6 numero Anno II - maggio 2009 AURORA Editoriale di Massimo Congiu “Non si tratta di un problema di numero. Grande o piccola questa manifestazione del 1° Maggio è l’affermazione del principio di solidarietà e di unione degli operai di tutti i paesi ed è questo che farà del 1° Maggio una giornata unica nella storia del mondo” (dall’appello ai lavoratori della Gran Bretagna della Federazione nazionale delle organizzazioni operaie, 1° Maggio 1890) C i apprestiamo a trascorrere questo primo maggio con l’intenzione di ribadire, nel modo più fermo e deciso, la necessità di rivalutare il lavoro come elemento fondante di ogni comunità progredita, strumento di crescita umana e personale e mezzo di integrazione sociale. Questo, almeno, in un mondo che voglia dirsi civile e rispettoso dei diritti fondamentali dell’uomo. Oggi assistiamo, invece, a un’evidente perdita di tutte queste valenze e all’impoverimento del concetto di lavoro che risulta progressivamente privato dei suoi significati più nobili, sociali e culturali. Si perde la coscienza del proprio essere lavoratore, partecipe di un disegno collettivo e titolare di un bagaglio che comprende non solo doveri ma anche diritti che vanno considerati sacrosanti. Purtroppo il progresso tecnologico avvenuto a tappe sostenute negli ultimi decenni non è stato accompagnato da un altrettanto visibile progresso civile e culturale capace di valorizzare il lavoro come attività non solo individuale ma anche sociale. Il lavoro non serve solo a produrre beni materiali, ma anche valori sui quali devono basarsi le nostre società. Invece vediamo che ieri come oggi, spesse volte, capitani d’industria e quanti stanno ai vertici di questo sistema neoliberista, cercano di dividere i lavoratori e di provocare vere e proprie guerre tra poveri per sfruttare a loro piacimento la manodopera e controllare il mercato del lavoro. Vogliono farci credere che questi rapporti di produzione siano il sistema migliore per far funzionare l’economia. Noi invece sappiamo che non è così e guardiamo con disapprovazione certi investimenti itineranti di multinazionali e affini nei paesi in via di sviluppo, il sistema “mordi e fuggi” delle delocalizzazioni. Il mondo del lavoro è cambiato rispetto a un tempo, è vero, ed è vero che occorre individuare nuove categorie di base per un’analisi rinnovata dei rapporti socio-economici. Questo lo sappiamo e vediamo chiaramente non più solo lo sfruttamento del lavoro in fabbrica ma anche quello intellettuale, la realtà alienante e sottopagata dei call center, il deterioramento del settore scuola che da noi risulta dequalificato dalle ricette di Tremonti firmate da un’inconsistente Gelmini. Il mondo del lavoro è cambiato ma si continua a morire nelle fabbriche e nei cantieri, i profitti dei manager crescono e quelli dei salariati diminuiscono. Non possono continuare a dirci che questo sistema funziona, almeno non nello stesso modo per tutti. Ci avviciniamo anche alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo e con sempre maggior forza e convinzione affermiamo di volere un’Europa del lavoro e dei diritti collettivi, non dei profitti per pochi. Buon primo maggio! Periodico di informazione e cultura italiana per gli italiani residenti all’estero www.aurorainrete.org Giornale per l’unità comunista I N Q U E S T O N U M E R O ... LETTERA A NAPOLITANO p. 2 Speciale Primo maggio: L’Elzeviro LA RACCOMANDAZIONE p. 3 a cura di Mariarosaria Sciglitano STORIA DEL 1° MAGGIO a cura della cGIL AL NILE FEMMI marzo pp. 6-7 DONNE E LAVORO lo 8 no n so di claudia cimini pp. 8-9 Elezioni Europee: PROGRAMMA DEI COMUNISTI COME VOTARE PER CHI VOTARE ... E D p. 10 p. 16 p. 17 ALTRO ANCORA AURORA 2 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 Circolo PRC/SE “Enrico Berlinguer” Bruxelles-Belgio 0498-571-213 Sezione PdCI Belgio 0477-258-765 [email protected] [email protected] Rue Rouppe 4, 1000 Bruxelles Bruxelles, 16 aprile 2009 Al Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano Oggetto: perché essere ancora cittadini italiani? Presidente, molti connazionali iscritti e non ai nostri Partiti, e noi stessi, ci poniamo la domanda se valga ancora la pena essere cittadini italiani o, piuttosto, prendere la nazionalità del Paese dove lavoriamo e viviamo. Come cittadini abbiamo sempre vissuto, da parte del nostro Stato, scarsa considerazione e vessazioni ma in occasione delle elezioni europee riteniamo sia stato raggiunto il fondo del disprezzo verso il cittadino. Da cui la domanda di cui in oggetto. In occasione delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, il Governo belga non ha rinnovato la possibilità (come invece fece 5 anni or sono) di aprire seggi elettorali in locali pubblici del Paese, per cui le votazioni potranno avvenire solo nelle sedi diplomatiche italiane. Con la drastica e disastrosa scelta (da parte di tutti i governi, sia di centro destra che di centro sinistra) della chiusura di molti Consolati, la maggioranza dei cittadini italiani non residente nella città dove è rimasto il Consolato o l’ufficio consolare italiano, dovrà percorrere molti chilometri per poter esprimere il diritto/dovere di cittadino elettore. Esempio, la circoscrizione consolare di Bruxelles. I connazionali che abitano nelle Fiandre dovranno percorrere 200 km tra andata e ritorno per potersi recare a Bruxelles per votare. Si sarebbero potute proporre iniziative atte a facilitare il voto quali, per esempio, il rimborso del treno; seggi volanti allestiti su bus o caravan (se targati CD è come fossero sedi diplomatiche); nuovo negoziato con il governo belga. In ogni caso si sarebbero dovute dare ai connazionali informazioni dettagliate. Purtroppo non è stato fatto nulla di tutto ciò. Nulla è stato dunque né previsto né attivato per facilitare la partecipazione al voto per questi cittadini. Anzi, nelle risposte di chi peraltro è chiamato a svolgere la preparazione dei seggi senza mezzi, rispetto alle obiettive difficoltà di partecipazione al voto, pare sentire il vecchio, odioso motto: “me ne frego”. Siamo confrontati, palesemente, a disparità di trattamento tra cittadini. Non ritiene Ella, guardiano della Costituzione, che si tratti di disposizioni incostituzionali proprio in quanto discriminano e rendono diseguali i cittadini italiani ? Del resto, quando si fa economia sulla democrazia non è mai un buon segno. Se questo è quanto ci offre il nostro Paese non sappiamo più cosa rispondere alla domanda dei nostri connazionali: ha ancora un senso essere ancora italiani ? Perché anche noi iniziamo a porgerci questo interrogativo. Può Ella rispondere a questa domanda ? Grazie della Sua cortese attenzione, Distinti saluti Roberto Galtieri per il PdCI-Belgio – Mario Gabrielli Cossellu per il PRC/SE-Belgio 3 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 L’Elzeviro LA RACCOMANDAZIONE Il lavoro non è più un diritto ma il premio di un gioco dell’oca pluriennale a cura di Mariarosaria Sciglitano In questo racconto, uscito su “Il Mese” di Rassegna Sindacale nel giugno del 2005, Flavio Santi, critico, poeta, narratore, sottolinea il fatto che la raccomandazione non è solo un iter obbligato per tanti lavori, ma può assumere la fisionomia dell’alienazione e dell’incubo. Ne pubblichiamo un brano. A veva ragione mio padre: “Cercati una raccomandazione”. Cui si aggiungeva subito dopo mia madre, inesorabile come un rullo compressore: “Ha ragione tuo padre”, e ripeteva il concetto: “Cercati una raccomandazione”. E insieme facevano il coro dell’Antoniano: “Cercati una raccomandazione”. Sul momento non ci feci particolare caso, pensavo fosse più che altro l’attaccamento, in un certo senso affettuoso, a un vecchio stile di vita ormai in via di estinzione. Pensavo alla raccomandazione come a una specie di fossile. Una volta chiarito l’equivoco che non ero adatto allo studio (avevo provato due anni di legge, due di economia e commercio e per sfizio uno di filosofia), cominciai a cercare un lavoro. Che sofferenza. Il lavoro. Angoscia. Soffoco. Le valutazioni sull’idoneità o meno a un lavoro le facevo in maniera molto vaga, non avendo mai lavorato. Non avendo particolari ambizioni pensavo che qualsiasi lavoro mi sarebbe andato bene. Illuso. Fosse dipeso da me, qualcosa avrei rimediato, ma scoprii che sulla faccia della terra si aggiravano più schizzinosi del previsto. “Lei non è adatto…”, “Non mi sembra la persona giusta…”, “Veramente avevo in mente un altro tipo di magazziniere…” (ovviamente a magazziniere va sostituito di volta in volta il mestiere per cui mi presentavo, commesso, aiutogiardiniere, guardia notturna, custode, fino anche a becchino, e quella volta fu proprio ridicolo, “Ah, lei non sembra proprio adatto… vedo che non ha il ginocchio dello scavatore, requisito minimo per un buon necroforo, mi spiace…”): insomma il vero problema sembravo essere io, inadatto secondo loro a qualsiasi tipo di mansione. Poi capii. Non erano schizzinosi, né io ero inadatto, semplicemente “La serietà è un optional, e non dei più richiesti, credimi”, come disse un giorno mio cugino Silvano. Io pensavo ci volesse almeno un po’ di serietà. “Ma allora che ci vuole?”, chiesi brutalmente, esasperato da mesi di colloqui inutili e umilianti. “Se ti trovi una raccomandazione, quella sì che è seria, ti sistema per sempre…” .Lui era stato rigorosamente sistemato con una raccomandazione, mi spiegò. Gli occhi gli brillavano grati come la spia rossa di una vidimatrice ferroviaria guasta. “Ma se anche i preti hanno le raccomandazioni…”, rincarò la dose il cuginastro, “sennò come fanno a fare carriera? Perché appunto certi rimangono tutta la vita in una parrocchia sfigata di campagna mentre altri diventano vescovi, arcivescovi, nunzi apostolici e quant’altro?”. E già, non ci avevo mai pensato, però era vero: se anche i preti, che dovrebbero essere i custodi dell’onestà, hanno bisogno di raccomandazioni per gli scatti di carriera, allora vuol dire che proprio non se ne può fare a meno. Anche i preti! Fino a quel giorno ero vissuto nella più completa ignoranza, poi arrivò quella rivelazione, e tutto divenne più chiaro: ero circondato da raccomandati, dal mio ex bidello fino al nuovo direttore del consorzio agrario dove lavorava mio padre. E anche mio padre, sì, era frutto di questo sistema. Alla faccia del fossile… Di colpo aprii gli occhi anche su altre vicende, ad esempio quella di Mirko, che mi apparve come una specie di esperimento vivente. È l’unico di giurisprudenza con cui sono rimasto in contatto. Laureato subito, in quattro anni, col botto, 110 e lode, e non è uno che dici, ok studia un casino, è uno intelligente, che capisce, connette, informato, simpatico. Studia da anni per superare qualcosa: l’esame d’avvocato, una preselezione, un qualsiasi concorso pubblico, anche di quelli dove è richiesto solo il diploma (è sceso a tanto dalla disperazione). Figlio della media borghesia, quella però non intrallazzona, suo padre assicuratore, sua madre maestra, neanche mezzo cugino di peso, non vince mai niente. Per forza, mi dico adesso illuminato, l’Italia è fatta di corporazioni, maestranze, botteghe, ognuna gelosa del suo. Questo fin dal Medioevo, e allora forse poteva anche passare, era l’epoca buia, così la chiamano, no?, ma dopo? Ed è fatta raccomandazioni l’Italia. Non crescerà mai questo paese, in Germania non è così, in Francia neppure e figuriamoci in Inghilterra…. Qua non vai da nessuna parte senza quella, la raccomandazione, la segnalazione, il buffetto, la spinta. E Mirko studia. Senza sapere che non basta. Un giorno o l’altra glielo devo dire. Anche lui deve aprire gli occhi, ma come sempre ci vuole qualcuno dall’esterno che ti metta sulla strada giusta, a fare di testa propria nove volte su dieci si sbaglia di brutto. Comunque adesso avevo le idee più chiare, se non altro sapevo qual era il passo successivo da fare. Trovare una raccomandazione però è più difficile che trovare un lavoro. Di solito si procede con una soluzione intermedia, per cominciare: trovare una raccomandazione alla raccomandazione. E ancora una volta entrarono in gioco i preti, o meglio mio cugino che ebbe la gentilezza di parlarne con don Gaspare, che era poi il tipo che l’aveva sistemato. Di colpo mi sembrò di essere precipitato nell’Italia rurale di mio padre, quella degli anni Cinquanta, dove i preti, come mi raccontava, erano i padroni assoluti e incontrastati dell’economia locale, consigliavano chi votare (rigorosamente DC), combinavano le unioni, facevano arrivare i finanziamenti, muovevano tutto il muovibile. 