RAVENNA FESTIVAL 2015 Lully, un fiorentino a Versailles Basilica di Sant’Apollinare Nuovo giovedì 11 giugno, ore 21 Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana con il patrocinio di Senato della Repubblica Camera dei Deputati Presidenza del Consiglio dei Ministri Ministero per i Beni e le Attività Culturali Ministero degli Affari Esteri con il sostegno di Comune di Ravenna con il contributo di Comune di Cervia Comune di Comacchio Comune di Forlì Koichi Suzuki Hormoz Vasfi Comune di Russi partner RAVENNA FESTIVAL RINGRAZIA Associazione Amici di Ravenna Festival Apt Servizi Emilia Romagna ARCUS Arte Cultura Spettacolo Autorità Portuale di Ravenna BPER Banca Cassa dei Risparmi di Forlì e della Romagna Cassa di Risparmio di Ravenna Classica HD Cmc Ravenna Cna Ravenna Comune di Cervia Comune di Comacchio Comune di Forlì Comune di Otranto Comune di Ravenna Comune di Russi Confartigianato Ravenna Confindustria Ravenna Coop Adriatica Cooperativa Bagnini Cervia Credito Cooperativo Ravennate e Imolese Eni Federazione Cooperative Provincia di Ravenna Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna Gruppo Hera Gruppo Mediaset Publitalia ’80 Gruppo Nettuno Hormoz Vasfi Itway Koichi Suzuki Legacoop Romagna Micoperi Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Poderi dal Nespoli PubbliSOLE Publimedia Italia Quotidiano Nazionale Rai Uno Rai Radio Tre Reclam Regione Emilia Romagna Sapir Setteserequi Sigma 4 SVA Plus Concessionaria Volkswagen Unicredit Unipol Banca UnipolSai Assicurazioni Venini Antonio e Gian Luca Bandini, Ravenna Francesca e Silvana Bedei, Ravenna Maurizio e Irene Berti, Bagnacavallo Mario e Giorgia Boccaccini, Ravenna Paolo e Maria Livia Brusi, Ravenna Margherita Cassis Faraone, Udine Glauco e Egle Cavassini, Ravenna Roberto e Augusta Cimatti, Ravenna Ludovica D’Albertis Spalletti, Ravenna Marisa Dalla Valle, Milano Letizia De Rubertis e Giuseppe Scarano, Ravenna Ada Elmi e Marta Bulgarelli, Bologna Rosa Errani e Manuela Mazzavillani, Ravenna Dario e Roberta Fabbri, Ravenna Gioia Falck Marchi, Firenze Gian Giacomo e Liliana Faverio, Milano Paolo e Franca Fignagnani, Bologna Domenico Francesconi e figli, Ravenna Giovanni Frezzotti, Jesi Idina Gardini, Ravenna Stefano e Silvana Golinelli, Bologna Dieter e Ingrid Häussermann, Bietigheim‑Bissingen Lina e Adriano Maestri, Ravenna Silvia Malagola e Paola Montanari, Milano Franca Manetti, Ravenna Gabriella Mariani Ottobelli, Milano Pietro e Gabriella Marini, Ravenna Manfred Mautner von Markhof, Vienna Maura e Alessandra Naponiello, Milano Peppino e Giovanna Naponiello, Milano Giorgio e Riccarda Palazzi Rossi, Ravenna Gianna Pasini, Ravenna Gian Paolo e Graziella Pasini, Ravenna Desideria Antonietta Pasolini Dall’Onda, Ravenna Giuseppe e Paola Poggiali, Ravenna Carlo e Silvana Poverini, Ravenna Paolo e Aldo Rametta, Ravenna Stelio e Grazia Ronchi, Ravenna Stefano e Luisa Rosetti, Milano Giovanni e Graziella Salami, Lavezzola Guido e Francesca Sansoni, Ravenna Francesco e Sonia Saviotti, Milano Roberto e Filippo Scaioli, Ravenna Eraldo e Clelia Scarano, Ravenna Leonardo Spadoni, Ravenna Gabriele e Luisella Spizuoco, Ravenna Paolino e Nadia Spizuoco, Ravenna Thomas e Inge Tretter, Monaco di Baviera Ferdinando e Delia Turicchia, Ravenna Maria Luisa Vaccari, Ferrara Roberto e Piera Valducci, Savignano sul Rubicone Gerardo Veronesi, Bologna Luca e Riccardo Vitiello, Ravenna Presidente Gian Giacomo Faverio Vice Presidenti Leonardo Spadoni Maria Luisa Vaccari Paolo Fignagnani Giuliano Gamberini Maria Cristina Mazzavillani Muti Giuseppe Poggiali Eraldo Scarano Gerardo Veronesi Segretario Pino Ronchi Aziende sostenitrici Alma Petroli, Ravenna CMC, Ravenna Consorzio Cooperative Costruzioni, Bologna Credito Cooperativo Ravennate e Imolese FBS, Milano FINAGRO, Milano Kremslehner Alberghi e Ristoranti, Vienna L.N.T., Ravenna Rosetti Marino, Ravenna SVA Concessionaria Fiat, Ravenna Terme di Punta Marina, Ravenna TRE - Tozzi Renewable Energy, Ravenna RAVENNA FESTIVAL Direzione artistica Cristina Mazzavillani Muti Franco Masotti Angelo Nicastro Fondazione Ravenna Manifestazioni Soci Comune di Ravenna Regione Emilia Romagna Provincia di Ravenna Camera di Commercio di Ravenna Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna Confindustria Ravenna Confcommercio Ravenna Confesercenti Ravenna CNA Ravenna Confartigianato Ravenna Archidiocesi di Ravenna-Cervia Fondazione Arturo Toscanini Consiglio di Amministrazione Presidente Fabrizio Matteucci Vicepresidente Mario Salvagiani Consiglieri Ouidad Bakkali Galliano Di Marco Lanfranco Gualtieri Sovrintendente Antonio De Rosa Segretario generale Marcello Natali Responsabile amministrativo Roberto Cimatti Revisori dei conti Giovanni Nonni Mario Bacigalupo Angelo Lo Rizzo Jean-Baptiste Lully in una incisione di Bonnart. Lully, un fiorentino a Versailles Melodi Cantores Orchestra Barocca “La Magnifica Comunità” direttore Elena Sartori voci soliste Sara Bino soprano Elena Biscuola contralto Raffaele Giordani tenore primo Mauro Borgioni baritono Elisa Bonazzi mezzosoprano Anna Pia Capurso mezzosoprano Michele Concato tenore secondo prima esecuzione in versione integrale in tempi moderni Luigi xiv nei panni di Apollo (Parigi, Bibliothèque Nationale). Jean Baptiste Lully (1632-1687) Salve Regina Te Deum e Dies Irae grandi mottetti per soli, doppio coro e orchestra Dies Irae Sinfonia Dies Irae Tuba mirum Quid sum miser Rex tremendae Recordare Ingemisco Confutatis Lacrimosa Pie Iesu Te Deum Sinfonia Te Deum laudamus Pleni sunt caeli Sinfonia Patrem immensae majestatis Sinfonia Te ergo