Quattro colonne SGRT Notizie Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Aggiornamento di Giornalismo Radiotelevisivo – ANNO XXIV n° 5 15 marzo 2015 – AUT.DR/CBPA/CENTRO1 – VALIDA DAL 27/04/07 Controlli a tappeto Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P. 70% regime libero Con i carabinieri per una notte tra inseguimenti, richieste di documenti e interventi nei locali Minimetrò e ZTL tra elogi e polemiche Caritas: così aiutiamo i poveri di Perugia pag. 5 pag. 8 Società calcio: fallimenti a catena pag. 12 Attualità Una notte in radiomobile Controlli a campione nei locali e sulle auto. Così si mappa il territorio di Alice Bellincioni e Gianluca De Rosa È mezzanotte di un venerdì sera quando suoniamo alla porta del comando provinciale dei carabinieri di Perugia. Ci aspettano quattro ore insieme alla radiomobile. Ad aprirci è il piantone, il primo e anche l’unico perugino tra i militari che incontreremo nella notte. Il lavoro però l’ha portato lontano dal capoluogo umbro, dove è tornato solo sette anni fa. Negli anni ’90 si è spostato tra l’Emilia e la Lombardia, per poi trasferirsi a Napoli. «Stavo a Secondigliano, una zona facile, facile» racconta con un tono tra l’ironico e il malinconico. «Per certi aspetti, stavo meglio là», ma non fa in tempo a spiegarsi, perché arrivano le nostre ‘guide’, i due uomini della radiomobile. Sono entrambi campani: Mario, sulla cinquantina, potrebbe essere il padre del suo collega più giovane. Li seguiamo fra i corridoi del comando, per aspettare insieme a loro l’arrivo del tenente con cui ci siamo accordati. Nei loro uffici notiamo tanti oggetti alle pareti: targhe, fotografie, ma anche vecchi manganelli. Trascorsi pochi minuti, arriva il tenente Dilio: è una giovane donna viterbese, che a Perugia guida il NOR, il Nucleo Operativo Radiomobile. Anche se non è di turno, ci annuncia che passerà la notte con noi. Preoccupati di prendere una multa per eccesso di velocità, gli 2 | 15 marzo 2015 domandiamo come ci dobbiamo comportare se la volante accende le sirene e accelera. «Innanzitutto non si chiama ‘volante’ – che è quella della polizia – ma radiomobile», ci risponde divertita la tenente, che ci spiega che non è quella l’auto che dobbiamo seguire, ma un’utilitaria di servizio, blu notte e senza stemma. Su quest’auto, che si frapporrà tra noi e la radiomobile per tutte le ore successive, viaggeranno lei e altri due militari. La nostra sarà una sorta di ‘vi- «Il controllo del territorio sembra noioso, ma è la base del nostro lavoro» sita guidata’ al mestiere del carabiniere. «Vogliamo mostrarvi tutte le nostre attività», ci dicono le nostre ‘guide’, mentre discutono tra loro su “cosa farci fare”. Con un po’ d’imbarazzo la carovana delle tre macchine si mette in marcia. Seguiamo le due auto trascurando qualche precedenza per non rimanere indietro. Dopo qualche minuto facciamo una prima sosta, davanti a un locale di Strozzacapponi, alla periferia di Perugia. Gli uomini dell’arma entrano e chiedono a tutti i documenti, che possono essere controllati dall’automobile attraverso un collegamento con la centrale. Un sistema con cui in pochi minuti i carabinieri riescono a verificare che un extracomunitario ospite del locale sia effettivamente in possesso del permesso di soggiorno, che ha dimenticato a casa. “Il controllo degli avventori” – così lo definiscono i carabinieri – termina dopo poco. Chiediamo cosa stessero cercando nel locale e se avessero avuto qualche segnalazione. È l’occasione di spiegarci in cosa consista il lavoro della radiomobile: «Gli viene assegnata una zona di competenza per ogni turno (che è di 6 ore) – ci racconta la tenente Dilio – dentro la quale i nostri uomini provvedono al controllo del territorio». Questo consiste essenzialmente nel fermare persone nei locali, in giro per la città o in automobile e chiedere loro i documenti. Non si tratta di sospettati o indagati, ma di qualsiasi persona che i carabinieri scelgano di controllare. «Siamo venuti in questo locale perché è uno dei posti più frequentati nella zona che dobbiamo controllare questa notte». I settori territoriali nel Comune di Perugia – scopriamo – sono quattro, due assegnati alla polizia e due ai carabinieri a rotazione ogni 24 ore. Attualità Un lavoro di routine – lontano dall’immaginario dei carabinieri in azione – ma indispensabile per garantire la sicurezza e poter svolgere qualsiasi attività d’indagine. Infatti dei controlli svolti dalla radio resta traccia nella gigantesca banca dati delle forze dell’ordine. «Quel biondo là per esempio ha un precedente per furto», ci dice uno degli uomini in macchina con la tenente. È l’unico in borghese, ma si capisce che è un carabiniere dal distintivo che porta al collo. È del nucleo operativo di Perugia, guidato anch’esso dalla tenente Dilio. «Facciamo un lavoro completamente diverso dalla radio mobile: noi lavoriamo in borghese e se vediamo una persona sospetta, non la fermiamo, la seguiamo», ci racconta il militare. Il nucleo operativo svolge infatti l’attività d’indagine per i reati meno gravi (i più gravi competono al reparto operativo provinciale), lavorando spesso a contatto con polizia giudiziaria e procuratori. Un lavoro che viene dopo l’avvenimento di un fatto. Domandiamo quindi cosa ci faccia con la radiomobile. «L’ho portato io, per farvi vedere tutto il lavoro del mio reparto», interviene la tenente. È a lei che chiediamo di più sul lavoro di ‘mappatura’ del territorio della radiomobile, curiosi di sapere cosa comporti essere controllati dai carabinieri. «Assolutamente niente – ci risponde – ma se per esempio una delle persone che controlliamo oggi, il mese prossimo commette un reato, allora sapremo dov’era e con chi era stasera». Potrebbe non servire a nulla, ma a volte – sostengono le nostre guide – capita che dia una svolta alle indagini. Il controllo del territorio però è solo metà del lavoro della radiomobile, che interviene anche in caso di emergenze. È quello che pensiamo stia avvenendo appena risaliti in macchina, vicino al cinema UCI. La radio accende le sirene e corre via. Dopo pochi minuti rivediamo i lampeggianti: i carabinieri stanno facendo segno a un’automobile di accostare. A bordo una giovane coppia, che consegna ai militari oltre ai documenti d’identità, patente e libretto. Risulta tutto nella norma e i due ripartono. «Non c’è il rischio che le persone si spaven- sopra: il cruscotto della radiomobile Sotto: un posto di controllo Nella pagina a fianco: il comando provinciale dei carabinieri di Perugia tino a essere inseguite dai carabinieri senza apparente motivo?» chiediamo. «Se non hanno nulla da nascondere non vedo perché dovrebbero spaventarsi», ci risponde leggermente seccato il secondo uomo che accompagna la tenente. Il carabiniere, di cui per tutta la nottata non scopriamo il ruolo, è di Roma, stava al comando di Trastevere fino all’anno scorso, poi si è fatto trasfe- rire a Perugia per raggiungere la moglie che già lavorava qui. «Perugia non è Roma – ci dice – si sta meglio, non solo perché il lavoro è meno impegnativo, ma anche perché è una città più piccola e meglio organizzata». Anche qui però non è tutto rose e fiori per le forze del’ordine. «Continuano a tagliare sulla sicurezza, quando invece si dovrebbe investire», si lamenta la tenente che precisa però che questo è un problema che riguarda l’Italia intera. In quel momento ci raggiunge la seconda radiomobile in servizio, che si apposta dall’altro lato della strada. «Ho organizzato un posto di controllo su entrambe le direzioni», ci spiega la tenente. Si tratta di quello che erroneamente viene definito ‘posto di blocco’: «Dal posto di blocco non passa nessuno, qui fermiamo solo alcune auto, quelle più sospette». Per il sospetto, scopriamo, può bastare un’ammaccatura o la carrozzeria sporca, ma anche un modello eccessivamente appariscente. I carabinieri fermano così una Mercedes sportiva bianca. Durante il controllo si avvicina un’auto che, visti i militari, fa inversione e scappa. Una delle macchine parte all’inseguimento, ma non riescono a raggiungerla, perché è scattato l’allarme in una villa. Risaliamo tutti in auto e andiamo verso Ponte della Pietra. La direzione ce la dà il Gps, che parte in automatico quando la centrale segnala un’emergenza. Percorriamo un imponente viale alberato, fino al cancello della lussuosa villa. «È della proprietaria di un importante centro commerciale perugino», ci racconta Mario, l’uomo della radio esperto in scorte. «Ho lavorato tanti anni nel sud d’Italia, proteggendo politici e magistrati, ma anche persone comuni, che avevano bisogno della scorta per brevi periodi». Intanto gli altri, scavalcando il cancello su autorizzazione della proprietaria, si sono avventurati all’interno della villa, ma l’allarme sembra essere scattato per errore. «La forte pioggia di questi giorni – commentano le nostre guide – può aver danneggiato il sistema elettronico». La tenente – provata dallo straordinario che le abbiamo fatto fare e a solo poche ore dal suo turno della mattina – ci invita a tornare al Comando. Giunti lì ci congeda sorridendo: «Controllo degli avventori, delle auto e pronto intervento: questo è più o meno tutto quello che facciamo». 15 marzo 2015 | 3 Attualità In città diminuiscono i reati ma è ancora allarme Calano del 12% in un anno. Il nuovo Patto per la sicurezza presenta una situazione confortante ma i cittadini sono titubanti A lla domanda «secondo lei Perugia è più sicura rispetto all’anno scorso?» molti cittadini hanno detto di non sentirsi protetti, di avere paura non solo di notte, ma anche in pieno giorno. «Non siamo xenofobi – dice un signore – ma questi stranieri hanno rovinato la città». Indignazione, scoraggiamento e anche un po’ di paura del forestiero sono i sentimenti più diffusi. Eppure Perugia si sta rivelando una città più sicura; lo dimostra il dossier d’intesa tra Comune e Governo presentato a Palazzo dei Priori. In quella sede, alla presenza del sindaco Andrea Romizi e del prefetto Antonella De Miro, il sottosegretario all’Interno Giampiero Bocci ha elencato i dati positivi raccolti dall’inizio del 2014 fino ai primi mesi del 2015 rispetto al 2013. I risultati presentati sono sorprendenti: meno 11,8% il trend generale di reati commessi. Questo vuol dire che, se nel 2013 sono stati commessi 100 reati, nel 2014 ne sono stati commessi 88. La città è cambiata, le istituzioni sono ottimiste. Ma i cittadini? Se i numeri parlano chiaro, è anche vero che la percezione che hanno i perugini dei reati è ben lontana dalle classifiche. In località Ponte Felcino, nella periferia del capoluogo, i residenti sono arrabbiati. Una commerciante, proprietaria di una gioielleria, dice: «Qui non passa nessun avvocato di buon cuore ad aiutarmi se entrano a rubare». Il riferimento è all’episodio accaduto poco più di un mese fa in una gioielleria del centro, quando un avvocato è intervenuto e ha fatto scappare i ladri. In periferia i furti avvengono quasi tutti i giorni e «se non rubano spacciano sotto casa» dicono gli sfortunati residenti. Stessa situazione in via Fonti Coperte, un quartiere storico della città, dove i furti e le rapine sono numerosi. Qui i malviventi colpiscono in tarda serata e così c’è una sorta di coprifuoco appena cala il sole. La commissione dei cosiddetti reati predatori (rapine e furti) non è legata ad un’ondata di immigrazione, ma alla povertà della popolazione: nonostante le telecamere di cui si muniscono i supermercati, molti sono i furti di beni di prima necessità. «I risultati ci sono. Cittadini, non preoccupatevi» Capo di Gabinetto Questura Tuttavia, non sarà esagerata la percezione dei cittadini alla luce del positivo rapporto? Lo abbiamo chiesto al Capo di Gabinetto della Questura di Perugia, il dottor Francesco Barba. Il primo problema riguarda, secondo lui, la comunicazione: «I vari mezzi sono utili per tante ragioni, ma molto spesso contribuiscono a diffondere più paura del necessario portando alla luce degli episodi – definiti casi mediatici – che vengono esasperati». Le fonti utilizzate dalla polizia per stilare i rapporti sulla criminalità sono il risultato di dati elaborati su soggetti e fatti-reato con tendenze chiare e reali. «Ciò che fa variare le tendenze sono: in positivo, i dati provinciali e, in negativo, quelli che riguardano il comune di Perugia». La città ha infatti una morfologia criminale atipica o meglio, come dice il primo dirigente «che la caratterizza e distingue rispetto alle altre». Caratteristiche che l’hanno resa nota come punto di snodo per lo spaccio internazionale, ma «se abbiamo raggiunto questi risultati è anche perché abbiamo compiuto delle attivtà specifiche». Operazioni del genere sono servite anche per sgominare bande di ladri, scippatori seriali ed esperti rapinatori e questo ha contribuito a ripulire la città. «Capisco chi avverte il pericolo più concreto: in periferia è più facile colpire», ma i risultati sono davvero buoni perché «dopo 15 anni, è la prima volta che diminuiscono i reati». Maria Giovanna La Porta I consigli dell’esperto Abbiamo chiesto a Michele De Pascale, titolare dell’istituto di vigilanza privata CRC Global Security (una realtà che opera in Umbria e nel Lazio), quali sono le regole d’oro per provare a difendersi dai furti in appartamento. «Evitare di tenere in casa grosse somme di denaro; ricordare che i luoghi più esaminati dai ladri sono la camera da letto e il soggiorno; luce e rumore ten- 4 | 15 marzo 2015 gono lontani i malintenzionati; non aprire mai la porta a sconosciuti. Queste sono, sicuramente, buone norme di comportamento ma non bastano. Occorre realizzare interventi di protezione per rendere più sicure le nostre case con un approccio integrato tra protezioni passive (porte blindate, inferriate) e attive, mediante l’adozione di un sistema di sicurezza proporzionato al valore del bene protetto. Per semplificare, così come è sbagliato proteggere una bicicletta dal valore di 500 euro con una chiusura da 5 euro (sarebbe ottimale un rapporto 1 a 10), mi sento di sconsigliare al proprietario di una villa, magari isolata, di installare un impianto antintrusione senza fili da 1.000-2.000 euro. Il mio suggerimento è quello di proteggere il più possibile le aree esterne, il perimetro dell’abitazione (porte e finestre) ed infine i locali interni». Attualità Minimetrò, croce e delizia In tanti lo amano, ma c’è qualche riserva: così serve solo ai turisti «Il centro sta diventando un deserto, i trasporti vanno ripensati» A Perugia, dire mobilità significa pensare per prima cosa al Minimetrò, croce e delizia per il sistema dei trasporti nel capoluogo umbro. Un’opera di avanguardia: forse troppo, secondo i detrattori, che la credono eccessivamente ambiziosa per la città di Perugia. Inaugurato nel 2008, il Minimetrò deve fare i conti anche con i numeri. Ce ne sono di impietosi: come i dieci milioni di euro che il Comune deve trovare ogni anno per fare fronte al disavanzo di gestione; e come i risultati del progetto PMetro, un rilevatore montato su una vettura che ha monitorato il livello di polveri sottili in città per poi scoprire che l’entrata in funzione del servizio non ha portato nessun beneficio per traffico ed inquinamento. Ma c’è anche