L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 13 – 1/15 luglio 2008 1 « Chiù dugnu… chiù sugnu! » Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 13 - 1/15 luglio 2008 Ed. Responsabile: Francesco Paolo Catania - Bvd. De Dixmude 40/bte 5 - (B) 1000 Bruxelles - Tel/Fax: 0032 2 2174831 - 0032 475810756 « Nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.» [George Orwell Orwell]] PANE E TERRA, CHE SCUOLA! Pagina 2 Rosa Balistreri:: la «voce della Sicilia» Pagina 3 Il rastrello di Montalbano Pagina 4 LO STATUTO TRADITO (5) Commento storico, giuridico ed economico allo Statuto Speciale letto come Costituzione e patto confederativo tra Sicilia e Italia e disamina della sua inapplicazione. Pagine 6, 7 & 8 Jawhar al al--Siqilli Il generale siciliano che ha fondato il più grande impero fatimida della storia Pagina 11 Tedeschi dissociati dall’euro Pagine 9 & 10 Memorie e Fantasie A desso, intabbarrato in consunto pastrano, nell'angolo di una piazza infiammata dalla calura, resta appoggiato al sottile compensato animato da draghi e ippogrifi mentre tutto intorno schiamazzano i più piccoli, liberati dal dovere quotidiano e invece fumo vende, il bar, a giovani avvinghiati alle macchine illuminate dai suoni e dalle musiche del progresso Come nella mia Isola della mente, anche nella piazza tutto appare dispari, mischiato, cangiante, come il più ibrido dei continenti: accanto al mondo fantastico dipinto da sottile mano d'artista, mille lampadine dei videogichi disperdono nella piazza rumori e tintinnii di metalliche campane mentre sonnecchia il puparo in apparente dormiveglia e vola la memoria nel tempo e nei ricordi. Come il suo eroe di tanti spettacoli, egli non sa più entusiasmare la gente, e Orlando, il prote palatino, nascosto arreti alla frischia, non sa risorgere con Durlindana, al suono che tutto trema e fa fuggire feroce saracino. Dorme il puparo stanco dall'attesa di piccoli clienti, disposti ad ascoltare il rumore del tuono e attendere speranzosi l'arrivo dell'eroe. La mia Isola della mente se ne fugge lontano e mi lascia inorridito davanti a tanto scempio. Continuo a tornare e mai più non smetto di pensare. Oggi stranito volo di allodola sui sicomori della piazza allontanano vecchie armonie e riportano il rumore di un quotidiano che ha smarrito ormai le grida di Pippo Pomodoro che offriva al vento e allo scirocco la sua frutta o del passo cadenzato del maresciallo Canale che rimproverava al macellaio Ciotto e al barbiere Sarino gli ultimi aumenti dei prezzi di listino. Orlando, il prote palatino, ormai nascosto, addormentato pero', e non in agguato per vendicare il bene; Orlando suonato dai rumori della modernità fatta di brutture e senza valori, Orlando scivolato nella cesta delle marionette, lui che sapeva destare entusiasmi e appassionati applausi tra i banchi di attoniti piccoli spettatori. E per mano del prote palatino Orlando, lui, il puparo, ormai vecchio e consunto come le sue marionette spelacchiate e scolorite nei baffi di negromante, intabbarrato in consunto mantello pur tra le fiamme di un sole mattutino, come un trompe l'oeil tra filari di balconi, rimane chiuso per sempre agli entusiamsi dello spettacolo da cominciare, superato dagli eventi, rigettato da un quotidiano che fa ruggire motori e pretese. I miei giovani fantasticavano la notte viaggi da venire, affrontavano mille cammini per portare una fetta di anguria, rossa come il sangue, dolce come ventre di donna e le città offrivano di notte squarci di incomparabile e insospettate bellezze. Cigolavano i lampioni come passaggio di licantropi o Stedda Pedazzi che atterriva tutti e non era che stato patologico di un pover'uomo assurto a mostro o vampiro nelle credenze popolari. E rimanvea Zagarella nascosto negli anfratti del torrente ripulito pero' da solerte mano. (Segue a pagina 10 ) www.laltrasicilia.org L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 13 – 1/15 luglio 2008 2 PANE E TERRA, CHE SCUOLA ! le virtù da galantuomini cedettero alla necessità della fame. L’Associazione dei Probi Contadini ancora resisteva presso la sede parrocchiale ma intanto cominciarono i primi furtarelli: spariva qualche coniglio dalle gabbie e le galline nei pollai erano contese ai denti dalle volpi. Il precetto “Non desiderare la roba d’altri” andava sempre più affievolendosi. Tanto che ogni famiglia al calare della sera, ritirava le galline all’interno della casa. Mia nonna le ricoverava nel cassone al posto della legna dove aveva messo sul fondo uno strato di cenere che cambiava ogni giorno. Così i polli erano al sicuro. Ma in casa nostra accadde un piccolo inconveniente. Con le galline c’era anche un vispo galletto il quale ancora prima dell’albeggiare si metteva a cantare il suo dirompente mattutino. I l mio primo lavoro è stato da garzone di fornaio. Nell'estate del 1944 c'era la guerra e a Milano bombardavano tutte le notti. Con la mia famiglia ero sfollato in campagna, nella casa dei nonni. Per andare alla panetteria mi alzavo alle due dopo la mezzanotte e mi incamminavo col pensiero che a quell'ora tutti erano abbandonati al sonno profondo, mentre io solo, nell'immobiltà della notte, provavo la sensazione di compiere un atto quasi eroico e mi sentivo orgoglioso del mio lavoro. Il fornaio, che si chiamava Pericle, cominciava ad accendere il fuoco con le fascine di ramaglia, per portare a temperatura il forno. Si facevano almeno 3 o 4 infornate e si lavorava fino a mezzodì, compresa la domenica. Avevo 13 anni e la mia paga consisteva in un chilo di pane al giorno. Quel chilo di pane era oro perchè sempre, quando c'è guerra c'è anche carestia. Però ho un bel ricordo di quel primo lavoro. Se pure la fatica era tanta per un ragazzo della mia età, tuttavia non mi è costato sacrificio e oggi sono contento d'aver praticato una delle più nobili attività che può fare un uomo. Se fossi un maestro di scuola tutte le mattine comincerei la giornata col fare il pane insieme agli scolari. Credo che sia la più bella preghiera che possiamo rivolgere al cielo. Un mio zio, che lavorava a Milano e faceva i turni, non ne poteva più di quel chicchirichì che gli interrompeva il sonno fuori orario e così una mattina diede un pugno di tanta potenza sul coperchio del cassone che da quel momento il gallo rimase muto per tutto il resto dei suoi giorni. Intanto io ero diventato bravo a lavorare la pasta nelle varie forme che allora si davano al pane: le rosette, le banane, i cornetti, i filoncini col taglio di traverso. Pericle il fornaio ea un vero maestro nel mettere in fila le michette su una lunga stecca di legno – a volte così carica che si incurvava come un arco teso – e la infilava nel forno costruendo una disposizione geometrica perfetta. La moglie di Pericle si chiamava Rosa. Era donna ancora giovane ma aveva già i capelli grigi. Era lei che serviva in negozio. Parlava sotto voce, sempre gentile con tutti. Conosceva bene tutta la sua clientela E le condizioni delle famiglie più povere meglio del confessore. Così capitava che confidasse a suo marito: “E’ già suonato l’Angelus e la Bice del Pelio non è ancora venuta a ritirare il pane”. Pelio era il nome del ciabattino (il suo vero nome era Ampelio che in dialetto diventava