quaesumus Sinfonia Per singulos dies Et laudamus Sinfonia Dignare Domine Miserere In te Domine speravi Salve Regina Salve Regina mater misericordiae, vita, dulcedo et spes nostra salve. Ad te clamamus exules filii Evae. Ad te suspiramus gementes et flentes in hac lacrimarum valle. Eia ergo advocata nostra, illos tuos misericordes oculos ad nos converte, et Jesum benedictum fructum ventris tui nobis post hoc exilium ostende. O clemens o pia o dulcis Virgo Maria. Dies Irae Dies Irae, dies illa solvet saeclum in favilla teste David cum Sybilla. Quantus tremor est futurus, quando judex est venturus, cuncta stricte discussurus! Tuba, mirum spargens sonum per sepulcra regionum, coget omnes ante thronum. Mors stupebit et natura, cum resurget creatura, judicanti responsura. Liber scriptus proferetur, in quo totum continetur, unde mundus judicetur. Judex ergo cum sedebit, quidquid latet, apparebit, nil inultum remanebit. Quid sum miser tunc dicturus? quem patronum rogaturus, cum vix justus sit securus? Rex tremendae majestatis, qui salvandos salvas gratis, salva me, fons pietatis. Recordare, Jesu pie, quod sum causa tuae viae; ne me perdas illa die. Quaerens me, sedisti lassus, redemisti Crucem passus; tantus labor non sit cassus. Juste judex ultionis, donum fac remissionis ante diem rationis. Ingemisco, tamquam reus: culpa rubet vultus meus; supplicanti parce, Deus. Qui Mariam absolvisti, 10 Salve Regina, Madre di misericordia, vita, dolcezza e speranza nostra, salve. A te ricorriamo, esuli figli di Eva. A te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lacrime. Orsù dunque, avvocata nostra, rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi, e mostraci, dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo seno. O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria. Il giorno dell’ira, quel giorno che dissolverà il mondo terreno in cenere come annunciato da David e dalla Sibilla. Quanto terrore verrà quando il giudice giungerà a giudicare severamente ogni cosa. La tromba, diffondendo un suono mirabile tra i sepolcri del mondo, spingerà tutti davanti al trono. La Morte e la Natura si stupiranno quando risorgerà ogni creatura per rispondere al giudice. Sarà presentato il libro scritto nel quale è contenuto tutto, dal quale si giudicherà il mondo. E dunque quando il giudice si siederà, ogni cosa nascosta sarà svelata, niente rimarrà invendicato. In quel momento che potrò dire io, misero, chi chiamerò a difendermi, quando a malapena il giusto potrà dirsi al sicuro? Re di tremendo potere, tu che salvi per grazia chi è da salvare, salva me, fonte di pietà. Ricorda, o pio Gesù, che io sono la causa del tuo viaggio; non lasciare che quel giorno io sia perduto. Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano! Giusto giudice di retribuzione, concedi il dono del perdono prima del giorno della resa dei conti. Comincio a gemere come un colpevole, per la colpa è rosso il mio volto; risparmia chi ti supplica, o Dio. Tu che perdonasti Maria di Magdala, 11 et latronem exaudisti, mihi quoque spem dedisti. Preces meae non sunt dignae, sed tu bonus fac benigne, ne perenni cremer igne. Inter oves locum praesta, et ab haedis me sequestra, statuens in parte dextra. Confutatis maledictis, flammis acribus addictis, voca me cum benedictis. Oro supplex et acclinis, cor contritum quasi cinis: gere curam mei finis. Lacrimosa dies illa, qua resurget ex favilla judicandus homo reus. Huic ergo parce, Deus, pie Jesu Domine, dona eis requiem. Amen Te Deum Te Deum laudamus, te Dominum confitemur. Te, aeternum Patrem, omnis terra veneratur. Tibi omnes Angeli, tibi caeli et universae potestates, tibi Cherubim et Seraphim incessabili voce proclamant: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth. Pleni sunt caeli et terra maiestatis gloriae tuae. Te gloriosus Apostolorum chorus, te prophetarum laudabilis numerus; te martyrum candidatus laudat exercitus. Te per orbem terrarum sancta confitetur Ecclesia, Patrem immensae maiestatis; venerandum tuum verum et unicum Filium; Sanctum quoque Paraclitum Spiritum. Tu rex gloriae, Christe. Tu Patris sempiternus es Filius. Tu ad liberandum suscepturus hominem non horruisti virginis uterum. Tu, devicto mortis aculeo, aperuisti credentibus regna caelorum. Tu ad dexteram Dei sedes, in gloria Patris. Iudex crederis esse venturus. Te ergo quaesumus, tuis famulis subveni, quos pretioso sanguine redemisti. Aeterna fac cum Sanctis tuis in gloria numerari. Salvum fac populum tuum, Domine, et benedic hereditati tuae. Et rege eos, et extolle illos usque in aeternum. Per singulos dies benedicimus te; et laudamus nomen tuum in saeculum et in saeculum saeculi. Dignare, Domine, die isto sine peccato nos custodire. Miserere nostri, Domine, miserere nostri. Fiat misericordia tua, Domine, super nos, quemadmodum speravimus in te. In te, Domine, speravi: non confundar in aeternum. 