Il Tempietto
Verdi e il
Risorgimento
Paola Ruminelli
V
oler comprendere oggi,
improntati come siamo di
materialismo e di relativismo,
la mentalità dei grandi romantici
dell’età del Risorgimento tra i quali
Verdi fu personalità di spicco, implica
l’assumere una diversa dimensione del
sentire. Ma forse vale la pena di
forzare le strettoie a cui ci ha abituato
l’aridità della post-modernità, per
cercare di comprendere quel mondo di
passioni,condivise da generazioni, che
hanno segnato la storia.
Verdi, artista e patriota
Verdi non era aristocraticamente
chiuso nel suo universo musicale, ma
era calato nella viva realtà del suo
tempo, condividendone le attese ideali
e gli orientamenti del gusto ( è noto
come sia stato anche ottimo
amministratore dei suoi beni).La sua
musica è musica di sentimenti
profondamente umani, che il suo
innato senso del teatro gli permetteva
di incarnare in azioni e in personaggi
diventati presto celebri .
Rigoletto, Azucena, Violetta, Aida e
Radamès, Otello e Jago, Falstaff (per
nominarne solo alcuni) sono
personaggi modellati dalla musica in
maniera altrettanto decisa di quelli dei
drammi in prosa, personaggi che
vivono sulla scena le offese alla
dignità umana, all’amore, alla pace e
alla giustizia ed esprimono, non con
effetti di bel-cantismo, ma con accenti
157
vibranti e melodie intense, le
profondità del sentire. Le Opere di
Verdi hanno regalato all’Italia, priva di
una tradizione tragica di rilievo, una
originale espressione teatrale, che
evidenziava le peculiarità del genio
latino sensibile alla bellezza e
all’armonia.
Proprio perché attento alla realtà,
Verdi fu anche vivamente partecipe
alle ansie e ai problemi connessi alla
situazione storica in cui viveva, in quel
tempo caratterizzata dal movimento
politico risorgimentale, di cui il grande
musicista fu considerato una delle
guide morali più significative.
Sulla adesione di Verdi al
Risorgimento peraltro non si sono
risparmiate le notazioni intese a
ridimensionarne la portata. A tal
proposito si ricorda come la dedica
dello spartito del Nabucco, recepito
quale espressione della condizione
degli italiani oppressi dallo straniero,
fosse invece rivolta alla Arciduchessa
Adelaide d’Austria. In realtà se Verdi
nel corso della rivoluzione nazionale
non prese parte ad azioni militari, si
espose in prima persona in più
occasioni e, soprattutto, contribuì
grandemente con la sua musica ad
accendere lo spirito patriottico,
sfidando apertamente la censura
particolarmente persecutoria nei suoi
confronti.
Ricorrenti nei suoi drammi i temi
patriottici e le scoperte allusioni alla
situazione degli italiani, nonché,
specialmente negli anni giovanili
quando il processo di unificazione
nazionale andava avviandosi, numerosi
i libretti di carattere politico delle sue
158
Il Tempietto
composizioni. I temi civili da lui
musicati, percorsi come sono da
fremiti virili, atti a scuotere gli animi e
a infervorare gli spiriti mediante la sua
forza creativa, raramente scadono in
vuota retorica.
Su sollecitazione di Mazzini nel 1848
musicò un Inno di Goffredo Mameli
(non Fratelli d’Italia), che Mazzini gli
aveva proposto e lo inviò da Parigi con
parole di accompagnamento a
testimonianza della sua condivisione
all’impegno patriottico:
Possa quest’inno fra la musica del
cannone, essere presto cantato
nelle pianure lombarde.
Appresa la triste fine della guerra
appose la sua firma ad un manifesto
che i patrioti italiani rivolgevano alla
Francia. Il grido Viva Verdi, in cui si
alludeva a Vittorio Emanuele II Re
d’Italia, era ripetuto nei teatri e nelle
strade, specialmente dopo il famoso
discorso in Parlamento del 10 gennaio
1859 di Vittorio Emanuele, che si
dichiarava non insensibile al grido di
dolore, che da ogni parte d’ Italia si
levava al Piemonte. In tale occasione il
Maestro si adoperò per raccogliere nel
parmigiano soccorsi per i feriti della
guerra e per le famiglie bisognose,
lanciando anche un appello che lo
espose a rappresaglie.