Pelio). Era una famiglia . con molti figli e per questo ancora più povera. E se la Bice non passava a ritirare il pane era perché non poteva pagare e si vergognava. Allora la moglie di Pericle mi mandava a portare il sacchetto con la solita quantità per sfamare tutti quanti i figli e senza neanche il libretto da segnare il debito. Il più grande dei figli di Ampelio era stato il mio più grande amico fin da quando eravamo piccoli e si chiamava Angelino. Angelino del Pelio, appunto. E quante altre occasioni di felicità ho provato da ragazzo nel partecipare ai lavori della campagna. La cosa più bella, a quei tempi, era che tutti in famiglia dovevano prestarsi a fare quel che c’era da fare. E così il lavoro dei contadini univa la famiglia mentre la fabbrica divide. Poi c’erano anche momenti di aiuto solidale dove era consuetudine che tutti ci si dava una mano: la trebbiatura del grano, la spannocchiatura del mais nelle sere di fine estate coi racconti degli esempi come le chiamavano i vecchi, storie esemplari appunto, già sentite tante volte e pure sempre così avvincenti e ricche di sapienza. E poi i canti degli amori tanto sospirati. Mi piaceva la canzone che diceva: “ La domenica andando alla Messa, (ac)compagnata dai miei amatori...” Mi piaceva perché anche io andavo alla Messa alta della domenica dove avevo visto un volto bellissimo di fanciulla, ancor più bello dell’angelo custode. La vita della corte contadina lombarda era un modello di comunità dove i comportamenti umani, nobili o meschini, erano sotto gli occhi di tutti. Nessuno poteva barare né camuffare i propri sentimenti. La terra come zolla dove si perpetua la rigenerazione della Vita. E invece siamo minacciati da progetti scellerati che hanno in sé i presupposti di una distruzione senza ritorno della natura. I popoli delle società avanzate sono diventati estranei alle sorti della terra che ci deve nutrire. Per anni abbiamo vissuto di un’ economia dello spreco e della spazzatura. Un terzo del pane che fino adesso si produce da noi ogni giorno viene buttato via: Ma tra poco sarà la Terra stessa che ci costringerà a mettere giudizio. Come dice Evelyne Pieiller: “Non sarà la fine del mondo, ma la fine del nostro mondo”. E aggiungo un’affermazione di Jorge Luis Borges: "Non ci credo più al progresso. Che sia un progresso?”. Il senso della dignità era un dato distintivo di cui ci si onorava. Col durare della guerra, però, molte cose finirono per mutare e A proposito del pane: nelle case dei contadini non si sprecava neanche una crosta del pane avanzato e la saggezza delle Da quei giorni così lontani è passato più di mezzo secolo. Fino a pochi anni fa, chi ricordava con affezzione il mondo e la cultura contadina era considerato un ingenuo nostalgico. Ora, molti segnali inquietanti sul nostro destino ci fanno riconsiderare la necessità di una nuova alleanza con la terra. www.laltrasicilia.org L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 13 – 1/15 luglio 2008 3 Rosa Balistreri: la «voce della Sicilia» Dal 29 maggio al 20 giugno si è svolta, presso il Refettorio Piccolo dei Benedettini, la mostra voluta da Carmen Consoli per rendere omaggio a Rosa Balistreri. “Rosa è una perla della nostra cultura. Dobbiamo difendere il patrimonio che ci ha trasmesso ed essere fieri di questa voce del sud” - La lezione di Carmen 20 giugno. uannu moru fati finta ca nun moru”, diceva Rosa. E così Carmen Consoli, in collaborazione con Angelo Scandurra, il prof. Sebastiano Gesù e il nipote di Rosa Balistreri, Luca ha Torregrossa, deciso di far rivivere, attraverso le foto, i manoscritti, i libri, gli abiti, gli oggetti personali, i dischi e i testi teatrali, la figura della cantautrice siciliana, in una mostra allestita presso il Refettorio Piccolo dei Benedettini, visitabile dal 29 maggio al Ma chi era Rosa Balistreri? Nata a Licata nel 1928, “è venuta al mondo in tempi di abusi e di fame, ha vissuto una vita travagliata e molte volte infelice, un matrimonio senza amore come tante donne del suo tempo. Ma aveva riversato nel canto la sua disperazione e la sua speranza, la sua protesta e il suo entusiasmo”. “Q donne, con un po’ d’acqua e una buona cipolla, ne aveva fatto un piatto di assoluta e rara squisitezza. Oggi è fortunato chi ancora può gustare un pancotto. P.S. Sono stato a rivedere la mia scuola elementare in via Bodio alla Bovisa, che quand’ero bambino era un rione della periferia estrema e più povera di Milano. Ho rivisto i corridoi delle aule e sono entrato in quella che era stata la mia classe: La 1B. Ora, la direttrice che mi accompagna, bravissima e appassionata, mi mostra il registro del mio primo anno scolastico 1937-1938 coi nomi di tutti i miei compagni. Ma quel che mi colpisce nel lungo elenco dei dati anagrafici di ciascun alunno è che la colonna conclusiva del Giornale di Classe è riservata alla “Condizione della famiglia”. In tutta la scolaresca di quaranta bambini, solo quattro nomi sono qualificati con la definizione “civile”. Tutti gli altri di condizione “operaia”. Dunque, esattamente settant’anni fa , la condizione operaia non era “civile” ? Ho scoperto che per civile s’intendeva “abbiente”. E infatti i quattro nomi dei miei compagni privilegiati erano proprio i più ricchi della classe. Gli altri avevano anche la segnalazione di “povero” e perfino di “poverissimo”. E io ero già uno dei fortunati perché ero classificato soltanto “povero”. Ma chissà come sarei stato definito se avessero conosciuto la mia vera appartenenza alla condizione “contadina”. Tutta la mia infanzia, prima dell'età scolare, l'ho vissuta in gran parte dalla nonna materna che aveva un po' di terra coltivata, la stalla con la mucca e il cavallo per i lavori nei campi. E la vita di campagna è stata la mia prima vera scuola, quella dove si percepisce la forte sensazione fisica dell'esistere. La luce e il buio: il giorno e la notte. La fame, la sete, il caldo, il freddo. La protezione tenera dell'abbraccio materno, la paura della solitudine, il pianto del dolore. Ma soprattutto, in quel mondo contadino, si imparava a procurarsi da vivere con quello che la natura ha provveduto per la sopravvivenza del genere umano. In quei miei primi anni di vita ho conosciuto quanto poi mi è servito a distinguere tra una vita "naturale" e una vita "artificiale". Molti che l’hanno conosciuta ricordano ancora come percorresse le strade del paese cantando a squarciagola. A sedici anni viene data in sposa a un uomo geloso, violento, amante del gioco e del vino. Durante un litigio con il marito, Rosa lo aggredisce e viene arrestata. Dopo sei mesi di galera, decide di trasferirsi a Palermo con la figlia. Lì, a servizio di una famiglia nobile, viene messa incinta dal figlio dei padroni e spinta a rubare in casa loro. Viene nuovamente arrestata. Dopo aver abortito e dopo aver subito delle molestie da parte del prete della chiesa presso cui nel frattempo aveva trovato un impiego come custode, si reca a Firenze. Il periodo fiorentino è determinante per la carriera artistica di Rosa: conosce un pittore, a cui si lega sentimentalmente e grazie a lui fa amicizia con numerosi artisti e letterati che apprezzano la sua voce. È così che incide i primi dischi e partecipa ad una serie di