Quattro colonne
SGRT Notizie
Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori
per la Formazione e l’Aggiornamento di Giornalismo Radiotelevisivo
– ANNO XXIV n° 5 15 marzo 2015 –
AUT.DR/CBPA/CENTRO1 – VALIDA DAL 27/04/07
Controlli
a tappeto
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P.
70% regime libero
Con i carabinieri
per una notte
tra inseguimenti,
richieste di documenti
e interventi nei locali
Minimetrò e ZTL
tra elogi e polemiche
Caritas: così aiutiamo
i poveri di Perugia
pag. 5
pag. 8
Società calcio:
fallimenti a catena
pag. 12
Attualità
Una notte in
radiomobile
Controlli a campione
nei locali e sulle auto.
Così si mappa
il territorio
di Alice Bellincioni e
Gianluca De Rosa
È
mezzanotte di un venerdì sera
quando suoniamo alla porta del
comando provinciale dei carabinieri di Perugia. Ci aspettano quattro ore
insieme alla radiomobile. Ad aprirci è il
piantone, il primo e anche l’unico perugino tra i militari che incontreremo nella
notte. Il lavoro però l’ha portato lontano
dal capoluogo umbro, dove è tornato
solo sette anni fa. Negli anni ’90 si è spostato tra l’Emilia e la Lombardia, per poi
trasferirsi a Napoli. «Stavo a Secondigliano, una zona facile, facile» racconta
con un tono tra l’ironico e il malinconico.
«Per certi aspetti, stavo meglio là», ma
non fa in tempo a spiegarsi, perché arrivano le nostre ‘guide’, i due uomini della
radiomobile. Sono entrambi campani:
Mario, sulla cinquantina, potrebbe essere il padre del suo collega più giovane.
Li seguiamo fra i corridoi del comando,
per aspettare insieme a loro l’arrivo del
tenente con cui ci siamo accordati.
Nei loro uffici notiamo tanti oggetti alle
pareti: targhe, fotografie, ma anche vecchi manganelli.
Trascorsi pochi minuti, arriva il tenente Dilio: è una giovane donna viterbese,
che a Perugia guida il NOR, il Nucleo
Operativo Radiomobile. Anche se non
è di turno, ci annuncia che passerà la
notte con noi. Preoccupati di prendere
una multa per eccesso di velocità, gli
2 | 15 marzo 2015
domandiamo come ci dobbiamo comportare se la volante accende le sirene
e accelera. «Innanzitutto non si chiama
‘volante’ – che è quella della polizia –
ma radiomobile», ci risponde divertita la
tenente, che ci spiega che non è quella
l’auto che dobbiamo seguire, ma un’utilitaria di servizio, blu notte e senza
stemma. Su quest’auto, che si frapporrà
tra noi e la radiomobile per tutte le ore
successive, viaggeranno lei e altri due
militari. La nostra sarà una sorta di ‘vi-
«Il controllo
del territorio
sembra noioso,
ma è la base
del nostro lavoro»
sita guidata’ al mestiere del carabiniere.
«Vogliamo mostrarvi tutte le nostre attività», ci dicono le nostre ‘guide’, mentre
discutono tra loro su “cosa farci fare”.
Con un po’ d’imbarazzo la carovana
delle tre macchine si mette in marcia.
Seguiamo le due auto trascurando
qualche precedenza per non rimanere
indietro. Dopo qualche minuto facciamo una prima sosta, davanti a un locale di Strozzacapponi, alla periferia di
Perugia. Gli uomini dell’arma entrano e
chiedono a tutti i documenti, che possono essere controllati dall’automobile attraverso un collegamento con la
centrale. Un sistema con cui in pochi
minuti i carabinieri riescono a verificare
che un extracomunitario ospite del locale sia effettivamente in possesso del
permesso di soggiorno, che ha dimenticato a casa.
“Il controllo degli avventori” – così lo
definiscono i carabinieri – termina dopo
poco. Chiediamo cosa stessero cercando nel locale e se avessero avuto
qualche segnalazione. È l’occasione di
spiegarci in cosa consista il lavoro della
radiomobile: «Gli viene assegnata una
zona di competenza per ogni turno (che
è di 6 ore) – ci racconta la tenente Dilio
– dentro la quale i nostri uomini provvedono al controllo del territorio». Questo
consiste essenzialmente nel fermare
persone nei locali, in giro per la città o in
automobile e chiedere loro i documenti. Non si tratta di sospettati o indagati,
ma di qualsiasi persona che i carabinieri
scelgano di controllare. «Siamo venuti
in questo locale perché è uno dei posti
più frequentati nella zona che dobbiamo
controllare questa notte». I settori territoriali nel Comune di Perugia – scopriamo – sono quattro, due assegnati alla
polizia e due ai carabinieri a rotazione
ogni 24 ore.
Attualità
Un lavoro di routine – lontano dall’immaginario dei carabinieri in azione – ma
indispensabile per garantire la sicurezza e poter svolgere qualsiasi attività
d’indagine. Infatti dei controlli svolti dalla radio resta traccia nella gigantesca
banca dati delle forze dell’ordine. «Quel
biondo là per esempio ha un precedente per furto», ci dice uno degli uomini
in macchina con la tenente. È l’unico in
borghese, ma si capisce che è un carabiniere dal distintivo che porta al collo. È
del nucleo operativo di Perugia, guidato
anch’esso dalla tenente Dilio. «Facciamo un lavoro completamente diverso
dalla radio mobile: noi lavoriamo in
borghese e se vediamo una persona
sospetta, non la fermiamo, la seguiamo», ci racconta il militare. Il nucleo
operativo svolge infatti l’attività d’indagine per i reati meno gravi (i più gravi
competono al reparto operativo provinciale), lavorando spesso a contatto
con polizia giudiziaria e procuratori. Un
lavoro che viene dopo l’avvenimento
di un fatto. Domandiamo quindi cosa
ci faccia con la radiomobile. «L’ho portato io, per farvi vedere tutto il lavoro
del mio reparto», interviene la tenente.
È a lei che chiediamo di più sul lavoro
di ‘mappatura’ del territorio della radiomobile, curiosi di sapere cosa comporti
essere controllati dai carabinieri. «Assolutamente niente – ci risponde – ma
se per esempio una delle persone che
controlliamo oggi, il mese prossimo
commette un reato, allora sapremo
dov’era e con chi era stasera». Potrebbe non servire a nulla, ma a volte – sostengono le nostre guide – capita che
dia una svolta alle indagini.
Il controllo del territorio però è solo
metà del lavoro della radiomobile, che
interviene anche in caso di emergenze.
È quello che pensiamo stia avvenendo appena risaliti in macchina, vicino al
cinema UCI. La radio accende le sirene
e corre via. Dopo pochi minuti rivediamo i lampeggianti: i carabinieri stanno
facendo segno a un’automobile di accostare. A bordo una giovane coppia, che
consegna ai militari oltre ai documenti
d’identità, patente e libretto. Risulta tutto nella norma e i due ripartono. «Non
c’è il rischio che le persone si spaven-
sopra: il cruscotto della radiomobile
Sotto: un posto di controllo
Nella pagina a fianco: il comando provinciale
dei carabinieri di Perugia
tino a essere inseguite dai carabinieri
senza apparente motivo?» chiediamo.
«Se non hanno nulla da nascondere
non vedo perché dovrebbero spaventarsi», ci risponde leggermente seccato
il secondo uomo che accompagna la
tenente. Il carabiniere, di cui per tutta
la nottata non scopriamo il ruolo, è di
Roma, stava al comando di Trastevere
fino all’anno scorso, poi si è fatto trasfe-
rire a Perugia per raggiungere la moglie
che già lavorava qui. «Perugia non è
Roma – ci dice – si sta meglio, non solo
perché il lavoro è meno impegnativo,
ma anche perché è una città più piccola e meglio organizzata». Anche qui
però non è tutto rose e fiori per le forze
del’ordine. «Continuano a tagliare sulla
sicurezza, quando invece si dovrebbe
investire», si lamenta la tenente che
precisa però che questo è un problema
che riguarda l’Italia intera.