Sempre nel 1859 fu nominato deputato
a Busseto per l’annessione al
Piemonte. A Torino fu accolto dallo
stesso Vittorio Emanuele con grande
deferenza ed il popolo gli tributò
calorose manifestazioni. Cavour gli
offrì il mandato politico per il Collegio
di Borgo San Donnino,che gli valse
l’elezione.
Nel 1874, lo stesso anno in cui nella
Chiesa di S. Marco a Milano fu
eseguita la Messa da Requiem
dedicata dal Maestro a Manzoni, fu
nominato, per meriti eminenti su
proposta del ministro Minghetti,
senatore del Regno.
Alla sua morte a Milano il 27 gennaio
1901 (era nato alle Roncole presso
Busseto il 10 ottobre 1813) fu lutto
nazionale. Le esequie come egli aveva
predisposto nel testamento, furono
molto modeste, ma quando la sua
salma con quella della moglie
Giuseppina Strepponi, fu traslata nella
“Casa di Riposo per i musicisti”, da
lui stesso fondata, vi fu una
manifestazione plebiscitaria con
migliaia di voci che cantavano
commosse Va pensiero sull’ali dorate.
In questa sede faremo riferimento a
quei melodrammi verdiani, che per il
loro argomento politico sono più
specificamente connessi alle vicende
del Risorgimento, anche se i temi
portanti di queste opere (la lotta contro
il potere in nome della libertà e della
pace e il tema dell’amore contrastato
da avverse circostanze) sono ricorrenti
in tutti i drammi storici del Maestro
bussetano (si ricordino per esempio tra
i capolavori della maturità di Verdi il
Simon Boccanegra e il Don Carlos in
cui tali temi sono predominanti).
Nabucco (Nabucodonosor)
Nel 1839 Verdi si era trasferito con la
famiglia (la moglie Margherita Barezzi
e i figlioletti Virginia e Icilio) da
Busseto a Milano. Le ragioni del
Il Tempietto
trasferimento vanno sostanzialmente
ricercate nel fatto che Verdi avvertiva
l’ambiente natale come ormai
insufficiente per la sua maturazione
artistica, specialmente dopo che la sua
prima opera, Oberto, conte di San
Bonifacio gli era stata rifiutata da un
impresario di Parma.
Lo spartito verdiano fu invece
accettato dal Teatro alla Scala, in un
primo tempo per alcune recite di
beneficenza e quindi, anche a seguito
dell’interessamento della cantante
Giuseppina Strepponi, per una
rappresentazione voluta
dall’impresario Bartolomeo Merelli.
L’Opera ebbe successo con repliche
non solo a Milano, ma anche a Torino,
Genova e Napoli, tanto che Giovanni
Ricordi ne acquistò la proprietà dal
Merelli.
Si trattava di una vicenda drammatica
di gusto romantico, che vedeva un
padre contrapposto al seduttore della
figlia: una prima prova sulla linea di
Bellini e di Donizetti della natura
concisa ed energica dell’ispirazione
verdiana.
Il tentativo successivo di un
melodramma giocoso Un giorno di
regno non ebbe buon esito e
l’insuccesso si intrecciò con una serie
di lutti, che segnarono profondamente
il Maestro. Nel 1839 la morte della
figlioletta Virginia e nel 1840 quella
della moglie e del figlio Icilio.
I lutti e una grave malattia lo
sconvolsero profondamente,
inducendolo a lasciare Milano per
tornare a Busseto, dove però non
rimase a lungo, richiamato a Milano
dalle sue esigenze artistiche. Qui, non
159
senza qualche iniziale incertezza,
accettò di musicare il libretto di
Temistocle Solera Nabucco, che
Merelli gli aveva sottoposto. Come ci
informa il critico musicale Roberto
Iovino:
L’aneddotica narra come il testo
rifiutato da Nicolai, fu accolto di
malavoglia dal bussetano.
Gettatolo sul tavolo di casa il
fascicolo si aprì sui versi “Va
pensiero”. Parole che turbarono il
compositore e che furono la
scintilla da cui nacque l’opera”2
La composizione fu ininterrotta, anche
se tra Verdi e il librettista si frapposero
spesso litigi (presto per altro sopiti), in
seguito alle variazioni di scene e di
versi che Verdi impose al Solera.
