Il Tempietto Verdi e il Risorgimento Paola Ruminelli V oler comprendere oggi, improntati come siamo di materialismo e di relativismo, la mentalità dei grandi romantici dell’età del Risorgimento tra i quali Verdi fu personalità di spicco, implica l’assumere una diversa dimensione del sentire. Ma forse vale la pena di forzare le strettoie a cui ci ha abituato l’aridità della post-modernità, per cercare di comprendere quel mondo di passioni,condivise da generazioni, che hanno segnato la storia. Verdi, artista e patriota Verdi non era aristocraticamente chiuso nel suo universo musicale, ma era calato nella viva realtà del suo tempo, condividendone le attese ideali e gli orientamenti del gusto ( è noto come sia stato anche ottimo amministratore dei suoi beni).La sua musica è musica di sentimenti profondamente umani, che il suo innato senso del teatro gli permetteva di incarnare in azioni e in personaggi diventati presto celebri . Rigoletto, Azucena, Violetta, Aida e Radamès, Otello e Jago, Falstaff (per nominarne solo alcuni) sono personaggi modellati dalla musica in maniera altrettanto decisa di quelli dei drammi in prosa, personaggi che vivono sulla scena le offese alla dignità umana, all’amore, alla pace e alla giustizia ed esprimono, non con effetti di bel-cantismo, ma con accenti 157 vibranti e melodie intense, le profondità del sentire. Le Opere di Verdi hanno regalato all’Italia, priva di una tradizione tragica di rilievo, una originale espressione teatrale, che evidenziava le peculiarità del genio latino sensibile alla bellezza e all’armonia. Proprio perché attento alla realtà, Verdi fu anche vivamente partecipe alle ansie e ai problemi connessi alla situazione storica in cui viveva, in quel tempo caratterizzata dal movimento politico risorgimentale, di cui il grande musicista fu considerato una delle guide morali più significative. Sulla adesione di Verdi al Risorgimento peraltro non si sono risparmiate le notazioni intese a ridimensionarne la portata. A tal proposito si ricorda come la dedica dello spartito del Nabucco, recepito quale espressione della condizione degli italiani oppressi dallo straniero, fosse invece rivolta alla Arciduchessa Adelaide d’Austria. In realtà se Verdi nel corso della rivoluzione nazionale non prese parte ad azioni militari, si espose in prima persona in più occasioni e, soprattutto, contribuì grandemente con la sua musica ad accendere lo spirito patriottico, sfidando apertamente la censura particolarmente persecutoria nei suoi confronti. Ricorrenti nei suoi drammi i temi patriottici e le scoperte allusioni alla situazione degli italiani, nonché, specialmente negli anni giovanili quando il processo di unificazione nazionale andava avviandosi, numerosi i libretti di carattere politico delle sue 158 Il Tempietto composizioni. I temi civili da lui musicati, percorsi come sono da fremiti virili, atti a scuotere gli animi e a infervorare gli spiriti mediante la sua forza creativa, raramente scadono in vuota retorica. Su sollecitazione di Mazzini nel 1848 musicò un Inno di Goffredo Mameli (non Fratelli d’Italia), che Mazzini gli aveva proposto e lo inviò da Parigi con parole di accompagnamento a testimonianza della sua condivisione all’impegno patriottico: Possa quest’inno fra la musica del cannone, essere presto cantato nelle pianure lombarde. Appresa la triste fine della guerra appose la sua firma ad un manifesto che i patrioti italiani rivolgevano alla Francia. Il grido Viva Verdi, in cui si alludeva a Vittorio Emanuele II Re d’Italia, era ripetuto nei teatri e nelle strade, specialmente dopo il famoso discorso in Parlamento del 10 gennaio 1859 di Vittorio Emanuele, che si dichiarava non insensibile al grido di dolore, che da ogni parte d’ Italia si levava al Piemonte. In