anno XLII - n. 5 - settembre-ottobre 2009
Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza
Ci benedica il Signore
tutti i giorni
della nostra vita.
(Salmo 127)
L I B E RTÀ N E L LA R E S P O N SA B I L ITÀ
Ci siamo lasciati alle spalle, da qualche settimana un’estate torrida, ricca di incognite per quanto riguarda il lavoro e l’economia. Molti di noi sono fortunatamente ancora riusciti a ritagliarsi alcuni giorni
di ferie, per staccare la spina, come si dice, e riprendere le attività ordinarie con maggiore vigore. Eppure in questa calda estate è accaduta una cosa, passata un po’ sotto silenzio dalla stampa laicista, estremamente grave: l’autorizzazione da parte dell’agenzia italiana del farmaco, ad immettere sul mercato la pillola abortiva Ru486. Questa notizia ha destato scalpore quasi esclusivamente negli ambienti cattolici
di stretta osservanza. Il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco
ha dichiarato: « penso che questa decisione rappresenti una discesa di
civiltà per il nostro Paese ». Questo medicinale infatti è il primo caso
di farmaco contro la vita di cui ne viene autorizzata la diffusione. Il
problema della pillola Ru486 rientra, come noto, nel più vasto campo
della normativa sull’aborto, e come cattolici, la nostra posizione è
chiara e immodificabile. Tuttavia l’aspetto più penoso di questa vicenda, mi è sembrata la reazione di soddisfazione, quasi di sfida, che
molte giovani ragazze hanno espresso sull’argomento. È sembrato
quasi di tornare indietro agli anni Settanta ai tempi del movimento
femminista, con slogan che inneggiavano alla conquistata di libertà.
Ma di quale libertà stiamo parlando?
Non voglio addentrami in questioni legate all’etica morale, non
ne ho le capacità. Mi limito solo a sottolineare che la vita rappresenta
un diritto indisponibile e l’unico gesto di libertà responsabile che ci è
dato dal libero arbitrio, è la scelta di donare la vita, mai di toglierla.
Allora il problema è quello di acquisire una maggiore responsabilità
nei confronti della vita, non sentirsi liberi, in virtù di una legge che lo
consente, di poter praticare atti che ne sopprimono la sua essenza.
Quando ragazzi giovani che si affacciano alla vita, con tanta baldanza,
si rallegrano per queste presunte conquiste di civiltà, bisogna cominciare a preoccuparsi. Quale educazione stiamo dando ai nostri figli?
Credere che tutto sia lecito in nome del presupposto che si vive una
volta sola, ci fa rapidamente scivolare verso forme di nichilismo e di
edonismo che tendono a vedere l’uomo completamente staccato da
Dio. Va invece recuperata una nuova forma di responsabilità, in grado di farci comprendere come qualsiasi scelta che noi mettiamo in atto ha una ricaduta sulla società di cui siamo sostanza. Ed è proprio in
nome di questa responsabilità, che va rivolta nei confronti di tutta l’umanità, presente e da venire, che dobbiamo prendere consapevolezza
del fatto che non sempre ciò che è legale è anche morale.
Non mi sembra questa una posizione vetero cattolica, ma un semplice atto di buon senso verso cui, se non sono più in grado di farlo le
nostre famiglie, è chiamata ad intervenire la Chiesa cattolica con nuove forme educative, tese a valorizzare la libertà quale scelta innanzitutto di responsabilità.
Federico M. Fiorin
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SANTUARIO
DI PANISACCO
S. MARIA
La carità nella verità
L’ultima enciclica di Papa Benedetto XVI resa pubblica il
29 giugno, solennità dei SS. Pietro e Paolo rappresenta un
avvenimento ecclesiale importante. Dopo averla letta, nella
parte conclusiva ho trovato di molto aiuto queste riflessioni.
Dice il Papa: Senza Dio l’uomo non sa dove andare e
non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia. Di fronte
agli enormi problemi dello sviluppo dei popoli che quasi ci
spingono allo sconforto e alla resa, ci viene in aiuto la parola del Signore Gesù Cristo che ci fa consapevoli: « Senza di
me non potete far nulla » (Giov 15,5) e c’incoraggia: « Io
sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo » (Mt
28,20). Di fronte alla vastità del lavoro da compiere, siamo
sostenuti dalla fede nella presenza di Dio accanto a coloro
che si uniscono nel suo nome e lavorano per la giustizia.