L’Opera, rappresentata il 9 marzo
1842 alla Scala, fu un vero e proprio
trionfo, nella stagione autunnale
godette di ben 52 repliche.
Verdi, frequentatore di letture bibliche,
aveva apprezzato particolarmente il
carattere biblico del libretto, ma il
successo delle rappresentazioni fu
dovuto specialmente alla sua capacità
di conferire ad un antico soggetto
religioso un carattere divulgativo,
associandolo alla sensibilità nazionale
e popolare dell’epoca.
La vicenda si svolge a Gerusalemme e a
Babilonia alla fine del VI secolo A.C.
Come la moda letteraria del tempo
prescriveva, le singole parti dell’Opera
presentano titoli diversi allo scopo di
suggerire una sorta di unità drammatica
all’azione: Gerusalemme, L’empio, La
corona e L’idolo in frantumi.
160
Il Tempietto
Nel tempio di Salomone gli Israeliani
piangono la sconfitta loro inflitta dal re
di Babilonia Nabucco, simbolo della
tirannia del potere. Alla vicenda del
popolo d’Israele si intreccia la vicenda
di Fenena, figlia di Nabucco e
prigioniera degli Ebrei, innamorata di
Ismaele, che la teneva in custodia per
volere del pontefice Zaccaria e che la
ricambiava di pari amore. I due
innamorati sono però osteggiati da
Abigaille, che crede di essere figlia di
Nabucco (ma di cui poi scoprirà di
essere schiava), a sua volta innamorata
di Ismaele. Quando Nabucco,
conquistata Gerusalemme, ordina di
bruciare il Tempio e, proclamatosi Re,
viene colpito per il suo orgoglio da
improvvisa follia, Abigaille assume il
potere e manda a morte gli ebrei
prigionieri con la rivale Fenena. A
questo punto, di fronte alla morte della
figlia, Nabucco rinsavisce, prega il dio
degli israeliani e libera gli ebrei. Ad
Abigaille non resterà che il suicidio
dopo aver chiesto morente il perdono.
A proposito di Nabucco Verdi stesso
riconosceva come quest’Opera sia stata
la prima autentica realizzazione del
suo genio:
Con quest’opera si può veramente
dire che ebbe principio la mia
carriera artistica”,3
Qui Verdi ha trovato il suo stile, dando
inizio anche ad una nuova prospettiva
del genere lirico, del quale l’Italia era
peraltro stata una illustre antesignana.
Il Nabucco verdiano sembra infatti
rispondere alle sollecitazioni di
Giuseppe Mazzini (oltre che pensatore
e uomo d’azione politico, cultore di
musica), che nella Filosofia della
musica invocava l’avvento di un nuovo
dramma musicale non solo italiano, ma
europeo:
“oggi urge l’emancipazione da
Rossini e dall’opera musicale ch’ei
rappresenta”.4
Mazzini, auspicava per l’Opera italiana
la nobilitazione del recitativo, lo
sviluppo del coro e uno studio
maggiore della strumentazione per
sanare le piaghe del melodramma,
ritenendo che Donizzetti, che militava
sotto la Scuola rossiniana, non sarebbe
stato all’altezza di un così incisivo
cambiamento. In tal modo apriva un
cammino sul quale il giovane Verdi
stava già muovendosi :
Mazzini stesso gli aveva aperto il
cammino, additando agli artisti
italiani un altro dei valori
attraverso i quali era possibile
placare la struggente ansia
individualistica del romanticismo:
“Dio e popolo!” L’esasperazione
dell’individuo, non più capace di
inserirsi in un ordine universale, e
d’altra parte prigioniero della
propria finitezza, anela ad un
prolungamento verso l’infinito, e lo
può trovare non solo nella
comunione amorosa con un’altra
creatura, ma immergendosi in
quella entità collettiva che è il
popolo.”5
Occorreva un linguaggio capace di
accomunare gli animi sulla base di
Il Tempietto
una attenzione sempre maggiore a più
ampi settori sociali, non solo allo
scopo di effettuare l’unità nazionale,
ma anche per corrispondere a nuove
esigenze storiche. Scrive lo studioso di
Verdi Emilio Radius:
“Occorreva un linguaggio comune
che non fosse quello troppo
maestoso del Rossini spirituale, né
quello celestialmente dilatato di
Bellini, e neanche quello così ben
misto di Donizzetti. Verdi lo
inventò o scoprì: e questa fu opera
d’arte”.6
Si può dire che con questa Opera la
musica italiana, aulica e aristocratica
per lunga tradizione, scopre il popolo,
facendolo protagonista di pagine corali
indimenticabili. Una coralità quella
introdotta da Verdi che dal teatro passò
alla strada e dalla strada al campo di
battaglia in quanto capace di suscitare
energie vitali. Si pensi al meraviglioso
coro Va pensiero sull’ali dorate,che
inizia con una melodia liberatrice, in
cui la dolcezza del ricordo dei luoghi
natali affiora sommessamente
ma poi il canto unisce presto la
larghezza alla forza, dà perfino nel
minaccioso,7
L’accorata nostalgia della patria
perduta si tramuta in volontà di azione
nella fede di un possibile riscatto.