12 tu che esaudisti il buon ladrone, anche a me hai dato speranza. Le mie preghiere non sono degne; ma tu, buon Dio, con benignità fa’ che io non sia arso dal fuoco eterno. Assicurami un posto fra le pecorelle, e tienimi lontano dai caproni, ponendomi alla tua destra. Una volta smascherati i malvagi, condannati alle fiamme feroci, chiamami tra i benedetti. Prego supplice e in ginocchio, il cuore contrito, come ridotto a cenere, prenditi cura del mio destino. Giorno di lacrime, quello, quando risorgerà dalla cenere il peccatore per essere giudicato. Perdonalo, o Dio: pio Signore Gesù, dona a loro la pace. Amen. Noi ti lodiamo, Dio, confessiamo che sei tu il Signore. Tu, Eterno Padre, che è venerato da tutta la terra. A te tutti gli angeli, a te le potenze del cielo e dell’universo, a te i cherubini e i serafini cantano con voce incessante: Santo, Santo, Santo il Signore Dio degli eserciti. I cieli e la terra sono pieni della maestà della tua gloria. Ti acclama il coro glorioso degli apostoli e il numero lodevole dei profeti e la candida schiera dei martiri. In tutto il mondo la santa Chiesa proclama te. Padre di immensa maestà, il tuo venerabile e unico vero Figlio e anche lo Spirito Santo Paraclito. Tu, re della gloria, Cristo, tu sei il figlio eterno del Padre, per la salvezza dell’uomo, non hai disdegnato il ventre di una Vergine. Vincitore della morte, hai aperto ai credenti il regno dei cieli. Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre. Crediamo che verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi. Dunque ti chiediamo: soccorri i tuoi servi, che hai redento col tuo sangue prezioso. Fa’ che siamo annoverati fra i santi nella gloria eterna. Salva il tuo popolo, Signore, e benedici la tua eredità, e guidali e sorreggili in eterno. Ogni giorno ti benediciamo, lodiamo il tuo nome per sempre. Degnaci oggi, Signore, di custodirci in questo giorno senza peccato. Pietà di noi, Signore, pietà di noi. Sia sempre su di noi, Signore, la tua misericordia, dato che abbiamo sperato in te. In te, Signore, ho sperato: non sarò confuso in eterno. 13 Jean-Baptiste Lully in una incisione tratta da un bassorilievo di Jean Louis Roullet. Gli italiani e lo stile francese Elena Sartori* In che cosa consiste lo stile francese? Lo identifica certamente, prima di ogni altra cosa, il caratteristico ritmo puntato, denominato inegalité, che, applicandosi anche al di fuori della tipica forma dell’Ouverture strumentale, fino al trattamento del canto sia solistico che d’assieme, ci rievoca immediatamente il passo scandito e cadenzato che accompagna il solenne ingresso a corte di qualche personaggio di riguardo. Sono tuttavia soprattutto altri gli aspetti coi quali il direttore di questi repertori si deve confrontare, talmente caratterizzanti da far sì che finora, forse anche con una punta di protezionismo nazionalistico, solo ed esclusivamente gli interpreti francesi siano stati legittimati a occuparsi di queste musiche. Mentre non è in discussione che i repertori degli autori tedeschi o italiani dello stesso periodo siano percepiti come patrimonio universale e, fatte salve eventualmente le attenzioni dovute alla corretta pronuncia, eseguiti indipendentemente dalla provenienza nazionale degli esecutori. La musica francese è soprattutto danza, ornamento e colore. Oboi, trombe, flauti e fagotti, assieme alle percussioni, si mescolano del tutto a piacere e secondo libertà, disponibilità ed occasione, all’organico strumentale, il nucleo del quale, nello stesso periodo, in Italia e Germania si identifica invece già con la coesione omogenea della completa famiglia degli archi. Un mordente particolare, un cromatismo inconfondibile caratterizza il suono dell’orchestra francese, un gusto per il colore che nasce qui e che ritroveremo in tutto il repertorio sinfonico dell’Ottocento. La dottrina dell’ornamentazione estemporanea della musica francese è tra le discipline più dettagliate e complesse messe a punto dalla cultura barocca. Vicinissima, come del resto l’arte del basso continuo, al mondo dell’improvvisazione, regolamentata da trattati e oggetto di dispute e controversie, consiste nell’arricchimento della linea melodica con segni di abbellimento e note speciali, spesso talmente frequenti e strettamente integrate e combinate tra loro da trasformarne sostanzialmente l’assetto, conferendo al canto in stile francese un comportamenteo di continuo, sfuggente e irrisolto languore. Il gusto per i ritmi di danza, infine, nasce dal complesso cerimoniale di corte che voleva i reali e i notabili di corte partecipare direttamente, con interludi di ballo appositamente previsti in libretto, allo svolgimento dell’opera. I francesi, d’altro 15 Réné-Antoine Houasse, Ritratto equestre di Luigi xiv (Chateau de Versailles). 16 canto, assegnavano alla danza talmente tanta importanza in ogni contesto della vita collettiva pubblica e privata che minuetti, gavotte e correnti e passacaglie si ritrovano dappertutto, dalle musiche da messa per l’organo al repertorio strumentale da concerto senza destinazione coreutica, ai mottetti corali sacri, pure di soggetto funebre. È tuttavia naturalmente la fonetica della lingua a conferire alla musica francese la sua peculiare sintassi. Cadenzata tutta in avanti sulla penultima e ultima sillaba, la pronuncia verbale tende a concentrare l’energia della frase musicale tutta alla fine, in contraddizione con la dottrina seicentesca del tactus, indicante nel primo movimento della battuta, quindi a inizio frase, il punto dove devono coincidere peso, intenzione ed espressione potenziali. Dal tactus, che l’interprete dovrà ben porgere e curare, scaturirà lo sviluppo. Il barocco francese presenta quindi un assetto ritmico e un fraseggio fortemenente asimmetrici e circoscritti, continuamente cangianti, frammentati da un’accentazione fitta e frequente, capaci di provocare ancora oggi nell’ascoltatore piacevole sconcerto, disorientamento e sorpresa. Frasi brevi, preferenza per il metro dattilico e le risoluzioni tronche e un senso continuo di irrisolta mutevolezza identificano fortemente questa musica, ora sospesa a metà frase ora gettata irresistibilmente a concludere, costituendo gran parte del suo indiscutibile fascino: connaturati nel ritmo della lingua, complici gli