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LA MOSTRA
COSTUME & SOCIETA’
venerdì 2 novembre 2012
MONICA PALUMBO ESPONE FOULARD, GIOIELLI E DIPINTI NELLA CASA ATELIER DI VIA CHIAIA
È gioioso il mondo possibile di Maclis
di Carmen Di Peso
ulcanica e poliedrica, l’artista
napoletana Monica Palumbo,
con il garbo e la simpatia di un’abile padrona di casa, ha festeggiato
l’apertura di un nuovo spazio espositivo, da lei ideato e allestito nel salotto buono di Chiaia. La tre giorni di
vernissage si è rivelata un’interessante occasione per conoscere la ricerca portata avanti dalla pittrice
napoletana e, al tempo stesso, per
visitare il raffinato open space, concepito mixando, in un’cattivante formula, l’antica vocazione dell’atelier
– il luogo della prima epifania dell’opera, che si mostra, nel suo farsi,
all’autore e alla cerchia degli amici
– agli odierni criteri dello showroom, preposto anche a vetrina di giovani talenti.
In mostra una ventina di lavori, che
testimoniano il vissuto intimo di
“Maclis” - lo pseudonimo prestato
dall’artista al neonato laboratorio in un estroso gioco di materiali e forme prelevati e acquisiti dalla realtà
circostante. Dalle tele ai foulard in
seta, passando per la gioielleria rigorosamente eseguita a mano, tutto parla di lei allo spettatore, compagno di viaggio alla scoperta di un
mondo possibile da costruire insieme. Tra sogno e realtà, con un vivace espressionismo ricco di colori e di
luce, Monica Palumbo investiga il
delicato tema dell’infanzia, ponendo
al centro bisogni e diritti troppo
spesso trascurati e negati. Nella rappresentazione di sistema valoriale
da rifondare a partire dalla famiglia,
il fluire ininterrotto della memoria,
rimanda a un ancestrale rapporto
con la natura, quest’ultima sottrat-
V
”Lʼimportante è restare bambini” di Maclis
ta al trascorrere del tempo. Con
un’intensità a tratti malinconica, ma
sempre leggera, l’atmosfera fiabesca è la modalità cui l’artista ricorre per indurre un’attenta riflessione
su problemi di scottante attualità.
Ne abbiamo parlato con Monica Palumbo, in occasione del vernissage.
Qual è il senso della tua operazione artistica?
«Si tratta di un laboratorio in cui potrò esporre le creazioni da me realizzate. Ciò sulla base della licenza
assegnatami, ma è chiaro che, nel
tempo, ci organizzeremo per allestire mostre con altri artisti. Un punto
di incontro o, come qualcuno l’ha
definita, cogliendo in pieno il senso
dell’iniziativa, una casa d’arte: un
posto dove non si abbia quel timo-
LA RASSEGNA A BAGNOLI IRPINO
Monica Palumbo, in arte Maclis
re reverenziale che spesso prende
quando si entra in una galleria».
Quando è iniziato il tuo percorso di ricerca?
«Ho cominciato a dipingere da ragazza, del tutto autodidatta, ma poi
la vita mi ha portato a intraprendere una strada diametralmente opposta a quella dell’arte. Con una laurea in economia del commercio internazionale e mercati valutari sono
procuratrice di una banca e lavoro
nell’azienda di famiglia, pertanto
fondamentalmente mi occupo di altro. Tutto è cominciato per caso, come un hobby che poi ha preso una
piega diversa quando i miei quadri
hanno ottenuto un certo riscontro
da parte del pubblico. Ho presentato la prima personale nel 2010, la se-
LA BRICIOLA
conda nel 2011 con un bel successo di vendite. All’inizio è stato traumatico metabolizzare il distacco dalle opere, per me che sono gelosa negli affetti, pur essendo una gran generosa».
Nelle tue tele si coglie una spiccata sensibilità verso i temi di
carattere sociale, soprattutto
un’attenzione al mondo dell’infanzia.
