14 LA MOSTRA COSTUME & SOCIETA’ venerdì 2 novembre 2012 MONICA PALUMBO ESPONE FOULARD, GIOIELLI E DIPINTI NELLA CASA ATELIER DI VIA CHIAIA È gioioso il mondo possibile di Maclis di Carmen Di Peso ulcanica e poliedrica, l’artista napoletana Monica Palumbo, con il garbo e la simpatia di un’abile padrona di casa, ha festeggiato l’apertura di un nuovo spazio espositivo, da lei ideato e allestito nel salotto buono di Chiaia. La tre giorni di vernissage si è rivelata un’interessante occasione per conoscere la ricerca portata avanti dalla pittrice napoletana e, al tempo stesso, per visitare il raffinato open space, concepito mixando, in un’cattivante formula, l’antica vocazione dell’atelier – il luogo della prima epifania dell’opera, che si mostra, nel suo farsi, all’autore e alla cerchia degli amici – agli odierni criteri dello showroom, preposto anche a vetrina di giovani talenti. In mostra una ventina di lavori, che testimoniano il vissuto intimo di “Maclis” - lo pseudonimo prestato dall’artista al neonato laboratorio in un estroso gioco di materiali e forme prelevati e acquisiti dalla realtà circostante. Dalle tele ai foulard in seta, passando per la gioielleria rigorosamente eseguita a mano, tutto parla di lei allo spettatore, compagno di viaggio alla scoperta di un mondo possibile da costruire insieme. Tra sogno e realtà, con un vivace espressionismo ricco di colori e di luce, Monica Palumbo investiga il delicato tema dell’infanzia, ponendo al centro bisogni e diritti troppo spesso trascurati e negati. Nella rappresentazione di sistema valoriale da rifondare a partire dalla famiglia, il fluire ininterrotto della memoria, rimanda a un ancestrale rapporto con la natura, quest’ultima sottrat- V ”Lʼimportante è restare bambini” di Maclis ta al trascorrere del tempo. Con un’intensità a tratti malinconica, ma sempre leggera, l’atmosfera fiabesca è la modalità cui l’artista ricorre per indurre un’attenta riflessione su problemi di scottante attualità. Ne abbiamo parlato con Monica Palumbo, in occasione del vernissage. Qual è il senso della tua operazione artistica? «Si tratta di un laboratorio in cui potrò esporre le creazioni da me realizzate. Ciò sulla base della licenza assegnatami, ma è chiaro che, nel tempo, ci organizzeremo per allestire mostre con altri artisti. Un punto di incontro o, come qualcuno l’ha definita, cogliendo in pieno il senso dell’iniziativa, una casa d’arte: un posto dove non si abbia quel timo- LA RASSEGNA A BAGNOLI IRPINO Monica Palumbo, in arte Maclis re reverenziale che spesso prende quando si entra in una galleria». Quando è iniziato il tuo percorso di ricerca? «Ho cominciato a dipingere da ragazza, del tutto autodidatta, ma poi la vita mi ha portato a intraprendere una strada diametralmente opposta a quella dell’arte. Con una laurea in economia del commercio internazionale e mercati valutari sono procuratrice di una banca e lavoro nell’azienda di famiglia, pertanto fondamentalmente mi occupo di altro. Tutto è cominciato per caso, come un hobby che poi ha preso una piega diversa quando i miei quadri hanno ottenuto un certo riscontro da parte del pubblico. Ho presentato la prima personale nel 2010, la se- LA BRICIOLA conda nel 2011 con un bel successo di vendite. All’inizio è stato traumatico metabolizzare il distacco dalle opere, per me che sono gelosa negli affetti, pur essendo una gran generosa». Nelle tue tele si coglie una spiccata sensibilità verso i temi di carattere sociale, soprattutto un’attenzione al mondo dell’infanzia. «Sì, in realtà è ciò che vivo, essendo madre di due bambine, e forse c’è anche la volontà di recuperare una parte di me, lasciando affiorare i ricordi di quell’età, con tutto l’armamentario di pensieri e di desideri. Inoltre, a