0 I INCONTRO “DAMMI DA BERE” (Gv 4, 1-42) Gesù e la Samaritana Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni - sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli, lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. Doveva perciò attraversare la Samaria. Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: "Dammi da bere". I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: "Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?". I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva". Gli disse la donna: "Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest' acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre 1 Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?". Rispose Gesù: "Chiunque beve di quest' acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna". "Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua". Le disse: "Và a chiamare tuo marito e poi ritorna qui". Rispose la donna: "Non ho marito". Le disse Gesù: "Hai detto bene "non ho marito"; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero". Gli replicò la donna: "Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare". Gesù le dice: "Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità". 17 2 Gli rispose la donna: "So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa". Le disse Gesù: "Sono io, che ti parlo". In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: "Che desideri?", o: "Perché parli con lei?". La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: "Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?". Uscirono allora dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: "Rabbì, mangia". Ma egli rispose: "Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete". E i discepoli si domandavano l'un l'altro: "Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?". Gesù disse loro: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro". Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: "Mi ha detto tutto quello che ho fatto". E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: "Non è più per la tua parola che noi 3 TEMPO DI DESERTO: L’esperienza del deserto è esperienza di relazione e di incontro con le profondità di noi stessi e, dunque, con il cuore stesso di Dio. Questo è il tempo che ti è dato in dono, approfitta al massino di ogni minuto. Per vivere al meglio questo momento scegli un luogo silenzioso che ti permetta di incontrare Dio e te stesso. Ora tocca a te! rischia la strada del silenzio del cuore! Rischia la vita nei sentieri del deserto! Ci sono incontri che da anni ti aspettano tu non ti sei ancora fatto vivo.. Cristo è alla porta del tuo cuore e bussa ... non si stanca mai se nessuno gli apre perché ha semplicemente fiducia in te... Spegni ogni rumore inutile che tuona dentro di te, ascolta il leggero bussare alla porta del tuo cuore, corri, apri a chi ti bussa e lasciati condurre per le sue vie, sarà una bella storia, sarà Storia di Salvezza . Buon Viaggio! LABORATORIO DELLA FEDE Dopo aver riflettuto, approfondito ed interiorizzato il tuo incontro con Dio nel tempo di deserto, ora sei invitato/a a far dono agli altri della tua esperienza e di quello che il Signore ha suscitato nel tuo cuore. 16 crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo". nel conformarmi in tutto alla tua divina volontà!... Cristo totalizza la vita, al pari di un innamoramento, con l'importante differenza però che se nell'innamoramento si tende a chiudere le proprie prospettive per concentrarsi solo sull'oggetto del proprio amore, nell'incontro con Cristo la vita non si riduce ma si allarga. Anche per noi, come per Paolo e Carlo Tancredi, la sequenza di tutte quelle prerogative che possono apparirci umanamente importanti può concludersi in modo sorprendente, con un nostro Ma! Lasciamoci illuminare dal sole dell’incontro con Lui! 15 Memorie sulle carceri Mi informai in segreto sul modo di poter avere accesso nella prigione; mi fu detto che era necessario entrare nella Confraternita della Misericordia. E’ un’antica e pia associazione creata per il conforto delle carcerate. Le sue regole sono fatte con la migliore intenzione; ma sfortunatamente esse non sono seguite e non possono esserlo. Ciò per il modo stesso con il quale la società è formata. Ora tutto si riduce a qualche preghiera per i defunti della confraternita; si fanno delle processioni e si distribuiscono le minestre agli spioncini della prigione. Non era ciò che io volevo, tuttavia mi feci accogliere in quella associazione e cominciai subito ad andare a distribuire la minestra. Chiesi il permesso di restare con le carcerate e di restarvi da sola. Mi fu detto che ciò non era possibile e che era necessario che un carceriere rimanesse sempre come testimone. Mi accontentavo di testimoniare a quelle povere donne il rammarico di non poter trascorrere abbastanza tempo con loro per conoscere i loro bisogni. Ritornai