«Sì, in realtà è ciò che vivo, essendo madre di due bambine, e forse
c’è anche la volontà di recuperare
una parte di me, lasciando affiorare
i ricordi di quell’età, con tutto l’armamentario di pensieri e di desideri. Inoltre, a mio avviso, il mondo dell’infanzia va assolutamente tutelato. In particolare, uno dei dipinti in
mostra, dal titolo “Il diritto dei bambini” esprime questa mia forte esigenza nell’immagine di una bambina che emerge da uno sfondo di atti giudiziari e, al di là delle diatribe
tra genitori, manifesta il suo diritto
a esistere e a vedere riconosciuti i
suoi bisogni più profondi. Ride ma,
al tempo stesso, le scendono due lacrime, a testimonianza della sofferenza che vivono i bambini nei casi
di separazione dei genitori».
Nell’ambito della tua produzione, all’andamento fiabesco che
orienta molti dei dipinti, si alterna un diverso indirizzo.
«Sì, c’è una linea parallela che racconta, da un punto di vista introspettivo, i percorsi della mia esistenza. Nell’opera “Lotta di soprav-
vivenza” è raffigurata una torre con
all’interno un’immagine di me stessa, che si arrampica per raggiungere gli obiettivi di una vita tranquilla.
“Il Giudizio”, invece, è una riflessione sul senso della vita, nel tentativo
di individuare il discrimine tra il bene e il male».
In qualche opera c’è traccia del
sodalizio artistico con Salvatore Emblema.
«Particolarmente in “Fiori Vesuviani”, che vuole essere un omaggio
dedicatogli a tre anni dalla scomparsa. Inoltre continuo a collaborare con l’opificio Emblema, attualmente condotto dai figli, che non
hanno seguito le orme del padre nella pittura, ma hanno scelto l’artigianato. Con loro sto portando avanti
questo progetto di “Maclis” che è il
marchio con cui firmo la collezione
di minisculture, realizzate a mano
con vernici atossiche. Sono pezzi
unici in ottone, in argento e, su commissione, è possibile eseguire un
bagno in oro, inseriti in una serie limitata, che potremmo riprodurre in
varie nuance. Il made in Italy contraddistingue anche la mia collezione di parei e foulard fatti realizzare
negli storici setifici di Como. Nel segno di un artigianato di qualità, mi
rivolgo a tutti coloro che sanno apprezzare l’originalità del fare artistico».
Prossimi progetti in cantiere?
«Mi è stato proposto di presentare
una personale al Palazzo delle Belle
Arti di Roma. Un art director, che si
occupa prevalentemente di fotografia, mi ritrarrà in degli scatti che
si alterneranno, nel percorso espositivo, ai miei quadri. Ma c’è ancora molto altro che bolle in pentola».
UN SITO PER IL TURISTA ESIGENTE
Caterina Pontrandolfo,
intensa “Maria nera”
L’enciclopedia della creatività partenopea
U
di Rosario Ruggiero
n evento eccezionale come “Maria nera, mitografia cantata
intorno alla Madonna Nera di Viggiano” è andato in scena a
Bagnoli Irpino, presso il complesso monumentale di San Domenico,
nell’ambito della II edizione della rassegna ”Acqua sonante 2012”.
Nel lavoro prodotto dalla “Nuova Atlantide teatro” si rivela tutta la
versatilità di Caterina Pontrandolfo; dall’impegno sociale alla
ricerca, dalla stesura alla regia, alle scelte musicali,s ino alla
rappresentazione che la vede, unica interprete, recitare e cantare,
con il supporto di tre superbi musicisti come Giuliana de Donno
(arpicella),Elisa Fighera (lira,tamorra), Mauro Basilio (viella
tamburi). La Pontrandolfo non si presenta certo come un’artista che
affonda in una massiccia consapevolezza, quasi fosse l’inventore di
innumerevoli aporie della ragione; tutt’altro:la sua traiettoria
possiede le stimmate della lucida coerenza nel trattare la
confliggenza della cieca legge del progresso con le esigenze della
vita vera. Il personaggio di ”Maria Nera” è saturo di antinomie
quasi metafisiche. In un robusto romanzo naturalista il tema
ecologico potrebbe esondare, appunto, in un dramma metafisico, per
la tendenza irresistibile degli uomini a resistere allo sforzo
repulsivo della società che lo trattiene e lo inchioda. Ma poi insorge
“il gusto comico popolare”, coadiuvato da godibili raffinatezze
musicali, il che permette di recuperare la categoria dell’ingenuo, per
un teatro dal calore umano. “Maria Nera” èstata rappresentata nel
2010 al teatro CRT di Milano, tra i piu’ importanti enti teatrali
nazionali ed europei per la promozione della ricerca teatrale e
l’attenzione alla nuova drammaturgia.Data l’eccezionalità, il lavoro
è stato segnalato alla I edizione di ”I Teatri del sacro
2009”,debuttando a Lucca nella chiesa di Santa Maria dei servi. agiu
RELIGIONE
U
na nuova iniziativa, nata a Napoli, è oggi visibile nella giungla informatica di Internet. Si tratta
del sito www.arteturismoe.altervista.org creato da Alessandro D’Alessandro e Cecilia Di Maio.
