RAVENNA FESTIVAL 2015
Lully, un fiorentino
a Versailles
Basilica di Sant’Apollinare Nuovo
giovedì 11 giugno, ore 21
Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana
con il patrocinio di
Senato della Repubblica
Camera dei Deputati
Presidenza del Consiglio dei Ministri
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Ministero degli Affari Esteri
con il sostegno di
Comune di Ravenna
con il contributo di
Comune di Cervia
Comune di Comacchio
Comune di Forlì
Koichi Suzuki
Hormoz Vasfi
Comune di Russi
partner
RAVENNA FESTIVAL
RINGRAZIA
Associazione Amici di Ravenna Festival
Apt Servizi Emilia Romagna
ARCUS Arte Cultura Spettacolo
Autorità Portuale di Ravenna
BPER Banca
Cassa dei Risparmi di Forlì e della Romagna
Cassa di Risparmio di Ravenna
Classica HD
Cmc Ravenna
Cna Ravenna
Comune di Cervia
Comune di Comacchio
Comune di Forlì
Comune di Otranto
Comune di Ravenna
Comune di Russi
Confartigianato Ravenna
Confindustria Ravenna
Coop Adriatica
Cooperativa Bagnini Cervia
Credito Cooperativo Ravennate e Imolese
Eni
Federazione Cooperative Provincia di Ravenna
Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna
Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
Gruppo Hera
Gruppo Mediaset Publitalia ’80
Gruppo Nettuno
Hormoz Vasfi
Itway
Koichi Suzuki
Legacoop Romagna
Micoperi
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo
Poderi dal Nespoli
PubbliSOLE
Publimedia Italia
Quotidiano Nazionale
Rai Uno
Rai Radio Tre
Reclam
Regione Emilia Romagna
Sapir
Setteserequi
Sigma 4
SVA Plus Concessionaria Volkswagen
Unicredit
Unipol Banca
UnipolSai Assicurazioni
Venini
Antonio e Gian Luca Bandini, Ravenna
Francesca e Silvana Bedei, Ravenna
Maurizio e Irene Berti, Bagnacavallo
Mario e Giorgia Boccaccini, Ravenna
Paolo e Maria Livia Brusi, Ravenna
Margherita Cassis Faraone, Udine
Glauco e Egle Cavassini, Ravenna
Roberto e Augusta Cimatti, Ravenna
Ludovica D’Albertis Spalletti, Ravenna
Marisa Dalla Valle, Milano
Letizia De Rubertis e Giuseppe Scarano,
Ravenna
Ada Elmi e Marta Bulgarelli, Bologna
Rosa Errani e Manuela Mazzavillani,
Ravenna
Dario e Roberta Fabbri, Ravenna
Gioia Falck Marchi, Firenze
Gian Giacomo e Liliana Faverio, Milano
Paolo e Franca Fignagnani, Bologna
Domenico Francesconi e figli, Ravenna
Giovanni Frezzotti, Jesi
Idina Gardini, Ravenna
Stefano e Silvana Golinelli, Bologna
Dieter e Ingrid Häussermann,
Bietigheim‑Bissingen
Lina e Adriano Maestri, Ravenna
Silvia Malagola e Paola Montanari, Milano
Franca Manetti, Ravenna
Gabriella Mariani Ottobelli, Milano
Pietro e Gabriella Marini, Ravenna
Manfred Mautner von Markhof, Vienna
Maura e Alessandra Naponiello, Milano
Peppino e Giovanna Naponiello, Milano
Giorgio e Riccarda Palazzi Rossi, Ravenna
Gianna Pasini, Ravenna
Gian Paolo e Graziella Pasini, Ravenna
Desideria Antonietta Pasolini Dall’Onda,
Ravenna
Giuseppe e Paola Poggiali, Ravenna
Carlo e Silvana Poverini, Ravenna
Paolo e Aldo Rametta, Ravenna
Stelio e Grazia Ronchi, Ravenna
Stefano e Luisa Rosetti, Milano
Giovanni e Graziella Salami, Lavezzola
Guido e Francesca Sansoni, Ravenna
Francesco e Sonia Saviotti, Milano
Roberto e Filippo Scaioli, Ravenna
Eraldo e Clelia Scarano, Ravenna
Leonardo Spadoni, Ravenna
Gabriele e Luisella Spizuoco, Ravenna
Paolino e Nadia Spizuoco, Ravenna
Thomas e Inge Tretter, Monaco di Baviera
Ferdinando e Delia Turicchia, Ravenna
Maria Luisa Vaccari, Ferrara
Roberto e Piera Valducci, Savignano sul
Rubicone
Gerardo Veronesi, Bologna
Luca e Riccardo Vitiello, Ravenna
Presidente
Gian Giacomo Faverio
Vice Presidenti
Leonardo Spadoni
Maria Luisa Vaccari
Paolo Fignagnani
Giuliano Gamberini
Maria Cristina Mazzavillani Muti
Giuseppe Poggiali
Eraldo Scarano
Gerardo Veronesi
Segretario
Pino Ronchi
Aziende sostenitrici
Alma Petroli, Ravenna
CMC, Ravenna
Consorzio Cooperative Costruzioni,
Bologna
Credito Cooperativo Ravennate e
Imolese
FBS, Milano
FINAGRO, Milano
Kremslehner Alberghi e Ristoranti,
Vienna
L.N.T., Ravenna
Rosetti Marino, Ravenna
SVA Concessionaria Fiat, Ravenna
Terme di Punta Marina, Ravenna
TRE - Tozzi Renewable Energy, Ravenna
RAVENNA FESTIVAL
Direzione artistica
Cristina Mazzavillani Muti
Franco Masotti
Angelo Nicastro
Fondazione
Ravenna Manifestazioni
Soci
Comune di Ravenna
Regione Emilia Romagna
Provincia di Ravenna
Camera di Commercio di Ravenna
Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna
Confindustria Ravenna
Confcommercio Ravenna
Confesercenti Ravenna
CNA Ravenna
Confartigianato Ravenna
Archidiocesi di Ravenna-Cervia
Fondazione Arturo Toscanini
Consiglio di Amministrazione
Presidente Fabrizio Matteucci
Vicepresidente Mario Salvagiani
Consiglieri
Ouidad Bakkali
Galliano Di Marco
Lanfranco Gualtieri
Sovrintendente
Antonio De Rosa
Segretario generale
Marcello Natali
Responsabile amministrativo
Roberto Cimatti
Revisori dei conti
Giovanni Nonni
Mario Bacigalupo
Angelo Lo Rizzo
Jean-Baptiste Lully in una
incisione di Bonnart.
