Torino, 10 marzo 2013
Casa del Quartiere San Salvario
GeSù GeSùGeSù GeSù GeSù GeS GeSù GeSù GeSù GeSù GeSù GeSù GeSù
Relatore: Padre Gianfranco Testa
Missionario della Consolata
(appunti non rivisti dal Relatore)
Quando presentano, dicono sempre tante cose. Io ho continuato a chiedere ma che taglio
volete? Un taglio laico o un taglio religioso a questo incontro? E mi han detto sì, un po’
questo, un po’ l’altro, un po’ di tutto. Vediamo cosa ne verrà fuori, troverete questa rivista
al fondo Missioni Consolata, prendetela. Dove c’è un articolo che ho scritto su quella corta
esperienza che ho fatto in Palestina.
Mi hanno invitato in Palestina, non la zona per visitare i luoghi di Gesù, ma dove ci
sono i palestinesi, dove stanno vivendo una situazione abbastanza difficile. I Pastori mi hanno
chiesto proprio di andare là a parlare su questo tema: «lotta nazionale e perdono personale.»
Io ho parlato in italiano, non so cosa han capito, ma per fortuna c’era uno che traduceva
all’arabo, e frase per frase traduceva.
È stato interessante questo: che quando ho detto: andiamo a prendere un po’ di the,
riposiamo un po’ e poi veniamo per le conclusioni. Quel gruppo di musulmani pastori, molti
analfabeti, non si sono mossi e hanno invece cominciato a far delle domande. Una cosa
stranissima. Mi han detto: la prima volta che vediamo che succede questo, normalmente
appena finisce son già lì che partono tutti.
Invece si son fermati, si vede che il tema li ha toccati. Il tema del perdono, della
riconciliazione, il tema della resistenza non violenta. Ma il perdono personale, cioè la non
violenza.
È stato un discorso laico, perché erano musulmani, non potevo neppure citare Gesù,
il Vangelo, sarebbe stato parlare di qualche cosa che era fuori dalle loro esperienze. Sono
stato anche in altri luoghi, qui in Italia adesso sto andando di nuovo, tra un mese, ripartirò
per la quinta volta per l’Albania. Lì ultimamente ho fatto un lavoro coi preti, è stato interessante.
Un corso di tre giorni con 30 sacerdoti e il vescovo, anche lui ha partecipato a tutti e
tre i giorni e completato tutto il lavoro che abbiamo fatto. Tre giorni di lavoro sul perdono,
solo sul perdono, ma abbiamo toccato la riconciliazione. E mi sembra che qualche cosa si
stia movendo, al punto che domani il vescovo di Scutari sarà a Rimini, ci sarà un intervento del vescovo di Rimini e il vescovo di Scutari, a mi hanno chiesto che andassi giù a
conchiudere l’incontro dei due vescovi.
Perché dicono: tu conosci le due realtà, a Rimini vieni ogni tanto a fare dei corsi, a
Scutari ci sei stato già parecchie volte, e allora mi tocca viaggiare domani mattina e tornare dopo domani, perché è domani sera l’incontro. Ho voglia di farlo a livello ecclesiale,
cristiano, religioso, invece a volte a livello laico. L’importante che arrivi in questo senso.
Io comincerei con voi, con l’aspetto religioso e poi se avremo un po’ di tempo per andare
anche all’altra visione.
L’aspetto religioso è molto semplice, voi avete messo “gli egoismi”, Cristo può vincere questo? Viviamo nel mondo in una situazione davvero difficile. Ieri sera parlando ad
un gruppo di persone, e dicevo: perdonare, perdonare che cosa? Se io ho uno che mi ha
aggredito, so chi devo perdonare. Ma ad esempio: tutti lo conosciamo: due donne sono state
uccise in questi giorni, in una banca. Mettiamo i familiari di quelle due donne, chi devono
perdonare?
L’uccisore? Beh, anche lui s’è ammazzato. Devono perdonare chi? Ma lui perché s’è
ammazzato? Perché ha ucciso? Lui dice: perché gli avevano negato, quindi gli avevano tolto
la vita praticamente, negandogli un sussidio, un aiuto. Quindi lui si è sentito perso, e s’è
scatenato con gli altri e con se stesso. Attualmente siamo proprio in una situazione in cui
non si sa più chi perdonare.
Perdoniamo questo che mi ha sparato? Perdoniamo Monti? Perdoniamo la Fornero?
Perdoniamo la crisi, la Merkel? Perdoniamo il fondo monetario internazionale? Chi dobbiamo perdonare? Cioè qui stan tutti con delle responsabilità. Viviamo in un momento così
complicato, per cui chi ci fa soffrire, non è uno, non è questo o quell’altro, magari abbiamo
anche il figlio che ci fa soffrire un po’, magari il marito, Dio mi ha dato una croce e devo
portarla, qualcuno dice così.
Ma accetta anche un po’, non l’avevi scelta come croce. Quindi, in questo momento,
diventa complesso il discorso del perdono, perché diventa complicato il discorso di chi devi
perdonare. Con i pastori, io mi son salvato così: abbiamo preparato qualche foglio, e prima
di partire li ho buttati nel cestino, ho detto: non meli porto dietro, perché non so chi sono,
non ho visto la loro faccia, non so quel è la loro spiritualità, la loro preziosità.
Mi avevano detto: guarda, son musulmani tradizionali, ma non fanatici. Cioè, sono
musulmani che pregano ma non c’è fanatismo, loro non san neppure cosa sia il fanatismo.
Ho preso i miei fogli e li ho buttati via. Sono arrivato là, e ho cominciato dicendo: un mese
fa mi hanno ucciso una pecora. Io ho perdonato. Una settimana fa, mi hanno ucciso una
pecora, io ho perdonato (perché è quello che succede a loro). Ieri mi hanno ucciso un’altra
pecora. Io ho perdonato. Però, io so che domani me ne uccidono un’altra, tra una settimana
un’altra, tra un mese un’altra e continuo a perdonare così, in modo vago, in modo totale…
Cosa devo fare? È chiaro che di fronte a questa domanda, questi signori, hanno drizzato
le orecchie e han detto qui, questo parla il nostro linguaggio, parla delle nostre faccende,
parla di questo mondo nel quale il perdono non va più solo a quell’individuo o quell’altro,
ma va a tutta una situazione.
Viviamo in un momento così difficile. Qualcuno aveva scritto un messaggio dicendo:
il Papa lo faranno, il governo non so. Infatti lo vediamo, un momento difficile anche in
questo senso, perché ci accorgiamo che l’economia non solo traballa, ma si sfalda, si sfascia.
Nessuno ha la capacità di prendere in mano le redini. Allora, domani avremo meno soldi,
dopo domani ne avremo ancora di meno, dopo domani avremo ancora gente sotto i ponti,
gente buttata in strada, gente senza casa, e questo ci angoscia! Ci fa star male!
Ma chi dobbiamo perdonare?! Con chi ci dobbiamo riconciliare? Se è tutta una situazione
che è contro di noi. Ho trovato questo, e ho tradotto dallo spagnolo alcune pagine e ho trovato
una frase che mi sembra molto importante, anche per la nostra religiosità qui, di Torino. Io
vorrei che il Vescovo la leggesse questa frase. Vorrei che si leggesse nel Sinodo dei giovani,
perché m’han detto che sta un po’ così ondeggiando, senza sapere che strada prendere.
L’hanno iniziato molto bene, ma adesso non san cosa fare. Giovanni Paolo II, Giornata
mondiale della pace, 2002, dice nel suo documento: «il servizio che le religioni possono
offrire a favore della pace, e contro il terrorismo, consiste precisamente nella pedagogia
del perdono».
Dobbiamo imparare a perdonare! E dobbiamo insegnare a perdonare.
Non è una cosa che possa venire così da sola, ma vado a dire: devi perdonare, ma devi
insegnare come farlo. Ecco, il Papa insiste su queste due parole: «Pedagogia del perdono».
Questo è il servizio che le religioni, tutte, anche il Cristianesimo, possono offrire a favore
della pace oggi, è la pedagogia del perdono. Non perché il perdono sia patrimonio esclusivo cristiano o religioso che non lo è, ma perché l’amore che richiede, mostra tutta la
capacità umana e divina, di ricreare, riumanizzare l’umanità spezzata, e disumanizzata
dalla violenza sofferta e prodotta.
Viviamo in un mondo dove si soffre per la violenza degli altri. Soffriamo per la violenza che anche noi a volte facciamo. Siamo spezzati come persone, come società. Oggi la
religione dovrebbe aiutarci a far questo: una pedagogia del perdono.
Un libretto: io lo chiamo sempre il libro di istruzioni. Quando voi comprate qualcosa,
io compro qualunque cosa, e non so cosa schiacciare prima, perché a volte uno si sbaglia e
può anche rovinare. Allora mi metto a leggere un po’ quei libretti di istruzione. Ma a volte
son curiosi, ci capisco più niente, allora guardo solo le cose più importanti, e più o meno
riesco ad accendere il cellulare e a spegnere il cellulare, almeno quello riesco a farlo.
Noi abbiamo un libretto di istruzioni per la nostra vita, c’è qualcuno che non lo legge,
e magari mette lì la spina nel modo sbagliato, e brucia tutto. Quel Libro di istruzione si
chiama la Bibbia, per me la Bibbia è il Libro di istruzione che insegna a vivere. Ci insegna
a vivere anche perché magari ci sbatte in faccia tutti i problemi, le difficoltà, incomprensioni,
le incongruenze, i fanatismi, tutto, tutto c’è lì dentro!
Ci sono i tradimenti più grandi, ci sono le vendette più feroci. In Albania c’è il sistema
della vendetta tradizionale. Un prete diceva: facciamo attenzione quando la gente promette
il perdono, la riconciliazione, facciamo attenzione che non aggiungano niente. Che dicano:
io mi riconcilio e basta. Perché è successo che qualcuno ha detto: per 50 anni ci riconciliamo, ed è capitato che al 50° anno, più un giorno, hanno ammazzato quello là, gliel’han
fatta pagare.
È mica strano, voi leggete un po’ come era Davide sul letto di morte: chiama Salomone
e dice: senti, Salomone figlio mio, io al tale ho promesso che non gli avrei fatto niente, e
così con quattro o cinque, così disgraziato era il santo re Davide, che sul letto di morte mi
raccomando, eh, io non l’ho toccato, perché gliel’ho promesso, ma tu, non hai promesso
niente, quindi ti raccomando.