In quel momento ci raggiunge la seconda radiomobile in servizio, che si
apposta dall’altro lato della strada. «Ho
organizzato un posto di controllo su entrambe le direzioni», ci spiega la tenente. Si tratta di quello che erroneamente
viene definito ‘posto di blocco’: «Dal
posto di blocco non passa nessuno,
qui fermiamo solo alcune auto, quelle
più sospette». Per il sospetto, scopriamo, può bastare un’ammaccatura o la
carrozzeria sporca, ma anche un modello eccessivamente appariscente. I
carabinieri fermano così una Mercedes
sportiva bianca. Durante il controllo si
avvicina un’auto che, visti i militari, fa inversione e scappa. Una delle macchine
parte all’inseguimento, ma non riescono
a raggiungerla, perché è scattato l’allarme in una villa.
Risaliamo tutti in auto e andiamo verso Ponte della Pietra. La direzione ce la
dà il Gps, che parte in automatico quando la centrale segnala un’emergenza.
Percorriamo un imponente viale alberato, fino al cancello della lussuosa villa.
«È della proprietaria di un importante
centro commerciale perugino», ci racconta Mario, l’uomo della radio esperto
in scorte. «Ho lavorato tanti anni nel sud
d’Italia,
proteggendo politici e magistrati, ma
anche persone comuni, che avevano
bisogno della scorta per brevi periodi».
Intanto gli altri, scavalcando il cancello su autorizzazione della proprietaria,
si sono avventurati all’interno della villa,
ma l’allarme sembra essere scattato per
errore. «La forte pioggia di questi giorni –
commentano le nostre guide – può aver
danneggiato il sistema elettronico».
La tenente – provata dallo straordinario che le abbiamo fatto fare e a solo
poche ore dal suo turno della mattina –
ci invita a tornare al Comando.
Giunti lì ci congeda sorridendo: «Controllo degli avventori, delle auto e pronto
intervento: questo è più o meno tutto
quello che facciamo».
15 marzo 2015 | 3
Attualità
In città diminuiscono i reati
ma è ancora allarme
Calano del 12% in un anno. Il nuovo Patto per la sicurezza
presenta una situazione confortante ma i cittadini sono titubanti
A
lla domanda «secondo lei Perugia è più sicura rispetto all’anno
scorso?» molti cittadini hanno
detto di non sentirsi protetti, di avere
paura non solo di notte, ma anche in
pieno giorno. «Non siamo xenofobi –
dice un signore – ma questi stranieri
hanno rovinato la città».
Indignazione, scoraggiamento e anche un po’ di paura del forestiero sono i
sentimenti più diffusi. Eppure Perugia si
sta rivelando una città più sicura; lo dimostra il dossier d’intesa tra Comune e
Governo presentato a Palazzo dei Priori.
In quella sede, alla presenza del sindaco Andrea Romizi e del prefetto Antonella De Miro, il sottosegretario all’Interno Giampiero Bocci ha elencato i dati
positivi raccolti dall’inizio del 2014 fino
ai primi mesi del 2015 rispetto al 2013.
I risultati presentati sono sorprendenti:
meno 11,8% il trend generale di reati
commessi. Questo vuol dire che, se nel
2013 sono stati commessi 100 reati, nel
2014 ne sono stati commessi 88.
La città è cambiata, le istituzioni sono
ottimiste. Ma i cittadini? Se i numeri parlano chiaro, è anche vero che la percezione che hanno i perugini dei reati è
ben lontana dalle classifiche.
In località Ponte Felcino, nella periferia del capoluogo, i residenti sono
arrabbiati. Una commerciante, proprietaria di una gioielleria, dice: «Qui non
passa nessun avvocato di buon cuore
ad aiutarmi se entrano a rubare». Il riferimento è all’episodio accaduto poco
più di un mese fa in una gioielleria del
centro, quando un avvocato è intervenuto e ha fatto scappare i ladri.
In periferia i furti avvengono quasi tutti
i giorni e «se non rubano spacciano sotto casa» dicono gli sfortunati residenti.
Stessa situazione in via Fonti Coperte, un quartiere storico della città, dove
i furti e le rapine sono numerosi. Qui i
malviventi colpiscono in tarda serata e
così c’è una sorta di coprifuoco appena
cala il sole.
La commissione dei cosiddetti reati
predatori (rapine e furti) non è legata
ad un’ondata di immigrazione, ma alla
povertà della popolazione: nonostante
le telecamere di cui si muniscono i supermercati, molti sono i furti di beni di
prima necessità.
«I risultati ci sono.
Cittadini, non
preoccupatevi»
Capo di Gabinetto Questura
Tuttavia, non sarà esagerata la percezione dei cittadini alla luce del positivo
rapporto? Lo abbiamo chiesto al Capo
di Gabinetto della Questura di Perugia,
il dottor Francesco Barba.
Il primo problema riguarda, secondo
lui, la comunicazione: «I vari mezzi sono
utili per tante ragioni, ma molto spesso
contribuiscono a diffondere più paura
del necessario portando alla luce degli
episodi – definiti casi mediatici – che
vengono esasperati». Le fonti utilizzate
dalla polizia per stilare i rapporti sulla criminalità sono il risultato di dati elaborati
su soggetti e fatti-reato con tendenze
chiare e reali. «Ciò che fa variare le tendenze sono: in positivo, i dati provinciali
e, in negativo, quelli che riguardano il comune di Perugia». La città ha infatti una
morfologia criminale atipica o meglio,
come dice il primo dirigente «che la caratterizza e distingue rispetto alle altre».
Caratteristiche che l’hanno resa nota
come punto di snodo per lo spaccio internazionale, ma «se abbiamo raggiunto questi risultati è anche perché abbiamo compiuto delle attivtà specifiche».
Operazioni del genere sono servite
anche per sgominare bande di ladri,
scippatori seriali ed esperti rapinatori e
questo ha contribuito a ripulire la città.
«Capisco chi avverte il pericolo più concreto: in periferia è più facile colpire»,
ma i risultati sono davvero buoni perché
«dopo 15 anni, è la prima volta che diminuiscono i reati».
Maria Giovanna La Porta
I consigli dell’esperto
Abbiamo chiesto a Michele De Pascale, titolare dell’istituto di vigilanza privata CRC Global Security (una
realtà che opera in Umbria e nel Lazio), quali sono le regole d’oro per
provare a difendersi dai furti in appartamento.
«Evitare di tenere in casa grosse somme di denaro; ricordare che i luoghi più
esaminati dai ladri sono la camera da
letto e il soggiorno; luce e rumore ten-
4 | 15 marzo 2015
gono lontani i malintenzionati; non aprire mai la porta a sconosciuti.
Queste sono, sicuramente, buone norme di comportamento ma non bastano.
Occorre realizzare interventi di protezione per rendere più sicure le nostre case
con un approccio integrato tra protezioni passive (porte blindate, inferriate) e
attive, mediante l’adozione di un sistema di sicurezza proporzionato al valore del bene protetto. Per semplificare,
così come è sbagliato proteggere una
bicicletta dal valore di 500 euro con una
chiusura da 5 euro (sarebbe ottimale
un rapporto 1 a 10), mi sento di sconsigliare al proprietario di una villa, magari
isolata, di installare un impianto antintrusione senza fili da 1.000-2.000 euro.
Il mio suggerimento è quello di proteggere il più possibile le aree esterne, il
perimetro dell’abitazione (porte e finestre) ed infine i locali interni».
Attualità
Minimetrò, croce e delizia
In tanti lo amano, ma c’è qualche riserva: così serve solo ai turisti
«Il centro sta diventando un deserto, i trasporti vanno ripensati»
A
Perugia, dire mobilità significa
pensare per prima cosa al Minimetrò, croce e delizia per il sistema dei trasporti nel capoluogo umbro.
Un’opera di avanguardia: forse troppo, secondo i detrattori, che la credono
eccessivamente ambiziosa per la città
di Perugia. Inaugurato nel 2008, il Minimetrò deve fare i conti anche con i
numeri. Ce ne sono di impietosi: come i
dieci milioni di euro che il Comune deve
trovare ogni anno per fare fronte al disavanzo di gestione; e come i risultati del
progetto PMetro, un rilevatore montato
su una vettura che ha monitorato il livello di polveri sottili in città per poi scoprire
che l’entrata in funzione del servizio non
ha portato nessun beneficio per traffico
ed inquinamento.
Ma c’è anche qualche dato positivo:
agli utenti, per esempio, la metropolitana leggera perugina piace. Un sondaggio dell’Istituto Piepoli ha certificato un
grado di soddisfazione del 97 per cento, forse il risultato più alto d’Italia per
quanto riguarda il trasporto pubblico. E
se il numero dei passeggeri cresce a fatica, va rilevato il successo che stanno
avendo i weekend “a trasporto gratis”
(gli ultimi due di marzo): nel primo dei
due fine settimana di promozione, il minimetrò ha riscontrato un vero e proprio
boom.
