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numero
Anno II - maggio 2009
AURORA
Editoriale
di Massimo Congiu
“Non si tratta di un problema di numero. Grande o piccola questa
manifestazione del 1° Maggio è l’affermazione del principio di solidarietà e di unione degli operai di tutti i paesi ed è questo che farà del
1° Maggio una giornata unica nella storia del mondo”
(dall’appello ai lavoratori della Gran Bretagna della Federazione nazionale
delle organizzazioni operaie, 1° Maggio 1890)
C
i apprestiamo a trascorrere questo primo maggio con l’intenzione di ribadire, nel
modo più fermo e deciso, la necessità di rivalutare il lavoro come elemento fondante di ogni comunità progredita, strumento di crescita umana e personale e mezzo di
integrazione sociale. Questo, almeno, in un mondo che voglia dirsi civile e rispettoso dei
diritti fondamentali dell’uomo. Oggi assistiamo, invece, a un’evidente perdita di tutte
queste valenze e all’impoverimento del concetto di lavoro che risulta progressivamente
privato dei suoi significati più nobili, sociali e culturali. Si perde la coscienza del proprio
essere lavoratore, partecipe di un disegno collettivo e titolare di un bagaglio che comprende
non solo doveri ma anche diritti che vanno
considerati sacrosanti. Purtroppo il progresso
tecnologico avvenuto a tappe sostenute negli
ultimi decenni non è stato accompagnato da
un altrettanto visibile progresso civile e culturale
capace di valorizzare il lavoro come attività non
solo individuale ma anche sociale. Il lavoro
non serve solo a produrre beni materiali, ma
anche valori sui quali devono basarsi le nostre
società. Invece vediamo che ieri come oggi,
spesse volte, capitani d’industria e quanti
stanno ai vertici di questo sistema neoliberista,
cercano di dividere i lavoratori e di provocare
vere e proprie guerre tra poveri per sfruttare a
loro piacimento la manodopera e controllare il
mercato del lavoro. Vogliono farci credere che
questi rapporti di produzione siano il sistema
migliore per far funzionare l’economia. Noi
invece sappiamo che non è così e guardiamo con disapprovazione certi investimenti
itineranti di multinazionali e affini nei paesi in via di sviluppo, il sistema “mordi e fuggi”
delle delocalizzazioni. Il mondo del lavoro è cambiato rispetto a un tempo, è vero, ed è
vero che occorre individuare nuove categorie di base per un’analisi rinnovata dei rapporti
socio-economici. Questo lo sappiamo e vediamo chiaramente non più solo lo sfruttamento
del lavoro in fabbrica ma anche quello intellettuale, la realtà alienante e sottopagata dei
call center, il deterioramento del settore scuola che da noi risulta dequalificato dalle ricette
di Tremonti firmate da un’inconsistente Gelmini. Il mondo del lavoro è cambiato ma si
continua a morire nelle fabbriche e nei cantieri, i profitti dei manager crescono e quelli
dei salariati diminuiscono. Non possono continuare a dirci che questo sistema funziona,
almeno non nello stesso modo per tutti. Ci avviciniamo anche alle elezioni per il rinnovo
del Parlamento europeo e con sempre maggior forza e convinzione affermiamo di volere
un’Europa del lavoro e dei diritti collettivi, non dei profitti per pochi.
Buon primo maggio!
Periodico di informazione
e cultura italiana per gli italiani
residenti all’estero
www.aurorainrete.org
Giornale
per l’unità comunista
I N Q U E S T O N U M E R O ...
LETTERA A
NAPOLITANO
p. 2
Speciale
Primo maggio:
L’Elzeviro
LA RACCOMANDAZIONE
p. 3
a cura di Mariarosaria Sciglitano
STORIA DEL 1° MAGGIO
a cura della cGIL
AL
NILE
FEMMI marzo
pp. 6-7
DONNE
E LAVORO
lo 8
no n so
di claudia cimini
pp. 8-9
Elezioni
Europee:
PROGRAMMA
DEI COMUNISTI
COME VOTARE
PER CHI VOTARE
... E D
p. 10
p. 16
p. 17
ALTRO ANCORA
AURORA
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AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
Circolo PRC/SE “Enrico
Berlinguer” Bruxelles-Belgio
0498-571-213
Sezione PdCI Belgio
0477-258-765
[email protected]
[email protected]
Rue Rouppe 4, 1000 Bruxelles
Bruxelles, 16 aprile 2009
Al Presidente della Repubblica Italiana
Giorgio Napolitano
Oggetto: perché essere ancora cittadini italiani?
Presidente,
molti connazionali iscritti e non ai nostri Partiti, e noi stessi, ci poniamo la domanda se valga ancora la pena
essere cittadini italiani o, piuttosto, prendere la nazionalità del Paese dove lavoriamo e viviamo.
Come cittadini abbiamo sempre vissuto, da parte del nostro Stato, scarsa considerazione e vessazioni ma
in occasione delle elezioni europee riteniamo sia stato raggiunto il fondo del disprezzo verso il cittadino. Da
cui la domanda di cui in oggetto.
In occasione delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, il Governo belga non ha rinnovato la possibilità (come invece fece 5 anni or sono) di aprire seggi elettorali in locali pubblici del Paese, per
cui le votazioni potranno avvenire solo nelle sedi diplomatiche italiane.
Con la drastica e disastrosa scelta (da parte di tutti i governi, sia di centro destra che di centro sinistra)
della chiusura di molti Consolati, la maggioranza dei cittadini italiani non residente nella città dove è rimasto
il Consolato o l’ufficio consolare italiano, dovrà percorrere molti chilometri per poter esprimere il diritto/dovere
di cittadino elettore.
Esempio, la circoscrizione consolare di Bruxelles. I connazionali che abitano nelle Fiandre dovranno percorrere 200 km tra andata e ritorno per potersi recare a Bruxelles per votare.
Si sarebbero potute proporre iniziative atte a facilitare il voto quali, per esempio, il rimborso del treno;
seggi volanti allestiti su bus o caravan (se targati CD è come fossero sedi diplomatiche); nuovo negoziato con
il governo belga. In ogni caso si sarebbero dovute dare ai connazionali informazioni dettagliate. Purtroppo non
è stato fatto nulla di tutto ciò.
Nulla è stato dunque né previsto né attivato per facilitare la partecipazione al voto per questi cittadini.
Anzi, nelle risposte di chi peraltro è chiamato a svolgere la preparazione dei seggi senza mezzi, rispetto alle
obiettive difficoltà di partecipazione al voto, pare sentire il vecchio, odioso motto: “me ne frego”.
Siamo confrontati, palesemente, a disparità di trattamento tra cittadini. Non ritiene Ella, guardiano della
Costituzione, che si tratti di disposizioni incostituzionali proprio in quanto discriminano e rendono diseguali
i cittadini italiani ?
Del resto, quando si fa economia sulla democrazia non è mai un buon segno.
Se questo è quanto ci offre il nostro Paese non sappiamo più cosa rispondere alla domanda dei nostri connazionali: ha ancora un senso essere ancora italiani ? Perché anche noi iniziamo a porgerci questo interrogativo.
Può Ella rispondere a questa domanda ?
Grazie della Sua cortese attenzione,
Distinti saluti
Roberto Galtieri per il PdCI-Belgio – Mario Gabrielli Cossellu per il PRC/SE-Belgio
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AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
L’Elzeviro
LA RACCOMANDAZIONE
Il lavoro non è più un diritto
ma il premio di un gioco dell’oca
pluriennale
a cura di Mariarosaria Sciglitano
In questo racconto, uscito su “Il Mese” di Rassegna Sindacale nel giugno del 2005, Flavio Santi, critico, poeta, narratore, sottolinea il fatto che la raccomandazione non è solo un iter obbligato per tanti
lavori, ma può assumere la fisionomia dell’alienazione e dell’incubo. Ne pubblichiamo un brano.
A
veva ragione mio padre: “Cercati una
raccomandazione”. Cui si aggiungeva
subito dopo mia madre, inesorabile come un
rullo compressore: “Ha ragione tuo padre”, e
ripeteva il concetto: “Cercati una raccomandazione”. E insieme facevano il coro dell’Antoniano: “Cercati una raccomandazione”. Sul
momento non ci feci particolare caso, pensavo
fosse più che altro l’attaccamento, in un certo
senso affettuoso, a un vecchio stile di vita ormai
in via di estinzione. Pensavo alla raccomandazione come a una specie di fossile.
Una volta chiarito l’equivoco che non ero
adatto allo studio (avevo provato due anni di
legge, due di economia e commercio e per
sfizio uno di filosofia), cominciai a cercare un
lavoro. Che sofferenza. Il lavoro. Angoscia.
Soffoco. Le valutazioni sull’idoneità o meno a
un lavoro le facevo in maniera molto vaga, non
avendo mai lavorato. Non avendo particolari
ambizioni pensavo che qualsiasi lavoro mi
sarebbe andato bene. Illuso. Fosse dipeso
da me, qualcosa avrei rimediato, ma scoprii
che sulla faccia della terra si aggiravano più
schizzinosi del previsto. “Lei non è adatto…”, “Non mi sembra la persona giusta…”,
“Veramente avevo in mente un altro tipo di
magazziniere…” (ovviamente a magazziniere
va sostituito di volta in volta il mestiere per
cui mi presentavo, commesso, aiutogiardiniere, guardia notturna, custode, fino anche
a becchino, e quella volta fu proprio ridicolo,
“Ah, lei non sembra proprio adatto… vedo che
non ha il ginocchio dello scavatore, requisito
minimo per un buon necroforo, mi spiace…”):
insomma il vero problema sembravo essere
io, inadatto secondo loro a qualsiasi tipo di
mansione. Poi capii. Non erano schizzinosi, né
io ero inadatto, semplicemente “La serietà è
un optional, e non dei più richiesti, credimi”,
come disse un giorno mio cugino Silvano. Io
pensavo ci volesse almeno un po’ di serietà.
“Ma allora che ci vuole?”, chiesi brutalmente, esasperato da mesi di colloqui inutili e
umilianti. “Se ti trovi una raccomandazione,
quella sì che è seria, ti sistema per sempre…”
.Lui era stato rigorosamente sistemato con
una raccomandazione, mi spiegò. Gli occhi
gli brillavano grati come la spia rossa di una
vidimatrice ferroviaria guasta. “Ma se anche
i preti hanno le raccomandazioni…”, rincarò
la dose il cuginastro, “sennò come fanno a fare
carriera? Perché appunto certi rimangono tutta
la vita in una parrocchia sfigata di campagna
mentre altri diventano vescovi, arcivescovi,
nunzi apostolici e quant’altro?”. E già, non ci
avevo mai pensato, però era vero: se anche i
preti, che dovrebbero essere i custodi dell’onestà, hanno bisogno di raccomandazioni per gli
scatti di carriera, allora vuol dire che proprio
non se ne può fare a meno. Anche i preti!
Fino a quel giorno ero vissuto nella più
completa ignoranza, poi arrivò quella rivelazione, e tutto divenne più chiaro: ero circondato da
raccomandati, dal mio ex bidello fino al nuovo
direttore del consorzio agrario dove lavorava
mio padre. E anche mio padre, sì, era frutto di
questo sistema. Alla faccia del fossile…
Di colpo aprii gli occhi anche su altre
vicende, ad esempio quella di Mirko, che mi
apparve come una specie di esperimento vivente. È l’unico di giurisprudenza con cui sono
rimasto in contatto. Laureato subito, in quattro
anni, col botto, 110 e lode, e non è uno che
dici, ok studia un casino, è uno intelligente,
che capisce, connette, informato, simpatico.
Studia da anni per superare qualcosa: l’esame
d’avvocato, una preselezione, un qualsiasi
concorso pubblico, anche di quelli dove è
richiesto solo il diploma (è sceso a tanto dalla
disperazione). Figlio della media borghesia,
quella però non intrallazzona, suo padre
assicuratore, sua madre maestra, neanche
mezzo cugino di peso, non vince mai niente.
Per forza, mi dico adesso illuminato, l’Italia
è fatta di corporazioni, maestranze, botteghe,
ognuna gelosa del suo. Questo fin dal Medioevo, e allora forse poteva anche passare,
era l’epoca buia, così la chiamano, no?, ma
dopo? Ed è fatta raccomandazioni l’Italia.
Non crescerà mai questo paese, in Germania
non è così, in Francia neppure e figuriamoci
in Inghilterra….