tale occasione il Maestro si adoperò per raccogliere nel parmigiano soccorsi per i feriti della guerra e per le famiglie bisognose, lanciando anche un appello che lo espose a rappresaglie. Sempre nel 1859 fu nominato deputato a Busseto per l’annessione al Piemonte. A Torino fu accolto dallo stesso Vittorio Emanuele con grande deferenza ed il popolo gli tributò calorose manifestazioni. Cavour gli offrì il mandato politico per il Collegio di Borgo San Donnino,che gli valse l’elezione. Nel 1874, lo stesso anno in cui nella Chiesa di S. Marco a Milano fu eseguita la Messa da Requiem dedicata dal Maestro a Manzoni, fu nominato, per meriti eminenti su proposta del ministro Minghetti, senatore del Regno. Alla sua morte a Milano il 27 gennaio 1901 (era nato alle Roncole presso Busseto il 10 ottobre 1813) fu lutto nazionale. Le esequie come egli aveva predisposto nel testamento, furono molto modeste, ma quando la sua salma con quella della moglie Giuseppina Strepponi, fu traslata nella “Casa di Riposo per i musicisti”, da lui stesso fondata, vi fu una manifestazione plebiscitaria con migliaia di voci che cantavano commosse Va pensiero sull’ali dorate. In questa sede faremo riferimento a quei melodrammi verdiani, che per il loro argomento politico sono più specificamente connessi alle vicende del Risorgimento, anche se i temi portanti di queste opere (la lotta contro il potere in nome della libertà e della pace e il tema dell’amore contrastato da avverse circostanze) sono ricorrenti in tutti i drammi storici del Maestro bussetano (si ricordino per esempio tra i capolavori della maturità di Verdi il Simon Boccanegra e il Don Carlos in cui tali temi sono predominanti). Nabucco (Nabucodonosor) Nel 1839 Verdi si era trasferito con la famiglia (la moglie Margherita Barezzi e i figlioletti Virginia e Icilio) da Busseto a Milano. Le ragioni del Il Tempietto trasferimento vanno sostanzialmente ricercate nel fatto che Verdi avvertiva l’ambiente natale come ormai insufficiente per la sua maturazione artistica, specialmente dopo che la sua prima opera, Oberto, conte di San Bonifacio gli era stata rifiutata da un impresario di Parma. Lo spartito verdiano fu invece accettato dal Teatro alla Scala, in un primo tempo per alcune recite di beneficenza e quindi, anche a seguito dell’interessamento della cantante Giuseppina Strepponi, per una rappresentazione voluta dall’impresario Bartolomeo Merelli. L’Opera ebbe successo con repliche non solo a Milano, ma anche a Torino, Genova e Napoli, tanto che Giovanni Ricordi ne acquistò la proprietà dal Merelli. Si trattava di una vicenda drammatica di gusto romantico, che vedeva un padre contrapposto al seduttore della figlia: una prima prova sulla linea di Bellini e di Donizetti della natura concisa ed energica dell’ispirazione verdiana. Il tentativo successivo di un melodramma giocoso Un giorno di regno non ebbe buon esito e l’insuccesso si intrecciò con una serie di lutti, che segnarono profondamente il Maestro. Nel 1839 la morte della figlioletta Virginia e nel 1840 quella della moglie e del figlio Icilio. I lutti e una grave malattia lo sconvolsero profondamente, inducendolo a lasciare Milano per tornare a Busseto, dove però non rimase a lungo, richiamato a Milano dalle sue esigenze artistiche. Qui, non 159 senza qualche iniziale incertezza, accettò di musicare il libretto di Temistocle Solera Nabucco, che Merelli gli aveva sottoposto. Come ci informa il critico musicale Roberto Iovino: L’aneddotica narra come il testo rifiutato da Nicolai, fu accolto di malavoglia dal bussetano. Gettatolo sul tavolo di casa il fascicolo si aprì sui versi “Va pensiero”. Parole che turbarono il compositore e che furono la scintilla da cui nacque l’opera”2 La composizione fu ininterrotta, anche se tra Verdi