qualche dato positivo: agli utenti, per esempio, la metropolitana leggera perugina piace. Un sondaggio dell’Istituto Piepoli ha certificato un grado di soddisfazione del 97 per cento, forse il risultato più alto d’Italia per quanto riguarda il trasporto pubblico. E se il numero dei passeggeri cresce a fatica, va rilevato il successo che stanno avendo i weekend “a trasporto gratis” (gli ultimi due di marzo): nel primo dei due fine settimana di promozione, il minimetrò ha riscontrato un vero e proprio boom. In città i pareri sono contrastanti. Francesco Giuliani, uno studente 18enne, è tra gli entusiasti: «Con il minimetrò mi trovo benissimo, è molto comodo. Sono molto soddisfatto di questo servizio e in generale della mobilità di Perugia». Un problema sentito è quello del prezzo. È la critica che rivolgono due turisti di Avezzano, di passaggio in città e comunque entusiasti del minimetrò, e anche il praticante avvocato Carmelina: «Lo uso unicamente “per necessità”. Dalla Calabria ho portato la macchina, ma lavorando in centro non posso usarla. Il prezzo è sicuramente alto, specialmente per gli studenti. Faccio un esempio: a Milano, con una rete molto più ampia, l’abbonamento costa 22 euro. Qui a Perugia dobbiamo pagarne 45. Inoltre gli orari: la frequenza dovrebbe essere portata fino a tarda sera, arrivare solo alle 23 non è di grande utilità». Ma dal Comune fanno sapere che già così, economicamente parlando, il mini- I numeri Secondo le stime presentate durante la fase di approvazione, il Minimetrò avrebbe dovuto essere utilizzato da una media di 15mila persone al giorno. A sei anni dalla sua entrata in funzione però non ne ha raggiunte neanche la metà: nel 2013 la media degli accessi giornalieri è stata di circa 7mila, una cifra comprensiva anche di picchi da 40mila utenti al giorno rilevati durante eventi come Eurochocolate e Umbria Jazz. metrò è affare in perdita: impossibile far pagare di meno. Quello della mobilità in città è comunque un discorso importante. Specialmente considerando quanta rilevanza ha il traffico: l’ultimo rapporto di Euromobility vede Perugia al terzo posto nella classifica delle città italiane sopra i 100mila abitanti con più automobili pro capite: il tasso di motorizzazione è di 69,5 auto ogni 100 abitanti, rispetto ad una media italiana a quota 58,4 e ad una europea al di sotto del cinquanta. In generale, la percezione dei perugini è che il sistema dei trasporti vada ripensato: sembra che sia creato per i turisti, piuttosto che per i cittadini. È l’idea di Raffaella. «Non uso spesso il minimetrò, solo quando devo raggiungere il centro e vi sono praticamente “costretta”. In generale credo che sia un’opera buona, ma all’interno di una realtà come Perugia è inutile. La nostra è una città strutturalmente difficile: la macchina è fondamentale, anche perché con la sola mobilità cittadina non si arriverebbe da nessuna parte». «Il minimetrò serve solo a raggiungere il centro – conclude Raffaella – ma in centro ci sono sempre meno uffici, meno scuole, i negozi sono solo quelli delle solite multinazionali. Ormai a cosa serve andare in centro? Bisognerebbe rifare tutto da zero, e prendere atto che le priorità sono cambiate». Alessandro Salveti 15 marzo 2015 | 5 Attualità ZTL La giusta ricetta per salvaguardare i centri storici? di Iacopo Barlotti L a tutela dei monumenti e delle bellezze artistiche, gli interessi dei commercianti, le esigenze di turisti e residenti. Mescolate il tutto ed ecco uno dei più annosi problemi delle amministrazioni locali: la salvaguardia e la valorizzazione dei centri storici. Per contrastare l’inquinamento nelle città la mossa più in voga, al giorno d’oggi, è la regolazione del passaggio delle auto. La “Zona a Traffico Limitato” (ZTL) vieta o limita l’ingresso alle vetture nelle zone centrali in determinati orari. Le eccezioni, di solito, sono per residenti, commercianti, invalidi. La mossa di pedonalizzare il centro storico, d’altra parte, fu uno dei cavalli di battaglia di Matteo Renzi che, cinque anni fa, da sindaco di Firenze, vietò il passaggio da piazza del Duomo di taxi, autobus, e mezzi privati. A Milano il sindaco Pisapia sollevò un polverone con l’introduzione di una zona (la cosiddetta “Area C”) dove entrare solo a pagamento. 6 | 15 marzo 2015 E anche a Perugia la questione ZTL fa ovviamente discutere. Nel capoluogo umbro il centro è vietato al traffico nelle ore notturne e mattutine: gli accessi ai varchi del centro storico e di corso Garibaldi sono chiusi da mezzanotte alle 13. Tradotto: per quasi metà giornata, dall’ora di pranzo in poi, chiunque può tranquil- A Perugia stop alle auto solamente di mattina «Ma per rilanciare il cuore della città serve anche altro» lamente circolare in centro. E nei giorni festivi va anche “meglio”: il centro è aperto alle auto per tutto il giorno dalle 7 di mattina in poi. L’eccezione è per il varco di via del Roscetto, dal quale si può passare, tutti i giorni, solo dalle 16 alle 20. «In realtà qua il centro è chiuso pochissimo, visto che il traffico è limitato solo la mattina» spiega Giancarla Cicoletti, vicepresidente dell’associazione La città di tutti che si batte per la valorizzazione del centro storico di Perugia. «Mi ricordo che negli anni Settanta, prima che si cominciasse a pensare alla ZTL, per corso Vannucci transitavano le auto. Poi si è iniziato a chiudere la zona, ma non è stata fatta una politica di incentivazione dei parcheggi. Perché oggi lasciare l’auto costa un occhio della testa». E poi la questione dei mezzi di trasporto: «Non è solo un problema di ZTL e varchi: è necessario trovare dei modi per favorire l’uso del mezzo pubblico anziché di quello privato. Qualche anno fa fu introdotto il Noctibus: era un autobus notturno che collegava piazza Italia con l’Università per Stranieri. Ma i privati potevano tranquillamente lasciare l’auto in piazza Italia: è ovvio che fu un fiasco». Oggi i collegamenti pubblici – in una città come Perugia, particolare per la sua conformazione territoriale – non riesco- Attualità no ad essere del tutto soddisfacenti. «Le scale mobili funzionano benissimo, e sono perfettamente inserite nel paesaggio: sono modernissime ma non disturbano, a differenza del minimetrò. Che è molto efficiente ma ha costi di manutenzione altissimi». Al di là della questione traffico, la valorizzazione del centro storico è un problema che negli ultimi anni è tornato di grande attualità a Perugia. «Negli anni Ottanta c’erano trentamila abitanti in centro. Poi per vari motivi c’è stata una trasformazione che ha portato prima all’arrivo di molti studenti, e adesso a un notevole spopolamento. Io sono del parere che il centro storico vada ripensato in termini di funzioni. Prima c’erano uffici comunali, esattorie, studi professionali. Oggi c’è poco o niente, e tutto molto disperso». Un tema, quello del centro storico, che sta a cuore anche ai commercianti. «Bisogna trovare il modo di rilanciarlo» spiega Riccardo, edicolante di via dei Priori. «Oggi la gente non ci abita più e non ci va neanche a fare la spesa, visto che i centri commerciali periferici sono più economici e ovviamente più comodi da raggiungere». Ecco, allora, che la questione della viabilità torna attuale: «Più che pensare alle limitazioni bisogna fare in modo che si torni a investire in centro. E in questi termini la ZTL non aiuta, anche perché non so quanto possa davvero servire a ridurre l’inquinamento». Alla tabaccheria di Corso Vannucci, la via pedonale per eccellenza di Perugia, Grazia spiega: «È vero, la ZTL porta meno persone in centro. Ma il problema è che manca un raccordo con la