E difatti Salomone l’uomo della pace, così si dice, e li ha fatti fuori subito. C’è questa
violenza così, e nella Bibbia troviamo di tutto. Però nelle prime pagine della Bibbia, abbiamo mi sembra, proprio l’itinerario della vita, come dovremmo vivere. Quelle pagine che
non sono ancora pagine ebree, sono pagine prese anche da altre culture. I primi 11 Capitoli
della Bibbia, messe all’inizio perché sono così globali, dove si parla a livello di cultura
umana. Ci sono pagine scopiazzate da Babilonia, però rifatte con lo spirito della fede ebrea,
e ci son delle pagine prese da altre culture e messe lì. C’è una frase che è importante: Dio
che giudica se stesso. Non veniamo al primo capitolo nella Bibbia, che è un capitolo che
era una cosa scolastica, ma secondo e terzo capitolo sono bellissimi, 4° Capitolo: Dio crea
l’uomo, poi guarda e dice: ma ho mica fatto tanto bene le cose. Cosa manca? Non è bene
che l’uomo sia solo.
Si è accorto che c’era qualche cosa da correggere nella Sua stessa creazione. E allora
crea la donna, sappiamo come. Questo Dio che cambia di mestiere ogni mezza pagina della
Bibbia. All’inizio Dio che fa il vasaio, usa la terra. Poteva prendere l’argilla, no, l’uomo
l’ha fatto con la polvere della terra, proprio il materiale più povero. Quindi fa il vasaio. Poi
diventa contadino: piantò gli alberi del giardino, poi diventa chirurgo e allora ecco apre la
costola ad Adamo, si era dato alla chirurgia.
E quindi, questo Dio che cambia di mestiere ogni mezza pagina della Bibbia.
Però Lui ha risolto quel problema: ecco la donna, e l’uomo è felice. “Ossa delle mie
ossa, carne della mia carne”. Poco dopo dice che Eva ebbe un figlio: Caino. Ecco, è una
gioia, una felicità avere Caino. Poi ebbe Abele, fratello di Caino. Interessante. La Bibbia
non dice: che ebbe Abele, un altro figlio. No, Abele non è un altro figlio, Abele è il fratello.
Cioè, qui ci stan facendo vedere le relazioni: uomo – donna. Fratello – fratello. Ecco, sono
relazioni diverse ma tutte servono perché l’uomo non sia solo.
Il progetto di Dio non è la solitudine. L’egoismo cosa dice? solitudine! Ego = io,
se stessi e unici, soli al centro di tutto. L’egoismo non è mai parte del progetto di Dio. Il
progetto di Dio è la relazione: “non è bene che l’uomo sia solo”. Cioè, c’è la donna con
l’uomo; c’è il fratello con il fratello. Quindi ci sono diversi tipi di relazione. Sappiamo che
Caino non accetta suo fratello, e Dio gli chiede conto: ma io non sono mica il responsabile
di mio fratello!
Sì, tu sei responsabile di tuo fratello. C’è questo. Dio ha in testa, un progetto di comunità. Quello che Dio vuole che noi viviamo, ma viviamo come comunità, viviamo come una
famiglia. Qual è il primo Comandamento? Qual è il primo comando di Dio? non ditemi: è
l’amore. Quello lo troviamo già in Gesù, e ce ne vuole prima di arrivar lì!
Ma la prima parola che nella Bibbia incontriamo che Dio rivolge all’uomo e alla donna,
nel primo capitolo, la prima parola è: «Crescete, moltiplicatevi!» Questo è il primo comando
di Dio. Dio che cosa vuole? Crescere! Voglio che tu cresca. Cosa vuol dire crescere? Vivere!
Quello che Dio ci dice è: vivete! Cosa vuole un papà per i suoi figli? Che vivano, e una
mamma vuole che i propri figli vivano.
La gioia più grande di una persona, è vedere che i propri figli crescono, stanno vivendo.
S. Ireneo dice: la gloria di Dio è l’uomo che vive! È l’uomo che sta vivendo, e questo lo
fa felice. Dio vuole questo! il Suo primo comando è: vivete! E il secondo è unito a questo:
moltiplicatevi! Cosa vuol dire moltiplicarsi? Aver dei figli, va bene, è un modo di moltiplicarsi, c’è della gente che fa dei figli, ma non ha dei figli. Li fa. O li lascia per la strada
di qui, di là. Distacco così, seminato per il mondo. Avere dei figli, è un’altra cosa, diversa
dal fare dei figli.
Io faccio sempre la domanda che è molto semplice: Giuseppe ha avuto 3 figli, Giovanni
nessuno. Chi ne ha avuti di più? Adesso si studia questa matematica filosofica che non si
capisce mai quale sarà il risultato. Qui ne ha avuti 3 e Giovanni nessuno. Chi ne ha avuti di
più? Ecco, aspettiamo i cognomi: Giuseppe Bosco ha avuto tre figli, Giovanni Bosco nessun
figlio, e ne ha avuti di più. Continua ad averne adesso, che è morto da più di cent’anni,
continua ad avere dei figli.
Quindi avere dei figli, non è semplicemente farli, ma essere capaci di dare motivi di
vita, ragioni per vivere, voglia di vivere. Quante volte l’abbiam visto nei collegi, nelle scuole, magari negli oratori, anni fa c’erano le suore dell’oratorio. Ma c’erano delle suorine che
a volte davano più vita della mamma o dei genitori. Quando a quella ragazzina dicevano
una parola giusta, gli facevano coraggio, ecco, davano vita! O anche magari qualche prete
che parlava a qualche ragazzotto un po’ sbalestrato, un po’ fuori dalla grazia di Dio, e lui
riusciva dare di nuovo un po’ di coraggio. Gli dava vita!
Vivete, date vita! Questo è quello che Dio vuole! E quindi vuole che noi viviamo dando
vita! Vuole che noi viviamo come una famiglia. Lì l’egoismo non ci può stare. Ecco è tutto
lì, non c’è da aggiungere molto. Cosa c’entra Gesù? A voi piace mettere Cristo sempre lì,
a me piace molto la parola Gesù, Cristo è già un po’ teologia. Invece Gesù è quello che
camminava, è quello che si muoveva. Io immagino questo: il progetto di Dio è questo pro
getto di vita in comunità. Noi cosa abbiam fatto? L’abbiamo sfasciato subito! Si sono odiati
marito e moglie, lei: quella che Tu mi hai dato come moglie, mi ha fatto peccare! Ecco già
la prima divisione! E poi si ammazzano, e poi continuiamo con la violenza incredibile, al
punto che Dio dice: Io non sopporto più questo, Io faccio fuori tutti. E si salva Noè secondo
questa tradizione.
Noi vediamo che il progetto di Dio, l’abbiamo distrutto, e da allora è distrutto, continuiamo a distruggerlo! Perché preferiamo: i miei interessi al bene della maggioranza, e
teniamo quello che serve a me e non quello che serve a tutti. Ecco, viviamo proprio contro
il progetto di Dio. Cioè, questo libro di istruzioni, non lo vogliamo leggere, non lo vogliamo
capire, non lo vogliamo accettare.
Vogliamo provare noi la spina nella corrente, magari bruciamo tutti, quanta gente ci
brucia la vita! Quanta gente prende la vita e la brucia! Io immagino questo: Dio avrà detto:
ma insomma, a sta gente io l’ho detto, ma forse non mi hanno mica capito! Cioè, quando
uno parla, c’è chi sente e chi non sente, facciamo una cosa: caro Gesù, faglielo vedere Tu!
Ricorda alla gente questo mio progetto! Ma non dirlo solo, mettilo in pratica tu, magari se
vedono che tu lo hai fatto, vedono che si può realizzare.
E Gesù viene proprio a questo, a raccontarci di nuovo il progetto del Padre, e a vivere
il progetto di Dio. Allora vediamo che nella Sua vita, cosa ha fatto? È sempre stato aperto
all’incontro, all’accoglienza. Non ha mai rifiutato nessuno. Rifiutava solo quelli che invece
di parlare di amore di Dio, parlavano di legge di Dio. Quelli che mettevano prima la legge
di Dio, dell’amore di Dio. Lui diceva: ma no, prima c’è l’amore!
Se è per la legge oggi avrebbe dato un bel calcio nel sedere a sto figlio disgraziato
che torna e ha ancora la voglia di farsi vedere la faccia. E invece no, l’ha accolto e gli ha
fatto festa, e lo ha voluto reintegrare com’era prima: il vestito bello, l’anello, i mettetegli i
sandali ai piedi, non è uno schiavo, ecco, vestitelo bene, è mio figlio!!!
Quindi Gesù è venuto a raccontarci questo del progetto di Dio, è venuto a viverlo, a
realizzarlo! Perché noi vedendo cosa Lui faceva, quali erano le sue scelte, quali sono le sue
opzioni, imparassimo che cosa vuol dire vivere quello che Dio vuole, cioè vivere dando vita!
Vivere creando la vita attorno a noi! Questo praticamente è il grande messaggio.
Adesso, questo vediamo che è difficile, e allora entriamo nell’altro discorso del perdono e della riconciliazione. È stata chiara questa introduzione molto semplice? Però mi
sembra sia molto vera. Abbiamo la Teologia troppo complicata, ad alcuni facevo notare questo: il Vangelo di Marco quante pagine ha? Mettiamo una trentina di pagine. Il Catechismo
della Chiesa Cattolica quante ne ha? 900 e più, l’edizione ultima. Forse abbiamo aggiunto
troppa roba.
Vedete, la salvezza è lì. Forse abbiamo fatto la Teologia troppo complicata. Forse è
per questo anche tante persone si allontanano, i giovani si stufano, si stancano. Se noi gli
mettiamo lì davanti, un Catechismo di 100 pagine girano la faccia dall’altra parte. Dagli
un messaggio minimo, essenziale, che dia voglia di vivere! Vivete! Ecco Dio vuole che tu
viva! Che tu abbia dei sogni, dei desideri! La voglia di vivere!