e il librettista si frapposero spesso litigi (presto per altro sopiti), in seguito alle variazioni di scene e di versi che Verdi impose al Solera. L’Opera, rappresentata il 9 marzo 1842 alla Scala, fu un vero e proprio trionfo, nella stagione autunnale godette di ben 52 repliche. Verdi, frequentatore di letture bibliche, aveva apprezzato particolarmente il carattere biblico del libretto, ma il successo delle rappresentazioni fu dovuto specialmente alla sua capacità di conferire ad un antico soggetto religioso un carattere divulgativo, associandolo alla sensibilità nazionale e popolare dell’epoca. La vicenda si svolge a Gerusalemme e a Babilonia alla fine del VI secolo A.C. Come la moda letteraria del tempo prescriveva, le singole parti dell’Opera presentano titoli diversi allo scopo di suggerire una sorta di unità drammatica all’azione: Gerusalemme, L’empio, La corona e L’idolo in frantumi. 160 Il Tempietto Nel tempio di Salomone gli Israeliani piangono la sconfitta loro inflitta dal re di Babilonia Nabucco, simbolo della tirannia del potere. Alla vicenda del popolo d’Israele si intreccia la vicenda di Fenena, figlia di Nabucco e prigioniera degli Ebrei, innamorata di Ismaele, che la teneva in custodia per volere del pontefice Zaccaria e che la ricambiava di pari amore. I due innamorati sono però osteggiati da Abigaille, che crede di essere figlia di Nabucco (ma di cui poi scoprirà di essere schiava), a sua volta innamorata di Ismaele. Quando Nabucco, conquistata Gerusalemme, ordina di bruciare il Tempio e, proclamatosi Re, viene colpito per il suo orgoglio da improvvisa follia, Abigaille assume il potere e manda a morte gli ebrei prigionieri con la rivale Fenena. A questo punto, di fronte alla morte della figlia, Nabucco rinsavisce, prega il dio degli israeliani e libera gli ebrei. Ad Abigaille non resterà che il suicidio dopo aver chiesto morente il perdono. A proposito di Nabucco Verdi stesso riconosceva come quest’Opera sia stata la prima autentica realizzazione del suo genio: Con quest’opera si può veramente dire che ebbe principio la mia carriera artistica”,3 Qui Verdi ha trovato il suo stile, dando inizio anche ad una nuova prospettiva del genere lirico, del quale l’Italia era peraltro stata una illustre antesignana. Il Nabucco verdiano sembra infatti rispondere alle sollecitazioni di Giuseppe Mazzini (oltre che pensatore e uomo d’azione politico, cultore di musica), che nella Filosofia della musica invocava l’avvento di un nuovo dramma musicale non solo italiano, ma europeo: “oggi urge l’emancipazione da Rossini e dall’opera musicale ch’ei rappresenta”.4 Mazzini, auspicava per l’Opera italiana la nobilitazione del recitativo, lo sviluppo del coro e uno studio maggiore della strumentazione per sanare le piaghe del melodramma, ritenendo che Donizzetti, che militava sotto la Scuola rossiniana, non sarebbe stato all’altezza di un così incisivo cambiamento. In tal modo apriva un cammino sul quale il giovane Verdi stava già muovendosi : Mazzini stesso gli aveva aperto il cammino, additando agli artisti italiani un altro dei valori attraverso i quali era possibile placare la struggente ansia individualistica del romanticismo: “Dio e popolo!” L’esasperazione dell’individuo, non più capace di inserirsi in un ordine universale, e d’altra parte prigioniero della propria finitezza, anela ad un prolungamento verso l’infinito, e lo può trovare non solo nella comunione amorosa con un’altra creatura, ma immergendosi in quella entità collettiva che è il popolo.”5 Occorreva un linguaggio capace di accomunare gli animi sulla base di Il Tempietto una attenzione sempre maggiore a più ampi settori sociali, non solo allo scopo di effettuare l’unità nazionale, ma anche per corrispondere a nuove esigenze storiche. Scrive