scontri consonantici e la pronuncia nasalizzata delle vocali, questi comportamenti si ritrovano tuttavia anche nella musica strumentale, dove il testo non c’è, e in quella sacra (si vedano per esempio le cantate di Rameau) dove il testo non è più in francese ma in latino, ma trattato come se fosse francese. Un mondo sonoro e ritmico tutto a parte, quindi, difeso (al di là delle varie querelles più di facciata che di sostanza) da un’omogeneità estetica che presenta poche smagliature, nel quale, per quanto riguarda il teatro d’opera in lingua francese, si integra perfettamente il linguaggio dell’italiano Lully. La figura di Giambattista Lulli si prestava naturalmente molto bene a un’incursione italiana, la prima in assoluto questa nostra, nei rigidi protocolli cerimoniali dell’esecuzione musicale a Versailles. Nascita e giovinezza nella culla della lingua italiana per un musicista che la storia della musica poi assimila senza distinguo al novero dei compositori francesi per nascita, sulla scorta di un rifiuto, da parte del compositore, della nazionalità e della cultura italiana che fu radicale, politico e senza ritorni. Ho deciso di realizzare con musicisti italiani una revisione e una lettura di alcuni dei Grandi Mottetti sacri di Lully a partire dallo spettacolare Te Deum, pure dopo averlo diretto in diverse occasioni sia italiane che internazionali, sempre tuttavia con l’impressione che poco avesse a che fare, se non per rimandi superficiali, sia con il teatro lullista che con le opere sacre in 17 Pierre Patel, Il palazzo di Versailles nel 1668 ca. (Chateau de Versailles). latino degli autori coevi. Composta da un italiano, la più grande pagina sacra di tutto il barocco francese esprime un linguaggio di grandezza internazionale difficilmente riducibile a particolarismi nazionali o di parte. Nessuna pagina in lingua latina scritta in Francia fa risuonare il testo in questo modo: fraseggio esteso e avvolgente, simmetrie perfette, energia e intenzioni concentrate sul tactus, ritmo prosodico del testo seguito in modo naturale prima che sottoposto – ed accade estremamente di rado – ad artifici d’effetto. Si avverte, dirigendo questa musica, una cantabilità radicale e materna, tutta italiana, una conservata memoria della lingua, probabilmente nemmeno intenzionale, che conduce la scrittura verso una bellezza liberamente ibrida e senza appartenenze. Riconferma questa attitudine a un lirismo disteso e italianissimo (qui si avvertono vicini i piccoli numeri a tre voci femminili che Monteverdi compone per la sua Selva morale) lo splendido Salve Regina, dove ogni scatto drammaturgico, ogni emiolia, ogni effetto, ogni spunto teatrale scaturiscono già sublimati nelle ragioni dell’affetto e dell’eleganza. Ancora più distante da Rameau e vicino, per il coro, a Carissimi (e già a Corelli per la scrittura strumentale) risuona il Dies Irae: rimasto inedito fino al 1958, quando Leduc ne approntò una prima trascrizione, viene editato vent’anni dopo ma solo parzialmente, in una redazione che riporta solo le parti corali e del basso continuo. Mi sono quindi occupata di ricostruire integralmente, rivedere e mettere a punto la parte orchestrale, riferendomi alla più completa e definitiva delle redazioni francesi, quella di Versailles del 1700. Per quanto riguarda l’organico, pur tenendo presente che il primo utilizzo del violone è attestato nell’orchestra francese solo circa un decennio più tardi la morte di Lully, cioè nel 1701, ho voluto sperimentarne l’inserimento a sostegno delle parti in doppio coro in funzione di raddoppio organistico e a rinforzo dell’effetto percussivo di timpani e trombe. *Un ringraziamento ad Alessia Buggiani del Conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari per il lavoro di redazione editoriale e di assistente alla Direzione in questa produzione. 20 RAVENNA FESTIVAL 2015 gli arti sti Elena Sartori Nata a Ravenna, ha compiuto gli studi in Direzione d’orchestra alla Hochschule di Stoccarda, laureandosi con menzione sotto la guida di Helmut Rilling. Diplomata inoltre in Pianoforte, Organo e Composizione organistica, Musica corale e Direzione di coro presso il Conservatorio “Girolamo Frescobaldi” di Ferrara , si è laureata in Storia della musica all’Università di Bologna con relatore Nino Albarosa. Dal 1994 al 2000 ha frequentato i corsi di alto perfezionamento in Organo e in Direzione e concertazione della musica barocca, prima al Conservatorio di Basilea poi al Mozarteum di Salisburgo (docenti Daniel Chorzempa e Tom Koopman). Dal 2004 è invitata regolarmente in qualità di Direttore presso festival quali Ravenna Festival, MiTo Settembre Musica, Sagra Musicale Malatestiana di Rimini, Biennale di musica contemporanea di Zagabria, Philharmonia Baltika di Danzica, Sophiensaal e Theresianum Stiftung di Berlino, Eurovias Baden Festival, Opern Studium Salzburg, Festival de Dijon, Festival de Ambronay e numerosi altri. È docente di Canto corale al Conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari, di Organo e Canto gregoriano all’Istituto Superiore di Studi Musicali “Luigi Boccherini” di Lucca e insegna ai Corsi estivi di musica barocca delle Università di Savonlinna (Finlandia) e Harrisburg (PA , Stati Uniti). Ha pubblicato con le etichette discografiche Tactus, La Bottega Discantica, Arts, Naxos, Amadeus e Classic Voice. 