E vuole che tu viva non in modo egoistico, non chiuso in te stesso, ma viva dando
vita! Quindi è tutto. È facile da dire, ma è difficile poi da vivere e da fare, perché qui esige davvero un cambiamento radicale della nostra esperienza, della nostra vivenza. Allora
parliamo di quest’altro aspetto, perché oggi continua ad esserci, e noi lo soffriamo, noi
sentiamo la presenza del male in mezzo a noi, viviamo male, ci sentiamo male, ci sentiamo
feriti tante volte.
Cosa fare di fronte a una ferita? Voi qui avete un foglietto sul perdono, e per – dono,
io sto facendo un po’ di scuola di latino a un ragazzino, un po’ di doposcuola, diciamo
così. Un ragazzino musulmano, ha voluto studiare liceo scientifico, però lui parla molto
bene l’italiano perché è nato in Italia. Gli ho detto: io ti insegno il latino e tu mi insegni
l’arabo. Ma io non lo so!
Non è la tua lingua? L’ho salutato in arabo, lui mi ha risposto, ma poi dopo dice: fino
lì, ben anch’io dico: arrivo solo fino lì. Siamo alla pari. La parola “perdono” in latino non
esiste. C’è agnoscere, dimenticare, far finta di niente. Ma la parola perdono, non c’è nel
latino. Viene da due pezzi di latino messi insieme, ma non esiste come parola. Cercate nel
dizionario, non lo trovate. Perdono viene da: “per + donare”. “Per,” è un rafforzativo. “Dono”
è regalo. Quindi è un regalo esagerato. Il perdono, è un regalo in eccesso. Un regalo che
va oltre ogni limite. Ed è un regalo molto difficile. Perché? Cominciamo dall’inizio: io ho
una ferita. Vi siete tagliati qualche volta in una mano? C’è un sistema quando vi tagliate di
nuovo, ho un sistema per guarire senza cerotti, senza niente.
Però andate in cucina e cercate un coltello ben appuntito e lo piantate nella ferita, poi
girate il coltello un po’ di volte, e la ferita guarisce. Dovete provare. Voi ridete, ma non
avete provato. Quante volte il coltello lo giriamo dentro? Quante volte giriamo il coltello
e pensiamo che così riusciamo a guarire? Ma quello mi ha detto… quello mi ha fatto…
quella mi ha detto…
Per i giovani c’è un discorso molto più bello: voi avete un CD con la musica di quelle
proprio strepitose che piacciono tanto, però è rigato, cosa ne fai di un CD rigato? Bello,
c’è la musica bella. Devi buttarlo via! Noi a volte abbiamo in testa un disco rigato: mia
mamma, ma mia mamma… sto papà, i genitori… e dai, gira questo disco in testa. Cosa
fai? Risolvi mica niente.
Oppure andiamo dall’altra parte: mia figlia! Ah, mia figlia! E gira questo disco. Buttatelo
via questo disco, mettete un disco nuovo! Cerchiamo la musica nuova. Mettere il coltello
nella ferita, non la fa guarire! Far girare il disco rigato, non sentiamo niente, non abbiamo
più il piacere di ascoltare niente. Diventa insopportabile la nostra vita.
Questo tanto per il male sofferto come per il male fatto! Io mi immagino tutti i ragazzi
che sono in prigione, questa gente che è in prigione, perché io pratico un poco questi carcerati, adesso che vado giù a Rimini, accolgo mille dei carcerati, se non mi accolgono loro,
così son sicuro che c’è il posto per dormire. Ma lì, un posticino me lo fanno sempre. Ma
anche loro “hanno sempre il male fatto,” continuano a girare su quello. Io ho fatto questo,
io ho fatto quello…
Ma cosa fai, cosa ricordi? Pensi che guarirai a forza di girare il coltello in quella ferita?
Pensi che guarirai a forza di usare sto disco, ormai rigato, inutile? Ecco, bisogna avere il
coraggio di dire: basta. Basta, togliamo sto coltello di lì. Il perdono è un regalo per me, non
per gli altri. Io voglio stare bene, io voglio guarire! Io voglio affrontare la vita con serenità,
con tranquillità, con fiducia!
In Palestina sono stato una decina di giorni, avrò fatto almeno 8 incontri, perché tutti i
giorni avevo il Cairos palestinese, con la teologia, col gruppo di donne femministe israeliane,
con il gesto di informazione alternativa a Betlemme.
Poi con questi musulmani, poi c’era un gruppo che si raduna ogni mese, sono i genitori
di vittime. C’era un papà israeliano al quale hanno ucciso un figlio in uno di questi attentati.
Dall’altra parte del tavolo c’erano dei palestinesi ai quali i soldati israeliani avevano ucciso
un figlio quando cominciano a sparare. Erano lì, e un uomo diceva: io non posso perdonare
la morte di mio figlio. L’israeliano: io non posso perdonare la morte di mio figlio. E l’ha
detto un po’ di volte.
Io ho detto: senta, lei non può perdonare la morte di suo figlio, lei non deve perdonare
la morte di suo figlio! Perché è qualcosa di ingiusto. Non puoi accettare quello. Non bisogna
perdonare ciò che è ingiusto. Però se io non perdono, mi lego a quel fatto con una catena,
e vivo lì in funzione di quella morte. E allora sono uno schiavo, non sono un uomo libero.
Cioè, lei non può perdonare la morte di suo figlio, benissimo, non la perdoni!
Ma lei è seduto qui e davanti a lei, ha dei palestinesi ai quali lei non dà la mano, e
ha ragione, non gliela dia! Lei è tenuto di là, lei è seduto di qui, ha tutte le ragioni per non
dare loro la mano. Però voi siete qui in questa stanza, allo stesso tempo, perché in qualche
modo state sbagliando. Un momento in cui non ci sia più nessuno che si aggiunga a voi,
perché non c’è più nessuno che muore.
Voi quello che volete, è semplicemente non perdonare quello che è accaduto, ma volete
che quello che è accaduto non si ripeta più.
Allora state costruendo una mentalità diversa, state facendo un lavoro grande, state
tranquilli se non perdonate, state tranquilli, già vi siete liberati, già vi state liberando, non
vedete che in funzione di quella morte, cercando di dimenticarla, ma da quella morte avete
imparato una lezione: che la vita deve essere più...
Non è perdono quello? Voi dite di no, però lo è. Lo è perché non siete già più schiavi
di quel fatto. Quel fatto non si dimentica, il perdono non cambia il passato, questo dev’essere
molto chiaro. Il perdono non cambia il passato! Non lo rende simpatico, lo rende accettabile. Ciò che non si può accettare, non si può accettare mai! Ma il perdono che non cambia
il passato, mi amplia il futuro. Me lo fa più ampio, mi apre ad altre prospettive, ad altre
strade, di modo che io non posso perdonare quello, va bene, non perdonarlo. Però mettiti...
una prospettiva di non vivere solo condizionato da quel fatto, in funzione di una vendetta,
della ricerca di fare del male agli altri, ma tu stai cercando che non succeda più nessun male,
perché non vuoi che nessuno si aggiunga al vostro gruppo piangendo, perché hanno ucciso
un figlio. È un punto molto delicato questo, molto fine, molto sottile. A volte noi parliamo
del perdono come qualcosa di buon cuore: ma dai, perdona su, ma non ti vergogni? Gesù
sulla croce perdonato. Ma io non ce la faccio, hai ragione, datti del tempo. Soprattutto non
barattare il perdono con un perdonismo superficiale, quello no.
Il perdono è guarire la ferita che c’è in me. Fare in modo che non mi faccia più
così male da non permettermi di camminare. Così il perdono, io faccio in modo che un
fatto negativo della mia vita, non sia determinante per il mio futuro. Ecco questo è un fatto
negativo, io non dico che sia positivo, è negativo. Però io non vivo in funzione di questo.
Non determina il mio futuro, perché? Perché io voglio essere libero.
Io voglio poter vivere in un modo libero. Quali sono le cause della violenza che
c’è adesso? Mons. Lambiasi ha voluto, è stato un colpo di genio o non so, ha voluto fare
«l’università del perdono». Ma dico: facciamo l’asilo del perdono, insomma sarebbe già…
L’università, vado giù io per l’università del perdono. Ogni tanto mi chiama: vieni giù, vediamo di far qualcosa.
Cosa possiamo fare? Dico: fate una cosa, prendete qualche giovane, qualche persona
anche se anziana che hanno voglia, e una domenica vi mettete davanti a una chiesa, e a quelli
viene dato un foglio, o fate delle domande, andate lì, fate l’intervista a più gente possibile:
secondo voi qual è la prima causa della violenza? La settimana dopo andate davanti a una
discoteca, e quando escono i giovani chiedete loro: secondo voi, qual è la prima causa della
violenza?
Violenza che si fa agli altri e che uno fa a se stesso. Il ragazzo che s’è buttato giù
adesso perché la fidanzata lo ha abbandonato. Qual è la prima causa di questo? Perché, lui
ha fatto violenza a se stesso? E andate davanti a una scuola, la settimana dopo fate la stessa
domanda, e tirate delle conclusioni. Sembra che la prima causa della violenza sia che non
sappiamo gestire le emozioni.
Quel ragazzo non ha saputo gestire la sua emozione negativa. S’è lasciato vincere da
quella.
Quello pieno di rabbia, pieno di ira, pieno anche di invidia, ammazza i figli, ammazza
la moglie, e ammazza se stesso. Non ha saputo gestire la sua emozione. Le emozioni l’hanno
vinto. C’è un racconto che potete fare in giro che è molto simpatico e molto facile: immaginiamo la nostra vita come un viaggio in un autobus. Nei passeggeri del mio autobus c’è
la pigrizia, c’è la generosità, vanno a spasso con me, indifferenza, cosa altro? La noia, la
paura, l’egoismo, ci son tanti passeggeri che vanno con me, c’è anche la rabbia, simpatica
è lì seduta. E andiamo a spasso.
Un giorno la pigrizia dice: oggi guido io. Non vi capita? Ho chiesto in una scuola, ho
raccontato questo in una scuola, sììììì! Tutti i giorni ci capita! Dicevano i ragazzi. Erano già
studenti di scuola superiore liceo, tutti i giorni. Ecco, allora dite ai professori che la colpa
non è vostra, la colpa è della pigrizia che ha preso il volante. Se oggi non volete studiare,
la colpa è sua.