Qua non vai da nessuna parte senza
quella, la raccomandazione, la segnalazione,
il buffetto, la spinta. E Mirko studia. Senza
sapere che non basta. Un giorno o l’altra glielo
devo dire. Anche lui deve aprire gli occhi, ma
come sempre ci vuole qualcuno dall’esterno
che ti metta sulla strada giusta, a fare di testa
propria nove volte su dieci si sbaglia di brutto.
Comunque adesso avevo le idee più chiare, se
non altro sapevo qual era il passo successivo
da fare. Trovare una raccomandazione però è
più difficile che trovare un lavoro. Di solito
si procede con una soluzione intermedia, per
cominciare: trovare una raccomandazione
alla raccomandazione. E ancora una volta
entrarono in gioco i preti, o meglio mio cugino che ebbe la gentilezza di parlarne con
don Gaspare, che era poi il tipo che l’aveva
sistemato. Di colpo mi sembrò di essere precipitato nell’Italia rurale di mio padre, quella
degli anni Cinquanta, dove i preti, come mi
raccontava, erano i padroni assoluti e incontrastati dell’economia locale, consigliavano
chi votare (rigorosamente DC), combinavano
le unioni, facevano arrivare i finanziamenti,
muovevano tutto il muovibile.
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RUBRICA
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CONOSCENZA E RETI
NEL XXI SECOLO:
da strumenti di emancipazione
e cooperazione a capitale
e mezzi di produzione
Ieri: le battaglie delle sinistre per l’istruzione e per una scuola publica e gratuita,
oggi: le battaglie per un accesso libero e gratuito alle reti e alla conoscenza
di Perla Conoscenza
Istruzione e scuola pubblica nella società
capitalista industriale del XX secolo
per lo sviluppo capitalista. Nel “capitalismo cognitivo” la produzione
si sposta verso una produzione immateriale, e quindi formazione
continua, maggiore educazione e conoscenze sono necessarie per un
La mancanza di istruzione, di conoscenza, e scarse capacità di
lavoro dignitoso e per l’emancipazione sociale.
analisi sono i primi indicatori delle differenze di classe.
Questa necessità riguarda la fascia limitata della popolazione con
Nelle società capitaliste industriali, a seguito dello sviluppo scienimpieghi direttivi, mentre gran parte dei nuovi impieghi sono imtifico e tecnologico, si presentò la necessità di disporre di una forza
pieghi precari che necessitano competenze e istruzione limitata. Al
lavoro istruita, capace di leggere e scrivere, dotata di una cultura di
contempo si assiste ad una riduzione della forza lavoro tradizionale
base e con capacità tecniche e professionali. A fronte di questa necesimpiegata nell’agricoltura e nell’industria.
sità, con la rivoluzione francese che si afferma il concetto della scuola
Questi due fattori portano al degrado della istruzione pubblica
primaria pubblica, obbligatoria e gratuita per tutti i “cittadini” (non
per
tutti i cittadini, non più necessaria, sempre più limitata e scapiù plebe). Scuola pubblica e gratuita, anche se limitata all’istruzione
dente,
e alla istruzione privata ad alto livello come discriminante di
di base e alle scuole elementari.
classe.
L’istruzione fornisce gli strumenti di base necessari al lavoro
Una delle tante contraddizioni del capitalismo. Infatti, grazie al
(“know how”), ma al contempo per poter comprendere la realtà
progesso
tecnologico, la tecnologia permetterebbe a chiunque (una
(“know what”), primo passo per una emancipazione e un affrancavolta
alfabetizzato),
l’accesso alla conoscenza (risorsa illimitata e infimento.
nitamente riproducibile). Ognuno potrebbe contribuire alla creazioLa battaglia per assicurare un’alfabetizzazione culturale per tutta
ne cooperativa di nuova conoscenza comune.
la popolazione tramite la realizzazione di una scuola di base pubblica
Oggi, grazie alle reti, la creazione collettiva
e gratuita ha perciò storicamente contraddidi
conoscenza,
servizi, idee, saperi, conoscenza,
stinto i governi di sinistra.
LODE
DELL’IMPARARE
off
re
una
alternativa
al modello capitalista del
In Italia, nel 1877, durante il governo delImpara
la
cosa
più
semplice!
XXI
secolo
dove
la
produzione
(anche immala Sinistra storica, furono istituiti tre anni di
Per quelli il cui tempo è venuto
teriale)
è
controllata
dalle
grosse
imprese o da
obbligo scolastico e si rese gratuita e obbligatonon è mai troppo tardi!
oligopoli.
Pensiamo
solo
a
Wikipedia,
la magria l’istruzione elementare. Le sanzioni per chi
impara l’abbici: non basta è vero,
giore
enciclopedia
del
mondo,
multilingue
lima imparalo! Non avvilirti!
disattendeva l’obbligo scolastico, erano foncomincia!
Devi
sapere
tutto!
bera,
gratuita
e
costruita
in
modo
distribuito
e
damentali per spezzare la divisione di classe,
Tocca a te prendere il potere.
collettivo,
che
ha
costretto
alla
chiusura
Encarpoiche’ era uso che i meno abbienti, invece di
Impara, uomo all’ospizio!
ta, l’enciclopedia di Microsoft.
inviare i figli a scuola, li inviassero “a bottega”.
Impara, uomo in prigione!
Nel dopoguerra, grazie alle battaglie dei
Impara, donna in cucina!
Le infrastrutture: reti di
comunisti, si inserì nella Costituzione (art.34),
Impara sessantenne!
Tocca a te prendere il potere!
la gratuità dell’istruzione inferiore e l’obbligo
comunicazione elettronica,
Frequenta la scuola senzatetto!
di frequenza scolastica di otto anni. Obbligo
internet
Procurati sapere tu che hai freddo!
che venne attuato solo nel 1963 con l’istituzioAffamato impugna il libro: è un arma.
La rete di comunicazione Internet nacque
ne della scuola media unica, con i primi goverTocca a te prendere il potere.
come
strumento di scambio e cooperazione
ni del centro-sinistra.
compagno, non temere di chiedere!
fra ricercatori. Grazie alle sue caratteristiche
Non dar credito a nulla,
progettuali di rete aperta e finalizzata alla coocontrolla tu stesso!
La conoscenza nel
perazione e alla condivisione di conoscenze, si
Quello che non sai di tua scienza
capitalismo cognitivo del
in realtà non lo sai.
diffuse rapidamente fra i cittadini e nel mondo
XXI secolo
Verifica il conto:
della produzione.
tocca a te pagarlo.
La rete, nata libera e aperta e che ha perOggi con la transizione dal capitalismo inPoni il dito su ogni voce,
messo la condivisione delle informazioni e dei
dustriale ad un capitalismo cognitivo, si modichiedi cosa significa
Tocca a te prendere il potere.
saperi, deve essere posta sotto controllo. Lo
ficano e si estendono le conoscenze necessarie
BERTOLT BRECHT
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
COSTITUZIONE ITALIANA – Art. 34
La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno
otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere
i gradi più alti degli studi.
La repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio,
assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere
attribuite per concorso.
scambio di qualcosa di immateriale e infinitamente riproducibile è
considerato un furto, da combattere con ogni mezzo. Prima che si affermi l’uso creativo e collettivo delle reti (tecnologiche e sociali), prima che le pratiche di condivisione si diffondano, prima che le nuove
generazioni ne apprendano le potenzialità, prima che la sinistra tutta
apprenda le potenzialità di emancipazione delle reti sociali in rete.
A tal fine si insinua la paura, un artificiale bisogno di “sicurezza”
e di controllo. Al fine di giustificare l’esigenza di un controllo sia
dell’infrastruttura di rete, sia dei contenuti che circolano, l’abbandono di concetti quali privacy e “net neutrality”.
Le battaglie e il modello di società
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quotidiano senza averlo acquistato, o a chi ha prestato un libro, poiche’ ha impedito al mercato di vendere una seconda copia. In Italia si
propone l’oscuramento entro 48 ore dei siti internet o blog nei quali
emerge l’ipotesi che qualcuno abbia istigato a delinquere le leggi,
oscuramento che verrà sospeso dopo un indagine o un processo.
Occorre contrastare radicalmente questi disegni, diffondere la
consapevolezza che:
– la conoscenza è un bene comune e non una merce,
– accesso all’istruzione e alla conoscenza sono diritti fondamentali,
in quanto mezzo di produzione principe della società del XXI
secolo, una discriminazione nell’accesso al sapere e alle reti si traduce in discriminazione di classe
– istruzione e accesso alla conoscenza e alle reti sono diritti per tutti
(un “servizio universale”), come lo è l’istruzione nella carta costituzionale.
– l’infrastruttura di comunicazione di rete è una infrastruttura di
base, pubblica e gratuita, come le strade (infatti si chiamavano le
autostrade dell’informazione)
Nelle istituzioni appaiono le prime proposte di legge volte a garantire un accesso per tutti alle reti di comunicazione elettronica.
Al Parlamento Europeo la raccomandazione Lambrinidis sul
“rafforzamento delle libertà fondamentali su Internet”, che sostiene
che l’accesso ad internet (attivo e passivo) è un diritto e fondamentale per “la libertà di espressione” e non può essere “sospeso come
sanzione dai governi o dalle società private” è approvata con una
schiacciante maggioranza (481 a 25). Blocca quindi la legge di censura ed esclusione adottata in Francia.
Nella stessa settimana è stata approvata l’estensione della durata
del diritto di autore da 50 anni a 70 anni.
Alcune battaglie vinte, altre
perse, che evidenziano quanto sia
importante eleggere al Parlamento
Europeo una forte rappresentanza
anticapitalista, che si batta contro
la privat izzzazione della conoscenza. La strada per una consapevolezza generale, e verso una visione e
strategia politica comune su questi
temi è ancora lunga.
Si tratta di definire quali valori e quali modelli di società vogliamo: una società dove l’accesso alla conoscenza, all’informazione,
alla comunicazione, sia un diritto, oppure se prevalgano I famigerati
diritti di proprietà intellettuale, ossia il diritto di trarre profitti dalla
conoscenza.
Siamo di fronte ad una battaglia ideologica chaive, fra chi considera la conoscenza un patrimonio sociale e collettivo, e chi la considera come fonte di profitti, una
merce da rendere scarsa e accessibile a pochi.
Sono in corso battaglie legislative e ideologiche. Si cerca di far
accettare l’idea che leggere, apprendere, condividere, mettere in comune conoscenza, o ancora peggio
costruire idee collettivamente sia sia
un crimine da comunisti, da pirati.
L’esito di queste battaglie, per
rivedere la legislazione, ma sopratConoscenza bene
tutto per modificare il senso comucomune
ne, non è scontato. Sulla presa di
coscienza si giocano le battaglie che V. Koretskii: revolutionary Theory is Our Greatest Weapon! 1978
Vi è un ulteriore elemento.
contribuiranno a determinare se le La teoria rivoluzionaria è la nostra arma più potente.
La stessa conoscenza diventa fonprossime generazioni saranno istrute di profitto e di accumulazione
ite o igniranti, plebe o cittadini.
di capitale, diventa il mezzo di produzione principe nel capitalismo
Vi sono quindi due fronti di battaglia:
cognitivo. Nella produzione immateriale, la conoscenza è sempre
meno incorporata nelle macchine, ma sempre più nei lavoratori
– sui contenuti: se questi si possano scambiare e riutilizzare, se vi
stessi. La conoscenza quindi, nata come bene comune, va resa scarsa,
sarà una pluralità o un monopolio culturale e informativo
privatizzata e accessibile a pochi.
– sulla infrastruttura di rete: chi controlla la reti e chi controlla l’acAffronteremo più in dettaglio questo tema nei prossimi numeri.
cesso ai contenuti (i motori di ricerca).
E in parallelo affronteremo le battaglie per la messa in comune della
Nei paesi che si avviano verso governi a impronta totalitara, quali
conoscenza, ossia del mezzo di produzione principe del “capitalismo
Francia e l’Italia, si propongono leggi durissime per chi viola i “diritti
cognitivo”.
di proprietà intellettuale”: chi condivide oggetti digitali (ad esempio
ascolta musica senza pagare) evitando di contribuire ai profitti di un
editore può venire incarcerato. In Francia, si propo“Se il sapere non ha proprietari, la proprietà intellettuale invece
ne che alla terza “infrazione” il cittadino venga escluS
RUBRICA
è la trappola del neoliberismo”
L
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so dell’accesso alla rete per un anno. Sarebbe come
HUGO CHAVEZ
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vietare la lettura per un anno a chi ha sbirciato un
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AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
STORIA DEL
1° MAGGIO
a cura della CGIL
I
l 1° Maggio nasce come momento di lotta internazionale di
tutti i lavoratori, senza barriere geografiche, né tanto meno
sociali, per affermare i propri diritti, per raggiungere obiettivi,
per migliorare la propria condizione. “Otto ore di lavoro, otto di
svago, otto per dormire” fu la parola d’ordine, coniata in Australia
nel 1855, e condivisa da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento. Si aprì così la strada a rivendicazioni
generali e alla ricerca di un giorno, il primo Maggio, appunto, in
cui tutti i lavoratori potessero incontrarsi per esercitare una forma
di lotta e per affermare la propria autonomia e indipendenza.