spettacoli teatrali, tra cui quello di Dario Fo “Ci ragiono e canto”, “La lunga notte di Medea” di Corrado Alvaro, “Le Eumenidi” e “Bambulè” di Salvo Licata. Nel frattempo gira il mondo con i suoi concerti. Torna in Sicilia dopo vent’anni per alcuni spettacoli. Muore a Palermo nel 1990 colpita da un ictus celebrale. Nota soprattutto per la sua voce rauca, Rosa Balistreri riuscì ad esprimere i toni drammatici della Sicilia cantando la fame, l’ingiustizia, la voglia di libertà, la rabbia, facendo sì che il suo canto acquistasse una valenza sociale e politica. Dice di lei il nipote, Luca Torregrossa: “Andava per i campi a raccogliere i canti dei contadini e si è battuta per entrare nelle scuole e nelle università a far conoscere la sofferenza della povera gente”. “Rosa era una figura all’avanguardia - ha detto la Consoli scriveva di mafia, ha lottato contro la società che non la accettava. Solo a Firenze venne apprezzata come artista e oggi unanimemente riconosciuta come una delle maggiori esponenti della musica del sud nel mondo”. La Balistreri si dedicò alla raccolta di canti, nenie, filastrocche in dialetto e si impegnò strenuamente nella difesa della cultura e della tradizioni siciliane. A questo proposito la Consoli ha dichiarato: “Il dialetto siciliano è alle origini della lingua italiana. Non a caso è facilmente capito in tutta Italia. Come diceva Fabrizio De Andrè, i vocaboli provenienti dai dialetti arricchiscono la lingua. Quindi non dobbiamo vergognarci delle nostre origini, soprattutto noi siciliani a cui viene spesso detto di non parlare in dialetto. Il dialetto fa parte del nostro patrimonio culturale e dobbiamo rispettarne la memoria”. Ermanno Olmi Domenicale del Sole24ore, Domenica 1 Giugno 2008 www.laltrasicilia.org Ilaria Messina - step1magazine.it L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 13 – 1/15 luglio 2008 Il rastrello di Montalbano Cerco un centro di gravità permanente, che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente “B asta con queste macchiette di Montalbano!”, tuonava un paio di anni or sono l'allora presidente della provincia regionale di Catania, Raffaele Lombardo, mentre arringava la folla intervenuta ad un comizio in Piazza Università, nel cuore della città etnea. E lo gridava proprio di fronte al palazzo dove 60 anni prima si recava al lavoro un certo Antonio Canepa, di giorno professore di storia delle dottrine politiche in quella università, di notte (o ogni qualvolta gli eventi lo richiedessero) Mario Turri, rivoluzionario impenitente. Da quel momento Andrea Camilleri e Raffaele Lombardo sembrano legati da uno strano filo del destino a quella figura inconsapevolmente evocata in quella calda serata. Un legame che i due continuano a trattare con ambiguità, ma dal quale non riusciranno a liberarsi facilmente. E difatti ambiguo è stato il loro recente abbocco tra i due, posto a metà strada tra la decisione di Lombardo di fare dedicare una via cittadina al nostro professore ed una recente pièce teatrale sulla vita dell'indipendentista scritta da Camilleri, anche lui reclutato alla causa Siciliana. Su di un articolo di presentazione pubblicato da Repubblica (ma sempre firmato dal Camilleri) non possiamo che condividere appieno il punto di vista dell'FNS, per cui non ci dilungheremo su un giudizio complessivo. Si deve però rilevare un strana particolarità. Il legame (ideale) di Camilleri con Canepa risale a molti anni addietro, a quando sul finir di guerra il nostro andava in bicicletta da Serra di Falco a Porto Empedocle, come raccontato durante una tappa del Giro d'Italia. Nell'articolo di Repubblica il papà di Montalbano confessa che durante quei tragitti si dedicava anche a qualcos'altro: «Chi scrive, allora diciottenne e all'ultimo anno di liceo, venne sorpreso e fermato dalla polizia mentre, munito di un rastrello, sconciava più manifesti che poteva». Manifesti dell'esercito italiano. E non dei manifesti qualunque, ma la goccia che fece traboccare il vaso dell'insofferenza Siciliana verso il regime italiano, come spiegato nell'articolo. Quindi aggiunge: «Ero tutt'altro che separatista. Ero solo un giovane italiano nato in Sicilia che si era sentito gravemente offeso». Alla faccia dell'ipocrisia! Un colpo alla botte ed uno al cerchio... 4 Ma non è ancora questo il punto. L'articolo chiude così: «Antonio Canepa è sepolto nel cimitero di Catania, nel viale dei siciliani illustri, vicino a Giovanni Verga e ad Angelo Musco». Allora: sono rincoglioniti i Siciliani che seppelliscono Canepa accanto a Verga ed a Musco, o è Camilleri in preda ad una forma di demenza senile che gli fa rinnegare le sue “irresponsabili” azioni giovanili? Nessuno dei due. Camilleri malgrado l'età è furbissimo. Ci rivela che lui non è tanto d'accordo con questo pezzo che tuttavia ha diligentemente firmato. Lui da quest'opera teatrale (e da Canepa) per ora ci prende le distanze. Sembra voglia suggerirci che, in vista dell'anniversario della nascita del martire, stia lavorando su commissione. In altre parole, c'è uno sponsor dietro. Ed allora seguiamo la sua traccia ed andiamo al sito del Festival di Massenzio, per il quale l'opera è stata scritta ed all'interno del quale è stata presentata. Bingo. Ricorderete che lo scorso ottobre a Messina si tenne una mostra sull'indipendentismo Siciliano. Tra gli sponsor incredibilmente faceva capolino Capitalia, allora proprietaria del Banco di Sicilia. Invece sul sito del festival romano tra gli sponsor troviamo Unicredit, quella Unicredit che recentemente ha acquisito proprio Capitalia. Ora, se dopo la prima potevamo al massimo proporre una teoria, oggi possiamo tranquillamente dire di trovarci di fronte ad una strategia. Una banca che si occupa di fare propaganda all'indipendentismo siciliano? Dovrebbero essere dei folli. Chi può avere tanto potere da costringerli a fare una cosa del genere? A meno che... a meno che in Capitalia ieri, ed in Unicredit oggi non ci si stia posizionando favorevolmente in vista dell'arrivo del nuovo ordine che potrebbe presto nascere. Non diamo più ascolto a chi ci dice ancora che l'indipendentismo fu una 'esaltante stagione vissuta da una minoranza', a chi tra le bombe atomiche, le camere a gas, le atrocità di fascisti e partigiani e le fucilate di Badoglio contro i palermitani che chiedevano il pane, si permette di chiamare l'EVIS una organizzazione terroristica che, nelle parole dello stesso Camilleri (ma siamo nel 2002, ed il nuovo centro di gravità non lo attirava ancora...), 'lasciò una lunga scia di sangue dietro di sé'. Pur con i piedi in più staffe, sono tutti pronti al salto. Nel caso in cui. Come per il colpo al cerchio e quello alla botte di Camilleri: lui quel rastrello non lo ha gettato. Lo ha solo nascosto. Ed appena verrà il momento, dopo aver messo il bianchetto sul “tutt'altro che separatista”, non mancherà di riprenderlo in mano agitandolo con forza. http://ilconsiglio.blogspot.com/ Titoli di articoli giornalistici realmente pubblicati e di cartelli realmente affissi ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ ⇒ “Eliminazione totale bambini a sole £ 29.000” (in un negozio di abbigliamento di Trieste) “Funerali a prezzi ridotti. Cinquantasei rate a prezzi