diventa contenuto e parla un linguaggio semplice”.
Oltretutto il concetto “digiuno” descrive una parte
dell’intestino tenue, attraverso la quale l’uomo
può, in caso di malattia, essere nutrito artificial-
32
mente. “La cultura è malaticcia” sostiene lo scultore proveniente dalle vicinanze di Napoli. “Non è
malata, ma nemmeno sana”. L’arte rappresenta per
lui una bocca attraverso la quale la “cultura mondiale” si nutre.
Jutta Rippegather
Frankfurter Rundschau,
Francoforte sul Meno
23
maggio
1992,
OFFEMBACH-POST, NR. 128 MITTWOCH,
3. JUNI 1992, SEITE 7
KULTUR
K
unst - vorgedacht und verspielt. Bildhauer
Gabriele Renzullo und Maler Carmine
Muliere stellen in Hanauer Galerie aus.
Nur selten findet ein Bildhauer soviel Raum im
Freien, um seine Arbeiten vorzustellen, wie in der
neu eröffneten “Galerie Thekla” in Hanau.
Inmitten eines neu erbauten Gebäudekomplexes
wurde ein Hof belassen.
Auf ihm kann der in Offenbach lebende Bildhauer
Gabriele Renzullo den größten Teil seiner insgesamt 15 plastischen Arbeiten ausstellen: großformatige Skulpturen, vorwiegend aus Holz, einige
in Bronze oder Marmor.
Die wuchtig und urtümlich erscheinenden bildhauerischen Arbeiten Renzullos bezeugen wesentliche Denkarbeit des Künstlers, bevor er an sein
Material Hand anlegt. Der Künstler ist sein eigener Philosoph. Seine im Katalog niedergeschriebenen Gedangen verweisen auf einen “Istzustand”
der Materie, den der Künstler zu respektieren versucht. Auch die Kunst “ist”, und sie “ermöglicht
ihm das Zustandekommen der Einheit zwischen
Denken und Sein”.
Erfreulicherweise bewahrt den Künstler sein
mediterranisches Lebensbewußtsein davor, sich in
der künstlerischen Praxis allzu sehr einem Ästhetizismus oder gar Mystizismus hinzugeben: Die
elementare Gebärdensprache der Skulpturen
spricht den Betrachter unmittelbar an. Hier
kämpft ein Künstler wie ein Titan gleichermaßen,
mit und für die Materie, um sie in jene Form zu
zwingen, die er ihr zugedacht hat, stets den
Menschen im Sinn und doch auch über ihn
hinausweisend. Mit Renzullo zusammen stellt der
in Rom lebende Maler Carmine Muliere in der
“Galerie Thekla” aus. Er bedarf keiner Freihöfe,
um seine Arbeiten zu zeigen. Im Gegenteil, sie
sind für Innenräume geschaffen in ihrer
Transparenz und Verletzbarkeit.
Muliere bedient sich bei seinen abstrakten Werken
einer besonderen Technik: Auf eine durchsichtige
Folie werden lasierende Farben aufgetragen, dann
eine zwite Folie darübergelegt und die beiden
Folien zusammengepreßt sowie verschweißt.
Obwhol der Maler bei dieser Arbeit durch den
Auftrag der Farben Einfluß auf die Gestaltung
nehmen kann, bleibt beim Zusammenfügen der
Folien vieles dem Zufall überlassen. Die frischen
Farben zwischen der Folien verteilen sich je nach
Druck auf der Fläche - und der Zufall hat oft die
schösten Einfälle. Ir der Galerie sind die Folien an
Fenatern angebracht. Das von außen einfallende
Licht erweckt sie zurn Leben. Ein Reiz dieser
Doppelausstellung liegt im Gegensatz zwischen
dem präzise vorausdenkenden Planen und
Gestalten des Bildhauers und dem eher verapielten, intuitiven und auf den Augenblick reagierenden Handeln des Malers.
Die Ausstellung Renzullo und Muliere in der
“Galerie Thekla”, Hanau, Frederich-Ebert-Anlage
11 B, ist bis 20. Juni, montags bis freitags von 11
bis 13 Uhr, montags, mittwochs und donnerstags
auch von 16 bis 18 Uhr und nach Vereinbarung zu
besichtigen.
Ernst Buck
A
RTE - Prepensata e immediatezza in movimento.
Lo scultore Gabriele Renzullo e il pittore Carmine
Muliere espongono in una galleria di Hanau
Solo raramente uno scultore trova tanto spazio
all’aperto, per presentare i suoi lavori, come nella
“Galleria Thekla” appena riaperta in Hanau. Tra
due complessi di edifici è stato lasciato un cortile.
In questo cortile lo scultore Gabriele Renzullo che
vive in Offenbach può presentare 15 lavori: sculture di grande formato per la maggior parte in legno,
alcune in bronzo o marmo.
I lavori di Renzullo che si mostrano poderosi ed
elementari testimoniano una elaborazione mentale essenziale dell’artista prima di mettere mano al
materiale. L’artista è il suo proprio filosofo. I pensieri scritti nel catalogo indicano uno “stato dell’è”
della materia che l’artista deve cercare di rispettare.
Anche l’arte “è” e “rende possibile il divenire dell’unità tra il pensare e l’essere”. Per fortuna l’artista
conserva il suo modo di essere mediterraneo e nell’operare artistico lo difende da ogni estetismo o
persino misticismo: il linguaggio mimico elementare delle sculture comunica direttamente con l’osservatore. Qui lotta un’artista come un titano in
egual modo con e per la materia per costringerla in
quella forma che da lui per essa è pensata, spesso
ha in mente l’uomo e certo anche al di fuori di
esso.
Con Renzullo espone il pittore Carmine Muliere
che vive a Roma. Lui non ha bisogno di cortili
liberi per i suoi lavori. Al contrario essi sono creati nella loro trasparenza e mutevolezza per
ambienti interni. Muliere si serve per le sue opere
astratte di una tecnica particolare: su una pellicola
trasparente vengono stesi dei colori, poi viene
sovrapposta un’altra pellicola e ambedue vengono
compresse e saldate. All’influenza data dal pittore
33
con la colorazione s’aggiunge qualcosa nell’incontro combinatorio delle pellicole. Gli inchiostri freschi tra le pellicole si espandono secondo la pressione esercitata sulla superficie e questa combinazione spesso ha le ispirazioni piú belle. In galleria
questi lavori trasparenti sono apposti alle finestre.
La luce che filtra all’interno risveglia a vita il lavoro. Un fascino di questa doppia mostra consiste
nell’opposto tra il piano preciso e prepensato nel
disporre le forme dello scultore e il piuttosto
mosso ed intuitivo operare del pittore nel momento reale dell’attimo fuggente.
Ernst Buck
OFFENBACH-POST, KULTUR, 3 giugno 1992
CARMINE MARIO MULIERE, Arte e Cinema
G
li influssi che oggi il cinema esercita sulle arti
visive trova uno degli esempi piú significativi
nell’installazione (pittura o scultura a tutto tondo,
godibile da ogni punto di vista?), “In-finito attuale” di Carmine Mario Muliere, a partire dal materiale flessibile e trasparente dell’acetato che è lo
stesso della pellicola cinematografica dagli anni
Cinquanta in poi, alla scansione ritmica della griglia di centoventi fotogrammi, fino alla poetica di
considerare l’allestimento come “luogo di espressione” che assembla in modo soggettivo e personale, le diverse esperienze di cui è il risultato: tecniche miste, materia cromatica, gestualità, cinema,
valori luministici e trasparenza come “quarta
dimensione”, capace di aprire la visione verso l’immensità dello spazio immaginario.
Anna Iozzino
I PROFILI D’ARTE - Catalogo Mostra - Biblioteca
comunale di Marino (RM), Ed. COMED, Milano
CARMINE MULIERE, La trasparenza dentro
C
armine Muliere, dopo aver percorso la realtà
ammaliante dell’arte figurativa con l’animo del
poeta, affronta con la sacralità di un gesto adulto le
problematiche dell’arte informale. Con la coscienza e la perspicacia del ricercatore, sperimentando ed
analizzando le risultanze espressive di materiali
vecchi e nuovi, organizza la materia in situazioni
inedite, attivandola, con il contributo di un’immaginazione superattiva, in ritmi vitali ed evolutivi ed
in nuovi percorsi di lettura. L’informale, che nasce
come esigenza di contrapposizione alla logica della
ragione, afferma con Muliere l’esistenza di una
poetica della materia. La natura coloristica, ricercata e affermata, dà luogo in ogni opera a fenomeni di
suggestione immaginativi.
Gioacchino Ruocco
Annuario comed 1993, Milano
PERSONAGGI - Carmine Muliere, pittore di
Sant’Elena Sannita, vive a Roma da molti anni. È
uno dei massimi artisti molisani LA PUREZZA
DEI MESSAGGI
C
armine Muliere, giovane artista santelenese, a
molti molisani già noto, riesce ad incantare
per la purezza dei suoi messaggi, per l’estrema coerenza ad un principio guida, da cui discende una
cristallina onestà intellettuale. L’opera dell’artista è
supportata da una ricca ed eminente critica, ad
esempio Elio Mercuri, Carmine Benincasa,
Milena Milani, Gallizzi, Tallarico , Verri e tanti
altri, e si manifesta in modo alquanto eclettico,
posto che si muove in uno spazio che va dalla pittura e dalla rappresentazione grafica alla scultura,
dalla poesia alla sintesi del pensiero teoretico.
Queste attività unite ed interdipendenti, legate da
una medesima ermeneutica, formano per l’appunto un tutt’uno, costituiscono in sostanza l’opera
omnia di Carmine Muliere, sia alla luce di una
profonda e rigorosa esperienza esistenziale, sia
nelle rappresentazioni visive informali, sia nelle
manifestazioni di pensiero che vanno dall’astrazione teoretica a quella lirica. Insomma non abbandona le radici e gli archetipi della sua tradizione, gli
usi, i costumi e la visione generale del mondo della
sua gente, della sua terra.
Muliere inizia le sue esperienze artistiche nell’opera pittorica verso i primi anni settanta. Come accade per quasi tutti i pittori, ed è normale che sia
cosí, si affaccia sulla scena dell’arte come pittore
figurativo, connettendo a tale stile tutto quel bagaglio ideologico che naturalmente piú gli è insito e
pertanto si possono osservare paesaggi, “soggetti
sacri”, immagini simboliche che narrano la vita di
tutti i giorni con le sue angosce esistenziali nonché
i suoi problemi etico-sociali, nudi femminili ecc.
In tali dipinti, forse anche per il periodo in cui
sono stati eseguiti, appare chiara la vena simbolicoonirica dell’artista ed il ricorso evidente a talune
forme tipiche di un certo surrealismo di maniera,
senza peraltro tralasciare anche esperienze che ci
rimandano ad un timido approccio ai temi del
postcubismo. Al riguardo si osservi l’olio su tela
intitolato “Figure” del 1973.