Il confronto tra la musica di Verdi e le
pagine di Manzoni o di Leopardi sugli
aneliti di liberazione degli Italiani,
possono permetterci di intendere
meglio lo spirito verdiano nell’ambito
161
stesso del Romanticismo. Mentre i
versi di Leopardi trasudano di
delusione storica nei confronti di un
secolo inetto e spregevole, mentre la
poesia dell’Adelchi manzoniano
consiste nella grandezza di
rassegnazione e di pessimismo dei
protagonisti e del popolo
la grandezza del Nabucco è
grandezza di impazienza verso le
promesse dell’al di là e di
sollecitazione delle energie terrene.
Da passivo il romanticismo si è
fatto ricettivo.
La musica vigorosa di Verdi comunica
una visione sostanzialmente positiva
della vita. Anche se gli ideali di
giustizia e di pace sono continuamente
traditi dall’iniquità umana e il dolore
si manifesta come forza dilacerante,
nella musica verdiana si avvertono
spesso spazi di cielo, che garantiscono
del bene dell’essere. Così nelle ultime
pagine di Traviata, in cui nelle parole
di Violetta morente persiste l’amore
per la vita, così nel mirabile finale di
Aida, ove l’indomabile speranza del
cuore dischiude agli amanti innocenti,
nel buio della tomba in cui sono stati
rinchiusi, il raggio dell’eterno dì. Una
musica quella di Verdi sempre animata
da una intensa tensione di valore etico.
I Lombardi alla prima crociata
Un successo analogo a quello di
Nabucco accompagnò la messa in
scena de I Lombardi alla prima
crociata, su libretto del Solera, tratto
dal poema omonimo di Tommaso
Grossi, e rappresentata nel febbraio
162
Il Tempietto
del 1843 al Teatro alla Scala. Il testo
dei Lombardi, con il titolo Jerusalem
fu poi adattato dallo stesso Verdi per il
Teatro dell’Académie Royal di Parigi
nel 1847, con l’aggiunta di danze nello
stile grand-opèra. L’argomento è
piuttosto intricato e si svolge all’epoca
della prima crociata in parte a Milano
ed in parte ad Antiochia.
La scena si apre con la piazza di S.
Ambrogio a Milano al rientro di uno
dei protagonisti della vicenda, Pagano,
esiliato per aver aggredito il fratello
Arvino nel giorno delle sue nozze con
Viclinda. Pagano ordisce ancora il
tentativo di uccidere Arvino, ma per
errore uccide il padre. Quindi l’azione
si sposta ad Antiochia ove Arvino era
giunto alla ricerca della figlia Giselda,
prigioniera del tiranno Acciano, del
cui figlio Oronte si era innamorata.
Oronte però, ferito nella guerra con i
crociati, muore tra le braccia di
Giselda dopo aver ricevuto in una
grotta nella valle di Giosafat il
battesimo da un eremita, che non è
altri che lo stesso Pagano pentito. Alla
fine i Cristiani riusciranno a trovare
l’acqua del Siloe , che li libera dalla
siccità come Giselda aveva loro
preannunciato in seguito ad un sogno
profetico.