La storia del primo Maggio rappresenta, oggi, il segno delle trasformazioni che hanno caratterizzato i flussi politici e sociali all’interno
del movimento operaio dalla fine del secolo scorso in poi.
Le origini
Dal congresso dell’Associazione internazionale dei lavoratori - la
Prima Internazionale - riunito a Ginevra nel settembre 1866, scaturì una
proposta concreta: “otto ore come limite legale dell’attività lavorativa”.
A sviluppare un grande movimento di lotta sulla questione delle otto
ore furono soprattutto le organizzazioni dei lavoratori statunitensi.
Lo Stato dell’Illinois, nel 1866, approvò una legge che introduceva la
giornata lavorativa di otto ore, ma con limitazioni tali da impedirne
l’estesa ed effettiva applicazione. L’entrata in vigore della legge era
stata fissata per il 1 Maggio 1867 e per quel giorno venne organizzata
a Chicago una grande manifestazione. Diecimila lavoratori diedero
vita al più grande corteo mai visto per le strade della città americana.
Nell’ottobre del 1884 la Federation of Organized Trades and
Labour Unions indicò nel 1 Maggio 1886 la data limite, a partire
dalla quale gli operai americani si sarebbero rifiutati di lavorare
più di otto ore al giorno.
dopo a Milwaukee la polizia sparò contro i manifestanti (operai
polacchi) provocando nove vittime. Una feroce ondata repressiva
si abbatté contro le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, le cui sedi furono devastate e chiuse e i cui dirigenti vennero
arrestati. Per i fatti di Chicago furono condannati a morte otto
noti esponenti anarchici malgrado non ci fossero prove della loro
partecipazione all’attentato. Due di loro ebbero la pena commutata
in ergastolo, uno venne trovato morto in cella, gli altri quattro
furono impiccati in carcere l’11 novembre 1887. Il ricordo dei
“martiri di Chicago” era diventato simbolo di lotta per le otto ore
e riviveva nella giornata ad essa dedicata: il 1 Maggio.
1886: I “martiri di Chicago”
1890: 1 maggio, per la prima volta
manifestazione simultanea
in tutto il mondo
Il 1 Maggio 1886 cadeva di sabato, allora giornata lavorativa,
ma in dodicimila fabbriche degli Stati Uniti 400 mila lavoratori
incrociarono le braccia. Nella sola Chicago scioperarono e parteciparono al grande corteo in 80 mila. Tutto si svolse pacificamente,
ma nei giorni successivi scioperi e manifestazioni proseguirono
e nelle principali città industriali americane la tensione si fece
sempre più acuta. Il lunedì la polizia fece fuoco contro i dimostranti radunati davanti ad una fabbrica per protestare contro i
licenziamenti, provocando quattro morti. Per protesta fu indetta
una manifestazione per il giorno dopo, durante la quale, mentre
la polizia si avvicinava al palco degli oratori per interrompere il
comizio, fu lanciata una bomba. I poliziotti aprirono il fuoco sulla
folla. Alla fine si contarono otto morti e numerosi feriti. Il giorno
Il 20 luglio 1889 il congresso costitutivo della Seconda Internazionale, riunito a Parigi, decise che “una grande manifestazione sarebbe stata organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tute le città, i lavoratori chiedessero alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore”.
La scelta cadde sul primo Maggio dell’anno successivo, appunto per il valore simbolico che quella giornata aveva assunto.
In Italia come negli altri paesi il grande successo del 1 Maggio, concepito come manifestazione straordinaria e unica, indusse le organizzazioni operaie e socialiste a rinnovare l’evento anche per il 1891.
Nella capitale la manifestazione era stata convocata in pazza
Santa Croce in Gerusalemme, nel pressi di San Giovanni.
La tensione era alta, ci furono tumulti che provocarono di-
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AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
versi morti e feriti e centinaia di arresti tra i manifestanti.
Nel resto d’Italia e del mondo la replica del 1 Maggio ebbe uno
svolgimento più tranquillo. Lo spirito di quella giornata si stava
radicando nelle coscienze dei lavoratori.
1891: la festa dei
lavoratori diventa
permanente
Nell’agosto del 1891 il II
congresso dell’Internazionale,
riunito a Bruxelles, assunse la
decisione di rendere permanente la ricorrenza. D’ora in
avanti il 1 Maggio sarebbe stato
la “festa dei lavoratori di tutti
i paesi, nella quale i lavoratori
dovevano manifestare la comunanza delle loro rivendicazioni
e della loro solidarietà”.
Il primo maggio
durante il fascismo
Nel nostro Paese il fascismo decise la soppressione del 1
Maggio, che durante il ventennio fu fatto coincidere il con la
celebrazione del 21 aprile, il
cosiddetto Natale di Roma.
Mentre la festa del lavoro assume una connotazione quanto
mai “sovversiva”, divenendo
occasione per esprimere in
forme diverse (dal garofano
rosso all’occhiello, alle scritte
sui muri, dalla diffusione di
volantini alla riunione in osteria) l’opposizione al regime. Il
1 Maggio tornò a celebrarsi
nel 1945, sei giorno dopo la
liberazione dell’Italia.
IL PRIMO MAGGIO IN ITALIA
1947: L’eccidio di Portella della Ginestra
La pagina più sanguinosa della festa del lavoro venne scritta
nel 1947 a Portella della Ginestra, dove circa duemila persone del
movimento contadino si erano date appuntamento per festeggiare
la fine della dittatura e il ripristino delle libertà, mentre cadevano i
secolari privilegi di pochi, dopo anni di sottomissione a un potere
feudale. La banda Giuliano fece fuoco tra la folla, provocando
undici morti e oltre cinquanta feriti. La Cgil proclamò lo sciopero generale e puntò il dito contro “la volontà dei latifondisti
siciliani di soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori”.
La strage di Portella della Ginestra, secondo l’allora ministro dell’Interno, Mario Scelba, chiamato a rispondere davanti all’Assemblea
Costituente, non fu un delitto politico. Ma nel 1949 il bandito
Giuliano scrisse una lettera ai giornali e alla polizia per rivendicare
lo scopo politico della sua strage. Il 14 luglio 1950 il bandito fu ucciso dal suo luogotenente, Gaspare Pisciotta, il quale a sua volta fu
avvelenato in carcere il 9 febbraio del 1954 dopo aver pronunciato
clamorose rivelazioni sui mandanti della strage di Portella.
Il primo Maggio oggi
Le profonde trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini, la progressiva omogeneizzazione delle abitudini hanno
profondamente cambiato il significato di una ricorrenza che
aveva sempre esaltato la distinzione della classe operaia. Il modo
di celebrare il 1 maggio è quindi cambiato nel corso degli anni.
Da diversi anni Cgil, Cisl, Uil hanno scelto di celebrare la giornata
del 1 Maggio promuovendo una manifestazione nazionale dedicata
ad uno specifico tema. È diventato un appuntamento anche il tradizionale concerto rock che i sindacati confederali organizzano in
piazza San Giovanni a Roma.
www.cgil.it
RUBRICA
AL
NILE
I
M
M
E
F
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8 marz
o
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AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
LA FATICA
DI ESSERE DONNE
NEL MONDO
DEL LAVORO
Le differenze di trattamento, salario e avanzamento
penalizzano le donne che sono tuttora oggetto di
discriminazione nel mercato del lavoro
di Claudia Cimini
S
eppur non più di moda e quindi questione priva di risonanza
nei media e nell´opinione pubblica, la diversa condizione
della donna nel mercato del lavoro è tuttora una problematica
attuale, purtroppo minimizzata e ben lontana dall´esser risolta.
Ciò che preoccupa non sono solo i dati riguardanti l´impiego
della donna, lo scarto percentuale tra occupazione maschile
e femminile, l´elevatissima percentuale dei posti dirigenziali
occupati dagli uomini, le differenze salariali, il calcolo delle ore
lavorative tra impiego e lavoro domestico-familiare, ma anche
e soprattutto il fatto che riconoscere che le donne continuino
a subire un tipo di discriminazione a livello occupazionale dal
momento in cui cominciano ad avvicinarsi al mercato del lavoro
fino a quando arrivano al pensionamento, non è considerata una
questione problematica, da rendere visibile, analizzare e risolvere.
La sottile ingenuità di frasi dilaganti quali oggi le donne possono
arrivare dove vogliono se sono brave, non hanno problemi se ben
preparate nasconde un’insidia che però riassume perfettamente
alcuni dei pilastri del pensiero comune. L´illusione di vivere in
una società meritocratica, dove la preparazione, l´efficienza e
la produttività sono le uniche discriminanti per poter accedere
ad un posto di lavoro a cui si aspira, viene tuttora applicato
unicamente al mercato lavorativo al femminile o ad altri gruppi
minoritari svantaggiati. In questo modo, si rafforza l´idea che
l´eccezione sia sempre rappresentata dalla donna, gli uomini
sono la norma, è la donna che deve dimostrare di esser sufficientemente preparata per accedere ad un posto che evidentemente
non le spetta e che quindi sta togliendo a qualcuno che ha più
diritto di lei per appartenenza al sesso maschile.
Si è affermata un´idea della donna funzionale alle esigenze
legate alla divisione dei compiti sociali. Sono stati creati lavori
“femminili” più consoni all´esser donna, casualmente sempre
meno remunerati e di minor prestigio.
9
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
Ogni anno il Forum Economico Mondiale pubblica l´Indice
di Disparità tra Generi, un documento in cui vengono misurate le disparità tra uomini e donne in 130 paesi del mondo.
Vengono considerate quattro aree di disuguaglianza
 Partecipazione e opportunità economiche
 Livello educativo
 Partecipazione alla vita politica
 Salute
Nel 2008 l´Italia occupava la 67esima posizione di questa
classifica, tra Lussemburgo e Vietnam.
Riporto così come pubblicata l´anno passato, la tabella riguardante l´aspetto economico con alcuni dei dati che possono
interessarci. Possiamo in questo modo visualizzare la partecipazione delle donne italiane e le opportunità di cui godono in
ambito economico.
Economic
participation
rank
female
male
Labour force
participation
81
51%
74%
Wage equality
for similar work
111
Estimate income
88
18.501$
39.163$
Nella prima voce (labour force participation) notiamo come
il margine occupazionale femminile sia nettamente inferiore
rispetto a quello maschile, parliamo di 23 punti percentuali,
tanto da mettere il nostro paese in 81esima posizione nella
classifica (rank, seconda colonna).
Nella seconda riga viene analizzato il divario salariale
esistente per lavori analoghi ma differentemente retribuiti rispetto al genere di appartenenza. L´Italia si trova in 111esima
posizione.
In media, le donne hanno un salario annuale di circa la
metà di quello degli uomini (terza riga).
Queste differenze potrebbero attribuirsi ad una minore
preparazione delle donne, eppure, se consideriamo il livello
educativo delle donne e i risultarti raggiunti in ambito scolastico
e universitario, questi dati non confermano né giustificano
tale divario.
Il numero di ragazze iscritte all´università è maggiore rispetto
a quello dei colleghi, rappresenta il 56,5% della popolazione
studentesca universitaria. Tra le studentesse, solo il 42,9 per
cento ha scelto nel 2008 un indirizzo scientifico. Mentre, il 66,8
per cento degli universitari frequenta facoltà scientifiche.
La disparità potrebbe esser determinata dalla presenza di
figli. Eppure, analizzando i dati di uomini e donne con figli,
vediamo che un uomo con un figlio piccolo ha tra il 10 e il 12%
di possibilità in più di trovar lavoro di un uomo della stessa età
senza figli. Questa stessa situazione invece, è invertita per ciò
che riguarda le donne, una donna senza figli, ha tra il 10 e il
12% di possibilitá in più di trovar lavoro di una
donna con figli piccoli.
