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I INCONTRO
“DAMMI DA BERE”
(Gv 4, 1-42)
Gesù e la Samaritana
Quando il Signore venne a
sapere che i farisei avevano
sentito dire: Gesù fa più
discepoli e battezza più di
Giovanni - sebbene non
fosse Gesù in persona che
battezzava, ma i suoi
discepoli, lasciò la Giudea e
si diresse di nuovo verso la
Galilea. Doveva perciò
attraversare la Samaria.
Giunse pertanto ad una città
della Samaria chiamata
Sicàr, vicina al terreno che
Giacobbe aveva dato a
Giuseppe suo figlio: qui
c'era il pozzo di Giacobbe.
Gesù dunque, stanco del
viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò
intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù:
"Dammi da bere". I suoi discepoli infatti erano andati in città a far
provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: "Come mai tu, che
sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?".
I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani.
Gesù le rispose: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che
ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti
avrebbe dato acqua viva". Gli disse la donna: "Signore, tu non hai
un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque
quest' acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre
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Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli
e il suo gregge?". Rispose Gesù:
"Chiunque beve di quest' acqua avrà
di nuovo sete; ma chi beve
dell'acqua che io gli darò, non avrà
mai più sete, anzi, l'acqua che io gli
darò diventerà in lui sorgente di
acqua che zampilla per la vita
eterna".
"Signore, gli disse la
donna, dammi di quest'acqua,
perché non abbia più sete e non
continui a venire qui ad attingere
acqua". Le disse: "Và a chiamare
tuo marito e poi ritorna qui".
Rispose la donna: "Non ho marito".
Le disse Gesù: "Hai detto bene "non
ho marito"; infatti hai avuto cinque
mariti e quello che hai ora non è tuo
marito; in questo hai detto il vero". Gli replicò la donna: "Signore,
vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra
questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna
adorare". Gesù le dice: "Credimi, donna, è giunto il momento in
cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre.
Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che
conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il
momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre
in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è
spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità".
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Gli rispose la donna: "So che deve venire il Messia (cioè il
Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa". Le disse
Gesù: "Sono io, che ti parlo". In quel momento giunsero i suoi
discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una
donna. Nessuno tuttavia gli disse: "Che desideri?", o: "Perché parli
con lei?". La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse
alla gente: "Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello
che ho fatto. Che sia forse il Messia?". Uscirono allora dalla città
e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: "Rabbì,
mangia". Ma egli rispose: "Ho da mangiare un cibo che voi non
conoscete". E i discepoli si domandavano l'un l'altro: "Qualcuno
forse gli ha portato da mangiare?". Gesù disse loro: "Mio cibo è
fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua
opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la
mietitura? Ecco, io
vi dico: Levate i
vostri occhi e
guardate i campi
che
già
biondeggiano per
la mietitura. E chi
miete
riceve
salario e raccoglie
frutto per la vita
eterna, perché ne
goda insieme chi
semina
e
chi
miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io
vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno
lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro". Molti Samaritani
di quella città credettero in lui per le parole della donna che
dichiarava: "Mi ha detto tutto quello che ho fatto". E quando i
Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed
egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola
e dicevano alla donna: "Non è più per la tua parola che noi
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TEMPO DI DESERTO:
L’esperienza del deserto è esperienza di relazione e di incontro
con le profondità di noi stessi e, dunque, con il cuore stesso di
Dio.
Questo è il tempo che ti è dato in dono, approfitta al massino di
ogni minuto.
Per vivere al meglio questo momento scegli un luogo silenzioso
che ti permetta di incontrare Dio e te stesso.
Ora tocca a te! rischia la strada del silenzio del cuore!
Rischia la vita nei sentieri del deserto!
Ci sono incontri che da anni ti aspettano
tu non ti sei ancora fatto vivo..
Cristo è alla porta del tuo cuore e bussa ...
non si stanca mai se nessuno gli apre
perché ha semplicemente fiducia in te...
Spegni ogni rumore inutile che tuona dentro di te,
ascolta il leggero bussare alla porta del tuo cuore,
corri, apri a chi ti bussa
e lasciati condurre per le sue vie,
sarà una bella storia,
sarà Storia di Salvezza .
Buon Viaggio!
LABORATORIO DELLA FEDE
Dopo aver riflettuto, approfondito ed interiorizzato il tuo incontro
con Dio nel tempo di deserto, ora sei invitato/a a far dono agli altri
della tua esperienza e di quello che il Signore ha suscitato nel tuo
cuore.
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crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che
questi è veramente il salvatore del mondo".
nel conformarmi in tutto alla tua divina
volontà!...