Lully, un fiorentino
a Versailles
Melodi Cantores
Orchestra Barocca “La Magnifica Comunità”
direttore Elena Sartori
voci soliste
Sara Bino soprano
Elena Biscuola contralto
Raffaele Giordani tenore primo
Mauro Borgioni baritono
Elisa Bonazzi mezzosoprano
Anna Pia Capurso mezzosoprano
Michele Concato tenore secondo
prima esecuzione in versione integrale in tempi moderni
Luigi xiv nei panni di
Apollo (Parigi, Bibliothèque
Nationale).
Jean Baptiste Lully
(1632-1687)
Salve Regina
Te Deum e Dies Irae
grandi mottetti per soli, doppio coro e orchestra
Dies Irae
Sinfonia
Dies Irae
Tuba mirum
Quid sum miser
Rex tremendae
Recordare
Ingemisco
Confutatis
Lacrimosa
Pie Iesu
Te Deum
Sinfonia
Te Deum laudamus
Pleni sunt caeli
Sinfonia
Patrem immensae majestatis
Sinfonia
Te ergo quaesumus
Sinfonia
Per singulos dies
Et laudamus
Sinfonia
Dignare Domine
Miserere
In te Domine speravi
Salve Regina
Salve Regina mater misericordiae,
vita, dulcedo et spes nostra salve.
Ad te clamamus exules filii Evae.
Ad te suspiramus gementes et flentes
in hac lacrimarum valle.
Eia ergo advocata nostra,
illos tuos misericordes oculos ad nos converte,
et Jesum benedictum fructum ventris tui
nobis post hoc exilium ostende.
O clemens o pia o dulcis Virgo Maria.
Dies Irae
Dies Irae, dies illa
solvet saeclum in favilla
teste David cum Sybilla.
Quantus tremor est futurus,
quando judex est venturus,
cuncta stricte discussurus!
Tuba, mirum spargens sonum
per sepulcra regionum,
coget omnes ante thronum.
Mors stupebit et natura,
cum resurget creatura,
judicanti responsura.
Liber scriptus proferetur,
in quo totum continetur,
unde mundus judicetur.
Judex ergo cum sedebit,
quidquid latet, apparebit,
nil inultum remanebit.
Quid sum miser tunc dicturus?
quem patronum rogaturus,
cum vix justus sit securus?
Rex tremendae majestatis,
qui salvandos salvas gratis,
salva me, fons pietatis.
Recordare, Jesu pie,
quod sum causa tuae viae;
ne me perdas illa die.
Quaerens me, sedisti lassus,
redemisti Crucem passus;
tantus labor non sit cassus.
Juste judex ultionis,
donum fac remissionis
ante diem rationis.
Ingemisco, tamquam reus:
culpa rubet vultus meus;
supplicanti parce, Deus.
Qui Mariam absolvisti,
10
Salve Regina, Madre di misericordia,
vita, dolcezza e speranza nostra, salve.
A te ricorriamo, esuli figli di Eva.
A te sospiriamo, gementi e piangenti
in questa valle di lacrime.
Orsù dunque, avvocata nostra,
rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi,
e mostraci, dopo questo esilio, Gesù,
il frutto benedetto del tuo seno.
O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.
Il giorno dell’ira, quel giorno che
dissolverà il mondo terreno in cenere
come annunciato da David e dalla Sibilla.
Quanto terrore verrà
quando il giudice giungerà
a giudicare severamente ogni cosa.
La tromba, diffondendo un suono mirabile
tra i sepolcri del mondo,
spingerà tutti davanti al trono.
La Morte e la Natura si stupiranno
quando risorgerà ogni creatura
per rispondere al giudice.
Sarà presentato il libro scritto
nel quale è contenuto tutto,
dal quale si giudicherà il mondo.
E dunque quando il giudice si siederà,
ogni cosa nascosta sarà svelata,
niente rimarrà invendicato.
In quel momento che potrò dire io, misero,
chi chiamerò a difendermi,
quando a malapena il giusto potrà dirsi al sicuro?
Re di tremendo potere,
tu che salvi per grazia chi è da salvare,
salva me, fonte di pietà.
Ricorda, o pio Gesù,
che io sono la causa del tuo viaggio;
non lasciare che quel giorno io sia perduto.
Cercandomi ti sedesti stanco,
mi hai redento con il supplizio della Croce:
che tanto sforzo non sia vano!
Giusto giudice di retribuzione,
concedi il dono del perdono
prima del giorno della resa dei conti.
Comincio a gemere come un colpevole,
per la colpa è rosso il mio volto;
risparmia chi ti supplica, o Dio.
Tu che perdonasti Maria di Magdala,
11
et latronem exaudisti,
mihi quoque spem dedisti.
Preces meae non sunt dignae,
sed tu bonus fac benigne,
ne perenni cremer igne.
Inter oves locum praesta,
et ab haedis me sequestra,
statuens in parte dextra.
Confutatis maledictis,
flammis acribus addictis,
voca me cum benedictis.
Oro supplex et acclinis,
cor contritum quasi cinis:
gere curam mei finis.
Lacrimosa dies illa,
qua resurget ex favilla
judicandus homo reus.
Huic ergo parce, Deus,
pie Jesu Domine,
dona eis requiem. Amen
Te Deum
Te Deum laudamus, te Dominum confitemur. Te, aeternum Patrem,
omnis terra veneratur. Tibi omnes Angeli, tibi caeli et universae
potestates, tibi Cherubim et Seraphim incessabili voce proclamant:
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth.
Pleni sunt caeli et terra maiestatis gloriae tuae. Te gloriosus Apostolorum
chorus, te prophetarum laudabilis numerus; te martyrum candidatus
laudat exercitus. Te per orbem terrarum sancta confitetur Ecclesia,
Patrem immensae maiestatis; venerandum tuum verum et unicum
Filium; Sanctum quoque Paraclitum Spiritum. Tu rex gloriae, Christe.
Tu Patris sempiternus es Filius. Tu ad liberandum suscepturus hominem
non horruisti virginis uterum. Tu, devicto mortis aculeo, aperuisti
credentibus regna caelorum. Tu ad dexteram Dei sedes, in gloria Patris.