Voi avreste voglia di studiare, ma non potete perché ha preso il volante la pigrizia. Un
altro giorno la generosità prende il volante, ma che bello! Questo lo vuoi? Ti piace, prendilo.
Ci son dei giorni che siamo generosi regaliamo un po’ tutto. E un giorno la paura prende
il volente, allora c’è un po’ di tedio. Un giorno la rabbia ha preso il volante, cosa capita?
Distruggiamo gli altri, distruggiamo noi stessi, il finimondo.
Allora cosa bisogna fare? Far scendere la rabbia dal pulman? No, lasciamola lì. Serve la
rabbia? Chiaro, è simpatica, a me è servita tante volte. Quando facevo scuola, ed entravo in
classe e c’era un casino generale, allora facevo un grido, facevo la faccia rabbiosa, e allora
tutti tranquilli studiavano quell’ora lì. I genitori al venerdì cominciano a fare una faccia un
po’ così. Quindi a volte la rabbia ci serve.
Gesù ha avuto rabbia? Sì. Viveva di rabbia? No. Ha avuto paura? Sì. Viveva di paura?
No. Ecco, lasciamole lì. Gesù ce l’aveva tutte le emozioni, se l’è portate tutte con sé. Le
emozioni non sono cattive, l’importante è che non prendano il volante. Il problema grande
della violenza, è che non sappiamo gestire le emozioni. Ci facciamo prendere da loro, e
questo è grave.
Ci sono altre cause un po’ più piccole, crediamo che la violenza sia normale, a volte
la gente guarda la televisione, quello ha preso la pistola e gli ha sparato, ha fatto bene,
io avrei fatto lo stesso, cioè, la violenza è normale: ha fatto bene, io avrei fatto lo stesso.
Quindi diventa la normalità sparare a uno, ammazzare uno, poi magari non sarei capace di
farlo, perché io tirare il collo a una gallina non so come si fa, mi fa pena. Ma però davanti
al televisore tutti siamo… Però c’è questo che diventa normale la violenza. Invece dobbiamo
combattere questa mentalità. La violenza non è normale, non è nel nostro modo di essere.
L’uomo se è capace di far la guerra, è anche capace di far la pace. Così come siamo capaci
di avere atteggiamenti violenti quando perdiamo la testa, ecco siamo anche capaci di avere
degli atteggiamenti di accettazione dell’altro, di comprensione, ecc.
Per questo motivo mancano i mediatori. I mediatori non ci sono, i bambini quando incominciano a picchiarsi a scuola, tutti i compagni attorno: dai, picchialo! Dai, dai, più forte!
e tutti gridano contenti. Devono correre le maestre a separarli, perché non ci sono mediatori.
Anche tra di noi non abbiamo qualche mediatore. Io l’ho detto anche a questi benedetti vescovi
di Scutari e quello di Rimini: sentite, quando facciamo la catechesi della Cresima, invece di
spiegare lo Spirito Santo di qua, di là, che poi tanto non è che l’impressioni molto.
Cerchiamo che questi ragazzi diventino mediatori. Mediatori in famiglia, mediatori
nella scuola, cioè, gente che fa una scelta di non violenza. Che poi non vengano a Messa,
mi spiace, però non più di tanto, nel senso che se non vengano a Messa, ma sono persone
che nella società lottano perché ci sia un po’ più di calma. Non dicono: Signore, Signore,
ma fanno quello che Dio vuole.
Cioè, aiutano a vivere dando vita. Non spaventando gli altri. Se poi vanno anche a
Messa, se la Messa è bella, se ti dice qualche cosa, avranno anche una forza in più. Ma
dobbiamo aiutarli a diventare mediatori di riconciliazione, di perdono, di non violenza, fare
pedagogia del perdono!
È questo che il Papa chiede a tutte le religioni: fare pedagogia del perdono, oggi è urgente questo! Nel 2002 Giovanni Paolo II il primo gennaio 2002, andate a cercare nell’internet
trovate tutto il discorso. Cosa succede con la violenza? Ognuno pensi a se stesso. A volte mi
hanno ingannato? Che non mi sarei aspettato? Hanno parlato male di me ingiustamente?
Quando parlano male di uno è sempre ingiusto. Mi hanno offeso in qualche modo?
Mi hanno derubato? A volte succede anche. E il derubato si sente male, si sente pieno di
rabbia, con tutta ragione! Ma vivere di rabbia è un’altra cosa. Avere rabbia va bene. Quando
vado a far gli esercizi o ritiri alle suore dico sempre: per favore in confessione non venite
a dirmi: ho avuto rabbia con la superiora! Avete fatto appena bene.
Se poi invece vivete di rabbia, la fate morire, allora è certo che quella è un’altra cosa.
Ma avere rabbia va bene, è giusto. Gesù aveva rabbia, ma non viveva di rabbia. Non vivete
di rabbia. Ecco, cosa succede quando ci hanno fatto qualche cosa di ingiusto? Succedono tre
cose, ditemi voi se è vero o non è vero, primo: perdiamo sicurezza in noi stessi. Uno diventa
insicuro. Ma non solo, tutto quello che faccio va male. Sempre mi giudicano male, qualunque
cosa io faccia. Ma io non so più cosa fare. Ecco, perdiamo sicurezza in noi stessi.
Secondo: perdiamo il senso della vita. Non abbiamo più voglia di far niente. Io avevo
dei progetti, avevo voglia di far questo, quello, no, no, basta io non faccio più niente. E’
meglio non far niente, è meglio non esporsi. Quindi i sogni, i progetti, il senso del vivere,
sicurezza, senso della vita, non ce l’ho più. Terzo che perdiamo: l’associatività, non ci fidiamo più di nessuno.
Io preferisco non parlare, tanto poi se parlo quelli interpretano… poi chissà cosa riportano, io non parlo più con nessuno, io faccio la mia vita, io tiro la porta di casa. Uno
non ha più voglia di comunicare. Quando la ragazza arriva a casa da scuola, un po’ arrabbiata, perché ci sono un insieme di cose che nella sua vita non vanno, cosa fa? Si mette in
camera, chiude la porta, basta, mette le cuffiette, non vuol sentir nessuno, non vuol parlare
con nessuno.
Ecco, ha chiuso con il mondo. Poi i giovani oggi, hanno questo atteggiamento: chiudersi
con la società che tanto mi fa solo star male, non gli offre niente. Allora mettono le cuffiette,
sentire quello che voglio io, non parlo con nessuno, passano delle ore in silenzio. Tre realtà
che ci perdono. Facciamo l’esempio molto concreto: cosa vuol dire per una ragazza che è
stata violata, perdonare? Lei ha perso sicurezza in se stessa. Ha perso il senso della vita, e
ha perso la sua sociabilità non si fida più di nessuno.
Cosa vuol dire per lei perdonare? Vuol dire andare ad abbracciare il suo violatore?
Vuol dire, dire: ma no! non è stato niente, ma facciamo finta di niente, andiamo avanti, tanto
la vita… No. ma dai dimentica, dimentica, dimentica! Guarda, pensa ad altre cose… carica
ancora il senso di colpa. Pensa che lei è anche responsabile di quel che è successo, perché
lei è una vittima, non è un mascalzone, lei è la vittima. Cosa vuol dire perdonare in quel
caso? Certo che lavorare, creare un ambiente di fiducia, di accordo, dare tempo, avvicinarci
con molta dolcezza, però soprattutto cercar di farle capire questo: tu sei una persona capace
di amare e degna di essere amata. Hai tutto l’amore, ma sei anche capace di amare. In quel
modo, le do di nuovo sicurezza. Guarda, non fidarti di nessuno perché tutti gli uomini son
dei mascalzoni, però ne troverai uno, del quale ti puoi fidare: il papà dei tuoi figli.
E allora questo ha dato un senso per vivere. Se riesco a trasmetterle questo, lei riacquista
la sicurezza in sé, perché lei è degna di essere amata. E lei sarà anche capace di avere una
famiglia, allora già ha voglia di vivere, le do di nuovo un senso di vita. Un po’ alla volta
lei, si apre di nuovo a una comunicazione, ma con un gruppo magari ristretto di persone,
non importa, però non si chiude più in se stessa.
Questo è il perdono per lei, quando lei riacquista sicurezza, riacquista ad avere qualche
sogno nella sua vita, e lei è di nuovo capace di comunicare almeno con qualcuno. Ricostruire
la sua persona. Qui il Papa chiedeva di ricreare, riumanizzare l’umanità, è un termine un
po’ troppo generico. Ricreare, riumanizzare la persona, diciamolo così, la persona spezzata,
disumanizzata, dalla violenza sofferta o prodotta.
Magari io sono un delinquente, ho fatto violenza ad altri, e adesso mi sento spezzato,
mi sento una persona inutile che non serve a niente. No, tu sei una persona, tu vali, agli
occhi di Dio, tu vali! Per te è morto Gesù! Ti ha voluto bene, è un Padre che ti abbraccia,
che vuol farti sentire tutto il Suo amore, tutto il Suo affetto. Quindi, vi sono queste tre realtà
che si spezzano: il perdono ricostruisce la persona.
E perdono non è un regalo per chi mi ha offeso, è un regalo per me. Io voglio star
bene, come faccio a far questo? e credo: lasciamo da parte la rabbia. La rabbia ci fa male.
Ci credete che la rabbia ci fa male? Facciamo un piccolo sondaggio: che cosa guadagnate
voi, a livello di salute? Mal di stomaco, ecc. ecc. insonnia, mal di testa, ecc. A livello di
salute vengono dei problemi. A livello all’indietro, vediamo un po’ cosa guadagnate voi con
la rabbia a livello di ragionamento?
Delusione, squilibrio, non avete chiarezza, guadagnate quello. Cosa guadagnate voi
con la rabbia a livello di relazione con gli altri? Nelle relazioni si rompono le amicizie, la
fraternità, ecc. a volte in famiglia non ci si parla più, ci son dei fratelli che da anni e anni
non si parlano. Poi cosa si guadagna a livello di salute con il perdono? Cosa si guadagna?
