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Vibo 21
Domenica 8 settembre 2013
Scritto dall’ex arciprete del Duomo di San Leoluca la notte prima del 50° anniversario di sacerdozio
Una vita al fianco degli umili
Nella “Messa sul Monte” il cammino pastorale di monsignor Fiorillo
di DOMENICO MOBILIO
IL 29 giugno scorso Giuseppe Fiorillo ha festeggiato nella sua Piscopio i cinquant’anni di
sacerdozio. E’ stata un festa un po’ velata perché circolava già la voce che poco tempo dopo
avrebbe dovuto lasciare la guida della Parrocchia di San Leoluca. C’era però la speranza di
un ravvedimento in extremis da parte del vescovo Luigi Renzo di fronte alla energia e alla
purezza di cuore di don Fiorillo, circondato
dall’affetto e dall’amore non solo dei presenti
ma di tutti coloro che seguivano la vicenda con
trepidazione. Poi l’evento, come scriviamo a
parte, si è compiuto, in nome di un’autorità
che in certi casidovrebbe avere maggiore flessibilità.
Quel giorno don Peppino ha distribuito un
libretto “La Messa sul Monte” che aveva appena scritto in una notte. E’ un libretto prezioso
da custodire con cura. In esso traccia il suo itinerario sacerdotale iniziato il 29 giugno
1963.
Con la semplicità di linguaggio che gli è
congeniale, propria di chi possiede una cultura profonda, don Peppino Fiorillo fotografa le
tappe più salienti del suo ministero e ricorda la
«moltitudine» che ha incontrato. Dedica il volumetto ai suoi familiari, alla sua Piscopio e alle varie comunità che ha avuto il privilegio di
seguire come pastore. Ricorda e ringrazia soprattutto il «Signore Dio tuo» del cammino
che gli ha fatto percorrere e di tutti i benefici
che gli ha concesso. Parla di «un Dio impastato” nel cammino, quasi farina nel viaggio».
Celebra questa unità con Dio e la sua storia «attraverso la raccolta dei chicchi di grano che ho
seminato nella vita di uomini, donne, bambini, ammalati, stranieri, depressi, dannati della terra e assieme macinare questi chicchi per
avere buona farina e, nel forno di Dio, cuocere
la grande “pitta di pane” per essere pronta per
concelebrare la grande messa io, quale sacerdote ministeriale, la moltitudine del popolo di
Dio, quale sacerdozio
universale: una messa
celebrata simbolicamente sul monte per essere vista,perchèla lucesipone
sul candelabro non sotto
il moggio».
Qualche giorno dopo
egli celebra la “Messa della Memoria” davanti ad
una folla commossa nel
Duomo, che ora seppure
illuminato dalla presenza di Dio e di don Antonio
Purita successore di don
Fiorillo, appare più vuoto. Nella “Messa sul
Monte”, un volumetto ricco e prezioso egli ripercorre la sua vita dai tempi della infanzia,
della fanciullezza trascorsa nella valle del fiume “Patamo”a causa dei bombardamenti della
guerra, che non manca di richiamare suo padre, «quante volte, nell’angolo della casa, ho
visto mia madre piangere», tuttavia riuscivano a mitigare assieme ad altre famiglie la mancanza dei papà realizzando una vita in comune. «Cucinare,mangiare elavorare assiemee,
a sera, tutti per la recita del santo rosario con la
richiesta alla Madonna di far ritornare i papà e
far finire la guerra». Alla “Messa sul Monte”
ricorda, anzi ved tutte le comunità a lui affidate («e sono presenti i vivi e i morti»).
Ricorda alcuni dei suoi tanti incontri con la
morte. Lacerante il ricordo del 10 agosto del
1965 sempre a Sant’Angelo. «Vedo te, Franco,
giovane ventenne sul letto del dolore perchè
colpito da un male oscuro e, ormai alla fine,
stringendo le mie mani gridavi: «Don Peppino, io non voglio morire, che ho fatto di male,
di’ a Dio che mi liberi”. Franco, ragazzo povero, non ho saputo balbettare niente alle tue lamentazioni, ho solo stretta la tua mano alla
mia per tutto il pomeriggio, finchè la tua mano non ha lasciato la mia e, solo allora, in quel
momento, la mia mano consacrata da pochi
anni, si è levata per una benedizione e per chiudere i tuoi occhi. Quella sera la santa messa
non è stata celebrata nella piccola chiesa di
Sant’Angelo, ma a casa tua, e l’altare è stato il
tuo corpo massacrato dal tumore, come il corpo di Cristo, massacrato dalla barbarie umana
e inchiodato sulla croce». Il suo primo «tragico
incontro con la morte» fu ad otto anni, quando
uscendo di scuola, un fulmine colpiva Rosario, il ragazzo più povero che si recava a scuola
scalzo. «Ho visto il fulmine entrare nel piccolo
corpo (ero a pochi metri di distanza) ed uscirne
lasciando Rosario per terra, senza vita, nero
come un carbone e roteare a forma di palla di
fuoco e finire sul muro di una casa vicina».
In questo libretto don Fiorillo ci ricorda come tanti quadretti scolpiti nella roccia la sua
vita di religioso in senso vero. Del prete che
proietta la sua missione nel sociale. Tra le sue
esperienze nel sociale quella di Sant’Angelo
quando sostenne in prima persona le proteste
pacifiche di quella gente per rivendicare una
vita più civile, privo com’era quel paese di fogne, di rete idrica, strade nella campagne,
“Fotografate”
le tappe
più salienti
del suo
ministero
scuola media, ufficio postale e altro ancora.