Cristo totalizza la vita, al pari di un innamoramento, con
l'importante differenza però che se nell'innamoramento si tende a
chiudere le proprie prospettive per concentrarsi solo sull'oggetto
del proprio amore, nell'incontro con Cristo la vita non si riduce ma
si allarga.
Anche per noi, come per Paolo e Carlo Tancredi, la sequenza di
tutte quelle prerogative che possono apparirci umanamente
importanti può concludersi in modo sorprendente,
con un nostro
Ma!
Lasciamoci illuminare dal sole dell’incontro con Lui!
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Memorie sulle carceri
Mi informai in segreto sul modo di poter avere accesso nella prigione;
mi fu detto che era necessario entrare nella Confraternita della
Misericordia. E’ un’antica e pia associazione creata per il conforto delle
carcerate. Le sue regole sono fatte con la migliore intenzione; ma
sfortunatamente esse non sono seguite e non possono esserlo. Ciò per il
modo stesso con il quale la società è formata. Ora tutto si riduce a
qualche preghiera per i defunti della confraternita; si fanno delle
processioni e si distribuiscono le minestre agli spioncini della prigione.
Non era ciò che io volevo, tuttavia mi feci accogliere in quella
associazione e cominciai subito ad andare a distribuire la minestra.
Chiesi il permesso di restare con le carcerate e di restarvi da sola. Mi fu
detto che ciò non era possibile e che era necessario che un carceriere
rimanesse sempre come testimone. Mi accontentavo di testimoniare a
quelle povere donne il rammarico di non poter trascorrere abbastanza
tempo con loro per conoscere i loro bisogni. Ritornai l’indomani, stessa
domanda da parte mia, stesso rifiuto da parte del carceriere. Nonostante
ciò, lo ringraziai e gli diedi un po’ di denaro per risarcirlo del tempo che
perdeva con me.
Ritornai i giorni seguenti e chiesi non il permesso di restare alla porta a
grata, ma di essere rinchiusa sotto chiave con le carcerate. Mi fecero
ancora delle difficoltà. Assicurai che, se non me lo avessero permesso,
avrei trovato inutile ritornare e che sicuramente non volevano far
perdere a quelle povere donne i soccorsi che io ero disposta a dare loro.
Dato che io parlavo davanti a loro, esse aggiunsero le loro richieste alle
mie e parecchi motivi sia buoni sia cattivi determinarono il carceriere. I
chiavistelli infine si aprirono e si richiusero dietro di me. Quel baccano
che qualche anno prima mi aveva fatto una così dolorosa impressione,
mi fece allora l’effetto contrario. Ringraziai Dio di tutto cuore e mi
collocai in mezzo a quelle povere donne.
I1 prezzo che avevo pagato per venire fra loro parve commuoverle.
Tutte si misero a parlare una dopo l’altra. Ciascuna voleva provarmi che
era innocente, mi raccontava che cosa l’aveva fatta incarcerare. Io
dichiarai che preferivo ignorare tutto, che mi piaceva crederle innocenti
e che venivo per consolarle condividendo le loro angustie e aiutandole
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facendo del mio meglio. Mi chiesero del denaro. Promisi degli
indumenti a quelle che si sarebbero comportate meglio, conformemente
alle istruzioni che avrei dato loro. Parlai della rassegnazione necessaria
nella loro condizione, delle ricompense per coloro che soffrono. «Ah,
quella viene a predicare!» dissero parecchie di loro, mentre si
allontanavano cantando. Gridavano così forte che le loro voci coprivano
la mia. Feci chiudere la porta di un bugigattolo che serviva da infermeria
e continuai a conversare con quelle che erano rimaste vicine a me. Le
assenti si sforzarono di gridare e di cantare.
La curiosità le attirò e ritornarono. Dissi loro che non avevo voluto
disturbare i loro canti, che esse avevano un gran bisogno di distrarsi, e
che io speravo che col tempo avremmo trovato altri modi per distogliere
i loro pensieri dalla disgrazia che le affliggeva. I primi giorni trascorsero
in conversazione. Portavo dei soccorsi alle ammalate. La cura che avevo
di parlare sottovoce creò a poco a poco il silenzio; ho sperimentato che è
più facile farsi ascoltare in mezzo a coloro che gridano abbassando la
voce che volendo alzarla per sovrastar la loro. Questo sistema può
risultare buono soltanto con molto tempo e pazienza, ma crea la calma.