La disoccupazione femminile raggiunge il
10,10%, quella maschile il 6,2%
AL
NILE
FEMMI8 marzo
lo
no n so
Il tetto di cristallo
Questa denominazione così architettonicamente romantica,
è utilizzata per descrivere una situazione ben meno attraente.
Nella carriera delle donne è presente un limite invisibile che
le ferma, le ostacola nel loro percorso e le trattiene ai livelli
inferiori. Ciò, come abbiamo visto, non ha una connessione
diretta con il livello della loro preparazione scolastica che supera
qualitativamente quella dei colleghi.
In Italia il 2,9% delle donne lavoratrici, è rappresentato da
imprenditrici o dirigenti.
Anche in quei campi considerati di pertinenza femminile,
come l´insegnamento, la maggioranza delle donne è concentrata ai livelli più bassi, meno retribuiti e di minor prestigio. A
livello di educazione primaria, troviamo il 96% di maestre e il
4% di maestri. Nella scuola secondaria, il divario diminuisce,
con il 67% di insegnanti donne contro il 33% di uomini, fino
ad arrivare ad una netta preminenza maschile nell’educazione
terziaria dove gli uomini raggiungono il 66% e le donne scendono al 34%.
Sembra esserci una legge tacita per cui quando un campo
comincia ad essere di pertinenza femminile, perde di valore, di
prestigio, e la remunerazione scende inspiegabilmente.
Considero la discriminazione una disparità di trattamento
implicita o esplicita, causata dall´appartenenza ad un gruppo
meno valorizzato rispetto a quello dominante.
Quello lavorativo è uno degli ambiti in cui si riflettono, riproducono e amplificano i valori e la struttura dell´organizzazione
sociale, ed è caratterizzato da processi di discriminazione nei
confronti delle donne e di molti altri gruppi minoritari; processi
che vengono riproposti e troppo spesso accentuati.
10
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
UN’ALTRA EUROPA
È POSSIBILE
Il programma elettorale dei comunisti
L’uscita dalla crisi
vista dalla sinistra
D
iamo vita ad una lista anticapitalista che unisce in una proposta politica per l’Europa il PRC, il PDCI, Socialismo
2000 e i Consumatori Uniti. Lo facciamo insieme ad esponenti
della sinistra, del mondo del lavoro e sindacale, del movimento
femminista e ambientalista, del movimento lgbtq e pacifista. La
lista lavora per un’uscita dalla crisi fondata sulla democrazia economica, sulla giustizia sociale e sulla solidarietà.
Siamo di fronte ad una crisi di carattere sistemico, non solo
economica e finanziaria, ma sociale, alimentare, energetica, ambientale, che sta scuotendo l’intero pianeta. La crisi del capitalismo globalizzato.
Ci opponiamo all’Europa liberista e tecnocratica e al governo
di “grande coalizione” composto da socialisti, popolari e liberaldemocratici europei che ha fin qui dettato l’agenda della costruzione dell’Unione. Lottiamo con i movimenti sociali e le forze
politiche di trasformazione di tutto il continente per UN’ALTRA
EUROPA.
Una lista che fa sue le ragioni di chi in questi anni e in questi
mesi sta lottando, nella scuola e nei luoghi di lavoro, per la giustizia sociale, contro la precarietà e per la libertà femminile, che
si oppone al razzismo e all’offensiva oscurantista e clericale delle
gerarchie ecclesiastiche. Che si batte per un intervento pubblico
finalizzato alla riconversione sociale e ambientale dell’economia,
per la redistribuzione del reddito, contro la guerra e per il disarmo. Siamo convinti che la questione morale abbia un valore universale, in Italia come in Europa. L’intreccio perverso tra politica
e affari e l’uso clientelare delle risorse pubbliche sono fattori di
degenerazione della democrazia, come intuì Enrico Berlinguer.
La lista appartiene interamente al campo del GUE-NGL, il
Gruppo parlamentare della Sinistra Unitaria Europea – Sinistra
Verde Nordica, che unisce partiti comunisti, anticapitalisti, socialisti di sinistra ed ecologisti e al cui interno si colloca il Partito
della Sinistra Europea.
Le forze che danno vita alla lista si impegnano a continuare
il coordinamento della loro iniziativa politica anche dopo le elezioni europee.
La crisi
e come uscirne
Questa crisi non nasce per caso. È un prodotto strutturale
dell’attuale capitalismo finanziario-speculativo. Questa crisi è fi-
glia delle politiche neoliberiste dell’ultimo ventennio. Politiche
alle quali un contributo determinante è stato dato da questa
Unione Europea, fondata sul dominio degli interessi del capitale
finanziario e delle multinazionali. Politiche che hanno animato
un capitalismo d’azzardo e che sono state rese possibili da un consenso fra governi di centro-destra e centro-sinistra, da una grande
coalizione formata da liberali, popolari e socialisti europei che ha
condiviso i principi liberisti e la demolizione dello stato sociale
portata avanti in questi anni in nome della deregolamentazione e
del primato della libera concorrenza sulla società.
Noi proponiamo una rifondazione dell’Europa.
L’Europa di Maastricht, dei Trattati liberisti e “ademocratici”
come quello di Lisbona, della tecnocrazia e della subalternità alla
NATO, è stata bocciata da referendum popolari in ogni paese in
cui si è votato.
Noi siamo a favore di un’Europa dei popoli, per un processo
costituente democratico e sovrano, di un’Europa della pace e del
disarmo.
Ci battiamo per cambiare le fondamenta di questa Europa.
Il Patto di stabilità va sostituito con un patto per la piena
occupazione e la riconversione sociale ed ambientale dell’economia.
Va ridefinito lo statuto e la missione della Banca centrale, che
va sottoposta ad un controllo democratico. Ci battiamo per la socializzazione del sistema finanziario e bancario, attraverso il controllo pubblico del credito e la nazionalizzazione delle banche.
Siamo per la costruzione di uno stato sociale europeo. Il sistema
fiscale europeo va armonizzato, fondandolo sul principio della
progressività delle imposte.
Le politiche economiche e sociali che sono la causa principale
di questa crisi vanno rovesciate. Ci battiamo per “ripubblicizza-
11
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
re” quanto privatizzato, a partire dai beni comuni e dai servizi
pubblici essenziali, come l’educazione e la conoscenza, la salute,
l’acqua e l’energia. Ci battiamo per tassare i capitali speculativi,
attraverso l’introduzione della Tobin Tax e l’abolizione dei paradisi fiscali.
Per un’Europa delle lavoratrici
e dei lavoratori, della piena
e buona occupazione
A oltre 15 anni dal Trattato di Maastricht, le condizioni
di vita e lavorative della maggioranza della popolazione europea sono rapidamente peggiorate: orari di lavoro più lunghi,
salari insufficienti, aumento della durata della vita lavorativa,
aumento della disoccupazione giovanile e della disoccupazione
a lungo termine, lavori brevi, impieghi temporanei e stage non
retribuiti costituiscono una scandalosa realtà. Una realtà che in
Italia produce la vergogna dell’aumento dei morti sul lavoro. I
profitti sono aumentati vertiginosamente: i manager ricevono
stipendi astronomici, indipendentemente dai loro risultati. I
ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri.
Non sono i lavoratori e le lavoratrici a dover pagare la crisi,
mentre le banche e la finanza speculativa che l’hanno causata
vengono salvate. La logica sottostante ai piani di intervento sin
qui approvati sono la privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite. La politica dei bassi salari e del lavoro
precario è il cuore del problema.
Quello che serve, in Europa, è un piano per la piena occupazione, attraverso la creazione di un fondo che sia finanziato
attraverso la tassazione della speculazione finanziaria e della
rendita.
L’attuale politica di bassi salari, il dumping ambientale e
sociale e l’estensione della precarietà, vanno fermati. L’aumento
di salari e pensioni è non solo doveroso per ridistribuire la ricchezza, ma essenziale, per uscire dalla crisi e per un nuovo modello economico. Le sentenze della Corte Europea
di Giustizia, cosi come la direttiva Bolkestein,
costituiscono un attacco diretto ai contratti collettivi e ai diritti dei lavoratori. Noi ci battiamo,
in Italia e in Europa, per difendere e rafforzare i
contratti collettivi e i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Ci
battiamo per l’abolizione della direttiva
Bolkestein, della direttiva che estende l’orario di lavoro a
oltre le 65 ore settimanali e di quella per l’innalzamento dell’età
pensionabile per le donne. I regolamenti sull’orario di lavoro
devono ammettere un massimo di 40 ore settimanali.
Chiediamo un salario minimo europeo per evitare il dumping sociale, che rappresenti almeno il 60% della media dei
salari nazionali e che non sostituisca i contratti collettivi nazionali.
Un reddito minimo per i disoccupati, così come una pensione minima vincolata al salario minimo e automaticamente
legata all’aumento del costo della vita sono strumenti indispensabili per garantire una vita dignitosa a tutti e tutte.
Per un’Europa della pace
e del disarmo
Il mondo che viviamo assiste ad una corsa al riarmo preoccupante e senza precedenti.
Riarmo di tutti i tipi, incluso quello nucleare. In Italia, la
legge 185 è sotto attacco e ci si appresta a spendere 14 miliardi
di euro per 131 nuovi cacciabombardieri. Questa è l’eredità
di dieci anni di guerre preventive e “umanitarie”, in cui si è
applicata una politica dei due pesi e delle due misure e con cui
si sono scientificamente scardinati i principi del diritto internazionale e il sistema della Nazioni Unite. La responsabilità di
quanto accaduto non è solo di Bush e della stagione dei neoconservatori, ma anche della subalternità dell’Europa a questa
politica di guerra. L’Europa deve diventare protagonista della
ricostruzione di un nuovo equilibrio globale multipolare, attraverso il rilancio delle Nazioni Unite e dei principi della sua
carta, per mettere fine alla lunga stagione dell’unilateralismo
imperialistico degli USA, perseguito in maniera particolare
dall’amministrazione Bush.
Come dimostra anche la recente tragedia di Gaza, l’Europa
legata alla Nato non è capace di giocare un ruolo autonomo
nella politica internazionale, al contrario, rimane prigioniera e
complice di guerre e aggressioni. Crediamo che invece l’Europa
debba battersi per un processo globale di disarmo, liberando
risorse a favore delle politiche sociali, oggi usate per gli armamenti e per finanziare le guerre.
Le guerre e le occupazioni di Afghanistan ed Iraq devono
terminare.
Gli stati europei ancora coinvolti in questi paesi con le loro
truppe devono ritirare i loro contingenti.
Ci opponiamo ad ogni ipotesi di una nuova guerra nei confronti dell’Iran. l’Europa deve costruire una soluzione politicodiplomatica al contenzioso sul nucleare, lavorando per un Medio Oriente ed un Mediterraneo liberi da armi di distruzione di
massa e da quelle nucleari.
Vi è la necessità per l’Europa di rilanciare una cooperazione
politico-economica che coinvolga l’intero Mediterraneo come
area di sviluppo per il futuro prossimo.
Così, attraverso un Mediterraneo, mare di pace e collaborazione, l’Europa deve aprire una relazione paritaria ed equa
con i popoli africani in modo da dare una risposta positiva alle
12
legittime aspettative e ai bisogni dei popoli europei, mediterranei ed africani.
Il Mediterraneo e l’Africa sono il futuro dell’Europa.
L’Europa lavori per la soluzione politica e diplomatica dei
conflitti, a partire da quello mediorientale, e si impegni per il
pieno riconoscimento del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e ad avere il suo stato, come previsto dalle risoluzioni internazionali disattese da Israele da decenni, nei confini
del ’67, e con Gerusalemme Est come sua capitale. Per porre
fine all’occupazione militare dei territori palestinesi e all’embargo su Gaza, alla continua annessione di territori attraverso la
costruzione del Muro dell’apartheid e l’espansione delle colonie,
l’Europa deve sospendere gli accordi commerciali e di cooperazione militare con Israele. Inoltre, l’Europa non può che sostenere il diritto al ritorno sancito dalla risoluzione ONU 194 per
i rifugiati palestinesi e lavorare per una sua applicazione.
L’Europa deve impegnarsi per il diritto della popolazione Saharawi all’autodeterminazione sulla base delle esistenti Risoluzioni dell’ONU 1754 e 1783, cosi come alla soluzione politica
della questione curda, chiedendo alla Turchia di porre fine alla
repressione militare e di avviare un reale processo negoziale.
Dopo la caduta dei due blocchi contrapposti Est-Ovest, la
NATO è rimasta e si è sviluppata sempre di più
come uno strumento funzionale delle amministrazioni statunitensi per le sue strategie egemoniche.
L’allargamento della NATO a Est risponde a questa logica.