lo studioso di Verdi Emilio Radius: “Occorreva un linguaggio comune che non fosse quello troppo maestoso del Rossini spirituale, né quello celestialmente dilatato di Bellini, e neanche quello così ben misto di Donizzetti. Verdi lo inventò o scoprì: e questa fu opera d’arte”.6 Si può dire che con questa Opera la musica italiana, aulica e aristocratica per lunga tradizione, scopre il popolo, facendolo protagonista di pagine corali indimenticabili. Una coralità quella introdotta da Verdi che dal teatro passò alla strada e dalla strada al campo di battaglia in quanto capace di suscitare energie vitali. Si pensi al meraviglioso coro Va pensiero sull’ali dorate,che inizia con una melodia liberatrice, in cui la dolcezza del ricordo dei luoghi natali affiora sommessamente ma poi il canto unisce presto la larghezza alla forza, dà perfino nel minaccioso,7 L’accorata nostalgia della patria perduta si tramuta in volontà di azione nella fede di un possibile riscatto. Il confronto tra la musica di Verdi e le pagine di Manzoni o di Leopardi sugli aneliti di liberazione degli Italiani, possono permetterci di intendere meglio lo spirito verdiano nell’ambito 161 stesso del Romanticismo. Mentre i versi di Leopardi trasudano di delusione storica nei confronti di un secolo inetto e spregevole, mentre la poesia dell’Adelchi manzoniano consiste nella grandezza di rassegnazione e di pessimismo dei protagonisti e del popolo la grandezza del Nabucco è grandezza di impazienza verso le promesse dell’al di là e di sollecitazione delle energie terrene. Da passivo il romanticismo si è fatto ricettivo. La musica vigorosa di Verdi comunica una visione sostanzialmente positiva della vita. Anche se gli ideali di giustizia e di pace sono continuamente traditi dall’iniquità umana e il dolore si manifesta come forza dilacerante, nella musica verdiana si avvertono spesso spazi di cielo, che garantiscono del bene dell’essere. Così nelle ultime pagine di Traviata, in cui nelle parole di Violetta morente persiste l’amore per la vita, così nel mirabile finale di Aida, ove l’indomabile speranza del cuore dischiude agli amanti innocenti, nel buio della tomba in cui sono stati rinchiusi, il raggio dell’eterno dì. Una musica quella di Verdi sempre animata da una intensa tensione di valore etico. I Lombardi alla prima crociata Un successo analogo a quello di Nabucco accompagnò la messa in scena de I Lombardi alla prima crociata, su libretto del Solera, tratto dal poema omonimo di Tommaso Grossi, e rappresentata nel febbraio 162 Il Tempietto del 1843 al Teatro alla Scala. Il testo dei Lombardi, con il titolo Jerusalem fu poi adattato dallo stesso Verdi per il Teatro dell’Académie Royal di Parigi nel 1847, con l’aggiunta di danze nello stile grand-opèra. L’argomento è piuttosto intricato e si svolge all’epoca della prima crociata in parte a Milano ed in parte ad Antiochia. La scena si apre con la piazza di S. Ambrogio a Milano al rientro di uno dei protagonisti della vicenda, Pagano, esiliato per aver aggredito il fratello Arvino nel giorno delle sue nozze con Viclinda. Pagano ordisce ancora il tentativo di uccidere Arvino, ma per errore uccide il padre. Quindi l’azione si sposta ad Antiochia ove Arvino era giunto alla ricerca della figlia Giselda, prigioniera del tiranno Acciano, del cui figlio Oronte si era innamorata. Oronte però, ferito nella guerra con i crociati, muore tra le braccia di Giselda dopo aver ricevuto in una grotta nella valle di Giosafat il battesimo da un eremita, che non è altri che lo stesso Pagano pentito. Alla fine i Cristiani riusciranno a trovare l’acqua del Siloe , che li libera dalla siccità come Giselda aveva loro preannunciato in seguito ad un sogno profetico. Gabriele Baldini, critico letterario e musicologo, definisce