In città i pareri sono contrastanti. Francesco Giuliani, uno studente 18enne, è
tra gli entusiasti: «Con il minimetrò mi
trovo benissimo, è molto comodo. Sono
molto soddisfatto di questo servizio e in
generale della mobilità di Perugia».
Un problema sentito è quello del prezzo. È la critica che rivolgono due turisti di Avezzano, di passaggio in città e
comunque entusiasti del minimetrò, e
anche il praticante avvocato Carmelina:
«Lo uso unicamente “per necessità”.
Dalla Calabria ho portato la macchina,
ma lavorando in centro non posso usarla. Il prezzo è sicuramente alto, specialmente per gli studenti. Faccio un esempio: a Milano, con una rete molto più
ampia, l’abbonamento costa 22 euro.
Qui a Perugia dobbiamo pagarne 45.
Inoltre gli orari: la frequenza dovrebbe
essere portata fino a tarda sera, arrivare solo alle 23 non è di grande utilità».
Ma dal Comune fanno sapere che già
così, economicamente parlando, il mini-
I numeri
Secondo le stime presentate durante la fase di approvazione, il Minimetrò avrebbe dovuto essere utilizzato
da una media di 15mila persone al
giorno. A sei anni dalla sua entrata
in funzione però non ne ha raggiunte neanche la metà: nel 2013 la media degli accessi giornalieri è stata di
circa 7mila, una cifra comprensiva
anche di picchi da 40mila utenti al
giorno rilevati durante eventi come
Eurochocolate e Umbria Jazz.
metrò è affare in perdita: impossibile far
pagare di meno.
Quello della mobilità in città è comunque un discorso importante. Specialmente considerando quanta rilevanza
ha il traffico: l’ultimo rapporto di Euromobility vede Perugia al terzo posto
nella classifica delle città italiane sopra
i 100mila abitanti con più automobili
pro capite: il tasso di motorizzazione è
di 69,5 auto ogni 100 abitanti, rispetto
ad una media italiana a quota 58,4 e ad
una europea al di sotto del cinquanta.
In generale, la percezione dei perugini è che il sistema dei trasporti vada
ripensato: sembra che sia creato per i
turisti, piuttosto che per i cittadini. È l’idea di Raffaella. «Non uso spesso il minimetrò, solo quando devo raggiungere
il centro e vi sono praticamente “costretta”. In generale credo che sia un’opera
buona, ma all’interno di una realtà come
Perugia è inutile. La nostra è una città
strutturalmente difficile: la macchina è
fondamentale, anche perché con la sola
mobilità cittadina non si arriverebbe da
nessuna parte».
«Il minimetrò serve solo a raggiungere il centro – conclude Raffaella – ma
in centro ci sono sempre meno uffici,
meno scuole, i negozi sono solo quelli
delle solite multinazionali. Ormai a cosa
serve andare in centro? Bisognerebbe
rifare tutto da zero, e prendere atto che
le priorità sono cambiate».
Alessandro Salveti
15 marzo 2015 | 5
Attualità
ZTL
La giusta ricetta
per salvaguardare
i centri storici?
di Iacopo Barlotti
L
a tutela dei monumenti e delle bellezze artistiche, gli interessi dei
commercianti, le esigenze di turisti
e residenti. Mescolate il tutto ed ecco
uno dei più annosi problemi delle amministrazioni locali: la salvaguardia e la
valorizzazione dei centri storici.
Per contrastare l’inquinamento nelle
città la mossa più in voga, al giorno d’oggi, è la regolazione del passaggio delle
auto. La “Zona a Traffico Limitato” (ZTL)
vieta o limita l’ingresso alle vetture nelle zone centrali in determinati orari. Le
eccezioni, di solito, sono per residenti,
commercianti, invalidi.
La mossa di pedonalizzare il centro storico, d’altra parte, fu uno dei cavalli di battaglia di Matteo Renzi che, cinque anni fa,
da sindaco di Firenze, vietò il passaggio
da piazza del Duomo di taxi, autobus, e
mezzi privati. A Milano il sindaco Pisapia
sollevò un polverone con l’introduzione di
una zona (la cosiddetta “Area C”) dove
entrare solo a pagamento.
6 | 15 marzo 2015
E anche a Perugia la questione ZTL
fa ovviamente discutere. Nel capoluogo
umbro il centro è vietato al traffico nelle
ore notturne e mattutine: gli accessi ai
varchi del centro storico e di corso Garibaldi sono chiusi da mezzanotte alle 13.
Tradotto: per quasi metà giornata, dall’ora di pranzo in poi, chiunque può tranquil-
A Perugia stop alle auto
solamente di mattina
«Ma per rilanciare il
cuore della città
serve anche altro»
lamente circolare in centro. E nei giorni
festivi va anche “meglio”: il centro è aperto alle auto per tutto il giorno dalle 7 di
mattina in poi. L’eccezione è per il varco
di via del Roscetto, dal quale si può passare, tutti i giorni, solo dalle 16 alle 20.
«In realtà qua il centro è chiuso pochissimo, visto che il traffico è limitato solo
la mattina» spiega Giancarla Cicoletti,
vicepresidente dell’associazione La città
di tutti che si batte per la valorizzazione
del centro storico di Perugia. «Mi ricordo che negli anni Settanta, prima che
si cominciasse a pensare alla ZTL, per
corso Vannucci transitavano le auto. Poi
si è iniziato a chiudere la zona, ma non è
stata fatta una politica di incentivazione
dei parcheggi. Perché oggi lasciare l’auto costa un occhio della testa». E poi la
questione dei mezzi di trasporto: «Non
è solo un problema di ZTL e varchi: è
necessario trovare dei modi per favorire
l’uso del mezzo pubblico anziché di quello privato. Qualche anno fa fu introdotto
il Noctibus: era un autobus notturno che
collegava piazza Italia con l’Università
per Stranieri. Ma i privati potevano tranquillamente lasciare l’auto in piazza Italia: è ovvio che fu un fiasco».
Oggi i collegamenti pubblici – in una
città come Perugia, particolare per la sua
conformazione territoriale – non riesco-
Attualità
no ad essere del tutto soddisfacenti. «Le
scale mobili funzionano benissimo, e
sono perfettamente inserite nel paesaggio: sono modernissime ma non disturbano, a differenza del minimetrò. Che è
molto efficiente ma ha costi di manutenzione altissimi».
Al di là della questione traffico, la valorizzazione del centro storico è un problema che negli ultimi anni è tornato di grande attualità a Perugia. «Negli anni Ottanta c’erano trentamila abitanti in centro.
Poi per vari motivi c’è stata una trasformazione che ha portato prima all’arrivo
di molti studenti, e adesso a un notevole
spopolamento. Io sono del parere che il
centro storico vada ripensato in termini
di funzioni. Prima c’erano uffici comunali, esattorie, studi professionali. Oggi c’è
poco o niente, e tutto molto disperso».
Un tema, quello del centro storico, che
sta a cuore anche ai commercianti. «Bisogna trovare il modo di rilanciarlo» spiega Riccardo, edicolante di via dei Priori.
«Oggi la gente non ci abita più e non ci va
neanche a fare la spesa, visto che i centri
commerciali periferici sono più economici
e ovviamente più comodi da raggiungere». Ecco, allora, che la questione della
viabilità torna attuale: «Più che pensare
alle limitazioni bisogna fare in modo che
si torni a investire in centro. E in questi
termini la ZTL non aiuta, anche perché
non so quanto possa davvero servire a
ridurre l’inquinamento». Alla tabaccheria
di Corso Vannucci, la via pedonale per
eccellenza di Perugia, Grazia spiega:
«È vero, la ZTL porta meno persone in
centro. Ma il problema è che manca un
raccordo con la periferia. Ad esempio,
si potrebbe almeno far entrare i bus turistici: so che alcuni viaggi organizzati,
ad esempio, non fermano neanche più a
Perugia, dal momento che sono costretti
a lasciare le persone a Pian di Massiano.
E il minimetrò costa». Una milanese, in
visita nella città del Grifo, si lamenta che
ha dovuto «lasciare l’auto molto lontano,
e poi fare una bella scarpinata a piedi
da corso Cavour». Il problema, dice la
signora, qui «non è la ZTL, ma i collegamenti: anche a Milano esistono molte
limitazioni, ma abbiamo la metropolitana
e le cose vanno assai meglio».