Successivamente la pittura di Muliere va sempre
piú stilizzandosi e pur non abbandonando i motivi
preacquisiti, si nota come l’artista inizi sottilmente
a diluire e demolire progressivamente il mondo in
precedenza edificato.
In un equilibrio interiore perfetto, piano piano si
aprono le porte verso l’Informale. Non a caso un
quadro è intitolato “Ascesa” (1977).
Sono gli anni ottanta che conducono Muliere ad
una profonda maturazione e dunque ad un vero e
proprio sviluppo di quelle che sono le caratteristiche peculiari dell’artista: l’eleganza e la flessuosità
del segno, la potenza metafisica del colore. Opere
come “Esplosioni” o “Il nulla non esiste”, solo per
34
citarne alcune, sono stupende nel loro lirismo cromatico e compositivo. L’artista, nel suo percorso
ascensionale, si accosta anche alle tematiche della
transavanguardia, pur non rimanendone formalmente condizionato. La pittura di Muliere, infatti,
nonostante le apparenze è personalissima.
Tranne alcuni recenti lavori in acquaforte, che
esprimono senza dubbio una ricerca sempre piú
convinta del segno e del disegno, che delimitando
lo spazio crea nuove armonie informali, non appaiono purtroppo nel catalogo le ultimissime opere
dell’artista: ciò è un peccato perché mostrerebbero
sicuramente una dimensione evolutiva sia sotto il
profilo dei contenuti espressivi sia concettuali.
Un’occasione in piú per conoscere da vicino questo giovane e geniale artista molisano.
Umberto Salmeri
Forche Caudine - Molise Vip - Arte, febbraiomarzo 1994, Roma
San Cesareo e i suoi artisti - Carmine Muliere
Nell’IN-FINITO ATTUALE
P
ittore, scultore e poeta, sancesarese di adozione, vive e lavora in località Casa Romana.
Molto conosciuto e apprezzato in Italia e all’estero
Nato a Sant’Elena Sannita (Isernia) il 30 aprile
1949, nel 1960 si è trasferito dal Molise nel Lazio.
Nel 1974, avendo acquistato una villetta in località
“Casa Romana”, ha chiesto e ottenuto la residenza
a San Cesareo.
Ha manifestato precocemente la disposizione
all’arte e già nel ‘57, a soli otto anni, ha ottenuto il
suo primo attestato. Da allora non ha piú abbandonato pennelli, tele e scalpelli. Carmine Muliere,
oltre all’attività di pittore e di scultore, è poeta e
grafico, un artista, insomma, nel senso piú completo della parola. Molto è stato scritto su di lui e
ancora di piú, siamo sicuri, si scriverà, in quanto
Muliere ha rivelato indubbie capacità e una costante crescita sia formale che sostanziale. L’iniziale
pratica figurativa certifica la lunga ricerca affrontata e, massimamente nella scultura, è tangibile l’esigenza di voler “entrare” nella materia. Dal suo
bagaglio di esperienza nascono negli anni ‘84-85
gli “Spessori trasparenti” e le “Concrezioni”, che
definiscono successivamente l’”In-finito attuale”,
lavoro con il quale riesce a fermare il colore nell’aria.
L’”In-finito attuale” è un’opera con la struttura
aperta, che si lascia attraversare anche nella sua tridimensionalità, cosicché appare una “astrazione”
completa; pittura (il colore), scultura (il supporto),
grafica (la composizione), parola (il titolo). Tutti
questi elementi risultano interconnessi nella luce
in un modulo unito con anelli che collegano l’interdipendenza delle tessere che compongono l’originale opera d’arte.
Carmine Muliere espone dal ‘71 in mostre sia personali che collettive in Italia e all’estero. Ha pubblicato volumi di versi e di pensieri e raccolte di
opere grafiche. Ogni successo è stato l’inizio di
nuove esperienze e di nuovi traguardi, che lo
hanno fatto approdare alla intuizione dell’”In-finito attuale”. Conosciamo da molto tempo Carmine
Muliere, lo abbiamo seguito passo passo e ammiriamo soprattutto la sua fede incrollabile nel lavoro. Ci ha detto, infatti, testualmente: “Io credo che
nell’arte tutto è possibile: SempliceMente (1).
Vorrei che i miei lavori venissero interpretati a
mente libera, per questo credo che il lavoro dell’artista dovrebbe fondarsi non soltanto sulla certezza
preliminare del ruolo della creatività nel contesto
sociale, ma anche sulla convinzione - trovata la
propria immagine nel mondo - della reciproca
comunicabilità”.
N.B. (1) “SempliceMente” esprime il credo artistico di
Carmine Muliere: rinunciare alla ricerca artistica fine a se
stessa, per il desiderio di comunicare, scambievolmente,
nella migliore forma possibile.
Pino Pompilio
7 giorni in cronaca, sabato 16 ottobre 1994, San
Cesareo
Carmine Muliere: IN-FINITO ATTUALE
O
sservando le opere di Muliere, soprattutto le
sue sculture modulari, è chiara l’esigenza dell’artista di penetrare la materia. Ciò che appare al
fruitore negli Spessori trasparenti e nelle
Concrezioni è una struttura aperta e tridimensionale che si lascia attraversare dall’immaginazione
creando un percorso diretto verso la piú totale
astrazione. L’In-finito attuale è dunque una sorta di
espressione che produce il senso di spazialità dell’opera d’arte poiché si pone come fine ultimo
quello di fermare il colore nell’aria. L’infinito si
esprime cosí attraverso il finito ed il finito si trasforma nell’agente primario dell’infinito stesso, il
tutto realizzato nella contemporaneità dell’ispirazione. Da tutto ciò deriva un movimento circolare
fortemente accattivante per il fruitore. È chiaro che
le opere di Muliere sono strutture che sfruttano lo
sterile significato della serialità che contraddistingue la produzione moderna soltanto per capovolgerlo. Le sue sculture modulari si compongono di
tessere apparentemente uguali e disposte in modo
lineare, ma che sono ben lungi dal ricalcare i metodi industriali.
Ogni tessera è un supporto trasparente che fermando il colore nell’aria invita lo spettatore che vi
pone attenzione a seguire con la mente i suoi sviluppi tridimensionali.
L’attenzione dunque e di conseguenza la mente si
astraggono dalla materialità terrena tuffandosi in
una dimensione diversa e perciò liberatoria.
35
L’immaginazione viene indotta a seguire il colore
nei suoi movimenti, a fluttuare con esso in uno
spazio appositamente creato, senza per questo
dimenticare la propria materialità.
L’astrazione proposta da Muliere non rifiuta infatti la vita materiale, ma vuole essere soltanto un attimo di respiro offerto come compromesso all’accettazione passiva dei ritmi moderni. Ogni tessera
rappresenta una possibilità di liberazione e le
molte tessere componenti l’opera sono tanti
momenti che l’artista vuole donare a se stesso e
all’uomo in genere affinché possa scrollarsi di
dosso, se pur temporaneamente, la modernità stereotipa, frenetica ed opprimente. Questo non
significa dimenticare se stessi, ma soltanto fermarsi a riposare.
Daniela Liali
Il nuovo GIORNALE DEI POETI, febbraio 1994,
Roma
ARTE, e interni
S
i è mai pensato o scritto che cosa possa capitare
all’opera d’arte dal momento in cui si assoggetta al mercato come un qualsiasi altro bene di scambio? Finora ben poco proviene dalla schiera dei
teorici dell’arte; mentre qualche tentativo, con
valutazioni del tutto asettiche sull’incontro della
domanda e dell’offerta, affiora da parte di economisti che da circa due decenni si occupano di economia dell’arte. E adesso che il mercato dell’arte
mostra, all’apice storico della sua stasi o ristagno, e
della conseguente caduta a picco della domanda
fino quasi allo zero, i punti deboli del “sistema”,
sarà proprio questo il momento d’interrogarsi e
agire una rinascita?
Piú che altro necessita reagire, e con invenzione.
Le regole, all’uopo, si rifaranno. E, quantunque, il
risveglio dall’illusione di falso benessere dei dinamici e controversi anni Ottanta abbia coinciso con
un lungo paralizzante inverno per gli scambi, è pur
sempre possibile pensare che la dolorosa esperienza riscopra tutti piú cresciuti. Se per la storia, poi,
la strettoia è stata inevitabile, almeno sia tesoro
l’esperienza. Non moralisticamente, ma nientemeno tanto sembrerà indispensabile. Peraltro, una
lettura attenta dei fenomeni in cui sia possibile rintracciare responsabilità ed errori di ciascuno, permetterà di passare da considerazioni in micro a
proiezioni in macro. È anche probabile che un
primo esame non consegua risultati eclatanti, ma si
potrebbe sviluppare la coscienza su quanto non
dovrà essere ripetuto. Anche se, molti degli errori
sono la summa dei tanti commessi nel corso di
tutto il secolo. Lampante, quello di aver voluto fare
dell’arte un sistema o un regime con regole economiche precise, o simili a qualsiasi altro modello
produttivo o di fabbrica, avendo ad un tratto, tra gli
anelli della catena, assegnato al mercato importanza pari, se non maggiore, alla produzione stessa.
L’opera d’arte, tranne il caso della sua riproducibilità tecnica che automaticamente sposta il discorso
sulla moltiplicazione del pezzo unico per mera esigenza di mercato, è frutto del sentire, dello spirito.
E poiché tale, con la produzione in serie, o la grande distribuzione, ha poco se non nulla da condividere. Spingere in tale direzione ha significato, nel
corso di questo secolo, snaturare la fonte e predisporre il terreno in modo tale da mettere in molti
casi l’artista a disposizione del mercato. Cambiato
anche dalle vicende autoritaristiche culturali ed
intellettuali del XX secolo, l’ecosistema dell’arte,
non ha piú controllato le conseguenze negative
che vivono sotto gli occhi di tutti. Il mercato,
depresso, vede magazzini di mercanti e galleristi
esplodere di “merce”, con una offerta esagerata
rispetto alla domanda che ristagna per motivi precisi; i prezzi perciò, crollati, sono in tal senso anche
stabili. In attesa che i tempi trovino nuovi equilibri, potrà aiutare la riflessione. Anche se, nell’idea
di ripresa, tentativi vengono operati, o messi in
atto. Arteroma itinerans è la proposta di un cammino a tappe per l’arte, col presupposto di rivitalizzare il mercato; è una maniera che permetterà agli
artisti protagonisti di esperire direttamente il rapporto con la committenza e la critica, in sei testanti città. Stazionando in alcune piazze italiane,
Arteroma diventa, nel metodo, cantiere aperto agli
scambi dialettici o di mercato, ma anche riflesso di
tutto il work in progress che, al di là del bene e del
male, e piú per principio che per esigenze reali, il
nostro secolo ha estremamente rappresentato e
incarnato. Gli artisti della prima edizione condividono lo spirito dell’iniziativa appoggiandone il
processo sperimentale. Artisti diversi del territorio
e non, che normalmente lavorano in condizioni di
marginalità rispetto ai rigidi canoni del piú propriamente dirigistico sistema dell’arte; uniti da
indizi comuni nel produrre un’arte funzione di
una percezione non molto intellettualizzata e che
dialoga coi sentimenti. Artisti liberi dal condizionamento dei dettami della moda.