La mia permanenza in mezzo alle carcerate si prolungava talvolta più di
quanto volessi. I carcerieri, ai quali avevo indicato l’ora in cui volevo
uscire, fingevano di dimenticarla. Essi desideravano dissuadermi dal
venire alla prigione. Nella vita ho avuto poche volontà, ma avevo allora
una volontà tanto più ferma, quanto più la sentivo buona; ed io osavo da
allora ed in seguito, quando gli ostacoli si moltiplicavano, osavo dire,
come l’Apostolo: «Io posso tutto in Colui che mi fortifica».
Mi facevano dunque attendere il momento della mia uscita dalla
prigione e sebbene facesse un caldo tremendo e fastidioso nel luogo
abitato dalle carcerate, manifestavo gioia nel veder prolungata la mia
permanenza con loro. Esse compresero la cattiva volontà dei carcerieri,
provarono per loro ripugnanza e tale divisione fra i malvagi mi mise al
corrente molti abusi. Io prendevo tuttavia le mie precauzioni in modo
che le ore di attesa non superassero mai quelle durante le quali dovevo
trovarmi con la mia famiglia. Il mio vecchio domestico veniva allora a
cercarmi. Trascorrevo così tre o quattro ore in carcere tutte le mattine e
per qualche giorno del tutto segretamente. Infine confessai l’impiego che
facevo della mia mattinata e chiesi se mi trovavano più tetra, se avevo
l’aria più sofferente, se ero preoccupata. Con bontà mi risposero di no e
ottenni così la piena libertà di continuare le mie visite. Contentissima,
andai a trovare il mio confessore; egli condivise la mia gioia. Era un
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La vita di Paolo cambia a causa dell'incontro con una persona che
è Cristo stesso. Ciò che cambia è la sua mentalità. Da quando
Paolo ha incontrato Gesù sulla via di Damasco, ha visto la sua vita
con occhi nuovi; se prima le sue ricchezze umane e religiose erano
per lui importantissime, adesso non gli interessano più. Adesso ciò
che gli interessa è il dono di amore, di vita e di giustizia che
vengono liberamente e gratuitamente da Gesù Cristo. Prima
pensava ci si potesse salvare solo osservando la legge, ora invece
sperimenta che la salvezza viene dall’incontro con Gesù.
Quest’esperienza si può paragonare a quella
di un uomo che cammina in un bosco in una
notte molto oscura facendosi luce con un
accendino. D'un tratto sorge il sole, l'uomo
guarda l'accendino e lo spegne.
Paolo era un “buon fariseo”. Carlo Tancredi era un “buon
cristiano”.
Ma… incontrano Cristo e si lasciano illuminare da lui.
In moltissime religioni si parla di una “via dell'illuminazione” che
prevede che colui che decide di intraprenderla inizi a fare delle
cose e poi d'improvviso arrivi all'illuminazione, quasi fosse una
sua conquista. Qui invece è Dio che fa e ha fatto qualcosa per noi,
Lui per primo.
Chi è un cristiano convertito? E’ forse un uomo che si comporta
solo bene, che osserva i comandamenti, che sta un po’ più in
regola, che non combina guai né a sé, né agli altri?
È chi pone al centro della sua vita Cristo e il Suo progetto
d’amore.
Voglio d’ora innanzi riporre ogni mia gloria
nell’appartenerti, nell’amarti, nel servirti,
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“A motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio
Signore ”
Conoscenza è biblicamente sinonimo di amore. Conoscere Cristo
significa per Paolo sottomettersi pienamente a Colui che è il suo
Signore. È con grande carica affettiva che Paolo chiama suo
Signore, Colui che lo ha afferrato!
Lo stesso accade a Carlo Tancredi. Lo spiega in un suo scritto:
“Gesù! Il promesso dell’Altissimo, il fedele, il
paziente, tu ci hai rigenerato nel sangue e nel dolore
della morte! Liberatore, Redentore, Salvatore nostro!
Gesù solo amico perfetto! Dio della mia vita!....
Da oggi ritorno a te, né da te voglio più allontanarmi
un solo momento, scostarmi con l’anima e col cuore
dal pensiero tuo, dal tuo amore beato! Voglio d’ora
innanzi riporre ogni mia gloria nell’appartenerti,
nell’amarti, nel servirti, nel conformarmi in tutto alla
tua divina volontà!... La mia anima è il prezzo del
sangue e della vita di Gesù. So quanto valga da
quanto costò!” (Chiamati…, p. 45-46)
uomo degno che la morte ha portato via troppo presto. Essa mi privò del
conforto dei suoi consigli, di cui avevo un gran bisogno, perché non mi
nascondevo la difficoltà dell’impresa; ma quella stessa difficoltà forse
mi eccitava.