Col nuovo sindaco Romizi, negli scorsi
mesi, si era paventata l’ipotesi di un’ulteriore apertura del centro al traffico, proposta subito bocciata dall’opposizione.
Per ora la certezza è che, da un’amministrazione all’altra, il dibattito su come
rilanciare il cuore di Perugia continua.
Così a Perugia
L
a Zona Traffico Limitato di Perugia
è controllata da nove varchi di ingresso al centro. In via del Roscetto
l’accesso è consentito tutti i giorni
dalle 16 alle 20. Negli altri varchi è
consentito dalle 13 alle 24 nei giorni
feriali e dalle 7 alle 24 nei giorni festivi. I permessi per l’ingresso nella ZTL
possono essere richiesti da residenti,
dipendenti, artigiani, e altre categoria: costano dai 12 euro ai 70 euro
all’anno, mentre sono gratuiti per le
auto elettriche (al primo anno), per
gli invalidi e per le donne incinta dal
sesto mese di gravidanza fino ai sei
mesi del bimbo.
I nove varchi predisposti per il rilevamento del passaggio dei veicoli si trovano in viale Indipendenza,
via Battisti, via della Sposa, via delle
Conce, via del Roscetto, corso Garibaldi, via Appia, via Solitaria, via San
Sebastiano. Le telecamere registrano
il passaggio delle auto (e relative targhe) solamente in entrata, e non in
uscita. Le isole pedonali si trovano:
nel tratto di corso Cavour che va dalle
Scalette di Sant’Ercolano; in via Bontempi; in via Bonazzi; in piazza Alfani;
in piazza IV novembre. Qui l’accesso è
consentito solo di prima mattina per
le attività di carico e scarico merci.
Il varco di via della Sposa e, sopra,
il tabellone di segnalazione in via Battisti.
Nella pagina accanto, il varco di via Appia
con, sullo sfondo, il duomo di Perugia
Così nelle altre cittadine umbre
N
on solo Perugia. Moltissime città e paesi dell’Umbria prevedono limitazioni al traffico nei centri storici. A Terni ci sono 12 varchi, attivi 24 ore su
24: l’unica eccezione riguarda gli accessi di via Corona (ingresso) e via delle
Portelle (uscita) in cui l’accesso è consentito tutti i giorni dalle 6 alle 19 anche
ai veicoli non autorizzati. Nella città dell’acciaio esiste anche una zona (quasi)
completamente pedonale: l’Area Pedonale Urbana, in cui il transito è consentito solo alcune ore (8-11 e 15-18) ai soggetti autorizzati, per operazioni di
carico e scarico.
A Spoleto la questione ZTL è tornata di grande attualità nelle ultime settimane: la giunta aveva disposto la chiusura del centro storico dalle 7 alle 16, ma
le proteste dei commercianti nel giro di pochi giorni hanno portato al dietrofront: varchi chiusi solo dalle 1 alle 11, nei festivi dalle 7 alle 20. Poi, nei prossimi mesi, si vedrà. Limitazioni in centro anche per Foligno e Gubbio, mentre
ad Assisi la ZTL è all’interno delle mura: l’ingresso è limitato ad alcune ore, la
sosta è consentita al massimo per sessanta minuti. Conviene quindi parcheggiare fuori nei parcheggi scambiatori.
Infine Orvieto, valido esempio di mobilità alternativa. Ci sono cinque varchi
sorvegliati da telecamere: alcuni sono aperti solo alle vetture autorizzate, altri
solo in determinate finestre orarie. Ma grazie a una funicolare e a percorsi meccanizzati (ascensori e scale mobili) è garantita un’elevata accessibilità a tutti.
15 marzo 2015 | 7
Economia
S
eduta dietro la scrivania, Stella
Cerasa sfoglia le pagine dell’agenda. «Vedi», dice mostrando
le pagine fitte di nomi e indirizzi, «queste sono le persone che non riescono
a pagare le bollette. Noi raccogliamo
le richieste durante la settimana e poi
il lunedì andiamo a pagare». La lista
si allunga pagina dopo pagina: gas,
luce, acqua. «Ovviamente se c’è qualcuno che rischia che l’utenza gli venga staccata non aspettiamo il lunedì,
ma saldiamo subito il debito. Agli altri
diamo un appuntamento, anche perché le persone sono sempre di più e
non riusciamo a gestire tutte le richieste”. Stella posa l’agenda e prende un
raccoglitore: quasi non si chiude per
quanto è pieno. «Qui teniamo le bollette in ordine alfabetico», dice. «Ci sono
persone che vengono a chiederci aiuto occasionalmente, ma un buon 60%
sono gli stessi che tornano ogni mese,
sempre più disperati».
Anche il raccoglitore torna al suo
posto, poi Stella alza gli occhi e dice
seria: «La Caritas non potrà farcela da
sola ancora per molto. Per aiutare tutti,
servono 8 o 9mila euro a settimana. È
troppo anche per noi».
Stella Cerasa lavora alla Caritas da
25 anni. È lei ad occuparsi del Centro
di ascolto: fuori dal suo ufficio i disperati stanno in fila, aspettano di parlare
con lei per trovare una soluzione ai loro
problemi. Mentre parliamo bussano
alla porta: è una donna, esile, dagli occhi chiari, si capisce che è spaventata.
Ha perso il lavoro a settembre, racconta, quando è scaduto il contratto a tempo determinato. Ha un mutuo da 700
euro al mese e una bambina. Lei e suo
marito non riescono a tirare avanti. Ha
aspettato prima di chiedere aiuto alla
Caritas, sperando di riuscire a cavarsela da sola. Ma il lavoro non si trova, e le
scadenze dei pagamenti incalzano. «In
questa situazione, quando hai bollette
da pagare, debiti da risanare e il lavoro
non lo trovi, i mesi sembrano passare
più velocemente», confessa. Mostra le
ultime bollette che non ha potuto pagare. Stella guarda il conguaglio del
gas e sgrana gli occhi: «Questa la devi
rateizzare immediatamente!» dice. La
donna si stringe nelle spalle: ha provato a fare la richiesta, ma gliel’hanno
rifiutata perché aveva già rateizzato la bolletta precedente. Dopo aver
ascoltato la storia, Stella tira fuori un
modulo da compilare: è una richiesta
8 | 15 marzo 2015
Perugia, la mensa della caritas in via imbriani
Una giornata alla
non c’è solo la m
per il Fondo di Solidarietà delle Chiese
umbre. È un fondo a livello regionale, è stato istituito nel 2009. «Quando
è nato riuscivamo a dare almeno 500
euro a famiglia. Oggi risentiamo anche
noi della crisi, e i soldi che riusciamo a
procurare sono di meno».
La richiesta in ogni caso è una formalità. La forza della Caritas è anche
il fatto che non
esiste burocrazia, quindi le decisioni si prendono molto più
facilmente. «Se
sappiamo che
una famiglia è in
difficoltà», dice
Stella, «non c’è
da stare lì a discutere. I soldi arrivano
e basta». La giovane donna che ha
chiesto aiuto sembra più tranquilla, alla
fine quasi sorride. Prima di andarsene
si raccomanda di farle sapere se qualcuno offre un lavoro, qualunque lavoro.
Stella scuote la testa tristemente, ma le
dice di tornare la mattina di martedì o
mercoledì: in quei giorni ogni settimana
c’è un programma di orientamento al
lavoro. Naturalmente non è un’agenzia
di collocamento, perché la legge non
lo permette, ma è comunque un modo
per aiutare nella ricerca di un impiego:
si insegna a compilare un curriculum
europeo, si danno indicazioni sui
settori in cui c’è
più probabilità di
assunzione.
La signora se
ne va e Stella
torna a raccontare della sua
esperienza
al
Centro d’ascolto. «Solo qualche settimana fa è arrivato un ragazzo che ci ha
fatto commuovere. Era un martedì, lui
si è presentato nel mio ufficio dicendo
che il sabato si sarebbe sposato. Non
aveva i soldi per comprarsi il vestito
«Se sappiamo che una
famiglia è in difficoltà,
non c’è da stare lì
a discutere: i soldi
arrivano e basta!»