Iudex crederis esse venturus.
Te ergo quaesumus, tuis famulis subveni, quos pretioso sanguine
redemisti. Aeterna fac cum Sanctis tuis in gloria numerari. Salvum
fac populum tuum, Domine, et benedic hereditati tuae. Et rege eos, et
extolle illos usque in aeternum.
Per singulos dies benedicimus te;
et laudamus nomen tuum in saeculum et in saeculum saeculi.
Dignare, Domine, die isto sine peccato nos custodire.
Miserere nostri, Domine, miserere nostri. Fiat misericordia tua, Domine,
super nos, quemadmodum speravimus in te.
In te, Domine, speravi: non confundar in aeternum.
12
tu che esaudisti il buon ladrone,
anche a me hai dato speranza.
Le mie preghiere non sono degne;
ma tu, buon Dio, con benignità fa’
che io non sia arso dal fuoco eterno.
Assicurami un posto fra le pecorelle,
e tienimi lontano dai caproni,
ponendomi alla tua destra.
Una volta smascherati i malvagi,
condannati alle fiamme feroci,
chiamami tra i benedetti.
Prego supplice e in ginocchio,
il cuore contrito, come ridotto a cenere,
prenditi cura del mio destino.
Giorno di lacrime, quello,
quando risorgerà dalla cenere
il peccatore per essere giudicato.
Perdonalo, o Dio:
pio Signore Gesù,
dona a loro la pace. Amen.
Noi ti lodiamo, Dio, confessiamo che sei tu il Signore. Tu, Eterno Padre,
che è venerato da tutta la terra. A te tutti gli angeli, a te le potenze
del cielo e dell’universo, a te i cherubini e i serafini cantano con voce
incessante: Santo, Santo, Santo il Signore Dio degli eserciti.
I cieli e la terra sono pieni della maestà della tua gloria. Ti acclama il
coro glorioso degli apostoli e il numero lodevole dei profeti e la candida
schiera dei martiri. In tutto il mondo la santa Chiesa proclama te.
Padre di immensa maestà, il tuo venerabile e unico vero Figlio e anche
lo Spirito Santo Paraclito. Tu, re della gloria, Cristo, tu sei il figlio eterno
del Padre, per la salvezza dell’uomo, non hai disdegnato il ventre di una
Vergine. Vincitore della morte, hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre. Crediamo che verrai a
giudicare il mondo alla fine dei tempi.
Dunque ti chiediamo: soccorri i tuoi servi, che hai redento col tuo sangue
prezioso. Fa’ che siamo annoverati fra i santi nella gloria eterna. Salva
il tuo popolo, Signore, e benedici la tua eredità, e guidali e sorreggili in
eterno.
Ogni giorno ti benediciamo,
lodiamo il tuo nome per sempre.
Degnaci oggi, Signore, di custodirci in questo giorno senza peccato.
Pietà di noi, Signore, pietà di noi. Sia sempre su di noi, Signore, la tua
misericordia, dato che abbiamo sperato in te.
In te, Signore, ho sperato: non sarò confuso in eterno.
13
Jean-Baptiste Lully in
una incisione tratta da un
bassorilievo di Jean Louis
Roullet.
Gli italiani e lo stile francese
Elena Sartori*
In che cosa consiste lo stile francese? Lo identifica certamente,
prima di ogni altra cosa, il caratteristico ritmo puntato,
denominato inegalité, che, applicandosi anche al di fuori della
tipica forma dell’Ouverture strumentale, fino al trattamento del
canto sia solistico che d’assieme, ci rievoca immediatamente il
passo scandito e cadenzato che accompagna il solenne ingresso a
corte di qualche personaggio di riguardo.
Sono tuttavia soprattutto altri gli aspetti coi quali il direttore
di questi repertori si deve confrontare, talmente caratterizzanti
da far sì che finora, forse anche con una punta di protezionismo
nazionalistico, solo ed esclusivamente gli interpreti francesi
siano stati legittimati a occuparsi di queste musiche. Mentre non
è in discussione che i repertori degli autori tedeschi o italiani
dello stesso periodo siano percepiti come patrimonio universale
e, fatte salve eventualmente le attenzioni dovute alla corretta
pronuncia, eseguiti indipendentemente dalla provenienza
nazionale degli esecutori.
La musica francese è soprattutto danza, ornamento e
colore. Oboi, trombe, flauti e fagotti, assieme alle percussioni,
si mescolano del tutto a piacere e secondo libertà, disponibilità
ed occasione, all’organico strumentale, il nucleo del quale,
nello stesso periodo, in Italia e Germania si identifica invece
già con la coesione omogenea della completa famiglia degli
archi. Un mordente particolare, un cromatismo inconfondibile
caratterizza il suono dell’orchestra francese, un gusto per il
colore che nasce qui e che ritroveremo in tutto il repertorio
sinfonico dell’Ottocento.
La dottrina dell’ornamentazione estemporanea della
musica francese è tra le discipline più dettagliate e complesse
messe a punto dalla cultura barocca. Vicinissima, come del
resto l’arte del basso continuo, al mondo dell’improvvisazione,
regolamentata da trattati e oggetto di dispute e controversie,
consiste nell’arricchimento della linea melodica con segni
di abbellimento e note speciali, spesso talmente frequenti e
strettamente integrate e combinate tra loro da trasformarne
sostanzialmente l’assetto, conferendo al canto in stile francese
un comportamenteo di continuo, sfuggente e irrisolto languore.
Il gusto per i ritmi di danza, infine, nasce dal complesso
cerimoniale di corte che voleva i reali e i notabili di corte
partecipare direttamente, con interludi di ballo appositamente
previsti in libretto, allo svolgimento dell’opera. I francesi, d’altro
15
Réné-Antoine Houasse,
Ritratto equestre di Luigi xiv
(Chateau de Versailles).
16
canto, assegnavano alla danza talmente tanta importanza in ogni
contesto della vita collettiva pubblica e privata che minuetti,
gavotte e correnti e passacaglie si ritrovano dappertutto, dalle
musiche da messa per l’organo al repertorio strumentale da
concerto senza destinazione coreutica, ai mottetti corali sacri,
pure di soggetto funebre.