Paolo VI ci ha ricordato nella “Populorum progressio”
che l’uomo non è in grado di gestire da solo il proprio progresso, perché non può fondare da sé un vero umanesimo.
Solo se pensiamo di essere chiamati in quanto singoli e in
quanto comunità a far parte della famiglia di Dio come suoi
figli, saremo anche capaci di produrre un nuovo pensiero e
di esprimere nuove energie a servizio di un vero umanesimo
integrale.
La maggior forza a servizio dello sviluppo è quindi un
umanesimo cristiano, che ravvivi la carità e si faccia guidare dalla verità, accogliendo l’una e l’altra come dono permanente di Dio.
La disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso i
fratelli e verso una vita intensa come compito solidale e
gioioso.
Al contrario, la chiusura ideologica a Dio e l’ateismo
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dell’indifferenza che dimenticano il Creatore e rischiano
di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra
i maggiori ostacoli allo sviluppo. L’umanesimo che esclude
Dio è un umanesimo disumano.
Solo un umanesimo aperto all’Assoluto può guidarci alla
promozione e realizzazione di forme di vita sociale e civile,
salvaguardandoci dal rischio di cadere prigionieri delle mode del momento.
È la consapevolezza dell’Amore indistruttibile di Dio
che ci sostiene nel faticoso ed esaltante impegno per la
giustizia e per lo sviluppo dei popoli.
L’amore di Dio ci chiama ad uscire da ciò che è limitato
e non definitivo, ci da il coraggio di operare e di proseguire
nella ricerca del bene di tutti, anche se non si realizza immediatamente ed è sempre meno di ciò a cui aneliamo.
Dio ci da la forza di lottare di soffrire per amore del bene
comune, perché Egli è il nostro Tutto, la nostra speranza più
grande.
L’Enciclica termina dicendo che la Vergine Maria, proclamata da Paolo VI Madre della Chiesa ci protegga e ci ottenga la forza, la speranza e la gioia necessarie per continuare a dedicarci con generosità all’impegno di realizzare
lo”sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini”.
Don Livio, parroco
e gli Amici di S. Maria
Antico
Testamento
p. Flavio Toniolo C.P.
I SA I A , I L PR O FETA
D E L L ’“E M M A N U E L E”
È certamente il più grande di tutti i profeti scrittori dell’Antico
Testamento.
Prima di tutto per l’ampiezza dei suoi oracoli, raccolti in un libro
di 66 capitoli (non tutti suoi, ma a lui riferiti anche da altri autori
per la sua importanza).
In secondo luogo, per il fortissimo messaggio religioso che trasmette ai suoi contemporanei e anche a noi. La sua idea di Dio ha
qualche cosa di trionfale, come pure di terrificante: Dio è il santo,
il forte, il potente, il re. L’uomo è un essere contaminato dal peccato, per il quale Dio domanda riparazione. Dio esige la giustizia nelle relazioni sociali e la sincerità nel culto a Lui reso.
Vuole che si sia fedeli. Isaia è il profeta della fede, e chiede che in
ogni crisi si confidi in Dio solo: è l’unica possibilità di salvezza.
Nella prova severa sarà risparmiato un “resto”, di cui il Messia sarà
re. Isaia è il più grande dei profeti messianici. Basti ricordare gli oracoli sull’Emmanuele (= Dio con noi) che nascerà dalla stirpe di Davide e farà regnare la giustizia e la pace su tutta la terra (Is 7, 10-17;
9, 1-11; 11, 1-9). Gesù stesso si riferirà ad un testo di Isaia (Lc 4, 1619. Cf Is 61, 1-2).
In terzo luogo, Isaia è grande per una eccezionale raffinatezza
letteraria. È stato definito il “Dante della letteratura ebraica” (L.
Alonso Schoekel).
La sua missione profetica
Orario Ss. Messe
Domenica ore 15.30
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Mercoledí ore 7
Della vita di Isaia, come degli altri profeti, sappiamo ben poco.
Il loro messaggio è l’opera più importante che hanno fatto.