periferia. Ad esempio, si potrebbe almeno far entrare i bus turistici: so che alcuni viaggi organizzati, ad esempio, non fermano neanche più a Perugia, dal momento che sono costretti a lasciare le persone a Pian di Massiano. E il minimetrò costa». Una milanese, in visita nella città del Grifo, si lamenta che ha dovuto «lasciare l’auto molto lontano, e poi fare una bella scarpinata a piedi da corso Cavour». Il problema, dice la signora, qui «non è la ZTL, ma i collegamenti: anche a Milano esistono molte limitazioni, ma abbiamo la metropolitana e le cose vanno assai meglio». Col nuovo sindaco Romizi, negli scorsi mesi, si era paventata l’ipotesi di un’ulteriore apertura del centro al traffico, proposta subito bocciata dall’opposizione. Per ora la certezza è che, da un’amministrazione all’altra, il dibattito su come rilanciare il cuore di Perugia continua. Così a Perugia L a Zona Traffico Limitato di Perugia è controllata da nove varchi di ingresso al centro. In via del Roscetto l’accesso è consentito tutti i giorni dalle 16 alle 20. Negli altri varchi è consentito dalle 13 alle 24 nei giorni feriali e dalle 7 alle 24 nei giorni festivi. I permessi per l’ingresso nella ZTL possono essere richiesti da residenti, dipendenti, artigiani, e altre categoria: costano dai 12 euro ai 70 euro all’anno, mentre sono gratuiti per le auto elettriche (al primo anno), per gli invalidi e per le donne incinta dal sesto mese di gravidanza fino ai sei mesi del bimbo. I nove varchi predisposti per il rilevamento del passaggio dei veicoli si trovano in viale Indipendenza, via Battisti, via della Sposa, via delle Conce, via del Roscetto, corso Garibaldi, via Appia, via Solitaria, via San Sebastiano. Le telecamere registrano il passaggio delle auto (e relative targhe) solamente in entrata, e non in uscita. Le isole pedonali si trovano: nel tratto di corso Cavour che va dalle Scalette di Sant’Ercolano; in via Bontempi; in via Bonazzi; in piazza Alfani; in piazza IV novembre. Qui l’accesso è consentito solo di prima mattina per le attività di carico e scarico merci. Il varco di via della Sposa e, sopra, il tabellone di segnalazione in via Battisti. Nella pagina accanto, il varco di via Appia con, sullo sfondo, il duomo di Perugia Così nelle altre cittadine umbre N on solo Perugia. Moltissime città e paesi dell’Umbria prevedono limitazioni al traffico nei centri storici. A Terni ci sono 12 varchi, attivi 24 ore su 24: l’unica eccezione riguarda gli accessi di via Corona (ingresso) e via delle Portelle (uscita) in cui l’accesso è consentito tutti i giorni dalle 6 alle 19 anche ai veicoli non autorizzati. Nella città dell’acciaio esiste anche una zona (quasi) completamente pedonale: l’Area Pedonale Urbana, in cui il transito è consentito solo alcune ore (8-11 e 15-18) ai soggetti autorizzati, per operazioni di carico e scarico. A Spoleto la questione ZTL è tornata di grande attualità nelle ultime settimane: la giunta aveva disposto la chiusura del centro storico dalle 7 alle 16, ma le proteste dei commercianti nel giro di pochi giorni hanno portato al dietrofront: varchi chiusi solo dalle 1 alle 11, nei festivi dalle 7 alle 20. Poi, nei prossimi mesi, si vedrà. Limitazioni in centro anche per Foligno e Gubbio, mentre ad Assisi la ZTL è all’interno delle mura: l’ingresso è limitato ad alcune ore, la sosta è consentita al massimo per sessanta minuti. Conviene quindi parcheggiare fuori nei parcheggi scambiatori. Infine Orvieto, valido esempio di mobilità alternativa. Ci sono cinque varchi sorvegliati da telecamere: alcuni sono aperti solo alle vetture autorizzate, altri solo in determinate finestre orarie. Ma grazie a una funicolare e a percorsi meccanizzati (ascensori e scale mobili) è garantita un’elevata accessibilità a tutti. 15 marzo 2015 | 7 Economia S eduta dietro la scrivania, Stella Cerasa sfoglia le pagine dell’agenda. «Vedi», dice mostrando le pagine fitte di nomi e indirizzi, «queste sono le persone che non riescono a pagare le bollette. Noi raccogliamo le richieste durante la settimana e poi il lunedì andiamo a pagare». La lista si allunga pagina dopo pagina: gas, luce, acqua. «Ovviamente se c’è qualcuno che rischia che l’utenza gli venga staccata non aspettiamo il lunedì, ma saldiamo subito il debito. Agli altri diamo un appuntamento, anche perché le persone sono sempre di più e non riusciamo a gestire tutte le richieste”. Stella posa l’agenda e prende un raccoglitore: quasi non si chiude per quanto è pieno. «Qui teniamo le bollette in ordine alfabetico», dice. «Ci sono persone che vengono a chiederci aiuto occasionalmente, ma un buon 60% sono gli stessi che tornano ogni mese, sempre più disperati». Anche il raccoglitore torna al suo posto, poi Stella alza gli occhi e dice seria: «La Caritas non potrà farcela da sola ancora per molto. Per aiutare tutti, servono 8 o 9mila euro a settimana. È troppo anche per noi». Stella Cerasa lavora alla Caritas da 25 anni. È lei ad occuparsi del Centro di ascolto: fuori dal suo ufficio i disperati stanno in fila, aspettano di parlare con lei per trovare una soluzione ai loro problemi. Mentre parliamo bussano alla porta: è una donna, esile, dagli occhi chiari, si capisce che è spaventata. Ha perso il lavoro a settembre, racconta, quando è scaduto il contratto a tempo determinato. Ha un mutuo da 700 euro al mese e una bambina. Lei e suo marito non riescono a tirare avanti. Ha aspettato prima di chiedere aiuto alla Caritas, sperando di riuscire a cavarsela da sola. Ma il lavoro non si trova, e le scadenze dei pagamenti incalzano. «In questa situazione, quando hai bollette da pagare, debiti da risanare e il lavoro non lo trovi, i mesi sembrano passare più velocemente», confessa. Mostra le ultime bollette che non ha potuto pagare. Stella guarda il conguaglio del gas e sgrana gli occhi: «Questa la devi rateizzare immediatamente!» dice. La donna si stringe nelle spalle: ha provato a fare la richiesta, ma gliel’hanno rifiutata perché aveva già rateizzato la bolletta precedente. Dopo aver ascoltato la storia, Stella tira fuori un modulo da compilare: è una richiesta 8 | 15 marzo 2015 Perugia, la mensa della caritas in via imbriani Una giornata alla non c’è solo la m per il Fondo di Solidarietà delle Chiese umbre. È un fondo a livello regionale, è stato istituito nel 2009. «Quando è nato riuscivamo a dare almeno 500 euro a famiglia. Oggi risentiamo anche noi della crisi, e i soldi che riusciamo a procurare sono di meno». La richiesta in ogni caso è una formalità. La forza della Caritas è anche il fatto che non esiste burocrazia, quindi le decisioni si prendono molto più facilmente. «Se sappiamo che una famiglia è in difficoltà», dice Stella, «non c’è da stare lì a discutere. I soldi arrivano e basta». La giovane donna che ha chiesto aiuto sembra più tranquilla, alla fine quasi sorride. Prima di andarsene si raccomanda di farle sapere se qualcuno offre un lavoro, qualunque lavoro. Stella scuote la testa tristemente, ma le dice di tornare la mattina di martedì o mercoledì: in quei giorni ogni settimana c’è un programma di orientamento al lavoro. Naturalmente non è un’agenzia di collocamento, perché la legge non lo permette, ma è comunque un modo per aiutare nella ricerca di un impiego: si insegna a compilare un curriculum europeo, si danno indicazioni sui settori in cui c’è più probabilità di assunzione. La signora se ne va e Stella torna a raccontare della sua esperienza al Centro d’ascolto. «Solo qualche settimana fa è arrivato un ragazzo che ci ha fatto commuovere. Era un martedì, lui si è presentato nel mio ufficio dicendo che il sabato si sarebbe sposato. Non aveva i soldi per comprarsi il vestito «Se sappiamo che una famiglia è in difficoltà, non c’è da stare lì a discutere: i soldi arrivano e basta!» Economia Il Centro d’ascolto, l’emporio, il consultorio, le residenze: il mondo di chi aiuta gli altri di Nicoletta Soave Caritas: mensa da sposo e ci ha chiesto se potevamo aiutarlo. Ha detto che voleva un vestito bellissimo, perché la sua fidanzata all’altare sarebbe stata bellissima, e lui voleva essere degno di lei». È chiaro che procurare un abito da sposa non è una delle richieste tradizionali che vengono fatte alla Caritas. «Ma noi abbiamo la nostra rete di contatti, di persone che stanno bene e sono disposte ad aiutarci. Quindi abbiamo chiesto ad un anziano signore che ci ha sempre dato una mano se aveva ancora il suo abito da sposo. Ed abbiamo esaudito anche questa richiesta». Ci sono poi storie meno allegre: «Qualche giorno fa è venuta una ragazza che non poteva più pagare l’elettricità. Mi ha detto che se non avesse saldato il debito le avrebbero tagliato l’allaccio. E candidamente ha commentato: ‘Se lo fanno combino un casino: io alla corrente c’ho attaccato il babbo!’