È tuttavia naturalmente la fonetica della lingua a conferire
alla musica francese la sua peculiare sintassi. Cadenzata tutta
in avanti sulla penultima e ultima sillaba, la pronuncia verbale
tende a concentrare l’energia della frase musicale tutta alla fine,
in contraddizione con la dottrina seicentesca del tactus, indicante
nel primo movimento della battuta, quindi a inizio frase, il
punto dove devono coincidere peso, intenzione ed espressione
potenziali. Dal tactus, che l’interprete dovrà ben porgere e curare,
scaturirà lo sviluppo.
Il barocco francese presenta quindi un assetto ritmico
e un fraseggio fortemenente asimmetrici e circoscritti,
continuamente cangianti, frammentati da un’accentazione fitta
e frequente, capaci di provocare ancora oggi nell’ascoltatore
piacevole sconcerto, disorientamento e sorpresa. Frasi brevi,
preferenza per il metro dattilico e le risoluzioni tronche
e un senso continuo di irrisolta mutevolezza identificano
fortemente questa musica, ora sospesa a metà frase ora gettata
irresistibilmente a concludere, costituendo gran parte del
suo indiscutibile fascino: connaturati nel ritmo della lingua,
complici gli scontri consonantici e la pronuncia nasalizzata delle
vocali, questi comportamenti si ritrovano tuttavia anche nella
musica strumentale, dove il testo non c’è, e in quella sacra (si
vedano per esempio le cantate di Rameau) dove il testo non è più
in francese ma in latino, ma trattato come se fosse francese.
Un mondo sonoro e ritmico tutto a parte, quindi, difeso
(al di là delle varie querelles più di facciata che di sostanza) da
un’omogeneità estetica che presenta poche smagliature, nel
quale, per quanto riguarda il teatro d’opera in lingua francese, si
integra perfettamente il linguaggio dell’italiano Lully.
La figura di Giambattista Lulli si prestava naturalmente
molto bene a un’incursione italiana, la prima in assoluto questa
nostra, nei rigidi protocolli cerimoniali dell’esecuzione musicale
a Versailles. Nascita e giovinezza nella culla della lingua italiana
per un musicista che la storia della musica poi assimila senza
distinguo al novero dei compositori francesi per nascita, sulla
scorta di un rifiuto, da parte del compositore, della nazionalità e
della cultura italiana che fu radicale, politico e senza ritorni.
Ho deciso di realizzare con musicisti italiani una revisione e
una lettura di alcuni dei Grandi Mottetti sacri di Lully a partire
dallo spettacolare Te Deum, pure dopo averlo diretto in diverse
occasioni sia italiane che internazionali, sempre tuttavia con
l’impressione che poco avesse a che fare, se non per rimandi
superficiali, sia con il teatro lullista che con le opere sacre in
17
Pierre Patel, Il palazzo di
Versailles nel 1668 ca.
(Chateau de Versailles).
latino degli autori coevi.
Composta da un italiano, la più grande pagina sacra di
tutto il barocco francese esprime un linguaggio di grandezza
internazionale difficilmente riducibile a particolarismi nazionali
o di parte.
Nessuna pagina in lingua latina scritta in Francia fa
risuonare il testo in questo modo: fraseggio esteso e avvolgente,
simmetrie perfette, energia e intenzioni concentrate sul tactus,
ritmo prosodico del testo seguito in modo naturale prima
che sottoposto – ed accade estremamente di rado – ad artifici
d’effetto. Si avverte, dirigendo questa musica, una cantabilità
radicale e materna, tutta italiana, una conservata memoria della
lingua, probabilmente nemmeno intenzionale, che conduce
la scrittura verso una bellezza liberamente ibrida e senza
appartenenze.
Riconferma questa attitudine a un lirismo disteso e
italianissimo (qui si avvertono vicini i piccoli numeri a tre voci
femminili che Monteverdi compone per la sua Selva morale) lo
splendido Salve Regina, dove ogni scatto drammaturgico, ogni
emiolia, ogni effetto, ogni spunto teatrale scaturiscono già
sublimati nelle ragioni dell’affetto e dell’eleganza.
Ancora più distante da Rameau e vicino, per il coro, a
Carissimi (e già a Corelli per la scrittura strumentale) risuona il
Dies Irae: rimasto inedito fino al 1958, quando Leduc ne approntò
una prima trascrizione, viene editato vent’anni dopo ma solo
parzialmente, in una redazione che riporta solo le parti corali
e del basso continuo. Mi sono quindi occupata di ricostruire
integralmente, rivedere e mettere a punto la parte orchestrale,
riferendomi alla più completa e definitiva delle redazioni
francesi, quella di Versailles del 1700. Per quanto riguarda
l’organico, pur tenendo presente che il primo utilizzo del violone
è attestato nell’orchestra francese solo circa un decennio più
tardi la morte di Lully, cioè nel 1701, ho voluto sperimentarne
l’inserimento a sostegno delle parti in doppio coro in funzione
di raddoppio organistico e a rinforzo dell’effetto percussivo di
timpani e trombe.
*Un ringraziamento ad Alessia Buggiani del Conservatorio “Niccolò Piccinni” di
Bari per il lavoro di redazione editoriale e di assistente alla Direzione in questa
produzione.
20
RAVENNA
FESTIVAL
2015
gli
arti
sti
Elena Sartori
Nata a Ravenna, ha compiuto gli studi in Direzione
d’orchestra alla Hochschule di Stoccarda, laureandosi con
menzione sotto la guida di Helmut Rilling. Diplomata inoltre
in Pianoforte, Organo e Composizione organistica, Musica
corale e Direzione di coro presso il Conservatorio “Girolamo
Frescobaldi” di Ferrara , si è laureata in Storia della musica
all’Università di Bologna con relatore Nino Albarosa. Dal 1994 al
2000 ha frequentato i corsi di alto perfezionamento in Organo
e in Direzione e concertazione della musica barocca, prima
al Conservatorio di Basilea poi al Mozarteum di Salisburgo
(docenti Daniel Chorzempa e Tom Koopman). Dal 2004 è
invitata regolarmente in qualità di Direttore presso festival
quali Ravenna Festival, MiTo Settembre Musica, Sagra Musicale
Malatestiana di Rimini, Biennale di musica contemporanea
di Zagabria, Philharmonia Baltika di Danzica, Sophiensaal e
Theresianum Stiftung di Berlino, Eurovias Baden Festival, Opern
Studium Salzburg, Festival de Dijon, Festival de Ambronay
e numerosi altri. È docente di Canto corale al Conservatorio
“Niccolò Piccinni” di Bari, di Organo e Canto gregoriano
all’Istituto Superiore di Studi Musicali “Luigi Boccherini” di
Lucca e insegna ai Corsi estivi di musica barocca delle Università
di Savonlinna (Finlandia) e Harrisburg (PA , Stati Uniti). Ha
pubblicato con le etichette discografiche Tactus, La Bottega
Discantica, Arts, Naxos, Amadeus e Classic Voice.