bloccati. Affrettatevi” (inserto pubblicitario su La Nazione, Firenze) “Si avverte il pubblico che i giorni fissati per le morti sono il martedì e il giovedì” (Ufficio Anagrafe di Reggio Calabria) “A 3 mesi dalla scomparsa La ricordano la figlia Addolorata ed il genero Felice” (necrologio) “Regalo cucciolo di mastino docile e affettuoso, mangia di tutto, gli piacciono molto i bambini” (annuncio su un giornale) “A un anno dalla sua dipartita la moglie ricorda l’indimenticabile Felice. Uccello, hai lasciato dentro di me un vuoto incolmabile” (necrologio) “Qui riposa Benedetta Gaia Bellina, donna instancabile, ha amato la vita, suo marito e tutto il paese” (lapide) “Gli Insegnanti che hanno un buco lo devono mettere a disposizione del Preside” (Circolare del preside relativa agli orari di lezione) Fonte: L’Obiettivo - Antonio Prestianni - Castelbuono www.laltrasicilia.org 5 L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 13 – 1/15 luglio 2008 Vieni in Sicilia… La Grotta di Santa Margherita ...te ne innamorerai ! Castellammare del Golfo Foto di Salvatore Giallo Scalinata Marina (Al Madarig) La Tonnara di Scopello Cala marina L’Angolo della Poesia VECCHIA MARINA Oggi chi l’arma mia è cchiù scueta E mi veni la vogghia di gridari Pensu ch’è megghiu fingimi pueta E sulu pi tia mettimi a cantari. E mi ci provu pi tia Casteddammari E pi li fimmini tò, pi li tò sciuri! Pi li tò rutti, pi li tò Tunnari Pi li tò pisci e li tò marinari. Chi su in continua lotta cu stu mari Chi certi voti è tantu ginirusu E tantavutri ci dà vuccuna amari Specie se bruttu, scuru e timpistusu. Eppuru tutti ti vulemu beni Sia che tempu beddu di bunazza Chi in lontananza si senti li sireni E si vidi lu scogghiu e la puntazza. Sia chi lu tempu è bruttu e a la marina La mariggiata superba e malandrina Rumpi scuggheri, rumpi la banchina E poi ritorna a la vasca Reggina. Chi tempi beddi quannu a la marina appena sagghiati li varcuzzi vinnianu vivi vivi li trigghi a la marina, li sardi, la nunnata e li mirruzzi. Ora però li tempi sù canciati, ora la pisca è divintata un mbrogghiu, ora li pisci sunnu cungilati, ora un c’è cchiù dda gran trigghia di scogghiu. E un ci su cchiù li rizzi e li pateddi e mancu lu zu Ciccu c’abbanniava c’un panaru a lu vrazzu di sicci e purpiteddi. Vi vogghiu a tantu. No! A tantu, e si pattiava. E dunni su cchiù li piscatura e dunni su cchiù li vicchiareddi, chi assettati a lu friddu e la furtura tissianu sempri rizzi e nassiteddi. E dunni è cchiù Raisi Ciccu Sarcona, e Raisi Cola e Raisi Giuvanninu, tutta genti valenti, genti Bona! Armuzzi bianchi comu un Gersuminu. Eppuru ancora ti po’ capitare na vecchia varca chi pisca sularina versu scupeddu o versu lu pirali, chi ti ricorda la Vecchia Marina. Antonino Tesoriere Antonino TESORIERE figlio di Damiano e di Antonina Foderà. Nato a Castellammare del Golfo il 12.11.1908 - morto a Roma il 27.11.1980 www.laltrasicilia.org L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 13 – 1/15 luglio 2008 6 LO STATUTO TRADITO Commento storico, giuridico ed economico allo Statuto Speciale letto come Costituzione e patto confederativo tra Sicilia e Italia e disamina della sua inapplicazione. S i dice che le “premesse” siano storicamente fatte per conto – in ogni caso – delle parti emendate e della differenza, essere saltate. Per evitare che anche questa faccia la formale e sostanziale, tra il testo originario e quello stessa fine, essa sarà limitata all’essenziale, a quanto attualmente vigente. serve, cioè, per una migliore e completa fruizione del testo. Lo spirito di fondo è: prima conosciamo e applichiamo, poi, se Il saggio nasce dall’insoddisfazione per una pubblicistica sullo sarà il caso, emendiamo, ma sempre in senso evolutivo. Statuto siciliano troppo approssimativa, ora retorica, ora Il quadro che ne risulta è quello di un’Autonomia eccezionale, riduttiva, ora addirittura riconosciuta, forse anche volgarmente denigratoria, mai subíta, dallo Stato italiano, ma La Sicilia, questo è il senso profondo dello pienamente consapevole non mai da questo istituita; scritto, se vuole, se nessuno glielo impedisce dell’enorme portata di questo un’Autonomia eccezionale frutto con la forza dall’esterno o dall’interno, documento. di una negoziazione bilaterale ha in sé gli strumenti istituzionali per La Sicilia, questo è il senso tra due Popoli originariamente profondo dello scritto, se vuole, sovrani che istituiscono tra di risolvere ogni proprio problema. se nessuno glielo impedisce loro un patto confederale. Sul con la forza dall’esterno o tema si tornerà appresso ma, se dall’interno, ha in sé gli strumenti istituzionali per risolvere non si puntualizza questo sulla soglia, si rischia di ogni proprio problema. Certo le istituzioni sono soltanto una fraintendere tutto ciò che segue. cornice; il dipinto poi può esservi tracciato all’interno secondo Il testo di legge è riportato in corsivo, mentre i nostri le piú diverse ispirazioni. commenti inframmezzati allo stesso sono riportati in carattere Il senso dello scritto non è quello della ricostruzione storica normale. La lettura può anche essere ricorsiva: chi fosse degli eventi che portarono all’elaborazione del testo interessato alla parte piú rivoluzionaria dello Statuto, quella attualmente vigente. Lo scritto non è quindi orientato al relativa al “federalismo fiscale”, altrove evocato, qui già passato, alla mera conservazione, ma rilegge il passato in realtà, purtroppo non del tutto operante, salti pure – ad un’ottica chiaramente programmatoria perciò orientata, al esempio – agli artt. 36 et ss., magari dando una scorsa contrario, proprio al futuro, e con buona pace di chi – come il preventiva all’art. 20. nostro grande Sciascia – vorrebbe assente questo tempo dal Se qualche errore, formale o sostanziale, fosse fatto, se ne chiede scusa preventivamente al lettore che speriamo nostro orizzonte mentale. E tuttavia il commento non può che prendere le mosse dal benevolo nei nostri confronti, con l’auspicio che, in ogni caso, testo storico del 1946, perché piú organico, perché piú fedele a fine lettura questi si senta civicamente e culturalmente un allo spirito originario dello Statuto, perché il suo impianto è po’ piú ricco di prima. Se cosí sarà la fatica dell’autore non ancora praticamente intatto nonostante alcuni piccoli sarà stata del tutto vana. emendamenti, non tutti e del tutto opportuni. Si renderà Massimo Costa ART.18 L' Assemblea regionale può emettere voti, formulare progetti sulle materie di competenza degli organi dello Stato che possano interessare la Regione, e presentarli alle Assemblee legislative dello Stato. Q uasi a ribadire ancora una volta la Sovranità della Regione Siciliana, le pochissime funzioni rimaste al Parlamento italiano (quelle riservate ad esso dalla Costituzione vigente al netto di quelle espressamente delegate all'autonomia ex art.15-17 del presente Statuto), non sono del tutto fuori dalle competenze dell'ARS. Persino su queste il nostro Parlamento può votare ed emettere progetti (ad esempio sull'ordinamento delle professioni regolate per legge, o sulla difesa), ma - ovviamente - in questo caso si tratta solo di un voto consultivo, ché altrimenti saremmo in presenza di una vera e