. Ci ho messo un po’ per capire, poi mi ha spiegato che il padre è in dialisi». Stella lo racconta ridendo. Poi ci dice di questa nuova sede della Caritas perugina, dove ci ha accolto: «Tutti questi bei mobili da ufficio che vedete ce li ha lasciati la banca che prima stava qui. Un giorno ci hanno chiamati e ci hanno detto che cambiavano sede, ci hanno chiesto se oltre alla struttura volevamo anche i mobili. Noi siamo stati più che contenti di tenerli. Al piano di sopra ci sono cinque appartamenti da 160 metri quadri che non abbiamo potuto dividere. Lì ospitiamo delle famiglie. Ovviamente, visto che gli appartamenti sono molto grandi, famiglie diverse sono costrette a convivere. Non è di certo una situazione ideale: se una persona ha davvero bisogno, lo capisci nel momento in cui gli dici che deve condividere la casa. Se non vuole, significa che non aveva poi tutta questa necessità». La convivenza non è facile, ci spiega, soprattutto quando devono convivere persone di nazionalità diversa: ci sono italiani, ma anche albanesi, polacchi, siriani, iraniani. Ci racconta poi dell’emporio: è una novità, c’è solo da settembre, ma ha avuto un grande successo: «È un vero e proprio supermercato, dove chi ha la tessera può prendere gratis tutto quello che vuole. È molto più dignitoso dei pacchi che venivano distribuiti dai parroci». E infine la mensa: non è in questo edificio, ci dice, è in centro. «Serviamo 75 pasti al giorno, tutti i giorni. Vengono a pranzo e mangiano tutti insieme, ma gli diamo anche la cena che possono portare a casa. Quelli di loro che ce l’hanno». Sono le sei, il turno è finito e il Centro di ascolto riapre domani mattina. Chiediamo a Stella com’è stare tutto il giorno con i disperati, mangiare alla mensa con i poveri, ascoltare problemi a cui sembra non esserci soluzione. Lei sorride e risponde: «Tutti i cristiani dovrebbero farlo gratis, io sono pure pagata. Cosa potrei chiedere di più?». «Se qualcuno ha davvero bisogno, lo capisci nel momento in cui gli dici che deve condividere la casa» I numeri della povertà in Umbria Il Rapporto economico e sociale dell’Aur (Agenzia Umbra Ricerche) parla di situazione peggiorata: le famiglie umbre in difficoltà, che non riescono più a far fronte alle spese sono aumentate. Una famiglia su tre è indebitata con mutuo o prestito a carico. Molti sono costretti a fare delle rinunce: vestiti, elettrodomestici, vacanze estive. C’è anche chi non riesce a garantirsi un pasto adeguato almeno ogni due giorni. Oltre alle famiglie in difficoltà economiche, ci sono quelle che vivo- no in condizione di vera e propria povertà. Secondo l’Istat, le famiglie povere nel 2013 sono il 10,9%, cioè 41.600 individui. L’intensità della povertà invece (cioè quanto poveri sono i poveri) è pari al 19,6% (su una media italiana del 21,4%). Molti scivolano verso la povertà a causa dei debiti: le famiglie indebitate in Umbria sono il 29,9% (su una media italiana di 25,3%). Invece è dell’1,8% la percentuale di nuclei familiari finanziariamente vulnerabili, ossia troppo esposte rispetto al reddito disponibile. 15 marzo 2015 | 9 Economia Spesa all’emporio della solidarietà Tessere al posto di carte di credito, pesciolini anziché soldi. Benvenuti al supermercato della carità T atiana ha il carrello della spesa pieno: cioccolata, pasta, passata di pomodoro, latte, biscotti, caffè. In un supermercato tradizionale, per acquistare questi prodotti, avrebbe speso circa cinquanta euro, ma all’emporio Tabgha della Caritas, la sua spesa è costata solo 80 “pesciolini”. «Sono ucraina e mi sono trasferita in Italia quindici anni fa – dice Tatiana – Facevo la badante, ma mi hanno licenziata. Ho una figlia piccola da mantenere e suo padre non mi ha mai pagato gli alimenti». Siamo nel seminterrato della struttura centrale della Caritas di Perugia, qui ogni giorno, i volontari del centro accolgono decine di persone che, come Tatiana, hanno bisogno di aiuto. Si paga tutto con tessere, distribuite gratuitamente al centro di ascolto. Queste possono contenere dai 200 agli 800 “pesciolini” mensili, a seconda della condizione familiare e del reddito del richiedente. Da settembre la Caritas ha distribuito 400 tessere e 40 tessere baby, destinate all’acquisto di prodotti specifici per neonati. L’emporio della solidarietà di Perugia 10 | 15 marzo 2015 «Era necessario creare un luogo dove le persone in difficoltà potessero fare la spesa – afferma il direttore del centro Giancarlo Pecetti – In questo modo rispettiamo la dignità di chi si rivolge a noi per ricevere un aiuto in un momento difficile». Gli empori sono una novità per l’Umbria: piccole realtà presenti solo nel centro Italia. A Perugia, per ora ne esiste solo uno, ma la diocesi si sta organizzando per crearne dei nuovi, sostituendoli progressivamente ad altri centri parrocchiali di beneficenza. «Con gli empori abbiamo voluto che la gente si sentisse a casa. Spesso nelle Caritas parrocchiali le persone si possono sentire umiliate: devono mettersi in fila per ritirare il loro pacco, che molte volte non contiene quello di cui necessitano» dice Pecetti. Talvolta all’interno di questi pacchi vengono inseriti alimenti che alcuni, per motivi religiosi, non possono consumare. «Alla Caritas ci stiamo impegnando per formare i nostri volontari, che devono essere preparati a comprendere le esigenze di tutti, soprattutto delle persone di altre nazionalità, che hanno abitudini alimentari e usi diversi dai nostri», dichiara il direttore. Sono una trentina i volontari che ogni giorno prestano servizio all’emporio della solidarietà; pensionati, universitari, ma anche adulti che dedicano parte del loro tempo libero ad aiutare il prossimo. Tra loro c’è anche Filippo, trentenne di Ponte Felcino, che ha iniziato questo percorso in un momento difficile della sua vita. «Quest’estate sono stato licenziato e sono entrato in depressione – afferma il giovane – Il mio parroco mi ha proposto di venire a dare una mano qui all’emporio. Ora vengo quasi ogni giorno in attesa di trovare un lavoro. Aiutare gli altri mi ha reso una persona felice e consiglio a tutti i giovani di fare questo tipo di esperienza». Nonostante le difficoltà, all’interno dell’emporio si respira un’atmosfera familiare. Direzione e volontari organizzano una serie di iniziative per rendere meno pesante il momento della spesa. Martedì grasso un ragazzo ha suonato il violino per l’intero pomeriggio; a Pasqua, invece, il cioccolato è in promozione. Una tavoletta al