23
Melodi Cantores
grand choeur
soprani
Elena Bassi
Anna Pia Capurso*
Martina Zaccarin
baritoni e bassi
Giovanni Augelli
Decio Biavati
Marcus Kohler
Yiannis Vassilakis
mezzi e contralti
Elisa Bonazzi*
Alessia Buggiani
Elena Croci
Rossana Verlato
* solista
tenori
Marco Cisco
Michele Concato*
Sergio Martella
Nicola Petruzzella
24
coro favoriti
Sara Bino soprano
Elena Biscuola contralto
Raffaele Giordani tenore
Mauro Borgioni baritono
Nel trattato Syntagma musicum (1619), Praetorius definisce melodi
cantores i più scelti tra i chierici in grado di eseguire il repertorio
musicale del monastero. L’ensemble viene fondato nel 2006 per
la ricostruzione e la prima incisione mondiale del Requiem di
Giovanni Battista Martini. Tiene concerti in tutto il mondo con
particolare interesse per il recupero dei repertori nascosti e di ricerca
e muovendosi con fluidità tra la musica antica e la sperimentazione
contemporanea. Nel 2005 per Ravenna Festival interpreta il Coro
Monastico per la prima esecuzione assoluta dell’opera Sancta
Susanna di Paul Hindemith sotto la direzione di Riccardo Muti.
Nel 2007 prende parte all’Orfeo di Gluck, regia di Graham Vick, nei
maggiori teatri italiani. Nel 2008 riceve la segnalazione speciale
dalla critica discografica italiana per l’incisione delle Messe e
dello Stabat Mater a 10 voci di Domenico Scarlatti e realizza, per la
Sagra Musicale Malatestiana, la Water Passion di Tan Dun in prima
esecuzione assoluta in forma scenica (regia di Denis Krief). Nel 2010
pubblica la prima esecuzione con strumenti originali dei salmi
di Pergolesi (ed. «Amadeus»), esibendosi nei maggiori festival di
musica antica e contemporanea in Europa e nel mondo. Per «Classic
Voice Antiqua» pubblica nel 2015 la prima incisione italiana dei
Grands Motets di Jean Baptiste Lully.
25
La magnifica comunità
violini primi
Enrico Casazza*
Isabella Longo
David Mazzacan
violini secondi
Luca Ranzato**
Aureliana Baruffa
Pietro Benedetto Cimento
viole
Federico Furlanetto
Pasquale Lepore
violoncelli
Giordano Pegoraro
Andrea Lattarulo
violone
Mauro Zavagno
26
organo
Alessandro Perin
oboe
Michele Antonello
fagotto
Steno Boesso
trombe
Diego Cal
Luca Del Ben
timpani
Alberto Macchini
* primo violino
** soli
© Christophe Morlat
Costituito come complesso strumentale barocco nel 1990
da musicisti accomunati dal desiderio di divulgare la musica
classica, svolge una costante attività di approfondimento
personale e collettivo nella convinzione che la ricerca filologica
e stilistica sia indispensabile per comprendere la musica di
ogni epoca. L’ensemble articola la propria attività in numerose
formazioni che vanno dal trio all’orchestra da camera,
collaborando con gruppi corali. Primo violino e concertatore è
Enrico Casazza.
La Magnifica Comunità ha tenuto concerti in prestigiose sale
italiane ed estere e ha ricevuto numerosi premi e recensioni in
ambito internazionale per le pubblicazioni discografiche, tra cui
si segnalano il recentissimo Choc de la Musique per il iv volume
dei Quintetti di Boccherini e i 5 Diapason ricevuti dalla nota
rivista francese «Diapason».
Ha inciso per Brilliant, con cui sta portando a termine l’opera
omnia dei Quintetti di Boccherini, Sony International, Deutsche
Harmonia Mundi e Tring, con la quale ha registrato i concerti
BWV 1041, 1042, 1043, 1044, i concerti Brandeburghesi n. 2, 4, 5
di Bach e cinque concerti per clavicembalo, due violini e basso
continuo di Johann Christian Bach, nonché un’antologia di
compositori veneti del Settecento. Con Tactus ha pubblicato
opere di Gaetano Franceschini, Maddalena Lombardini,
Alessandro Stradella, Alessandro Scarlatti e Giuseppe Tartini.
27
RAVENNA
FESTIVAL
2015
luo
ghi
del
festi
val
Basilica di Sant’Apollinare Nuovo
La basilica fu edificata all’inizio del vi secolo per iniziativa di
Teoderico come cappella palatina di culto ariano, legata alla adiacente
presenza, ad est, della residenza imperiale, ampliata e restaurata
in quegli anni dallo stesso re goto; l’epigrafe (assai discussa in
sede critica) che si leggeva sull’arco absidale, tramandata dal Liber
pontificalis ravennate, sembra attestarne la dedica a Cristo Signore.
Dopo il 561, con il passaggio alla chiesa cattolica di tutti i beni della
chiesa ariana, la basilica subì la reconsecratio ad opera dell’arcivescovo
Agnello (556-569), che la dedicò a S. Martino di Tours, distintosi
particolarmente nella lotta con gli eretici; la tradizionale denominazione
in coelo aureo è dovuta alla doratura del soffitto.