Serenità, si dorme meglio, la digestione ci guadagna. Cosa ci guadagna la salute con il
perdono livello di relazione con gli altri? Nella famiglia c’è più pace, c’è più amicizia, le
amicizie magari risorgono. Cosa si guadagna con il perdono a livello di ragionamento? Si è
più lucidi, si è più oggettivi, c’è più serenità nel giudizio, ecc. Voi qui tutti: cosa si guadagna a livello economico con la rabbia? Se andate a comprar le medicine cosa guadagnate?
Guadagnate una bella spesa, se poi andate dallo psicologo o dallo psichiatra, cari miei!
Cosa guadagnate qui, a livello di economia con il perdono? Le spese. Se non fosse
che per l’economia, conviene perdonare. Anche solo per il portafoglio, per star meglio, per
digerire meglio, per aver migliori relazioni, per avere una lucidità più grande, per avere una
spiritualità anche forse un po’ più aperta, ecc. Ecco, conviene il perdono.
È un opportunismo utile che mi fa star bene. Gesù ci ha anche detto: «ama il
prossimo tuo come te stesso.» Ecco, ama te stesso. Vogliti bene. Cerca di volerti bene in
un modo sano. Questo è volerci bene in modo sano, perché sono più lucido, più sereno, più
equilibrato, sto meglio di salute, non ho mica voglia che mi venga il mal di fegato. Dio vuole
che io stia in salute, le malattie me le mandano quelli che mi fanno mangiare delle porcherie,
cibi con dentro i veleno dei topi. Quello sì, non è Dio che mi manda le malattie!
Le malattie vengono perché respiriamo un’aria inquinata, perché chi ha queste grosse
fabbriche, non gliene frega proprio niente, piuttosto che mettere dei filtri all’uscita di quelle
canne fumarie. Meno spese, ma tutti ci soffriamo. Dio non manda le malattie!
Il primo trucco è questo: non spaventarci delle emozioni. Le emozioni non sono né
buone né cattive. La paura è buona? È cattiva? Se io non avessi avuto un po’ di paura, avrei
schiacciato dei serpenti tante di quelle volte camminando nella boscaglia! Invece, dentro avevo paura, e i serpenti non mi hanno morsicato perché non li ho pestati. Quindi le emozioni
non sono buone, non sono cattive, non sono morali. Sullo studio morale si sente proprio dire
questo: le emozioni non sono morali. Sono delle risposte a uno stimolo. Lo dice la parola
«e – mozione» un movimento che viene da… Cioè, un fatto: se mi danno un calcio, non è
che mi metto a cantare alleluia, adesso non si può perché è Quaresima, ma insomma… mi
dà rabbia. Però poi non aspetto un mese, due mesi poi gli darò un calcio anch’io. Quindi
gestire le emozioni il trucco non esiste, è uno sforzo continuo.
Prima di tutto non aver paura delle emozioni. Non sono cattive. Rabbia, Gesù l’ha avuta,
è mica diventato cattivo per quello. Paura, Gesù l’ha avuta, è mica diventato un pauroso per
quello. C’è un tempo per ogni cosa lo dice là il famoso Libro. C’è un tempo per questo,
c’è un tempo per quello, c’è un tempo per aver coraggio.
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La rabbia è un’emozione di fronte a un fatto. E la paura, la gioia, l’allegria, non viviamo così solo ridendo, quindi c’è tempo per ogni cosa. Quindi è saper gestire le emozioni.
Non c’è una regola matematica per riuscirci, ma è avere coscienza che non mi spavento di
queste emozioni. Però mi do un po’ di tempo. S. Paolo dice: «non tramonti il sole sopra la
vostra ira». Hai tutto il giorno davanti, però anche S. Paolo è cosciente.
Quando mi rubano qualcosa, beh, insomma ci vogliono 2 – 3 giorni per riuscire, poi
dico: ben, pazienza! Non posso mica farci niente. Mi fa rabbia, ma ad un certo punto come
si dice, uno cerca di mettere il cuore in pace. Riuscire a gestire anche questo fatto. Andiamo
avanti se no non riusciamo mai a incontrare l’altro. Mettiamo da parte la rabbia. La rabbia
ci fa male, convinciamoci che questo è sbagliato, che non è un bene per noi, allora facciamo
la scelta del perdono.
Ecco, il perdono è una scelta importante. Ho 5 numeri, voi scegliete uno di questi
cinque: uno, due, tre, quattro, cinque. Qual è stato il numero più scelto? Tre. Sempre. Avete
potuto scegliere, mica vi ho obbligati. Cosa vuol dire questo? Il perdono è una scelta, è una
scelta libera si, ma anche condizionata. Tutte le vostre scelte sono libere e condizionate.
Condizionate da che cosa? Dalla tua formazione, dalla tua educazione, dalla tua cultura.
Ecco là in Albania: voi siete liberi se io perdono, però avete un condizionamento grande
che è la “vendetta culturale.” Quindi avete questo che è un elemento importante. Non siete
obbligati a vendicarvi. Certamente dobbiamo tenerlo presente come una possibilità, perché
avete questo condizionamento. Il perdono è una scelta e ci sono delle condizioni, siete
condizionati, alcuni vi aiutano per mezzo di formazione di famiglia, se è una famiglia così
rispettosa, generosa, è più facile che voi impariate a perdonare.
Se invece voi avete una famiglia che vi ha educati a tutt’altro, facilmente voi non
perdonerete. È libero ma condizionato. Come si fa a fare questa scelta? C’è un sistema che
è quello di vedere l’altro con altri occhi. Ecco, cominciare a vedere le persone che ci hanno offeso, in un altro modo. Sono arrivato a Rimini, mi han detto: guarda, questi qui sono
carcerati, sono qui in comunità, li teniamo noi, non possono uscire, se escono in strada la
polizia li vede, se li porta in prigione subito.
Devono stare chiusi qui dentro.
Si son seduti tutti. Allora ho detto: tu sei un ladro, tu sei un assassino, tu sei uno stupratore, tu sei uno spacciatore. E loro han chinato la testa. Adesso ve lo dico in altro modo: tu
sei una persona che ha ucciso. Tu sei una persona che ha rubato. Tu sei una persona che ha
stuprato. Tu sei una persona che ha spacciato droga. Certo sei una persona!!! Sei una persona.
Nessun uomo è il suo errore. Nessuna persona è quello che ha fatto. È molto di più!
Tu sei una persona! Ecco allora riuscire a scoprire nel nemico, una persona. Mi è
piaciuto davvero tanto, sono stato soddisfatto del lavoro che hanno fatto questi preti in
Albania, che anche loro volevano scappare tutti i momenti. E ma l’altro… dico: andate
a perdere l’altro, lavoriamo su noi stessi! Lavoriamo su di noi! Alla fine loro hanno fatto
proprio questa scoperta: umanizzare l’altro! Umanizzare il nemico.
Ho detto: ma cari preti, se voi riuscite a fare questo lavoro con la vostra gente, direte a
questo che vuole fare la vendetta, vieni qui, vedi, quello è il tuo nemico, sparagli! Lo puoi
ammazzare, ammazzalo! Però ricordati che non ammazzi un nemico, ammazzi una persona
che t’ha fatto del male. Una persona! Che ti ha fatto del male, una persona che ti ha ingannato, una persona che ha ucciso uno della tua famiglia. E’ una persona che tu uccidi!
Abbiamo fatto un salto, dall’abisso siamo saltati fuori. L’altro è una persona, certo bisogna fare tutto un lavoro, io l’ho detto in 5 minuti, ci mettiamo 4 ore per fare questo lavoro,
e scoprire che l’altro è una persona. Dire che è una persona, vuol dire che ha i suoi difetti,
i suoi limiti e anche le sue qualità. Ad un certo punto mi accorgo che anch’io sono una
persona, anch’io son capace di fare magari quello che ha fato lui. Magari altre cose simili.
Magari io non son capace di ammazzare uno, ma sono capace di parlar male di uno, che è
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un modo anche di ammazzare. Capace di ingannare qualcuno, sono capace di alzare la voce
a un altro. A me non piace che mi alzino la voce, ma volte lo faccio anch’io. Diventiamo
persone tutti, e riconosciamo che tutti abbiamo dei valori e tutti abbiamo dei difetti.
E allora comincio a scoprire che l’altro è una persona. Ecco, cominciamo già ad arrivare
all’altro in un modo virtuale, non ce l’ho ancora qui davanti a me. Arrivo quindi al perdono.
Col perdono, curo la mia ferita, scelgo il perdono come un cammino buono, e per scegliere
il perdono, comincio a umanizzare. Qui il Papa diceva proprio questo: ricreare, riumanizzare
la persona spezzata, o perché ha sofferto una violenza o perché ha fatto una violenza.
Io ho qui davanti a me chi mi ha fatto una violenza, però già la umanizzo, la rendo
persona umana. Non più semplicemente quell’essere terribile, insopportabile, che mi ha insultato, che mi ha maltrattato, no quell’essere insopportabile, è uno magari frustrato, è uno
che ha avuto una educazione pessima. A Rimini, uno ha voluto venire a parlare con me, io
non voglio mai parlare con loro dei loro problemi. Ma questo ha voluto venire. Dice: Padre,
io quando ero ragazzo, ho sempre visto il tavolo di casa mia, pieno di soldi, pieno!
Mio padre, era un rapinatore. E mia madre vendeva gli oggetti che lui rapinava, i soldi
riuscivamo a farli sparire in qualche modo, vuoi una mazzetta? Prendila, comprati quel che
vuoi! Ecco, stavamo all’estero 3 – 4 mesi, tornavamo in Italia cambiavamo di paese, un’altra
rapina, partivamo di nuovo per l’estero e tornavamo dopo 3 – 4 mesi. E quindi non ho mai
avuto degli amici perché sono stato in Olanda, sono stato in Svizzera, sono stato in Austria,
sono stato dappertutto.
La mia gioventù l’ho passata così. Poi a Casal di Principe, i casalesi hanno visto che
mio padre era in gamba, l’hanno messo nel loro gruppo, fin che la polizia lo ha ammazzato.
Io ho sempre visto il tavolo pieno di soldi. Adesso sono qui per rapina, sono un rapinatore.
Anch’io mi son messo in quel mestiere. Come davanti a questo uomo sui 50 anni, nel gruppo
dei Casalesi, ma io ho lì un disgraziato, un delinquente che ne ha combinato di tutti i colori
in fatto di anni che ha da scontare. Ma ho anche lì un povero disgraziato. Ho una vittima.