Gabriele Baldini, critico letterario e
musicologo, definisce i Lombardi una
serie di pezzi staccati e indipendenti
tra loro, che Verdi aveva musicato
senza alcun riguardo per i materiali
letterari. Per Baldini , ad eccezione
del celebre coro O Signor che dal tetto
natio (per altro a suo vedere una
replica un poco sbiadita del coro degli
schiavi ebrei del Nabucco) i cori dei
Lombardi sono tutti di singolare
rozzezza e convenzionalità, pretesti per
fare chiasso comunque:
il coro, poi, e la marcia con cui si
presentano sempre i crociati è
d’una tale modestia e stolidezza
che si è dovuto, per quello,pensare
che certo, se Verdi ha distrutto
tutte le sue fanfare e marce
giovanili per banda, queste era
impossibile che presentassero degli
esempi di maggiore insipienza.9
Il giudizio di Baldini è forse troppo
severo e non tiene conto della
situazione contingente in cui l’Opera
era stata concepita. Su I Lombardi in
maniera più articolata scrive il già
citato Iovino:
I Lombardi costituiscono in realtà
un momento di riflessione
necessario a Verdi dopo il
Nabucco. Ne riprendevano alcuni
elementi (compresa l’articolazione
in quattro parti, ognuna con un
titolo La vendetta, L’uomo della
caverna, La conversione, il santo
Sepolcro), consolidandoli, ma
senza alcuna pretesa di
innovazione. Lo stile verdiano
appare teso fra due estremi
contrapposti: un lirismo disteso,
cantabile,di grande forza
persuasiva; e un vitalismo ritmico
aggressivo, accentuato da una
orchestrazione spesso definita (in
maniera, a torto, spregiativa)
bandistica, in realtà perfettamente
rispondente alle esigenze di un
teatro di emozioni collettive e di
Il Tempietto
messaggi oggi poco comprensibili,
ma all’epoca fin troppo chiari.10
In effetti il celebre coro O Signor che
dal tetto natio e il grido dei Lombardi
nell’ultimo atto La Santa terra oggi
nostra sarà suscitavano l’entusiasmo
dei patrioti. L’Opera si prestava
efficacemente ad alludere alla
situazione politica del tempo,
cogliendo nella vicenda dei Lombardi
una volontà di riscatto che ben si
addiceva allo stato d’animo degli
italiani. In tal modo dava voce ad
aspirazioni collettive, fortemente
condivise dall’autore stesso, che aveva
voluto testimoniare con decisione la
sua posizione politica.
La battaglia di Legnano e
I Vespri siciliani
Su invito del Teatro la Fenice di
Venezia, Verdi scrive Ernani da
Hernani di Victor Hugo su libretto di
Francesco Maria Piave, che iniziò la
sua fruttuosa collaborazione con il
Maestro. Ernani venne accolto
entusiasticamente alla prima del 1844
a Venezia e venne rappresentato con
successo anche in altre città italiane.
Il soggetto, ambientato in Spagna al
tempo di Carlo I è una storia
romantica d’amore e di morte. Anche
in quest’opera il pubblico vide però
evidenti allusioni patriottiche: i
veneziani cantarono insieme ai coristi
Si ridesti il leon di Castiglia, mentre i
liguri e i piemontesi mutarono a Carlo
Magno sia gloria ed onor in a Carlo
Alberto sia gloria ed onor, suscitando
le ire della censura.
Dopo I due Foscari, Giovanna d’Arco e
163
Alzira, che non riscossero molti
consensi, il successo ritornò con Attila,
su libretto di Solera e di Piave. Il
pubblico anche in questa occasione non
mancò di trovare pretesti per
manifestazioni patriottiche. Alla frase di
Ezio Resti l’Italia a me il pubblico reagì
dicendo Resti l’Italia a noi!
Con il Macbeth Verdi incominciò ad
interessarsi di Shakespeare, autore con
il quale il musicista aveva affinità per
la sua forte tempra morale e per
l’attenzione agli aspetti reconditi e
spesso oscuri dell’animo umano. La
prima rappresentazione del Macbeth su
libretto del Piave avvenne al Teatro
della Pergola a Firenze (dell’Opera c’è
una seconda versione del 1865 a Parigi
per il Théatre Lyrique nel 1845).
L’Opera non aveva soggetto politico,
ma diede ugualmente modo ai patrioti
di manifestare. Alla frase La patria
tradita piangendo ci invita - fatelli gli
oppressi - corriamo a salvar vi fu un
coro di grida di consensi da parte del
pubblico.