4 L I B E R O AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 RUBRICA S A P E R E CONOSCENZA E RETI NEL XXI SECOLO: da strumenti di emancipazione e cooperazione a capitale e mezzi di produzione Ieri: le battaglie delle sinistre per l’istruzione e per una scuola publica e gratuita, oggi: le battaglie per un accesso libero e gratuito alle reti e alla conoscenza di Perla Conoscenza Istruzione e scuola pubblica nella società capitalista industriale del XX secolo per lo sviluppo capitalista. Nel “capitalismo cognitivo” la produzione si sposta verso una produzione immateriale, e quindi formazione continua, maggiore educazione e conoscenze sono necessarie per un La mancanza di istruzione, di conoscenza, e scarse capacità di lavoro dignitoso e per l’emancipazione sociale. analisi sono i primi indicatori delle differenze di classe. Questa necessità riguarda la fascia limitata della popolazione con Nelle società capitaliste industriali, a seguito dello sviluppo scienimpieghi direttivi, mentre gran parte dei nuovi impieghi sono imtifico e tecnologico, si presentò la necessità di disporre di una forza pieghi precari che necessitano competenze e istruzione limitata. Al lavoro istruita, capace di leggere e scrivere, dotata di una cultura di contempo si assiste ad una riduzione della forza lavoro tradizionale base e con capacità tecniche e professionali. A fronte di questa necesimpiegata nell’agricoltura e nell’industria. sità, con la rivoluzione francese che si afferma il concetto della scuola Questi due fattori portano al degrado della istruzione pubblica primaria pubblica, obbligatoria e gratuita per tutti i “cittadini” (non per tutti i cittadini, non più necessaria, sempre più limitata e scapiù plebe). Scuola pubblica e gratuita, anche se limitata all’istruzione dente, e alla istruzione privata ad alto livello come discriminante di di base e alle scuole elementari. classe. L’istruzione fornisce gli strumenti di base necessari al lavoro Una delle tante contraddizioni del capitalismo. Infatti, grazie al (“know how”), ma al contempo per poter comprendere la realtà progesso tecnologico, la tecnologia permetterebbe a chiunque (una (“know what”), primo passo per una emancipazione e un affrancavolta alfabetizzato), l’accesso alla conoscenza (risorsa illimitata e infimento. nitamente riproducibile). Ognuno potrebbe contribuire alla creazioLa battaglia per assicurare un’alfabetizzazione culturale per tutta ne cooperativa di nuova conoscenza comune. la popolazione tramite la realizzazione di una scuola di base pubblica Oggi, grazie alle reti, la creazione collettiva e gratuita ha perciò storicamente contraddidi conoscenza, servizi, idee, saperi, conoscenza, stinto i governi di sinistra. LODE DELL’IMPARARE off re una alternativa al modello capitalista del In Italia, nel 1877, durante il governo delImpara la cosa più semplice! XXI secolo dove la produzione (anche immala Sinistra storica, furono istituiti tre anni di Per quelli il cui tempo è venuto teriale) è controllata dalle grosse imprese o da obbligo scolastico e si rese gratuita e obbligatonon è mai troppo tardi! oligopoli. Pensiamo solo a Wikipedia, la magria l’istruzione elementare. Le sanzioni per chi impara l’abbici: non basta è vero, giore enciclopedia del mondo, multilingue lima imparalo! Non avvilirti! disattendeva l’obbligo scolastico, erano foncomincia! Devi sapere tutto! bera, gratuita e costruita in modo distribuito e damentali per spezzare la divisione di classe, Tocca a te prendere il potere. collettivo, che ha costretto alla chiusura Encarpoiche’ era uso che i meno abbienti, invece di Impara, uomo all’ospizio! ta, l’enciclopedia di Microsoft. inviare i figli a scuola, li inviassero “a bottega”. Impara, uomo in prigione! Nel dopoguerra, grazie alle battaglie dei Impara, donna in cucina! Le infrastrutture: reti di comunisti, si inserì nella Costituzione (art.34), Impara sessantenne! Tocca a te prendere il potere! la gratuità dell’istruzione inferiore e l’obbligo comunicazione elettronica, Frequenta la scuola senzatetto! di frequenza scolastica di otto anni. Obbligo internet Procurati sapere tu che hai freddo! che venne attuato solo nel 1963 con l’istituzioAffamato impugna il libro: è un arma. La rete di comunicazione Internet nacque ne della scuola media unica, con i primi goverTocca a te prendere il potere. come strumento di scambio e cooperazione ni del centro-sinistra. compagno, non temere di chiedere! fra ricercatori. Grazie alle sue caratteristiche Non dar credito a nulla, progettuali di rete aperta e finalizzata alla coocontrolla tu stesso! La conoscenza nel perazione e alla condivisione di conoscenze, si Quello che non sai di tua scienza capitalismo cognitivo del in realtà non lo sai. diffuse rapidamente fra i cittadini e nel mondo XXI secolo Verifica il conto: della produzione. tocca a te pagarlo. La rete, nata libera e aperta e che ha perOggi con la transizione dal capitalismo inPoni il dito su ogni voce, messo la condivisione delle informazioni e dei dustriale ad un capitalismo cognitivo, si modichiedi cosa significa Tocca a te prendere il potere. saperi, deve essere posta sotto controllo. Lo ficano e si estendono le conoscenze necessarie BERTOLT BRECHT AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 COSTITUZIONE ITALIANA – Art. 34 La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. scambio di qualcosa di immateriale e infinitamente riproducibile è considerato un furto, da combattere con ogni mezzo. Prima che si affermi l’uso creativo e collettivo delle reti (tecnologiche e sociali), prima che le pratiche di condivisione si diffondano, prima che le nuove generazioni ne apprendano le potenzialità, prima che la sinistra tutta apprenda le potenzialità di emancipazione delle reti sociali in rete. A tal fine si insinua la paura, un artificiale bisogno di “sicurezza” e di controllo. Al fine di giustificare l’esigenza di un controllo sia dell’infrastruttura di rete, sia dei contenuti che circolano, l’abbandono di concetti quali privacy e “net neutrality”. Le battaglie e il modello di società 5 quotidiano senza averlo acquistato, o a chi ha prestato un libro, poiche’ ha impedito al mercato di vendere una seconda copia. In Italia si propone l’oscuramento entro 48 ore dei siti internet o blog nei quali emerge l’ipotesi che qualcuno abbia istigato a delinquere le leggi, oscuramento che verrà sospeso dopo un indagine o un processo. Occorre contrastare radicalmente questi disegni, diffondere la consapevolezza che: – la conoscenza è un bene comune e non una merce, – accesso all’istruzione e alla conoscenza sono diritti fondamentali, in quanto mezzo di produzione principe della società del XXI secolo, una discriminazione nell’accesso al sapere e alle reti si traduce in discriminazione di classe – istruzione e accesso alla conoscenza e alle reti sono diritti per tutti (un “servizio universale”), come lo è l’istruzione nella carta costituzionale. – l’infrastruttura di comunicazione di rete è una infrastruttura di base, pubblica e gratuita, come le strade (infatti si chiamavano le autostrade dell’informazione) Nelle istituzioni appaiono le prime proposte di legge volte a garantire un accesso per tutti alle reti di comunicazione elettronica. Al Parlamento Europeo la raccomandazione Lambrinidis sul “rafforzamento delle libertà fondamentali su Internet”, che sostiene che l’accesso ad internet (attivo e passivo) è un diritto e fondamentale per “la libertà di espressione” e non può essere “sospeso come sanzione dai governi o dalle società private” è approvata con una schiacciante maggioranza (481 a 25). Blocca quindi la legge di censura ed esclusione adottata in Francia. Nella stessa settimana è stata approvata l’estensione della durata del diritto di autore da 50 anni a 70 anni. Alcune battaglie vinte, altre perse, che evidenziano quanto sia importante eleggere al Parlamento Europeo una forte rappresentanza anticapitalista, che si batta contro la privat izzzazione della conoscenza. La strada per una consapevolezza generale, e verso una visione e strategia politica comune su questi temi è ancora lunga. Si tratta di definire quali valori e quali modelli di società vogliamo: una società dove l’accesso alla conoscenza, all’informazione, alla comunicazione, sia un diritto, oppure se prevalgano I famigerati diritti di proprietà intellettuale, ossia il diritto di trarre profitti dalla conoscenza. Siamo di fronte ad una battaglia ideologica chaive, fra chi considera la conoscenza un patrimonio sociale e collettivo, e chi la considera come fonte di profitti, una merce da rendere scarsa e accessibile a pochi. Sono in corso battaglie legislative e ideologiche. Si cerca di far accettare l’idea che leggere, apprendere, condividere, mettere in comune conoscenza, o ancora peggio costruire idee collettivamente sia sia un crimine da comunisti, da pirati. L’esito di queste battaglie, per rivedere la legislazione, ma sopratConoscenza bene tutto per modificare il senso comucomune ne, non è scontato. Sulla presa di coscienza si giocano le battaglie che V. Koretskii: revolutionary Theory is Our Greatest Weapon! 1978 Vi è un ulteriore elemento. contribuiranno a determinare se le La teoria rivoluzionaria è la nostra arma più potente. La stessa conoscenza diventa fonprossime generazioni saranno istrute di profitto e di accumulazione ite o igniranti, plebe o cittadini. di capitale, diventa il mezzo di produzione principe nel capitalismo Vi sono quindi due fronti di battaglia: cognitivo. Nella produzione immateriale, la conoscenza è sempre meno incorporata nelle macchine, ma sempre più nei lavoratori – sui contenuti: se questi si possano scambiare e riutilizzare, se vi stessi. La conoscenza quindi, nata come bene comune, va resa scarsa, sarà una pluralità o un monopolio culturale e informativo privatizzata e accessibile a pochi. – sulla infrastruttura di rete: chi controlla la reti e chi controlla l’acAffronteremo più in dettaglio questo tema nei prossimi numeri. cesso ai contenuti (i motori di ricerca). E in parallelo affronteremo le battaglie per la messa in comune della Nei paesi che si avviano verso governi a impronta totalitara, quali conoscenza, ossia del mezzo di produzione principe del “capitalismo Francia e l’Italia, si propongono leggi durissime per chi viola i “diritti cognitivo”. di proprietà intellettuale”: chi condivide oggetti digitali (ad esempio ascolta musica senza pagare) evitando di contribuire ai profitti di un editore può venire incarcerato. In Francia, si propo“Se il sapere non ha proprietari, la proprietà intellettuale invece ne che alla terza “infrazione” il cittadino venga escluS RUBRICA è la trappola del neoliberismo” L A so dell’accesso alla rete per un anno. Sarebbe come HUGO CHAVEZ I P B vietare la lettura per un anno a chi ha sbirciato un E E R O R E 6 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 STORIA DEL 1° MAGGIO a cura della CGIL I l 1° Maggio nasce come momento di lotta internazionale di tutti i lavoratori, senza barriere geografiche, né tanto meno sociali, per affermare i propri