Ma che idea ha avuto lui della vita? Ma cosa ha potuto capire della vita, quando tutto
era facile! Tutto era a portata di mano. Aveva tutti i soldi che voleva. Quindi uno lo vede
delinquente. Hai ragione è un delinquente. Il perdono non cambia il passato, se quello è un
delinquente è un delinquente. Però capire meglio, di andare proprio a fondo, di scoprire la
persona che c’è lì.
Lì c’è una persona che è stata violata nella sua mente, nel suo cuore, è stata violentata,
e non ha potuto fare altro. Abbiamo capito fino qui, siamo d’accordo, siamo riusciti, ma
intanto facciamo il grande salto dell’altro. Questo io lo chiamerei, perdono, e lo ottimizzo
per la riconciliazione. Il perdono è guarire la mia ferita; la riconciliazione, ri-concilium,
è guarire la ferita con l’altro.
Si può? Non si può? Non lo so. Però io il perdono l’ho vissuto. Ci sono arrivato.
La riconciliazione invece bisogna che l’altro sia d’accordo, se l’altro non vuole, cosa facciamo?! Se l’altro è morto con chi mi riconcilio? Quindi, a volte la riconciliazione non è
possibile, il perdono si, perché lo vivo io, in me stesso. Se l’altro non vuole, se l’altro non
mi accetta, a volte io ho paura di andare a riconciliarmi. E se mi sbatte la porta in faccia?
Io ricordo sempre un prete, ma io anche avevo fatto il corso del perdono per i preti e il
vescovo anche lì.
Questo prete a un certo punto mi ha detto: padre, ti ringrazio per quello che mi hai
spiegato. Io so che ho perdonato, perché a quella persona voglio bene, io prego per quella
persona. Ma non ho ancora mai avuto il coraggio di avvicinarla. Perché ho paura! Se quella
persona poi risponde male, se quella persona poi ha un atteggiamento negativo, crolla tutto.
Quindi, posso perdonare senza riconciliarmi. Siamo d’accordo? Non c’è vera riconciliazione
senza perdono.
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Se non c’è stato il perdono, non c’è possibilità di riconciliazione. Ci sono casi quando
io stesso dico: non riconciliarti, togliti quello dalla testa. Tu perdona ma non riconciliarti!
Una ragazza violata da suo papà, volete dire che si riconcili? Lascia perdere, lascia perdere!
Tu ricostruisci la tua vita, ma non cercare tuo padre. Tuo padre faccia la sua vita, io non ti
chiedo di avvicinarti, avvicinarsi sarebbe riaprire le ferite, creare di nuovo un caos veramente
di questa povera ragazza.
Ecco allora ci può essere anche il caso quando è meglio perdonare, ma non riconciliarsi,
lascia perdere, lascia stare. Se vedi che di là non c’è nessuna possibilità, sta tranquillo, però
tu hai perdonato. La riconciliazione diventa più difficile, è molto più complicata, è un ponte
lanciato verso l’altro, che magari ti arriva, ma magari non arriva fino di là. Pazienza! Da
parte mia un vero perdono, mi apre alla riconciliazione, mi prepara per riconciliarmi.
Non sempre si riesce a fare. Per sostenere il ponte della riconciliazione devo mettere
dei pilastri. Un pilastro è la memoria. E qualcuno dice: ma io perdono, ma non posso dimenticare!
Ma non devi dimenticare, chi ti ha detto che devi dimenticare? Il perdono non è dimenticare. Non si fa la riconciliazione su niente. Abbiamo la «Giornata della memoria», è
importante che si faccia questa giornata della memoria, fare memoria, non è solo ricordare,
ma è sapere vagliare, comprendere, capire cosa ha significato questo periodo storico, questo
fatto della vita tra noi due, ecc. dobbiamo cercar di capirlo, perché ci ha creato tanto male,
perché ci ha fatto soffrire così tanto.
Quindi la memoria è importante.
Un altro aspetto della riconciliazione è la verità. Con gli inganni non c’è riconciliazione possibile. Marito e moglie che dicono: ci vogliamo tanto bene, tu sei il sole del mio
cammino… pronto… vengo un po’ più tardi. Con gli inganni non si può fare riconciliazione.
Cosa vuol dire verità? Vuol dire sapere tutto? Forse nemmeno il sapere tutto, se il marito sa
tutto, l’altro non ci si riconcilia mai. Ma è necessaria quella sincerità per cui uno può dire:
io mi fido di te, tu ti puoi fidare di me. Qualunque cosa sia capitata, in questo momento
abbiamo la fiducia.
Non è che io voglia saper tutto, il papà del figlio che è arrivato, non è interessato a
sapere quanto ha speso con questa prostituta, quanto ha speso con l’altra, non è interessato
a sapere tutto, ma ha visto che c’era una sincerità fondamentale in questo ragazzo che arrivava. Magari era solo una sincerità per pane, da mio padre si mangia, qui sto morendo
di fame.
I motivi mi interessano fino a un certo punto, però siamo sinceri, ci guardiamo in
faccia, ci guardiamo negli occhi. Quindi, la comunicazione assertiva, una comunicazione
positiva, quella che mi permette la riconciliazione. Terzo pilastro: la giustizia. Questo è un
tema grandissimo, un tema importante. Un tema sul quale dovremmo giocarci di più come
Chiesa, anche; la giustizia. L’impunità è giustizia?
Il castigo è giustizia? Non sempre è giustizia. La gente in generale, cosa capisce di
giustizia? Sì, ma se le danno 30 anni va bene, se le danno 3 anni eh, che ingiustizia! La
gente capisce giustizia = castigo. Questo è terribile! Siamo cristiani e continuiamo a pensare che giustizia = castigo. No, molte volte nel castigo non c’è giustizia. Ricordate quando
eravamo giovani che abbiamo studiato un po’ di roba, magari più tragedie greche simpatiche, interessanti, alla base di tutte le tragedie greche, c’è una domanda: come castigare un
crimine, senza commettere un altro crimine.
In fondo la domanda era sempre quella. Oreste, ha ucciso Egisto, disgraziatissimo uomo,
che si era rubato anche la moglie e la mamma sua, e allora ammazza anche Clitemnestra,
Egisto e Clitemnestra avevano ucciso Agamennone padre di Oreste. Ha fatto bene. Li ha
ammazzati tutti e due, perché erano assassini. E adesso va a spasso su e giù per Atene, e
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la gente lo guarda e dice: Oreste è in gamba, però in fondo ha ammazzato anche lui. In
fondo c’è un assassino che va a spasso. Cosa facciamo? Ammazziamo anche lui? Allora
continuiamo a fare altri crimini?
Dovrà venire fuori la dea Atena a dire no: fermi tutti, ci penso io. ecc. ecc. a volte
facevano queste cose, ma la grande domanda è: come castigare il crimine senza commetterne un altro. Le nostre prigioni stanno castigando dei crimini, facendo dei crimini, facendo
dei criminali. Il 70% di chi finisce in prigione, ritorna in prigione in Italia. Stamattina ho
celebrato la Messa, avevo i grossi capi del Servizio penitenziario qui di Torino, erano a
Messa alle Nuove.
Come fare in modo che non si continui. Ho detto ma: con il 70% di persone che sono
in prigione, e che vengono fuori delinquenti, forse più delinquenti di prima, attaccate un
cartello: chiuso per fallimento! Una scuola che boccia il 70% degli studenti, io dubito che
i professori reggano a qualunque interrogazione loro stessi. Se quella scuola boccia il 70%,
quella scuola è meglio chiuderla, non funziona.
Noi abbiamo un sistema carcerario che costa caro, dobbiamo pagare, e pagare tutto, e
con un risultato fallimentare. Allora cos’è la giustizia? A cosa serve la giustizia? Cosa facciamo con la giustizia? E viene fuori una parola che ha cominciato a venire fuori nel 2002 le
Nazioni Unite hanno chiesto che tutti i paesi che sono nelle Nazioni Unite, cominciassero a
mettere in pratica un tipo di sistema di giustizia che si chiama la «Giustizia restaurativa.»
Qui in Italia praticamente si comincia a sentire il nome, la parola, ma non si è cominciato a fare questo. Cos’è la giustizia restaurativa? Nella giustizia, la giustizia deve
restaurare la vittima. Se mi hanno rubato, io non vado in tribunale a dire la mia. Mi affido
a lei, parlo io, sono io l’avvocato. In tribunale ci sono gli avvocati, c’è il giudice, e magari
può parlare qualcosa, ma ha già parlato prima il colpevole, ma la vittima sta zitta, è lì a
vedere solo se gli danno tanto o poco.
Invece la giustizia restaurativa, mette in gioco la vittima, mette in gioco il colpevole.
E cerca di restaurare uno e restaurare l’altro. Per questo è restaurativa. Alla fine restaura la
società. In che modo? Senz’altro il colpevole deve accettare di aver fatto il male. Se non lo
accetta allora mettiamo la giustizia, questa retributiva, questa che fa pagare. Ma se io accetto,
si, sono stato io che ho rubato, ho fatto male. Bene, vieni qui, tu cosa chiedi? Io chiedo che
lo taglino a pezzettini. Dice. no, io proprio non ci starei, insomma, io son disposto a dare
il bianco a questa Chiesa.
L’altro dice: no, non basta devi dare il bianco anche alla scuola lì accanto. Arriviamo
a un accordo. Ad un certo punto io che sono un ladro, ho fatto del male, ma son anche
capace a far delle cose buone. Allora mi sto restaurando come persona. L’altro magari non
prende i soldi, però ha la soddisfazione di: beh, guarda, quando vedo un giorno che sono
libero vengo ad aiutarti anch’io.
Capite? Si restaura la mentalità, si restaura la società. La funzione è restaurare le persone. Non castigare le persone, col castigo non si fa niente.
In quel caso anche a casa, i figli sbagliano? Non date castighi. Ma non lasciate passar
niente. Quante volte perdonare, 7 volte? Andiamo al quarto capitolo della Genesi. C’è un
tipo che è un disgraziato. Poi vi dico di chi è padre. Questo tipo si chiama Lamec. Lamec
ha due mogli: Ada e Sila. Ascoltate mogli di Lamec, per un colpo ho ucciso un uomo, per
una ferita ho ucciso un ragazzo. E lui è contento: ascoltate il mio canto: per un colpo ho
ucciso, e per una ferita ho ucciso.