Dio si serve di tutto, anche dei nostri difetti, per condurci al bene. Ciò
che è infatti così semplice e mi sembra tale oggi, mi sembrava allora
qualcosa di grande. Io gioivo nel mio intimo del silenzio e del segreto
che accompagnava quell’opera buona e la prima volta che si rese
necessario, per il bene della cosa, parlare quasi in pubblico, giacché si
trattava dei Presidenti, dei Ministri, provai una grande pena.
Quell’opera perdeva il suo pregio ai miei occhi. Tutti quegli intermediari
che mi vedevo costretta a mettere fra Dio e coloro che volevo riportare a
Lui mi disturbavano. Provavo come un sentimento di gelosia, che in
seguito, feci in modo di espiare. Ho sentito dentro di me che è un gran
bene il far fare il bene da altri. In tal modo meno si compiono buone
azioni in prima persona, più si permette ad altri di farne, meglio è. Dio
non manca di fornire l’occasione di sostituire l’opera buona ceduta.
Giulia Colbert – Marchesa di Barolo
Il Piccolo Principe e la Volpe
Dopo aver incontrato Cristo, non vuol più allontanarsi dal Suo
pensiero e dal Suo amore. Ripone la sua consistenza non nei titoli,
non negli onori o nelle ricchezze, ma nell’appartenere a Lui!
Quel Ma di Paolo e di Carlo Tancredi, dunque, non è un
cambiamento di comportamento, è un cambiamento di mentalità e
di vita che deriva da un incontro, l’incontro con Cristo, con uno
che ci ama tanto da morire per noi…
“Non è il potere che redime, ma l’amore!” dice il Papa.
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In quel momento apparve la volpe. «Buon giorno», disse la volpe.
«Buon giorno», rispose gentilmente il piccolo principe,
voltandosi: ma non vide nessuno. «Sono qui», disse la voce, «sotto
al melo...» «Chi sei?» domandò il piccolo principe,
«sei molto carino... sono una volpe», disse la volpe.
«Vieni a giocare con me», le propose il piccolo principe, «sono
così triste... » «Non posso giocare con te», disse la volpe, «non
sono addomesticata». «Ah! scusa», fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse: «Che cosa vuoi
dire “addomesticare”?»
«Non sei di queste parti, tu», disse la volpe, «che cosa cerchi?»
«Cerco gli uomini», disse il piccolo principe. «Che cosa vuoi dire
“addomesticare”?»
«Gli uomini», disse la volpe, «hanno dei fucili e cacciano. È molto
noioso! Allevano anche delle galline. È il loro solo interesse. Tu
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cerchi delle galline?» «No», disse il piccolo principe. «Cerco degli
amici. Che cosa vuoi dire “addomesticare”?»
«E’una cosa da molto dimenticata. Vuoi dire “creare dei
legami”...» «Creare dei legami?»
«Certo», disse la volpe. «Tu, fino ad ora, per me, non sei che un
ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E
neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe
uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo
bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò
per te unica al mondo»
«Comincio a capire», disse il piccolo principe. «C’è un fiore..,
credo che mi abbia addomesticato...»
«E’ possibile», disse la volpe. «Capita di tutto sulla Terra... »
«Oh! non è sulla Terra», disse il piccolo principe. La volpe
sembrò perplessa: «Su un altro pianeta?»
«Sì».
«Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?»
«No».
«Questo mi interessa! E delle galline?»
« No ».
«Non c’è niente di perfetto», sospirò la volpe. Ma la volpe ritornò
alla sua idea: « La mia vita è monotona. Io do la caccia alle
galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si
assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio
perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come
illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti
gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi
farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi,
laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il
grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E
questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà
meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è
dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel
grano... » La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
«Per favore… addomesticami», disse.
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Paolo è ben consapevole di potersi vantare di tutto quello che è
umanamente nobile e apprezzabile. Lo dice nei versi precedenti,
senza reticenza: Se qualcuno ritiene di poter avere fiducia nella
carne, - dice - io più di lui: circonciso all’età di otto giorni….,
della stirpe d’Israele, Ebreo figlio di Ebrei, fariseo, persecutore
della Chiesa, irreprensibile nell’osservanza della legge…
Quanti titoli degni di stima! E con quale fierezza li enumera!
Insomma, in tutto, Paolo poteva considerarsi un autentico
“giusto”. Lo stesso è per Carlo Tancredi…
Ma…
la sequenza di tutte queste belle prerogative onorifiche si
conclude in modo sorprendente:
“Ma tutte queste cose che per me erano guadagni, io le
ho considerate una perdita a motivo di Cristo”.