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
Un esempio sono gli accordi bilaterali tra gli Stati Uniti e
diversi paesi europei, quale quello con l’Italia per la base militare
statunitense di Vicenza, quello con la Polonia e la Repubblica Ceca per il dispie-gamento dei sistemi di difesa missilistici
e quelli con la Bulgaria e la Romania sulle nuove basi. Siamo a
fianco dei movimenti contro le nuove basi militari, a partire da
Vicenza, e contro l’istallazione dello scudo missilistico nell’Est
europeo.
Crediamo che sia venuto il tempo per lo scioglimento della
Nato. Ora più che mai, la sicurezza in Europa deve fondarsi sui
principi della pace e della sicurezza, del disarmo e della impossibilità di effettuare attacchi offensivi, sulla soluzione politica e
civile dei conflitti, all’interno del sistema OSCE, in conformità
al diritto internazionale e ai principi di Nazioni Unite riformate
e democratizzate.
Per un’Europa dell’ambiente,
della sovranità alimentare
e delle generazioni future
Per noi le questioni climatiche e sociali sono correlate. Per
questo motivo l’attuale crisi finanziaria ed economica non
può essere scissa dalle sfide poste dal cambiamento climatico e
dall’esigenza di modificare il nostro modello produttivo e consumistico. La risposta alla crisi è anche in un nuovo intervento
pubblico in economia finalizzato alla riconversione ecologica del
sistema produttivo. La crisi ecologica determinata dal modello
di sviluppo capitalistico rischia di minare il diritto delle generazioni future alla biodiversità e di poter usufruire delle risorse
primarie e ambientali.
Siamo a favore di uno sviluppo immediato e consistente di
un nuovo trattato internazionale in accordo con il 4° Report
prodotto dal Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico. Chiediamo una piena implementazione degli obblighi firmati e promessi dall’UE in tutti i settori relativi alle politiche
climatiche ed energetiche. I seguenti compromessi costituiscono i punti minimi da applicare per poter realizzare gli impegni
già assunti:
• Ridurre le emissioni globali del 30% entro il 2020 sulla base
dei livelli del 1990 e di almeno l’80% entro il 2050.
• Aumentare l’utilizzo di energie rinnovabili di almeno il 25%
entro 2020
• Ridurre il consumo totale di energia primaria del 25% entro
il 2020 e aumentare annualmente l’efficienza energetica del
2% includendo un limite al consumo pro capite.
• Introdurre l’obbligo di efficienza per l’industria e per i produttori di beni ad alto consumo di energia.
• Limitare il quadro dei sussidi dell’UE conseguentemente al
settore dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili.
Siamo contro la riduzione del protocollo di Kyoto ad un
sistema di mercato delle quote di emissione. Occorre invece, per
arrivare alla stipula di Kyoto 2, una nuova strategia complessiva
che consenta di ridurre le emissioni rendendo più equo e sobrio
lo sviluppo. È necessario un nuovo paradigma fondato non sulla
competizione, ma sulla cooperazione, a partire dal trasferimento
tecnologico ai paesi in via di sviluppo, dal finanziamento delle
13
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
tecnologie pulite e dalle politiche di aggiustamento dei cambiamenti climatici.
L’acqua è un diritto fondamentale dell’umanità, un bene
universale e l’accesso ad essa deve essere garantito ed inteso
come diritto umano e non come una merce. Siamo contro ogni
ipotesi di privatizzazione o mercificazione. L’acqua deve essere
un bene pubblico.
La sovranità, la qualità e la sicurezza alimentari, la multifunzionalità dell’agricoltura devono essere considerati obiettivi strategici di un nuovo modello agricolo europeo finalizzato
sempre di più alla tutela dei consumatori, alla valorizzazione
dell’agricoltura biologica e dei prodotti tipici, al rifiuto degli
OGM, alla salvaguardia della biodiversità, del territorio e del
paesaggio, al contrasto del fenomeno di abbandono delle aree
agricole e montane, al risparmio delle risorse idriche e al sostegno dello sviluppo rurale.
Per un’Europa dei diritti,
delle libertà e della laicità
Uno dei grandi limiti della costruzione europea è stato il suo
carattere “ademocratico”. Il sistema intergovernativo ha impedito qualsiasi partecipazione dal basso alle decisioni dell’Unione. Una separatezza che rischia di far crescere delusione e scetticismo.
È necessaria un’Unione Europea nella quale tutte le sue istituzioni siano democraticamente legittimate.
Deve essere garantita la partecipazione diretta nei processi
decisionali europei, con referendum a livello nazionale ed europeo sulle questioni relative alle pietre miliari della stessa UE.
Il Parlamento deve avere pieno potere legislativo. Le istituzioni
europee (Consiglio, Commissione e Parlamento) devono essere
aperte alla partecipazione delle società civili, con la possibilità
di esercitare un controllo sulle loro decisioni.
Vogliamo un rafforzamento dei diritti individuali e delle libertà così come dei diritti politici e sociali fondamentali di tutti
coloro che vivono nell’UE. L’UE deve sottoscrivere la Convenzione Europea per la Protezione dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali. L’Unione Europea deve proteggere e promuovere i diritti di coloro che sono discriminati a causa della
loro origine etnica, orientamento sessuale e identità di genere,
di religione, ideologica, di diversa abilità, di età, rimuovendo
tutti gli impedimenti per una piena uguaglianza, ad iniziare da
quelli economici.
Vogliamo un’Europa cosmopolita e aperta. Non vogliamo
un’Europa fortezza. C’è bisogno di una politica comune europea sulle migrazioni e sui richiedenti asilo in accordo con la
Convenzione di Ginevra. Le persone che fuggono dalle persecuzioni scatenate a causa delle loro convinzioni politiche, ideologiche, religiose o dell’ orientamento sessuale, devono trovare
protezione e asilo in Europa. Chiediamo che le persecuzioni
basate sul genere e l’orientamento sessuale costituiscano ragione
per richiedere asilo e che vada garantita una protezione specifica per i bambini rifugiati. Per questo,
rifiutiamo l’attuale sistema FRONTEX di controllo delle frontiere e chiediamo l’annullamento
dei piani relativi alla realizzazione e implementa-
zione della “Direttiva del Ritorno”. I centri di detenzione devono essere chiusi.
La libera circolazione in Europa non può essere solo dei
capitali, delle merci e dei servizi, ma anche e soprattutto delle persone, considerando le migrazioni – interne ed esterne –
come un diritto umano inalienabile e illimitabile, per la ricerca
di migliori o comunque diverse condizioni di vita, di lavoro e
di sviluppo personale, professionale e sociale, lottando contro
ogni tipo di sfruttamento, di dumping sociale o di “guerra tra
poveri”.
L’educazione è un diritto non mercificabile. Va difeso il carattere pubblico e laico della scuola e dell’università, così come
quello della ricerca culturale e scientifica, svincolata dalle logiche mercantili. Per questo va contrastato il processo di Bologna,
che produce una progressiva privatizzazione del settore della
conoscenza. Sosteniamo i movimenti studenteschi e degli insegnanti che, in Italia come nel resto d’Europa, sono mobilitati
per difendere il carattere pubblico dell’educazione.
L’Unione Europea deve rispettare e garantire il principio di
eguaglianza dei cittadini rispettando le loro differenze e diversità. Il diritto all’uguaglianza di genere nelle relazioni e alla libertà di orientamento sessuale, va garantito non solo in quanto
diritto individuale, ma come una libertà, garantita e difesa dalle
Istituzioni europee e dei singoli stati.
Tutte le istituzioni pubbliche devono garantire la libertà
delle donne e impegnarsi contro tutte le forme di patriarcato.
Ogni donna, in ogni paese, deve poter decidere liberamente del
proprio corpo, poter esercitare il diritto all’aborto, alla contraccezione, ad una maternità consapevole e all’accesso alle tecniche
di riproduzione artificiale.
Un’ Europa democratica e aperta è un’Europa che afferma
la laicità come valore irrinunciabile delle sue istituzioni pubbliche.
Un’altra Europa
per un altro mondo
Questa crisi è una crisi globale, non solo europea. L’Europa
può dare un contributo alla ridefinizione dei rapporti politici ed
economici globali, contribuendo alla costruzione di un modello
di sviluppo alternativo di relazioni fra i popoli e gli stati, basato
sulla giustizia, sulla solidarietà, e non sulla competizione.
Mentre in Europa prevale la paura e le destre cavalcano la
xenofobia e il razzismo, alimentando la guerra fra poveri, nel
mondo e in special modo nel continente latinoamericano, assistiamo ad una primavera della sinistra e della democrazia,
ad un’affermazione in tutto il continente, dal Brasile del presidente Lula al Venezuela di Chavez, passando per la Bolivia
dell’indio Morales, al Paraguay del teologo della Liberazione
Lugo e all’Ecuador dell’economista Correa, solo per fare pochi esempi, di forze progressiste, comuniste, cattoliche di base
e anti liberiste, che costituiscono un laboratorio per un’uscita
da sinistra dalla crisi. L’Europa sappia instaurare un rapporto
nuovo con questo laboratorio. Un laboratorio possibile anche
grazie all’esperienza cubana, che subisce dal 1961 un blocco
immorale e illegittimo da parte degli Stati Uniti, condannato
quasi all’unanimità per 17 volte dall’Assemblea Generale delle
14
Nazioni Unite e che, come già chiesto da tutti gli
stati latinoamericani, con Lula in testa, va rimosso
immediatamente.
Ciò che accade in America latina dimostra che
cambiare è possibile e che lo sviluppo della democrazia costituisce per tutti i paesi del subcontinente
un valore irrinunciabile.
È in quel continente, inoltre, che più è cresciuto il movimento altermondialista e dei forum sociali di cui siamo parte e di cui sosteniamo le rivendicazioni per una radicale riforma degli organismi
sopranazionali, come l’FMI, la Banca Mondiale e
l’OMC, che hanno imposto le riforme strutturali e
le condizioni per l’espansione di un sistema economico globale che ha aumentato disuguaglianze fra
stati e all’interno di questi. Ci batteremo affinché
l’Europa cambi la natura e il merito degli accordi
commerciali proposti con l’America latina come
con il resto del mondo, specialmente l’Africa, in
quanto ispirati a criteri neoliberali, asimmetrici ed
iniqui di scambio e che produrranno solo altra ingiustizia e povertà.
Oggi più che mai torna attuale la questione di un nuovo
paradigma per le nostre società. Il capitalismo mostra tutti i suoi
limiti: sociali, ambientali, democratici. La domanda sul cosa,
come e perché produrre rimette a tema per il futuro la questione
del socialismo del XXI secolo.
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
Questi sono i punti programmatici, le idee e i valori che
ci uniscono. Un’unità sui contenuti che qualifica la nostra lista
come l’unica proposta realmente di sinistra e di cambiamento in
queste elezioni europee.
Il voto a questa lista è un voto contro la destra italiana e
alternativo al PD. Il voto a questa lista è un voto per un’altra
Europa: dell’uguaglianza e del lavoro, della pace, della giustizia
sociale ed ambientale, dei diritti e delle libertà.
15
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
UNA TAPPA ESSENZIALE
PER TUTTI I COMUNISTI
Intervista a Oliviero Diliberto
Fabio Giovannini – [email protected]
Il nostro incontro si svolge a pochi giorni dalla presentazione
del nuovo simbolo dei comunisti per le elezioni europee. Quali
sono secondo te le prime reazioni a questa lista finalmente
unitaria?
Durante le assemblee percepisci che nel corpo militante sia nostro
sia di Rifondazione, e ancora di più tra gli elettori, vi è un grande
entusiasmo. C’è entusiasmo perché è il primo fatto politico di ricongiungimento dopo tanti anni di divisioni e di rancori. Noi abbiamo
perseguito questo obiettivo con molta tenacia, verrebbe da dire quasi
con caparbietà. Però quando poi i risultati arrivano, ripagano della
fatica e in qualche caso anche delle amarezze.
L’accordo per le europee è già un grande risultato. Questo
accelera la possibilità di una riunificazione dei due partiti?
Per noi la lista comune era e rimane una prospettiva politica: si tratta
cioè di una tappa, importantissima ma pur sempre una tappa, rispetto al
progetto politico della riunificazione dei due partiti comunisti in Italia.
Francamente non ha davvero nessun senso che i due partiti continuino a
essere separati o a volte persino in lotta tra di loro. Dentro Rifondazione
c’è un dibattito sul “dopo” ed evidentemente questo dibattito potrà avere
uno sbocco positivo o meno sulla base dell’esito delle elezioni.