Isaia nacque probabilmente nel 765 a Gerusalemme, in ambiente colto e aristocratico. Era un personaggio di alto prestigio e fre-
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quentava comunemente la corte. Quando nel 740 morì il re Ozia
(Azaria), ebbe nel tempio la celebre visione che lo chiamò al servizio profetico. Lui rispose con prontezza ed entusiasmo (Is 6,8). La
sua missione sarà ardua e scoraggiante (Is 6,9-10). Il brano non significa che Dio non vuole la conversione degli Ebrei, ma è come
un’anticipazione profetica della durezza e dell’ostinazione del popolo che, di fatto, rifiuterà il messaggio del profeta. Nel 734 Isaia tenta di dissuadere il re Acaz dallo stringere alleanza con l’Assiria contro Damasco e Samaria. Lo consiglia di fare il contrario. È qui che
predice la venuta dell’Emmanuele (Is 7, 10-17).
Poco prima del 701 fa lo stesso con il figlio di Acaz, il pio re Ezechia, sconsigliandolo ad allearsi con l’Egitto contro l’Assiria: non
viene ascoltato e Gerusalemme si salva solo in extremis (Is 36-39).
Dopo il 700 non sappiamo più nulla del profeta che, secondo
una tradizione ebraica, sarebbe stato segato in due sotto il regno di
Manasse (687- 642), figlio degenere di Ezechia.
cia all’incredulo re Acaz un grande segno come garanzia che Dio
aiuterà Israele e non farà cessare la dinastia davidica (Is 7, 13-14).
Il segno, in questo caso, esprime due realtà: la prima è che un figlio nascerà da una vergine (‘almàh = giovane donna, in età da marito); la seconda è che a questo figlio sarà dato un nome piuttosto
ambizioso, “Dio con noi”, che denota un suo rapporto tutto particolare con Dio.
Matteo vedrà realizzata questa profezia nella nascita verginale di
Cristo da Maria (Mt 1, 22-23). Ed ecco perché: anche se immediatamente il profeta allude alla nascita del figlio di Acaz, cioè Ezechia,
che garantirà la continuità della dinastia davidica, in effetti la profezia è molto più vasta: solo con Gesù di Nazaret Dio è diventato
davvero “Dio con noi”, in senso pieno e trascendente, e una vergine,
totalmente vergine, Maria, lo ha generato per la potenza dello Spirito Santo.
Il “libro” delle sue profezie
L’Emmanuele è il grande apportatore di luce e di pace che avvolgerà il mondo alla sua venuta (Is 9,1-5). Una pace che richiama
l’armonia primordiale che regnava nel paradiso terrestre (Is 11,7-8).
E tutto questo sarà possibile perché su di Lui si poserà lo spirito del
Signore (Is 11,1-2).
Tutto, dunque, in questo Emmanuele, viene dall’alto: perciò sarà forte, porterà la pace, « giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese » (Is 11,4).
Il mondo nuovo, che tutti gli uomini sempre sognano e desiderano, non può venire dagli sforzi e dalla buona volontà degli uomini
stessi, ma solo dalla potenza di Dio: solo un Dio-con-noi, Gesù di
Nazaret, può dare speranza di pace e di giustizia al mondo.
Questo è l’intramontabile e attualissimo messaggio di Isaia, che
egli ha attinto dallo Spirito, ma anche dalla sofferta storia del suo
popolo che spesso, davanti alle parole dei profeti, « ha reso insensibile il proprio cuore » (Is 6,10).
Una storia che, purtroppo, rischia di ripetersi all’infinito per tanti altri popoli, i quali perciò non sanno trovare le vie della pace.
Al vero Isaia (primo Isaia o Proto Isaia) sono attribuiti i primi 39
capitoli. I capitoli 40-55 sono riferiti al secondo Isaia e i capitoli 5666 al terzo Isaia.
a) I primi 5 capitoli raccolgono oracoli sul destino di Gerusalemme e del regno di Giuda. Isaia inveisce contro la religione puramente esteriore della maggior parte del popolo (1, 10-17). Appassionato è il canto della vigna (5, 1-7) che esprime tutta la tenerezza di
Dio verso il suo popolo e il preannuncio dell’avvenire luminoso di
Gerusalemme (2, 1-5).
b) I capitoli 7-12 costituiscono il libro dell’Emmanuele, un personaggio totalmente umano ma anche trascendente (11, 1-9). È la parte più intensamente messianica di tutto il libro.
c) I capitoli 13-23 contengono gli oracoli contro le nazioni orgogliose e presuntuose (Babilonia, Assiria, Filistea, Damasco, Moab,
Egitto, Etiopia, ecc. ), semplici strumenti nelle mani di Dio (10, 1314; 14; 16,6). Interessante la satira sul re di Babilonia (14, 12-13).
d) I capitoli 24-27 costituiscono l’apocalisse maggiore di Isaia: si
parla di un lontanissimo futuro. La piccola apocalisse, invece, è nei
capitoli 34-35. Entrambe sono state composte dopo l’esilio (secolo
V a.C. ).
e) I capitoli 36-39 sono come un’appendice storica del libro. Il
profeta esorta a resistere all’assedio, che gli Assiri portano alla città
santa.