i Lombardi una serie di pezzi staccati e indipendenti tra loro, che Verdi aveva musicato senza alcun riguardo per i materiali letterari. Per Baldini , ad eccezione del celebre coro O Signor che dal tetto natio (per altro a suo vedere una replica un poco sbiadita del coro degli schiavi ebrei del Nabucco) i cori dei Lombardi sono tutti di singolare rozzezza e convenzionalità, pretesti per fare chiasso comunque: il coro, poi, e la marcia con cui si presentano sempre i crociati è d’una tale modestia e stolidezza che si è dovuto, per quello,pensare che certo, se Verdi ha distrutto tutte le sue fanfare e marce giovanili per banda, queste era impossibile che presentassero degli esempi di maggiore insipienza.9 Il giudizio di Baldini è forse troppo severo e non tiene conto della situazione contingente in cui l’Opera era stata concepita. Su I Lombardi in maniera più articolata scrive il già citato Iovino: I Lombardi costituiscono in realtà un momento di riflessione necessario a Verdi dopo il Nabucco. Ne riprendevano alcuni elementi (compresa l’articolazione in quattro parti, ognuna con un titolo La vendetta, L’uomo della caverna, La conversione, il santo Sepolcro), consolidandoli, ma senza alcuna pretesa di innovazione. Lo stile verdiano appare teso fra due estremi contrapposti: un lirismo disteso, cantabile,di grande forza persuasiva; e un vitalismo ritmico aggressivo, accentuato da una orchestrazione spesso definita (in maniera, a torto, spregiativa) bandistica, in realtà perfettamente rispondente alle esigenze di un teatro di emozioni collettive e di Il Tempietto messaggi oggi poco comprensibili, ma all’epoca fin troppo chiari.10 In effetti il celebre coro O Signor che dal tetto natio e il grido dei Lombardi nell’ultimo atto La Santa terra oggi nostra sarà suscitavano l’entusiasmo dei patrioti. L’Opera si prestava efficacemente ad alludere alla situazione politica del tempo, cogliendo nella vicenda dei Lombardi una volontà di riscatto che ben si addiceva allo stato d’animo degli italiani. In tal modo dava voce ad aspirazioni collettive, fortemente condivise dall’autore stesso, che aveva voluto testimoniare con decisione la sua posizione politica. La battaglia di Legnano e I Vespri siciliani Su invito del Teatro la Fenice di Venezia, Verdi scrive Ernani da Hernani di Victor Hugo su libretto di Francesco Maria Piave, che iniziò la sua fruttuosa collaborazione con il Maestro. Ernani venne accolto entusiasticamente alla prima del 1844 a Venezia e venne rappresentato con successo anche in altre città italiane. Il soggetto, ambientato in Spagna al tempo di Carlo I è una storia romantica d’amore e di morte. Anche in quest’opera il pubblico vide però evidenti allusioni patriottiche: i veneziani cantarono insieme ai coristi Si ridesti il leon di Castiglia, mentre i liguri e i piemontesi mutarono a Carlo Magno sia gloria ed onor in a Carlo Alberto sia gloria ed onor, suscitando le ire della censura. Dopo I due Foscari, Giovanna d’Arco e 163 Alzira, che non riscossero molti consensi, il successo ritornò con Attila, su libretto di Solera e di Piave. Il pubblico anche in questa occasione non mancò di trovare pretesti per manifestazioni patriottiche. Alla frase di Ezio Resti l’Italia a me il pubblico reagì dicendo Resti l’Italia a noi! Con il Macbeth Verdi incominciò ad interessarsi di Shakespeare, autore con il quale il musicista aveva affinità per la sua forte tempra morale e per l’attenzione agli aspetti reconditi e spesso oscuri dell’animo umano. La prima rappresentazione del Macbeth su libretto del Piave avvenne al Teatro della Pergola a Firenze (dell’Opera c’è una seconda versione del 1865 a Parigi per il Théatre Lyrique nel 1845). L’Opera non aveva soggetto politico, ma diede ugualmente modo ai patrioti di manifestare. Alla