L’abside e il mosaico che la rivestiva subirono un cedimento, secondo
lo storico Agnello, nel terremoto avvenuto all’epoca dell’arcivescovo
Giovanni v iunior – variamente identificato con il presule in carica dal
625 al 631 (o 644) oppure con quello in carica dal 726 al 744. Attorno
al ix secolo, probabilmente in occasione di una temporanea translatio
in città del corpo o delle reliquie del protovescovo di Ravenna, la chiesa
assunse il nome di S. Apollinare Nuovo, per distinguerla dalla chiesa
urbana di S. Apollinare in veclo. A quest’epoca risale la cripta, di forma
semianulare come quella della basilica classense, con un corridoio
lungo il giro dell’abside al centro del quale si innestava, con una piccola
crociera, un braccio rettilineo rivolto in direzione dell’altare, sotto
cui erano collocate le reliquie del santo. Nel 973 presso la basilica
si insediarono i Benedettini; a quest’epoca, o poco dopo, è databile
il campanile. Nel xvi secolo la chiesa, ormai cadente e soggetta a
frequenti allagamenti, passò, per decisione di Leone x, ai Frati Minori
Osservanti, che promossero importanti modifiche, realizzando un
nuovo pavimento a un livello di circa 120 cm. superiore al precedente,
con il conseguente innalzamento delle arcate, che portò a sacrificare
la parte inferiore del mosaico della navata centrale; fu inoltre costruita
una nuova, più profonda abside, dipinta con figure di santi e finte
incrostazioni marmoree, mentre venne chiuso l’accesso alla cripta,
adibita a sepolcreto. Tra xvi e xvii secolo la navata sinistra si arricchì di
sette cappelle e quella destra di cinque altari, mentre l’installazione di
un organo lungo la parete destra della navata portò alla demolizione di
parte del mosaico. Nel 1732, per intervento di fra Francesco da Meldola,
fu promossa una nuova decorazione del presbiterio di gusto barocco.
Durante il xix secolo e ancora all’inizio del ’900 importanti restauri, non
tutti felici, interessarono il mosaico della navata.
Nel 1916 un bombardamento colpì la zona sinistra della fronte della
chiesa, danneggiando i mosaici adiacenti, poi restaurati dallo Zampiga.
Nel secondo dopoguerra il pavimento fu rifatto, mettendo in luce le basi
delle colonne; inoltre il presbiterio barocco fu nascosto dietro un’abside
spoglia che seguiva le tracce di quella tardoantica, meno profonda,
ricollocando l’altare di vi secolo e le quattro colonne porfiree del
ciborio. A partire dal 1985, mutati i criteri di restauro storico, un nuovo
intervento ha eliminato l’abside posticcia, restaurando il presbiterio
settecentesco ma conservando allo stesso tempo anche l’altare
primitivo nella zona anteriore.
La basilica presenta all’esterno un nudo paramento in mattoni,
appena movimentato sulla fronte dal portico ad arcate e dalla bifora
nella sommità del prospetto, risalenti entrambi ad un intervento
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rinascimentale. Sulla destra si leva il campanile altomedioevale, la cui
mole in laterizio è alleggerita verso l’alto da monofore, bifore e trifore
in successione, ed è decorata alla sommità con due bacini di ceramica
ingobbiata dipinta (sostituiti da copie nel 1916).
L’interno presenta un’ampia aula centrale separata dalle due
più basse navatelle da arcate impostate su dodici colonne in marmo
proconnesio, sormontate da stilizzati capitelli corinzi “a lira” e da pulvini
dello stesso marmo ornati da semplici croci: si tratta di una fornitura da
considerarsi direttamente importata da Costantinopoli all’epoca della
edificazione teodericiana. Sopra le arcate, decorate nell’intradosso
da stucchi rinascimentali e nei pennacchi da coeve pitture con figure
di santi, campeggia su entrambe le pareti della navata mediana una
grande decorazione a mosaico, il più esteso programma parietale
dell’antichità oggi conservato.
Il registro inferiore si può dividere in tre zone distinte. All’inizio
della navata sono raffigurati i due poli della Ravenna tardoantica. Nella
parete settentrionale, il sobborgo di Classe (indicato dall’epigrafe
come civitas Classis) con il porto e le mura, da cui emergono edifici
quasi interamente frutto di restauri moderni. Nella parete destra
Ravenna emerge con le sue due cattedrali, cattolica ed ariana, dietro
l’immagine del palatium eretto da Teoderico, visto come grande
struttura monumentale timpanata fiancheggiata da due ali; alla
estrema destra la porta di ingresso, sulla cui lunetta Cristo è raffigurato
mentre calpesta un serpente, simbolo della vittoria sul male. La
presenza di resti di mani sui fusti delle colonne chiarisce senza ombra
di dubbio come durante la riconsacrazione cattolica della basilica,
all’epoca dell’arcivescovo Agnello, si siano volute eliminare alcune
figure dell’originario mosaico teodericiano, imprecisabili, ma comunque
non più opportune. Sempre ad un restauro di età agnelliana si devono
i due cortei di martiri e vergini che sui muovono dalle due città su
un prato ricolmo di fiori, stagliandosi su un immateriale fondo oro.
Probabilmente essi sostituivano importanti figure del regno goto, e per
questo furono eliminate in occasione della riconsacrazione. I martiri,
a destra, rigidi e impersonali, separati da palme, indossano veste
bianca e recano in mano la corona da offrire a Cristo; spicca in prima
fila S. Martino, con veste purpurea e dietro di lui S. Lorenzo, con veste
aurea. Ancor più stilizzate appaiono le vergini del lato opposto, sempre
divise da palme e con corona in mano, che risaltano per l’immateriale
ricchezza delle loro vesti auree, elegantemente ricamate, e del loro
diadema; esse sono precedute, a destra dai tre Magi (completamente
rifatti nella zona superiore), anch’essi aggiunti dopo il 561. Si ritorna
all’originale di età teodericiana nelle figurazioni maiestatiche collocate
verso l’abside, a cui si dirigono gli stessi cortei. A destra Cristo è
seduto ieraticamente in un trono gemmato “a lira”, fiancheggiato da
quattro angeli con baculum, in funzione di silentiarii; un errato restauro
effettuato verso la metà del secolo scorso da Felice Kibel ha portato
alla sostituzione con uno scettro dell’originale libro tenuto in mano da
Cristo, su cui era scritto “Ego sum rex gloriae”. Quattro angeli (il primo
rifatto dal Kibel) sono presenti anche nella parete opposta a lato del
trono gemmato su cui siede la Vergine con il bambino in braccio.
Nel registro superiore, totalmente di età teodericiana, le finestre
ad arco appaiono sormontate da coppie di uccelli abbeverantisi ad un
vaso, e affiancate da figure aureolate di profeti, in vesti bianche, con
volume in mano.