Economia
Il Centro d’ascolto,
l’emporio, il consultorio,
le residenze: il mondo
di chi aiuta gli altri
di Nicoletta Soave
Caritas:
mensa
da sposo e ci ha chiesto se potevamo
aiutarlo. Ha detto che voleva un vestito bellissimo, perché la sua fidanzata
all’altare sarebbe stata bellissima, e lui
voleva essere degno di lei». È chiaro
che procurare un abito da sposa non è
una delle richieste tradizionali che vengono fatte alla Caritas. «Ma noi abbiamo la nostra rete di contatti, di persone
che stanno bene e sono disposte ad
aiutarci. Quindi abbiamo chiesto ad un
anziano signore che ci ha sempre dato
una mano se aveva ancora il suo abito
da sposo. Ed abbiamo esaudito anche
questa richiesta».
Ci sono poi storie meno allegre:
«Qualche giorno fa è venuta
una
ragazza
che non poteva più pagare
l’elettricità. Mi
ha detto che
se non avesse
saldato il debito le avrebbero
tagliato l’allaccio. E candidamente ha
commentato: ‘Se lo fanno combino un
casino: io alla corrente c’ho attaccato il
babbo!’. Ci ho messo un po’ per capire,
poi mi ha spiegato che il padre è in dialisi». Stella lo racconta ridendo.
Poi ci dice di questa nuova sede della Caritas perugina, dove ci ha accolto:
«Tutti questi bei mobili da ufficio che vedete ce li ha lasciati la banca che prima
stava qui. Un giorno ci hanno chiamati
e ci hanno detto che cambiavano sede,
ci hanno chiesto se oltre alla struttura
volevamo anche i mobili. Noi siamo
stati più che contenti di tenerli. Al piano
di sopra ci sono cinque appartamenti
da 160 metri quadri che non abbiamo
potuto dividere. Lì ospitiamo delle famiglie. Ovviamente, visto che gli appartamenti sono molto grandi, famiglie
diverse sono costrette a convivere. Non
è di certo una situazione ideale: se una
persona ha davvero bisogno, lo capisci nel momento in cui gli dici che deve
condividere la casa. Se non vuole, significa che non aveva poi tutta questa
necessità». La convivenza non è facile,
ci spiega, soprattutto quando devono
convivere persone di nazionalità diversa: ci sono italiani, ma anche albanesi,
polacchi, siriani, iraniani.
Ci racconta
poi dell’emporio: è una novità, c’è solo da
settembre, ma
ha avuto un
grande successo: «È un vero
e proprio supermercato, dove
chi ha la tessera può prendere gratis
tutto quello che vuole. È molto più dignitoso dei pacchi che venivano distribuiti
dai parroci».
E infine la mensa: non è in questo
edificio, ci dice, è in centro. «Serviamo
75 pasti al giorno, tutti i giorni. Vengono a pranzo e mangiano tutti insieme,
ma gli diamo anche la cena che possono portare a casa. Quelli di loro che ce
l’hanno».
Sono le sei, il turno è finito e il Centro
di ascolto riapre domani mattina. Chiediamo a Stella com’è stare tutto il giorno con i disperati, mangiare alla mensa
con i poveri, ascoltare problemi a cui
sembra non esserci soluzione. Lei sorride e risponde: «Tutti i cristiani dovrebbero farlo gratis, io sono pure pagata.
Cosa potrei chiedere di più?».
«Se qualcuno ha
davvero bisogno,
lo capisci nel momento
in cui gli dici che deve
condividere la casa»
I numeri della povertà in Umbria
Il Rapporto economico e sociale
dell’Aur (Agenzia Umbra Ricerche)
parla di situazione peggiorata: le
famiglie umbre in difficoltà, che
non riescono più a far fronte alle
spese sono aumentate. Una famiglia su tre è indebitata con mutuo
o prestito a carico. Molti sono costretti a fare delle rinunce: vestiti,
elettrodomestici, vacanze estive.
C’è anche chi non riesce a garantirsi un pasto adeguato almeno ogni
due giorni.
Oltre alle famiglie in difficoltà economiche, ci sono quelle che vivo-
no in condizione di vera e propria
povertà. Secondo l’Istat, le famiglie
povere nel 2013 sono il 10,9%, cioè
41.600 individui. L’intensità della
povertà invece (cioè quanto poveri
sono i poveri) è pari al 19,6% (su
una media italiana del 21,4%).
Molti scivolano verso la povertà a
causa dei debiti: le famiglie indebitate in Umbria sono il 29,9% (su
una media italiana di 25,3%). Invece è dell’1,8% la percentuale di
nuclei familiari finanziariamente
vulnerabili, ossia troppo esposte
rispetto al reddito disponibile.
15 marzo 2015 | 9
Economia
Spesa all’emporio
della solidarietà
Tessere al posto di carte di credito, pesciolini
anziché soldi. Benvenuti al supermercato della carità
T
atiana ha il carrello della spesa
pieno: cioccolata, pasta, passata di pomodoro, latte, biscotti,
caffè. In un supermercato tradizionale,
per acquistare questi prodotti, avrebbe
speso circa cinquanta euro, ma all’emporio Tabgha della Caritas, la sua spesa è costata solo 80 “pesciolini”.
«Sono ucraina e mi sono trasferita in
Italia quindici anni fa – dice Tatiana –
Facevo la badante, ma mi hanno licenziata. Ho una figlia piccola da mantenere e suo padre non mi ha mai pagato gli
alimenti».
Siamo nel seminterrato della struttura centrale della Caritas di Perugia, qui
ogni giorno, i volontari del centro accolgono decine di persone che, come
Tatiana, hanno bisogno di aiuto. Si
paga tutto con tessere, distribuite gratuitamente al centro di ascolto. Queste
possono contenere dai 200 agli 800
“pesciolini” mensili, a seconda della
condizione familiare e del reddito del
richiedente. Da settembre la Caritas
ha distribuito 400 tessere e 40 tessere
baby, destinate all’acquisto di prodotti
specifici per neonati.
L’emporio della solidarietà di Perugia
10 | 15 marzo 2015
«Era necessario creare un luogo dove
le persone in difficoltà potessero fare
la spesa – afferma il direttore del centro Giancarlo Pecetti – In questo modo
rispettiamo la dignità di chi si rivolge a
noi per ricevere un aiuto in un momento
difficile».
Gli empori sono una
novità per l’Umbria:
piccole realtà presenti
solo nel centro Italia.
A Perugia, per ora ne
esiste solo uno, ma la
diocesi si sta organizzando per crearne dei nuovi, sostituendoli progressivamente ad altri centri parrocchiali di beneficenza.
«Con gli empori abbiamo voluto che
la gente si sentisse a casa. Spesso
nelle Caritas parrocchiali le persone
si possono sentire umiliate: devono
mettersi in fila per ritirare il loro pacco,
che molte volte non contiene quello di
cui necessitano» dice Pecetti. Talvolta
all’interno di questi pacchi vengono inseriti alimenti che alcuni, per motivi religiosi, non possono consumare.
«Alla Caritas ci stiamo impegnando
per formare i nostri volontari, che devono essere preparati a comprendere le
esigenze di tutti, soprattutto delle persone di altre nazionalità, che hanno abitudini alimentari e usi diversi dai nostri»,
dichiara il direttore.
Sono una trentina i volontari che ogni
giorno prestano servizio all’emporio
della solidarietà; pensionati, universitari, ma anche adulti che dedicano parte
del loro tempo libero ad aiutare il prossimo. Tra loro c’è anche Filippo, trentenne di Ponte Felcino, che ha iniziato
questo percorso in un momento difficile
della sua vita. «Quest’estate sono stato
licenziato e sono entrato in depressione – afferma il giovane – Il mio parroco mi ha proposto di venire a dare una
mano qui all’emporio. Ora vengo quasi
ogni giorno in attesa
di trovare un lavoro.
Aiutare gli altri mi ha
reso una persona
felice e consiglio a
tutti i giovani di fare questo tipo di esperienza».
Nonostante le difficoltà, all’interno
dell’emporio si respira un’atmosfera familiare. Direzione e volontari organizzano una serie di iniziative per rendere
meno pesante il momento della spesa.
Martedì grasso un ragazzo ha suonato il violino per l’intero pomeriggio;
a Pasqua, invece, il cioccolato è in
promozione. Una tavoletta al prezzo
di un “pesciolino”, perché anche nei
momenti tristi, c’è bisogno di dolcezza.