diritti, per raggiungere obiettivi, per migliorare la propria condizione. “Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire” fu la parola d’ordine, coniata in Australia nel 1855, e condivisa da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento. Si aprì così la strada a rivendicazioni generali e alla ricerca di un giorno, il primo Maggio, appunto, in cui tutti i lavoratori potessero incontrarsi per esercitare una forma di lotta e per affermare la propria autonomia e indipendenza. La storia del primo Maggio rappresenta, oggi, il segno delle trasformazioni che hanno caratterizzato i flussi politici e sociali all’interno del movimento operaio dalla fine del secolo scorso in poi. Le origini Dal congresso dell’Associazione internazionale dei lavoratori - la Prima Internazionale - riunito a Ginevra nel settembre 1866, scaturì una proposta concreta: “otto ore come limite legale dell’attività lavorativa”. A sviluppare un grande movimento di lotta sulla questione delle otto ore furono soprattutto le organizzazioni dei lavoratori statunitensi. Lo Stato dell’Illinois, nel 1866, approvò una legge che introduceva la giornata lavorativa di otto ore, ma con limitazioni tali da impedirne l’estesa ed effettiva applicazione. L’entrata in vigore della legge era stata fissata per il 1 Maggio 1867 e per quel giorno venne organizzata a Chicago una grande manifestazione. Diecimila lavoratori diedero vita al più grande corteo mai visto per le strade della città americana. Nell’ottobre del 1884 la Federation of Organized Trades and Labour Unions indicò nel 1 Maggio 1886 la data limite, a partire dalla quale gli operai americani si sarebbero rifiutati di lavorare più di otto ore al giorno. dopo a Milwaukee la polizia sparò contro i manifestanti (operai polacchi) provocando nove vittime. Una feroce ondata repressiva si abbatté contro le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, le cui sedi furono devastate e chiuse e i cui dirigenti vennero arrestati. Per i fatti di Chicago furono condannati a morte otto noti esponenti anarchici malgrado non ci fossero prove della loro partecipazione all’attentato. Due di loro ebbero la pena commutata in ergastolo, uno venne trovato morto in cella, gli altri quattro furono impiccati in carcere l’11 novembre 1887. Il ricordo dei “martiri di Chicago” era diventato simbolo di lotta per le otto ore e riviveva nella giornata ad essa dedicata: il 1 Maggio. 1886: I “martiri di Chicago” 1890: 1 maggio, per la prima volta manifestazione simultanea in tutto il mondo Il 1 Maggio 1886 cadeva di sabato, allora giornata lavorativa, ma in dodicimila fabbriche degli Stati Uniti 400 mila lavoratori incrociarono le braccia. Nella sola Chicago scioperarono e parteciparono al grande corteo in 80 mila. Tutto si svolse pacificamente, ma nei giorni successivi scioperi e manifestazioni proseguirono e nelle principali città industriali americane la tensione si fece sempre più acuta. Il lunedì la polizia fece fuoco contro i dimostranti radunati davanti ad una fabbrica per protestare contro i licenziamenti, provocando quattro morti. Per protesta fu indetta una manifestazione per il giorno dopo, durante la quale, mentre la polizia si avvicinava al palco degli oratori per interrompere il comizio, fu lanciata una bomba. I poliziotti aprirono il fuoco sulla folla. Alla fine si contarono otto morti e numerosi feriti. Il giorno Il 20 luglio 1889 il congresso costitutivo della Seconda Internazionale, riunito a Parigi, decise che “una grande manifestazione sarebbe stata organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tute le città, i lavoratori chiedessero alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore”. La scelta cadde sul primo Maggio dell’anno successivo, appunto per il valore simbolico che quella giornata aveva assunto. In Italia come negli altri paesi il grande successo del 1 Maggio, concepito come manifestazione straordinaria e unica, indusse le organizzazioni operaie e socialiste a rinnovare l’evento anche per il 1891. Nella capitale la manifestazione era stata convocata in pazza Santa Croce in Gerusalemme, nel pressi di San Giovanni. La tensione era alta, ci furono tumulti che provocarono di- 7 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 versi morti e feriti e centinaia di arresti tra i manifestanti. Nel resto d’Italia e del mondo la replica del 1 Maggio ebbe uno svolgimento più tranquillo. Lo spirito di quella giornata si stava radicando nelle coscienze dei lavoratori. 1891: la festa dei lavoratori diventa permanente Nell’agosto del 1891 il II congresso dell’Internazionale, riunito a Bruxelles, assunse la decisione di rendere permanente la ricorrenza. D’ora in avanti il 1 Maggio sarebbe stato la “festa dei lavoratori di tutti i paesi, nella quale i lavoratori dovevano manifestare la comunanza delle loro rivendicazioni e della loro solidarietà”. Il primo maggio durante il fascismo Nel nostro Paese il fascismo decise la soppressione del 1 Maggio, che durante il ventennio fu fatto coincidere il con la celebrazione del 21 aprile, il cosiddetto Natale di Roma. Mentre la festa del lavoro assume una connotazione quanto mai “sovversiva”, divenendo occasione per esprimere in forme diverse (dal garofano rosso all’occhiello, alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alla riunione in osteria) l’opposizione al regime. Il 1 Maggio tornò a celebrarsi nel 1945, sei giorno dopo la liberazione dell’Italia. IL PRIMO MAGGIO IN ITALIA 1947: L’eccidio di Portella della Ginestra La pagina più sanguinosa della festa del lavoro venne scritta nel 1947 a Portella della Ginestra, dove circa duemila persone del movimento contadino si erano date appuntamento per festeggiare la fine della dittatura e il ripristino delle libertà, mentre cadevano i secolari privilegi di pochi, dopo anni di sottomissione a un potere feudale. La banda Giuliano fece fuoco tra la folla, provocando undici morti e oltre cinquanta feriti. La Cgil proclamò lo sciopero generale e puntò il dito contro “la volontà dei latifondisti siciliani di soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori”. La strage di Portella della Ginestra, secondo l’allora ministro dell’Interno, Mario Scelba, chiamato a rispondere davanti all’Assemblea Costituente, non fu un delitto politico. Ma nel 1949 il bandito Giuliano scrisse una lettera ai giornali e alla polizia per rivendicare lo scopo politico della sua strage. Il 14 luglio 1950 il bandito fu ucciso dal suo luogotenente, Gaspare Pisciotta, il quale a sua volta fu avvelenato in carcere il 9 febbraio del 1954 dopo aver pronunciato clamorose rivelazioni sui mandanti della strage di Portella. Il primo Maggio oggi Le profonde trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini, la progressiva omogeneizzazione delle abitudini hanno profondamente cambiato il significato di una ricorrenza che aveva sempre esaltato la distinzione della classe operaia. Il modo di celebrare il 1 maggio è quindi cambiato nel corso degli anni. Da diversi anni Cgil, Cisl, Uil hanno scelto di celebrare la giornata del 1 Maggio promuovendo una manifestazione nazionale dedicata ad uno specifico tema. È diventato un appuntamento anche il tradizionale concerto rock che i sindacati confederali organizzano in piazza San Giovanni a Roma. www.cgil.it RUBRICA AL NILE I M M E F o 8 marz o non sol AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 LA FATICA DI ESSERE DONNE NEL MONDO DEL LAVORO Le differenze di trattamento, salario e avanzamento penalizzano le donne che sono tuttora oggetto di discriminazione nel mercato del lavoro di Claudia Cimini S eppur non più di moda e quindi questione priva di risonanza nei media e nell´opinione pubblica, la diversa condizione della donna nel mercato del lavoro è tuttora una problematica attuale, purtroppo minimizzata e ben lontana dall´esser risolta. Ciò che preoccupa non sono solo i dati riguardanti l´impiego della donna, lo scarto percentuale tra occupazione maschile e femminile, l´elevatissima percentuale dei posti dirigenziali occupati dagli uomini, le differenze salariali, il calcolo delle ore lavorative tra impiego e lavoro domestico-familiare, ma anche e soprattutto il fatto che riconoscere che le donne continuino a subire un tipo di discriminazione a livello occupazionale dal momento in cui cominciano ad avvicinarsi al mercato del lavoro fino a quando arrivano al pensionamento, non è considerata una questione problematica, da rendere visibile, analizzare e risolvere. La sottile ingenuità di frasi dilaganti quali oggi le donne possono arrivare dove vogliono se sono brave, non hanno problemi se ben preparate nasconde un’insidia che però riassume perfettamente alcuni dei pilastri del pensiero comune. L´illusione di vivere in una società meritocratica, dove la preparazione, l´efficienza e la produttività sono le uniche discriminanti per poter accedere ad un posto di lavoro a cui si aspira, viene tuttora applicato unicamente al mercato lavorativo al femminile o ad altri gruppi minoritari svantaggiati. In questo modo, si rafforza l´idea che l´eccezione sia sempre rappresentata dalla donna, gli uomini sono la norma, è la donna che deve dimostrare di esser sufficientemente preparata per accedere ad un posto che evidentemente non le spetta e che quindi sta togliendo a qualcuno che ha più diritto di lei per appartenenza al sesso maschile. Si è affermata un´idea della donna funzionale alle esigenze legate alla divisione dei compiti sociali. Sono stati creati lavori “femminili” più consoni all´esser donna, casualmente sempre meno remunerati e di minor prestigio. 9 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 Ogni anno il Forum Economico Mondiale pubblica l´Indice di Disparità tra Generi, un documento in cui vengono misurate le disparità tra uomini e donne in 130 paesi del mondo. Vengono considerate quattro aree di disuguaglianza Partecipazione e opportunità economiche Livello educativo Partecipazione alla vita politica Salute Nel 2008 l´Italia occupava la 67esima posizione di questa classifica, tra Lussemburgo e Vietnam. Riporto così come pubblicata l´anno passato, la tabella riguardante l´aspetto economico con alcuni dei dati che possono interessarci. Possiamo in questo modo visualizzare la partecipazione delle donne italiane e le opportunità di cui godono in ambito economico. Economic participation rank female male Labour force participation 81 51% 74% Wage equality for similar work 111 Estimate income 88 18.501$ 39.163$ Nella prima voce (labour force participation) notiamo come il margine occupazionale femminile sia nettamente inferiore rispetto a quello maschile, parliamo di 23 punti percentuali, tanto da mettere il nostro paese in 81esima posizione nella classifica (rank, seconda colonna). Nella seconda riga viene analizzato il divario salariale esistente per lavori analoghi ma differentemente retribuiti rispetto al genere di appartenenza. L´Italia si trova in 111esima posizione. In media, le donne hanno un salario annuale di circa la metà di quello degli uomini (terza riga). Queste differenze potrebbero attribuirsi ad una minore preparazione delle donne, eppure, se consideriamo il livello educativo delle donne e i risultarti raggiunti in ambito scolastico e universitario, questi dati non confermano né giustificano tale divario. Il numero di ragazze iscritte all´università è maggiore rispetto a quello dei colleghi, rappresenta il 56,5% della popolazione studentesca universitaria. Tra le studentesse, solo il 42,9 per cento ha scelto nel 2008 un indirizzo scientifico. Mentre, il 66,8 per cento degli universitari frequenta facoltà scientifiche. La disparità potrebbe esser determinata dalla presenza di figli. Eppure, analizzando i dati di uomini e donne con figli, vediamo che un uomo con un figlio piccolo ha tra il 10 