Caino sarà vendicato 7 volte, Lamec 77 volte.
Sapete di chi era il papà di questo benedetto Lamec, così violento, che può dire altro
che occhio per occhio dente per dente, lì era ammazzare. Badate che oggi c’era alla televisione, ha parlato oggi alla televisione Lamec, sì, ne hanno ammazzati tre, io ne ammazzo
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30. Hanno ammazzato 3000 persone io ne ammazzo 30–40 mila. Sono anche capace di fare
le guerre preventive, mica morto Lamec!
Lamec continua a ispirare la politica, la società, ecc. Lamec non del quarto capitolo
della Genesi, oggi è vivo! È presente in mezzo a noi! È la mentalità che abbiamo. Gli faccio
pagare il doppio…
Lamec che è il papà di Noè, immaginate. Noè è un uomo buono, un santo, e Lamec
un padre così disgraziato.
Allora c’è un po’ il gioco, suona: Caino è vendicato 7 volte, Lamec 77. Allora Pietro
chiede: 7 volte devo perdonare? E Gesù dice: no 70 volte sette. Ma richiama molto la parola di Lamec, cioè blocca quella violenza ormai senza limiti, con un perdono che è senza
limiti. Quel 70 volte 7, vuol dire che non c‘è mai limite al perdono, è un «per - dono». È
un dare in eccesso, è un dare in abbondanza, un dare sempre di più. È rompere la logica
del “dare e dare”, questo e questo.
È rompere questa logica che non finisce mai. Se io uccido tu uccidi, allora ucciderò
di nuovo, tu ucciderai di nuovo. Allora questa violenza, questa vendetta, in mezzo a catene
infinite. Bisogna che qualcuno le rompa. Il perdono rompe questa catena. La riconciliazione,
allora abbiamo la memoria, la verità, la giustizia. E per ultimo ci vuole il patto, l’accordo,
mettiamoci d’accordo. Cosa vogliamo fare d’ora in avanti?
La riconciliazione ci proietta verso il futuro. Come vogliamo vivere da adesso in poi.
Bisognerebbe discutere come si fa a fare un accordo, lo vediamo oggi, come fareste voi
per mettere d’accordo Grillo con… Però se non facciamo quello, dove andiamo? Dobbiamo
riuscire a creare un modo di rapportarci. C’è qualche elemento che ci aiuta a trovare un
accordo?
Qui siamo in un quartiere, questa è la Casa del Quartiere, immaginate questo quartiere
in cui io sono generoso, ho dei soldi, regalo merendine per i bambini di tutto il quartiere
durante un anno. Chi le distribuisce? Io sono il presidente del quartiere, tocca a me. I giovani
dicono: voi ci avete fregati sempre, quando arrivava qualcosa metà andava a casa vostra e
metà era per il quartiere.
Quindi voi non ci mettete più mano. Tocca a noi. Succede o no? E allora qui nessuno
si mette d’accordo. Come si fa a fare l’accordo? Ci vuole un mediatore. In Italia Napolitano
è capace di fare il mediatore. Cioè, il far capire che ci sono delle necessità. Cioè, i bambini
del quartiere, hanno bisogno delle merendine o no? se non hanno bisogno di merendine, che
se le portino via. Ma se hanno bisogno, insomma blocchiamole, ne abbiamo bisogno. Non
solo bisogno, ma abbiamo anche interesse, perché se le merendine arrivano, noi le distribuiamo bene, magari poi ci arriveranno anche degli aiuti per fare altre cose.
Magari diranno: guarda quel quartiere come è in gamba! C’è bisogno di qualcuno che
faccia capire a tutti: sediamoci qui adesso un momento, o facciamo un conclave, chiudiamo
il Parlamento, tutti dentro senza mangiare, finché non avrete risolto il problema, fin che non
vi mettete d’accordo, non uscite di lì!
Dovete mettervi d’accordo. Perché l’Italia ha bisogno di un governo o non ne ha bisogno? Se non ne ha bisogno lasciamo perdere, stiamo bene senza. Ma se ne abbiamo bisogno,
bisogna trovare una soluzione. Secondo: all’Italia conviene avere un governo, perché gli altri
paesi ci rispettino, perché gli altri paesi si fidino di noi. Bisogno e convenienza. Conviene
giocare su queste due cose.
Quindi tutti intendiamoci, e dobbiamo trovare il modo di uscire da questa situazione.
Se c’è bisogno e se c’è convenienza. Possiamo arrivare a dei patti diversi, ci sono patti di
coesistenza. Cosa vuol dire? Esistono. Due sedie esistono lì, una non cade sull’altra. Perché
se una cade sull’altra magari la rompe.
Ecco, esistono una qui e una lì, ma non fanno niente una per l’altra, sono magari palestinesi e israeliani, esistessero, senza tirarsi pietre, senza tirarsi pallottole o razzi.
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Coesistono! Un patto di coesistenza. C’è un altro patto, il patto di convivenza: vivere
insieme. È già qualcosa di diverso. Alcune famiglie sono delle convivenze: mamma, la camicia è stirata? Ciao! A che ora torni? Ha già tirato la porta non ha sentito, quindi non può
rispondere. Però ogni tanto ci vediamo, ci siamo, e conviviamo lì, più o meno.
C’è poi un certo modo di fare patto, coesistenza, convivenza, comunione. Un patto di
comunione. Ecco, sediamoci, programmiamo insieme, ragioniamo insieme, lavoriamo insieme, valutiamo insieme. Ecco questo è comunione. C’è differenza, no? Si capiscono le differenze! Non rispondete: qual è il patto migliore, non rispondete, pensatelo. Qual è il patto
migliore? In teoria è la comunione, ecco, allora se Grillo e Bersani cominciano a coesistere
almeno senza spararsi, forse… non è l’ideale ma sarebbe già qualcosa, senza darsi tutti i
giorni, tutti i momenti.
Se poi riuscissero anche a convivere, se avessimo un governo dove c’è davvero comunione, dove si bisticcia, eh! dove ci son conflitti, dove non tutti pensano allo stesso modo.
Mettiamo qui la discussione, però poi veniamo a conclusione insieme e lavoriamo insieme.
Non è che tutti dobbiamo pensare uguale. Il conflitto è ottimo, è bellissimo, dà vita il conflitto.
Senza conflitti abbiamo una dittatura. Se c’è conflitto è segno di un muoversi di idee.
Noi veniamo allora a lavorare insieme. Vedete la riconciliazione. Ma se io non ho
curato la mia ferita, difficilmente posso avvicinarmi a lavorare assieme all’altro. Prima di
tutto devo fare un grosso lavoro di perdono. Ecco, riuscire a curare la ferita che c’è in me,
togliere, non vivere di rabbia. L’altra domenica che ero ad Alba, un signore ha detto: senza
rabbia non si riesce a far niente, bisogna avere rabbia!
Ha ragione, io ho mica detto di farla scendere la rabbia, ce l’abbiamo. La rabbia può
servire per cominciare. Gli ho detto: però guarda bene: la rivoluzione francese, è una rivoluzione bellissima, ha buttato giù tanti miti. Però a un certo punto, ha continuato a dominare
la rabbia, e allora han tagliato la testa perfino a quelli che l’avevano cominciata. Cioè si
è autodistrutta ed è finita in un impero. Hanno ammazzato un re, per avere un imperatore.
Ma dove siamo!!
E veramente han fatto cose interessanti: il diritto dei cittadini, ecc. Però la rabbia serve
per cominciare. Ma non devi portare avanti una rivoluzione con rabbia o per rabbia, la rivoluzione sovietica, bellissima! Molto bene, ci voleva! Poi dopo è diventata i gulag di Stalin, e
ha continuato la rabbia a distruggere tutto. Quindi è iniziata magari con qualche cosa anche
di bello, di interessante, di importante, la partecipazione della gente che ha cominciato a
dire la sua. Però poi è diventata una dittatura, proprio la dittatura del proletariato, che non
era nel proletariato, erano i 4 – 5 capi che facevano quello che volevano col proletariato e
con tutti.
Quindi la rabbia può servire per cominciare. Teniamola, ci serve! Ma non serve per il
programmare, non serve per portare avanti. Questo è importante. Si apre molto il discorso
del perdono. Non è un discorso semplice, e questa parola del Papa per me, è così bella: fare
una pedagogia del perdono, fare diventare una pedagogia! Stiamo cercando un gruppo di
neo laureati, ce n’è uno che è psicologo criminale. E stiamo lavorando con un gruppo che
ha fatto il corso, han fatto 12 ore sul perdono, han fatto tutto il corso completo 12 ore. Tre
domeniche pomeriggio dalle due alle sei.
Adesso qui c’è tutto il materiale che ho mandato, discutiamolo, rivediamolo, ripensiamolo, riorganizziamolo, togliamo quel che c’è da togliere, aggiungiamo quel che c’è
da aggiungere. Ma cerchiamo di fare un itinerario che sia una pedagogia del perdono per
studenti per le scuole, per i ragazzi del Ferrante Aporti, esperti carcerati. Magari fare anche
questo percorso per le parrocchie, per i giovani del Sinodo dei giovani. che sia un percorso
anche per loro.
Ho parlato per un’ora e mezza senza mettere Gesù Cristo, tanto dentro, me l’avete
ficcato voi. Perché? non è un discorso esclusivo del cristianesimo o della religione, non lo
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è! Ma è l’amore che richiede tutta la capacità umana. E questa capacità umana, parlare di
persone umane, non è svalutarci, ma riconoscerci come immagine del Dio che perdona.
«Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre». Gesù non lo diceva a un gruppo
di cristiani battezzati nella parrocchia, lo diceva a un gruppo di pescatori, un po’ ignorantoni,
lo diceva loro: «siate perfetti come il Padre» perché Lui è misericordioso. Allora anche voi
amate i vostri nemici, e se vi fanno del male, fate del bene. Se vi insultano, parlate bene di
loro. E se vi perseguitano, pregate per loro.