Per Catalani, Cavina, Cilia, Conte, Corvino, De
Simone, Gennaro, Libonati, Messina, Muliere,
Nardi, Orlando, Torre e Zinnanti, l’arte è felicità e
libertà, soprattutto dal clima di ottusità, oscurità e
schiavitú che alcuni intellettuali, o leadership critica, preparano o vogliono. Una impostazione di
libertà che, se fa capo a una speranza come quella
dei sentimenti, del rispetto e dell’esistenza, è altresí contro, convenendo con l’affondo dell’irriverente P. K. Feyerabend, “l’avidità, l’incompetenza, le lotte
di potere che sembrano circondare le cause piú nobili”.
Adriana Martino
Catalogo Mostra ArteRoma itinerans, 1994-95, Roma,
Cortina d’Ampezzo, Venezia, Orvieto, Spoleto, Pescara
36
CARMINE MARIO MULIERE
D
ice Muliere: “Nell’arte tutto è possibile,
SempliceMente”. Una sua mostra recente si
intitolava “In-finito attuale”. La base di partenza è
quindi quella di una irrequietezza intellettuale, di
un’ansia cioè di rompere le regole per protendersi
verso un mondo diverso. Forse l’Avanguardia è
andata davvero “in cassa integrazione”; ma la fantasia non ha confini. Ecco quindi questo spaziare
di Muliere oltre la pittura, oltre la stessa gestualità
dell’espressionismo astratto, per cogliere suggestioni dalle materie nuove, fino a trasparenze di
superfici inserite nella natura. L’arte diventa una
continua avventura, una ricerca al di là delle colonne d’Ercole della nostra convenzionalità. Ed è ciò
che colpisce: la bellezza come riscoperta della vita:
uno stare sospesi galleggiando nello spazio.
Paolo Rizzi
Catalogo Mostra ArteRoma itinerans 1994-’95, Roma,
Cortina d’Ampezzo, Venezia, Orvieto, Spoleto, Pescara
In galleria - Artisti emergenti
F
ra le molte proposte di gallerie e mostre d’arte
presentate in questo ultimo periodo a Cortina,
una merita particolare attenzione: si tratta di una
“collettiva di tante personali” presentata dallo
“Studio 5” di Roma e allestita al piano terra della
Casa delle Regole.
Invece dei soliti De Chirico, Sironi, Campigli, De
Pisis, ormai onnipresenti nelle gallerie, vi sono
nomi nuovi, proposte interessanti nel panorama
dell’arte contemporanea.
Promuovere operazioni di tal genere è sicuramente piú “rischioso” ma anche piú coraggioso e valido per la promozione di artisti emergenti. [...]
Carmine Mario Muliere crea oggetti, soprattutto
in vetro o in plastica, sospesi nello spazio, sculture
che si liberano della propria materialità e che, nello
spazio, assumono evidenza vitale perché immerso
nella realtà della luce e dell’atmosfera.
Le opere assumono cosí quella naturalezza che è
nel colore e si proiettano in una dimensione fantastica, di libertà senza limiti, che fa bene al cuore.
La mostra, che alla Casa delle Regole chiuderà il 30
gennaio, sarà successivamente a Venezia, dove le
opere saranno esposte all’Ateneo S. Basso.
Simonetta Cini
ALTO ADIGE - Corriere delle Alpi - Quotidiano
indipendente del mattino, giovedì 19 gennaio
1994, Cortina d’Ampezzo
L’INFINITA CONOSCENZA, Nella sua opera
Carmine Mario Muliere concretizza l’astratto e sospende
il colore nella luce
N
on si tratta di magia e neppure del trucco di
un abile e allenato prestigiatore. Partito da
una sperimentazione multimediale, il lavoro di
Carmine Mario Muliere è approdato a risultati
estremamente personali che definiscono oggi L’infinito attuale, struttura con la quale l’artista
sospende il colore nell’aria e nella luce.
Un’opera con la struttura aperta che si lascia attraversare nella sua tridimensionalità tanto da divenire un’astrazione completamente concreta: pittura
(il colore), scultura (il supporto), grafica (la composizione), parola (il titolo) interconnesse nella
luce in un modulo unito con anelli che collegano
le tessere che lo compongono.
Nell’arte tutto è possibile SempliceMente, afferma
l’autore e cosí, in armonia e perfetta sintesi, nasce
l’opera, interessante e particolare nella sua accezione simbolica e strutturale.
Fenomeno primario dello spirito, l’arte è forma
per conoscere il mondo e comunicare con gli altri
lasciando libertà di interpretazione nel giudicare e
leggere l’opera. “...Cosí vorrei che i miei lavori venissero interpretati, a mente libera. Né si può fare diversamente perché non sono soltanto miei. Forse sono piú del supporto e del pennello. Io, al massimo, posso considerarmi il
colore. Nell’incisione, posso considerarmi l’acquaforte.
Nella scultura, il controllo della forza nello spazio...”,
confessa questo versatile artista che ha trovato
nella sincerità delle sue idee una forza davvero
rara. Nel suo rapporto con la forma, intelligente e
vivo, si scopre la curiosità di un intelletto fervido,
teso all’invenzione non fine a se stessa ma strumento di relazione e approfondimento della realtà
oggettiva.
Il suo linguaggio artistico, di chiara matrice informale, è un aggregato di concetti e soluzioni stilistiche del tutto originale; un composto di concretezza e astrazione che genera una sorta di liberazione
personale, di catarsi intimistica, un compromesso
esistenziale tra la frenetica automazione moderna e
la vecchia e piú classica tradizione.
A seconda dell’angolazione da cui si osserva l’opera di Muliere è possibile scontrarsi con ipotesi
interpretative diversissime e a giocare un ruolo
prioritario contribuisce lo spazio scenico e contestuale in cui abitualmente l’artista colloca i suoi
lavori, spazio ambientale, esterno o interno che sia,
che si integra completamente con l’opera conferendole un nuovo significato.
Senza obbligazioni tecniche, Muliere riesce a dare
libero sfogo alla piú totale creatività che aggiunge
forma e volume a rappresentazioni che sembrano
quasi sfidare qualsiasi modulo tradizionale: “Non
esiste forma artistica privilegiata, la forma è l’arte
stessa; è un discorso interdipendente, sostiene l’artista, cercando una qualsiasi risposta ognuno si
37
avvicina alla forma”. Pur essendo estremamente
varia, quella di Muliere non è arte facile, perché
facile non è la ricerca che egli persegue. Dalle
Concrezioni degli anni ‘84-85, rappresentazioni
del pensiero allo stato puro, energia in divenire
prima della sua materializzazione, all’In-finito
attuale di oggi: un percorso, dalla figurazione degli
esordi all’astrazione contemporanea, che comunque non sembra aver subìto stacchi bruschi.
L’autore stesso dice che in realtà non esiste un’autentica discontinuità tra l’astratto e il figurativo,
che anche una parola prima di diventare parola era
in fondo un gesto. Cosí Muliere ci toglie dall’impasse di trovare forzatamente definizioni incasellanti, accompagnandoci, al contrario, in un mondo
dove tutto sembra fluttuare liberamente e dove
tutto si ritrova per evidenziare quello che agli
umani sfugge continuamente. Artista completo,
attento e sensibile alle problematiche del vivere
odierno, Muliere ha saputo tradurre in comunicazione per immagini il suo vasto pensiero, cercando
di raggiungere gli altri con i mezzi che gli sono piú
propri: colore e parola. Alla ricerca di quel senso
che affannosamente diamo alla vita e ai suoi segreti, Muliere, senza voltare le spalle al passato, ha
scoperto un proprio codice di conoscenza che,
attualizzandosi in forma artistica, ha preso il posto
della narrazione orale.
Le potenzialità del suo lavoro sono molte, legate
indissolubilmente alla grande energia che le sottende; il valore intrinseco dell’opera sta poi nel suo
significato attuale e nella generosità con cui viene
presentato al pubblico: nell’estrema semplicità
della dimensione umana.
Susanna Busnelli
DISEGNO & PITTURA, ottobre 1995, Milano
QUADRI & SCULTURE - Una rivista, 2030 artisti, 364.000 schede diffuse in tre anni e tredici
numeri, 33.654 schede ritornate, 29.754 valide. Per
la prima volta in Europa il pubblico decide. L’Altra
Arte? Un catalogo ed una mostra: 26 ottobre - 7
novembre 1996, Palazzo Barberini, Roma, i primi
quaranta:
GEOMETRIA: Anna Maria Vancheri, Cornelia
Stauffer, Carmine Mario Muliere, Giuliano
Romano, Toni Zanussi, Siliberto, Mauro
Starrantino, Giancarlo Montuschi, Lillo Messina,
Carlo Cioni, Wanda Raheli, Paolo Gubinelli.
INTIMISMO: Salvatore Pupillo, Luciano
Bonello, Roberto Fabris, Armodio, Aldo
Mondino, Franco Beraldo, Massimo Campi,
Vittorio Reali, Roberto Gasperini, Lorenzo Lovo,
Giancarlo Renzetti, Leonardo Scarinzi.
ONIRISMO: Valeriano Trubbiani, Lorenzo
Tornabuoni, Giuseppe Vignani, Pino Procopio,
Giorgio Chiesi, Marta Czok, Marco Berlanda,
Silvano Braido, Jorge Romeo, Sergio Zanni,
Franco Franchi, Vanni Penone.
REALISMO: Saturno Buttò, Paolo Giorgi,
Bernardo Siciliano, Sergio Unia.
Q
uando, tre anni fa, pensammo di sottoporre al
giudizio dei lettori gli artisti esposti in
Galleria Italia nemmeno lontanamente avremmo
immaginato che oltre 33.000 persone, vuoi per
dileggio, vuoi per interesse, avrebbero presa la
penna e ritornata alla redazione di Quadri &
Sculture la cartolina che andavamo diffondendo,
in 360.000 copie complessive, con la rivista.