frase La patria tradita piangendo ci invita - fatelli gli oppressi - corriamo a salvar vi fu un coro di grida di consensi da parte del pubblico. Dopo I masnadieri e il Corsaro (libretto di Piave su un poemetto di Bayron) Verdi riprese l’argomento patriottico con La battaglia di Legnano (libretto di Camarrano dalla tragedia La bataille de Toulouse di Joseph Méry). L’opera è ambientata a Milano nel 1176, ove i soldati della Lega lombarda difendono la città dal Barbarossa e a Como, ove i cittadini dichiarano guerra al Barbarossa. Al motivo politico si intreccia il motivo lirico di un amore romantico contrastato, che ha come protagonista Lida, che ritrova il suo ex -amante Arrigo e viene accusata ingiustamente 164 Il Tempietto dal marito Rolando di tradimento. Alla sua morte Arrigo, che aveva fatto cadere il Barbarossa, rivela a Rolando l’innocenza di lei. L’Opera fu rappresentata a Roma il 27 gennaio 1849 nel periodo della Repubblica Romana e quindi non subì immediatamente l’intervento della censura, ma per poterla mettere in scena anche in altre parti d’Italia, il titolo fu cambiato in La battaglia di Arlem, l’azione trasferita nelle Fiandre e Federico Barbarossa tramutato in duca d’Alba. Si racconta che alla prima di Roma, gli uomini portavano la coccarda tricolore sul petto e le donne avevano adornato i palchi di sciarpe e nastri tricolore. Applaudendo i diversi pezzi il pubblico gridava Viva Verdi e viva l’Italia. Il coro iniziale Viva l’Italia un sacro patto era entusiasticamente ripetuto da tutti. Il IV atto fu bissato. La battaglia di Legnano è una vera e propria innodia patriottica, in cui sono prevalenti le scene politiche (il giuramento, l’arrivo del Barbarossa, la morte di Arrigo), scritta in occasione dell’insurrezione popolare a cui Verdi avvertiva di dovere di partecipare in maniera incontrastabile, Un’espressione della sua figura di compositore civile, che fa forza alla sua stessa ispirazione, chiamata ormai verso nuove vie. Dopo la sconfitta e il clima di sfiducia che andava diffondendosi Verdi infatti si risolse a dedicarsi alla sua vena di romanzo lirico. Già ai tempi di Ernani aveva dimostrato di prediligere il taglio donizettiano in cui i personaggi non sono più assorbiti nella massa corale, ma approfonditi nella loro individualità, sia pure con un respiro di universalità derivato dall’esperienza corale dei primi drammi. In questa direzione alla Luisa Miller del 1849, su libretto da Schiller del Camarrano, fece seguito la Trilogia popolare del Rigoletto, Trovatore e Traviata, tre assoluti capolavori nei quali si dispiega il genio ormai maturo del grande Maestro, capace di coniugare l’opera popolare con l’intimismo lirico più profondo e complesso. All’argomento politico Verdi ritorna con I Vespri siciliani del 1855 su libretto di Eugène Scribe, eseguiti a Parigi per l’ Operà. Il Maestro bussetano era ormai considerato un compositore di fama europea ed il Governo imperiale lo aveva incaricato di un’Opera con la quale inaugurare l’Esposizione Universale. Egli accettò l’invito con questo melodramma patriottico, anche per allargare il confronto con il melodramma francese e con Meyerbeer, che raccoglieva grandi successi a causa delle sue opere fastose di ambientazione storica. Sembra che l’allestimento dello spettacolo sia stato particolarmente faticoso anche per la defezione della prima cantante, che solo all’ultimo si risolse di rientrare in scena. L’azione si svolge a Palermo dove sta per accadere la rivoluzione contro i soldati francesi. Anche in questo melodramma ci sono due innamorati contrastati Hélène e Henry (che si scoprirà figlio del governatore francese Monfort). Hélène, fatta prigioniera con altri congiurati, e liberata da Hènry, viene Il Tempietto accusata dal padre Procida