Con il varo della lista comunista può crescere l’ottimismo sulla
possibilità di superare il 4 per cento?
Noi non dobbiamo avere paura, perché i comunisti sono molto al
di sopra di quella percentuale e l’entusiasmo che ha suscitato il simbolo
comune è un abbrivio che dobbiamo sfruttare. La motivazione per la quale
abbiamo fatto la lista insieme non è certamente la soglia di sbarramento,
perché noi abbiamo proposto la lista unitaria con Rifondazione addirittura
nelle europee del 2004 e poi abbiamo ribadito l’esigenza di unità in ogni
occasione, ben prima che si parlasse di soglia di sbarramento. Credo che
lo stesso ragionamento vada fatto nei territori, è un punto politico di
primaria importanza. Non verremmo capiti da nessuno se lo stesso giorno,
votando europee e amministrative, noi andassimo alle europee con un
simbolo comune e alle provinciali e comunali divisi. C’è obiettivamente
l’esigenza di andare a liste comuni anche alle amministrative, nonostante
anni difficili nei rapporti tra noi e Rifondazione, non in tutti i luoghi
ma sicuramente in alcuni. Con quali argomenti faremmo la campagna
elettorale delle amministrative per sostenere una lista di partito, mentre
viceversa a livello europeo andiamo insieme ad altre forze? A me sembra
un fatto di elementare buon senso, prima ancora che una considerazione
politica. Vanno superate delle resistenze e su questo dobbiamo incalzare
ovunque Rifondazione. Siamo stati noi del Pdci, quasi ovunque, ad
aver proposto la lista insieme, abbiamo dato un’indicazione nazionale su
questo: in qualche caso Rifondazione ha accettato, in altri no. Non c’è
dubbio che ci sia grande rammarico nei territori dove Rifondazione non
ha accettato, la cosa ovviamente ci dispiace. Ma non ne faremo motivo
di polemica perché dobbiamo marciare uniti alle europee, il cui esito è
essenziale proprio per il “dopo”.
Quali saranno i temi politici principali su cui si dovrà fare la
campagna elettorale dei comunisti?
Sintetizzo con uno slogan: più stato, più pubblico, meno mercato,
meno privato. In Europa si decidono ormai molte questioni che hanno
una immediata ricaduta nella vita dei singoli stati. La crisi è una crisi
globale, pesantissima. Coloro che l’hanno creata, e cioè la grande finanza
internazionale, ne devono rispondere: altrimenti gli unici che pagheranno
la crisi saranno i “soliti noti” e cioè i settori più deboli della popolazione.
La disperazione è palpabile, si stanno perdendo milioni di posti di lavoro.
E in alcuni paesi, come la Francia, manca persino il sistema di protezioni
sociali che, se pure molto colpite e provate, comunque ancora esistono
in Italia, penso alla cassa integrazione. Noi dobbiamo chiedere uno
straordinario intervento pubblico nell’economia per salvare i posti di
lavoro. Intervento pubblico che deve essere finanziato, secondo noi, con
un’imposta patrimoniale progressiva così come per altro recita la Costituzione italiana. E pensando al futuro occorre un massiccio intervento nel
campo della cultura, della scuola, dell’università, dell’innovazione. Perché
il futuro del nostro paese e della vecchia Europa si giocherà proprio sulla
capacità di essere competitivi nel senso migliore della parola e cioè non
abbassando i salari ma offrendo prodotti migliori degli altri. Da questo
punto di vista il governo italiano è disastroso. Siamo indietro ormai in
tutte le classifiche mondiali, i migliori tra i paesi in via di sviluppo hanno
investimenti in questi settori strategici infinitamente più incisivi dei nostri.
Un paese come la Francia, che è governato dalla destra, ha varato alla
fine del 2008 un progetto di investimento nel campo della cultura di un
miliardo di euro, cosa per noi fantascientifica con il governo Berlusconi.
Devo dire che pesano anche i limiti, i ritardi e le incomprensioni del
governo Prodi che non ha investito quanto avrebbe dovuto proprio in
una prospettiva di sviluppo per il futuro, non per l’immediato. Una
classe dirigente degna di questo nome deve pensare al futuro, non solo al
presente. Nell’immediato bisogna tamponare gli effetti della crisi, cioè la
disoccupazione di massa, con un intervento pubblico nell’economia e nel
lavoro. Quindi vanno modificate le cause della crisi attraverso interventi
strutturali sul sistema finanziario, sulle banche, con la riacquisizione da
parte del pubblico del controllo sul sistema creditizio. Ma guardando al
dopodomani serve un investimento sull’intelligenza delle nostre ragazze
e dei nostri ragazzi.
Sul piano dei rapporti internazionali, che ruolo vedi per
l’Europa sulle questioni della pace in particolare nell’area
mediterranea?
L’Europa al momento, avrebbe detto Metternich, è una questione
geografica. Nel senso che su tutte le grandi questioni ha fatto sentire poco
o nulla la sua voce. Penso non solo al dramma palestinese, ma a tutta la
politica mediterranea. Se si vogliono creare le condizioni per una nuova
politica di pace e cooperazione, l’Europa deve far sentire al governo
israeliano innanzitutto che non si seguiranno pedissequamente le sue
decisioni. È del tutto evidente che il processo di pace al momento non
c’è più. Soltanto con delle pressioni, e secondo noi con delle sanzioni,
verso il governo israeliano si potrà arrivare a una soluzione pacifica ed
equa. Ma l’Europa fino adesso non ha fatto quasi niente.
Dunque abbiamo molto lavoro davanti a noi, per una campagna elettorale importante e sotto certi aspetti decisiva. E
questa volta torniamo di fronte agli elettori con il simbolo
della falce e martello...
Dobbiamo valorizzare il simbolo della nostra lista unitaria, un simbolo antico e nuovo insieme. Ora il simbolo va fatto vivere, va veicolato:
in tutte le manifestazioni, in tutti gli appuntamenti di partito bisogna
propagandare questo nuovo simbolo che è di pari dignità tra i due partiti. Ne dobbiamo essere orgogliosi, perché è un risultato innanzitutto
del Pdci che ci ha creduto. Possiamo dire che proprio la nostra tenacia
consente oggi, dopo il disastro del 2008, di guardare con maggiore
fiducia al nostro futuro, e quando dico nostro intendo il futuro di tutti
i comunisti in Italia.
16
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
ELEZIONI EUROPEE 2009
DOVE e COME SI VOTA
A
differenza delle elezioni politiche o dei referendum, bisognerà votare nei seggi. Quindi a casa non si riceverà nulla. Sarà necessario recarsi nei Consolati di appartenenza con la tessera elettorale ed un documento di riconoscimento. Per sapere dove si
trova il proprio seggio elettorale, allora, è sufficiente telefonare al proprio Consolato.
Al seggio si riceverà una sola scheda.
Il simbolo unitario dei comunisti – sul quale metterete una croce come qui sotto – è il seguente:
Si possono inoltre, secondo la Circoscrizione per la quale si vota, indicare una o più preferenze (vedi la Circoscrizione di appartenenza nelle pagine successive). Fare attenzione : si ricorda che indicare più preferenze di quelle ammesse nella Circoscrizione comporta
l’annullamento del voto, così come segnare più simboli sulla scheda.
Nel caso di dubbi, chiarimenti, inconvenienti e disfunzioni, fare riferimento alle seguenti persone, secondo il Paese di residenza:
BELGIO
CECHIA
FRANCIA
GERMANIA
GRECIA
IRLANDA
REGNO UNITO
SPAGNA
UNGHERIA
Roberto Galtieri
Massimo Recchioni
Luca Di Mauro
Franco Pugliese
Ivan Surina
Matia Boldrini
Simone Rossi
Nino Barbagallo
Massimo Congiu
0477 – 258 765
606 – 436 166
06 – 7042 0739
0160 – 60 94 525
0693 – 650 8405
087 – 0563 293
0787 – 490 7882
649 – 823 367
06 – 20 973 9758
A causa di regolamenti interni elvetici e di accordi bilaterali con l’Italia – scandalosamente – NON è POSSIBILE
istituire seggi elettorali sul territorio svizzero. Gli elettori residenti in Svizzera che vorranno esprimere il proprio voto
dovranno recarsi a votare nel loro Comune italiano di iscrizione A.I.R.E. !!!
17
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
ELEZIONI EUROPEE 2009
PER CHI VOTARE
CARTINA COLLEGIO 1
C I R C O S C R I Z I O N E I (Italia del nord-ovest)
Votano per i candidati di questa circoscrizione
tutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E
di una delle seguenti regioni:
PIEMONTE
VALLE D’AOSTA
LIGURIA
LOMBARDIA
L I S T A D E I C A N D I D A T I (si possono esprimere TRE preferenze scrivendo il cognome alla destra del simbolo)
1. Vittorio Agnoletto
Europarlamentare uscente
6. Alessandro Bortot
Valle d’Aosta - Figura
storica sinistra valdostana
2. Giovanni Pagliarini
7. Patrizia Colosio
Lombardia (MI)
Lombardia (BS) - tra le
fondatrici dell’ass. Pianeta Viola
3. Haidi Gaggio Giuliani 8. Marina Fiore
Liguria (GE)
Piemonte (NO) - Protagonista
contro produzione caccia f35
4. Margherita Hack
9. Ombretta Fortunati
Astrofisica
Lombardia (MI) - Consigliera
provinciale
5. Ciro Argentino
10. Rita Lavaggi
Piemonte (TO)
Liguria (GE) - Insegnante, Sinistra
Operaio ThyssenKrupp
europea, comitati ambientalisti
CARTINA COLLEGIO 2
11. Aleandro Longhi
Liguria (GE) - Ex parl DS e
poi PdCI, pensionato FF.SS
12. Enrico Moriconi
Piemonte - Consigliere
regionale Uniti a Sinistra
13. Antonello Mulas
Piemonte (TO) - Delegato
Fiom Mirafiori
14. Paola Nicoli
Lombardia (MI)
Ricercatrice Cti
15. Esahaq Suad Omar Sheik
Piemonte (TO) - Comunità somala,
intermediatrice culturale
16. Dijana Pavlovic
Lombardia - Attrice Rom
17. Rosangela Pesenti
Insegnante di Storia
e Letteratura
18. Daniela Polenghi
Lombardia (CR) - Assessore
comunale
19. Ermanno Testa
CIDI nazionale
C I R C O S C R I Z I O N E I I (Italia del nord-est)
Votano per i candidati di questa circoscrizione
tutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E
di una delle seguenti regioni:
VENETO
TRENTINO-ALTO ADIGE
FRIULI-VENEZIA GIULIA
EMILIA-ROMAGNA
L I S T A D E I C A N D I D A T I (si possono esprimere TRE preferenze scrivendo il cognome alla destra del simbolo)
1. Lidia Menapace
Intellettuale, pacifista,
femminista
2. Oliviero Diliberto
Segretario nazionale PdCI
5. Annamaria Buroni
Veneto (VE) - Pres. Ass.