In che consiste?
«L’idea – ci spiega D’Alessandro – è
di riunire in singoli spazi contenitori la produzione di svariati artisti ed
altri intellettuali reperendo ed ordinando il materiale già esistente e,
laddove possibile, aggiungendone
di nuovo, nella maniera via via più
esaustiva possibile, per far sì che
qualsiasi studioso, semplice curioso o ammiratore, possa trovare, con
facilità, oltre alla biografia, tutta riunita, la produzione del personaggio
preferito».
Cos’è attualmente già visibile?
«Opere complete del miglior teatro
musicale come l’“Andrea Chenier”
di Giordano, “Il matrimonio segreto”
di Cimarosa o “Linda di Chamounix”
di Donizetti, leggerne il libretto o già
solo conoscerne la trama, partiture,
anche rare, come l’“Alcina” di Händel o “Radamisto” dello stesso autore che si può anche ascoltare guardandone sullo schermo il pentagramma, una raccolta di filmati dedicati a Carmelo Bene, a breve un
lavoro analogo dedicato a Leo de
Bernardinis, uno dei migliori attori
del nostro teatro,
recentemente
scomparso,
un’interessante
intervista inedita, del 2003, a
Roberto De Simone, ma pure
ricerche antropologiche, pagine dedicate ad
un turismo non
di massa ma per
inesauribili curiosi, letteratura,
arti figurative, fotografia e quanto più. Complessivamente già una
ventina di personaggi, tra pittori,
scultori, cantautori, fotografi o poeti hanno una loro pagina. Particolarmente seguite risultano anche lezioni video di chitarra che abbiamo
inserito. Personalmente non credo
esista già qualcosa del genere».
Il gradimento?
«Nei soli primi due mesi già quasi
tremila visite».
Come si rientra nelle vostre pagine?
«Per nostra autonoma scelta, ma è
possibile anche farne richiesta perché possa essere accolta, ovviamente in maniera gratuita, previa
nostra opportuna decisione».
In ultima analisi, a cosa ambisce tanto lavoro?
«Il mondo di Internet ha offerto in poco tempo un’inimmaginabile espansione alla circolazione di informazioni, che già si vedono organizzate
in forma enciclopedica, ampliando
sicuramente quanto di simile già esiste in formato cartaceo ma mantenendone invariata la modalità sostanzialmente verbale e fotografica.
Con “Arte, turismo e” intendiamo
evolvere anche la forma della raccolta enciclopedica, aggiungendo
documentazione acustica e filmata
per un profilo, del fatto o del personaggio, che, mantenendo l’estrema
facilità di consultazione sia anche di
massima accuratezza».