23 Melodi Cantores grand choeur soprani Elena Bassi Anna Pia Capurso* Martina Zaccarin baritoni e bassi Giovanni Augelli Decio Biavati Marcus Kohler Yiannis Vassilakis mezzi e contralti Elisa Bonazzi* Alessia Buggiani Elena Croci Rossana Verlato * solista tenori Marco Cisco Michele Concato* Sergio Martella Nicola Petruzzella 24 coro favoriti Sara Bino soprano Elena Biscuola contralto Raffaele Giordani tenore Mauro Borgioni baritono Nel trattato Syntagma musicum (1619), Praetorius definisce melodi cantores i più scelti tra i chierici in grado di eseguire il repertorio musicale del monastero. L’ensemble viene fondato nel 2006 per la ricostruzione e la prima incisione mondiale del Requiem di Giovanni Battista Martini. Tiene concerti in tutto il mondo con particolare interesse per il recupero dei repertori nascosti e di ricerca e muovendosi con fluidità tra la musica antica e la sperimentazione contemporanea. Nel 2005 per Ravenna Festival interpreta il Coro Monastico per la prima esecuzione assoluta dell’opera Sancta Susanna di Paul Hindemith sotto la direzione di Riccardo Muti. Nel 2007 prende parte all’Orfeo di Gluck, regia di Graham Vick, nei maggiori teatri italiani. Nel 2008 riceve la segnalazione speciale dalla critica discografica italiana per l’incisione delle Messe e dello Stabat Mater a 10 voci di Domenico Scarlatti e realizza, per la Sagra Musicale Malatestiana, la Water Passion di Tan Dun in prima esecuzione assoluta in forma scenica (regia di Denis Krief). Nel 2010 pubblica la prima esecuzione con strumenti originali dei salmi di Pergolesi (ed. «Amadeus»), esibendosi nei maggiori festival di musica antica e contemporanea in Europa e nel mondo. Per «Classic Voice Antiqua» pubblica nel 2015 la prima incisione italiana dei Grands Motets di Jean Baptiste Lully. 25 La magnifica comunità violini primi Enrico Casazza* Isabella Longo David Mazzacan violini secondi Luca Ranzato** Aureliana Baruffa Pietro Benedetto Cimento viole Federico Furlanetto Pasquale Lepore violoncelli Giordano Pegoraro Andrea Lattarulo violone Mauro Zavagno 26 organo Alessandro Perin oboe Michele Antonello fagotto Steno Boesso trombe Diego Cal Luca Del Ben timpani Alberto Macchini * primo violino ** soli © Christophe Morlat Costituito come complesso strumentale barocco nel 1990 da musicisti accomunati dal desiderio di divulgare la musica classica, svolge una costante attività di approfondimento personale e collettivo nella convinzione che la ricerca filologica e stilistica sia indispensabile per comprendere la musica di ogni epoca. L’ensemble articola la propria attività in numerose formazioni che vanno dal trio all’orchestra da camera, collaborando con gruppi corali. Primo violino e concertatore è Enrico Casazza. La Magnifica Comunità ha tenuto concerti in prestigiose sale italiane ed estere e ha ricevuto numerosi premi e recensioni in ambito internazionale per le pubblicazioni discografiche, tra cui si segnalano il recentissimo Choc de la Musique per il iv volume dei Quintetti di Boccherini e i 5 Diapason ricevuti dalla nota rivista francese «Diapason». Ha inciso per Brilliant, con cui sta portando a termine l’opera omnia dei Quintetti di Boccherini, Sony International, Deutsche Harmonia Mundi e Tring, con la quale ha registrato i concerti BWV 1041, 1042, 1043, 1044, i concerti Brandeburghesi n. 2, 4, 5 di Bach e cinque concerti per clavicembalo, due violini e basso continuo di Johann Christian Bach, nonché un’antologia di compositori veneti del Settecento. Con Tactus ha pubblicato opere di Gaetano Franceschini, Maddalena Lombardini, Alessandro Stradella, Alessandro Scarlatti e Giuseppe Tartini. 27 RAVENNA FESTIVAL 2015 luo ghi del festi val Basilica di Sant’Apollinare Nuovo La basilica fu edificata all’inizio del vi secolo per iniziativa di Teoderico come cappella palatina di culto ariano, legata alla adiacente presenza, ad est, della residenza imperiale, ampliata e restaurata in quegli anni dallo stesso re goto; l’epigrafe (assai discussa in sede critica) che si leggeva sull’arco absidale, tramandata dal Liber pontificalis ravennate, sembra attestarne la dedica a Cristo Signore. Dopo il 561, con il passaggio alla chiesa cattolica di tutti i beni della chiesa ariana, la basilica subì la reconsecratio ad opera dell’arcivescovo Agnello (556-569), che la dedicò a S. Martino di Tours, distintosi particolarmente nella lotta con gli eretici; la tradizionale denominazione in coelo aureo è dovuta alla doratura del soffitto. L’abside e il mosaico che la rivestiva subirono un cedimento, secondo lo storico Agnello, nel terremoto avvenuto all’epoca dell’arcivescovo Giovanni v iunior – variamente identificato con il presule in carica dal 625 al 631 (o 644) oppure con quello in carica dal 726 al 744. Attorno al ix secolo, probabilmente in occasione di una temporanea translatio in città del corpo o delle reliquie del protovescovo di Ravenna, la chiesa assunse il nome di S. Apollinare Nuovo, per distinguerla dalla chiesa urbana di S. Apollinare in veclo. A quest’epoca risale la cripta, di forma semianulare come quella della basilica classense, con un corridoio lungo il giro dell’abside al centro del quale si innestava, con una piccola crociera, un braccio rettilineo rivolto in direzione dell’altare, sotto cui erano collocate le reliquie del santo. Nel 973 presso la basilica si insediarono i Benedettini; a quest’epoca, o poco dopo, è databile il campanile. Nel xvi secolo la chiesa, ormai cadente e soggetta a frequenti allagamenti, passò, per decisione di Leone x, ai Frati Minori Osservanti, che promossero importanti modifiche, realizzando un nuovo pavimento a un livello di circa 120 cm. superiore al precedente, con il conseguente innalzamento delle arcate, che portò a sacrificare la parte inferiore del mosaico della navata centrale; fu inoltre