« Ecco la vergine partorirà »
Il Messia, “principe della pace”
Puoi trovare “La Voce di Santa Maria”
anche su Internet all’indirizzo:
www.santamariadipanisacco .it
dal quale puoi comunicare con il bollettino.
Sullo sfondo della guerra siro-efraemitica (734) Isaia preannun-
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G I O R N ATA A M MA L AT I 2009
Si è svolta nel pomeriggio di sabato 12 settembre al Santuario di Santa Maria di Panisacco, la tradizionale “Giornata
del malato”, promossa dall’unità pastorale “Santa Maria” che
comprende le parrocchie di Maglio di Sopra, Novale, Campotamaso, San Quirico e Fongara.
La giornata, semplice nel suo svolgimento, è stata una occasione rivolta ai malati per vivere assieme un momento di
riflessione e preghiera, ma anche per trascorrere un pomeriggio in amicizia e nel segno della gioia. Numerosi, come
sempre i malati che hanno voluto prendere parte alla giornata, e che sono stati aiutati ad affrontare i 235 gradini che si
elevano verso il colle di Panisacco dai volontari dell’unità
pastorale. Particolarmente apprezzata quest’anno del gruppo
scout di Novale, Gruppo Messa insieme e gli amici alpini,
che sono uniti ai ragazzi del posto in questa opera di apostolato a favore degli ammalati.
Al santuario è stata concelebrata la messa, officiata da
Don Livio Dinello e da don Lino Sette, che hanno ricordato
come anche la malattia debba essere accolta come una prova
dell’amore di Dio verso i suoi figli, perché la sofferenza avvicina l’uomo a Dio.
Al termine della celebrazione agli ammalati è stata data
la possibilità di ricevere il sacramento degli infermi. Concluso il momento religioso, la giornata è stata poi allietata
dal rinfresco offerto a tutti i presenti. La Giornata del Malato, è diventato uno degli appuntamenti piú attesi del Santuario di Panisacco. Una occasione per far sentire i malati
come una componente importante della comunità, punto di
riferimento e di riflessione che aiuta a comprendere che anche attraverso la sofferenza si possono ricevere i doni dello
Spirito che avvicinano l’uomo e le sue debolezze alla grazia
di Dio.
Ruggero Dal Pezzo
Segnaliamo il bel libretto “CON MARIA – il Rosario settimanale” di Mons. LUIGI B RESSAN arcivescovo di Trento, una
bella guida illustrata con 35 immagini d’arte del Trentino
(pubblicato da Vita Trentina Editrice a cui può essere richiesto con il costo di e 6) per il Rosario, la bella preghiera che
accompagna le giornate di tanti credenti. In queste pagine –
insieme ai misteri tradizionali – è proposta un’integrazione
che finisce per dare a ogni giorno della settimana una particolare attenzione biblica e, quindi, spirituale (RDP).
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Il futuro che ci attende
La fine della crisi, il successore di Berlusconi? Il postmoderno? Lo scontro
delle civiltà e la fine di quella occidentale. . .?
C’è un domani-domani e un domani un po’ più lontano (i prossimi anni, decenni, gli anni della vecchiaia, ammesso che ci arriviamo. . . ). Poi ci sarebbe un
futuro che non è né lontano né vicino, un futuro che può essere fra cinquant’anni o oggi stesso: il vero futuro che ci attende tutti ed è il “futuro dopo”.
Ragioniamoci un po’ su.
Quelli di una certa età, quando erano bambini, hanno imparato dal catechismo che i buoni vanno in paradiso e i cattivi all’inferno. Che poi fosse facile andare in paradiso di certo no, visto che con un solo peccato “mortale” (un atto
contro la purezza, saltare la messa per pigrizia la domenica. . . ) e non confessato si andava dritti dritti all’inferno per tutta l’eternità.