Contromobbing
6. Cinzia Colaprico
Emilia Romagna (Fc)
Operaia Zanussi di Forlì
3. Alberto Burgio
7. Pia Covre
Docente Storia della Filosofia Friuli Venezia Giulia
Contemp. Università di Bologna Attivista diritti civili
4. Francesca Andreose
8. Valerio Evangelisti
11. Sergio Minutillo
Friuli Venezia Giulia (TS)
Primario cardiologo Ospedale Trieste
9. Emilio Franzina
12. Sara Sbizzera
Veneto (Vi) - Prof. Storia Contemp., Veneto (Vr) - Traduttrice
movimento No Dal Molin
10. Igor Kocijancic
13. Loredana Visciglia
Friuli Venezia Giulia (Ts)
Consigliere Regionale
Emilia Romagna - Scrittore
18
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
CARTINA COLLEGIO 3
C I R C O S C R I Z I O N E I I I (Italia centrale)
Votano per i candidati di questa circoscrizione
tutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E
di una delle seguenti regioni:
TOSCANA
UMBRIA
MARCHE
LAZIO
L I S T A D E I C A N D I D A T I (si possono esprimere TRE preferenze scrivendo il cognome alla destra del simbolo)
1. Oliviero Diliberto
Segretario nazionale PdCI
2. Fabio Amato
Responsabile Esteri PRC
3. Maria Rosaria Marella
Umbria (PG) - Docente
Università Perugia
4. Raniero La Valle
Intellettuale
5. Andrea Cavola
Lazio - Segretario nazionale
SDL Alitalia
6. Rosi Rinaldi
Lazio (RM) - Direzione
nazionale PRC
7. Paula Beatriz Amadio
Segretaria provinciale PRC
Ascoli Piceno
8. Nicoletta Bracci
Toscana - Bracciante agricola
9. Orfeo Goracci
Umbria (PG) - Sindaco di Gubbio
10. Giuseppe Mascio
Umbria (TR) - Assessore regionale
Lavoro
11. Mario Michelangeli
Lazio (FR) - Segretario
regionale PdCI
12. Bassam Saleh
Lazio (RM) - Comunità palestinese
13. Vincenzo Simoni
Toscana (FI) - Ex segretario
Unione Inquilini
14. Luigi Tamborrino
Lazio (RM) - Centro sociale
Rialto
19
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
CARTINA COLLEGIO 4
C I R C O S C R I Z I O N E I V (Italia meridionale)
Votano per i candidati di questa circoscrizione
tutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E
di una delle seguenti regioni:
ABRUZZO
MOLISE
CAMPANIA
PUGLIA
BASILICATA
CALABRIA
L I S T A D E I C A N D I D A T I (si possono esprimere TRE preferenze scrivendo il cognome alla destra del simbolo)
1. Vittorio Agnoletto
Europarlamentare uscente
2. Massimo Villone
Professore universitario,
costituzionalista
3. Giusto Catania
Europarlamentare uscente
Puglia (BA) - Ambientalista
5. Ciccio Brigati
Basilicata (MT) - Avvocato
7. Pellegrino Del Regno
Campania (AV)
8. Sandro Fucito
16. Michelangelo Tripodi
Abruzzo (TE) - Segretario
regionale PdCI
12. Carmela Maglione
Campania (NA) - Insegnante
13. Giuseppe Merico
Puglia (LE) - Segretario
regionale PdCI
14. Giovanni Pistoia
Calabria (CS) - Letteratura
per l’infanzia
15. Amedeo Rossi (detto Loredana)
Campania (NA) - Transessuale,
Cantieri Sociali
10. Domenico Loffredo
Puglia (TA) - Operaio Ilva
11. Antonio Macera
Campania (NA) - Consigliere
comunale al Comune di Napoli
9. Lucio Libonati
Sinistra europea
4. Laura Marchetti
6. Nicola Cataldo
Campania (NA) - Operaio
del circolo FIAT di Pomigliano
CARTINA COLLEGIO 5
Calabria (RC) - Assessore
regionale
17. Bernardo Tuccillo
Campania (NA) - Ass. prov.
al Lavoro a Napoli
18. Daniele Valletta
Puglia (BR) - Consigliere
comunale Brindisi
C I R C O S C R I Z I O N E V (isole)
Votano per i candidati di questa circoscrizione
tutti i residenti all’estero iscritti all’A.I.R.E
di una delle seguenti regioni:
SARDEGNA
SICILIA
L I S T A D E I C A N D I D A T I (si possono esprimere TRE preferenze scrivendo il cognome alla destra del simbolo)
1. Margherita Hack
Astrofisica
2. Giusto Catania
Europarlamentare uscente
3. Anna Bunetto
4. Alessandro Corona
Sardegna (Nu) - Sindaco
di Atzara
5. Renata Governali
Sicilia (Ct) - Pedagogista, scrittrice
6. Pierpaolo Montalto
Sicilia (Ct) - Segretario Federazione
Prc Catania
7. Lina Russo
Sicilia (Sr) - Operatrice sanitaria
Sardegna (Ca) - Ricercatrice,
insegnante precaria
8. Laura Stochino
Indipendenti 50% non iscritti ai partiti
29 donne su 68, pari al 42,64%
7 operai: Argentino, Mulas, Colaprico, Bracci, Brigati, Loffredo, Cavola
Tra gli altri sono candidati: Agnoletto, Hack, Giuliani, Menapace, Burgio, Amato, Evangelisti, Pavlovic, La Valle,
Villone, Catania, Goracci, Argentino, Colosio
en
M
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AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
PAROLA
DI NOMADE:
emigrare è bene,
integrarsi è meglio
di Ornella Carnevali
Lasciatemi dare
i numeri!
Sono nata nel ’56, a 2 passi da Mantova.
Da allora ho fatto 21 traslochi (tra grandi e
piccoli), lavorato in più di 20 strutture diverse tra nazionali ed internazionali (e conto
solo le più importanti) e cambiato completamente settore di lavoro 4 volte.
Dopo i primi 18 anni passati a Mantova (nebbiosa, provinciale, ma accogliente),
ne ho vissuti 9 a Padova (molto nebbiosa
e poco accogliente), 6 a Roma (soleggiata,
accogliente, ma presa a 3 colpi di 2 anni
per volta, perché di più non avrei potuto
...), 6 in 3 diversi paesi dell’Africa Occidentale (anche lì a fasi alterne e a colpi di
2, ma per altre ragioni, e comunque molto soleggiati ed accoglienti), quasi 6 nella
Germania dell’Est (non tanto accogliente ed ogni tanto soleggiata) e ormai 8 in
quella dell’Ovest (molto poco accogliente
ed anche meno soleggiata). Significa che ho
vissuto fuori dall’Italia circa 20 anni e dalla
mia città 35.
Penso che qualunque sia la vostra esperienza ed opinione in materia, su 1 cosa
possiamo essere d’accordo: sono dei numeri che già da soli lasciano immaginare
facilmente cosa vuol dire essere 1 straniera,
in patria e all’estero.
Ho imparato a stare bene ovunque, ma
è stato un lavoro lungo e a volte faticoso.
Mi sento quella che sono: un’italiana,
modello esportazione, con vari “accessori”
(varie lingue, per esempio) che mi hanno
consentito di cavarmela dignitosamente
in qualunque situazione e di integrarmi “a
modo mio” (ossia a livelli diversi) e a seconda delle circostanze (le mie e quelle del
paese ospitante) ovunque sia stata.
Ho avuto una famiglia regolare con 2
genitori e 2 sorelle.
Col tempo me ne sono costruita 1 mia,
molto mista.
Così quando parlo della “mia famiglia”,
da vari anni e a volte decenni, ci includo 2
genitori “adottivi” (se mi passate la parola),
ossia 1 mamma turca e 1 papà calabrese,
numerosi fratelli e sorelle che ho “adottato”
strada facendo e tanti amici ed amiche. Più
di recente si sono aggiunti 1 marito (straniero e a tempo determinato) ed 1 figlio (dal
1° momento a tempo indeterminato) e da
qualche anno 1 compagno (in tutti i sensi
e straniero). Nell’insieme copriamo 4 continenti, varie razze, numerose nazionalità,
religioni, estrazioni sociali ecc.
Con la maggioranza di loro ho una cosa
in comune: siamo tutti emigrati, o stranieri se preferite, nel paese di residenza. Loro
sono la famiglia con cui vivo all’estero e
valgono quanto la mia famiglia di origine.
Con loro io sono “a casa” e mi ritengo una
persona fortunata, ma per dirla com’è stata:
“regali, non me ne ha fatti nessuno”.
I colori
dell’emigrazione
Da quando ho lasciato la mia città, ne ho
viste e vissute di tutti i colori o quasi: come
studentessa lavoratrice nel Veneto e nel Tirolo, come consulente in varie funzioni e settori in vari paesi, ma anche come donna attiva
in alcuni campi considerati “maschili”, come
moglie e nuora (in entrata e in uscita), come
madre, ma soprattutto come persona.
E questo “attraverso” l’uso di varie lingue, alcune imparate per passione (delle
lingue, intendo) ed altre per dovere, tanti
dialetti italiani, ma non solo, e naturalmente
“attraverso” migliaia di risate, equivoci, gioie, paure, accelerate, frenate, attacchi, difese,
complimenti, critiche, e quant’altro la vostra
fantasia vi lascia immaginare. Insomma, un
bel su e giù dalle montagne rocciose dell’emi-
grazione e attraverso le sue tante, tantissime
sfide. A volte troppe.
Alcune perché ero straniera, altre perché ero 1 donna straniera, altre perché ero 1
donna, straniera e professionista, altre ancora
perché ero 1 donna, straniera, professionista
e ho sempre avuto anche un orientamento
politico preciso. Quale?
Ho fatto la mia tesina di filosofia per
l’esame di maturità su Marx, visto attraverso la critica di Lukács e Korch. Da lì a
Scienze Politiche il passo è stato breve. Alla
fine dell’università, però, ho scelto di lavorare nella cooperazione internazionale e non
in politica. Anche meno in un partito. La
passione per la diversità allora era più forte
dell’attrazione che qualunque partito potesse esercitare su di me.
Oltre tutto ero stanca di Padova, dove il
periodo universitario era stato corredato da
attacchi di tutti i tipi, anche fisici, perché
quelli di Scienze Politiche erano considerati tutti comunisti. Dal ’75 al ’78 andare a
lezione, senza tornare con la testa presa a sassate, è stata più di una volta un’impresa.
Detto questo, ero stanca anche dei compagni, o sedicenti tali. I più “attivi” a parole
venivano in facoltà con le moto comprate
dai loro genitori facoltosi (e conservatori) e
facevano la rivoluzione “a ore”. Le moto le
parcheggiavano fuori dal perimetro della facoltà, per darsi arie da “veri rivoluzionari”. In
più, studiavano poco, miravano al voto “politico” e la carriera ce l’avevano già garantita
… Io non avevo tempo per la rivoluzione “a
ore”. Per me lo studio era l’unica occasione,
e la migliore a quei tempi, per fare una vita
diversa da quella dei miei genitori, com’era
nella loro intenzione e come io ho sempre
apprezzato che avessero deciso di offrirmi.
Per integrare il loro sostegno, però, dopo le
lezioni e durante le vacanze ho sempre lavorato.
21
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
Straniera in patria
Così 1 volta sono finita in
Val Gardena a fare la lavapiatti.
Mi piaceva sapere che sul mio
libretto di lavoro avrei avuto al
primo posto “lavapiatti”. L’aveva fatto anche il nostro Presidente Pertini.
Non che la Val Gardena
come ambiente mi attirasse
molto, perché la gente di lingua e cultura ladine era ancora
più scortese e distante di quella
veneta che conoscevo io. A quei
tempi, però, i lavori estivi negli alberghi erano pagati bene
e questo mi avrebbe risparmiato altri lavori durante l’anno
scolastico. Era sufficiente per
decidere di andare, anche se è
stato un soggiorno breve e del
tutto sgradevole. Non mi parlava nessuno e i lavori peggiori erano sempre
miei.
Una sera, per sostituire una collega
malata, invece che in cucina ho lavorato al
ristorante. Com’era normale per me dopo
quella quarantena linguistica inaspettata
e odiosa, ho scambiato un paio di parole
con due clienti molto simpatici. Ebbene sì:
erano italiani, di Napoli! Un regalo inatteso
del destino!
Il proprietario del ristorante mi ha guardato con aria feroce, ma davanti ai clienti non ha avuto il coraggio di dire niente.
Quando il ristorante si è svuotato, però,
non ha perso un minuto e con un accento
italiano a forte intonazione tedesca, e un
tono da direttore in pensione di un campo di lavoro nazista, mi ha detto che non
tollerava il mio atteggiamento da “italiana,
studentessa e comunista”.
Senz’altro un buon osservatore, ma io
non capivo qual era il suo problema.
Così gli ho detto che avevo solo parlato con dei clienti cortesi. Lui ha specificato
che non potevo parlare con i clienti. Io gli
ho annunciato con un grande sorriso che
mi licenziavo. Era stagione alta, in un’estate
(del ‘75 credo) dal tempo infame che aveva
tenuto lontano i clienti tutto il mese di luglio. Ora che era agosto ed erano finalmente arrivati, non potevo andare. “Non adesso”, ha provato a sottolineare con un tono
che sfiorava una supplica. “Parto domani
mattina con il primo
e
t
n
e
pullman”, ho concluso
AgilM
io, sorridendo. E questo ho fatto.
Molti di noi sono partiti per
necessità, altri per curiosità del
nuovo, del diverso. Qualunque
sia stata la ragione per partire
e la destinazione, però, l’importante è cercare di integrarsi, soprattutto se si soggiorna
a lungo in un paese: vivere in
un paese senza integrarsi nella
cultura locale è come voler correre senza scarpe e lamentarsi
dopo un po’ di avere le piaghe
ai piedi.
Straniera all’estero
Da allora ne è passata di acqua sotto i
ponti, come si dice. Ed oltre 33 anni.