propria indipendenza. ART.19 L' Assemblea regionale, non più tardi del mese di gennaio, approva il bilancio della Regione per il prossimo nuovo esercizio, predisposto dalla Giunta regionale. L' esercizio finanziario ha la stessa decorrenza di quello dello Stato. All' approvazione della stessa Assemblea è pure sottoposto il rendiconto generale della Regione. N orma tecnica, questa, tutto sommato. Il Parlamento approva i documenti finanziari (Bilancio e Rendiconto) come qualunque Parlamento sovrano al mondo, anzi la "Contabilità della Regione Siciliana", per questo articolo, deve necessariamente ispirarsi per quanto possibile a quella dello Stato e non a quella di altri enti locali, in quanto si tratta di contabilità e di bilancio di un ente politico sovrano. E così è stato in buona misura, in uno dei pochi articoli che possa dirsi abbia trovato applicazione e, come in altri casi analoghi, tale applicazione ha dato buoni frutti essendo la legislazione regionale in materia di bilancio pubblico tutto sommato completa ed all'altezza dei propri compiti anche se ancor suscettibile di progressi e razionalizzazioni. La previsione del mese di gennaio, invece, è da riferirsi a quando l'anno finanziario iniziava a luglio. Si doveva cioè prudentemente approvare il bilancio 4 mesi prima www.laltrasicilia.org L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 13 – 1/15 luglio 2008 della sua gestione. L'interpretazione attuale della norma, quindi, sarebbe quella di approvarlo oggi entro il mese di agosto per quello che parte dal gennaio successivo. Prudenza e lungimiranza dei padri 7 statutari che fanno impallidire i moderni gestori degli "esercizi provvisori" o delle approvazioni frettolose dei bilanci sotto le feste natalizie. Sezione I Funzioni dell'Assemblea regionale. ART.20 Il Presidente e gli Assessori regionali, oltre alle funzioni esercitate in base agli articoli 12, 13 comma primo e secondo, 19, comma primo, svolgono nella Regione le funzioni esecutive ed amministrative concernenti le materie di cui agli articoli 14, 15 e 17. Q uesto articolo, di cui ora commentiamo il primo comma, è – senza esagerazione alcuna – il piú importante di tutto lo Statuto. Esso ha rilievo politico, amministrativo e finanziario. Il punto di vista amministrativo è il piú immediatamente evidente, trattando delle funzioni del Governo regionale, e, in virtú dell’ampio potere di delega di questo, di tutta la P.A. siciliana. Il senso politico è piú profondo: si tratta di una devolution totale di funzioni amministrative dallo Stato alla Regione dentro i confini del territorio siciliano. Il senso finanziario è che, direttamente o indirettamente, la Regione deve non solo introitare (lo si vedrà piú avanti) quasi ogni somma accertata nell’isola o il cui presupposto d’imposta si sia formato nell’isola, ma anche SPENDERE OGNI SOMMA PUBBLICA NELL’ISOLA. Ma andiamo con ordine. Il Presidente e gli Assessori, cioè la Giunta regionale, cioè il Governo della Regione, oltre alle funzioni propriamente politiche citate (iniziativa di legge, emanazione di regolamenti, promulgazione di leggi, predisposizione di Bilancio e Rendiconto generale) che però non attengono ancora al potere esecutivo vero e proprio, svolgono “le funzioni esecutive e amministrative” nelle materie su cui hanno competenza esclusiva e concorrente, nonché (è pleonastico in verità) in materia di ordinamento di enti locali. Cioè, nelle materie di propria competenza, anche solo concorrente (ma si è visto che su questo la potestà legislativa del Parlamento nazionale è assai blanda), la Regione emana regolamenti, esercita la propria amministrazione, insomma è totalmente sovrana (certo nei limiti nell’ordinamento costituzionale, degli obblighi internazionali, etc.). Questo significa che, per esempio, non solo la sanità o il corpo forestale o i beni culturali, ma anche l’università, la scuola, gli ispettorati del lavoro, le amministrazioni delle strade statali, le direzioni provinciali del tesoro, gli istituti previdenziali e tutto quant’altro rientra nelle competenze regionali dovrebbe dipendere, anche gerarchicamente, dalla Regione (o da enti locali o funzionali a cui questa delegasse i propri poteri). Su tutto ciò (il 90-95 % dell’amministrazione dello Stato italiano) i Ministri romani vedrebbero fermare i propri poteri sullo Stretto di Messina. Da qui la considerazione sopra esposta che non di Assessori regionali, ma di veri e propri ministri regionali si tratta. Da qui anche l’infondatezza di talune statistiche sul numero dei dipendenti regionali che è sí certo eccessivo ma che non lo è se questa amministrazione si fa carico di compiti che in altre regioni sono a carico dello Stato. Ma c’è di piú e lo vediamo al comma successivo. Sulle altre non comprese negli articoli 14, 15 e 17 svolgono un’attività amministrativa secondo le direttive del Governo dello Stato. Sulle altre? Perché ne restano altre? Ah, sí, sulle poche, pochissime altre che la Regione in teoria non può toccare (se non con le mere proposte ex art.18). Ma, a questo punto, ci si chiede, perché non si è detto “eccetto quelle militari” o dizioni similari? Quali sono le “altre”? L’ordinamento giudiziario e carcerario, ad esempio; il mantenimento dell’ordine pubblico e gli interni (su cui, a scanso di dubbi, torna il successivo art. 31); pochissime altre funzioni sovrane, fra quelle previste come “statali” dalla riforma del Titolo V e non devolute alla Regione (che so? la “metrologia”, il “coordinamento informatico delle pubbliche amministrazioni”…) e, finanche, perché no, la difesa. E che succede su queste “altre”? Lo Stato manda, come oggi, i suoi dipendenti e funzionari? No! Nulla di tutto ciò. Anche su queste la Regione assume la responsabilità, non piú esecutiva, ma solo amministrativa. Su queste funzioni, quindi, il Governo della Regione diventa organo gerarchico della P.A. dello Stato italiano, con l’obbligo di attenersi alle sue disposizioni, ma è sovraordinato gerarchicamente ad ogni organo subalterno. È vero che si tratta solo di un’attività amministrativa, ma la sua portata è semplicemente straordinaria. Di fatto la Regione organizzerebbe sotto la propria responsabilità ogni ambito della vita associata. Di fatto lo Stato italiano manterrebbe in Sicilia soltanto il suo Commissario a Piazza Principe di Camporeale a Palermo, magari circondato da quattro carabinieri, come una sorta di ambasciatore, di plenipotenziario, di legato, dell’Italia in Sicilia e nulla piú. Anche su queste funzioni i Ministri romani, per dare un ordine ad un ufficio subalterno in Sicilia, dovrebbero passare dal competente Assessore siciliano. Di fatto siamo ad una vera e propria “Confederazione” della Sicilia con l’Italia, altro che semplice “autonomia speciale”! Anche volendo rimandare a tempi migliori l’organizzazione delle Forze Armate in Sicilia (Vedi addenda al termine di questo saggio), il Nostro Governo avrebbe tutti gli strumenti per non aspettare niente da nessuno e organizzare ogni aspetto della vita pubblica. Essi sono responsabili di tutte le loro funzioni, rispettivamente, di fronte all’Assemblea regionale ed al Governo dello Stato. Il 3° ed ultimo comma di questo fondamentale articolo richiama, però, la Regione