«Aiutare gli altri
mi ha curato
dalla depressione»
Lorenza Sbroma Tomaro
Economia
Si mangia, si parla
e si beve: insieme
Un pasto caldo ai piedi dell’altare. Così ogni giorno
si pranza fianco a fianco alla mensa della Caritas
«È
la mascotte del gruppo, viene qui anche lei tutti i giorni». Renato sorride mentre
lascia il suo piccolo cane dalla coda
lunga correre fra le sedie della mensa.
Ha solo sei mesi. Renato, invece, frequenta la mensa da molto più tempo.
Come lui sono in molti ad arrivare
ogni giorno in via Imbriani dove dal
2008 il Punto di Ristoro Sociale “San
Lorenzo” accoglie per pranzo chi un
pranzo non può più permetterselo.
«Facciamo 75 coperti al giorno» spiega uno dei volontari che a turno lavorano alla mensa della Caritas.
Tutti i giorni, domenica esclusa, alle
12.45 in punto ci si siede attorno al
grande tavolo apparecchiato in modo
semplice ma curato. Ognuno ha il suo
posto; ai piedi dell’altare. La mensa, infatti, è ospitata in una piccola cappella
sconsacrata. In fondo, una grande pala
accoglie chi, liberamente, voglia entrare a scambiare due chiacchiere.
La mensa è un luogo in cui si pranza,
ma è soprattutto un posto in cui si siede accanto al prossimo. Si mangia, si
beve, si parla. La musica in sottofondo.
Appese ai muri, fotografie che creano
memoria. Palloncini colorati e tanti articoli che parlano di questo
luogo. «Vedete, ecco è scritto qui» ci mostra Giuseppe,
discoccupato
dal 2010, indicando un articolo di giornale appeso alla parete. «19 gennaio,
cardinale e sindaco a pranzo qui. Io ancora non c’ero ma poco importa». Condivisione, rispetto e senso della propria
dignità. Il punto di Ristoro Sociale è
questo.
Ci sediamo sulle panche in attesa
dell’arrivo del pasto. Monoporzione e
sigillato, per rispettare le ferree indicazioni sanitarie. I pasti sono forniti dal
Comune di Perugia in collaborazione
con la Caritas diocesana.
Alle 12.45 ci si siede a tavola. Le
chiacchiere che riempivano l’ex oratorio
di Simone e Giuda si attenuano. Ognuno ha il suo posto. Antonia, la veterana
del gruppo, a capotavola.
«A volte pranzano con noi anche
Stella e Silvia» dice Giuseppe. Stella è
Stella Cerasa, assistente sociale che da
25 anni lavora per la Caritas perugina.
«Prima la Caritas era in centro – spiega
Stella – e noi andavamo quasi sempre
a pranzo in mensa. Ora, da quando il
Centro d’Ascolto si è spostato in zona
stazione, è più difficile».
Le conoscono tutti qui in mensa.
«Sono davvero in gamba» sorride Giuseppe. «Io vengo qui solo da febbraio
ma senza di loro non so come farei.
L’anno scorso ho venduto la macchina.
E ora… è dura ma mi arrangio. Pagare
l’affitto è difficile e riduco le spese».
Il gruppo è ormai formato. «Si conoscono e venire qui è un modo per trascorrere del tempo insieme. Noi per
mangiare di solito rientriamo a casa,
loro escono». Un modo per spezzare
una giornata passata in solitudine, in
un ambiente protetto e familiare.
A frequentare la mensa sono soprattutto uomini e anziani, persone inviate
dai Servizi sociali territoriali, dal Centro di salute mentale e dalla Caritas. È
un’occasione anche per monitorare la
salute della persona e segnalare problemi o miglioramenti. «Per le famiglie abbiamo anche altri aiuti. I buoni Todis, per
esempio, l’emporio, le mense delle Case
di accoglienza per madri e bambini». Le
famiglie solitamente prelevano i pasti e li
consumano nelle loro abitazioni.
Finito il pranzo ci si mette in fila per
ricevere il pasto che si consumerà per cena. Questa
volta ognuno per conto
proprio. «Sotto quell’altare
succedono le cose più belle», racconta Stella. «È un
luogo piccolo ma familiare, molto casa. A Natale abbiamo fatto
una festa. Cose semplici, a costo zero.
Alla vigilia, finito di imbastire, eravamo
tutti a bocca aperta. Abbiamo preso i
candelabri dalla chiesetta sconsacrata
adiacente. Abbiamo comprato candele
rosse. Spesso, quando spieghi cosa
stai facendo, nonostante la crisi, molti
donano gratuitamente».
È così che dal 2008, in via Imbriani
a Perugia si consuma un pasto caldo
ogni giorno ai piedi di un altare.
«Sotto quell’altare
succedono
le cose più belle»
Paolo Andreatta
15 marzo 2015 | 11
Sport e
tempo libero
Un pallone
in bolletta
Dallo scandalo Parma alle
difficoltà del Foligno: ecco
cosa accade alle società
che non riescono a
far fronte ai propri debiti
F
allimento. Per il Parma Football
Club la parola fine è arrivata negli
scorsi giorni, dopo diversi mesi di
incertezza sulle sorti societarie: in estate l’abbandono dei sogni legati a un’Europa conquistata sul campo ma negata
dai primi problemi economici; a gennaio
il cambio di proprietà con l’addio di Ghirardi e l’arrivo del petroliere albanese
Taçi; due settimane dopo la nuova cessione, per la cifra simbolica di un euro,
a Giampietro Manenti, che si trova ora
in carcere. Un dramma sportivo che ha
occupato per lungo tempo le prime pagine dei giornali e che ha acceso i riflettori sulla difficile situazione del nostro
calcio.
Questa vicenda, infatti, è soltanto l’ultima degenerazione di un sistema che
ha visto fallire nel recente passato molte squadre illustri, come il Napoli o la
Fiorentina, e un’infinità di società minori, che hanno portato i loro libri in tribunale circondate da un clima di generale
indifferenza.
12 | 15 marzo 2015
Se lo scandalo Parma ha avuto un’enorme risonanza, sono ancora oggi
decine le squadre che, dalla Lega Pro
ai dilettanti, vivono una sorte simile a
quella dei ducali. Quindici giorni prima
del fallimento della squadra emiliana,
ad esempio, la stessa sentenza era stata emessa dal tribunale di Spoleto nei
confronti del Foligno Calcio, formazione
20 milioni di euro il
capitale sociale del
Parma. Ora il debito è
pari a 218 milioni, di cui
oltre 74 sono legati agli
stipendi dei tesserati
che in passato ha partecipato a venticinque campionati professionistici e che
attualmente milita in Serie D. La società
umbra, affidata come il Parma a due curatori fallimentari nominati dal tribunale,
ha deciso di proseguire la stagione proprio come i ducali. Una scelta che potrebbe garantire, almeno sulla carta, la
rinascita di entrambe le squadre.
Se infatti le società si fossero ritirate
dai campionati, avrebbero irrimediabilmente perso tutti i loro diritti sportivi.
Terminando la stagione, invece, possono ancora sperare in un salvataggio.
Come è possibile? Per capirlo occorre
considerare quello che è il compito dei
curatori fallimentari: dopo aver interrotto
tutte le procedure pendenti, essi ottengono un quadro globale della situazione
debitoria e fanno stimare la società da
un perito, che ne definisce il valore. Da
questa base viene poi disposta un’asta,
attraverso cui si cerca un nuovo proprietario.
Il buon esito di questa operazione,
tuttavia, è legato al fatto che l’acquirente sia disposto a farsi carico dei debiti pregressi della società. È su questo
punto che i destini di Parma e Foligno
potrebbero dividersi: se per salvare una
Sport e
tempo libero
squadra minore, infatti, è sufficiente nella maggior parte dei casi un investimento medio non superiore a un milione di
euro, le cifre che riguardano gli emiliani
sono ben diverse.
Il loro debito è pari infatti a 218 milioni e l’eventuale nuovo proprietario,
una volta acquisita la società, dovrebbe subito versare a fondo perduto 74,3
milioni per gli stipendi arretrati dei giocatori e dei tesserati e per le tasse che
li riguardano. Il tutto per acquisire una
squadra che, vista l’attuale posizione in
classifica, retrocederà con ogni probabilità nella serie cadetta, con una perdita ulteriore di introiti da parte dei diritti
televisivi e degli sponsor.