di aver tradito la causa patriottica. Le nozze tra i due giovani termineranno con l’avvento della Rivoluzione dei siciliani contro Monfort e i francesi. Lo svolgimento dei fatti è intervallato da ballabili secondo il gusto del grandopèra, che a Parigi riscuoteva grandi successi. Bellissima la sinfonia di stampo beethoveniano che ben esprime i sentimenti verdiani di libertà e di giustizia. Di questa mirabile pagina , Baldini, piuttosto critico sul resto dell’Opera, così scrive: Anzitutto la sinfonia, certo la più bella di Verdi - d’un generoso sapore beethoveniano - è la sola pagina di tutta l’opera che tenga fede non dirò tanto al titolo quanto allo spirito del titolo, che offre bensì l’immagine di una rivoluzione vittoriosa, ma anche del suo spirito di giustizia, del calore degli umani affetti che quella intendeva ristabilire.11 Per ragioni di censura in Italia l’Opera fu rappresentata con il titolo Giovanna di Guzman, Giovanna di Braganza, Giovanni di Sicilia. Dopo i Vespri Verdi non scrisse più melodrammi specificamente di argomento patriottico, ma la sua fama fu sempre associata al suo ruolo di musicista della vicenda del Risorgimento. Ai Vespri fece seguito il Simon Boccanegra, dramma ambientato a Genova e connesso al tema della ragion di stato, che fu accolto dal pubblico piuttosto 165 freddamente, ma l’entusiasmo delle platee si riaccese in occasione della rappresentazione di Un ballo in maschera, avvenuta a Roma nel 1859, nel corso della quale si ripeterono le manifestazioni patriottiche. L’Opera inizialmente era stata composta per il Teatro San Carlo di Napoli, ma Verdi si rifiutò di rappresentarla in quella città non volendo piegarsi ai divieti della censura ,che richiedeva di modificarne la collocazione geografica e storica, non accettando l’assassinio di un re che il libretto prevedeva. Alla fine il musicista si adattò alle richieste della censura romana, che si limitava a spostare l’azione negli Stati Uniti, fuori Europa e l’Opera andò in scena al Teatro Apollo con grande successo . Nel teatro echeggiava il grido Viva Verdi, con evidente allusione politica a Vittorio Emanuele Re d’Italia. A Un ballo in maschera seguì tutta una serie di capolavori: La forza del destino, Don Carlos, Aida, Otello, Falstaff (queste due ultime opere composte su libretto di Arrigo Boito), in cui si dispiega l’ inesauribile genialità creativa del Maestro nel coglimento della verità umana nelle diverse situazioni particolari e collettive insieme. I 26 drammi verdiani (26 senza contare i rifacimenti delle prime versioni) ispirati per la maggior parte a vicende storiche e, in minor numero, a vicende contemporanee (Luisa Miller, Stiffelio, La traviata) e al teatro shakespeariano (Machbet, Otello, Falstaff) costituiscono un grande lascito musicale. 166 Il Tempietto L’impegno di Verdi di onorare l’opera italiana ha prodotto frutti di grande bellezza, che hanno arricchito il nostro patrimonio culturale e contribuito alla definizione della nostra identità culturale. Il suo teatro è diventato simbolo di italianità nel mondo, a lui dobbiamo sempre guardare se vogliamo ancora ritrovarci in un’unica nazione. Note 1. Franco Abbiati Storia della Musica, Garzanti Milano 1957, vol. IV; A. Della Corte G.M. Gatti, Dizionario di musica, Paravia, Torino 1956 2. Roberto Iovino - Giorgio De Martino, All’Opera, I Da Rossini a Verdi, Fratelli Frilli Editori, Genova, 2008, p. 124 3. F. Abbiati, cit., p 156. 4. Massimo Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino 1964, p. 269 5. Ivi, pp. 269-70 6. Ivi, p.77 7. Emilio Radius, Verdi vivo, Bompiani, Milano 1951, p. 82 8. Ivi, p. 78 9. Gabriele Baldini, Abitare la battaglia. La storia di Giuseppe Verdi, Garzanti, 2001, p. 70 10. R. Iovino, cit., pp. 126-127 11. Baldini, cit. p. 263