mio avviso, il mondo dell’infanzia va assolutamente tutelato. In particolare, uno dei dipinti in mostra, dal titolo “Il diritto dei bambini” esprime questa mia forte esigenza nell’immagine di una bambina che emerge da uno sfondo di atti giudiziari e, al di là delle diatribe tra genitori, manifesta il suo diritto a esistere e a vedere riconosciuti i suoi bisogni più profondi. Ride ma, al tempo stesso, le scendono due lacrime, a testimonianza della sofferenza che vivono i bambini nei casi di separazione dei genitori». Nell’ambito della tua produzione, all’andamento fiabesco che orienta molti dei dipinti, si alterna un diverso indirizzo. «Sì, c’è una linea parallela che racconta, da un punto di vista introspettivo, i percorsi della mia esistenza. Nell’opera “Lotta di soprav- vivenza” è raffigurata una torre con all’interno un’immagine di me stessa, che si arrampica per raggiungere gli obiettivi di una vita tranquilla. “Il Giudizio”, invece, è una riflessione sul senso della vita, nel tentativo di individuare il discrimine tra il bene e il male». In qualche opera c’è traccia del sodalizio artistico con Salvatore Emblema. «Particolarmente in “Fiori Vesuviani”, che vuole essere un omaggio dedicatogli a tre anni dalla scomparsa. Inoltre continuo a collaborare con l’opificio Emblema, attualmente condotto dai figli, che non hanno seguito le orme del padre nella pittura, ma hanno scelto l’artigianato. Con loro sto portando avanti questo progetto di “Maclis” che è il marchio con cui firmo la collezione di minisculture, realizzate a mano con vernici atossiche. Sono pezzi unici in ottone, in argento e, su commissione, è possibile eseguire un bagno in oro, inseriti in una serie limitata, che potremmo riprodurre in varie nuance. Il made in Italy contraddistingue anche la mia collezione di parei e foulard fatti realizzare negli storici setifici di Como. Nel segno di un artigianato di qualità, mi rivolgo a tutti coloro che sanno apprezzare l’originalità del fare artistico». Prossimi progetti in cantiere? «Mi è stato proposto di presentare una personale al Palazzo delle Belle Arti di Roma. Un art director, che si occupa prevalentemente di fotografia, mi ritrarrà in degli scatti che si alterneranno, nel percorso espositivo, ai miei quadri. Ma c’è ancora molto altro che bolle in pentola». UN SITO PER IL TURISTA ESIGENTE Caterina Pontrandolfo, intensa “Maria nera” L’enciclopedia della creatività partenopea U di Rosario Ruggiero n evento eccezionale come “Maria nera, mitografia cantata intorno alla Madonna Nera di Viggiano” è andato in scena a Bagnoli Irpino, presso il complesso monumentale di San Domenico, nell’ambito della II edizione della rassegna ”Acqua sonante 2012”. Nel lavoro prodotto dalla “Nuova Atlantide teatro” si rivela tutta la versatilità di Caterina Pontrandolfo; dall’impegno sociale alla ricerca, dalla stesura alla regia, alle scelte musicali,s ino alla rappresentazione che la vede, unica interprete, recitare e cantare, con il supporto di tre superbi musicisti come Giuliana de Donno (arpicella),Elisa Fighera (lira,tamorra), Mauro Basilio (viella tamburi). La Pontrandolfo non si presenta certo come un’artista che affonda in una massiccia consapevolezza, quasi fosse l’inventore di innumerevoli aporie della ragione; tutt’altro:la sua traiettoria possiede le stimmate della lucida coerenza nel trattare la confliggenza della cieca legge del progresso con le esigenze della vita vera. Il personaggio di ”Maria Nera” è saturo di antinomie quasi metafisiche. In un robusto romanzo naturalista il tema ecologico potrebbe esondare, appunto, in un dramma metafisico, per la tendenza irresistibile degli uomini a resistere allo sforzo repulsivo della società che lo trattiene e lo