Nel caso in cui non si trovasse un
acquirente, la società andrebbe invece
incontro a un fallimento definitivo, sarebbe costretta a ripartire dal campionato dilettanti e per i debiti contratti si
aprirebbero diversi scenari. I più tutelati,
in casi come questo, restano i calciatori:
svincolati dai contratti e liberi di cercarsi
una nuova squadra, grazie a un apposito fondo di solidarietà istituito presso
la Federazione essi si vedrebbero corrisposti gli emolumenti dovuti. Per tutti gli
altri, dipendenti della società compresi,
si dovrebbero attendere invece i proventi dell’indotto fallimentare.
Sicuramente ai vertici federali spetta il compito di una riflessione seria su
questi episodi, che troppo spesso si ripresentano. Soltanto un anno fa è stato
abrogato il Lodo Petrucci, la particolare
procedura burocratico-amministrativa
che, per non disperdere il patrimonio
sportivo di una città, consentiva di rilevare una società esclusa dai campionati professionistici per motivi finanziari e
assegnava alla nuova proprietà un titolo
sportivo inferiore di due sole categorie
rispetto a quello di cui la squadra era
già in possesso. Ora la Federazione
rispetta comunque il criterio territoriale, considerando il bacino d’utenza nel
quale si troveranno a operare i nuovi
compratori. Una più attenta analisi si
dovrebbe però condurre, al momento
dell’acquisto, sulla solidità finanziaria
del soggetto subentrante: oggi si chiede
soltanto il pagamento dei tesserati e il
versamento dei contributi previdenziali,
che nel caso Parma corrispondono ai
74,3 milioni di euro. Peccato che, senza garanzie specifiche sul saldo dei restanti 144, qualsiasi nuova società nasca già con un piede nella fossa.
Davide Giuliani
Gli illustri fallimenti
La Fiorentina di Cecchi Gori
Nell’estate 2002 la squadra, appena
retrocessa in Serie B, non si iscrive al
campionato. La società, rilevata dai
Della Valle, cambia nome in Florentia
Viola e partecipa alla Serie C2. Nel
2003 la proprietà acquista il marchio
della vecchia AC Fiorentina. Il ritorno
in A si ha nel 2004, anche grazie alla
promozione diretta dalla C2 alla B.
Napoli, la C1 per rinascere
La società partenopea è tra le prime,
nel 2004, a sfruttare il Lodo Petrucci,
che le consente, dopo il fallimento
in Serie B, di ripartire dalla C1 con
il nome di Napoli Soccer: è l’inizio
dell’era De Laurentiis. Nel 2006,
assieme alla promozione in B, torna
anche la denominazione originaria
Società Sportiva Calcio Napoli. Dopo
un anno, l’approdo in Serie A.
Perugia, il doppio fallimento
I biancorossi sono protagonisti di due
fallimenti: il primo nel 2005 con la
famiglia Gaucci, il secondo nel 2010.
Ripartita dal campionato dilettanti,
la squadra ritornò l’anno seguente
tra i professionisti con il nome di
A.C. Perugia Calcio. Sotto la guida di
mister Camplone, il Grifo ha ottenuto
nella stagione scorsa la promozione
nella serie cadetta.
Il Bari salvato da Paparesta
Poco più di un anno fa, il 10 marzo
2014, l’assemblea dei soci dell’A.S.
Bari annunciò l’autofallimento del
club per gli ingenti debiti. Affidata
ai curatori fallimentari, la squadra
conquistò comunque i playoff per
la Serie A, ma venne eliminata in
semifinale. Fu una cordata guidata
dall’ex arbitro Gianluca Paparesta a
salvare la società acquistandone i
beni per 4,8 milioni di euro. Il Football
Club Bari 1908, nuovo nome sociale,
milita attualmente in Serie B.
15 marzo 2015 | 13
Sport e
tempo libero
A spasso con Silvia
Taglia il traguardo per prima in tutte le corse da 22
chilometri. Il suo sogno: vincere una maratona
la soddisfazione di sentirsi scendere
addosso il sudore dopo un’ora di gara
superano ogni rinuncia.
Uno sport di fatica, concentrazione e
costanza «a volte non ti girano le gambe, ma pensare alla vittoria mi fa andare
avanti e raggiungere il traguardo». Il segreto per vincere è allenarsi tutti i giorni
(in una settimana corre almeno 70 chilomeri) e fare una vita sana: mangiare
solo cose salutari, non bere e non fumare e prendere come integratori soltanto
sali e prodotti naturali.
l suoi obiettivi futuri: scendere sotto
un’ora e venti nelle mezze maratone,
la prossima sarà la “Stramilano” che
si correrà domenica 29 marzo – prima
gara nazionale a cui parteciperà – e
ovviamente vincere una maratona. Le
premesse ci sono, ha già fatto una 34
chilometri e si è piazzata bene. In bocca
al lupo Silvia.
aLessia beneLLi
I numeri del podismo
T
Silvia Tamburi durante un allenamento in via Centova (���� �� A������ B������)
utti i giorni a mezzogiorno lascia
e alla fine ce l’ha fatta. L’ultimo sucla sua scrivania di programmatocesso della Tamburi è proprio la “Pomre informatico e va a correre sulle
peithon” dove è arrivata prima nella 10
piste ciclopedonali di Perugia durante
chilometri.
la pausa pranzo. Silvia Tamburi, trenTra il 2013 e il 2015 ha vinto dieci
taquattrenne originaria di Marsciano,
mezze maratone regionali, dalla “Strasiè una delle campionesse del podismo
meno” alla “Maratona di San Valentino”.
umbro. Per ora riesce a competere solo
La vita del podista però è dura: «Correre
nelle mezze maratone (precisamente
non paga – spiega Silvia – a fronte di al21,097 chilometri) ma il suo obiettivo è
lenamenti quotidiani e della fatica fisica
partecipare ad una maratona (42,195
e mentale che serve per poter fare quechilometri) e vincerla. L’abbiamo inconsto sport, il ritorno economico è nullo.
trata durante un allenamento sul perNell’atletica non girano soldi. I corridori
corso verde di via Centova, a Perugia.
sono i primi a dover spendere, ho avuto
Tre anni fa un amidei dolori articolari e
co l’ha convinta a
«Corro per passione, ho pagato il fisiotegareggiare in una
rapista a mie spese.
al massimo
corsa e da allora
Da quando corro mi
non ha più smessento molto meglio,
ho vinto 150 euro
so. Silvia racconta:
è solo un appagae un prosciutto»
«All’inizio
partecimento personale».
pavo alle gare senza allenarmi, poi ho
I premi delle gare podistiche regionali
incontrato Enrico, che a settembre è
spesso non superano i 150 euro mentre
diventato il mio preparatore atletico».
quelli delle nazionali, dove partecipano
Si tratta di Enrico Pompei, presidente
anche campioni mondiali, arrivano apdell’Atletica Avis Perugia. Una leggenpena ai duemila euro. Silvia per arrivada del podismo della regione tanto da
re a fine mese fa pure la pizzaiola e la
aver festeggiato i 42 anni di attività,
baby-sitter, la sera alle dieci e mezzo
domenica 22 marzo, con una maratona
crolla dopo una giornata di allenamenti
che porta il suo nome: la “Pompeithon”.
e lavoro. Il venerdì o il sabato non esce
Pompei, colpito dalla resistenza fisica e
con gli amici perché il giorno dopo ha
dalla determinazione di Silvia, ha impieuna corsa. Sa che la gara non le porgato un po’ di tempo per convincerla a
terà qualche soldo in più ma il richiamo
diventare un’atleta semi-professionista
dell’adrenalina e della vittoria ed anche
14 | 15 marzo 2015
La corsa appassiona sempre di più
gli umbri. Tantissime le manifestazioni amatoriali e agonistiche – dalle gare più brevi (di 3 chilometri) alle
ultra maratone (oltre i 200) – richiamano centinaia e spesso migliaia di
persone. Qualche anno fa alle gare
partecipavano appena 200 persone
oggi anche più di mille.
2.000 iscritti alle gare competitive e
1.000 per la family run della Maratona 2015 di San Valentino.
1.850 iscritti all’edizione 2015 della
Strasimeno.
8.000 corridori amatoriali e non alla
30ª edizione della Grifonissima.
30 professionisti con tessera Fidal
in tutta l’Umbria.
Le podiste donne: fino a 2 anni fa
solo 10 iscritte a corsa, adesso anche più di 100.
Sport e
tempo libero
Cuore di campione
Cosa distingue atleti che praticano sport diversi?