l’indomani, stessa domanda da parte mia, stesso rifiuto da parte del carceriere. Nonostante ciò, lo ringraziai e gli diedi un po’ di denaro per risarcirlo del tempo che perdeva con me. Ritornai i giorni seguenti e chiesi non il permesso di restare alla porta a grata, ma di essere rinchiusa sotto chiave con le carcerate. Mi fecero ancora delle difficoltà. Assicurai che, se non me lo avessero permesso, avrei trovato inutile ritornare e che sicuramente non volevano far perdere a quelle povere donne i soccorsi che io ero disposta a dare loro. Dato che io parlavo davanti a loro, esse aggiunsero le loro richieste alle mie e parecchi motivi sia buoni sia cattivi determinarono il carceriere. I chiavistelli infine si aprirono e si richiusero dietro di me. Quel baccano che qualche anno prima mi aveva fatto una così dolorosa impressione, mi fece allora l’effetto contrario. Ringraziai Dio di tutto cuore e mi collocai in mezzo a quelle povere donne. I1 prezzo che avevo pagato per venire fra loro parve commuoverle. Tutte si misero a parlare una dopo l’altra. Ciascuna voleva provarmi che era innocente, mi raccontava che cosa l’aveva fatta incarcerare. Io dichiarai che preferivo ignorare tutto, che mi piaceva crederle innocenti e che venivo per consolarle condividendo le loro angustie e aiutandole 4 facendo del mio meglio. Mi chiesero del denaro. Promisi degli indumenti a quelle che si sarebbero comportate meglio, conformemente alle istruzioni che avrei dato loro. Parlai della rassegnazione necessaria nella loro condizione, delle ricompense per coloro che soffrono. «Ah, quella viene a predicare!» dissero parecchie di loro, mentre si allontanavano cantando. Gridavano così forte che le loro voci coprivano la mia. Feci chiudere la porta di un bugigattolo che serviva da infermeria e continuai a conversare con quelle che erano rimaste vicine a me. Le assenti si sforzarono di gridare e di cantare. La curiosità le attirò e ritornarono. Dissi loro che non avevo voluto disturbare i loro canti, che esse avevano un gran bisogno di distrarsi, e che io speravo che col tempo avremmo trovato altri modi per distogliere i loro pensieri dalla disgrazia che le affliggeva. I primi giorni trascorsero in conversazione. Portavo dei soccorsi alle ammalate. La cura che avevo di parlare sottovoce creò a poco a poco il silenzio; ho sperimentato che è più facile farsi ascoltare in mezzo a coloro che gridano abbassando la voce che volendo alzarla per sovrastar la loro. Questo sistema può risultare buono soltanto con molto tempo e pazienza, ma crea la calma. La mia permanenza in mezzo alle carcerate si prolungava talvolta più di quanto volessi. I carcerieri, ai quali avevo indicato l’ora in cui volevo uscire, fingevano di dimenticarla. Essi desideravano dissuadermi dal venire alla prigione. Nella vita ho avuto poche volontà, ma avevo allora una volontà tanto più ferma, quanto più la sentivo buona; ed io osavo da allora ed in seguito, quando gli ostacoli si moltiplicavano, osavo dire, come l’Apostolo: «Io posso tutto in Colui che mi fortifica». Mi facevano dunque attendere il momento della mia uscita dalla prigione e sebbene facesse un caldo tremendo e fastidioso nel luogo abitato dalle carcerate, manifestavo gioia nel veder prolungata la mia permanenza con loro. Esse compresero la cattiva volontà dei carcerieri, provarono per loro ripugnanza e tale divisione fra i malvagi mi mise al corrente molti abusi. Io prendevo tuttavia le mie precauzioni in modo che le ore di attesa non superassero mai quelle durante le quali dovevo trovarmi con la mia famiglia. Il mio vecchio domestico veniva allora a cercarmi. Trascorrevo così tre o quattro ore in carcere tutte le mattine e per qualche giorno del tutto segretamente. Infine confessai l’impiego che facevo della mia mattinata e chiesi se mi trovavano più tetra, se avevo l’aria più sofferente, se ero preoccupata. Con bontà mi risposero di no e ottenni così la piena libertà di continuare le mie visite. Contentissima, andai a trovare il mio confessore; egli condivise la mia gioia. Era un 5 La vita di Paolo cambia a causa dell'incontro con una persona che è Cristo stesso. Ciò che cambia è la sua mentalità. Da quando Paolo ha incontrato Gesù sulla via di Damasco, ha visto la sua vita con occhi nuovi; se prima le sue ricchezze umane e religiose erano per lui importantissime, adesso non gli interessano più. Adesso ciò che gli interessa è il dono di amore, di vita e di giustizia che vengono liberamente e gratuitamente da Gesù Cristo. Prima pensava ci si potesse salvare solo osservando la legge, ora invece sperimenta che la salvezza viene dall’incontro con Gesù. Quest’esperienza si può paragonare a quella di un uomo che cammina in un bosco in una notte molto oscura facendosi luce con un accendino. D'un tratto sorge il sole, l'uomo guarda l'accendino e lo spegne. Paolo era un “buon fariseo”. Carlo Tancredi era un “buon