Ora, parrebbe, e ne siamo tutti contenti, che i “buoni” vadano in paradiso e
che per i “cattivi”, insomma, soprattutto per la grazia misericordia di Dio, un
posto lì ci sia pure per loro , visto che dell’inferno, come hanno notato molti
teologi, non se ne parla più. Dell’Inferno vuoto ha discusso a suo tempo il grande teologo Von Balthasar, ma in un senso che è stato un po’ troppo comodamente frainteso.
Il problema è che adesso non è che si parli poi molto neppure del Paradiso.
Perché?
Osservo: ho trovato persone che con piena convinzione si dichiarano cristiane, e pure praticanti, ma che, interrogate sulla vita dopo la morte, dichiarano
che tutto finisce qui, su questa terra. Sembra che questa convinzione sia abbastanza diffusa, come annotano gli studiosi della pratica religiosa. Essi affermano
che, tra i cristiani, la convinzione di una vita dopo la morte in una certa percentuale non è posseduta.
Da questa osservazione traggo qualche personale domanda. Non mi pare
che questo sia inspiegabile. Siamo dentro questo mondo, di questo mondo facciamo esperienza e sappiamo che la nostra vita è collocata nel tempo e nello
spazio, essa è una successione limitata di azioni che vanno da un prima a un dopo: da bambini si diventa adolescenti, giovani, uomini, anziani, si fanno progetti, quando si raggiungono se ne fanno altri. . .
Noi non siamo assolutamente capaci non dico di rappresentarci, ma anche
di immaginare una vita dopo la morte, cioè qualcosa di assolutamente diverso.
Noi vorremmo vivere il più a lungo possibile, ma se ci dicessero che vivremo in
eterno ci verrebbero le vertigini. Non si è stati alle Maldive? Nessun problema,
con un bel DVD ce le rappresentiamo e magari decidiamo che vale la pensa rinunciare a tante cose per andarci. Nessun media ci mostra questa vita eterna,
nessuno ci racconta l’esperienza personale di una vita dopo! Quella che una volta si definiva “Paradiso” come “visione beatifica di Dio” (che sarebbe lo scopo
per cui siamo stati creati ( . . .conoscere Dio, amarlo in questa vita e poi goderlo per
sempre in paradiso) come può suscitare un nostro interesse e desiderio? Non è
meglio, quindi, insistere sull’impegno del cristiano su questa terra?
Fidarsi di Dio e affidarsi al Mistero è forse l’unica cosa che possiamo fare,
ma perché credere e sostenere che dopo c’è il “nulla”? Che, poi, se è difficile immaginarsi il Paradiso, pensate che sia facile immaginare il Nulla? Provate a pensarci.
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Su questa questione mi sono fatto qualche domanda e ricavato delle convinzioni.
Immagino un sentire e una pratica religiosa che si chiudono nell’arco temporale dei miei “brevi” anni, ché anche una vita molto lunga è comunque sempre “breve”. Che religione pratico? Anzitutto una religione senza speranza. Che
senso ha che io preghi, lodi, supplichi, interceda con gesti e pratiche Qualcuno
che io non ho mai incontrato e di cui, al limite, sospetto una “indefinita” esistenza? Non facevano la stessa cosa anche i pagani quando pregavano e facevano sacrifici a dei rappresentati da statue di marmo e d’oro?
La parabola del povero Lazzaro e del ricco Epulone mi intriga alquanto. Al
mondo una minoranza vive nell’opulenza, spesso sulle spalle di miliardi di uomini che vivono nella miseria. Vogliamo pensare che tutto finisca lì: chi ha avuto, ha avuto e chi ha dato ha dato? Che non ci sia qualcuno che alla fine rende
giustizia al misero, che non vengano asciugate le lacrime dell’oppresso?
Che senso avrebbe vivere quando non si è più redditizi ed efficienti? Perché
assistere le persone non più autosufficienti (e soprattutto dedicare ad esse tante
risorse che potrebbero essere impiegate per migliorare la qualità della vita delle
persone sane e produttive)? Non ha forse ragione un famoso direttore d’orchestra inglese che, giunto al punto di non poteva più esercitare la sua arte, assieme
alla moglie si è fatto suicidare nella clinica svizzera Dignitas (un nome, un programma)?
Ma è proprio vero che io non posso “immaginarmi” il paradiso? Immaginarmelo no, sperimentarlo, forse.
Tutti abbiamo avuto i nostri momenti “paradisiaci”, nei quali abbiamo toccato il cielo con un dito!