prezzo di un “pesciolino”, perché anche nei momenti tristi, c’è bisogno di dolcezza. «Aiutare gli altri mi ha curato dalla depressione» Lorenza Sbroma Tomaro Economia Si mangia, si parla e si beve: insieme Un pasto caldo ai piedi dell’altare. Così ogni giorno si pranza fianco a fianco alla mensa della Caritas «È la mascotte del gruppo, viene qui anche lei tutti i giorni». Renato sorride mentre lascia il suo piccolo cane dalla coda lunga correre fra le sedie della mensa. Ha solo sei mesi. Renato, invece, frequenta la mensa da molto più tempo. Come lui sono in molti ad arrivare ogni giorno in via Imbriani dove dal 2008 il Punto di Ristoro Sociale “San Lorenzo” accoglie per pranzo chi un pranzo non può più permetterselo. «Facciamo 75 coperti al giorno» spiega uno dei volontari che a turno lavorano alla mensa della Caritas. Tutti i giorni, domenica esclusa, alle 12.45 in punto ci si siede attorno al grande tavolo apparecchiato in modo semplice ma curato. Ognuno ha il suo posto; ai piedi dell’altare. La mensa, infatti, è ospitata in una piccola cappella sconsacrata. In fondo, una grande pala accoglie chi, liberamente, voglia entrare a scambiare due chiacchiere. La mensa è un luogo in cui si pranza, ma è soprattutto un posto in cui si siede accanto al prossimo. Si mangia, si beve, si parla. La musica in sottofondo. Appese ai muri, fotografie che creano memoria. Palloncini colorati e tanti articoli che parlano di questo luogo. «Vedete, ecco è scritto qui» ci mostra Giuseppe, discoccupato dal 2010, indicando un articolo di giornale appeso alla parete. «19 gennaio, cardinale e sindaco a pranzo qui. Io ancora non c’ero ma poco importa». Condivisione, rispetto e senso della propria dignità. Il punto di Ristoro Sociale è questo. Ci sediamo sulle panche in attesa dell’arrivo del pasto. Monoporzione e sigillato, per rispettare le ferree indicazioni sanitarie. I pasti sono forniti dal Comune di Perugia in collaborazione con la Caritas diocesana. Alle 12.45 ci si siede a tavola. Le chiacchiere che riempivano l’ex oratorio di Simone e Giuda si attenuano. Ognuno ha il suo posto. Antonia, la veterana del gruppo, a capotavola. «A volte pranzano con noi anche Stella e Silvia» dice Giuseppe. Stella è Stella Cerasa, assistente sociale che da 25 anni lavora per la Caritas perugina. «Prima la Caritas era in centro – spiega Stella – e noi andavamo quasi sempre a pranzo in mensa. Ora, da quando il Centro d’Ascolto si è spostato in zona stazione, è più difficile». Le conoscono tutti qui in mensa. «Sono davvero in gamba» sorride Giuseppe. «Io vengo qui solo da febbraio ma senza di loro non so come farei. L’anno scorso ho venduto la macchina. E ora… è dura ma mi arrangio. Pagare l’affitto è difficile e riduco le spese». Il gruppo è ormai formato. «Si conoscono e venire qui è un modo per trascorrere del tempo insieme. Noi per mangiare di solito rientriamo a casa, loro escono». Un modo per spezzare una giornata passata in solitudine, in un ambiente protetto e familiare. A frequentare la mensa sono soprattutto uomini e anziani, persone inviate dai Servizi sociali territoriali, dal Centro di salute mentale e dalla Caritas. È un’occasione anche per monitorare la salute della persona e segnalare problemi o miglioramenti. «Per le famiglie abbiamo anche altri aiuti. I buoni Todis, per esempio, l’emporio, le mense delle Case di accoglienza per madri e bambini». Le famiglie solitamente prelevano i pasti e li consumano nelle loro abitazioni. Finito il pranzo ci si mette in fila per ricevere il pasto che si consumerà per cena. Questa volta ognuno per conto proprio. «Sotto quell’altare succedono le cose più belle», racconta Stella. «È un luogo piccolo ma familiare, molto casa. A Natale abbiamo fatto una festa. Cose semplici, a costo zero. Alla vigilia, finito di imbastire, eravamo tutti a bocca aperta. Abbiamo preso i candelabri dalla chiesetta sconsacrata adiacente. Abbiamo comprato candele rosse. Spesso, quando spieghi cosa stai facendo, nonostante la crisi, molti donano gratuitamente». È così che dal 2008, in via Imbriani a Perugia si consuma un pasto caldo ogni giorno ai piedi di un altare. «Sotto quell’altare succedono le cose più belle» Paolo Andreatta 15 marzo 2015 | 11 Sport e tempo libero Un pallone in bolletta Dallo scandalo Parma alle difficoltà del Foligno: ecco cosa accade alle società che non riescono a far fronte ai propri debiti F allimento. Per il Parma Football Club la parola fine è arrivata negli scorsi giorni, dopo diversi mesi di incertezza sulle sorti societarie: in estate l’abbandono dei sogni legati a un’Europa conquistata sul campo ma negata dai primi problemi economici; a gennaio il cambio di proprietà con l’addio di Ghirardi e l’arrivo del petroliere albanese Taçi; due settimane dopo la nuova cessione, per la cifra simbolica di un euro, a Giampietro Manenti, che si trova ora in carcere. Un dramma sportivo che ha occupato per lungo tempo le prime pagine dei giornali e che ha acceso i riflettori sulla difficile situazione del nostro calcio. Questa vicenda, infatti, è soltanto l’ultima degenerazione di un sistema che ha visto fallire nel recente passato molte squadre illustri, come il Napoli o la Fiorentina, e un’infinità di società minori, che hanno portato i loro libri in tribunale circondate da un clima di generale indifferenza. 12 | 15 marzo 2015 Se lo scandalo Parma ha avuto un’enorme risonanza, sono ancora oggi decine le squadre che, dalla Lega Pro ai dilettanti, vivono una sorte simile a quella dei ducali. Quindici giorni prima del fallimento della squadra emiliana, ad esempio, la stessa sentenza era stata emessa dal tribunale di Spoleto nei confronti del Foligno Calcio, formazione 20 milioni di euro il capitale sociale del Parma. Ora il debito è pari a 218 milioni, di cui oltre 74 sono legati agli stipendi dei tesserati che in passato ha partecipato a venticinque campionati professionistici e che attualmente milita in Serie D. La società umbra, affidata come il Parma a due curatori fallimentari nominati dal tribunale, ha deciso di proseguire la stagione proprio come i ducali. Una scelta che potrebbe garantire, almeno sulla carta, la rinascita di entrambe le squadre. Se infatti le società si fossero ritirate dai campionati, avrebbero irrimediabilmente perso tutti i loro diritti sportivi. Terminando la stagione, invece, possono ancora sperare in un salvataggio. Come è possibile? Per capirlo occorre considerare quello che è il compito dei curatori fallimentari: dopo aver interrotto tutte le procedure pendenti, essi ottengono un quadro globale della situazione debitoria e fanno stimare la società da un perito, che ne definisce il valore. Da questa base viene poi disposta un’asta, attraverso cui si cerca un nuovo proprietario. Il buon esito di questa operazione, tuttavia, è legato al fatto che l’acquirente sia disposto a farsi carico dei debiti pregressi della società. È su questo punto che i destini di Parma e Foligno potrebbero dividersi: se per salvare una Sport e tempo libero squadra minore, infatti, è sufficiente nella maggior parte dei casi un investimento medio non superiore a un milione di euro, le cifre che riguardano gli emiliani sono ben diverse. Il loro debito è pari infatti a 218 milioni e l’eventuale nuovo proprietario, una volta acquisita la società, dovrebbe subito versare a fondo perduto 74,3 milioni per gli stipendi arretrati dei giocatori e dei tesserati e per le tasse che li riguardano. Il tutto per acquisire una squadra che, vista l’attuale posizione in classifica, retrocederà con ogni probabilità nella serie cadetta, con una perdita ulteriore di introiti da parte