alle proprie responsabilità. La Nostra non è autonomia del privilegio e del “bengodi”, come dicono i malevoli nemici dell’Autonomia. Noi non vogliamo l’Autonomia con i soldi degli altri. Intanto sulle funzioni proprie, anche soltanto concorrenti, il Nostro Governo risponde solo ai propri elettori per mezzo del Nostro Parlamento. Nessun altro obbligo verso Roma o Bruxelles! Per le funzioni “sovrane” (difesa, giustizia, interni, etc.) rispondiamo rispettosi alle direttive del Governo di Roma. Ma questo comma ha un implicito passaggio di natura finanziaria. Se tutte le funzioni amministrative sono della Regione, gravano tutte sul suo bilancio. Ma a chi tocca pagare in ultima istanza? Ai Siciliani stessi, o al Governo italiano? Lo Statuto sembra tacere. Ma una sola può essere l’interpretazione logica. Sulle funzioni delegate dallo Stato (per le quali lo Stato riceve fra l’altro dai Siciliani i tributi minori specificati dall’art.36) lo stesso Stato che fissa il costo del servizio attraverso le proprie leggi deve corrispondere le somme necessarie. Sulle funzioni proprie concorrenti (sanità, previdenza, etc.) sarà la Regione che, www.laltrasicilia.org 8 L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 13 – 1/15 luglio 2008 anche progressivamente nel tempo, dovrà imparare responsabilmente a farsene carico, fatto salvo che una perequazione parziale ex art. 119 Cost. potrà (e dovrà) esser data in ordine al mantenimento degli standard minimi di servizi al cittadino e in relazione al differenziale di capacità contributiva tra Sicilia e resto d’Italia. Sulle funzioni proprie ed esclusive la Sicilia dovrà imparare in fretta a non chiedere niente a nessuno, fatte salve eventuali norme transitorie per chiudere progressivamente con un passato di assistenzialismo e di lavoro pubblico precario. Se la Sicilia assumerà su di sé il costo dei servizi pubblici, con le gradualità che rendano tutto ciò possibile, chi potrà dire a Roma o Bruxelles, che la sua politica tributaria autonoma sia “aiuto di stato”? Essa lo sarebbe né piú né meno che come quella di uno stato sovrano che fissa liberamente il proprio carico impositivo. E questo a prescindere dalla negoziazione con Bruxelles di aiuti transitori che potrebbero interessare tutto il Mezzogiorno italiano. L’Irlanda non chiede piú a Londra sussidi per i propri servizi pubblici. Dobbiamo quindi imparare a fare altrettanto se ne vogliamo imitare il modello. ( 5. - Continua ) I precedenti commenti sono stati pubblicati su L’ISOLA n° 9, 10, 11 & 12 I nostri sacri simboli: la TRINACRIA e l'AQUILA DI SICILIA; i nostri sacri colori: il GIALLO e il ROSSO del VESPRO. (Segue da pagina 1) E cosa dire della vecchia seicento dello zio Giovanni, delle cabine a righe bianche e blu dei bagni Vittoria ora invase dai pontili del ferribotto, da oli e sporicizie varie, laddove i lidi offrivano ombre e refrigerio. No non suona già da tempo la banda dei miei sogni e in fondo al viale non é rimasta neanche la canzone. Sono chiusi per sempre i magazzini generosi di mercanzie e ormai soltanto bancarelle esotiche riempiono le assolate ore della via con prodotti scadenti di qualità e di gusto. Ma Sicilia sono tante: Sicilia ‘babba’, fino a sembrare stupida, Sicilia ‘sperta’, capace di violenze e cattiverie e Sicilia pigra, formica che si estenua nell’angoscia della roba, Sicilia cicala che recita la vita sempre come un copione di carnevale ed anche. quella verde dei nebrodi, quella bianca delle saline di Trapani, quella gialla dello zolfo di Pietraperzia, quella purpurea delle falde dell'Etna, ma sempre Sicilia che si sporge da un crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio. Io, fingo tremore e sorrido a chi non puo' sapere "quale vento forte m'ha cercato" .... Messina, scillaecariddi del ricordo, fatamorgana dell'immaginazione, come Isola della mente, non esiste più. « Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l'inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare.» A. Einstein Eugenio Preta www.laltrasicilia.org L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 13 – 1/15 luglio 2008 9 J awhar al-Siqilli (Sicilia, circa 911 - Lu Cairu, 28 di jinnaru 992) fu lu ginirali sicilianu ca criau lu cchiù granni mperu islàmicu fatimita (sciita) dâ storia, cunquistannu tuttu lu NordAfrica (u Maghreb), l'Egittu e a Siria. Iddu funnau puru la città di al-Qahirah (lu Cairu) e la granni moschea di al-Azhar, la cchiù antica università dû munnu. A voti al-Siqilli ha statu scrittu as-Siqilli, as-Saqali o as-Saqalli ni diffirenti trascrizziuni. Puru la Sicilia ha stata chiamata Saqalyah o Siqilyah 'n diffirenti èpichi e dialetti àrabbi. As-Siqilli signìfica «lu Sicilianu» e accussì è canusciutu ntra tuttu lu munnu islàmicu dû Maroccu nzinu a l'Indunesia: sò nomu era Abul al-Husain Jawhar ibn-Abdullah. Jawhar lu Sicilianu ha statu nzinu ô Saladinu lu cchiù granni eroi di tuttu l'Islam. Ancora oi è lu cchiù granni dî l'eroi sciiti e ntû particulari di l'ismaeliti. Jawhar al al--Siqilli 1. Vita Jawhar nascíu e campau 'n Sicilia e li sò patri èranu siciliani, ma nun si canusciunu ducumenti unni si dici n'quali città e cu foru li sò cantannavi. La raggiuni è ca iddu era liatu a n'gruppu di Mowlas (nun-àrabbi) siciliani c'avìanu statu purtati n'schiavitù dâ Jazeera (al-Jazeera signìfica «l'ìsula» ‘n àrabbu) di Sicilia â città santa di Kairouan (Tunisia), capitali dû califfatu fatimita n'Africa nord-occidintali. Sò patri Abdullah (ibn-Abdullah significa figghiu di Abdullah) s'avìa cunvirtutu a l'Islam già nnâ Sicilia, ma li sò nannavi èranu cristiani ortodossi e ô tempu nun era custumi n'Africa tracciari l'orìggini di chiddi ca nun avìanu nomi àrabbi o musulmani. Jawhar addivinni attinnenti dû califfu al-Mansur e ntû 952 vinni sùbbutu libbiratu di lu novu califfu al-Mui'zz ca lu midìsimu annu avìa succidutu a al-Mansur e iddu immantinenti lu nòmmina Katib (secretariu di Statu). Nt'al-annu 959 addivinni cchiuassai mpurtanti: veni a èssiri numminatu puru Vizir e cumannanti n'capu di l'armata fatimita. Chidd'annu Jawhar accumincia e cunchiudi la cunquista di Ddà stapi e accuverna lu paisi pì quacchi annu. Ntû fivraru dû 969 Jawhar era già cèlibbri e cunzidiratu insustituìbbili di lu califfu al-Mui'zz, ca pinzava ca nuddu àutru putissi arrinèsciri a cunquistari l'Eggittu, ma iddu s'ammarau e picca spiranzi appi pâ sò vita. Si nun avissi cchiù campatu nuddu àutru avissi pigghiatu lu sò postu: lu califfu avissi rinunziatu a la cunquista. Jawhar si salvau e quannu ca fu di novu forti, ntâ primavera, accuminciau la cunquista di l'Eggittu. Rapidamenti cunquistau la città di Alessandria. Ddà fici n'modu ca li surdati nun facìssiru danni ni massacri e ditti puru premi e onuri a issi pì dissuadìrili dû pigghiari buttini di guerra. Cu stu viàticu di granni putenza e benuvulenza itti versu la città di Al-Fustat, ca sùbbutu s'arresi. Jawhar accittau tutti li tèrmini dû trattatu di resa e firmau nu magnànimu trattatu di paci, garantennu la vita e li proprietà di tutti, quinni addivinìu cuvernaturi di l'Eggittu. Lu sò cuvernu veni cunzidiratu assai ntilligenti, binèficu e tulliranti, picchì fici nèsciri l'Eggittu di na longa caristìa, na granni puvirtà e iper-inflazziuni dî