È l’unico modo per riuscire, e solo così poi sarete chiamati figli dell’Altissimo, dice
Gesù. Non è col Battesimo che diventiamo figli di Dio, diventiamo figli di Dio, quando noi
viviamo l’esperienza del perdono. Perché il Battesimo può essere qualcosa che poi serve per
aumentare i libri che ci sono nelle parrocchie. Se non c’è la vivenza, se non si vive! Non è
il meccanismo che mi fa diventare figlio di Dio. Mi fa diventare figlio di Dio se io vivo.
«Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio!» non lo dice degli
altri, ma solo dei costruttori di pace. Essere figli di Dio è essere persone che costruiscono
la convivenza, la non violenza, relazioni dando vita, non dando morte. Vivete, date vita!
Il grande progetto di Dio è poi tutto lì: vivere dando vita! Invece quando uno parla male
dell’altro, quando uno insulta l’altro, quando uno spande attorno magari delle verità, ma non
vale la pena, perché fa del male.
Ma è vero! Sarà vero, ma lascialo tranquillo. Piuttosto dagli coraggio perché la si superi.
Quello è vivere dando vita. Per favore portate via questa rivista Missioni Consolata, dove c’è
l’articolo dove si spiega in modo abbastanza facile, abbastanza semplice, io non scrivo mai
difficile, sulla situazione della Palestina, ma non dobbiamo parlare di pace perché lì c’è la
guerra, non dobbiamo parlar di perdono perché lì c’è la violenza. Dobbiamo parlar di pace,
di perdono perché qui le relazioni fra di noi sono sempre un po’ così.
A volte ci lisciamo, a volte ci raspiamo un po’ allora diventa un po’ difficile, soffriamo
e facciamo soffrire chi è attorno a noi.
[Risposta ad una domanda]
La teologia della liberazione è nata con una riflessione molto biblica, della liberazione
dell’Esodo, ecc. cioè, di fronte a una situazione di malessere, una situazione di ingiustizia,
non possiamo continuare con delle teorie, ma bisogna partire dalla realtà. Teologia che parte
dalla realtà. Una realtà di ingiustizia, una realtà di povertà, non perché ci siano i poveri, ma
perché ci sono gli impoveriti. Non sono poveri, sono gli impoveriti.
Sono poveri perché altri si arricchiscono. Quindi non è una povertà perché Dio la vuole,
ma perché c’è un sistema politico, sociale, economico a volte nazionale, a volte mondiale,
per cui le persone non hanno quello che è sufficiente per vivere in modo degno. Dio che
cosa pensa di questo? Dio che cosa dice? Che cosa ci insegna? Ecco allora salta fuori la
Teologia: Dio vuole la liberazione.
Questo è un aspetto. Oggi la Teologia si fa delle domande. Io nel libro ho raccontato
3 situazioni che ho vissuto.
Io ho cambiato molto nel mio modo di percepire. Quand’ero in Argentina c’era la
dittatura, allora il tema grande era la liberazione. Liberarsi dal tiranno. Buttiamo il faraone
a mare o andiamocene noi, passiamo il Mar Rosso. Sono arrivato in Nicaragua, il problema
non era più la liberazione, c’era già stata la rivoluzione sandinista, il problema era la povertà.
Quindi son passato dalla liberazione a povertà. Arrivando in Colombia, mi è toccato lavorare
con i negri discendenti di cristiani. Erano tutti negri nella parrocchia.
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Allora è venuto fuori il tema della cultura. Quindi non sono poveri, ma sono diversi,
cioè hanno un’altra percezione della vita, un altro modo di percepire la morte, un altro modo
di pensare la famiglia. ecc. c’è una differenza. Allora come metterci di fronte alle differenze
culturali? Oltre la teologia della liberazione ci si accorge, che in America Latina non c’è più
il problema della liberazione come tale, perché quasi tutti sono diventati problemi perfino
un po’ socialisti.
C’è il Brasile, l’Argentina, Bolivia, Perù, ecc. Quindi la liberazione non era più un
cavallo di battaglia. È cominciato a scoprire le differenze. Ci sono gli indigeni, ci sono gli
afro americani. E quegli indigeni, quegli afro americani, hanno una percezione della fede
loro, che non è la nostra.
Voi direte ma son tutti cristiani, tutti cattolici, si, tutti battezzati, benissimo, però la
morte, la vita, il senso non è come il nostro. Gli indigeni all’inizio della Messa, qualcuno
ha cominciato a introiettare questo: non confesso a Dio Onnipotente… ma fanno un rito di
purificazione indigeno. Magari devono andare a celebrare la Messa non nella Chiesa, ma so
dove c’è una laguna, perché è là dove gli spiriti, dove la spiritualità è più forte.
Quindi la Teologia della liberazione comincia a diventare una Teologia che entra nelle
culture e nelle religioni, e scopre che tutte le religioni hanno messaggi di salvezza. E oggi
la Teologia della liberazione non solo dell’America, ma molto dall’Asia, è nata quella che
si chiama la Teologia del pluralismo religioso. Qualcosa si legge anche qui in Italia, qualche
libro è stato tradotto.
L’Emi ha prodotto due libri tradotti dallo spagnolo, poi da Roma han cominciato a
guardarlo con un cannocchiale un po’… Siamo troppo vicino al Cupolone, allora hanno detto:
non facciamo più il terzo. Io mi sono arrabbiato, mi spiace non compro più libri da voi.
La Teologia del pluralismo religioso, è una Teologia che è pericolosa. Teologia che
lascia squinternato. Bisogna avere un po’ di calma per affrontarla, perché mette in crisi un
po’ tutto. Cominciando dall’inizio, Gesù noi diciamo subito: vero uomo e vero Dio. E’ vero,
va bene, benissimo. Ma chi l’ha detto? I primi concili della Chiesa, chi li ha convocati? Il
Papa? No, l’imperatore. E da quei Concili è nata la divinità di Gesù.
Ma se è proprio la Chiesa ad affermare questo, o se lo è di più l’impero? Ecco cominciano a far queste domande. Allora deve cominciare ad avere elasticità, mantenere i piedi
molto per terra con la nostra fede. Papa Giovanni aveva detto: la verità c’è, va bene, però
il modo di dirla, cambia, il modo di esprimerla cambia. Mentre sembra che ci sia paura ad
esprimere la verità in qualche altro modo. Soprattutto qui in Italia in Europa, proprio perché
c’è molto più controllo.
E la Teologia che viene dall’Asia oggi, ci invita a fare un lavoro di pluralismo religioso. La Rivelazione è proprio solo la nostra? O Dio in molti modi, lo diceva la carta agli
ebrei: Dio in molti modi, in molte maniere ha parlato ai nostri padri. Ma i nostri padri sono
solo gli ebrei? O sono anche quelli di altri popoli? Ecco, tante domande, ecco questa è la
Teologia della liberazione di adesso.
Voi siete un gruppo molto interessante che riflettete. Perché in questo anno della fede,
mica niente di rivoluzionario, ma scrivete un Credo in questo modo, io ho cominciato a
pensarlo: in una colonna: Credo in Dio Padre Onnipotente Creatore del cielo e della terra.
Ecco, io credo che devo amare la creazione, devo essere ecologico, devo sentire che il
lavoro per me è un diritto e un dovere. Se io credo in questo Dio Creatore, vuol dire che
prima manifestazione che cercano il lavoro ci partecipo, è giusto, perché Dio vuole che io
sia attivo.
Perché quando abbiamo detto il Credo, nella Messa, ci sediamo, proprio non ce ne
frega niente! Io non mi sono impegnato a niente. Credere costa poco, io credo, ma mettiamo
qualcosa in più. No, se credo in Dio che è Padre e Creatore del cielo e della terra, vuol dire
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che io credo, nella paternità, credo nella vita, difenderò la vita in tutti i modi, credo nella
ecologia, e allora sarò uno degli attivisti, per dire: basta con sti veleni!
Ecco, allora il Credo, diventa partecipare, diventa impegnarsi, ma mica me lo sono
inventato, c’era già lì, c’era scritto. Se credo in Dio Padre e Creatore, vuol dire che alla
creazione non gli do un calcio, non me ne frego della creazione. La creazione entra a far
parte della mia vita. C’è una Teologia della terra. Devo rispettarla, devo amarla, devo averne
cura.
Apriamo gli occhi, ci sono delle strade nuove, sono strade queste della Teologia, hanno
scoperto le minoranze etniche che prima non le viveva. Come ho fatto io ho scoperto il fatto
culturale, io pensavo alla liberazione, pensavo ai poveri ma non alla cultura. Invece bisogna
fare attenzione alla cultura perché la cultura è diversa. Questa cultura non devo integrarla alla
mia, ma devo mettermi in relazione con essa. Questa cultura avrà molto da imparare da noi,
ma noi forse abbiamo anche qualcosa da imparare da loro. Noi entriamo in questo dialogo
positivo, arricchente. E questo oggi in Italia ormai diventa sempre più una necessità. L’altro
giorno ho fatto un incontro con questi giovani di Alpignano, una sessantina di giovani. Gli
ho fatto fare, e loro hanno risposto bene, hanno detto: siamo un gruppo disposto al dialogo,
noi vogliamo il dialogo, ecc. ecc. Li ho lasciati parlare, adesso vi faccio una domanda, se
non mi rispondete non mi offendo. La mia domanda è questa: voi dite che siete aperti al
dialogo, volete dialogare. Siete in 60 qui, io non vedo nessun extracomunitario fra di voi,
come mai? Vedo nessun musulmano tra di voi, come mai?
E siete un gruppo parrocchiale, ma cosa c’entra? Ma mica dovete farli diventar cristiani, ma sono una ricchezza per voi, mettervi in confronto. Da me tutte le settimane, arriva
un ragazzo marocchino musulmano e gli sto facendo latino. E quel padre che c’è lì tutte le
settimane ha un cinese che viene da lui, che vuole fare conversazione di italiano.
Nelle scuole li avete i marocchini insieme a voi, avete i cinesi, avete i rumeni, avete
dei negri dell’Africa, come mai qui, gruppo parrocchiale, 60 giovani, aperti al dialogo, non
ce n’è uno? Come mai? Avete una chiesa chiusa, e siete voi coraggio, apritevi! È bello confrontarsi, è bello incontrarsi con altri. Non per obbligarli a diventar cristiani, ma per avere
questa ricchezza di esperienze religiose. Questi cammini che son sempre cammini di fede,
di speranza, d’incontro.
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