e il 12% di possibilità in più di trovar lavoro di un uomo della stessa età senza figli. Questa stessa situazione invece, è invertita per ciò che riguarda le donne, una donna senza figli, ha tra il 10 e il 12% di possibilitá in più di trovar lavoro di una donna con figli piccoli. La disoccupazione femminile raggiunge il 10,10%, quella maschile il 6,2% AL NILE FEMMI8 marzo lo no n so Il tetto di cristallo Questa denominazione così architettonicamente romantica, è utilizzata per descrivere una situazione ben meno attraente. Nella carriera delle donne è presente un limite invisibile che le ferma, le ostacola nel loro percorso e le trattiene ai livelli inferiori. Ciò, come abbiamo visto, non ha una connessione diretta con il livello della loro preparazione scolastica che supera qualitativamente quella dei colleghi. In Italia il 2,9% delle donne lavoratrici, è rappresentato da imprenditrici o dirigenti. Anche in quei campi considerati di pertinenza femminile, come l´insegnamento, la maggioranza delle donne è concentrata ai livelli più bassi, meno retribuiti e di minor prestigio. A livello di educazione primaria, troviamo il 96% di maestre e il 4% di maestri. Nella scuola secondaria, il divario diminuisce, con il 67% di insegnanti donne contro il 33% di uomini, fino ad arrivare ad una netta preminenza maschile nell’educazione terziaria dove gli uomini raggiungono il 66% e le donne scendono al 34%. Sembra esserci una legge tacita per cui quando un campo comincia ad essere di pertinenza femminile, perde di valore, di prestigio, e la remunerazione scende inspiegabilmente. Considero la discriminazione una disparità di trattamento implicita o esplicita, causata dall´appartenenza ad un gruppo meno valorizzato rispetto a quello dominante. Quello lavorativo è uno degli ambiti in cui si riflettono, riproducono e amplificano i valori e la struttura dell´organizzazione sociale, ed è caratterizzato da processi di discriminazione nei confronti delle donne e di molti altri gruppi minoritari; processi che vengono riproposti e troppo spesso accentuati. 10 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 UN’ALTRA EUROPA È POSSIBILE Il programma elettorale dei comunisti L’uscita dalla crisi vista dalla sinistra D iamo vita ad una lista anticapitalista che unisce in una proposta politica per l’Europa il PRC, il PDCI, Socialismo 2000 e i Consumatori Uniti. Lo facciamo insieme ad esponenti della sinistra, del mondo del lavoro e sindacale, del movimento femminista e ambientalista, del movimento lgbtq e pacifista. La lista lavora per un’uscita dalla crisi fondata sulla democrazia economica, sulla giustizia sociale e sulla solidarietà. Siamo di fronte ad una crisi di carattere sistemico, non solo economica e finanziaria, ma sociale, alimentare, energetica, ambientale, che sta scuotendo l’intero pianeta. La crisi del capitalismo globalizzato. Ci opponiamo all’Europa liberista e tecnocratica e al governo di “grande coalizione” composto da socialisti, popolari e liberaldemocratici europei che ha fin qui dettato l’agenda della costruzione dell’Unione. Lottiamo con i movimenti sociali e le forze politiche di trasformazione di tutto il continente per UN’ALTRA EUROPA. Una lista che fa sue le ragioni di chi in questi anni e in questi mesi sta lottando, nella scuola e nei luoghi di lavoro, per la giustizia sociale, contro la precarietà e per la libertà femminile, che si oppone al razzismo e all’offensiva oscurantista e clericale delle gerarchie ecclesiastiche. Che si batte per un intervento pubblico finalizzato alla riconversione sociale e ambientale dell’economia, per la redistribuzione del reddito, contro la guerra e per il disarmo. Siamo convinti che la questione morale abbia un valore universale, in Italia come in Europa. L’intreccio perverso tra politica e affari e l’uso clientelare delle risorse pubbliche sono fattori di degenerazione della democrazia, come intuì Enrico Berlinguer. La lista appartiene interamente al campo del GUE-NGL, il Gruppo parlamentare della Sinistra Unitaria Europea – Sinistra Verde Nordica, che unisce partiti comunisti, anticapitalisti, socialisti di sinistra ed ecologisti e al cui interno si colloca il Partito della Sinistra Europea. Le forze che danno vita alla lista si impegnano a continuare il coordinamento della loro iniziativa politica anche dopo le elezioni europee. La crisi e come uscirne Questa crisi non nasce per caso. È un prodotto strutturale dell’attuale capitalismo finanziario-speculativo. Questa crisi è fi- glia delle politiche neoliberiste dell’ultimo ventennio. Politiche alle quali un contributo determinante è stato dato da questa Unione Europea, fondata sul dominio degli interessi del capitale finanziario e delle multinazionali. Politiche che hanno animato un capitalismo d’azzardo e che sono state rese possibili da un consenso fra governi di centro-destra e centro-sinistra, da una grande coalizione formata da liberali, popolari e socialisti europei che ha condiviso i principi liberisti e la demolizione dello stato sociale portata avanti in questi anni in nome della deregolamentazione e del primato della libera concorrenza sulla società. Noi proponiamo una rifondazione dell’Europa. L’Europa di Maastricht, dei Trattati liberisti e “ademocratici” come quello di Lisbona, della tecnocrazia e della subalternità alla NATO, è stata bocciata da referendum popolari in ogni paese in cui si è votato. Noi siamo a favore di un’Europa dei popoli, per un processo costituente democratico e sovrano, di un’Europa della pace e del disarmo. Ci battiamo per cambiare le fondamenta di questa Europa. Il Patto di stabilità va sostituito con un patto per la piena occupazione e la riconversione sociale ed ambientale dell’economia. Va ridefinito lo statuto e la missione della Banca centrale, che va sottoposta ad un controllo democratico. Ci battiamo per la socializzazione del sistema finanziario e bancario, attraverso il controllo pubblico del credito e la nazionalizzazione delle banche. Siamo per la costruzione di uno stato sociale europeo. Il sistema fiscale europeo va armonizzato, fondandolo sul principio della progressività delle imposte. Le politiche economiche e sociali che sono la causa principale di questa crisi vanno rovesciate. Ci battiamo per “ripubblicizza- 11 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 re” quanto privatizzato, a partire dai beni comuni e dai servizi pubblici essenziali, come l’educazione e la conoscenza, la salute, l’acqua e l’energia. Ci battiamo per tassare i capitali speculativi, attraverso l’introduzione della Tobin Tax e l’abolizione dei paradisi fiscali. Per un’Europa delle lavoratrici e dei lavoratori, della piena e buona occupazione A oltre 15 anni dal Trattato di Maastricht, le condizioni di vita e lavorative della maggioranza della popolazione europea sono rapidamente peggiorate: orari di lavoro più lunghi, salari insufficienti, aumento della durata della vita lavorativa, aumento della disoccupazione giovanile e della disoccupazione a lungo termine, lavori brevi, impieghi temporanei e stage non retribuiti costituiscono una scandalosa realtà. Una realtà che in Italia produce la vergogna dell’aumento dei morti sul lavoro. I profitti sono aumentati vertiginosamente: i manager ricevono stipendi astronomici, indipendentemente dai loro risultati. I ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri. Non sono i lavoratori e le lavoratrici a dover pagare la crisi, mentre le banche e la finanza speculativa che l’hanno causata vengono salvate. La logica sottostante ai piani di intervento sin qui approvati sono la privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite. La politica dei bassi salari e del lavoro precario è il cuore del problema. Quello che serve, in Europa, è un piano per la piena occupazione, attraverso la creazione di un fondo che sia finanziato attraverso la tassazione della speculazione finanziaria e della rendita. L’attuale politica di bassi salari, il dumping ambientale e sociale e l’estensione della precarietà, vanno fermati. L’aumento di salari e pensioni è non solo doveroso per ridistribuire la ricchezza, ma essenziale, per uscire dalla crisi e per un nuovo modello economico. Le sentenze della Corte Europea di Giustizia, cosi come la direttiva Bolkestein, costituiscono un attacco diretto ai contratti collettivi e ai diritti dei lavoratori. Noi ci battiamo, in Italia e in Europa, per difendere e rafforzare i contratti collettivi e i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Ci battiamo per l’abolizione della direttiva Bolkestein, della direttiva che estende l’orario di lavoro a oltre le 65 ore settimanali e di quella per l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne. I regolamenti sull’orario di lavoro devono ammettere un massimo di 40 ore settimanali. Chiediamo un salario minimo europeo per evitare il dumping sociale, che rappresenti almeno il 60% della media dei salari nazionali e che non sostituisca i contratti collettivi nazionali. Un reddito minimo per i disoccupati, così come una pensione minima vincolata al salario minimo e automaticamente legata all’aumento del costo della vita sono strumenti indispensabili per garantire una vita dignitosa a tutti e tutte. Per un’Europa della pace e del disarmo Il mondo che viviamo assiste ad una corsa al riarmo preoccupante e senza precedenti. Riarmo di tutti i tipi, incluso quello nucleare. In Italia, la legge 185 è sotto attacco e ci si appresta a spendere 14 miliardi di euro per 131 nuovi cacciabombardieri. Questa è l’eredità di dieci anni di guerre preventive e “umanitarie”, in cui si è applicata una politica dei due pesi e delle due misure e con cui si sono scientificamente scardinati i principi del diritto internazionale e il sistema della Nazioni Unite. La responsabilità di quanto accaduto non è solo di Bush e della stagione dei neoconservatori, ma anche della subalternità dell’Europa a questa politica di guerra. L’Europa deve diventare protagonista della ricostruzione di un nuovo equilibrio globale multipolare, attraverso il rilancio delle Nazioni Unite e dei principi della sua carta, per mettere fine alla lunga stagione dell’unilateralismo imperialistico degli USA, perseguito in maniera particolare dall’amministrazione Bush. Come dimostra anche la recente tragedia di Gaza, l’Europa legata alla Nato non è capace di giocare un ruolo autonomo nella politica internazionale, al contrario, rimane prigioniera e complice di guerre e aggressioni. Crediamo che invece l’Europa debba battersi per un processo globale di disarmo, liberando risorse a favore delle politiche sociali, oggi usate per gli armamenti e per finanziare le guerre. Le guerre e le occupazioni di Afghanistan ed Iraq devono terminare. Gli stati europei ancora coinvolti in questi paesi con le loro truppe devono ritirare i loro contingenti. Ci opponiamo ad ogni ipotesi di una nuova guerra nei confronti dell’Iran. l’Europa deve costruire una soluzione politicodiplomatica al contenzioso sul nucleare, lavorando per un Medio Oriente ed un Mediterraneo liberi da armi di distruzione di massa e da quelle nucleari. Vi è la necessità per l’Europa di rilanciare una cooperazione politico-economica che coinvolga l’intero Mediterraneo come area di sviluppo per il futuro prossimo. Così, attraverso un Mediterraneo, mare di pace e collaborazione, l’Europa deve aprire una relazione paritaria ed equa con i popoli africani in modo da dare una risposta positiva alle 12 legittime aspettative e ai bisogni dei popoli europei, mediterranei ed africani. Il Mediterraneo e l’Africa sono il futuro dell’Europa. L’Europa lavori per la soluzione politica e diplomatica dei conflitti, a partire da quello mediorientale, e si impegni per il pieno riconoscimento del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e