inchioda. Ma poi insorge “il gusto comico popolare”, coadiuvato da godibili raffinatezze musicali, il che permette di recuperare la categoria dell’ingenuo, per un teatro dal calore umano. “Maria Nera” èstata rappresentata nel 2010 al teatro CRT di Milano, tra i piu’ importanti enti teatrali nazionali ed europei per la promozione della ricerca teatrale e l’attenzione alla nuova drammaturgia.Data l’eccezionalità, il lavoro è stato segnalato alla I edizione di ”I Teatri del sacro 2009”,debuttando a Lucca nella chiesa di Santa Maria dei servi. agiu RELIGIONE U na nuova iniziativa, nata a Napoli, è oggi visibile nella giungla informatica di Internet. Si tratta del sito www.arteturismoe.altervista.org creato da Alessandro D’Alessandro e Cecilia Di Maio. In che consiste? «L’idea – ci spiega D’Alessandro – è di riunire in singoli spazi contenitori la produzione di svariati artisti ed altri intellettuali reperendo ed ordinando il materiale già esistente e, laddove possibile, aggiungendone di nuovo, nella maniera via via più esaustiva possibile, per far sì che qualsiasi studioso, semplice curioso o ammiratore, possa trovare, con facilità, oltre alla biografia, tutta riunita, la produzione del personaggio preferito». Cos’è attualmente già visibile? «Opere complete del miglior teatro musicale come l’“Andrea Chenier” di Giordano, “Il matrimonio segreto” di Cimarosa o “Linda di Chamounix” di Donizetti, leggerne il libretto o già solo conoscerne la trama, partiture, anche rare, come l’“Alcina” di Händel o “Radamisto” dello stesso autore che si può anche ascoltare guardandone sullo schermo il pentagramma, una raccolta di filmati dedicati a Carmelo Bene, a breve un lavoro analogo dedicato a Leo de Bernardinis, uno dei migliori attori del nostro teatro, recentemente scomparso, un’interessante intervista inedita, del 2003, a Roberto De Simone, ma pure ricerche antropologiche, pagine dedicate ad un turismo non di massa ma per inesauribili curiosi, letteratura, arti figurative, fotografia e quanto più. Complessivamente già una ventina di personaggi, tra pittori, scultori, cantautori, fotografi o poeti hanno una loro pagina. Particolarmente seguite risultano anche lezioni video di chitarra che abbiamo inserito. Personalmente non credo esista già qualcosa del genere». Il gradimento? «Nei soli primi due mesi già quasi tremila visite». Come si rientra nelle vostre pagine? «Per nostra autonoma scelta, ma è possibile anche farne richiesta perché possa essere accolta, ovviamente in maniera gratuita, previa nostra opportuna decisione». In ultima analisi, a cosa ambisce tanto lavoro? «Il mondo di Internet ha offerto in poco tempo un’inimmaginabile espansione alla circolazione di informazioni, che già si vedono organizzate in forma enciclopedica, ampliando sicuramente quanto di simile già esiste in formato cartaceo ma mantenendone invariata la modalità sostanzialmente verbale e fotografica. Con “Arte, turismo e” intendiamo evolvere anche la forma della raccolta enciclopedica, aggiungendo documentazione acustica e filmata per un profilo, del fatto o del personaggio, che, mantenendo l’estrema facilità di consultazione sia anche di massima accuratezza». NEGLI OCCHI DEL FRATE DI PIETRELCINA IL MISTERO DELLO SGUARDO DIVINO Padre Pio: dono della Chiesa, dono nella Chiesa di Fra’ Sergio Maria Liguoro I suoi devoti e figli spirituali sono sparsi in tutti i continenti, segno evidente e straordinario dell’ammirazione e devozione che da sempre circonda questo nostro santo confratello. Una simpatia e un seguito che vanno al di là del mondo strettamente religioso e toccano in maniera trasversale tutti gli strati della nostra società. Molti si sono interrogati sulle motivazioni, le cause e i risvolti sociali