Peraltro nemmeno speravamo che piú di 2.000
autori si rivolgessero a noi per vedere pubblicata la
loro opera. Scartata ogni offesa è rimasta la grande
gioia, la soddisfazione incontenibile di 29.754 preferenze espresse intorno ad essi. Il risultato incredibile poneva immediatamente un problema:
come celebrare degnamente il fatto (anche sperando in qualche ritorno di notorietà, sulla stampa
quotidiana che nell’ultimo anno si è dimostrata
molto galante nei nostri confronti). Fare una
mostra: ecco la soluzione. Mostra nella quale fossero presenti gli autori piú votati, mostra tuttavia
che non morisse due giorni dopo la chiusura.
Questo vuole essere L’altra arte?, segnalando già
nel titolo la novità assoluta di una manifestazione
decisa interamente dal grande pubblico (e con
metodo assai diverso dalle astuzie del mercato).
Ma l’assoluta assenza di un criterio critico poneva
un altro dilemma: organizzare l’esposizione per
ordine alfabetico, oppure, invece, puntare sul
numero di voti, esponendo uno in fila all’altro i
risultati della classifica? Entrambi i criteri ci sembravano inadeguati e non riuscivamo a venirne a
capo. Cosí, fedelmente allo spirito di Quadri &
Sculture, si è pensata una esposizione riassunta
intorno a quattro temi, immediatamente desunti
dalle opere, si è cercato di rilevarne i caratteri formali, oltre tutte le suggestioni della critica, sicché
fosse l’occhio ad avere ogni parte.
Questa introduzione, fatta salva la scaturigine dell’evento, vuole essere minimo vademecum fra le
opere, omaggio agli autori. Ma vuole anche rendere attraverso essi alcuni aspetti dell’arte italiana
sopraffatti, sommersi dal clamore pubblicitario,
dalla volontà (di artisti e galleristi) di essere sempre
nuovi e per forza diversi.
L’unico sale, infatti, che si può trarre dall’intera
esposizione è la predilezione nettissima, nella
gente semplice, per ciò che intende, per ciò che
ama e, in ogni modo, per quella particolare tendenza della poesia a farsi immediatamente intima,
aliena in tutto alle seduzioni del secolo. Ma questo
è il seme della tradizione italiana. In altri anni,
molti degli autori qui presentati non avrebbero
avuto patente di artista, sarebbero stati derisi e
insultati passatisti. Per fortuna le cose mutano ed
oggi la massima parte di essi hanno riconoscimento nazionale, taluni, non pochi, sono noti ai cono-
38
scitori di tutto il mondo. E ciò senza rinunciare a
se stessi!
La saldezza a se stessi segna, per ritornare a noi, le
quattro sezioni della mostra. La prima ha per titolo Geometria e vuole significare il passaggio docile
dalla massima oggettività, che sempre la retta propone, al continuo confondersi delle linee, che
disegna luoghi e spazi raccolti nell’anima, oltre
ogni sensibile figura.
Anna Maria Vancheri apre con l’immagine limpida, iper razionale del mare e del cielo, indicando in
forme e colori puri tutti i caratteri dell’orizzonte.
Ancora un’istallazione, quella di Cornelia Stauffer,
conosce già il continuo rimontare della linea come
un pensiero che torni ostinatamente su se stesso,
per la mano che corre rapida sulle pareti, oltre ogni
definita volontà. La visione oggettiva è dispersa
nella complessità del reale, la linea diviene semplicemente un modo di rappresentarlo, marcandone i
tratti. Cosí, appaiono linee dominanti e linee
secondarie che si stendono a velo intorno ad esse,
come un piano diafano oltre il quale ritrarre profondità, disvelare segreti. Anche la trasparenza,
quale appare in Muliere, è fatta di linee piú o meno
marcate per significare astrazioni universali
(Ovunque e sempre), [...].
Valgano questi autori, tutti e quaranta come esempi della pertinace volontà dell’arte di farsi, fuori
d’ogni cartello, proclama, programma o movimento, lo specchio piú ampio, vario e fedele della realtà. Nulla, non un pensiero, un gesto, un atto, una
gioia, un dolore stanno fuori della realtà. L’arte
pretende di essere la realtà in tutti i modi nei quali
essa esiste. L’arte per intero si dà come realismo.
Purché sia sincera, non sopporti che il proprio
giogo. Perché l’arte ed ogni lavoro d’arte è fatto per
essere esso solo senza paragoni e senza confronti.
Per essere gratuito. Senza valore. Ed inestimabile.
Matteo Smolizza
Presentazione catalogo Mostra Palazzo Barberini, ottobre-novembre 1996, Roma
DAL COLORE ALLA LUCE: L’ESTETICA
DELLA TRASPARENZA
L
a vicenda artistica di Carmine Muliere, iniziata
da autodidatta, è passata attraverso ricerche e
sperimentazioni di carattere sia naturalistico che
astratto, per cercare una forma diversa, comunicativa, ma da “interpretare a mente libera”, realizzata
con grande varietà di materiali e di tecniche tradizionali e d’avanguardia, che mai prescindono però
dall’intervento concreto dell’artista, dalla manualità, dal “fare” inteso come processo di catarsi spirituale, come insostituibile ausilio alla vuota frenesia
della vita. Partendo da un linguaggio figurativo,
attraverso lo studio e l’esaltazione del valore
espressivo del colore, è giunto ad accostarsi all’in-
formale, assegnando alla forza concreta della materia, o all’analitica complessità del segno, mai ripetitivo, il compito di entrare in contatto con il fruitore, il quale cerca di scorgere, immergendosi
senza perdersi negli impasti densi e coagulati delle
Concrezioni, animate da esplosioni di luci, o nel
fitto labirinto grafico della Forma che deve venire,
il mistero delle emozioni e dell’interiorità dell’artista.
La ricerca degli ultimi anni si concentra sul rapporto tra la luce e la forma creata dal colore, che
poco alla volta diventa qualcosa di lontano dalla
realtà, trasparente e delicata vibrazione luminosa
in Arcobaleno, pastoso e denso coagulo di pigmenti amalgamati al fondo illuminato da polvere d’oro
in Non è tutto oro quello che luccica per approdare all’In-finito attuale: una struttura mobile, tridimensionale ed attraversabile, una Gesamtkunstwerk
che unisce pittura, scultura, grafica, ma anche
natura e parola (nel titolo). L’installazione è costituita da tessere modulari trasparenti in acetato,
unite da anelli, su cui l’artista ha depositato fluide
concrezioni, fusioni e combinazioni cromatiche
sempre diverse, che attraversate dalla luce, mosse
dal vento o, semplicemente, dal passaggio dello
spettatore, si animano suggerendo infinite, imprevedibili rifrazioni ed emozioni, investendo di continue trasformazioni l’ambiente circostante. È
stato sottolineato (Teresa Macrí) il rimando colto,
nella struttura, agli antichi mosaici, ma il tessuto
dei riferimenti è piú ampio, non solo formale, perché Muliere conosce profondamente il passato; la
sua vasta cultura, interiorizzata, viene trasfigurata
in un’espressione artistica attuale e personale.
Mosaici, vetrate, ori, tessuti, gemme preziose,
colori, creavano effetti luminosi, indispensabili,
secondo l’estetica medievale, per aiutare l’uomo a
progredire dal visibile all’invisibile, dal mondo
materiale all’immaterialità dell’eterna sapienza: la
luce e la bellezza terrena erano mezzi di ascesa spirituale. Allo stesso modo l’In-finito attuale “sospende il colore nella luce”, si lascia attraversare dalla luminosità, è “un’opera viva”, una ricerca dell’unità nella
varietà, che conduce l’immaginazione dal concreto
all’infinito. Preparano l’opera e la affiancano le
continue esplorazioni sul tema della trasparenza
realizzate costruendo dei libri, di ogni dimensione,
dal monumentale all’infinitamente piccolo.
Risalendo all’antica etimologia della trasparenza,
apparire attraverso, dai materiali naturali, legno,
carta, pietra, usati da Muliere per comporre i libri,
compare la forma, la conoscenza, oppure si libera,
purificata da ogni impulso quotidiano, la parola,
scavata nella coscienza e nel vissuto personale.
Poeta, oltre che pittore e scultore, Muliere realizza
con Dentro la trasparenza, la trasparenza dentro,
intagliando il sottile spessore del cartoncino,
un’opera in cui immagine e parola, percorse dalla
luce, animate dall’ombra, si fondono. Come un
alchimista che cerca attraverso innumerevoli ope-
39
razioni e trasmutazioni di carpire al fuoco, al cristallo, alle pietre preziose, il segreto della pietra
filosofale, la scala per accedere alla sapienza, cosí
l’artista incide, ritaglia, sovrappone materiali trasparenti, inserendoli in cornici di cartone o di
legno in modo da formare pagine che, voltate dal
lettore, costituiscono per successive Velature, un
mondo di luci, ombre, vuoti e forme sempre
diverse, fantasticamente interpretabili, suggestioni
di verità. Il percorso sapienziale si approfondisce
ulteriormente nell’indagine sull’armonioso segreto delle proporzioni pitagoriche del Pentagramma,
disposto entro un segnale ligneo, emblema del
legame spirituale, atemporale, tra passato e presente. Anche nella Quadratura del cerchio, operando
con la luce, geometrizzando lo spazio con una sottile trama di linee, Muliere affonda nel mistero
della conoscenza, propone un’immagine priva di
intenzioni rappresentative, un movimento di percezioni luminose che tentano di rivelare l’invisibile e di invitare alla meditazione, per aiutare a ritrovare noi stessi nel vuoto dell’attualità.
Laura Testa
Presentazione Mostra Libreria Remo Croce, gennaio,
COLLEGAMENTIATEMPORALI
Edizioni
SestoSenso MULIERE, San Cesareo, Arti Grafiche
Mauro Rossini, Roma
COLLEGAMENTI ATEMPORALI
“
In interiore homine abitat veritas”. Questa affermazione agostiniana, connaturata nella cultura
occidentale e cosí vicina alla sensibilità moderna,
può essere assunta come il motivo che guida l’intera creazione artistica di Carmine Muliere, caratterizzata dalla volontà di rendere trasparenti le
cose, per penetrare in esse e lasciare che l’idea contenuta nel loro interno si manifesti liberamente e
semplicemente da sé. Gli strumenti di cui si serve
sono essenzialmente due: la luce e il segno.
Muliere recupera concettualmente il valore mistico della luce, intesa come rivelazione e manifestazione di una verità superiore. Tale pensiero, infatti, sottende alla sua produzione fin dalle prime
opere non figurative.