Dopo I masnadieri e il Corsaro (libretto
di Piave su un poemetto di Bayron)
Verdi riprese l’argomento patriottico
con La battaglia di Legnano (libretto
di Camarrano dalla tragedia La
bataille de Toulouse di Joseph Méry).
L’opera è ambientata a Milano nel
1176, ove i soldati della Lega
lombarda difendono la città dal
Barbarossa e a Como, ove i cittadini
dichiarano guerra al Barbarossa. Al
motivo politico si intreccia il motivo
lirico di un amore romantico
contrastato, che ha come protagonista
Lida, che ritrova il suo ex -amante
Arrigo e viene accusata ingiustamente
164
Il Tempietto
dal marito Rolando di tradimento. Alla
sua morte Arrigo, che aveva fatto
cadere il Barbarossa, rivela a Rolando
l’innocenza di lei.
L’Opera fu rappresentata a Roma il 27
gennaio 1849 nel periodo della
Repubblica Romana e quindi non subì
immediatamente l’intervento della
censura, ma per poterla mettere in
scena anche in altre parti d’Italia, il
titolo fu cambiato in La battaglia di
Arlem, l’azione trasferita nelle Fiandre
e Federico Barbarossa tramutato in
duca d’Alba.
Si racconta che alla prima di Roma, gli
uomini portavano la coccarda tricolore
sul petto e le donne avevano adornato i
palchi di sciarpe e nastri tricolore.
Applaudendo i diversi pezzi il
pubblico gridava Viva Verdi e viva
l’Italia. Il coro iniziale Viva l’Italia un
sacro patto era entusiasticamente
ripetuto da tutti. Il IV atto fu bissato.
La battaglia di Legnano è una vera e
propria innodia patriottica, in cui sono
prevalenti le scene politiche (il
giuramento, l’arrivo del Barbarossa, la
morte di Arrigo), scritta in occasione
dell’insurrezione popolare a cui Verdi
avvertiva di dovere di partecipare in
maniera incontrastabile,
Un’espressione della sua figura di
compositore civile, che fa forza alla
sua stessa ispirazione, chiamata ormai
verso nuove vie.
Dopo la sconfitta e il clima di sfiducia
che andava diffondendosi Verdi infatti
si risolse a dedicarsi alla sua vena di
romanzo lirico. Già ai tempi di Ernani
aveva dimostrato di prediligere il
taglio donizettiano in cui i personaggi
non sono più assorbiti nella massa
corale, ma approfonditi nella loro
individualità, sia pure con un respiro
di universalità derivato dall’esperienza
corale dei primi drammi.
In questa direzione alla Luisa Miller
del 1849, su libretto da Schiller del
Camarrano, fece seguito la Trilogia
popolare del Rigoletto, Trovatore e
Traviata, tre assoluti capolavori nei
quali si dispiega il genio ormai maturo
del grande Maestro, capace di
coniugare l’opera popolare con
l’intimismo lirico più profondo e
complesso.
All’argomento politico Verdi ritorna
con I Vespri siciliani del 1855 su
libretto di Eugène Scribe, eseguiti a
Parigi per l’ Operà. Il Maestro
bussetano era ormai considerato un
compositore di fama europea ed il
Governo imperiale lo aveva incaricato
di un’Opera con la quale inaugurare
l’Esposizione Universale. Egli accettò
l’invito con questo melodramma
patriottico, anche per allargare il
confronto con il melodramma francese
e con Meyerbeer, che raccoglieva
grandi successi a causa delle sue
opere fastose di ambientazione storica.
Sembra che l’allestimento dello
spettacolo sia stato particolarmente
faticoso anche per la defezione della
prima cantante, che solo all’ultimo si
risolse di rientrare in scena. L’azione
si svolge a Palermo dove sta per
accadere la rivoluzione contro i soldati
francesi. Anche in questo melodramma
ci sono due innamorati contrastati
Hélène e Henry (che si scoprirà figlio
del governatore francese Monfort).
Hélène, fatta prigioniera con altri
congiurati, e liberata da Hènry, viene
Il Tempietto
accusata dal padre Procida di aver
tradito la causa patriottica. Le nozze
tra i due giovani termineranno con
l’avvento della Rivoluzione dei
siciliani contro Monfort e i francesi. Lo
svolgimento dei fatti è intervallato da
ballabili secondo il gusto del grandopèra, che a Parigi riscuoteva grandi
successi.