costruita una nuova, più profonda abside, dipinta con figure di santi e finte incrostazioni marmoree, mentre venne chiuso l’accesso alla cripta, adibita a sepolcreto. Tra xvi e xvii secolo la navata sinistra si arricchì di sette cappelle e quella destra di cinque altari, mentre l’installazione di un organo lungo la parete destra della navata portò alla demolizione di parte del mosaico. Nel 1732, per intervento di fra Francesco da Meldola, fu promossa una nuova decorazione del presbiterio di gusto barocco. Durante il xix secolo e ancora all’inizio del ’900 importanti restauri, non tutti felici, interessarono il mosaico della navata. Nel 1916 un bombardamento colpì la zona sinistra della fronte della chiesa, danneggiando i mosaici adiacenti, poi restaurati dallo Zampiga. Nel secondo dopoguerra il pavimento fu rifatto, mettendo in luce le basi delle colonne; inoltre il presbiterio barocco fu nascosto dietro un’abside spoglia che seguiva le tracce di quella tardoantica, meno profonda, ricollocando l’altare di vi secolo e le quattro colonne porfiree del ciborio. A partire dal 1985, mutati i criteri di restauro storico, un nuovo intervento ha eliminato l’abside posticcia, restaurando il presbiterio settecentesco ma conservando allo stesso tempo anche l’altare primitivo nella zona anteriore. La basilica presenta all’esterno un nudo paramento in mattoni, appena movimentato sulla fronte dal portico ad arcate e dalla bifora nella sommità del prospetto, risalenti entrambi ad un intervento 30 rinascimentale. Sulla destra si leva il campanile altomedioevale, la cui mole in laterizio è alleggerita verso l’alto da monofore, bifore e trifore in successione, ed è decorata alla sommità con due bacini di ceramica ingobbiata dipinta (sostituiti da copie nel 1916). L’interno presenta un’ampia aula centrale separata dalle due più basse navatelle da arcate impostate su dodici colonne in marmo proconnesio, sormontate da stilizzati capitelli corinzi “a lira” e da pulvini dello stesso marmo ornati da semplici croci: si tratta di una fornitura da considerarsi direttamente importata da Costantinopoli all’epoca della edificazione teodericiana. Sopra le arcate, decorate nell’intradosso da stucchi rinascimentali e nei pennacchi da coeve pitture con figure di santi, campeggia su entrambe le pareti della navata mediana una grande decorazione a mosaico, il più esteso programma parietale dell’antichità oggi conservato. Il registro inferiore si può dividere in tre zone distinte. All’inizio della navata sono raffigurati i due poli della Ravenna tardoantica. Nella parete settentrionale, il sobborgo di Classe (indicato dall’epigrafe come civitas Classis) con il porto e le mura, da cui emergono edifici quasi interamente frutto di restauri moderni. Nella parete destra Ravenna emerge con le sue due cattedrali, cattolica ed ariana, dietro l’immagine del palatium eretto da Teoderico, visto come grande struttura monumentale timpanata fiancheggiata da due ali; alla estrema destra la porta di ingresso, sulla cui lunetta Cristo è raffigurato mentre calpesta un serpente, simbolo della vittoria sul male. La presenza di resti di mani sui fusti delle colonne chiarisce senza ombra di dubbio come durante la riconsacrazione cattolica della basilica, all’epoca dell’arcivescovo Agnello, si siano volute eliminare alcune figure dell’originario mosaico teodericiano, imprecisabili, ma comunque non più opportune. Sempre ad un restauro di età agnelliana si devono i due cortei di martiri e vergini che sui muovono dalle due città su un prato ricolmo di fiori, stagliandosi su un immateriale fondo oro. Probabilmente essi sostituivano importanti figure del regno goto, e per questo furono eliminate in occasione della riconsacrazione. I martiri, a destra, rigidi e impersonali, separati da palme, indossano veste bianca e recano in mano la corona da offrire a Cristo; spicca in prima fila S. Martino, con veste purpurea e dietro di lui S. Lorenzo, con veste aurea. Ancor più stilizzate appaiono le vergini del lato opposto, sempre divise da palme e con corona in mano, che risaltano per l’immateriale ricchezza delle loro vesti auree, elegantemente ricamate, e del loro diadema; esse sono precedute, a destra dai tre Magi (completamente rifatti nella zona superiore), anch’essi aggiunti dopo il 561. Si ritorna all’originale di età teodericiana nelle figurazioni maiestatiche collocate verso l’abside, a cui si dirigono gli stessi cortei. A destra Cristo è seduto ieraticamente in un trono gemmato “a lira”, fiancheggiato da quattro angeli con baculum, in funzione di silentiarii; un errato restauro effettuato verso la metà del secolo scorso da Felice Kibel ha portato alla sostituzione con uno scettro dell’originale libro tenuto in mano da Cristo, su cui era scritto “Ego sum rex gloriae”. Quattro angeli (il primo rifatto dal Kibel) sono presenti anche nella parete opposta a lato del trono gemmato su cui siede la Vergine con il bambino in braccio. Nel registro superiore, totalmente di età teodericiana, le finestre ad arco appaiono sormontate da coppie di uccelli abbeverantisi ad un vaso, e affiancate da figure aureolate di profeti, in vesti bianche, con volume in mano. 31 La bassa fascia al di sopra della finestre è anch’essa pertinente alla primitiva decorazione della basilica e presenta una serie di riquadri cristologici, alternati all’iterazione di una figurazione simbolicoornamentale con una conchiglia ieratica, rivolta verso il basso, dal cui nervo pende una corona, sopra alla quale, su uno sfondo azzurro, una crocetta è affiancata araldicamente da due colombe. I