ad avere il suo stato, come previsto dalle risoluzioni internazionali disattese da Israele da decenni, nei confini del ’67, e con Gerusalemme Est come sua capitale. Per porre fine all’occupazione militare dei territori palestinesi e all’embargo su Gaza, alla continua annessione di territori attraverso la costruzione del Muro dell’apartheid e l’espansione delle colonie, l’Europa deve sospendere gli accordi commerciali e di cooperazione militare con Israele. Inoltre, l’Europa non può che sostenere il diritto al ritorno sancito dalla risoluzione ONU 194 per i rifugiati palestinesi e lavorare per una sua applicazione. L’Europa deve impegnarsi per il diritto della popolazione Saharawi all’autodeterminazione sulla base delle esistenti Risoluzioni dell’ONU 1754 e 1783, cosi come alla soluzione politica della questione curda, chiedendo alla Turchia di porre fine alla repressione militare e di avviare un reale processo negoziale. Dopo la caduta dei due blocchi contrapposti Est-Ovest, la NATO è rimasta e si è sviluppata sempre di più come uno strumento funzionale delle amministrazioni statunitensi per le sue strategie egemoniche. L’allargamento della NATO a Est risponde a questa logica. AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 Un esempio sono gli accordi bilaterali tra gli Stati Uniti e diversi paesi europei, quale quello con l’Italia per la base militare statunitense di Vicenza, quello con la Polonia e la Repubblica Ceca per il dispie-gamento dei sistemi di difesa missilistici e quelli con la Bulgaria e la Romania sulle nuove basi. Siamo a fianco dei movimenti contro le nuove basi militari, a partire da Vicenza, e contro l’istallazione dello scudo missilistico nell’Est europeo. Crediamo che sia venuto il tempo per lo scioglimento della Nato. Ora più che mai, la sicurezza in Europa deve fondarsi sui principi della pace e della sicurezza, del disarmo e della impossibilità di effettuare attacchi offensivi, sulla soluzione politica e civile dei conflitti, all’interno del sistema OSCE, in conformità al diritto internazionale e ai principi di Nazioni Unite riformate e democratizzate. Per un’Europa dell’ambiente, della sovranità alimentare e delle generazioni future Per noi le questioni climatiche e sociali sono correlate. Per questo motivo l’attuale crisi finanziaria ed economica non può essere scissa dalle sfide poste dal cambiamento climatico e dall’esigenza di modificare il nostro modello produttivo e consumistico. La risposta alla crisi è anche in un nuovo intervento pubblico in economia finalizzato alla riconversione ecologica del sistema produttivo. La crisi ecologica determinata dal modello di sviluppo capitalistico rischia di minare il diritto delle generazioni future alla biodiversità e di poter usufruire delle risorse primarie e ambientali. Siamo a favore di uno sviluppo immediato e consistente di un nuovo trattato internazionale in accordo con il 4° Report prodotto dal Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico. Chiediamo una piena implementazione degli obblighi firmati e promessi dall’UE in tutti i settori relativi alle politiche climatiche ed energetiche. I seguenti compromessi costituiscono i punti minimi da applicare per poter realizzare gli impegni già assunti: • Ridurre le emissioni globali del 30% entro il 2020 sulla base dei livelli del 1990 e di almeno l’80% entro il 2050. • Aumentare l’utilizzo di energie rinnovabili di almeno il 25% entro 2020 • Ridurre il consumo totale di energia primaria del 25% entro il 2020 e aumentare annualmente l’efficienza energetica del 2% includendo un limite al consumo pro capite. • Introdurre l’obbligo di efficienza per l’industria e per i produttori di beni ad alto consumo di energia. • Limitare il quadro dei sussidi dell’UE conseguentemente al settore dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili. Siamo contro la riduzione del protocollo di Kyoto ad un sistema di mercato delle quote di emissione. Occorre invece, per arrivare alla stipula di Kyoto 2, una nuova strategia complessiva che consenta di ridurre le emissioni rendendo più equo e sobrio lo sviluppo. È necessario un nuovo paradigma fondato non sulla competizione, ma sulla cooperazione, a partire dal trasferimento tecnologico ai paesi in via di sviluppo, dal finanziamento delle 13 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 tecnologie pulite e dalle politiche di aggiustamento dei cambiamenti climatici. L’acqua è un diritto fondamentale dell’umanità, un bene universale e l’accesso ad essa deve essere garantito ed inteso come diritto umano e non come una merce. Siamo contro ogni ipotesi di privatizzazione o mercificazione. L’acqua deve essere un bene pubblico. La sovranità, la qualità e la sicurezza alimentari, la multifunzionalità dell’agricoltura devono essere considerati obiettivi strategici di un nuovo modello agricolo europeo finalizzato sempre di più alla tutela dei consumatori, alla valorizzazione dell’agricoltura biologica e dei prodotti tipici, al rifiuto degli OGM, alla salvaguardia della biodiversità, del territorio e del paesaggio, al contrasto del fenomeno di abbandono delle aree agricole e montane, al risparmio delle risorse idriche e al sostegno dello sviluppo rurale. Per un’Europa dei diritti, delle libertà e della laicità Uno dei grandi limiti della costruzione europea è stato il suo carattere “ademocratico”. Il sistema intergovernativo ha impedito qualsiasi partecipazione dal basso alle decisioni dell’Unione. Una separatezza che rischia di far crescere delusione e scetticismo. È necessaria un’Unione Europea nella quale tutte le sue istituzioni siano democraticamente legittimate. Deve essere garantita la partecipazione diretta nei processi decisionali europei, con referendum a livello nazionale ed europeo sulle questioni relative alle pietre miliari della stessa UE. Il Parlamento deve avere pieno potere legislativo. Le istituzioni europee (Consiglio, Commissione e Parlamento) devono essere aperte alla partecipazione delle società civili, con la possibilità di esercitare un controllo sulle loro decisioni. Vogliamo un rafforzamento dei diritti individuali e delle libertà così come dei diritti politici e sociali fondamentali di tutti coloro che vivono nell’UE. L’UE deve sottoscrivere la Convenzione Europea per la Protezione dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali. L’Unione Europea deve proteggere e promuovere i diritti di coloro che sono discriminati a causa della loro origine etnica, orientamento sessuale e identità di genere, di religione, ideologica, di diversa abilità, di età, rimuovendo tutti gli impedimenti per una piena uguaglianza, ad iniziare da quelli economici. Vogliamo un’Europa cosmopolita e aperta. Non vogliamo un’Europa fortezza. C’è bisogno di una politica comune europea sulle migrazioni e sui richiedenti asilo in accordo con la Convenzione di Ginevra. Le persone che fuggono dalle persecuzioni scatenate a causa delle loro convinzioni politiche, ideologiche, religiose o dell’ orientamento sessuale, devono trovare protezione e asilo in Europa. Chiediamo che le persecuzioni basate sul genere e l’orientamento sessuale costituiscano ragione per richiedere asilo e che vada garantita una protezione specifica per i bambini rifugiati. Per questo, rifiutiamo l’attuale sistema FRONTEX di controllo delle frontiere e chiediamo l’annullamento dei piani relativi alla realizzazione e implementa- zione della “Direttiva del Ritorno”. I centri di detenzione devono essere chiusi. La libera circolazione in Europa non può essere solo dei capitali, delle merci e dei servizi, ma anche e soprattutto delle persone, considerando le migrazioni – interne ed esterne – come un diritto umano inalienabile e illimitabile, per la ricerca di migliori o comunque diverse condizioni di vita, di lavoro e di sviluppo personale, professionale e sociale, lottando contro ogni tipo di sfruttamento, di dumping sociale o di “guerra tra poveri”. L’educazione è un diritto non mercificabile. Va difeso il carattere pubblico e laico della scuola e dell’università, così come quello della ricerca culturale e scientifica, svincolata dalle logiche mercantili. Per questo va contrastato il processo di Bologna, che produce una progressiva privatizzazione del settore della conoscenza. Sosteniamo i movimenti studenteschi e degli insegnanti che, in Italia come nel resto d’Europa, sono mobilitati per difendere il carattere pubblico dell’educazione. L’Unione Europea deve rispettare e garantire il principio di eguaglianza dei cittadini rispettando le loro differenze e diversità. Il diritto all’uguaglianza di genere nelle relazioni e alla libertà di orientamento sessuale, va garantito non solo in quanto diritto individuale, ma come una libertà, garantita e difesa dalle Istituzioni europee e dei singoli stati. Tutte le istituzioni pubbliche devono garantire la libertà delle donne e impegnarsi contro tutte le forme di patriarcato. Ogni donna, in ogni paese, deve poter decidere liberamente del proprio corpo, poter esercitare il diritto all’aborto, alla contraccezione, ad una maternità consapevole e all’accesso alle tecniche di riproduzione artificiale. Un’ Europa democratica e aperta è un’Europa che afferma la laicità come valore irrinunciabile delle sue istituzioni pubbliche. Un’altra Europa per un altro mondo Questa crisi è una crisi globale, non solo europea. L’Europa può dare un contributo alla ridefinizione dei rapporti politici ed economici globali, contribuendo alla costruzione di un modello di sviluppo alternativo di relazioni fra i popoli e gli stati, basato sulla giustizia, sulla solidarietà, e non sulla competizione. Mentre in Europa prevale la paura e le destre cavalcano la xenofobia e il razzismo, alimentando la guerra fra poveri, nel mondo e in special modo nel continente latinoamericano, assistiamo ad una primavera della sinistra e della democrazia, ad un’affermazione in tutto il continente, dal Brasile del presidente Lula al Venezuela di Chavez, passando per la Bolivia dell’indio Morales, al Paraguay del teologo della Liberazione Lugo e all’Ecuador dell’economista Correa, solo per fare pochi esempi, di forze progressiste, comuniste, cattoliche di base e anti liberiste, che costituiscono un laboratorio per un’uscita da sinistra dalla crisi. L’Europa sappia instaurare un rapporto nuovo con questo laboratorio. Un laboratorio possibile anche grazie all’esperienza cubana, che subisce dal 1961 un blocco immorale e illegittimo da parte degli Stati Uniti, condannato quasi all’unanimità per 17 volte dall’Assemblea Generale delle 14 Nazioni Unite e che, come già chiesto da tutti gli stati latinoamericani, con Lula in testa, va rimosso immediatamente. Ciò che accade in America latina dimostra che cambiare è possibile e che lo sviluppo della democrazia costituisce per tutti i paesi del subcontinente un valore irrinunciabile. È in quel continente, inoltre, che più è cresciuto il movimento altermondialista e dei forum sociali di cui siamo parte e di cui sosteniamo le rivendicazioni per una radicale riforma degli organismi sopranazionali, come l’FMI, la Banca Mondiale e l’OMC, che hanno imposto le riforme strutturali e le condizioni per l’espansione di un sistema economico globale che ha aumentato disuguaglianze fra stati e all’interno di questi. Ci batteremo affinché l’Europa cambi la natura e il merito degli accordi commerciali proposti con l’America latina come con il resto del mondo, specialmente l’Africa, in quanto ispirati a criteri neoliberali, asimmetrici ed iniqui di scambio e che produrranno solo altra ingiustizia e povertà. Oggi più che mai torna attuale la questione di un nuovo paradigma per le nostre società. Il capitalismo mostra tutti i suoi limiti: sociali, ambientali, democratici. La domanda sul cosa, come e perché produrre rimette a tema per il futuro la questione del socialismo del XXI secolo. AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 Questi sono i punti programmatici, le idee e i valori che ci uniscono. Un’unità sui contenuti che qualifica la nostra lista come l’unica proposta realmente di sinistra e di cambiamento in queste elezioni europee. Il voto a questa lista è un voto contro la destra italiana e alternativo al PD. Il voto a questa lista è un voto per un’altra Europa: dell’uguaglianza e del lavoro, della pace, della giustizia sociale ed ambientale, dei diritti e delle libertà. 