cristiano”. Ma… incontrano Cristo e si lasciano illuminare da lui. In moltissime religioni si parla di una “via dell'illuminazione” che prevede che colui che decide di intraprenderla inizi a fare delle cose e poi d'improvviso arrivi all'illuminazione, quasi fosse una sua conquista. Qui invece è Dio che fa e ha fatto qualcosa per noi, Lui per primo. Chi è un cristiano convertito? E’ forse un uomo che si comporta solo bene, che osserva i comandamenti, che sta un po’ più in regola, che non combina guai né a sé, né agli altri? È chi pone al centro della sua vita Cristo e il Suo progetto d’amore. Voglio d’ora innanzi riporre ogni mia gloria nell’appartenerti, nell’amarti, nel servirti, 14 “A motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore ” Conoscenza è biblicamente sinonimo di amore. Conoscere Cristo significa per Paolo sottomettersi pienamente a Colui che è il suo Signore. È con grande carica affettiva che Paolo chiama suo Signore, Colui che lo ha afferrato! Lo stesso accade a Carlo Tancredi. Lo spiega in un suo scritto: “Gesù! Il promesso dell’Altissimo, il fedele, il paziente, tu ci hai rigenerato nel sangue e nel dolore della morte! Liberatore, Redentore, Salvatore nostro! Gesù solo amico perfetto! Dio della mia vita!.... Da oggi ritorno a te, né da te voglio più allontanarmi un solo momento, scostarmi con l’anima e col cuore dal pensiero tuo, dal tuo amore beato! Voglio d’ora innanzi riporre ogni mia gloria nell’appartenerti, nell’amarti, nel servirti, nel conformarmi in tutto alla tua divina volontà!... La mia anima è il prezzo del sangue e della vita di Gesù. So quanto valga da quanto costò!” (Chiamati…, p. 45-46) uomo degno che la morte ha portato via troppo presto. Essa mi privò del conforto dei suoi consigli, di cui avevo un gran bisogno, perché non mi nascondevo la difficoltà dell’impresa; ma quella stessa difficoltà forse mi eccitava. Dio si serve di tutto, anche dei nostri difetti, per condurci al bene. Ciò che è infatti così semplice e mi sembra tale oggi, mi sembrava allora qualcosa di grande. Io gioivo nel mio intimo del silenzio e del segreto che accompagnava quell’opera buona e la prima volta che si rese necessario, per il bene della cosa, parlare quasi in pubblico, giacché si trattava dei Presidenti, dei Ministri, provai una grande pena. Quell’opera perdeva il suo pregio ai miei occhi. Tutti quegli intermediari che mi vedevo costretta a mettere fra Dio e coloro che volevo riportare a Lui mi disturbavano. Provavo come un sentimento di gelosia, che in seguito, feci in modo di espiare. Ho sentito dentro di me che è un gran bene il far fare il bene da altri. In tal modo meno si compiono buone azioni in prima persona, più si permette ad altri di farne, meglio è. Dio non manca di fornire l’occasione di sostituire l’opera buona ceduta. Giulia Colbert – Marchesa di Barolo Il Piccolo Principe e la Volpe Dopo aver incontrato Cristo, non vuol più allontanarsi dal Suo pensiero e dal Suo amore. Ripone la sua consistenza non nei titoli, non negli onori o nelle ricchezze, ma nell’appartenere a Lui! Quel Ma di Paolo e di Carlo Tancredi, dunque, non è un cambiamento di comportamento, è un cambiamento di mentalità e di vita che deriva da un incontro, l’incontro con Cristo, con uno che ci ama tanto da morire per noi… “Non è il potere che redime, ma l’amore!” dice il Papa. 13 In quel momento apparve la volpe. «Buon giorno», disse la volpe. «Buon giorno», rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno. «Sono qui», disse la voce, «sotto al melo...» «Chi sei?» domandò il piccolo principe, «sei molto carino... sono una volpe», disse la volpe. «Vieni a giocare con me», le propose il piccolo principe, «sono così triste... » «Non posso giocare con te», disse la volpe, «non sono addomesticata». «Ah! scusa», fece il piccolo principe. Ma dopo un momento di riflessione soggiunse: «Che cosa vuoi dire “addomesticare”?» «Non sei di queste parti, tu», disse la volpe, «che cosa cerchi?» «Cerco gli uomini», disse il piccolo principe. «Che cosa vuoi dire “addomesticare”?» «Gli uomini», disse la volpe, «hanno dei fucili e cacciano. È molto noioso! Allevano anche delle galline. È il loro solo interesse. Tu 6 cerchi delle galline?» «No», disse il piccolo principe. «Cerco degli amici. Che cosa vuoi dire “addomesticare”?» «E’una cosa da molto dimenticata. Vuoi dire “creare dei legami”...» «Creare dei legami?» «Certo», disse la volpe. «Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo» «Comincio a capire», disse il piccolo principe. «C’è un fiore.., credo che mi abbia addomesticato...» «E’ possibile», disse la volpe. «Capita di tutto sulla Terra... » «Oh! non è sulla Terra», disse il piccolo principe. La volpe sembrò perplessa: «Su un altro pianeta?» «Sì». «Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?» «No». «Questo mi interessa! E delle galline?» « No ». «Non c’è niente di perfetto», sospirò la volpe. Ma la volpe ritornò alla sua idea: « La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano... » La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe: «Per favore… addomesticami», disse. 