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La bassa fascia al di sopra della finestre è anch’essa pertinente alla
primitiva decorazione della basilica e presenta una serie di riquadri
cristologici, alternati all’iterazione di una figurazione simbolicoornamentale con una conchiglia ieratica, rivolta verso il basso, dal
cui nervo pende una corona, sopra alla quale, su uno sfondo azzurro,
una crocetta è affiancata araldicamente da due colombe. I riquadri
cristologici, da leggersi in entrambi i casi procedendo dal presbiterio
all’ingresso, sono riferiti alla predicazione e ai miracoli di Gesù nel
caso della navata sinistra, alla Passione e alla Resurrezione nella
navata destra. La distinzione tematica fra le due pareti è ulteriormente
accentuata dal mutare dell’aspetto di Cristo, imberbe e giovanile nel
primo caso, dove si sottolinea l’origine divina, eterna del magistero del
Figlio, barbato e maturo nel secondo caso, allorché nel Christus patiens
si esprime pienamente l’umanità del Verbo incarnato, qui tuttavia
mai disgiunta da una ieratica gravità. In ogni caso la presenza della
veste purpurea, atta a qualificarne il ruolo di re universale, costituisce
elemento di coesione nell’immagine di Gesù all’interno dei due cicli.
All’estremità della parete sinistra era raffigurata in origine, come
emerge da un disegno pubblicato da Giovanni Ciampini (Vetera
monimenta, ii, 1699), l’episodio delle nozze di Cana (Gv 2, 1-11); la zona
destra, successivamente caduta, è stata erroneamente reintegrata
dal Kibel che, interpretando il riquadro come immagine di uno dei due
episodi evangelici della moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mt 14, 1321; 15, 29-39; Mc 6, 32-44; 8, 1-9; Lc 9, 10-17; Gv 6, 1-13), inserì dei cesti
al posto delle originarie idrie, che Cristo toccava con una verga. Tale
miracolo è già comunque rappresentato nel riquadro successivo, dove
Cristo appare ieraticamente in posizione centrale, con le braccia aperte
a toccare i pani e i pesci che gli porgono gli apostoli. Segue, procedendo
verso sinistra, la scena della vocazione di Pietro e Andrea (Mt 4, 18-20;
Mc 1, 16-17), rappresentati su una barca mentre trascinano le reti,
e la guarigione dei due ciechi a Cafarnao (Mt 9, 27-31). Più avanti è
raffigurata l’emorroissa che si piega a toccare un lembo del mantello
di Gesù, che la guarisce (Mt 9, 20-22; secondo altri si tratterebbe della
scena dell’adultera), l’incontro di Cristo con la Samaritana presso il
pozzo di Sichem (Gv 4, 5-29) e la scena della Resurrezione di Lazzaro
(Gv 11, 1-44), che appare, sulla sinistra, coperto di bende, all’interno
di un sepolcro ad edicola. Il riquadro a sinistra illustra la parabola del
Fariseo e del Pubblicano (Lc 18, 9-14): sullo sfondo di una stilizzata
architettura evocante il tempio, il Fariseo appare sulla destra in
atteggiamento orante, il Pubblicano sul lato opposto, mentre si batte il
petto. Segue l’episodio dell’obolo della vedova (Mc 12, 41-44; Lc 21, 1-4),
raffigurata in atto di gettare la sua povera offerta nel tesoro del tempio,
mentre Cristo ne addita la generosità. La decima scena costituisce una
rappresentazione simbolica del Giudizio universale liberamente ispirata
a Mt 25, 31-36: Cristo appare assiso al centro su una roccia, affiancato
da un angelo in vesti rosse e da uno in vesti azzurre (quest’ultimo,
secondo un recente studio, identificabile come demonio), e separa
le pecore, a sinistra, allegoria dei giusti, dai capri, a destra, allegoria
dei dannati. Gli ultimi tre riquadri ritornano al tema dei miracoli,
con la rappresentazione dell’episodio del paralitico di Cafarnao, che
viene calato dal tetto della casa in cui si trova Cristo (Mc 2, 1-12; Lc 5,
18-26; cfr. anche Mt 9, 1-7), la guarigione dell’indemoniato di Gerasa,
che compare a piedi di una roccia, mentre a destra sullo sfondo si
gettano in mare i porci in cui si sono trasferiti gli spiriti maligni (Mc 5,
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1-13; Lc 8, 26-34; cfr. anche Mt 8, 28-32) e la guarigione del paralitico
presso la piscina di Betzata, in cui l’uomo appare già guarito mentre
si carica sulle spalle il lettuccio, riquadro interamente rifatto dopo i
bombardamenti della prima guerra mondiale (Gv 5, 1-5).
Il primo riquadro della parete destra raffigura l’Ultima Cena. Cristo
e gli apostoli sono distesi attorno ad una mensa a sigma sulla quale
sono posti due pesci e sette pani: si tratta del momento in cui Gesù,
a sinistra, annuncia il tradimento di Giuda (Mt 26, 21-25; Mc 14, 18-21;
Lc 22, 21-23; Gv 13, 21-30), raffigurato sul lato opposto. La presenza
dei pesce in luogo dell’agnello, oltre all’assenza del vino, rimandano
ad una tradizione iconografica orientale, forse memore del carattere
messianico della cena pura ebraica a base di pesce (Bagatti), se non
legata al simbolismo eucaristico che riveste nell’esegesi patristica il
miracolo dei pani e dei pesci, rappresentato nella parete a fronte. Il ciclo
passionistico, procede, avanzando verso destra, con la preghiera sul
monte degli ulivi (Mt 26, 36-46; Mc 14, 32-42; Lc 22, 39-46; Gv 18,1);
al di sopra degli apostoli dormienti, Cristo è presentato secondo il
tipico atteggiamento orante della tradizione classica e paleocristiana.