15 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 UNA TAPPA ESSENZIALE PER TUTTI I COMUNISTI Intervista a Oliviero Diliberto Fabio Giovannini – [email protected] Il nostro incontro si svolge a pochi giorni dalla presentazione del nuovo simbolo dei comunisti per le elezioni europee. Quali sono secondo te le prime reazioni a questa lista finalmente unitaria? Durante le assemblee percepisci che nel corpo militante sia nostro sia di Rifondazione, e ancora di più tra gli elettori, vi è un grande entusiasmo. C’è entusiasmo perché è il primo fatto politico di ricongiungimento dopo tanti anni di divisioni e di rancori. Noi abbiamo perseguito questo obiettivo con molta tenacia, verrebbe da dire quasi con caparbietà. Però quando poi i risultati arrivano, ripagano della fatica e in qualche caso anche delle amarezze. L’accordo per le europee è già un grande risultato. Questo accelera la possibilità di una riunificazione dei due partiti? Per noi la lista comune era e rimane una prospettiva politica: si tratta cioè di una tappa, importantissima ma pur sempre una tappa, rispetto al progetto politico della riunificazione dei due partiti comunisti in Italia. Francamente non ha davvero nessun senso che i due partiti continuino a essere separati o a volte persino in lotta tra di loro. Dentro Rifondazione c’è un dibattito sul “dopo” ed evidentemente questo dibattito potrà avere uno sbocco positivo o meno sulla base dell’esito delle elezioni. Con il varo della lista comunista può crescere l’ottimismo sulla possibilità di superare il 4 per cento? Noi non dobbiamo avere paura, perché i comunisti sono molto al di sopra di quella percentuale e l’entusiasmo che ha suscitato il simbolo comune è un abbrivio che dobbiamo sfruttare. La motivazione per la quale abbiamo fatto la lista insieme non è certamente la soglia di sbarramento, perché noi abbiamo proposto la lista unitaria con Rifondazione addirittura nelle europee del 2004 e poi abbiamo ribadito l’esigenza di unità in ogni occasione, ben prima che si parlasse di soglia di sbarramento. Credo che lo stesso ragionamento vada fatto nei territori, è un punto politico di primaria importanza. Non verremmo capiti da nessuno se lo stesso giorno, votando europee e amministrative, noi andassimo alle europee con un simbolo comune e alle provinciali e comunali divisi. C’è obiettivamente l’esigenza di andare a liste comuni anche alle amministrative, nonostante anni difficili nei rapporti tra noi e Rifondazione, non in tutti i luoghi ma sicuramente in alcuni. Con quali argomenti faremmo la campagna elettorale delle amministrative per sostenere una lista di partito, mentre viceversa a livello europeo andiamo insieme ad altre forze? A me sembra un fatto di elementare buon senso, prima ancora che una considerazione politica. Vanno superate delle resistenze e su questo dobbiamo incalzare ovunque Rifondazione. Siamo stati noi del Pdci, quasi ovunque, ad aver proposto la lista insieme, abbiamo dato un’indicazione nazionale su questo: in qualche caso Rifondazione ha accettato, in altri no. Non c’è dubbio che ci sia grande rammarico nei territori dove Rifondazione non ha accettato, la cosa ovviamente ci dispiace. Ma non ne faremo motivo di polemica perché dobbiamo marciare uniti alle europee, il cui esito è essenziale proprio per il “dopo”. Quali saranno i temi politici principali su cui si dovrà fare la campagna elettorale dei comunisti? Sintetizzo con uno slogan: più stato, più pubblico, meno mercato, meno privato. In Europa si decidono ormai molte questioni che hanno una immediata ricaduta nella vita dei singoli stati. La crisi è una crisi globale, pesantissima. Coloro che l’hanno creata, e cioè la grande finanza internazionale, ne devono rispondere: altrimenti gli unici che pagheranno la crisi saranno i “soliti noti” e cioè i settori più deboli della popolazione. La disperazione è palpabile, si stanno perdendo milioni di posti di lavoro. E in alcuni paesi, come la Francia, manca persino il sistema di protezioni sociali che, se pure molto colpite e provate, comunque ancora esistono in Italia, penso alla cassa integrazione. Noi dobbiamo chiedere uno straordinario intervento pubblico nell’economia per salvare i posti di lavoro. Intervento pubblico che deve essere finanziato, secondo noi, con un’imposta patrimoniale progressiva così come per altro recita la Costituzione italiana. E pensando al futuro occorre un massiccio intervento nel campo della cultura, della scuola, dell’università, dell’innovazione. Perché il futuro del nostro paese e della vecchia Europa si giocherà proprio sulla capacità di essere competitivi nel senso migliore della parola e cioè non abbassando i salari ma offrendo prodotti migliori degli altri. Da questo punto di vista il governo italiano è disastroso. Siamo indietro ormai in tutte le classifiche mondiali, i migliori tra i paesi in via di sviluppo hanno investimenti in questi settori strategici infinitamente più incisivi dei nostri. Un paese come la Francia, che è governato dalla destra, ha varato alla fine del 2008 un progetto di investimento nel campo della cultura di un miliardo di euro, cosa per noi fantascientifica con il governo Berlusconi. Devo dire che pesano anche i limiti, i ritardi e le incomprensioni del governo Prodi che non ha investito quanto avrebbe dovuto proprio in una prospettiva di sviluppo per il futuro, non per l’immediato. Una classe dirigente degna di questo nome deve pensare al futuro, non solo al presente. Nell’immediato bisogna tamponare gli effetti della crisi, cioè la disoccupazione di massa, con un intervento pubblico nell’economia e nel lavoro. Quindi vanno modificate le cause della crisi attraverso interventi strutturali sul sistema finanziario, sulle banche, con la riacquisizione da parte del pubblico del controllo sul sistema creditizio. Ma guardando al dopodomani serve un investimento sull’intelligenza delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi. Sul piano dei rapporti internazionali, che ruolo vedi per l’Europa sulle questioni della pace in particolare nell’area mediterranea? L’Europa al momento, avrebbe detto Metternich, è una questione geografica. Nel senso che su tutte le grandi questioni ha fatto sentire poco o nulla la sua voce. Penso non solo al dramma palestinese, ma a tutta la politica mediterranea. Se si vogliono creare le condizioni per una nuova politica di pace e cooperazione, l’Europa deve far sentire al governo israeliano innanzitutto che non si seguiranno pedissequamente le sue decisioni. È del tutto evidente che il processo di pace al momento non c’è più. Soltanto con delle pressioni, e secondo noi con delle sanzioni, verso il governo israeliano si potrà arrivare a una soluzione pacifica ed equa. Ma l’Europa fino adesso non ha fatto quasi niente. Dunque abbiamo molto lavoro davanti a noi, per una campagna elettorale importante e sotto certi aspetti decisiva. E questa volta torniamo di fronte agli elettori con il simbolo della falce e martello... Dobbiamo valorizzare il simbolo della nostra lista unitaria, un simbolo antico e nuovo insieme. Ora il simbolo va fatto vivere, va veicolato: in tutte le manifestazioni, in tutti gli appuntamenti di partito bisogna propagandare questo nuovo simbolo che è di pari dignità tra i due partiti. Ne dobbiamo essere orgogliosi, perché è un risultato innanzitutto del Pdci che ci ha creduto. Possiamo dire che proprio la nostra tenacia consente oggi, dopo il disastro del 2008, di guardare con maggiore fiducia al nostro futuro, e quando dico nostro intendo il futuro di tutti i comunisti in Italia. 16 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 ELEZIONI EUROPEE 2009 DOVE e COME SI VOTA A differenza delle elezioni politiche o dei referendum, bisognerà votare nei seggi. Quindi a casa non si riceverà nulla. Sarà necessario recarsi nei Consolati di appartenenza con la tessera elettorale ed un documento di riconoscimento. Per sapere dove si trova il proprio seggio elettorale, allora, è sufficiente telefonare al proprio Consolato. Al seggio si riceverà una sola scheda. Il simbolo unitario dei comunisti – sul quale metterete una croce come qui sotto – è il seguente: Si possono inoltre, secondo la Circoscrizione per la quale si vota, indicare una o più preferenze (vedi la Circoscrizione di appartenenza nelle pagine successive). Fare attenzione : si ricorda che indicare più preferenze di quelle ammesse nella Circoscrizione comporta l’annullamento del voto, così come segnare più simboli sulla scheda. Nel caso di dubbi, chiarimenti, inconvenienti e disfunzioni, fare riferimento alle seguenti persone, secondo il Paese di residenza: BELGIO CECHIA FRANCIA GERMANIA GRECIA IRLANDA REGNO UNITO SPAGNA UNGHERIA Roberto Galtieri Massimo Recchioni Luca Di Mauro Franco Pugliese Ivan Surina Matia Boldrini Simone Rossi Nino Barbagallo Massimo Congiu 0477 – 258 765 606 – 436 166 06 – 7042 0739 0160 – 60 94 525 0693 – 650 8405 087 – 0563 293 0787 – 490 7882 649 – 823 367 06 – 20 973 9758 A causa di regolamenti interni elvetici e di accordi bilaterali con l’Italia – scandalosamente – NON è POSSIBILE istituire seggi elettorali sul territorio svizzero. Gli elettori residenti in Svizzera che vorranno esprimere il proprio voto dovranno recarsi a votare nel loro Comune italiano di iscrizione A.I.R.E. !!! 17 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 ELEZIONI EUROPEE 2009 PER CHI VOTARE CARTINA COLLEGIO 1 C I R C O S C R I Z I O N E I (Italia del nord-ovest) Votano per i candidati di questa circoscrizione tutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E di una delle seguenti regioni: PIEMONTE VALLE D’AOSTA LIGURIA LOMBARDIA L I S T A D E I C A N D I D A T I (si possono esprimere TRE preferenze scrivendo il cognome alla destra del simbolo) 1. Vittorio Agnoletto Europarlamentare uscente 6. Alessandro Bortot Valle d’Aosta - Figura storica sinistra valdostana 2. Giovanni Pagliarini 7. Patrizia Colosio Lombardia (MI) Lombardia (BS) - tra le fondatrici dell’ass. Pianeta Viola 3. Haidi Gaggio Giuliani 8. Marina Fiore Liguria (GE) Piemonte (NO) - Protagonista contro produzione caccia f35 4. Margherita Hack 9. Ombretta Fortunati Astrofisica Lombardia (MI) - Consigliera provinciale 5. Ciro Argentino 10. Rita Lavaggi Piemonte (TO) Liguria (GE) - Insegnante, Sinistra Operaio ThyssenKrupp europea, comitati ambientalisti CARTINA COLLEGIO 2 11. Aleandro Longhi Liguria (GE) - Ex parl DS e poi PdCI, pensionato FF.SS 12. Enrico Moriconi Piemonte - Consigliere regionale Uniti a Sinistra 13. Antonello Mulas Piemonte (TO) - Delegato Fiom Mirafiori 14. Paola Nicoli Lombardia (MI) Ricercatrice Cti 15. Esahaq Suad Omar Sheik Piemonte (TO) - Comunità somala, intermediatrice culturale 16. Dijana Pavlovic Lombardia - Attrice Rom 17. Rosangela Pesenti Insegnante di Storia e Letteratura 18. Daniela Polenghi Lombardia (CR) - Assessore comunale 19. Ermanno Testa CIDI nazionale C I R C O S C R I Z I O N E I I (Italia del nord-est) Votano per i candidati di questa circoscrizione tutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E di una delle seguenti regioni: VENETO TRENTINO-ALTO ADIGE FRIULI-VENEZIA GIULIA EMILIA-ROMAGNA L I S T A D E I C A N D I D A T I (si possono esprimere TRE preferenze