In Arcobaleno l’artista molisano, utilizzando
sapientemente gli effetti di diafana evanescenza
consentiti dall’acquarello, ottiene un grado di massima intensità luminosa che evidentemente non è
motivato da esigenze di rappresentazione del fenomeno nella sua realtà oggettiva, ma da significati
simbolici. In Non è oro tutto ciò che brilla l’impiego dell’oro rimanda al mosaico o ai “fondi oro” e
alle valenze con le quali tali tecniche sono impiegate nel mondo bizantino e medievale. Il processo
di liberazione della luce, ovvero della verità della
materia, è approfondito in Spessori trasparenti e
nelle Concrezioni. Qui il segno è utilizzato per
definire zone di vuoto che sono come degli affondi, quasi dei tagli, nella materia, fino a giungere alla
sua negazione, ottenendo la completa trasparenza.
Effetto diverso, ma analogo sul piano dei contenuti, è ottenuto in La forma che deve venire. In questo caso il segno riempie l’intera superficie, guidando la mano dell’artista che si fa strumento, al
pari della matita o della biro, quasi per assecondare un impulso energetico che innesca un processo
infinito nella creazione della forma. Questo è il
senso dei millesettecentocinquanta quadretti che
costituiscono l’opera, un lavoro quasi catartico, in
cui però nulla è sforzo o dolore, bensí sereno compimento di una rivelazione. La volontà di ricercare
la verità dentro le cose è alla base di una serie di
libri d’artista, eseguiti in vari materiali, in esemplari unici. Il libro è interpretato da Muliere come
luogo della memoria e della sapienza e, in quanto
tale, è reso trasparente, privato sostanzialmente
delle parole, ma attraversato dalla luce e fonte esso
stesso di luce. Le pagine, in carta lucida, sono
infatti sezionate con dei tagli che consentono alla
luce di passare liberamente e di creare caleidoscopici effetti ordinati in un disegno aritmetico, basato sulla sottrazione e sull’addizione della quantità
luminosa. Il segno, come taglio, e la luce, come
bianco su bianco, sono ancora i protagonisti di
Quadratura del cerchio e Dentro la trasparenza, La
trasparenza dentro in cui la manifestazione dell’idea si serve della figura geometrica come principio ordinatore della materia. Il percorso cognitivo
che abbiamo visto fin qui articolarsi e approfondirsi nei diversi momenti creativi di Carmine
Muliere culmina in In-finito attuale, che di questo
percorso è quasi il naturale epilogo. In In-finito
attuale, interpretabile come un mosaico in chiave
moderna, la tessera d’oro, fonte di luce, viene
sostituita dalla luce stessa che attraversa i moduli
della struttura. Il colore sospeso nell’aria, cessando
di identificarsi in una superficie, diventa “attraversabile” e coinvolge attivamente il fruitore, sia nella
sfera motoria, guidando i suoi movimenti intorno
e dentro l’opera, sia nella sfera psichica, innescando un processo immaginativo che può ripetere
all’infinito il modulo seriale. In tal modo, In-finito attuale, come i mobiles di Calder, per citare solo
uno degli esempi di piú immediata lettura, si propone come “un’opera aperta” in cui si attua “un
superamento del rapporto puramente teoretico di
presentazione-contemplazione in un processo attivo in cui convergono motivi intellettuali ed emotivi, teoretici e pratici” (Umberto Eco), nel quale è
stato individuato uno degli aspetti piú connotativi
della sensibilità estetica moderna. In-finito attuale,
come l’intera produzione di Muliere, risponde alla
volontà di interiorizzare la realtà esterna, riassorbendo anche il concetto di tempo nella sfera della
soggettività spirituale. Anche il tempo infatti, è
ricondotto alla dimensione soggettiva, in cui passato e futuro, seguendo dei “collegamentiatempora-
40
li”, vivono solo nel presente “attuale” della
coscienza, come memoria e come aspettazione.
In questa condizione metastorica Muliere elabora
le sue personalissime creazioni, facendo riaffiorare
le suggestioni che gli provengono dalla lettura dell’arte e che si sono sedimentate nella sua coscienza, in cui la pittura medievale vive accanto al tachisme di Hartung; la action painting americana, ai
disegni di Leonardo; l’arte concettuale di On
Kawara all’informale e allo spazialismo di Fontana,
alla ricerca di una verità vissuta come interiore
rivelazione.
Dalma Frascarelli
Presentazione Mostra Libreria Remo Croce, gennaio,
COLLEGAMENTIATEMPORALI
Edizioni
SestoSenso MULIERE, San Cesareo, Arti Grafiche
Mauro Rossini, Roma
MULIERE. Un artista che si interroga. Sui misteri della vita
P
ittura, scultura, grafica. E poesia. Sono le
modalità espressive con cui Carmine Muliere
dà forma alla propria riflessione. Che è squisitamente filosofica. “Il mio lavoro è una proposta e
una domanda” , spiega l’artista molisano. E
sospende a mezz’aria un “Dove inizia?” di sapore
cosmologico. “E dove termina?”.
Muliere medita sulla finitezza della realtà e “tende
a portarla alla luce”, scrive il critico Elio Mercuri,
“come condizione di senso della nostra esistenza”.
Autodidatta, nato a S. Elena Sannita nel 1949, l’artista parte dalla figura. La descrive nei dipinti con
un segno netto, un profilo che delimita cromìe
contrastate o morbide. Poi passa all’astratto.
Sceglie di “entrare” nella materia. Ingrandisce il
particolare di una forma. Ed ecco le Esplosioni, gli
Spessori trasparenti, le Concrezioni, nate per
aggiunte di elementi, come indica l’etimo cum
crescere. Esperienze che confluiscono nel piú
recente ciclo In-finito attuale, composizioni di tessere in cui il colore, inglobato nell’acetato, è sospeso nell’aria e nella luce. Una struttura aperta, leggibile nelle tre dimensioni, in cui l’artista unifica i
linguaggi di cui fa uso. Il titolo è un simbolo. Ossia
“la migliore formulazione possibile di una realtà
inattingibile per altra via”, dice Muliere, “e non la
traduzione diretta di una realtà altra e conoscibile”.
In mostra a Roma. Collegamentiatemporali è il
titolo dell’esposizione che Muliere tiene dal 18 al
24 gennaio a Roma, alla Libreria Remo Croce. In
mostra anche In-finito attuale.
Michela Delfino
Arte/PITTURA, Editoriale Giorgio Mondadori,
gennaio 1998, Milano
Eccezionale mostra da Remo Croce con quadri e
installazioni di Carmine Mario Muliere
IL RESPIRO DELLO SPAZIO
R
emo Croce, maestro nell’amore e nella tenacia
di far camminare i libri, con la collaborazione
allertante di una intellettuale quale Giovanna
Gualdi, organizza mostre settimanali. Famose.
Ricercate. Generose.
Nella mostra della settimana fa centro totale, presentando un artista in pienezza di azione inventiva,
nel mare grosso della invenzione visiva, avanzante
chissà come chissà dove. Carmine Mario Muliere
(Sant’Elena Sannita 1949) ha allestito parte della
sua produzione, per come ha potuto, e con risultati piú sollecitanti che in una normale galleria, sulle
pareti librarie di Remo Croce.
La mostra, dapprima, può intimidire qualcuno dei
visitatori. Lo sguardo, e insieme agli occhi il desiderio tattile di toccare i vuoti apparenti, poi obbediscono alla cattura di un artista che utilizza malìe
e progetti delle avanguardie, per una propria strada. Che ha già imbeccato. Sono ricerche di battersi con lo spazio, inteso in tutte le dimensioni,
inganni, realtà effettive, verso lidi matematici, fisici, che portano ad astrazioni concretizzabili:
dinanzi allo spettatore, e dentro di noi. Lo Spazio
si ascolta e si tocca nel respiro suo, in sintonia con
il nostro. Magìe e tecniche si fondono. Da sperimentare. La mostra è presentata con una limpida
miniedizione, limpida anche nei testi per una pittoscultura, o come si può dire?, anche intricata.
Autori Laura Testa, Dalma Frascarelli, e lo stesso
Carmine Mario Muliere, anche nostro collega
nella pagina scritta. Si sente, anzi si vede.
Giuseppe Selvaggi
ARTE - IL GIORNALE D’ITALIA, mercoledí 21
gennaio 1998, Roma
ARTE IN TRANSITO - FASTI E FASTIGI
Mostra del gruppo di artisti dell’Associazione Arte in
Transito - Ex Convitto Comunale - Sala delle
Esposizioni - Città di Veroli (FR) - Marzo/Aprile 1999
- Presentazione di Gabriella Dalesio
L
’universo è dunque una massa ed anzi una
massa in continuo movimento. Quanto poi
allo spazio che contiene l’universo, esso deve essere assai piú grande onde possedere la capacità di
contenere il continuo moto universale senza che
questo soffra per l’angustia e subisca arresti nella
sua evoluzione... Com’è allora o Trismegisto, che
le cose di quaggiú si muovono con i loro motori ?
“Ma qui si tratta, o Asclepio non già d’un movimento
concorde, bensí di un movimento differenziato: ché le sfere
non sono mosse da un moto uniforme, ma da moti differenziati l’uno rispetto all’altro, e tale diversità implica un
punto di equilibrio fisso, stando al fatto che la reazione al
41
moto è l’immobilità. [...] Tu vedi le due Orse che non si
levano né tramontano e sembrano girare sempre nello stesso punto: credi tu che esse si muovano o stiano ferme?”.
Il fitto dialogo tra Ermete Trismegisto e Asclepio
riportato nei Libri Sublimi è uno dei piú antichi
dialoghi sulle domande che da sempre arrovellano
la mente umana, misurandone sia il limite che le
stesse possibilità esperienziali, governate dall’impassibile orologio cosmico, che tutto tiene e controlla nella sua infinitesima precisione. Precisione
che nei secoli si è tentato di decodificare in tutti i
modi possibili: sia leggendone i rapporti e traducendoli in termini oracolari per comprenderne
l’influsso e le ascendenze sulle azioni e le vicende
umane. Tentare di tradurre il grande libro che dalla
natura spazia al cosmo, alle sue inesorabili ma
sempre piú sondabili leggi, riporta la mente
umana, ogni volta, al suo grado zero, ovvero ai
gradi che dallo zero fanno emergere l’uno. E via di
seguito, la nostra capacità di numerare, contare,
ma ogni volta, alla fine, si prosegue sommando
cicli su cicli negli infiniti gradi di un cerchio, negli
infiniti raggi di una sfera. Tradurre quegli infiniti
raggi che ogni volta ci appaiono in luce, orme,
cose, pianeti, cicli di movimento, susseguirsi di
gradazioni di luce e ombra: gradi che si aggiungono a gradi, sino a che lo Yin non muti nello Yang,
è l’arduo compito che gli umani da sempre si sono
prefissi, misurare il cosmo, comprenderlo nelle
nostre dimensioni. Lo zero e la sua invenzione
mitica risale ai quattro lati del pianeta, ai maya, agli
arabi e all’antica Cina, ma è nella sua nascita che sta
il mistero e il fine della nostra esigenza di “contare” il tempo o i tempi. Che ogni volta in esso coincidono. Il calendario è quel tentativo di tradurre
quei gradi della sfera, di riportarne l’inesorabile
unicità ed insondabilità sul piano fenomenico in
cui tutto accade, miracolo dei miracoli in un accadere ciclico. È un modo quindi di spiegarne ogni
volta il sorgere del sole, capirne l’inclinazione nelle
varie stagioni, comprendendone la bellezza in quel
deflagrare di mutazioni continue che ogni giorno e
ogni notte governano ogni singolo, minuscolo o
gigantesco fenomeno.