Ma, forse, il Paradiso posso anche immaginarmelo: e se ai nostri giorni, che
sappiamo bene come girano, togliessimo la paura, che segna comunque in mille forme le nostre giornate: paure reali, che ci creiamo, e quelle che ci mettono
in testa, e, soprattutto, in fondo in fondo della morte? Se togliessimo tutti i limiti da cui siamo circondati? Se riuscissimo ad essere persone libere, capaci di
vivere in pace, capaci di amare e amarci gioiosamente e disinteressatamente,
scoprendo la ricchezza degli altri, non saremmo già in Paradiso? E quelli che
hanno fatto del male la loro professione di vita, e che manderemmo volentieri
all’inferno, non lo sono già?
Pare che con me (modestamente!) sia d’accordo anche il Nuovo Testamento visto che Giovanni nel capitolo conclusivo della sua Apocalisse si esprime:
Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva
dal trono: « Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi
saranno suo popolo ed egli sarà il « Dio-con-loro ». E tergerà ogni lacrima dai loro
occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di
prima sono passate ». E Colui che sedeva sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose” ( 21,2-5).
Che bello! Però, dopo (Ap. 22, 12-15): Ecco, io verrò presto e porterò con me il
mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere. Io sono l’Alfa e l’Omega, il
Primo e l’Ultimo, il principio e la fine. Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno
parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte nella città. Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna!
Che sia proprio vero che l’Inferno non c’è più? Mah, però è un po’ difficile
ritenersi cristiani e pensare che tutta la nostra vita finisce “qui”, magari non proprio ora, ma di certo fra non molto!
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G I O R NATA M I S S I O NA R I A
M O N D I A L E 2009
« Le nazioni cammineranno alla sua luce »
Il Mese Missionario con la Giornata Missionaria Mondiale,
che celebriamo anche quest’anno, è ancora una volta un richiamo a tutti i cristiani non solo a vivere bene la loro fede cristiana ma ad essere tutti evangelizzatori e così donare al mondo il
dono più bello che abbiamo ricevuto dal Signore dalla nostra
infanzia. Ci dice il Papa nel suo messaggio per la giornata missionaria mondiale di quest’anno: « esorto ciascuno a ravvivare
in sé la consapevolezza del mandato missionario di Cristo di
fare “discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19), sulle orme di san Paolo, l’Apostolo delle Genti ».
Questo dono della fede ricevuto col battesimo e da una educazione cristiana nelle nostre buone famiglie fa una grande differenza tra noi cristiani e coloro che questo dono non l’hanno
mai ricevuto.
Penso a tante persone nel territorio della mia parrocchia in
Sierra Leone che vivono la vita di ogni giorno tra tante difficoltà e la mancanza di tanti mezzi che noi possiamo permetterci e
lottano giorno dopo giorno per la loro sopravvivenza privi di
quei valori e motivazioni religiosi che diano valore e significato
ai tanti sacrifici che devono fare costretti dalla situazione sociale in cui vivono. Direi che spesso accettano tutto questo con
una rassegnazione ammirevole basata su un fatalismo ereditato dai loro genitori e antenati che loro esprimono molte volte
nel loro dialetto locale in Krio “na so i bi” (così è e basta). Oppure aggrappati ad una fede tradizionale che attribuiscono tutto a Dio con una accettazione sottomessa “God dè” (Dio c’è
e. . . lasciamo fare a lui).
Ho trovato questo atteggiamento soprattutto in una zona
della mia parrocchia che era fino a una cinquantina d’anni fa
un crocevia importante di tutta la provincia del nord della Sierra Leone dove tutte le strade passavano e c’era lì un brulichio
di attività commerciali che dava vita e importanza strategica
alla gente di tutta la zona.
Ora la costruzione di nuove strade più rapide ed efficienti ha
relegato quei villaggi a una terra di nessuno senza alcuna attrattiva commerciale che incoraggi la gente a passarci.
La presenza poi durante la guerra civile per oltre 5 anni di
gruppi di ribelli che hanno seminato morti, atrocità e distruzioni ha provocato il fuggi fuggi di tante gente, soprattutto i giova-
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ni, per cui oggi è diventata una zona dove solo anziani e bambini vi abitano e la gente si adatta a vivere alla giornata e fare
solo quel minimo necessario per procurarsi il cibo quotidiano.