NEGLI OCCHI DEL FRATE DI PIETRELCINA IL MISTERO DELLO SGUARDO DIVINO
Padre Pio: dono della Chiesa, dono nella Chiesa
di Fra’ Sergio Maria Liguoro
I
suoi devoti e figli spirituali sono
sparsi in tutti i continenti, segno
evidente e straordinario dell’ammirazione e devozione che da sempre
circonda questo nostro santo confratello. Una simpatia e un seguito
che vanno al di là del mondo strettamente religioso e toccano in maniera trasversale tutti gli strati della nostra società. Molti si sono interrogati sulle motivazioni, le cause e i risvolti sociali e religiosi che stanno alla base del “fenomeno” Padre Pio
(nella foto). L’attenzione costante e
crescente che i media riservano a
tutto quanto è legato al nome e alla
sua figura non di rado si sofferma, in
maniera talvolta eccessiva, su aspetti “miracolistici”, straordinari ed ec-
cezionali. Non si può negare che questa specie di spettacolarizzazione rischia di presentare un’immagine superficiale e spesso fuorviante, non solo di Padre Pio, ma della stessa santità cristiana, che viene a perdere la
sua essenziale dimensione di testimonianza e di evangelizzazione, per
ridursi a semplice “bene di consumo”: il fenomeno fa notizia, audience, desta attenzione e curiosità… e
questo basta! Mentre il messaggio,
la profezia, la forza di richiamo e di
“provocazione” evangelica resta nell’ombra, nascosta sotto la pesante
coltre della ricerca spasmodica della straordinarietà, del fuori serie.
Il santo, allora, “forerà” il video, ma
probabilmente non toccherà i cuori
né scuoterà le coscienze.
Nel nostro secolo che ha visto an-
nunciare la morte di Dio e poi assistere allo sterminio di milioni d’innocenti, dove si guarda, senza scomporsi eccessivamente, alle tragedie
di intere popolazioni o alla triste solitudine di un’umanità frenetica, inquieta, annoiata, Padre Pio ha rappresentato e rappresenta il rimando
alla trascendenza, il luogo dell’incontro rigeneratore con Dio, il “rappresentante stampato dell’amore crocifisso di Cristo”, come ha detto Papa Paolo VI. Ringraziamento e lode
al Padre, origine e fonte di ogni santità, perché ha donato alla Chiesa e
all’umanità, mediante la missione
salvifica della Chiesa stessa, un segno, un’ulteriore prova della sua
amorevole attenzione e cura.
Padre Pio stesso in una delle sue straordinarie lettere così scriveva al di-
rettore spirituale, padre Benedetto
da S. Marco in Lamis: «Confesso innanzi tutto che per me è una grande
disgrazia di non saper esprimere e
mettere fuori tutto questo vulcano
sempre acceso che mi brucia e che
Gesù ha immesso in questo cuore
così piccolo. Il tutto si compendia in
questo: sono divorato dall’amore di
Dio e del prossimo. Dio per me è
sempre fisso nella mente e stampato nel cuore. Mai lo perdo di vista…
Per i fratelli poi? Ahimè! Quante volte, per non dire sempre, mi tocca dire a Dio giudice, come Mosè: o perdona a questo popolo o cancellami
dal libro della vita» (Ep. I, lett. 611).
Quando scriveva queste parole Padre Pio aveva trentaquattro anni ed
è rimasto fedele fino alla morte al suo
straordinario programma di vita.
Nel contesto dell’epoca contemporanea, dominata dalla pianificazione,
dalle pretese di voler costruire e gestire “da soli” il nostro presente, dall’esaltazione delle tecnologie più ardite, dall’ebbrezza di intravedere traguardi impensati per l’intelligenza
umana, Dio ci fa dono di un uomo
“infuocato, bruciato, divorato”, di un
figlio di Francesco d’Assisi che accoglie l’esperienza umana e cristiana come una missione alla gratuità,
alla donazione di sé, all’offerta, alla
condivisione della Croce e delle croci, alla compassione: «Che brutta cosa è vivere di cuore! Bisogna morire
in tutti i momenti di una morte che
non fa morire se non per vivere morendo e morendo vivendo» (Ep. I,
lett.611).
Forse è proprio questa “passione” per
l’uomo e per l’uomo ferito, il segreto
del fascino che Padre Pio sprigionava in vita e che non cessa di esercitare: quegli occhi profondi e scintillanti hanno riflesso per più di mezzo
secolo lo sguardo tenero, amorevole
e misericordioso di Dio.
Al di là delle diverse sensibilità e posizioni culturali nei confronti dei “fenomeni dello spirito” l’uomo contemporaneo non può non rimanere
profondamente scosso e fortemente
provocato dall’esperienza umana e
spirituale di Padre Pio.
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È gioioso il mondo possibile di Maclis