scrivendo il cognome alla destra del simbolo) 1. Lidia Menapace Intellettuale, pacifista, femminista 2. Oliviero Diliberto Segretario nazionale PdCI 5. Annamaria Buroni Veneto (VE) - Pres. Ass. Contromobbing 6. Cinzia Colaprico Emilia Romagna (Fc) Operaia Zanussi di Forlì 3. Alberto Burgio 7. Pia Covre Docente Storia della Filosofia Friuli Venezia Giulia Contemp. Università di Bologna Attivista diritti civili 4. Francesca Andreose 8. Valerio Evangelisti 11. Sergio Minutillo Friuli Venezia Giulia (TS) Primario cardiologo Ospedale Trieste 9. Emilio Franzina 12. Sara Sbizzera Veneto (Vi) - Prof. Storia Contemp., Veneto (Vr) - Traduttrice movimento No Dal Molin 10. Igor Kocijancic 13. Loredana Visciglia Friuli Venezia Giulia (Ts) Consigliere Regionale Emilia Romagna - Scrittore 18 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 CARTINA COLLEGIO 3 C I R C O S C R I Z I O N E I I I (Italia centrale) Votano per i candidati di questa circoscrizione tutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E di una delle seguenti regioni: TOSCANA UMBRIA MARCHE LAZIO L I S T A D E I C A N D I D A T I (si possono esprimere TRE preferenze scrivendo il cognome alla destra del simbolo) 1. Oliviero Diliberto Segretario nazionale PdCI 2. Fabio Amato Responsabile Esteri PRC 3. Maria Rosaria Marella Umbria (PG) - Docente Università Perugia 4. Raniero La Valle Intellettuale 5. Andrea Cavola Lazio - Segretario nazionale SDL Alitalia 6. Rosi Rinaldi Lazio (RM) - Direzione nazionale PRC 7. Paula Beatriz Amadio Segretaria provinciale PRC Ascoli Piceno 8. Nicoletta Bracci Toscana - Bracciante agricola 9. Orfeo Goracci Umbria (PG) - Sindaco di Gubbio 10. Giuseppe Mascio Umbria (TR) - Assessore regionale Lavoro 11. Mario Michelangeli Lazio (FR) - Segretario regionale PdCI 12. Bassam Saleh Lazio (RM) - Comunità palestinese 13. Vincenzo Simoni Toscana (FI) - Ex segretario Unione Inquilini 14. Luigi Tamborrino Lazio (RM) - Centro sociale Rialto 19 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 CARTINA COLLEGIO 4 C I R C O S C R I Z I O N E I V (Italia meridionale) Votano per i candidati di questa circoscrizione tutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E di una delle seguenti regioni: ABRUZZO MOLISE CAMPANIA PUGLIA BASILICATA CALABRIA L I S T A D E I C A N D I D A T I (si possono esprimere TRE preferenze scrivendo il cognome alla destra del simbolo) 1. Vittorio Agnoletto Europarlamentare uscente 2. Massimo Villone Professore universitario, costituzionalista 3. Giusto Catania Europarlamentare uscente Puglia (BA) - Ambientalista 5. Ciccio Brigati Basilicata (MT) - Avvocato 7. Pellegrino Del Regno Campania (AV) 8. Sandro Fucito 16. Michelangelo Tripodi Abruzzo (TE) - Segretario regionale PdCI 12. Carmela Maglione Campania (NA) - Insegnante 13. Giuseppe Merico Puglia (LE) - Segretario regionale PdCI 14. Giovanni Pistoia Calabria (CS) - Letteratura per l’infanzia 15. Amedeo Rossi (detto Loredana) Campania (NA) - Transessuale, Cantieri Sociali 10. Domenico Loffredo Puglia (TA) - Operaio Ilva 11. Antonio Macera Campania (NA) - Consigliere comunale al Comune di Napoli 9. Lucio Libonati Sinistra europea 4. Laura Marchetti 6. Nicola Cataldo Campania (NA) - Operaio del circolo FIAT di Pomigliano CARTINA COLLEGIO 5 Calabria (RC) - Assessore regionale 17. Bernardo Tuccillo Campania (NA) - Ass. prov. al Lavoro a Napoli 18. Daniele Valletta Puglia (BR) - Consigliere comunale Brindisi C I R C O S C R I Z I O N E V (isole) Votano per i candidati di questa circoscrizione tutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E di una delle seguenti regioni: SARDEGNA SICILIA L I S T A D E I C A N D I D A T I (si possono esprimere TRE preferenze scrivendo il cognome alla destra del simbolo) 1. Margherita Hack Astrofisica 2. Giusto Catania Europarlamentare uscente 3. Anna Bunetto 4. Alessandro Corona Sardegna (Nu) - Sindaco di Atzara 5. Renata Governali Sicilia (Ct) - Pedagogista, scrittrice 6. Pierpaolo Montalto Sicilia (Ct) - Segretario Federazione Prc Catania 7. Lina Russo Sicilia (Sr) - Operatrice sanitaria Sardegna (Ca) - Ricercatrice, insegnante precaria 8. Laura Stochino Indipendenti 50% non iscritti ai partiti 29 donne su 68, pari al 42,64% 7 operai: Argentino, Mulas, Colaprico, Bracci, Brigati, Loffredo, Cavola Tra gli altri sono candidati: Agnoletto, Hack, Giuliani, Menapace, Burgio, Amato, Evangelisti, Pavlovic, La Valle, Villone, Catania, Goracci, Argentino, Colosio en M l i g A te L A RUBRICA IONE Z A R G I M TRA E RAZIONE E INTEG AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 PAROLA DI NOMADE: emigrare è bene, integrarsi è meglio di Ornella Carnevali Lasciatemi dare i numeri! Sono nata nel ’56, a 2 passi da Mantova. Da allora ho fatto 21 traslochi (tra grandi e piccoli), lavorato in più di 20 strutture diverse tra nazionali ed internazionali (e conto solo le più importanti) e cambiato completamente settore di lavoro 4 volte. Dopo i primi 18 anni passati a Mantova (nebbiosa, provinciale, ma accogliente), ne ho vissuti 9 a Padova (molto nebbiosa e poco accogliente), 6 a Roma (soleggiata, accogliente, ma presa a 3 colpi di 2 anni per volta, perché di più non avrei potuto ...), 6 in 3 diversi paesi dell’Africa Occidentale (anche lì a fasi alterne e a colpi di 2, ma per altre ragioni, e comunque molto soleggiati ed accoglienti), quasi 6 nella Germania dell’Est (non tanto accogliente ed ogni tanto soleggiata) e ormai 8 in quella dell’Ovest (molto poco accogliente ed anche meno soleggiata). Significa che ho vissuto fuori dall’Italia circa 20 anni e dalla mia città 35. Penso che qualunque sia la vostra esperienza ed opinione in materia, su 1 cosa possiamo essere d’accordo: sono dei numeri che già da soli lasciano immaginare facilmente cosa vuol dire essere 1 straniera, in patria e all’estero. Ho imparato a stare bene ovunque, ma è stato un lavoro lungo e a volte faticoso. Mi sento quella che sono: un’italiana, modello esportazione, con vari “accessori” (varie lingue, per esempio) che mi hanno consentito di cavarmela dignitosamente in qualunque situazione e di integrarmi “a modo mio” (ossia a livelli diversi) e a seconda delle circostanze (le mie e quelle del paese ospitante) ovunque sia stata. Ho avuto una famiglia regolare con 2 genitori e 2 sorelle. Col tempo me ne sono costruita 1 mia, molto mista. Così quando parlo della “mia famiglia”, da vari anni e a volte decenni, ci includo 2 genitori “adottivi” (se mi passate la parola), ossia 1 mamma turca e 1 papà calabrese, numerosi fratelli e sorelle che ho “adottato” strada facendo e tanti amici ed amiche. Più di recente si sono aggiunti 1 marito (straniero e a tempo determinato) ed 1 figlio (dal 1° momento a tempo indeterminato) e da qualche anno 1 compagno (in tutti i sensi e straniero). Nell’insieme copriamo 4 continenti, varie razze, numerose nazionalità, religioni, estrazioni sociali ecc. Con la maggioranza di loro ho una cosa in comune: siamo tutti emigrati, o stranieri se preferite, nel paese di residenza. Loro sono la famiglia con cui vivo all’estero e valgono quanto la mia famiglia di origine. Con loro io sono “a casa” e mi ritengo una persona fortunata, ma per dirla com’è stata: “regali, non me ne ha fatti nessuno”. I colori dell’emigrazione Da quando ho lasciato la mia città, ne ho viste e vissute di tutti i colori o quasi: come studentessa lavoratrice nel Veneto e nel Tirolo, come consulente in varie funzioni e settori in vari paesi, ma anche come donna attiva in alcuni campi considerati “maschili”, come moglie e nuora (in entrata e in uscita), come madre, ma soprattutto come persona. E questo “attraverso” l’uso di varie lingue, alcune imparate per passione (delle lingue, intendo) ed altre per dovere, tanti dialetti italiani, ma non solo, e naturalmente “attraverso” migliaia di risate, equivoci, gioie, paure, accelerate, frenate, attacchi, difese, complimenti, critiche, e quant’altro la vostra fantasia vi lascia immaginare. Insomma, un bel su e giù dalle montagne rocciose dell’emi- grazione e attraverso le sue tante, tantissime sfide. A volte troppe. Alcune perché ero straniera, altre perché ero 1 donna straniera, altre perché ero 1 donna, straniera e professionista, altre ancora perché ero 1 donna, straniera, professionista e ho sempre avuto anche un orientamento politico preciso. Quale? Ho fatto la mia tesina di filosofia per l’esame di maturità su Marx, visto attraverso la critica di Lukács e Korch. Da lì a Scienze Politiche il passo è stato breve. Alla fine dell’università, però, ho scelto di lavorare nella cooperazione internazionale e non in politica. Anche meno in un partito. La passione per la diversità allora era più forte dell’attrazione che qualunque partito potesse esercitare su di me. Oltre tutto ero stanca di Padova, dove il periodo universitario era stato corredato da attacchi di tutti i tipi, anche fisici, perché quelli di Scienze Politiche erano considerati tutti comunisti. Dal ’75 al ’78 andare a lezione, senza tornare con la testa presa a sassate, è stata più di una volta un’impresa. Detto questo, ero stanca anche dei compagni, o sedicenti tali. I più “attivi” a parole venivano in facoltà con le moto comprate dai loro genitori facoltosi (e conservatori) e facevano la rivoluzione “a ore”. Le moto le parcheggiavano fuori dal perimetro della facoltà, per darsi arie da “veri rivoluzionari”. In più, studiavano poco, miravano al voto “politico” e la carriera ce l’avevano già garantita … Io non avevo tempo per la rivoluzione “a ore”. Per me lo studio era l’unica occasione, e la migliore a quei tempi, per fare una vita diversa da quella dei miei genitori, com’era nella loro intenzione e come io ho sempre apprezzato che avessero deciso di offrirmi. Per integrare il loro sostegno, però, dopo le lezioni e durante le vacanze ho sempre lavorato. 21 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 Straniera in patria Così 1 volta sono finita in Val Gardena a fare la lavapiatti. Mi piaceva sapere che sul mio libretto di lavoro avrei avuto al primo posto “lavapiatti”. L’aveva fatto anche il nostro Presidente Pertini. Non che la Val Gardena come ambiente mi attirasse molto, perché la gente di lingua e cultura ladine era ancora più scortese e distante di quella veneta che conoscevo io. A quei tempi, però, i lavori estivi negli alberghi erano pagati bene e questo mi avrebbe risparmiato altri lavori durante l’anno scolastico. Era sufficiente per decidere di andare, anche se è stato un soggiorno breve e del tutto sgradevole. Non mi parlava nessuno e i lavori peggiori erano sempre miei. Una sera, per sostituire una collega malata, invece che in cucina ho lavorato al ristorante. Com’era normale per me dopo quella quarantena linguistica inaspettata e odiosa, ho scambiato un paio di parole con due clienti molto simpatici. Ebbene sì: erano italiani, di Napoli! Un regalo inatteso del destino! Il proprietario del ristorante mi ha guardato con aria feroce, ma davanti ai clienti non ha avuto il coraggio di dire niente. Quando il ristorante si è svuotato, però, non ha perso un minuto e con un accento italiano a forte intonazione tedesca, e un tono da direttore in pensione di un campo di lavoro nazista, mi ha detto che non tollerava il mio atteggiamento da “italiana, studentessa e comunista”. Senz’altro un buon osservatore, ma io non capivo qual era il suo problema. Così gli ho detto che avevo solo parlato con dei clienti cortesi. Lui ha specificato che non potevo parlare con i clienti. Io gli ho annunciato con un grande sorriso che mi licenziavo. Era stagione alta, in un’estate (del ‘75 credo) dal tempo infame che aveva tenuto lontano i clienti tutto il mese di luglio. Ora che era agosto ed erano finalmente arrivati, non potevo andare. “Non adesso”, ha provato a sottolineare con un tono che sfiorava una supplica. “Parto domani