Quella perfezione inesorabile che gli antichi riconducevano alla sfera, si traduce ancor oggi nel
mistero del numero, la cui sacralità governa l’incidere del tempo. Incidere come tagliare ma anche
coincidere: tagliare o (incedere) insieme nella
medesima regione, del tempo e dello spazio.
Il numero romano, avverte un’artista che partecipa
alla mostra, di cui qui si da presentazione, “Fasti e
fastigi”, è nella sua stessa costituzione relativo al
progressivo e ciclico succedersi del tempo. La progressiva perdita di un senso temporale mediato dal
ciclo biologico e, in senso piú ampio, biocosmico
della nostra sensitività, isola nella nostra società
l’essere umano, oscurandone il senso di un sé partecipato e partecipante di altri infiniti cicli, annullandolo ed omologandolo alla serialità dell’enume-
razione quantitativa. La concezione del tempo dei
romani e quello di temporalità e di sua suddivisione da essi ereditato, è il soggetto della mostra “Fasti
e fastigi”. Il luogo da cui si diparte è quello relativo al ritrovamento di un prezioso frammento di
calendario romano nelle zone dell’antico Forum
Verulanum.
Questo frammento fornisce l’occasione di riflettere, da diverse angolazioni, ad alcuni artisti contemporanei sul legame sotterraneo che da tempi remoti lega l’essere umano, la sua fragilissima parzialità
ad una totalità che l’attraversa. [...].
I cicli si chiudono in cerchio, le cui dimensioni
potrebbero propagarsi all’infinito, anche se ogni
volta sono mediati dal finito delle materie, degli
elementi, delle pesantezze o delle loro leggerezze.
Le velocità si possono bloccare al piede o colonna
che ne ferma e ne tutela l’elemento fisso. È quanto emerge dall’opera di Carmine Mario Muliere,
“Giano”, sintesi del doppio ma anche passaggio
epifenomenico dei doppi cicli che appuntano,
complementari, gli avvenimenti umani, rivolgendoli ora in un modo, ora nell’altro, ai cicli solari o
lunari. Questi due astri che con la loro presenza
attivano forze ed energie la cui polarità demanda al
corpo umano la corrispondenza in processi che ne
attivano funzioni e tensioni, sposta di nuovo l’ago
di una bussola verso un punto impermanente. Il
simbolismo nel lavoro di Muliere è momento di
disvelamento, incontro di culture.
L’oriente e l’occidente si rincontrano su una medesima carta o mappa, come lui sostiene di “collegamentiatemporali”.
Gabriella Dalesio
Catalogo Mostra Artisti dell’Associazione culturale
ARTE IN TRANSITO, Ex Convitto comunale,
marzo-aprile 1999, Veroli
OMAGGIO A ELIO FILIPPO ACCROCCA
Un fagotto di carta & un po’ d’inchiostro e altre poesie, a
cura e con la presentazione di Carmine Mario
Muliere. EA Edizioni d’Arte - S. Cesareo 1999
L
a pubblicazione di questo volumetto, concordata con Elio Filippo Accrocca, era prevista per
il mese di agosto del 1996 e rientrava in un programma culturale che prevedeva la sua partecipazione. A nulla valse il mio disappunto con gli organizzatori che evidentemente subordinarono la realizzazione del volumetto alla presenza di Accrocca
che ci lasciò l’11 marzo di quell’anno.
Oggi, passati tre anni, voglio mantenere quella
promessa. Un fagotto di carta è il titolo di una poesia scritta da Elio il 12 settembre del 1990 e che
volle dedicarmi. A questi versi a mia volta, ho
dedicato, aggiungendo un po’ d’inchiostro, un
Libro d’Artista esemplare unico, dal quale fu scelto e pubblicato nei risguardi interni de “Lo sdraia-
43
to di pietra” (Newton Compton 1991), uno dei
disegni scaturito da quei versi.
La poesia è nel cuore dell’uomo / come la verità è
dentro le cose. / La poesia disgiunta dalla verità / è
finzione.
Inizia cosí la prima raccolta di poesie di Elio
Filippo Accrocca e questa affermazione resta la
base della sua scelta che fece scrivere a Giuseppe
Ungaretti nella premessa a “Portonaccio” (1949):
“E certo la poesia di Accrocca è la piú refrattaria a
farsi attanagliare in regole che non siano quelle
reclamate dalla propria ispirazione. È, la sua, una
voce di estrema tenerezza davanti alla terribilità
degli eventi, voce d’una tenerezza quasi silenziosa
per la sua intensità di commozione davanti a inermi povere cose, a poveri esseri travolti”.
Giancarlo Vigorelli qualche decennio dopo può
confermare per “Innestogrammi/corrispondenze”:
“Un libro-germe, un libro-innesto di tutta una
nuova misura di poesia...
L’autore si è buttato già nel solco del domani, del
duemila, appunto perché del futuro ha preveduto
e li innesta nel sangue, nel canto, i cambiamenti di
sostanza, non di forma”.
Ed è per questo che Accrocca non abbandona la
propria convinzione e situazione del suo campo
specifico che puntualizza nella dichiarazione a “La
distanza degli anni”: “Trame e rammendi, dettagli
sul filo dell’immaginario, parole scippate come
impronte della mente, passi e appigli (o la loro eco)
da aggiungere nella riserva in rosso degli anni.
Visioni e oggetti che nascono dal silenzio e dal
contrasto, dalle corsie dell’inganno che avanza.
Attraversato dalla vita e senza alcuna rosa dei venti,
non inseguo altro che orme ai limiti del campo che
resta”.
Le orme inseguite crediamo siano il legame persistente dell’invisibile filo della vita che ci consente
la propria scelta di esistenza, e quindi, una prova
incessante di sincera partecipazione. Perciò, questa
piccola raccolta vuole essere una testimonianza
tangibile verso Elio Filippo Accrocca, uno dei
maggiori poeti contemporanei al quale ci lega un
profondo sentimento di stima e di affetto.
Carmine Mario Muliere
1999, San Cesareo
Il volumetto di Accrocca è stato presentato ed offerto al
pubblico presente nella Sede dell’Istituto Nazionale di
Studi Romani il 16 aprile 1999. Alla presenza del prof.
Mario Petrucciani, presidente dell’Istituto, hanno ricordato Accrocca, Luciano Luisi e Mario Guidotti; di Claudio
Mazzenga è l’intervento che segue:
Omaggio a Elio Filippo Accrocca
Un fagotto di carta & un po’ d’inchiostro e altre poesie, a
cura di Carmine Mario Muliere
Accrocca-Muliere
Cori 1923 - Roma 1996 - S. Elena Sannita 1949
L
a pubblicazione di un libro d’artista è sempre
un evento interessante e piacevole, da seguire
con attenzione, ma in questo caso il valore dell’evento si amplia poiché gli artisti autori sono due,
un poeta ed un pittore scultore, si amplia ancor piú
perché l’operazione è un doveroso omaggio al
poeta Elio Filippo Accrocca voluto affettuosamente dal suo amico il pittore Carmine Mario Muliere.
Ed il mio intervento nasce dalla stima e dall’ammirazione per Accrocca e per Muliere che ho seguito
entrambi nei rispettivi diversi, per cronologia e
produzione, percorsi e risente ovviamente del mio
interesse professionale ed intimo per l’arte e per la
poesia romana dagli anni Trenta ad oggi, anni che
nel passato recente ho studiato su materiali spesso
inediti contribuendo al riesame delle cosí dette
scuole romane. Inoltre la conoscenza di Accrocca,
del suo ambiente, dei suoi luoghi, compreso quello natale, Cori, mi ha dato modo di seguire un percorso particolarmente interessante nella rivisitazione di molte vicende della cultura del periodo e
nella ricostruzione del contributo degli artisti della
sua cerchia, alla determinazione delle tendenze
romane dell’arte italiana.
Sarà inevitabile, quindi, accennare brevemente agli
esordi di queste tendenze, sarà inevitabile partire
da Giuseppe Ungaretti che, nella presentazione
della raccolta Portonaccio, allude con incredibile
sintesi al clima culturale romano dagli anni Trenta
sino agli anni Cinquanta / Sessanta, dalla pittura
della prima Scuola romana di Scipione, Mafai,
Raphael e Mazzacurati, a quella di Vespignani e
Buratti, dalla propria poesia a quella di Accrocca.
È di poche righe la rievocazione che Ungaretti
dedica alla pittura di quel periodo, ma nelle poche
righe, per chi legge oltre le parole, si trova una
parte importantissima della storia dell’arte della
capitale in quegli anni e si trova, soprattutto il
senso del sodalizio fra pittori e poeti, fra poesia e
pittura, che ha saldato rapporti inseparabili fra
nomi rilevanti per la cultura italiana.
C’è, in quelle parole, un sottilissimo filo che riunisce in profonde spire, non in nome di scuole o di
tendenze, ovviamente, tanti personaggi fra i quali
spiccano Scipione, Mafai, Vespignani, Buratti,
Accrocca. È, come dice Ungaretti, l’estrema “tenerezza”, quasi una pietas, esplosa “dinnanzi alla terribilità degli eventi”, “dinnanzi a inermi povere
cose, a poveri esseri travolti” che costituisce il legame ed il legante fra i nomi da lui ricordati.
Basta pensare agli “Uomini che si voltano”, alla
“Apocalisse” di Scipione, alle “Demolizioni”, ai
“Fiori secchi” di Mafai. E la prima Scuola romana
nasce proprio in nome della pietà dovuta a uomini
immersi in una realtà offuscata e priva di stimoli
che sta andando verso destini poi rivelatisi tragici.
È il Barocco-antibarocco romano di Scipione, di
Ungaretti che si risolve nella visione del tragico
umano, scovato fra il fasto architettonico, coloristico, letterario; e mentre tutto ciò che sopravvive
43
all’uomo trema, vacilla nella profonda incertezza
contemporanea come trema e vacilla l’immagine
della tradizione borghese nella “Piazza Navona” di
Scipione, l’arte sola sembra avvertire queste vibrazioni vitali che hanno la forza ancora di generare
impulsi, di trasmettere sentimento, di contagiare il
mondo proprio con quella pietà evocata da
Ungaretti ereditata da Accrocca.