dei diritti televisivi e degli sponsor. Nel caso in cui non si trovasse un acquirente, la società andrebbe invece incontro a un fallimento definitivo, sarebbe costretta a ripartire dal campionato dilettanti e per i debiti contratti si aprirebbero diversi scenari. I più tutelati, in casi come questo, restano i calciatori: svincolati dai contratti e liberi di cercarsi una nuova squadra, grazie a un apposito fondo di solidarietà istituito presso la Federazione essi si vedrebbero corrisposti gli emolumenti dovuti. Per tutti gli altri, dipendenti della società compresi, si dovrebbero attendere invece i proventi dell’indotto fallimentare. Sicuramente ai vertici federali spetta il compito di una riflessione seria su questi episodi, che troppo spesso si ripresentano. Soltanto un anno fa è stato abrogato il Lodo Petrucci, la particolare procedura burocratico-amministrativa che, per non disperdere il patrimonio sportivo di una città, consentiva di rilevare una società esclusa dai campionati professionistici per motivi finanziari e assegnava alla nuova proprietà un titolo sportivo inferiore di due sole categorie rispetto a quello di cui la squadra era già in possesso. Ora la Federazione rispetta comunque il criterio territoriale, considerando il bacino d’utenza nel quale si troveranno a operare i nuovi compratori. Una più attenta analisi si dovrebbe però condurre, al momento dell’acquisto, sulla solidità finanziaria del soggetto subentrante: oggi si chiede soltanto il pagamento dei tesserati e il versamento dei contributi previdenziali, che nel caso Parma corrispondono ai 74,3 milioni di euro. Peccato che, senza garanzie specifiche sul saldo dei restanti 144, qualsiasi nuova società nasca già con un piede nella fossa. Davide Giuliani Gli illustri fallimenti La Fiorentina di Cecchi Gori Nell’estate 2002 la squadra, appena retrocessa in Serie B, non si iscrive al campionato. La società, rilevata dai Della Valle, cambia nome in Florentia Viola e partecipa alla Serie C2. Nel 2003 la proprietà acquista il marchio della vecchia AC Fiorentina. Il ritorno in A si ha nel 2004, anche grazie alla promozione diretta dalla C2 alla B. Napoli, la C1 per rinascere La società partenopea è tra le prime, nel 2004, a sfruttare il Lodo Petrucci, che le consente, dopo il fallimento in Serie B, di ripartire dalla C1 con il nome di Napoli Soccer: è l’inizio dell’era De Laurentiis. Nel 2006, assieme alla promozione in B, torna anche la denominazione originaria Società Sportiva Calcio Napoli. Dopo un anno, l’approdo in Serie A. Perugia, il doppio fallimento I biancorossi sono protagonisti di due fallimenti: il primo nel 2005 con la famiglia Gaucci, il secondo nel 2010. Ripartita dal campionato dilettanti, la squadra ritornò l’anno seguente tra i professionisti con il nome di A.C. Perugia Calcio. Sotto la guida di mister Camplone, il Grifo ha ottenuto nella stagione scorsa la promozione nella serie cadetta. Il Bari salvato da Paparesta Poco più di un anno fa, il 10 marzo 2014, l’assemblea dei soci dell’A.S. Bari annunciò l’autofallimento del club per gli ingenti debiti. Affidata ai curatori fallimentari, la squadra conquistò comunque i playoff per la Serie A, ma venne eliminata in semifinale. Fu una cordata guidata dall’ex arbitro Gianluca Paparesta a salvare la società acquistandone i beni per 4,8 milioni di euro. Il Football Club Bari 1908, nuovo nome sociale, milita attualmente in Serie B. 15 marzo 2015 | 13 Sport e tempo libero A spasso con Silvia Taglia il traguardo per prima in tutte le corse da 22 chilometri. Il suo sogno: vincere una maratona la soddisfazione di sentirsi scendere addosso il sudore dopo un’ora di gara superano ogni rinuncia. Uno sport di fatica, concentrazione e costanza «a volte non ti girano le gambe, ma pensare alla vittoria mi fa andare avanti e raggiungere il traguardo». Il segreto per vincere è allenarsi tutti i giorni (in una settimana corre almeno 70 chilomeri) e fare una vita sana: mangiare solo cose salutari, non bere e non fumare e prendere come integratori soltanto sali e prodotti naturali. l suoi obiettivi futuri: scendere sotto un’ora e venti nelle mezze maratone, la prossima sarà la “Stramilano” che si correrà domenica 29 marzo – prima gara nazionale a cui parteciperà – e ovviamente vincere una maratona. Le premesse ci sono, ha già fatto una 34 chilometri e si è piazzata bene. In bocca al lupo Silvia. aLessia beneLLi I numeri del podismo T Silvia Tamburi durante un allenamento in via Centova (���� �� A������ B������) utti i giorni a mezzogiorno lascia e alla fine ce l’ha fatta. L’ultimo sucla sua scrivania di programmatocesso della Tamburi è proprio la “Pomre informatico e va a correre sulle peithon” dove è arrivata prima nella 10 piste ciclopedonali di Perugia durante chilometri. la pausa pranzo. Silvia Tamburi, trenTra il 2013 e il 2015 ha vinto dieci taquattrenne originaria di Marsciano, mezze maratone regionali, dalla “Strasiè una delle campionesse del podismo meno” alla “Maratona di San Valentino”. umbro. Per ora riesce a competere solo La vita del podista però è dura: «Correre nelle mezze maratone (precisamente non paga – spiega Silvia – a fronte di al21,097 chilometri) ma il suo obiettivo è lenamenti quotidiani e della fatica fisica partecipare ad una maratona (42,195 e mentale che serve per poter fare quechilometri) e vincerla. L’abbiamo inconsto sport, il ritorno economico è nullo. trata durante un allenamento sul perNell’atletica non girano soldi. I corridori corso verde di via Centova, a Perugia. sono i primi a dover spendere, ho avuto Tre anni fa un amidei dolori articolari e co l’ha convinta a «Corro per passione, ho pagato il fisiotegareggiare in una rapista a mie spese. al massimo corsa e da allora Da quando corro mi non ha più smessento molto meglio, ho vinto 150 euro so. Silvia racconta: è solo un appagae un prosciutto» «All’inizio partecimento personale». pavo alle gare senza allenarmi, poi ho I premi delle gare podistiche regionali incontrato Enrico, che a settembre è spesso non superano i 150 euro mentre diventato il mio preparatore atletico». quelli delle nazionali, dove partecipano Si tratta di Enrico Pompei, presidente anche campioni mondiali, arrivano apdell’Atletica Avis Perugia. Una leggenpena ai duemila euro. Silvia per arrivada del podismo della regione tanto da re a fine mese fa pure la pizzaiola e la aver festeggiato i 42 anni di attività, baby-sitter, la sera alle dieci e mezzo domenica 22 marzo, con una maratona crolla dopo una giornata di allenamenti che porta il suo nome: la “Pompeithon”. e lavoro. Il venerdì o il sabato non esce Pompei, colpito dalla resistenza fisica e con gli amici perché il giorno dopo ha dalla determinazione di Silvia, ha impieuna corsa. Sa che la gara non le porgato un po’ di tempo per convincerla a terà qualche soldo in più ma il richiamo diventare un’atleta semi-professionista dell’adrenalina e della vittoria ed anche 14 | 15 marzo 2015 La corsa appassiona sempre di più gli umbri. Tantissime le manifestazioni amatoriali e agonistiche – dalle gare più brevi (di 3 chilometri) alle ultra maratone (oltre i 200) – richiamano centinaia e spesso migliaia di persone. Qualche anno fa alle gare partecipavano appena 200 persone oggi anche più di mille. 2.000 iscritti alle gare competitive e 1.000 per la family run della Maratona 2015 di San Valentino. 1.850 iscritti all’edizione 2015 della Strasimeno. 8.000 corridori amatoriali e non alla 30ª edizione della Grifonissima. 