L’impegno della strada che ho scelto non
è stato né minore né maggiore di quello di
tanti altri, dentro e fuori da un partito, ma
è stato diverso. Molto diverso. E questo stesso impegno offro oggi, attraverso il mio lavoro di consulente nel settore della diversità
culturale, nel quale faccio confluire le mie
esperienze, di professionista, madre, cittadina
italiana all’estero, ecc.
Dopo 13 anni e mezzo di Germania, però,
ho deciso di offrire qualche spunto sulla base
della mia esperienza di integrazione mista e
multipla ad altri italiani, soprattutto a quelli
meno inseriti di me nella società del loro paese estero di residenza. Il mio contributo ad
“Aurora” è da leggere in questo senso.
Vi parlerò dei vari passi che si fanno, o
si dovrebbero fare, nelle varie fasi della vita
all’estero per vivere bene, o al meglio possibile. Vi dirò anche come potete aiutare voi
stessi, i vostri mariti (o mogli, a seconda della
prospettiva), figli, amici e chi altro ha a che
fare con voi e soffre non solo di nostalgia, ma
si nutre e perciò prima o poi si ammala di
isolamento, di sfiducia, di rifiuto della cultura ospitante. Quante facce ha la vita di un
emigrato? Qual è l’alfabeto reale dell’emigrazione? Qual è quello dell’integrazione? Come
vivono all’estero e come si integrano le nostre
donne? E le ragazze? E i giovani? E gli anziani? E i bambini piccoli? Se non si integrano,
perché? Come vanno i matrimoni misti? E i
divorzi, misti? I temi e le domande sono tanti.
Se non volete correre voi,
fate almeno correre i vostri figli.
Fate imparare ai vostri figli
la lingua del posto e, oltre al vostro dialetto (se ne parlate uno
e vi piace trasmetterlo ai vostri
figli), fategli imparare l’italiano
meglio che potete. La lingua
italiana è come la 1a delle loro scarpe.
I dialetti sono belli e utili, ma considerateli come calzini. Rendono la camminata
o la corsa più gradevole, ma senza le scarpe
giuste i vostri figli non riusciranno ad usarli
a lungo senza perderli e non si salveranno
dalle piaghe ai piedi.
Dato che siete tutti genitori coscienti,
non comprereste mai ai vostri figli 1 sola
scarpa. Sapete bene che gliene serve un’altra. La 2a scarpa è la lingua locale.
I vostri figli la devono imparare bene.
Se lavoreranno nel paese ospitante, sarà ottima per “correre” bene e, se lo vogliono,
andare “lontano”. Quando i vostri figli parlano bene la lingua del paese di residenza,
possono avere migliori risultati a scuola,
tanti amici diversi e soprattutto crescere
senza sentirsi (ed essere trattati da) cittadini
di 2a categoria. Se cambieranno paese, per
tornare in Italia o andare altrove, gli sarà
sempre utile.
Non dimenticatelo mai: ogni lingua è
uno strumento prezioso, come un violino.
E anche se non tutti i violini possono essere
degli “Stradivari”, quando sono costruiti e
accordati come si deve, suonano tutti.
So che questo dell’integrazione linguistica è ancora il problema più grosso delle
comunità italiane all’estero e, logicamente,
è anche la causa principale di un certo loro
isolamento dalla società dei paesi ospitanti.
Cominciate a risolvere questo problema nella vostra famiglia e cominciate oggi.
Scegliete di integrarvi!
22
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
ACQUA IN BOCCA:
vi abbiamo venduto l’acqua
a cura di Roberto Galtieri
I
l governo Berlusconi, senza dire niente a nessuno, ha dato il via
alla privatizzazione dell’acqua pubblica. Il Parlamento ha votato
l’articolo 23bis del decreto legge 112 del ministro Tremonti, che afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle
regole dell’economia capitalistica. Così il governo Berlusconi ha
sancito che in Italia l’acqua non sarà più un bene pubblico ma una
merce, e quindi sarà gestita da multinazionali (le stesse che possiedono l’acqua minerale). Già a Latina, la Veolia (multinazionale che
gestisce l’acqua locale) ha deciso di aumentare le bollette del 300%.
Ai consumatori che protestano, Veolia manda le sue squadre di vigilantes armati e carabinieri per staccare i contatori. La privatizzazione dell’acqua che sta avvenendo a livello mondiale provocherà, nei
prossimi anni, milioni di morti per sete nei paesi più poveri. L’uomo
è fatto per il 65% di acqua, ed è questo che il governo italiano sta
mettendo in vendita. L’acqua che sgorga dalla terra non è una merce, è un diritto fondamentale umano e nessuno può appropriarsene
per trarne illecito profitto. L’acqua è l’oro bianco per cui si combatteranno le prossime guerre. Guerre che saranno dirette dalle multinazionali alle quali oggi il governo, preoccupato per i grembiulini,
sta vendendo il 65% del nostro corpo. Acqua in bocca.
Per il diritto all’acqua per tutti
Per una gestione pubblica
e partecipata
Ancora oggi 1,5 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua
potabile e 2,6 miliardi a servizi igienico-sanitarie di base. Ogni anno
8 milioni di persone muoiono per le malattie connesse all’utilizzo
di acqua stagnante.
Ogni giorno 34.000 persone, in prevalenza donne e bambini,
muoiono per il mancato accesso all’acqua potabile. Siamo di fronte
a un “silenzioso genocidio” che si perpetua nell’indifferenza della comunità internazionale. Una situazione intollerabile causata da una
politica mondiale imposta dalle imprese Multinazionali e da precise
responsabilità e scarsa volontà politica dei Governi.
E’ tempo di ribellarsi a questi scandalosa indifferenza! L’accesso
all’acqua costituisce un elemento costitutivo della vita, rappresenta
la “sacralità della vita” di ogni essere vivente ed è quindi necessario
pervenire al più presto al riconoscimento dell’acqua come un diritto
umano, inalienabile. L’accesso all’acqua sta diventando infatti una
questione fondamentale per l’ambiente, per l’economia, per la pacifica convivenza delle popolazioni, in Italia come nella maggior parte
dei paesi mondo e pertanto l’acqua deve essere considerata come un
bene comune, un patrimonio dell’umanità.
Sono questi gli obiettivi ed il campo di azione del MANIFESTO PER UN CONTRATTO MONDIALE sull’Acqua che at-
traverso l’azione del Comitato internazionale e dei vari Comitati
nazionali (Belgio, Canada, Italia, Francia, Svizzera, ecc.) ed il sostegno di diverse Associazioni e Movimenti attivi nei tre continenti,
si propone di riuscire ad imporre alla comunità internazionale ed
ai singoli Governi, il riconoscimento dell’acqua come un “diritto
umano inalienabile”, come un “bene comune”, contrastando nel contempo i processi di privatizzazione e di mercificazione della risorsa
e della sua gestione.
Questo obiettivo è stato lanciato dalla Dichiarazione di Roma,
sottoscritta dai sindaci di diverse città italiane in Campidoglio nel
dicembre del 2003 ed è stato successivamente condiviso ed inserito
nelle Dichiarazioni conclusive dei vari Forum Mondiali sull’Acqua:
di Porto Allegre (2001-2002), New Delhi(2004), Manaus (2005),
Bamakò e Caracas (2006) e dalle proposte dei Forum Alternativi
Mondiali di Firenze (marzo 2003), di Ginevra (marzo 2005) e da
ultimo nel Forum di Città del Messico (marzo 2006).
Questa richiesta, condivisa a livello mondiale da tutti i Movimenti impegnati a difesa dell’Acqua, è stata accolta da alcune recenti risoluzioni del Parlamento
Europeo, ma non è stata finora
minimante presa in considerazione e sancita dagli Stati e dalle Comunità internazionale.
La Comunità internazionale
che ha approvato la dichiarazione
finale del IV° Forum Mondiale dell’acqua (Città del Messico
2006) si è rifiutata di riconoscere
l’accesso all’acqua come diritto
umano nonostante una precisa richiesta formulata dal Parlamento Riccardo Petrella, coordinatore mondiale della campagna
europeo, cioè dai rappresentanti
per l’acqua “bene comune”.
di 25 paesi e di 450 milioni di cittadini.
In sintesi, la Campagna “I portatori d’acqua” vuole essere una
modalità per mettere in rete, rendere concrete e dare visibilità politica a tutte le iniziative locali di partecipazione dei cittadini e delle
comunità locali che sono disponibili a sostenere ed impegnarsi per
il riconoscimento dell’acqua come diritto umano, e soprattutto di
mobilitazione di risorse e di impegno da parte dei Movimenti ed
ONG (Organizzazioni non governative).
per saperne di pù:
http://www.contrattoacqua.it/public/journal/
AURORA – n. 6 – Anno II – maggio 2009
23
Attività DEI COMUNISTI
IN EUROPA
19 Aprile a e
Colonia: or di
19.00, cenacon
solidarietà i in
at
i terremot Ciral
Abruzzo,
Bacolo PRC, 11.
yenstrasse
19 Aprile è stata costituita la sezione comune
Prc-Pdci della Vallonia-Hainaut (Belgio).
19 Aprile: a Colonia, ore 19.00, cena di solidarietà con i terremotati dell’Abruzzo, al Circolo PRC,
Bayenstrasse 11.
25 Aprile: con l’ANPI a Bruxelles (Istituto Italiano di Cultura).
25 Aprile: con l’ANPI a Praga (Istituto Italiano di Cultura) con l’Ambasciatore, il Sacrario di Terezín e l’Unione Ceca Combattenti per la Libertà”. Proiezione di “Roma città aperta”.
25 Aprile: con l’ANPI e l’Associazione 25 Aprile a Londra. Proiezione di Senza tregua” dei partigiani Giovanni Pesce e Nori Brambilla.
1° Maggio: in piazza con uno stand unitario PRC-PdCI in Place Rouppe a Bruxelles, con il sindacato FGTB; nel pomeriggio dalle 14.00 presso l’Espace Marx, insieme ad associazioni
e compagni belgi e greci, iniziativa politica, culturale e sociale su cittadinanza europea,
circolazione dei lavoratori e migrazioni.
1° Maggio: in corteo a Colonia, dalla sede della DGB (ore 10.00) fino a piazza Heumarkt.
A seguire, serata culturale di lotta con musica dal vivo, mostra, video, cucina sociale, dibattiti. Ore 16-22 a Bayernstrasse 11.
1° Maggio: in piazza a Praga con il KSČM. Appuntamento dalle 9.15 alla Fontana della Fiera di
Praga-Holešovice.
9 Maggio: a Bruxelles, Espace Marx dalle 14.00, nuova iniziativa politico-culturale con associazioni e compagni belgi, greci e spagnoli sulle elezioni europee “Per quale Europa vogliamo
votare?”.
Manifestazioni della Confederazione Europea dei Sindacati (CES-ETUC) Combattere la crisi, priorità ai cittadini. Non paghino i lavoratori!
14 Maggio: a Madrid, 15 a Bruxelles, 16 a Berlino e Praga.
Per informazioni chiamare i compagni responsabili dei rispettivi Paesi.
16 Maggio: a Bruxelles, congresso sezione belga PdCI e concretizzazione del protocollo d’intesa PRC-PdCI.
22 Maggio: a Budapest, ore 19.00, inaugurazione della sezione comune PRC-PdCI – Laboratorio
Gramsci – Aurora, presso la sede del Munkáspárt 2006, Nefelejcs utca 8 ang. Garay utca.
23 Maggio: a Londra, ore 14-17, tavola rotonda “Risocializzare l’Europa: la libera circolazione
dei servizi e i suoi malcontenti. Analisi, critiche e proposte di riforma”.
30 Maggio: festa dell’unità comunista a Turnhout (Belgio).
Per salvare l’Italia
e rinnovare l’Europa
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COMUNISTA
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AURORA: giornale per l’unità comunista
Direttore: Massimo Congiu (HU)
Direttore responsabile: Roberto Galtieri (B)
Comitato di redazione: Vito Bongiorno (D), Claudia Cimini (CZ), Perla Conoscenza (B), Luca Di Mauro (F), Mario Gabrielli Cossellu (B),
Massimo Recchioni (CZ), Simone Rossi (UK), Mariarosaria Sciglitano (HU), Massimo Tuena (CH)
Ha collaborato a questo numero: Ornella Carnevali (D)
Grafica e impaginazione: Lorenza Faes
Tel. +36 20 973 97 58 – [email protected]
Costi: questo numero 1,00 e – arretrati 1,50 e
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Aurora numero 6 completo - Partito Della Rifondazione Comunista