mattina con il primo e t n e pullman”, ho concluso AgilM io, sorridendo. E questo ho fatto. Molti di noi sono partiti per necessità, altri per curiosità del nuovo, del diverso. Qualunque sia stata la ragione per partire e la destinazione, però, l’importante è cercare di integrarsi, soprattutto se si soggiorna a lungo in un paese: vivere in un paese senza integrarsi nella cultura locale è come voler correre senza scarpe e lamentarsi dopo un po’ di avere le piaghe ai piedi. Straniera all’estero Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, come si dice. Ed oltre 33 anni. L’impegno della strada che ho scelto non è stato né minore né maggiore di quello di tanti altri, dentro e fuori da un partito, ma è stato diverso. Molto diverso. E questo stesso impegno offro oggi, attraverso il mio lavoro di consulente nel settore della diversità culturale, nel quale faccio confluire le mie esperienze, di professionista, madre, cittadina italiana all’estero, ecc. Dopo 13 anni e mezzo di Germania, però, ho deciso di offrire qualche spunto sulla base della mia esperienza di integrazione mista e multipla ad altri italiani, soprattutto a quelli meno inseriti di me nella società del loro paese estero di residenza. Il mio contributo ad “Aurora” è da leggere in questo senso. Vi parlerò dei vari passi che si fanno, o si dovrebbero fare, nelle varie fasi della vita all’estero per vivere bene, o al meglio possibile. Vi dirò anche come potete aiutare voi stessi, i vostri mariti (o mogli, a seconda della prospettiva), figli, amici e chi altro ha a che fare con voi e soffre non solo di nostalgia, ma si nutre e perciò prima o poi si ammala di isolamento, di sfiducia, di rifiuto della cultura ospitante. Quante facce ha la vita di un emigrato? Qual è l’alfabeto reale dell’emigrazione? Qual è quello dell’integrazione? Come vivono all’estero e come si integrano le nostre donne? E le ragazze? E i giovani? E gli anziani? E i bambini piccoli? Se non si integrano, perché? Come vanno i matrimoni misti? E i divorzi, misti? I temi e le domande sono tanti. Se non volete correre voi, fate almeno correre i vostri figli. Fate imparare ai vostri figli la lingua del posto e, oltre al vostro dialetto (se ne parlate uno e vi piace trasmetterlo ai vostri figli), fategli imparare l’italiano meglio che potete. La lingua italiana è come la 1a delle loro scarpe. I dialetti sono belli e utili, ma considerateli come calzini. Rendono la camminata o la corsa più gradevole, ma senza le scarpe giuste i vostri figli non riusciranno ad usarli a lungo senza perderli e non si salveranno dalle piaghe ai piedi. Dato che siete tutti genitori coscienti, non comprereste mai ai vostri figli 1 sola scarpa. Sapete bene che gliene serve un’altra. La 2a scarpa è la lingua locale. I vostri figli la devono imparare bene. Se lavoreranno nel paese ospitante, sarà ottima per “correre” bene e, se lo vogliono, andare “lontano”. Quando i vostri figli parlano bene la lingua del paese di residenza, possono avere migliori risultati a scuola, tanti amici diversi e soprattutto crescere senza sentirsi (ed essere trattati da) cittadini di 2a categoria. Se cambieranno paese, per tornare in Italia o andare altrove, gli sarà sempre utile. Non dimenticatelo mai: ogni lingua è uno strumento prezioso, come un violino. E anche se non tutti i violini possono essere degli “Stradivari”, quando sono costruiti e accordati come si deve, suonano tutti. So che questo dell’integrazione linguistica è ancora il problema più grosso delle comunità italiane all’estero e, logicamente, è anche la causa principale di un certo loro isolamento dalla società dei paesi ospitanti. Cominciate a risolvere questo problema nella vostra famiglia e cominciate oggi. Scegliete di integrarvi! 22 AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 ACQUA IN BOCCA: vi abbiamo venduto l’acqua a cura di Roberto Galtieri I l governo Berlusconi, senza dire niente a nessuno, ha dato il via alla privatizzazione dell’acqua pubblica. Il Parlamento ha votato l’articolo 23bis del decreto legge 112 del ministro Tremonti, che afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell’economia capitalistica. Così il governo Berlusconi ha sancito che in Italia l’acqua non sarà più un bene pubblico ma una merce, e quindi sarà gestita da multinazionali (le stesse che possiedono l’acqua minerale). Già a Latina, la Veolia (multinazionale che gestisce l’acqua locale) ha deciso di aumentare le bollette del 300%. Ai consumatori che protestano, Veolia manda le sue squadre di vigilantes armati e carabinieri per staccare i contatori. La privatizzazione dell’acqua che sta avvenendo a livello mondiale provocherà, nei prossimi anni, milioni di morti per sete nei paesi più poveri. L’uomo è fatto per il 65% di acqua, ed è questo che il governo italiano sta mettendo in vendita. L’acqua che sgorga dalla terra non è una merce, è un diritto fondamentale umano e nessuno può appropriarsene per trarne illecito profitto. L’acqua è l’oro bianco per cui si combatteranno le prossime guerre. Guerre che saranno dirette dalle multinazionali alle quali oggi il governo, preoccupato per i grembiulini, sta vendendo il 65% del nostro corpo. Acqua in bocca. Per il diritto all’acqua per tutti Per una gestione pubblica e partecipata Ancora oggi 1,5 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile e 2,6 miliardi a servizi igienico-sanitarie di base. Ogni anno 8 milioni di persone muoiono per le malattie connesse all’utilizzo di acqua stagnante. Ogni giorno 34.000 persone, in prevalenza donne e bambini, muoiono per il mancato accesso all’acqua potabile. Siamo di fronte a un “silenzioso genocidio” che si perpetua nell’indifferenza della comunità internazionale. Una situazione intollerabile causata da una politica mondiale imposta dalle imprese Multinazionali e da precise responsabilità e scarsa volontà politica dei Governi. E’ tempo di ribellarsi a questi scandalosa indifferenza! L’accesso all’acqua costituisce un elemento costitutivo della vita, rappresenta la “sacralità della vita” di ogni essere vivente ed è quindi necessario pervenire al più presto al riconoscimento dell’acqua come un diritto umano, inalienabile. L’accesso all’acqua sta diventando infatti una questione fondamentale per l’ambiente, per l’economia, per la pacifica convivenza delle popolazioni, in Italia come nella maggior parte dei paesi mondo e pertanto l’acqua deve essere considerata come un bene comune, un patrimonio dell’umanità. Sono questi gli obiettivi ed il campo di azione del MANIFESTO PER UN CONTRATTO MONDIALE sull’Acqua che at- traverso l’azione del Comitato internazionale e dei vari Comitati nazionali (Belgio, Canada, Italia, Francia, Svizzera, ecc.) ed il sostegno di diverse Associazioni e Movimenti attivi nei tre continenti, si propone di riuscire ad imporre alla comunità internazionale ed ai singoli Governi, il riconoscimento dell’acqua come un “diritto umano inalienabile”, come un “bene comune”, contrastando nel contempo i processi di privatizzazione e di mercificazione della risorsa e della sua gestione. Questo obiettivo è stato lanciato dalla Dichiarazione di Roma, sottoscritta dai sindaci di diverse città italiane in Campidoglio nel dicembre del 2003 ed è stato successivamente condiviso ed inserito nelle Dichiarazioni conclusive dei vari Forum Mondiali sull’Acqua: di Porto Allegre (2001-2002), New Delhi(2004), Manaus (2005), Bamakò e Caracas (2006) e dalle proposte dei Forum Alternativi Mondiali di Firenze (marzo 2003), di Ginevra (marzo 2005) e da ultimo nel Forum di Città del Messico (marzo 2006). Questa richiesta, condivisa a livello mondiale da tutti i Movimenti impegnati a difesa dell’Acqua, è stata accolta da alcune recenti risoluzioni del Parlamento Europeo, ma non è stata finora minimante presa in considerazione e sancita dagli Stati e dalle Comunità internazionale. La Comunità internazionale che ha approvato la dichiarazione finale del IV° Forum Mondiale dell’acqua (Città del Messico 2006) si è rifiutata di riconoscere l’accesso all’acqua come diritto umano nonostante una precisa richiesta formulata dal Parlamento Riccardo Petrella, coordinatore mondiale della campagna europeo, cioè dai rappresentanti per l’acqua “bene comune”. di 25 paesi e di 450 milioni di cittadini. In sintesi, la Campagna “I portatori d’acqua” vuole essere una modalità per mettere in rete, rendere concrete e dare visibilità politica a tutte le iniziative locali di partecipazione dei cittadini e delle comunità locali che sono disponibili a sostenere ed impegnarsi per il riconoscimento dell’acqua come diritto umano, e soprattutto di mobilitazione di risorse e di impegno da parte dei Movimenti ed ONG (Organizzazioni non governative). per saperne di pù: http://www.contrattoacqua.it/public/journal/ AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009 23 Attività DEI COMUNISTI IN EUROPA 19 Aprile a e Colonia: or di 19.00, cenacon solidarietà i in at i terremot Ciral Abruzzo, Bacolo PRC, 11. yenstrasse 19 Aprile è stata costituita la sezione comune Prc-Pdci della Vallonia-Hainaut (Belgio). 19 Aprile: a Colonia, ore 19.00, cena di solidarietà con i terremotati dell’Abruzzo, al Circolo PRC, Bayenstrasse 11. 25 Aprile: con l’ANPI a Bruxelles (Istituto Italiano di Cultura). 25 Aprile: con l’ANPI a Praga (Istituto Italiano di Cultura) con l’Ambasciatore, il Sacrario di Terezín e l’Unione Ceca Combattenti per la Libertà”. Proiezione di “Roma città aperta”. 25 Aprile: con l’ANPI e l’Associazione 25 Aprile a Londra. Proiezione di Senza tregua” dei partigiani Giovanni Pesce e Nori Brambilla. 1° Maggio: in piazza con uno stand unitario PRC-PdCI in Place Rouppe a Bruxelles, con il sindacato FGTB; nel pomeriggio dalle 14.00 presso l’Espace Marx, insieme ad associazioni e compagni belgi e greci, iniziativa politica, culturale e sociale su cittadinanza europea, circolazione dei lavoratori e migrazioni. 1° Maggio: in corteo a Colonia, dalla sede della DGB (ore 10.00) fino a piazza Heumarkt. A seguire, serata culturale di lotta con musica dal vivo, mostra, video, cucina sociale, dibattiti. Ore 16-22 a Bayernstrasse 11. 1° Maggio: in piazza a Praga con il KSČM. Appuntamento dalle 9.15 alla Fontana della Fiera di Praga-Holešovice. 9 Maggio: a Bruxelles, Espace Marx dalle 14.00, nuova iniziativa politico-culturale con associazioni e compagni belgi, greci e spagnoli sulle elezioni europee “Per quale Europa vogliamo votare?”. Manifestazioni della Confederazione Europea dei Sindacati (CES-ETUC) Combattere la crisi, priorità ai cittadini. Non paghino i lavoratori! 14 Maggio: a Madrid, 15 a Bruxelles, 16 a Berlino e Praga. Per informazioni chiamare i compagni responsabili dei rispettivi Paesi. 16 Maggio: a Bruxelles, congresso sezione belga PdCI e concretizzazione del protocollo d’intesa PRC-PdCI. 22 Maggio: a Budapest, ore 19.00, inaugurazione della sezione comune PRC-PdCI – Laboratorio Gramsci – Aurora, presso la sede del Munkáspárt 2006, Nefelejcs utca 8 ang. Garay utca. 23 Maggio: a Londra, ore 14-17, tavola rotonda “Risocializzare l’Europa: la libera circolazione dei servizi e i suoi malcontenti. Analisi, critiche e proposte di riforma”. 30 Maggio: festa dell’unità comunista a Turnhout (Belgio). Per salvare l’Italia e rinnovare l’Europa VOTA COMUNISTA www.pdci-europa.org AURORA: giornale per l’unità comunista Direttore: Massimo Congiu (HU) Direttore responsabile: Roberto Galtieri (B) Comitato di redazione: Vito Bongiorno (D), Claudia Cimini (CZ), Perla Conoscenza (B), Luca Di Mauro (F), Mario Gabrielli Cossellu (B), Massimo Recchioni (CZ), Simone Rossi (UK), Mariarosaria Sciglitano (HU), Massimo Tuena (CH) Ha collaborato a questo numero: Ornella Carnevali (D) Grafica e impaginazione: Lorenza Faes Tel. +36 20 973 97 58 – [email protected] Costi: questo numero 1,00 e – arretrati 1,50 e