Dopo Scipione, Mafai e Raphael, altri come Melli,
Fausto Pirandello, Cagli, Capogrossi, Ziveri,
Fazzini, Mirko e Afro, Guttuso, Stradone, Scialoja,
Leoncillo, seguitano quella tendenza analitica iniziata dai romani di via Cavour in cui la scelta figurativa presupponeva una sottile astrazione intellettuale: le loro figure esprimevano proprio il contrario della retorica ufficiale, di regime prima, di stato
poi, era un figurativismo sempre meno figurativo,
per nulla realista, per nulla celebrativo, piuttosto
intimista ed evocativo, “magico” come fu detto,
ma di magia ce n’era poca, semmai limitata alla
manualità, al tono, alla forma, il resto era analisi,
un’analisi concreta che denunciava la disgregazione dell’individuo, dei valori sociali, della cultura in
un momento in cui l’individuo era già stato disgregato fisicamente e moralmente dall’esperienza
della seconda, ed in questo momento come non
mai speriamo ultima, guerra mondiale.
“Fronte Nuovo delle Arti” nel 1946, “Forma”
1947: si ricostituí allora, dopo il conflitto, il circolo ungarettiano, erano gli anni in cui Accrocca
dedicava, al suo maestro e professore, Portonaccio,
versi su un agglomerato di povere architetture
industriali vicino alle quali però c’era una delle più
importanti fonderie d’arte italiane da dove era
uscito quasi tutto il bronzo modellato in Italia nei
precedenti anni, comprese statue e fregi del
Monumento a Vittorio Emanuele II ed anche
numerose sculture futuriste: la Fonderia
Chiurazzi, il cui responsabile gestirà, negli anni
Cinquanta e Sessanta, la Galleria “La vetrina” in
via del Babuino dove passeranno nomi eccellenti
dell’arte italiana del dopoguerra da De Pisis a De
Chirico, da Rosai, Maccari, Mafai a Burri.
A Portonaccio abitò Accrocca fino al bombardamento di San Lorenzo, bombardamenti di cui oggi
purtroppo udiamo ancora l’eco proveniente
dall’Est, solo in televisione, ma comunque, ancora
oggi, sempre cosí micidiali per l’umanità intera,
cosí letali per tutti gli esseri viventi, per la poesia,
per l’arte. E se l’arte non si interroga sul significato della vita, sul significato dell’uomo ma soprattutto se non prende posizione, se non urla il suo
dissenso quando la morte dagli uomini è cosí
imposta ad altri uomini, anche l’arte muore uccisa
dagli eventi. “Non sparerò sul costato degli uomini. / Gli uomini sono fratelli. / Non sparerò sui
miei fratelli.”, si legge in una poesia di Accrocca
scritta durante il servizio militare a Cesano fra il
1949 ed il 1951.
A Portonaccio abitò anche Renzo Vespignani e l’ef-
fetto distruttivo dei bombardamenti a Roma è
rimasto come un grido di orrore e di denunce
nelle sue tele neorealiste ed espressioniste, nella
“Periferia”, ne “La mia casa bombardata”, tele in
cui un quartiere sopravvive straziato alla folle furia
della guerra e reagisce con disperata forza e carattere: sono questi gli esordi del pittore romano che,
subito, trova corrispondenze con altri artisti, alcuni amici d’infanzia, altri nati nello stesso rione,
come Armando Buratti, Marcello Muccini,
Spartaco Zianna, Graziella Urbinati, Fausto
Pinada costituendo quel Gruppo di Portonaccio di
cui Accrocca era critico, teorico, poeta, amico,
ammiratore e molto altro. Le tematiche sociali
delle periferie, dell’emarginazione, della solitudine
rappresentano il motivo di comune interesse degli
artisti, per lo piú autodidatti del Gruppo: è una
presa di posizione umana, ma anche sociale ed a
volte politica tradotta nel linguaggio del neorealismo.
La pittura del Gruppo di Portonaccio interpreta
tematiche care anche ad Accrocca, ritroviamo nei
suoi scritti, nelle sue parole, nella sua poesia e dai
luoghi desolati delle periferie estreme è arrivato
poi a cantare i mondi universali degli uomini, dai
vocaboli della quotidianità è arrivato alle sperimentazioni, da Portonaccio, da Caserma agli
Innestogrammi, agli Esercizi radicali, ai
Videogrammi della prolunga.
Ma dopo la guerra un clima di rinnovata fiducia si
andava diffondendo a Roma. Mentre Ungaretti
teneva le sue lezioni su Leopardi, come ricordava
Ponente, si erano viste le prime mostre su
Kandinsky, su Pollock che entusiasmavano poeti e
pittori e innescavano interminabili discussioni sull’arte, sul significato di poesia e di pittura. A quelle lezioni, a quelle discussioni dovette partecipare
anche Accrocca che si laureò appunto con
Ungaretti proprio quando il gruppo “Forma”
muoveva i primi passi, proprio quando Dorazio
entusiasmava il Poeta suo Professore e Maestro.
Le scuole, le tendenze romane, assumenvano posizioni e sfumature diverse, l’astrattismo, l’informale, il figurativo, il neorealismo, il realismo socialista proponevano soluzioni formali estremamente
lontane una dall’altra, ma riconducibili, in un’analisi, ardita, ma non priva di motivazioni, all’esperienza di Scipione, alla sua intuizione dello stravolgimento materico della superficie pittorica, al suo
agitare le forme che lentamente stavano informi
scrollandosi di dosso qualsiasi materialismo
umano, diventando universo umano, sintesi e analisi nello stesso tempo. Scipione, per molti artisti,
costituí forse quel confine, a volte anche un poco
indefinito, fra il figurativo e l’astratto, le sue indicazioni potevano condurre in un campo o nell’altro poiché la sua è una linea che separa e che collega piú tendenze.
Dopo la difficile esperienza dell’Informale in una
Roma poco preparata alle opere di Burri a tal
44
punto che in occasione della prima esposizione dei
“Sacchi” alla Galleria La Salita un anonimo richiese l’intervento dell’Ufficio d’Igiene per far controllare che la iuta non fosse portatrice di germi
contagiosi, la Città conobbe ed accettò le tendenze
piú disparate dell’arte acquisendo modelli estetici
diversi di portata europea ed in seguito mondiale.
È il periodo degli Innestogrammi/Corrispondenze
di Accrocca, è il periodo in cui la tecnologia spinta
dal benessere economico entrava di forza nella cultura italiana determinando nuovi linguaggi e
nuove tecniche artistiche, è il periodo in cui la
contestazione giovanile poneva domande ed anche
dubbi a tutta la cultura mondiale. Ed i modelli tecnologici ed i dubbi senza risposte sono ancora
oggi, nell’arte, energici motori capaci di trainare
tematiche e problematiche su cui lavorano autori
nei diversi ambiti d’indagine artistica: dal
Concettuale alla Transavanguardia, dalla Nuova
figurazione ai Graffitisti e cosí via dicendo.
Ma Accrocca è stato subito pronto, negli anni piú
caldi della cultura italiana, a cogliere il cambiamento ed avvertí l’esigenza di accostarsi con ironia
e con interesse a produzioni di rinnovata matrice
letteraria e formale, senza, però, dimenticare i suoi
temi piú cari e piú intimi.
Questa sua attenzione alle espressioni, alle innovazioni, ai giovani artisti fece sí che Accrocca, proprio in quegli anni, ebbe modo di conoscere l’arte
di Muliere e subito dopo il primo incontro si sviluppò l’amicizia, la collaborazione, il dialogo
umano e culturale.
Accrocca apprezzò immediatamente la ricerca condotta da un artista partito da lontano anch’egli,
dalle tematiche della quotidianità, dal contesto
della propria terra, dal difficile rapporto interiore
con la vita. Tematiche che Muliere aveva analizzato spinto dalla curiosità intima di indagare sull’incontro dell’uomo con gli altri uomini, con le cose,
di ripercorrere le strade della ricerca dell’uomo
sulla verità delle cose, svelare i segreti delle cose,
perché, appunto come scrisse Accrocca quasi come
monito per la propria ed altrui riflessione di artista
“La poesia è nel cuore dell’uomo come la verità è
dentro le cose. La poesia disgiunta dalla verità è
finzione”.
Muliere iniziò dalla figurazione ad analizzare la
realtà, ma le sue figure erano, già agli inizi, essenza, erano già sintesi di una ricerca interiore che
partiva da quella pietas propria della poesia di
Accrocca; poi le strade di Muliere si andavano
moltiplicando: dal figurativo al concettuale, dal
monumento di piazza alla piccola incisione; in
seguito, piú avanti fino alla semantica dei materiali, degli assemblaggi, delle installazioni, quindi l’attività di scrittore, di poeta, di autore/editore di libri
d’arte di una raffinata sperimentazione che non ha
conosciuto sosta.
Accrocca percepí affinità ed intenti comuni considerando Muliere amico e discepolo, collega e col-
laboratore dedicandogli versi e parole di presentazione in diverse occasioni: “Non mancano...alla
sua osservazione - scrive Accrocca - i risultati di
una pensosa conoscenza, frutto di quel saper
cogliere i sintomi dell’inquietudine. È fedele alla
sua ricerca esistenziale, intesa come metamorfosi,
con i modi di una civile creatività, in cui per fortuna rimangono i segni del dubbio, cioè quella voglia
di capire e capirsi che è il perenne ciclo dell’uomo....”.
Accrocca e Muliere dunque insieme in “Un fagotto di carta & un po’ d’inchiostro e altre poesie” e
credo che da questa occasione debba partire una
piú approfondita analisi su questo rapporto artistico. Mi riprometto di farlo.
Claudio Mazzenga
1999 Roma
IMPALPABILITÀ, la ricerca di Muliere alle soglie del
2000 – Conferenza (successivamente redatta) di Stefania
Severi pronunciata in occasione della mostra da lei stessa
curata nella sede del C.I.A.S., Roma, gennaio 2000.
“
Impalpabilità” è il titolo che raccoglie alcune
opere di Carmine Mario Muliere caratterizzate
dalla ricerca di una nuova e originale definizione.
Un’opera, infatti, si definisce normalmente grazie
al coesistere dialettico di materia e di idea che alla
materia stessa dà forma.
Nel caso di Muliere la ricerca si appunta su nuovi
modi di definizione, a cominciare da quello della
sottrazione, che va a sostituire il piú diffuso operare per aggiunte. In “Velature”, opere e Libri d’artista realizzati in poliester films nel 1991-’92, l’immagine si produce grazie alla sottrazione progressiva di pellicole. La luce è certamente l’elemento
guida di tutta questa produzione, e l’urgenza di
autodefinizione della luce stessa diviene elemento
di creazione artistica. È infatti la luce che produce
gli effetti di trasparenza, diafanicità e brillìo intesi
come autonomi.