Nel terzo riquadro l’episodio del bacio di Giuda è tradotto in una
composizione di scabra drammaticità, dall’incisiva tessitura coloristica;
il traditore, a sinistra, in veste bianca seguito da una schiera di armati
con vesti rosse e azzurre, abbraccia Cristo, alla cui destra si collocano,
con vesti bianche, Pietro, in atto di estrarre la spada, e gli altri apostoli
(Mt 26, 47-56; Mc 14, 43-48; Lc 22, 47-53; Gv 18, 2-11). Segue l’immagine
di Cristo condotto in giudizio (Mt 26, 57; Mc 14, 53; Lc 22, 66; Gv 18,
12-14), e quella del drammatico confronto con i sommi sacerdoti,
raffigurati sotto una stilizzata architettura (Mt 26, 59-68; Mc 14, 5565; Lc 22, 66-71; Gv 18, 19-24). I due riquadri adiacenti sviluppano un
medesimo episodio: dapprima Cristo annuncia a Pietro, che l’avrebbe
rinnegato prima del canto del gallo (Mt 26, 33-35; Mc 14, 29-31; Lc 22,
33-34; Gv 13, 36-38) icasticamente raffigurato su un pilastrino, e poi la
drammatica scena in cui lo stesso Pietro, nell’atrio della casa di Caifa,
rappresentata sullo sfondo, dichiara a una serva di non conoscere Gesù
(Mt 26, 69-72; Mc 14, 66-70; Lc 22, 56; Gv 18, 17). Nell’ottavo riquadro,
Giuda si reca per restituire i denari da Caifa e dagli altri sacerdoti, sullo
sfondo del tempio; nel successivo Cristo è condotto innanzi a Pilato
che, seduto a destra su un trono, si lava le mani in un catino porto da
un servo. Segue la scena della salita al Calvario: Cristo, sempre in veste
purpurea, è seguito da soldati e da sacerdoti; sulla destra il Cireneo
sorregge la croce (Lc 23, 26). L’evidente intenzione di sottolineare
sempre e comunque la gravità maiestatica di Cristo in tutte le scene
della Passione, a costo di sacrificare la lettera dei riferimenti evangelici,
porta come estrema ratio all’assenza di un’immagine esplicita della
Crocifissione. Gli ultimi tre riquadri riguardano infatti gli eventi
successivi alla Resurrezione. Nel primo, un angelo alato, con tradizionale
baculum, annuncia l’evento alle donne, che dall’altro lato, additano
il sepolcro, rappresentato come un tempietto circolare, con la pietra
d’ingresso abbattuta. Segue l’apparizione di Cristo ai due discepoli in
cammino verso Emmaus, che torreggia a sinistra su un’altura rocciosa.
Nell’ultimo emblema Cristo, al centro, appare, a porte chiuse, nella
stanza dove si erano radunati gli apostoli, mostrando la ferita del
costato all’incredulo Tommaso, che gli si prostra innanzi.
All’originario arredo di età teodericiana apparteneva l’elegante
ambone in marmo proconnesio, oggi collocato su un fusto di granito fra
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la settima e l’ottava colonna a destra, ma che in origine doveva trovarsi
al centro della navata, retto solo da colonnine; esso rientra in una tipica
tipologia di produzione costantinopolitana, con la sua forma a doppio
parapetto, decorato da una fitta serie di modanature, e doveva essere
in origine fiancheggiato da scale laterali e sponde marmoree oggi
perdute.
La prima cappella a sinistra (1919) è dedicata ai caduti nella i
Guerra Mondiale e presenta numerose pitture di autori moderni
relative agli episodi del conflitto. La seconda cappella, che prende il
nome dai conti Sala, contiene due tele del cesenate Ascanio Foschi,
Proclamazione del perdono di Assisi (a sinistra) e Predica di S.
Francesco (a destra), del 1612 circa. Segue la cappella dei conti Pasolini
con due coeve opere di Ferraù Fenzoni (Faenza 1562-1645), la Natività
(a destra) e la Morte della Vergine (a sinistra), a lati di una Madonna
con il Bambino di scuola bolognese databile (Faietti) attorno al 1370. La
seguente cappella Rasponi presenta un arco rinascimentale ornato di
lacunari, aggiunto all’inizio del secolo, e conserva decorazioni pittoriche
di Domenico e Andrea Barbiani (1747). L’ultima cappella a sinistra è
rivestita da sbiaditi affreschi di Pietro da Bagnara (1540), con scene
della vita di S. Apollinare.
La cappella a sinistra dell’abside (1690), dedicata a S. Antonio, è
decorata da stucchi di Antonio Martinetti e presenta un altare intarsiato
di marmi pregiati; la cappella del lato opposto conserva un’ancona già
sita in S. Apollinare in Classe.
Il presbiterio, oggi restaurato, si articola in un vano quadrangolare
e un’ampia abside curvilinea. La balaustra conserva una serie di plutei
e di transenne attribuibili all’originaria basilica di vi secolo, ricollocati
durante i lavori del 1950. Il primo pluteo a sinistra (fine v-inizio vi
secolo) presenta sulla fronte due eleganti pavoni a lato di una croce
collocata su un vaso da cui fuoriescono racemi vitinei, mentre nel retro,
incompiuto e di fattura assai più corsiva, il profeta Daniele, coperto da
un semplice perizoma, è affiancato da due leoni, fra un rigoglio di ibridi
racemi vegetali; dall’alto scende una colomba con corona, immagine
dell’intervento divino. Continuando verso destra, si vede una raffinata
transenna con intreccio geometrico, dell’inizio del vi secolo, una
coeva transenna con due piccoli pavoni a lato di una croce gemmata,
poggiata su un vaso con racemi vitinei emergenti, e infine una meno
raffinata transenna a decorazione astratta. La zona anteriore del
presbiterio conserva l’altare a cassa in marmo proconnesio di vi secolo,
attribuibile all’epoca della riconsacrazione della basilica ad opera
dell’arcivescovo Agnello, affiancato da quattro colonne in porfido che
in origine sorreggevano il ciborio. In secondo piano si leva il grandioso
altare barocco eretto nel 1712, ricco di preziosi marmi, sormontato da
sei grandi candelieri intarsiati e da una grande croce. Lungo le pareti
del presbiterio sono collocati i tondi con scene della vita di S. Apollinare
di Domenico Capaci (xviii secolo), autore anche della pala centrale,
eseguita in collaborazione con il suo maestro Giacomo Anziani,
che rappresenta la leggendaria scena della missione petrina del
protovescovo. Sopra le due porte comunicanti con le cappelle laterali
spiccano i monumenti funebri dei cardinali Lorenzo Raggi (1687), a
sinistra, e Alessandro Malvasia (1819), a destra.
Gianni Godoli
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VALORI E IDEE
PER NUTRIRE
LA TERRA
L’Emilia-Romagna
a Expo Milano 2015
programma di sala a cura di
Cristina Ghirardini
coordinamento editoriale e grafica
Ufficio Edizioni Ravenna Festival
stampato su carta Arcoprint Extra White
stampa
Edizioni Moderna, Ravenna
L’editore è a disposizione degli aventi diritto
per quanto riguarda le fonti iconografiche
non individuate
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Lully, un fiorentino a Versailles