7 Paolo è ben consapevole di potersi vantare di tutto quello che è umanamente nobile e apprezzabile. Lo dice nei versi precedenti, senza reticenza: Se qualcuno ritiene di poter avere fiducia nella carne, - dice - io più di lui: circonciso all’età di otto giorni…., della stirpe d’Israele, Ebreo figlio di Ebrei, fariseo, persecutore della Chiesa, irreprensibile nell’osservanza della legge… Quanti titoli degni di stima! E con quale fierezza li enumera! Insomma, in tutto, Paolo poteva considerarsi un autentico “giusto”. Lo stesso è per Carlo Tancredi… Ma… la sequenza di tutte queste belle prerogative onorifiche si conclude in modo sorprendente: “Ma tutte queste cose che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo”. E di Carlo Tancredi si dice: “Ma tutto operando per il Celeste Regno… non più che uno strumento in sé vedeva di Chi dal nulla i propri servi crea”. Qual è la chiave di volta? Ce la spiega bene Paolo: A motivo di Cristo! Ecco la chiave di volta del ma… Senza Cristo come termine di paragone, quei titoli sarebbero importanti, ma essendoci Gesù Cristo, tutto si svilisce e non può che essere considerato spazzatura: “Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore…” Ormai Paolo non trae più la sua consistenza e il suo vanto dalla scrupolosa osservanza della Legge, ma dalla gratuità dell’amore di Cristo, il Figlio di Dio che ha dato la sua vita per salvare l’uomo dal peccato. Poterlo conoscere è il solo, vero guadagno, poiché ogni altra ricchezza, senza Cristo, non fa che accrescere il senso di schiavitù derivante dal peccato. 12 II INCONTRO Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo Fil 3,7-9 Il “Ma” che cambia la vita… Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. (Fil 3,7-9) Oltre all’acume del vivace ingegno, Insuperbir Tancredi avria potuto D’essere un della Patria alto sostegno, D’essere a tanti sventurati ajuto: Ma tutto oprando pel Celeste Regno, Porgea di lodi intero a Dio il tributo: Non più ch’uno stromento in sé vedea Di Chi dal nulla i proprii servi crea. La qualità di servo del Signore Era la gloria più da lui sentita: Perciò fraternamente ei rendea onore Alla, minima pur, umana vita… (testimonianza in versi di Silvio Pellico) 11 «Volentieri», rispose il piccolo principe, «ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose». «Non si conoscono che le cose che si addomesticano», disse la volpe. «Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!» «Che bisogna fare?» domandò il piccolo principe. « Bisogna essere molto pazienti », rispose la volpe. «In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino... » Il piccolo principe ritornò l’indomani. «Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora», disse la volpe. «Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti ». « Che cos’è un rito? » disse il piccolo principe. « Anche questa. è una cosa da tempo dimenticata », disse la volpe. «È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza» Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l’ora della partenza fu vicina: «Ah!» disse la volpe, «…piangerò». «La colpa è tua», disse il piccolo principe, «io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi...» «È vero», disse la volpe. «Ma piangerai!» disse il piccolo principe. «È certo », disse la volpe. 8 « Ma allora che ci guadagni?» « Ci guadagno », disse la volpe, « il colore del grano ». Poi soggiunse: «Va’ a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto». Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose. «Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente», disse. «Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo». E le rose erano a disagio. «Voi siete belle, ma siete vuote», disse ancora. «Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento. Perché su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa». E ritornò dalla volpe. «Addio », disse. «Addio», disse la volpe. «Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». «L’essenziale è invisibile agli occhi », ripeté il piccolo principe, per ricordarselo. « Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa... » « Io sono responsabile della mia rosa... » ripeté il piccolo principe per ricordarselo. SPUNTI PER LA RIFLESSIONE: 1. Gesù e la Samaritana; Giulia e le carcerate; La volpe e il Piccolo Principe. Sottolinea nelle tre narrazioni le dinamiche che creano alleanza. 2. Pensa ai legami che crei con le persone che ami: sono alleanze o schiavitù? 3. Come definiresti il tuo legame con Dio: alleanza o schiavitù? « È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa cosi importante ». « È il tempo che ho perduto per la mia rosa... » sussurrò il piccolo principe per ricordarselo. 9 10