prezzi, vinsi la criminalità e pirmittìu a tutti libbirtà di riliggiuni. Lu midìsimu jornu dâ cunquista, lu 6 di giugnu 969, iddu tracciau lu disignu e accuminciau la custruzziuni di al-Qahirah (u-Cairu) e dû Qasral (lu casteddu dâ città). Ntû 970 accuminzau la custruzziuni dâ granni moschea di alAzhar, e ntû 22 giugnu dû 972 la moschea fu cunsacrata e graputa ô cultu. Ntû 970 avìa anviatu lu sò esèrcitu na Siria e avìa subbutu cunquistatu lu paisi, ma la situazziuni canciau quannu li Karmati aiutaru li Siriani. Ntû 972 li Siriani e la coalizziuni dî Karmati attacaru l'Eggittu ma Jawhar, pigghiannu lu cumannu dû sò esèrcitu, li scunfissi tutti. La Siria accussì vinni sùbbutu ricunquistata 'n maniera definitiva. Jawhar veni sempri arricurdatu comu nu granni Katib, nu pulìticu ntilligenti e nu granni amministraturi. Dipartì di stu munnu ô Cairu lu 28 di jinnaru dû 992 quannu avìa cchiù di na quattruvintina d'anni (forsi 82). Si dici ca à ddu tempu nun ci fussi nuddu puita ca nun avissi scrittu dî versi pì chiànciri la sò pèrdita e laudari la sò libbiralità. (wapedia.mobi/scn/Jawhar_al-Siqilli) A TAVOLA! Calamari fritti P er preparare uno dei piatti di pesce più appetitosi non occorre una grande perizia, ma solo del pesce veramente fresco e di ottima qualità. Lavare e pulire l'interno dei calamari, avendo cura di estrarre la spina dorsale, sflilandola dalla parte superiore vicina alla testa. Preparate in un piatto la farina adatta alla frittura del pesce. In genere è di rimacino. Passatevi i pesci, i gamberi con la buccia e i calamari tagliati ad anelli, ma solo dopo averli fatti accuratamente scolare dell'acqua in eccesso. Friggete in olio - meglio se d'oliva - ben caldo e posate la frittura sopra una carta in modo che essa possa assorbire l'olio in eccesso. Spruzzare con qualche goccia di limone e salare q.b. Servire caldi, dopo avere tolto la carta ormai piena dell'olio in eccesso. www.laltrasicilia.org L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 13 – 1/15 luglio 2008 10 L'Europa o sarà dei Popoli o non sarà L' Altra Sicilia esprime tutto la propria soddisfazione per l'affondamento del Trattato di Lisbona nell'unica consultazione elettorale cui si era avuto il coraggio di sottoporlo. Bravi fratelli Irlandesi! Bravi e W l'Irlanda!! Un popolo più piccolo dei Siciliani, ma da cui noi abbiamo tanto, tantissimo da imparare, ha dato una lezione all'Europa intera dei burocrati e delle banche, all'Europa "tappetino" di fronte alle politiche americane, all'Europa che fa carta straccia di ogni possibile uso della nostra Autonomia con la complicità dei ministri italiani nel « Consiglio". Ma perché devono votare solo gli irlandesi su una cosa così importante? Tutti gli europei devono decidere che Europa vogliono, non "per noi" i Parlamentari che ... non ha eletto nessuno! Ci riproveranno, ci riproveranno ancora e poi ancora. Noi lotteremo a fianco di tutti i popoli europei e di tutti i movimenti che lottano per la libertà, contro tutti i centralismi, italiani ed europei, forti coi deboli e deboli coi forti, nemici delle famiglie, dei lavoratori, delle piccole imprese, della morale naturale, della libertà, della vera democrazia, asservite ad un disegno di governo del mondo, ormai nemmeno più tanto oscuro. Se ci dev'essere un'Europa, sarà quella dei popoli liberi. E per noi è anche peggio perché ancora la Sicilia non è nemmeno libera come le altre nazioni europee. Ma oggi festeggiamo i musi lunghi che ci devono essere tra Bruxelles e Francoforte! W la Sicilia, W i popoli europei, W la libertà!!! L'ALTRA SICILIA - Antudo (14 giugno 2008) «I risultati sono, voglio sperare, un messaggio chiaro per tutti. E’ una vittoria della libertà e della ragione su progetti elitari artificiali e sulla burocrazia europea. Il progetto di trattato di Lisbona è finito oggi, con la decisione degli elettori irlandesi, e la sua ratifica non può continuare». Vaclav Klaus Gli oligarchi-burocrati si erano fatti una legge. La legge diceva: il trattato di Lisbona è privo di valore legale (null and void) se un solo Stato membro non lo ratifica.Oggi che l'Irlanda ha rifiutato di ratificare, Napolitano sostiene che il Trattato di Lisbona resta in vigore e la volontà di un solo Paesa non conta nulla, perché è piccolo. www.laltrasicilia.org L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 13 – 1/15 luglio 2008 11 Tedeschi dissociati dall’euro U n biglietto da 100 euro equivale a un biglietto da 100 euro. Giusto? No, secondo i cittadini tedeschi. Il giornale popolare Handelsblatt rivela un curioso comportamento: quando vanno in banca a ritirare contanti, i tedeschi controllano le banconote per vederne l’origine; quelle stampate nell’area mediterranea se la fanno scambiare con banconote «Made in Germany» (1). impolitici tedeschi credono meglio abbandonare ai tecnici, secondo loro immacolati. Soprattutto, i consumatori germanici vedono l’inflazione che galoppa. I bigliettoni stampati in Germania sono riconoscibili in quanto esibiscono una X davanti ai numeri di serie; il che li distingue da quelli fabbricati dalla Moneda iberica (che hanno una V) e dal nostro Poligrafico, dove il numeri di serie sono preceduti da «S». Ogni Paese stampa un numero di banconote in stretto rapporto con il suo peso economico, secondo regole severe della Banca Centrale Europea. E in ogni caso si tratta di «moneta ex nihilo», non coperta da alcun tallone. Di conseguenza, la preferenza dei tedeschi per i loro euro nazionali sembra del tutto idiota. Se la preferenza è giustificata per chi compra BOT - e infatti i BOT italiani pagano un interesse maggiore dei BOT tedeschi, per convincere i risparmiatori a comprarli da un debitore poco c red ibi le , e ques ta fo rb ic e ( «spread») tende ad allargarsi - non ha alcun senso quando si prendono contanti. Le banconote in euro sono perfettamente intercambiabili in tutta la zona euro, anzi nel mondo. Solo in un caso i cento euro stampati a Madrid o ad Atene, a Roma o a Lisbona, potrebbero valere meno dei cento euro fabbricati in Germania: se l’unità monetaria si spaccasse. Oppure in caso di caotica crisi, estrema. Avvenne in USA nel decennio attorno al 1840, sotto la presidenza di Andrew Jackson, quando banconote in dollari stampate in differenti Stati erano scambiate a valori diversi (ma allora circolavano dollari «privati», emessi da oltre un migliaio di banche locali). Può succedere? In fondo, oscuramente, i tedeschi lo pensano. Molti di loro hanno una casa di vacanza in Spagna, e ne hanno visto crollare il valore di mercato. Vedono come fumo negli occhi i tentativi di Parigi - cui si aggiungono Spagna e Italia - di dettare alla Banca Centrale Europea un ribasso dei tassi, il che indebolirebbe il cambio dell’euro, e sarebbe una «intrusione della politica» nel regno immacolato della moneta, che gli Le autorità tedesche hanno ammesso quello che gli altri governi europei tacciono, o su cui alzano fumo: che l’inflazione in Germania è all’8,1%, un livello mai visto da un quarto di secolo. E in Germania si ricorda l’iper-inflazione degli anni ‘20 come il grande incubo nazionale. Si ricordano ancor meglio dell’inflazione del 1948, che fu provocata da una riforma monetaria: gli attivi finanziari dei risparmiatori