e religiosi che stanno alla base del “fenomeno” Padre Pio (nella foto). L’attenzione costante e crescente che i media riservano a tutto quanto è legato al nome e alla sua figura non di rado si sofferma, in maniera talvolta eccessiva, su aspetti “miracolistici”, straordinari ed ec- cezionali. Non si può negare che questa specie di spettacolarizzazione rischia di presentare un’immagine superficiale e spesso fuorviante, non solo di Padre Pio, ma della stessa santità cristiana, che viene a perdere la sua essenziale dimensione di testimonianza e di evangelizzazione, per ridursi a semplice “bene di consumo”: il fenomeno fa notizia, audience, desta attenzione e curiosità… e questo basta! Mentre il messaggio, la profezia, la forza di richiamo e di “provocazione” evangelica resta nell’ombra, nascosta sotto la pesante coltre della ricerca spasmodica della straordinarietà, del fuori serie. Il santo, allora, “forerà” il video, ma probabilmente non toccherà i cuori né scuoterà le coscienze. Nel nostro secolo che ha visto an- nunciare la morte di Dio e poi assistere allo sterminio di milioni d’innocenti, dove si guarda, senza scomporsi eccessivamente, alle tragedie di intere popolazioni o alla triste solitudine di un’umanità frenetica, inquieta, annoiata, Padre Pio ha rappresentato e rappresenta il rimando alla trascendenza, il luogo dell’incontro rigeneratore con Dio, il “rappresentante stampato dell’amore crocifisso di Cristo”, come ha detto Papa Paolo VI. Ringraziamento e lode al Padre, origine e fonte di ogni santità, perché ha donato alla Chiesa e all’umanità, mediante la missione salvifica della Chiesa stessa, un segno, un’ulteriore prova della sua amorevole attenzione e cura. Padre Pio stesso in una delle sue straordinarie lettere così scriveva al di- rettore spirituale, padre Benedetto da S. Marco in Lamis: «Confesso innanzi tutto che per me è una grande disgrazia di non saper esprimere e mettere fuori tutto questo vulcano sempre acceso che mi brucia e che Gesù ha immesso in questo cuore così piccolo. Il tutto si compendia in questo: sono divorato dall’amore di Dio e del prossimo. Dio per me è sempre fisso nella mente e stampato nel cuore. Mai lo perdo di vista… Per i fratelli poi? Ahimè! Quante volte, per non dire sempre, mi tocca dire a Dio giudice, come Mosè: o perdona a questo popolo o cancellami dal libro della vita» (Ep. I, lett. 611). Quando scriveva queste parole Padre Pio aveva trentaquattro anni ed è rimasto fedele fino alla morte al suo straordinario programma di vita. Nel contesto dell’epoca contemporanea, dominata dalla pianificazione, dalle pretese di voler costruire e gestire “da soli” il nostro presente, dall’esaltazione delle tecnologie più ardite, dall’ebbrezza di intravedere traguardi impensati per l’intelligenza umana, Dio ci fa dono di un uomo “infuocato, bruciato, divorato”, di un figlio di Francesco d’Assisi che accoglie l’esperienza umana e cristiana come una missione alla gratuità, alla donazione di sé, all’offerta, alla condivisione della Croce e delle croci, alla compassione: «Che brutta cosa è vivere di cuore! Bisogna morire in tutti i momenti di una morte che non fa morire se non per vivere morendo e morendo vivendo» (Ep. I, lett.611). Forse è proprio questa “passione” per l’uomo e per l’uomo ferito, il segreto del fascino che Padre Pio sprigionava in vita e che non cessa di esercitare: quegli occhi profondi e scintillanti hanno riflesso per più di mezzo secolo lo sguardo tenero, amorevole e misericordioso di Dio. Al di là delle diverse sensibilità e posizioni culturali nei confronti dei “fenomeni dello spirito” l’uomo contemporaneo non può non rimanere profondamente scosso e fortemente provocato dall’esperienza umana e spirituale di Padre Pio.