Dovette subire per suo impegno coraggioso
un processo e chi scrive è stato un cronista testimone di quei giorni, riportando quegli avvenimenti sui giornali dell’epoca e tra questi
la Gazzetta del Popolo, una gloriosa testata poi
estinta. Piccolo ma prezioso e ricco questa volumetto de “La Messa sul Monte”. Nella “moltitudine” don Peppino individua e «vede» tutti. I confratelli francesi incontrati sui Pirenei,
le comunità emigrate in Australia, con don
Milani, con don Marcello Mennini, giovane
prete salesiano morto di cancro a 35 anni che
ha voluto essere sepolto non a Roma sua città,
ma a Nocera Terinese dove ha svolto il suo apostolato. «Vede» le comunitàdi Francica, di Vena di Jonadi prima di approdare in quella di
San Leoluca per raccogliere l’eredità di Mons.
Onofrio Brindisi. «In questi anni – scrive don
Peppino – ho rallentato il mio correre per
ascoltare, guardare i visi, lenire con la parola
che aiuta, gli affaticati e gli oppressi, offrire
speranza con gioia, con il sorriso, e soprattutto con latestimonianza ai giovani, aiquali che
possono sulla terra rubano il futuro e tarpano
le ali. E ancora: «Rallentare il passo, oggi per
me è anche rendere visibili gli invisibili, i poveri. Essi non compaiono sui giornali, sugli
schermi televisivi, perché non hanno volto né
voce. Ed invisibili sono gli immigrati, i senza
documenti».
«Vede» le opere realizzate, la Chiesa di
Sant’Angelo e di Gesù Salvatore a Jonadi. E
grandi sono le sue lodi al Signore per quello
che gli ha concesso di fare come i Centri di Emmaus di Sant’Angelo e di Francica, di sorreggere le case di accoglienza, Casa di Nazareth e
Casa di Marta di Vibo Valentia. Nelle sue lodi
finali al Signore non dimentica nessuno dai
sacerdoti con i quali ha condiviso un cammino
pastorale, ai vescovi che hanno illuminato il
suo cammino, al suo impegno nella lotta alla
‘ndrangheta quale referente provinciale di Libera. “La Messa sul Monte” è un raggio di luce
di luce che inonda i nostri cuori . Ci permettiamo perciò di suggerire a don Peppino pubblicare, perchéciascuno lo possa averenella propria casa, aiutando con la sua vendita i bisognosi e i molti, moltissimi che vogliono sentire ancora la parola di questo prete che tanto
può ancora dare alla comunità.
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Monsignor Giuseppe Fiorillo
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IL CASO
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Don Fiorillo, missione interrotta
Permane lo sconcerto tra i fedeli per la mancata proroga del vescovo
SONO passati diversi giorni e
permane lo sconcerto ma non
la rassegnazione nella comunità dei credenti vibonesi. Lo
si rileva parlando con la gente, non solo coi fedeli che seguono le funzioni religiose
con costanza, ma anche con
coloro che in chiesa non si recano abitualmente. Sconcerto e da parte di qualcuno anche indignazione per le messa a riposo di monsignor Giuseppe Fiorillo, costretto a lasciare la guida della Parrocchia alla quale fa capo il Duomo di Santa Maria Maggiore
e San Leoluca.
Non è chi non veda in questa decisione quasi un atto
d’imperio da parte del vescovo Luigi Renzo, il quale ha
sempre detto di aver osservato solo la norma del diritto canonico che prevede il collocamento a riposo dei sacerdoti
una volta compiuti i 75 anni
di età.
Il Vescovo così facendo ha
ignorato una discrezionalità
che la stessa norma concede
in presenza di obiettive quanto positive situazioni. E gli
esempi anche tra i suoi confratelli non mancano. Nel caso specifico ci troviamo di
fronte a un sacerdote come
Giuseppe Fiorillo, familiarmente per tutti don Peppino,
che ha saputo accattivarsi la
simpatia o meglio l’affetto
della gente. Difficile trovare
qualcuno che abbia detto o
ancora dica una parola che
non sia di stima per lui. Stima
Il vescovo della Diocesi, monsignor Luigi Renzo
ed affetto derivanti dal modo
umile e generoso di proporsi
con gli altri. Mai nessuno, diciamo nessuno, che in qualunque occasione non sia stato accolto da lui con un abbraccio e col suo inimitabile
sorriso. Mai nessuno che se
ne sia andato a mani vuote
quando ha bussato alla sua
porta per una richiesta di aiuto, per un consiglio. Un prete,
don Peppino, che possiede
un’enorme capacità di accogliere, di dare fiducia anche
ai più disperati e questo con
grande slancio ed estrema
naturalezza.
Un prete che ha esercitato il
suo ministero in senso moderno, non isolato in sagrestia ma aperto ai problemi di
un’epoca tormentata come
quella che stiamo vivendo.
Un prete che ha esteso il suo
esercizio pastorale oltre i muri della chiesa, che si è calato
nelle realtà più povere e più
tristi, consolando e aiutando.
Una decisione quella di monsignor Renzo che ha lasciato
sbigottita l’intera comunità
vibonese (lo possiamo dire
forte) che non l’ha capita nè
tanto meno condivisa. Una
comunità alla quale mancheranno le omelie di Don Peppino, quel suo modo semplice di
parlare che penetrava nel
cuore di tutti. L’età in certi casi non può essere vista come
uno steccato a proseguire in
un impegno utile agli altri,
quando ancora forze, intelligenza, capacità e rispetto per
gli altri e dagli altri sono ancora vivi. Aver sottratto questo prete alla sua gente è un
atto che nessuno ha capito.
La speranza, ma è anche un
auspicio, è che don Fiorillo
possa ancora donarsi agli altri, con le sue opere e la sua parola e questo per il bene di tutti.
d. m.
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