Lo abbiamo chiesto al medico sportivo Nicola Zizzi
M
Il re dei tiri da tre
Con quell’aria scanzonata da bravo
ragazzo, Marco Belinelli from San Giovanni in Persiceto, paesone di trentamila abitanti nella Bassa bolognese,
ha conquistato l’anno scorso il titolo
nella prestigiosa “Three Point Contest”, la gara dei tiri da tre della NBA.
Sbarcato negli States nel 2007, dopo
non troppo fortunate parentesi a Golden State, Toronto, New Orleans e
Chiacago, si è affermato con i San Antonio Spurs, dove ha vinto il titolo nel
2014. Belinelli è stato il primo e finora
unico italiano ad avere vinto il campionato NBA. Il suo corpo è modellato
dalla dieta, a base di frutta e proteine.
Leve lunghe, articolazioni robuste e
un cuore che deve essere in grado di
sopportare sforzi brevi e intensi fanno
parte del suo identikit di sportivo.
arco Belinelli e Phillip Heath
sono due campioni, ma hanno
poco in comune. L’italiano, star
della NBA americana, è alto 196 centimetri e pesa 90 chili. Il bodybuilder statunitense, mister Olympia nelle ultime
quattro edizioni, è 21 centimetri più basso e pesa, quando è in forma, 20 chili in
più. Ma se i rispettivi cuori si potessero
vedere a occhio nudo, sotto lo strato di
muscuoli che li nasconde, emergerebbero differenze ben più sostanziali.
Lo sport cambia il corpo anche interiormente: «Heath – spiega il medico
sportivo perugino Nicola Zizzi – ha un
cuore piccolo, con le pareti spesse e le
cavità poco ampie, soggetto, sotto sforzo, a pressioni elevatissime. Belinelli ha
invece un muscolo cardiaco molto più
voluminoso e sottile, capace di contrarsi
più rapidamente».
Il corpo umano è una macchina flessibile, adattabile, malleabile. Cambia
a seconda delle sollecitazioni che provengono dall’esterno. Continua Zizzi:
«Quando si parla delle caratteristiche
del corpo di uno sportivo, non si può
fare di tutta l’erba un fascio. Ci sono
discipline che richiedono arti lunghi o
corti, articolazioni flessibili o rigide, baricentro basso o alto. Si possono però
distinguere due grandi famiglie: da una
parte gli sport ad alto impegno cardiocircolatorio, dall’altra quelli che richiedono sforzi brevi e forza esplosiva».
Fanno parte del primo gruppo il nuoto,
il ciclismo, la corsa e lo sci di fondo. Discipline come il body building e il sollevamento pesi appartengono invece alla
seconda categoria.
Ci sono poi attività intermedie: il tennis, per esempio, in cui i picchi di sforzo
si raggiungono per brevi attimi, ma con
grande frequenza. Il cuore dei tennisti è
sottoposto a pressioni sanguigne elevate, ma deve essere in grado di recuperare in fretta. «Il muscolo cardiaco di un
trentenne non allenato pompa nei vasi
settanta centilitri di sangue a ogni contrazione. Quello di una persona che fa
attività fisica ad alta intensità almeno tre
volte a settimana è in grado di fare circolare fino a 40 centilitri in più ogni volta
che pulsa. Ciò significa che ha un’efficienza del 50% maggiore, con tutti i
benefici in termini di salute che ne derivano. Immaginiamo che il corpo umano
sia una vasca da bagno da riempire. Il
cuore di uno sportivo ha a disposizione
un secchio, il sedentario un bicchiere.
Chi dei due pensate si stancherà di
più? Dopo i sessant’anni c’è però da
stare attenti a non smettere di colpo.
Dopo circa un anno e mezzo di inattività
totale, il cuore di un atleta si inflaccidisce. Bisogna continuare a muoversi,
almeno due volte a settimana». Insomma, lo sport dà soddisfazioni e responsabilità. Onori e oneri di chi lo pratica.
Davide Denina
Mister Olympia
A guardare le sue foto dei tempi in cui
giocava nella squadra di basket dell’università di Denver, si pensa che sia
un’altra persona. Eppure Phillip Heath, soprannominato “The Gift”, “il regalo”, va per i 36 anni. Una dieta iperproteica e, soprattutto, il quotidiano
lavoro in palestra che intraprende dal
2003 hanno modellato il suo fisico da
bodybuilder. Heath è il vincitore delle ultime quattro edizioni di Mister
Olympia, il concorso di bellezza per
culturisti più prestigioso al mondo.
Meglio di lui solo in tre, tra cui Arnold
Schwarzegger, campione sette volte.
15 marzo 2015 | 15
Donne durante una processione della settimana santa a sant’onofrio in calabria (Giuseppe Cugliari, 2014)
Ad ognuno la sua Pasqua
In tutto il mondo, ogni anno, tornano a rivivere tradizioni popolari millenarie
I
n Grecia le uova sono rosse come
il sangue, ma portano salute. In Danimarca, case e giardini devono essere colorati di giallo, come i narcisi
che nascono a primavera. Le strade di
Preston, in Inghilterra, sono invase da
un esercito di gusci colorati: l’usanza
vuole vengano fatti rotolare finché l’ultimo di questi non si sia spezzato. Ai
bambini francesi si dice di correre veloci, alla ricerca delle campane scappate
a Roma, e questi passano le giornate
a guardare il cielo aspettando di vederle tornare; i bimbi svedesi invece si
trasformano in streghe e girano per le
strade intenti a scacciare spiriti maligni
e far bottino di caramelle.
Ogni anno, con l’arrivo della prima
luna di primavera, rivivono rituali anti-
chissimi, che uniscono religione e tradizioni millenarie, la Passione alla celebrazione della primavera, al rifiorire
della natura. In tutta Italia paesi e città
sono invasi da feste popolari e rappresentazioni sacre che vengono dall’alba
dei tempi e da posti lontani. In alcuni
paesi della Calabria si festeggia la pasqua bizantina e, tra antichi balli e costumi arbereshe, si ricordano lontane
origini albanesi. In Umbria i piccoli borghi vengono illuminati con torce e fiaccole, si intonano antiche laudi, penitenzieri incappucciati a piedi nudi portano
la croce e antiche confraternite i loro
vessilli. Un’antichissima forma di teatro popolare che fa rivivere i paesi da
Montefalco a Orvieto di una complicità
drammaturgica arcaica.
Rituali affascinanti, puri, punti fermi
che sembrano strappare i popoli dallo
scorrere incerto del tempo. Secondo
l’antropologo Ernesto De Martino, il
pianto rituale antico era un modo per
uscire dalla crisi senza orizzonte e
rinascere, aprirsi verso il futuro che
deve venire.
E forse è così ancora oggi. Con l’equinozio di primavera anche il sole,
passato l’inverno, torna a prendersi
la sua lenta rivincita sul buio. Come
scriveva De Martino: «L’uomo si è affidato a ripetizioni ritmiche celesti proprio per proteggere il troppo interno e
labile calendario del suo cuore, e per
poter iscrivere i suoi tempi precari nel
più stabile tempo del cielo.»
Giulia Paltrinieri
Quattro colonne
Redazione degli allievi della Scuola
a cura di Sandro Petrollini
Anno XXIV
numero 5 – 15 marzo 2015
Registrazione al Tribunale di Perugia
N. 7/93 del maggio 1993
SGRT Notizie
Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori
per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo
Presidente: Nino Rizzo Nervo
Direttore: Antonio Bagnardi
Direttore responsabile: Antonio Socci
Coordinatori didattici:
Luca Garosi – Marco Mazzoni
In redazione
Paolo Andreatta, Iacopo Barlotti, Alice Bellincioni,
Alessia Benelli, Simone Carusone, Gianluca De
Rosa, Davide Denina, Marco Frongia, Davide
Giuliani, Ruben Kahlun, Maria Giovanna La
Porta, Elisa Marioni, Francesco Mariucci, Giulia
Paltrinieri, Simona Peluso, Valerio Penna, Giulia
Presutti, Giacomo Prioreschi, Valentina Russo,
Alessandro Salveti, Maria Teresa Santaguida,
Lorenza Sbroma Tomaro, Nicoletta Soave, Dario
Tomassini, Nicola Tupputi
Segreteria: Villa Bonucci
06077 Ponte Felcino (PG)
Tel. 075/5911211
Fax. 075/5911232
e-mail: [email protected]
http://www.centrogiornalismo.it
Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c
legge 662/96 Filiale di Perugia
Stampa: Italgraf - Perugia
Scarica

Scarica il PDF - Quattro Colonne