Nell’installazione “In-finito attuale”, originaria del
‘91 ma che è a tutti gli effetti un work in progress,
i vari elementi di materiale plastico trasparente si
animano, di volta in volta, a sconda dell’elemento
luce e della relazione luce ed ombra. Assumere la
luce come principio di ricerca assume un chiaro
carattere simbolico, in particolare in una visione
alchemica di Albedo. Ma la luce è determinante
anche nella ricerca artistica piú tradizionale ed è in
tal senso esemplare la celebre grata posta dal
Verrocchio sulla Tomba Medici nella Sacrestia
Vecchia di San Lorenzo a Firenze: la grata si modifica a seconda dell’incidenza luminosa poiché
l’ombra che essa proietta è parte integrante dell’insieme. Una raffinata ricerca è sottesa in tutta l’opera di Muliere che il video “IMPALPABILITÀ”,
recentemente realizzato nello studio Insight di
45
Antonella Federico ha messo in luce. Mettere in
luce, da espressione linguistica si fa, nell’opera di
Muliere, espressione visiva. Del resto contaminazioni tra lingua e linguaggio visivo si ritrovano in
molte opere dell’artista che può certamente indicarsi come uno dei piú significativi esponenti della
poesia visiva.
“IMPALPABILITÀ” sottende non solo l’impossibilità tattile ma anche una sorta di indeterminatezza a vantaggio della fantasia che è la base di ogni
creazione. ‘La vedete quella nuvola, che ha quasi la
forma di un cammello?’ dice Amleto a Polonio,
osservando il cielo al disopra degli spalti del castello di Elsinore, nell’Amleto di Shakespeare (III,II).
E il dialogo cosí prosegue: Polonio: ‘Per la messa,
pare un cammello davvero.’ Amleto: ‘A me pare
una donnola.’ Pollonio: ‘Ha la schiena di una donnola.’ Amleto: ‘O di una balena.’ Polonio: ‘È identica a una balena’. Questo ricorrere ad una scenografia verbale, in un’epoca in cui l’apparato scenografico era estremamente esiguo, riconduce alla
capacità evocativa della lingua che va a sovrapporsi
ed a sostituirsi all’immagine visiva ma rimanda
altresí alla capacità del nulla di farsi concreto,
mimando l’azione creatrice dell’arte.
Tornando alla suggestiva installazione “In-finito
attuale”, la definizione piú puntuale di essa la troviamo in un breve trattato di René de Cléré
(1899), “Necessità matematica dell’esistenza di
Dio”. Qui il filosofo dice: “L’intervento di un
Essere Infinito di fronte al niente ha per effetto la
trasformazione di questo niente in ogni entità possibile”.
Ecco dunque che il singolo elemento in materiale
plastico, di per sé “niente”, si trasforma in “ogni
entità possibile” per intervento dell’Essere
Infinito. In questo caso l’artista, demiurgicamente,
trasforma l’entità minima in un massimo.
Di particolare interesse sono infine i libri di
Muliere, nei quali testo e immagine si fondono per
amplificare la loro rispettiva portata e giungere nel
piú profondo dell’anima del fruitore i cui sensi
sono interamente coinvolti.
“Certezza e impalpabilità / stupenda lega dell’energia mattutina / quando il sole – in campagna - / filtra nella stanza e crea / movimenti luminosi sulla
parete.” Questi primi versi dei testi dell’autore “IMPALPABILITÀ” e “VERIFICHE: l’oro del
mattino”, inseriti nel video, possono essere di
guida all’intera opera di Muliere tesa a raccogliere
l’eco profonda delle cose ed a ricreare con esse
quel rapporto empatico che la nostra civiltà tende
ad eliminare. Impalpabile è l’anima delle cose nel
vasto universo creato, che si fa tuttavia “palpabile”
in quell’universo ricreato dall’artista.
Stefania Severi
International contemporary Art – Gruppo ‘78 è un’associazione culturale no profit, nata a Trieste nel ‘78, ed ha
come obbiettivo principale la promozione dell’arte contemporanea. Ha realizzato nell’arco di 20 anni oltre 200
mostre, eventi artistici multimediali, e attinenti alla spettacolarità sperimentale, stages e seminari sull’espressività
corporea. Ha portato a Venezia, in occasione della
Biennale, la mostra internazionale intitolata
“Transformation”, realizzata dal 7 agosto al 6 settembre
‘99 al Teatro Miela.
D
all’11 al 28 febbraio 2000, presenta in collaborazione con Bonawentura una mostra collettiva di tre artisti romani curata da Maria
Campitelli.
Una mostra dalle tre diverse anime i cui segnali
però non si negano l’un l’altro, ma al contrario, nel
reciproco ascolto, possono interagire. I tre artisti
provengono da Roma, Carmine vi si è stabilito piú
tardi, alternando ora la capitale a S. Cesareo. Tutti
e tre sono in possesso di un curriculum articolato.
[...] Carmine Mario Muliere è un artista dalle
esperienze molteplici che da un’iniziale figurazione è passato ad esplorazioni materiche e alla tridimensionalità delle “Concrezioni”. “L’In-finito
attuale” presentato a Trieste, è una ricerca che l’artista conduce già da qualche tempo, fondata sulle
trasparenze, sulla luce. “Sospendo il colore nell’aria – dice l’artista – e nella luce, un’opera con la
struttura aperta che si lascia attraversare…”. Come
una sorta di mosaico dalle tessere mobile e trasparenti, sostenuto da un fervido spessore culturale
incentrato sul valore del simbolo.
Maria Campitelli
Miela Web: www.miela.it/gruppo 78.html 11-28 febbraio. (2) «il mercatino» 19-25 febbraio, Trieste
In Galleria – Coraggiose sperimentazioni di un
trio di artisti al «Miela»
T
rieste. Entrando al Teatro Miela per la mostra
(che chiude domani) allestita dal «Gruppo 78»
ad opera di Maria Campitelli si resta immediatamente presi da una visione d’insieme, che privilegia, a livello coloristico l’argento e la plastica trasparente. Sono le opere degli artisti protagonisti di
questa collettiva che ben s’inserisce negli ambienti
colorati e postmoderni del Miela. […]
Carmine Mario Muliere per l’occasione ha
approntato un pannello formato da grandi rettangoli di plastica trasparente e posizionato a parete.
Questo riflette i segni luminosi dell’ambiente circostante: operazione leggera dal punto di vista formale non vuole esserlo da quello contenutistico. È
un oggetto significante che possiede un alone di
precarietà troppo sottolineata per esserlo davvero.
Ci sembra di riconoscere qualche traccia di quelle
bolle di fumo di Pipilotti Rist della Biennale vene-
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ziana che erano talmente gratuite da diventare simbolo di un’arte contemporanea che si compiace
nell’intraprendere una strada che si chiama annullamento.
Per Muliere le sue opere possiedono valore di simbolo, per noi una prova di un coraggioso atteggiamento di sperimentazione con soluzioni oltranziste che provocano e infastidiscono proprio per la
loro finta debolezza. È un vero suicidio artistico o
solo una nuova tabula rasa, in questo caso di matrice concettuale, per ritrovare una strada perduta, un
linguaggio artistico nuovo, proprio ora in cui quasi
tutto appare sorpassato e inutile, insignificante o
comunque debole?
Lorenzo Michelli
Il Piccolo, 27 febbraio 2000, Trieste
Arte nell’orto – Sinapsi infinite
Con Gabbia di Faraday si intende qualunque sistema costituito da un contenitore in materiale elettricamente conduttore (o conduttore cavo) in
grado di isolare l’ambiente interno da un qualunque campo elettrostatico presente al suo esterno,
per quanto intenso questo possa essere. (Da
Wikipedia, alla voce Gabbia di Faraday)
Un celebre fisico matematico olandese-americano,
il 48enne Erik Verlinde che ha già legato il suo
nome alla «teoria delle stringhe» (la supersimmetria negli universi paralleli), sta agitando il mondo
accademico degli Stati Uniti con una serie di conferenze in cui fa a pezzi la teoria della gravità.
(Dall’articolo Gravità addio di Federico Rampini
da la Repubblica del 15 luglio 2010)
SPRAY ITALY
La gabbia di EBZN (Il centro della sfera)
A
D
l Teatro Miela, Maria Campitelli (per conto del
Gruppo 78) presenta una collettiva di artisti
provenienti da Roma. Tutti e tre partono unendo
brani di realtà a interventi artistici che affondano,
di volta in volta, per Marinaccio sul versante emotivo, per la Del Brocco su quello etico-sociale e per
Muliere su considerazioni simboliche. [...]
Carmine Mario Muliere appronta installazioni di
plastica, qui al Miela, trasparente, che l’artista
mette a colloquio con lo spazio espositivo. Le luci
si riflettono su queste superfici dando vita a uno
spettacolo luminescente che per Muliere possiede
il valore di simbolo: comunicazione di pensiero,
esso stesso significante. È un intervento che si basa
sull’ossimoro, sugli opposti: dalla visività trasparente si percepisce l’eco di contenuti sostanziosi. È
un agire leggero, che sento consono alle bolle
veneziane di Pipilotti Rist, troppo inutili per considerarle davvero inutili.
Lorenzo Michelli
JULIET art magazine, n.97 April-May 2000,
Trieste
opo l’avaria dell’astronave e il conseguente
atterraggio di fortuna, avvenuto provvidenzialmente in una verde e collinosa località della
Terra, EBZN si era costruito con i pochi mezzi a
disposizione un rifugio che le avanzatissime conoscenze della sua specie aliena avevano reso irriconoscibile e davvero inviolabile. Una specie di gabbia di Faraday, come i terrestri l’avrebbero potuta
definire, ma molto più evoluta e sicura.
Fondamentali erano le sue semplici strutture sull’impianto di base e l’intenso magnetismo nascosto
in essa, e poi altre particolarità apparentemente
insignificanti, come il pulsante piccolo nucleo, che
l’arretratezza culturale dei terrestri non avrebbe
potuto rilevare e tanto meno comprendere, neanche con le spiegazioni più semplici della supersimmetria negli universi paralleli. Però se i suoi simili
avessero di nuovo sorvolato il pianeta alla sua
ricerca, senz’altro l’avrebbero localizzata con precisione, riuscendo a trarlo in salvo.
[...]
Enrico Smith
EQUIPèCO, anno VII n. 25, 2010, pp.80-81
La Bacheca n.4: Libri d’artista – a cura di Mirella
Bentivoglio – “Libri trasparenti” – Galleria de LA
CUBA D’ORO
U
na intensa ricerca quasi esoterica di effetti
luminosi spinge Carmine Muliere all’incisione libera, diffusa, di carte traslucide e acetati montati a libro.
Mirella Bentivoglio
Comunicato Stampa della mostra, giugno 2000, Roma
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