Bellissima la sinfonia di stampo
beethoveniano che ben esprime i
sentimenti verdiani di libertà e di
giustizia. Di questa mirabile pagina ,
Baldini, piuttosto critico sul resto
dell’Opera, così scrive:
Anzitutto la sinfonia, certo la più
bella di Verdi - d’un generoso
sapore beethoveniano - è la sola
pagina di tutta l’opera che tenga
fede non dirò tanto al titolo
quanto allo spirito del titolo, che
offre bensì l’immagine di una
rivoluzione vittoriosa, ma anche
del suo spirito di giustizia, del
calore degli umani affetti che
quella intendeva ristabilire.11
Per ragioni di censura in Italia l’Opera
fu rappresentata con il titolo Giovanna
di Guzman, Giovanna di Braganza,
Giovanni di Sicilia.
Dopo i Vespri Verdi non scrisse più
melodrammi specificamente di
argomento patriottico, ma la sua fama
fu sempre associata al suo ruolo di
musicista della vicenda del
Risorgimento. Ai Vespri fece seguito il
Simon Boccanegra, dramma
ambientato a Genova e connesso al
tema della ragion di stato, che fu
accolto dal pubblico piuttosto
165
freddamente, ma l’entusiasmo delle
platee si riaccese in occasione della
rappresentazione di Un ballo in
maschera, avvenuta a Roma nel 1859,
nel corso della quale si ripeterono le
manifestazioni patriottiche.
L’Opera inizialmente era stata
composta per il Teatro San Carlo di
Napoli, ma Verdi si rifiutò di
rappresentarla in quella città non
volendo piegarsi ai divieti della
censura ,che richiedeva di modificarne
la collocazione geografica e storica,
non accettando l’assassinio di un re
che il libretto prevedeva. Alla fine il
musicista si adattò alle richieste della
censura romana, che si limitava a
spostare l’azione negli Stati Uniti, fuori
Europa e l’Opera andò in scena al
Teatro Apollo con grande successo .
Nel teatro echeggiava il grido Viva
Verdi, con evidente allusione politica a
Vittorio Emanuele Re d’Italia.
A Un ballo in maschera seguì tutta una
serie di capolavori: La forza del
destino, Don Carlos, Aida, Otello,
Falstaff (queste due ultime opere
composte su libretto di Arrigo Boito),
in cui si dispiega l’ inesauribile
genialità creativa del Maestro nel
coglimento della verità umana nelle
diverse situazioni particolari e
collettive insieme. I 26 drammi
verdiani (26 senza contare i
rifacimenti delle prime versioni)
ispirati per la maggior parte a vicende
storiche e, in minor numero, a vicende
contemporanee (Luisa Miller, Stiffelio,
La traviata) e al teatro shakespeariano
(Machbet, Otello, Falstaff)
costituiscono un grande lascito
musicale.
166
Il Tempietto
L’impegno di Verdi di onorare l’opera
italiana ha prodotto frutti di grande
bellezza, che hanno arricchito il nostro
patrimonio culturale e contribuito alla
definizione della nostra identità
culturale. Il suo teatro è diventato
simbolo di italianità nel mondo, a lui
dobbiamo sempre guardare se
vogliamo ancora ritrovarci in un’unica
nazione.
Note
1. Franco Abbiati Storia della Musica,
Garzanti Milano 1957, vol. IV; A. Della
Corte G.M. Gatti, Dizionario di musica,
Paravia, Torino 1956
2. Roberto Iovino - Giorgio De Martino,
All’Opera, I Da Rossini a Verdi, Fratelli
Frilli Editori, Genova, 2008, p. 124
3. F. Abbiati, cit., p 156.
4. Massimo Mila, Breve storia della musica,
Einaudi, Torino 1964, p. 269
5. Ivi, pp. 269-70
6. Ivi, p.77
7. Emilio Radius, Verdi vivo, Bompiani,
Milano 1951, p. 82
8. Ivi, p. 78
9. Gabriele Baldini, Abitare la battaglia. La
storia di Giuseppe Verdi, Garzanti, 2001,
p. 70
10. R. Iovino, cit., pp. 126-127
11. Baldini, cit. p. 263
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