30 professionisti con tessera Fidal in tutta l’Umbria. Le podiste donne: fino a 2 anni fa solo 10 iscritte a corsa, adesso anche più di 100. Sport e tempo libero Cuore di campione Cosa distingue atleti che praticano sport diversi? Lo abbiamo chiesto al medico sportivo Nicola Zizzi M Il re dei tiri da tre Con quell’aria scanzonata da bravo ragazzo, Marco Belinelli from San Giovanni in Persiceto, paesone di trentamila abitanti nella Bassa bolognese, ha conquistato l’anno scorso il titolo nella prestigiosa “Three Point Contest”, la gara dei tiri da tre della NBA. Sbarcato negli States nel 2007, dopo non troppo fortunate parentesi a Golden State, Toronto, New Orleans e Chiacago, si è affermato con i San Antonio Spurs, dove ha vinto il titolo nel 2014. Belinelli è stato il primo e finora unico italiano ad avere vinto il campionato NBA. Il suo corpo è modellato dalla dieta, a base di frutta e proteine. Leve lunghe, articolazioni robuste e un cuore che deve essere in grado di sopportare sforzi brevi e intensi fanno parte del suo identikit di sportivo. arco Belinelli e Phillip Heath sono due campioni, ma hanno poco in comune. L’italiano, star della NBA americana, è alto 196 centimetri e pesa 90 chili. Il bodybuilder statunitense, mister Olympia nelle ultime quattro edizioni, è 21 centimetri più basso e pesa, quando è in forma, 20 chili in più. Ma se i rispettivi cuori si potessero vedere a occhio nudo, sotto lo strato di muscuoli che li nasconde, emergerebbero differenze ben più sostanziali. Lo sport cambia il corpo anche interiormente: «Heath – spiega il medico sportivo perugino Nicola Zizzi – ha un cuore piccolo, con le pareti spesse e le cavità poco ampie, soggetto, sotto sforzo, a pressioni elevatissime. Belinelli ha invece un muscolo cardiaco molto più voluminoso e sottile, capace di contrarsi più rapidamente». Il corpo umano è una macchina flessibile, adattabile, malleabile. Cambia a seconda delle sollecitazioni che provengono dall’esterno. Continua Zizzi: «Quando si parla delle caratteristiche del corpo di uno sportivo, non si può fare di tutta l’erba un fascio. Ci sono discipline che richiedono arti lunghi o corti, articolazioni flessibili o rigide, baricentro basso o alto. Si possono però distinguere due grandi famiglie: da una parte gli sport ad alto impegno cardiocircolatorio, dall’altra quelli che richiedono sforzi brevi e forza esplosiva». Fanno parte del primo gruppo il nuoto, il ciclismo, la corsa e lo sci di fondo. Discipline come il body building e il sollevamento pesi appartengono invece alla seconda categoria. Ci sono poi attività intermedie: il tennis, per esempio, in cui i picchi di sforzo si raggiungono per brevi attimi, ma con grande frequenza. Il cuore dei tennisti è sottoposto a pressioni sanguigne elevate, ma deve essere in grado di recuperare in fretta. «Il muscolo cardiaco di un trentenne non allenato pompa nei vasi settanta centilitri di sangue a ogni contrazione. Quello di una persona che fa attività fisica ad alta intensità almeno tre volte a settimana è in grado di fare circolare fino a 40 centilitri in più ogni volta che pulsa. Ciò significa che ha un’efficienza del 50% maggiore, con tutti i benefici in termini di salute che ne derivano. Immaginiamo che il corpo umano sia una vasca da bagno da riempire. Il cuore di uno sportivo ha a disposizione un secchio, il sedentario un bicchiere. Chi dei due pensate si stancherà di più? Dopo i sessant’anni c’è però da stare attenti a non smettere di colpo. Dopo circa un anno e mezzo di inattività totale, il cuore di un atleta si inflaccidisce. Bisogna continuare a muoversi, almeno due volte a settimana». Insomma, lo sport dà soddisfazioni e responsabilità. Onori e oneri di chi lo pratica. Davide Denina Mister Olympia A guardare le sue foto dei tempi in cui giocava nella squadra di basket dell’università di Denver, si pensa che sia un’altra persona. Eppure Phillip Heath, soprannominato “The Gift”, “il regalo”, va per i 36 anni. Una dieta iperproteica e, soprattutto, il quotidiano lavoro in palestra che intraprende dal 2003 hanno modellato il suo fisico da bodybuilder. Heath è il vincitore delle ultime quattro edizioni di Mister Olympia, il concorso di bellezza per culturisti più prestigioso al mondo. Meglio di lui solo in tre, tra cui Arnold Schwarzegger, campione sette volte. 15 marzo 2015 | 15 Donne durante una processione della settimana santa a sant’onofrio in calabria (Giuseppe Cugliari, 2014) Ad ognuno la sua Pasqua In tutto il mondo, ogni anno, tornano a rivivere tradizioni popolari millenarie I n Grecia le uova sono rosse come il sangue, ma portano salute. In Danimarca, case e giardini devono essere colorati di giallo, come i narcisi che nascono a primavera. Le strade di Preston, in Inghilterra, sono invase da un esercito di gusci colorati: l’usanza vuole vengano fatti rotolare finché l’ultimo di questi non si sia spezzato. Ai bambini francesi si dice di correre veloci, alla ricerca delle campane scappate a Roma, e questi passano le giornate a guardare il cielo aspettando di vederle tornare; i bimbi svedesi invece si trasformano in streghe e girano per le strade intenti a scacciare spiriti maligni e far bottino di caramelle. Ogni anno, con l’arrivo della prima luna di primavera, rivivono rituali anti- chissimi, che uniscono religione e tradizioni millenarie, la Passione alla celebrazione della primavera, al rifiorire della natura. In tutta Italia paesi e città sono invasi da feste popolari e rappresentazioni sacre che vengono dall’alba dei tempi e da posti lontani. In alcuni paesi della Calabria si festeggia la pasqua bizantina e, tra antichi balli e costumi arbereshe, si ricordano lontane origini albanesi. In Umbria i piccoli borghi vengono illuminati con torce e fiaccole, si intonano antiche laudi, penitenzieri incappucciati a piedi nudi portano la croce e antiche confraternite i loro vessilli. Un’antichissima forma di teatro popolare che fa rivivere i paesi da Montefalco a Orvieto di una complicità drammaturgica arcaica. Rituali affascinanti, puri, punti fermi che sembrano strappare i popoli dallo scorrere incerto del tempo. Secondo l’antropologo Ernesto De Martino, il pianto rituale antico era un modo per uscire dalla crisi senza orizzonte e rinascere, aprirsi verso il futuro che deve venire. E forse è così ancora oggi. Con l’equinozio di primavera anche il sole, passato l’inverno, torna a prendersi la sua lenta rivincita sul buio. Come scriveva De Martino: «L’uomo si è affidato a ripetizioni ritmiche celesti proprio per proteggere il troppo interno e labile calendario del suo cuore, e per poter iscrivere i suoi tempi precari nel più stabile tempo del cielo.» Giulia Paltrinieri Quattro colonne Redazione degli allievi della Scuola a cura di Sandro Petrollini Anno XXIV numero 5 – 15 marzo 2015 Registrazione al Tribunale di Perugia N. 7/93 del maggio 1993 SGRT Notizie Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo Presidente: Nino Rizzo Nervo Direttore: Antonio Bagnardi Direttore responsabile: Antonio Socci Coordinatori didattici: Luca Garosi – Marco Mazzoni In redazione Paolo Andreatta, Iacopo Barlotti, Alice Bellincioni, Alessia Benelli, Simone Carusone, Gianluca De Rosa, Davide Denina, Marco Frongia, Davide Giuliani, Ruben Kahlun, Maria Giovanna La Porta, Elisa Marioni, Francesco Mariucci, Giulia Paltrinieri, Simona Peluso, Valerio Penna, Giulia Presutti, Giacomo Prioreschi, Valentina Russo, Alessandro Salveti, Maria Teresa Santaguida, Lorenza Sbroma Tomaro, Nicoletta Soave, Dario Tomassini, Nicola Tupputi Segreteria: Villa Bonucci 06077 Ponte Felcino (PG) Tel. 075/5911211 Fax. 075/5911232 e-mail: [email protected] http://www.centrogiornalismo.it Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Perugia Stampa: Italgraf - Perugia