riquadri cristologici, da leggersi in entrambi i casi procedendo dal presbiterio all’ingresso, sono riferiti alla predicazione e ai miracoli di Gesù nel caso della navata sinistra, alla Passione e alla Resurrezione nella navata destra. La distinzione tematica fra le due pareti è ulteriormente accentuata dal mutare dell’aspetto di Cristo, imberbe e giovanile nel primo caso, dove si sottolinea l’origine divina, eterna del magistero del Figlio, barbato e maturo nel secondo caso, allorché nel Christus patiens si esprime pienamente l’umanità del Verbo incarnato, qui tuttavia mai disgiunta da una ieratica gravità. In ogni caso la presenza della veste purpurea, atta a qualificarne il ruolo di re universale, costituisce elemento di coesione nell’immagine di Gesù all’interno dei due cicli. All’estremità della parete sinistra era raffigurata in origine, come emerge da un disegno pubblicato da Giovanni Ciampini (Vetera monimenta, ii, 1699), l’episodio delle nozze di Cana (Gv 2, 1-11); la zona destra, successivamente caduta, è stata erroneamente reintegrata dal Kibel che, interpretando il riquadro come immagine di uno dei due episodi evangelici della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mt 14, 1321; 15, 29-39; Mc 6, 32-44; 8, 1-9; Lc 9, 10-17; Gv 6, 1-13), inserì dei cesti al posto delle originarie idrie, che Cristo toccava con una verga. Tale miracolo è già comunque rappresentato nel riquadro successivo, dove Cristo appare ieraticamente in posizione centrale, con le braccia aperte a toccare i pani e i pesci che gli porgono gli apostoli. Segue, procedendo verso sinistra, la scena della vocazione di Pietro e Andrea (Mt 4, 18-20; Mc 1, 16-17), rappresentati su una barca mentre trascinano le reti, e la guarigione dei due ciechi a Cafarnao (Mt 9, 27-31). Più avanti è raffigurata l’emorroissa che si piega a toccare un lembo del mantello di Gesù, che la guarisce (Mt 9, 20-22; secondo altri si tratterebbe della scena dell’adultera), l’incontro di Cristo con la Samaritana presso il pozzo di Sichem (Gv 4, 5-29) e la scena della Resurrezione di Lazzaro (Gv 11, 1-44), che appare, sulla sinistra, coperto di bende, all’interno di un sepolcro ad edicola. Il riquadro a sinistra illustra la parabola del Fariseo e del Pubblicano (Lc 18, 9-14): sullo sfondo di una stilizzata architettura evocante il tempio, il Fariseo appare sulla destra in atteggiamento orante, il Pubblicano sul lato opposto, mentre si batte il petto. Segue l’episodio dell’obolo della vedova (Mc 12, 41-44; Lc 21, 1-4), raffigurata in atto di gettare la sua povera offerta nel tesoro del tempio, mentre Cristo ne addita la generosità. La decima scena costituisce una rappresentazione simbolica del Giudizio universale liberamente ispirata a Mt 25, 31-36: Cristo appare assiso al centro su una roccia, affiancato da un angelo in vesti rosse e da uno in vesti azzurre (quest’ultimo, secondo un recente studio, identificabile come demonio), e separa le pecore, a sinistra, allegoria dei giusti, dai capri, a destra, allegoria dei dannati. Gli ultimi tre riquadri ritornano al tema dei miracoli, con la rappresentazione dell’episodio del paralitico di Cafarnao, che viene calato dal tetto della casa in cui si trova Cristo (Mc 2, 1-12; Lc 5, 18-26; cfr. anche Mt 9, 1-7), la guarigione dell’indemoniato di Gerasa, che compare a piedi di una roccia, mentre a destra sullo sfondo si gettano in mare i porci in cui si sono trasferiti gli spiriti maligni (Mc 5, 32 1-13; Lc 8, 26-34; cfr. anche Mt 8, 28-32) e la guarigione del paralitico presso la piscina di Betzata, in cui l’uomo appare già guarito mentre si carica sulle spalle il lettuccio, riquadro interamente rifatto dopo i bombardamenti della prima guerra mondiale (Gv 5, 1-5). Il primo riquadro della parete destra raffigura l’Ultima Cena. Cristo e gli apostoli sono distesi attorno ad una mensa a sigma sulla quale sono posti due pesci e sette pani: si tratta del momento in cui Gesù, a sinistra, annuncia il tradimento di Giuda (Mt 26, 21-25; Mc 14, 18-21; Lc 22, 21-23; Gv 13, 21-30), raffigurato sul lato opposto. La presenza dei pesce in luogo dell’agnello, oltre all’assenza del vino, rimandano ad una tradizione iconografica orientale, forse memore del carattere messianico della cena pura ebraica a base di pesce (Bagatti), se non legata al simbolismo eucaristico che riveste nell’esegesi patristica il miracolo dei pani e dei pesci, rappresentato nella parete a fronte. Il ciclo passionistico, procede, avanzando verso destra, con la preghiera sul monte degli ulivi (Mt 26, 36-46; Mc 14, 32-42; Lc 22, 39-46; Gv 18,1); al di sopra degli apostoli dormienti, Cristo è presentato secondo il tipico atteggiamento orante della tradizione classica e paleocristiana. Nel terzo riquadro l’episodio del bacio di Giuda è tradotto in una composizione di scabra drammaticità, dall’incisiva tessitura coloristica; il traditore, a sinistra, in veste bianca seguito da una schiera di armati con vesti rosse e azzurre, abbraccia Cristo, alla cui destra si collocano, con vesti bianche, Pietro, in atto di estrarre la spada, e gli altri apostoli (Mt 26, 47-56; Mc 14, 43-48; Lc 22, 47-53; Gv 18, 2-11). Segue l’immagine di Cristo condotto in giudizio (Mt 26, 57; Mc 14, 53; Lc 22, 66; Gv 18, 12-14), e quella del drammatico confronto con i sommi sacerdoti, raffigurati sotto una stilizzata architettura (Mt 26, 59-68; Mc 14, 5565; Lc 22, 66-71; Gv 18, 19-24). I due riquadri adiacenti sviluppano un medesimo episodio: dapprima Cristo annuncia a Pietro, che l’avrebbe rinnegato prima del canto del gallo (Mt 26, 33-35; Mc 14, 29-31; Lc 