E di Carlo Tancredi si dice:
“Ma tutto operando per il Celeste Regno… non più che
uno strumento in sé vedeva di Chi dal nulla i propri servi
crea”.
Qual è la chiave di volta? Ce la spiega bene Paolo: A motivo di
Cristo! Ecco la chiave di volta del ma… Senza Cristo come
termine di paragone, quei titoli sarebbero importanti, ma essendoci
Gesù Cristo, tutto si svilisce e non può che essere considerato
spazzatura:
“Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla
sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore…”
Ormai Paolo non trae più la sua consistenza e il suo vanto dalla
scrupolosa osservanza della Legge, ma dalla gratuità dell’amore
di Cristo, il Figlio di Dio che ha dato la sua vita per salvare
l’uomo dal peccato. Poterlo conoscere è il solo, vero guadagno,
poiché ogni altra ricchezza, senza Cristo, non fa che accrescere il
senso di schiavitù derivante dal peccato.
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II INCONTRO
Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho
considerato una perdita a motivo di Cristo Fil 3,7-9
Il “Ma” che cambia la vita…
Ma
queste cose, che per me erano guadagni, io
le ho considerate una perdita a motivo di Cristo.
Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo
della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù,
mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte
queste cose e le considero spazzatura, per
guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo
come mia giustizia non quella derivante dalla
Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la
giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. (Fil
3,7-9)
Oltre all’acume del vivace ingegno,
Insuperbir Tancredi avria potuto
D’essere un della Patria alto sostegno,
D’essere a tanti sventurati ajuto:
Ma tutto oprando pel Celeste Regno,
Porgea di lodi intero a Dio il tributo:
Non più ch’uno stromento in sé vedea
Di Chi dal nulla i proprii servi crea.
La qualità di servo del Signore
Era la gloria più da lui sentita:
Perciò fraternamente ei rendea onore
Alla, minima pur, umana vita…
(testimonianza in versi di Silvio Pellico)
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«Volentieri», rispose il piccolo principe, «ma non ho molto tempo,
però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose».
«Non si conoscono che le cose che si addomesticano», disse la
volpe. «Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla.
Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono
mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un
amico addomesticami!»
«Che bisogna fare?» domandò il piccolo principe.
« Bisogna essere molto pazienti », rispose la volpe. «In principio
tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò
con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una
fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più
vicino... »
Il piccolo principe ritornò l’indomani.
«Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora», disse la volpe.
«Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io
comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia
felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad
inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si
sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... Ci
vogliono i riti ».
« Che cos’è un rito? » disse il piccolo principe.
« Anche questa. è una cosa da tempo dimenticata », disse la volpe.
«È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle
altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il
giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un
giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori
ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero
tutti, e non avrei mai vacanza»
Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l’ora della
partenza fu vicina: «Ah!» disse la volpe, «…piangerò».
«La colpa è tua», disse il piccolo principe, «io, non ti volevo far
del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi...»
«È vero», disse la volpe.
«Ma piangerai!» disse il piccolo principe.
«È certo », disse la volpe.
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« Ma allora che ci guadagni?»
« Ci guadagno », disse la volpe, « il colore del grano ».
Poi soggiunse: «Va’ a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica
al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto».
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
«Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora
niente», disse. «Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete
addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era
che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio
amico ed ora è per me unica al mondo». E le rose erano a disagio.
«Voi siete belle, ma siete vuote», disse ancora. «Non si può morire
per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia
rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi,
perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la
campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento.
Perché su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle).
Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche
qualche volta tacere.
Perché è la mia
rosa».
E
ritornò
dalla
volpe. «Addio »,
disse.
«Addio», disse la
volpe. «Ecco il mio
segreto. È molto
semplice: non si
vede bene che col
cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». «L’essenziale è
invisibile agli occhi », ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
« Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi
dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai
addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa... »
« Io sono responsabile della mia rosa... » ripeté il piccolo principe
per ricordarselo.
SPUNTI PER LA RIFLESSIONE:
1. Gesù e la Samaritana; Giulia e le carcerate; La volpe e il
Piccolo Principe. Sottolinea nelle tre narrazioni le
dinamiche che creano alleanza.
2. Pensa ai legami che crei con le persone che ami: sono
alleanze o schiavitù?
3. Come definiresti il tuo legame con Dio: alleanza o
schiavitù?
« È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua
rosa cosi importante ».
« È il tempo che ho perduto per la mia rosa... » sussurrò il piccolo
principe per ricordarselo.
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Il “Ma” - Congregazione delle Suore di Sant`Anna