furono tosati anche del 90%. Il problema si ripresenta. Se l’inflazione è all’8% reale in Europa, i risparmiatori che www.laltrasicilia.org (Segue a pagina 12) L’ISOLA - Quindicinale di cultura, politica, informazione della diaspora siciliana - Anno X - n° 13 – 1/15 luglio 2008 12 mettono il loro gruzzolo in banca (al tasso massimo del 3,20% pronti-contro-termine) o in BOT al 4,6% (lordo), si accorgono di venire - ancora una volta - semplicemente derubati dei loro risparmi dalle banche usurarie. Le quali in Europa si procurano il denaro di cui hanno estremo bisogno dati i loro problemi di liquidità, a costo zero. Anzi negativo. Il liberismo terminale non retribuisce il capitale, lo tosa e lo distrugge. In tutto il mondo la ruberia dei risparmi è in corso, con tassi bancari che regolarmente non coprono l’inflazione. La finanza anglo-americana accusa (come al solito) gli altri, anzitutto i Paesi emergenti (2). Per esempio la Russia, dove l’inflazione supera il 15% ma l’interesse che si dà ai depositi non arriva all’11%. O il Vietnam, inflazione al 25%, e interessi al 12%. Ma naturalmente la causa motrice di tutto è la Federal Reserve: che per tenere a galla le sue banche speculatrici e in rovina non ha fatto che abbassare i tassi, perchè abbiano denaro a basso costo. Ciò favorisce gli USA - dove non esistono risparmiatori, ma solo indebitati, dalle famiglie allo Stato, quindi favoriti dai bassi tassi - ma è un disastro per Paesi dove si risparmia ancora. Come in Germania o, sempre meno, in Italia. Attualmente 3 miliardi di esseri umani nel mondo sono sotto la bufera dell’inflazione che rode i loro averi monetari. Senza contare lo Zimbabwe (inflazione, un milione per cento) si va dal 25-30% di Argentina e Venezuela, al 21% egiziani; dal 14% del ricco Katar all’8-9% di Cina e India, che forse è l’11-12%. La causa, ovviamente, sta negli Stati Uniti: che stanno facendo pagare il loro immenso deficit commerciale e pubblico agli altri, svalutando il dollaro. Quanto agli «altri», i loro governanti e capi delle Banche Centrali hanno creduto di fare i furbi comprando a man bassa buoni del Tesoro USA per mantenere alto il tasso di cambio delle loro monete, e dunque più competitive le loro esportazioni. Hanno comprato i Bond americani stampando la loro moneta nazionale in libertà: ora questa affoga i mercati interni causando la fiammata inflattiva, mentre i Bond USA che hanno accumulato in cassaforte si sciolgono come gelati d’agosto. Ora stanno diversificando comprando euro, attratti dal tasso di ben due punti più alto che quello del dollaro. Ma dato che Trichet ha anche lui stampato moneta per salvare le banche, l’euro è un ben pericoloso rifugio contro l’inflazione. Trichet vuol far credere di «controllare» l’inflazione tenendo fermo il tasso ad oltre il 5%, e minacciando di aumentarlo. Ma se proprio volesse prendere la misura reale, dovrebbe alzare il tasso più dell’inflazione, ossia sopra l’8%, per retribuire i risparmi. Il che è ovviamente improponibile, con i milioni di gente che ha il mutuo a tasso variabile e le aziende che già non riescono ad esportare. Ma con le mezze misure non si ottiene nulla. Finchè si adottano mezze misure, i prezzi non caleranno, e avremo inflazione più stagnazione. Se non dovessimo mangiare ogni giorno, sarebbe interessante osservare come il sistema liberista mondiale imposto dal Washington consensus, e portato all’assurdo dogmatico da Bush, si stia sgretolando pezzo per pezzo. La globalizzzazione aveva promesso prezzi bassi, e tutto rincara. I tedeschi non credono più all’euro e hanno di fatto ricreato il marco. Le banche americane, nonostante tutti i sostegni pubblici della Federal Reserve, continuano a crollare (l’ultima è la Lehman). La Turchia, membro della NATO e soggetta agli USA, ha praticamente stretto un’alleanza con l’Iran, scambiando con Teheran intelligence e coordinando le azioni militari contro il comune nemico, i kurdi (3). Le minacce di Bush e di Israele all’Iran hanno l’effetto di rincarare ogni volta di più il prezzo del petrolio, con ciò mettendo nelle tasche dell’Iran profitti sempre maggiori, ed aumentandone l’importanza strategica nella regione agli occhi di Cina ed India, i suoi clienti (4). Quanto alla Cina, metà delle 800 fabbriche di scarpe nel Guangdong hanno chiuso, e migliaia di piccole fabbriche tessili hanno il fiato corto (per cause convergenti: inflazione, apprezzamento dello yuan, costo dei trasporti crescente, rincaro dell’energia). La federazione industriali di Hong Kong avverte che diecimila aziende che operano nella Cina meridionale potrebbero presto fallire. Insomma la globalizzazione predicata dalle armi USA sta crollando su se stessa, spargendo miseria anche fra i «favoriti». Il tutto sotto un regime di menzogna ufficiale che gabella l’inflazione al 5%, come le armi di distruzione di massa di Saddam e la bomba atomica di Teheran. In questa situazione, c’è però qualcuno che continua a credere che Bush sia un buon cristiano ed abbia fatto la cosa giusta: il Santo Padre. Ovviamente, è meglio informato di noi: dal cardinal Bertone - il segretario di Stato tifoso di calcio - e dal «politologo» Vittorio Emanuele Parsi, messo in cattedra alla Cattolica come fantolino di Ruini, e che sta ancora studiando da Katz. Alle elementari. Maurizio Blondet - effedieffe.com 1) Ambrose Evans-Pritchard, «Support for euro in doubt as Germans reject Latin bloc notes» Telegraph, 13 giugno 2008. 2) Ambrose Evans-Pritchard, «Emerging markets face inflation meltdown», Telegraph, 13 giugno 2008. Stephen Roach, «The new stagflation: an Asian export», Financial Times, 12 giugno 2008. 3) Gareth Jenkins, «Turkey admits coordination with Iran», Asia Times, 13 giugno. «On June 6, General Ilker Basbug, the commander of the Turkish Land Forces, confirmed that Turkey and Iran were sharing intelligence and coordinating military operations against the Kurdistan Workers’ Party (PKK) - which is primarily composed of Turkish Kurds and its Iranian affiliate, the Kurdistan Free Life Party (PJAK). (…) Turkey and Iran first signed a memorandum of understanding (MoU) on security cooperation on July 29, 2004, three months after PJAK’s inaugural congress in April 2004 and two months after the May 2004 decision by the PKK to return to violence following a five-year unilateral ceasefire. This agreement was reinforced on April 17, 2008, by a new MoU which foresaw a broadening and deepening of security cooperation between the two countries». 4) Robert Baer, «How Iran has Bush on a barrel», Time, 11 giugno 2008. «The Iranians haven’t been shy about making clear what’s at stake. If the U.S. or Israel so much as drops a bomb on one of its reactors or its military training camps, Iran will shut down Gulf oil exports by launching a barrage of Chinese Silkworm missiles on tankers in the Strait of Hormuz and Arab oil facilities. In the worst case scenario, seventeen million barrels of oil would come off world markets (…) Four-dollar-agallon of gasoline only reflects $100 oil because the refiners’ margins are squeezed», he said. «At $300, you have $12 a gallon of gasoline and riots in Newark, Los Angeles, Harlem, Oakland, Cleveland, Detroit, Dallas». www.laltrasicilia.org