22, 33-34; Gv 13, 36-38) icasticamente raffigurato su un pilastrino, e poi la drammatica scena in cui lo stesso Pietro, nell’atrio della casa di Caifa, rappresentata sullo sfondo, dichiara a una serva di non conoscere Gesù (Mt 26, 69-72; Mc 14, 66-70; Lc 22, 56; Gv 18, 17). Nell’ottavo riquadro, Giuda si reca per restituire i denari da Caifa e dagli altri sacerdoti, sullo sfondo del tempio; nel successivo Cristo è condotto innanzi a Pilato che, seduto a destra su un trono, si lava le mani in un catino porto da un servo. Segue la scena della salita al Calvario: Cristo, sempre in veste purpurea, è seguito da soldati e da sacerdoti; sulla destra il Cireneo sorregge la croce (Lc 23, 26). L’evidente intenzione di sottolineare sempre e comunque la gravità maiestatica di Cristo in tutte le scene della Passione, a costo di sacrificare la lettera dei riferimenti evangelici, porta come estrema ratio all’assenza di un’immagine esplicita della Crocifissione. Gli ultimi tre riquadri riguardano infatti gli eventi successivi alla Resurrezione. Nel primo, un angelo alato, con tradizionale baculum, annuncia l’evento alle donne, che dall’altro lato, additano il sepolcro, rappresentato come un tempietto circolare, con la pietra d’ingresso abbattuta. Segue l’apparizione di Cristo ai due discepoli in cammino verso Emmaus, che torreggia a sinistra su un’altura rocciosa. Nell’ultimo emblema Cristo, al centro, appare, a porte chiuse, nella stanza dove si erano radunati gli apostoli, mostrando la ferita del costato all’incredulo Tommaso, che gli si prostra innanzi. All’originario arredo di età teodericiana apparteneva l’elegante ambone in marmo proconnesio, oggi collocato su un fusto di granito fra 33 la settima e l’ottava colonna a destra, ma che in origine doveva trovarsi al centro della navata, retto solo da colonnine; esso rientra in una tipica tipologia di produzione costantinopolitana, con la sua forma a doppio parapetto, decorato da una fitta serie di modanature, e doveva essere in origine fiancheggiato da scale laterali e sponde marmoree oggi perdute. La prima cappella a sinistra (1919) è dedicata ai caduti nella i Guerra Mondiale e presenta numerose pitture di autori moderni relative agli episodi del conflitto. La seconda cappella, che prende il nome dai conti Sala, contiene due tele del cesenate Ascanio Foschi, Proclamazione del perdono di Assisi (a sinistra) e Predica di S. Francesco (a destra), del 1612 circa. Segue la cappella dei conti Pasolini con due coeve opere di Ferraù Fenzoni (Faenza 1562-1645), la Natività (a destra) e la Morte della Vergine (a sinistra), a lati di una Madonna con il Bambino di scuola bolognese databile (Faietti) attorno al 1370. La seguente cappella Rasponi presenta un arco rinascimentale ornato di lacunari, aggiunto all’inizio del secolo, e conserva decorazioni pittoriche di Domenico e Andrea Barbiani (1747). L’ultima cappella a sinistra è rivestita da sbiaditi affreschi di Pietro da Bagnara (1540), con scene della vita di S. Apollinare. La cappella a sinistra dell’abside (1690), dedicata a S. Antonio, è decorata da stucchi di Antonio Martinetti e presenta un altare intarsiato di marmi pregiati; la cappella del lato opposto conserva un’ancona già sita in S. Apollinare in Classe. Il presbiterio, oggi restaurato, si articola in un vano quadrangolare e un’ampia abside curvilinea. La balaustra conserva una serie di plutei e di transenne attribuibili all’originaria basilica di vi secolo, ricollocati durante i lavori del 1950. Il primo pluteo a sinistra (fine v-inizio vi secolo) presenta sulla fronte due eleganti pavoni a lato di una croce collocata su un vaso da cui fuoriescono racemi vitinei, mentre nel retro, incompiuto e di fattura assai più corsiva, il profeta Daniele, coperto da un semplice perizoma, è affiancato da due leoni, fra un rigoglio di ibridi racemi vegetali; dall’alto scende una colomba con corona, immagine dell’intervento divino. Continuando verso destra, si vede una raffinata transenna con intreccio geometrico, dell’inizio del vi secolo, una coeva transenna con due piccoli pavoni a lato di una croce gemmata, poggiata su un vaso con racemi vitinei emergenti, e infine una meno raffinata transenna a decorazione astratta. La zona anteriore del presbiterio conserva l’altare a cassa in marmo proconnesio di vi secolo, attribuibile all’epoca della riconsacrazione della basilica ad opera dell’arcivescovo Agnello, affiancato da quattro colonne in porfido che in origine sorreggevano il ciborio. In secondo piano si leva il grandioso altare barocco eretto nel 1712, ricco di preziosi marmi, sormontato da sei grandi candelieri intarsiati e da una grande croce. Lungo le pareti del presbiterio sono collocati i tondi con scene della vita di S. Apollinare di Domenico Capaci (xviii secolo), autore anche della pala centrale, eseguita in collaborazione con il suo maestro Giacomo Anziani, che rappresenta la leggendaria scena della missione petrina del protovescovo. Sopra le due porte comunicanti con le cappelle laterali spiccano i monumenti funebri dei cardinali Lorenzo Raggi (1687), a sinistra, e Alessandro Malvasia (1819), a destra. Gianni Godoli 34 VALORI E IDEE PER NUTRIRE LA TERRA L’Emilia-Romagna a Expo Milano 2015 programma di sala a cura di Cristina Ghirardini coordinamento editoriale e grafica Ufficio Edizioni Ravenna Festival stampato su carta Arcoprint Extra White stampa Edizioni Moderna, Ravenna L’editore è a disposizione degli aventi diritto per quanto riguarda le fonti iconografiche non individuate sostenitori Divisione media partner in collaborazione con