Per questo è stata mia prima premura una volta ricevuto
l’incarico dal Vescovo e dai miei superiori della parrocchia del
Beato Conforti di Makeni a prendere una cura particolare di
questa zona abbandonata appunto per la sua posizione geografica remota.
Ho subito cominciato a visitare frequentemente la piccola
comunità cristiana. Su richiesta della gente ho costruito la
Chiesa al centro del villaggio di Batkanu capoluogo di questo
Chiefdom (residenza del capo tribù), ho curato il catecumenato
con nuovi battesimi e matrimoni in Chiesa.
Inoltre come segno della benedizioni di Dio che provvede
anche alle necessità materiali dei suoi figli, ho organizzato un
progetto agricolo con moderni attrezzi agricoli per dare loro il
modo di procurarsi cibo sufficiente per le loro famiglie durante
tutto l’anno.
Lo scopo di tutto non era competere con altre organizzazioni governative o no ma era di far vedere alla nostra gente che la
fede cristiana vera si accompagna necessariamente con lo sviluppo umano, sociale ed economico della gente per soddisfare
nello stesso tempo ai bisogni spirituali e materiali dell’uomo
che Dio ama e si cura di tutti perché suoi figli che vuole felici
anche su questa terra.
Dice ancora il Papa: « Scopo della missione della Chiesa in-
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fatti è di illuminare con la luce del Vangelo tutti i popoli nel loro cammino storico verso Dio, perché in Lui abbiano la loro
piena realizzazione ed il loro compimento ».
Ecco il dono della Fede Cristiana che io missionario e voi
miei compaesani cristiani veri siamo chiamati a donare a tanti
fratelli se non volgiamo perdere noi stessi questo dono e correre il rischio di vivere una vita senza senso e senza futuro.
Come vi dicevo nell’ultimo mio messaggio ora stiamo iniziando al centro della parrocchia a Makeni la costruzione della nuova chiesa dedicata al Beato Conforti, padre e fondatore
dei missionari saveriani. La sala che abbiamo usata dal 2004
non grande a sufficienza per contenere tutti i nostri cristiani alla domenica e nelle feste. Vuol dire che prima della chiesa di
mattoni Dio ha fatto sorgere e moltiplicare la chiesa vivente di
persone che hanno accolto il dono di Dio e vogliono insieme
renderne grazie al Signore nelle celebrazioni liturgiche in
Chiesa.
Ora loro stessi devono diventare i missionari che portano
quel Gesù che hanno accolto nella fede a tanti fratelli e sorelle
in tanti villaggi della parrocchia, fino agli estremi confini del
territorio perché il Vangelo di Gesù diventi luce e cibo per le loro vite e dia valori e motivazioni cristiane alla loro vita e attività in tante situazioni precarie e sofferte in cui si trovano a vivere.
I giovani al centro in Makeni, battezzati e non battezzati, e
le loro famiglie per la maggior parte mussulmane si stanno accorgendo che la loro partecipazione alle attività della parrocchia da loro una opportunità di una educazione qualificata, di
un divertimento sano e di tante relazioni con altri amici in un
ambiente moralmente corretto.
Al termine dell’anno scolastico lo scorso luglio abbiamo organizzato un campo scuola per la nostra gioventù di due settimane con attività religiose, educative e sportive. Con nostra
sorpresa oltre 1.800 ragazzi e ragazze vi hanno partecipato
spesso accompagnati lì dai loro genitori entusiasti dell’iniziativa tanto che abbiamo dovuto fermare le iscrizioni e fare salti
mortali per accomodare tutti e far posto a tutti nelle varie attività.
Ci viene da dire con Gesù che « la messa è abbondante ma
gli operai sono pochi, pregate il Signore della messe perché
mandi operai alla sua messe ».
Ecco allora se ci volete aiutare a pregare il Signore perché
scelga nelle nostre famiglie altri missionari è il dono più bello
che ci potete fare.
Inoltre se desiderate aiutarci in qualche modo alla costruzione della nuova Chiesa che io dovrei iniziare dopo Natale subito al mio ritorno in Sierra Leone perché sia una chiesa bella,
accogliente e segno eloquente della presenza di Dio in mezzo al
suo popolo vi dico grazie, grazie e grazie a nome dei miei cristiani e del mio Vescovo Mons. Giorgio Biguzzi che ha ricevuto
il Premio della Bontà Paolo VI a Concesio (Brescia) alla fine
dello scorso settembre.
« Ci guidi nella nostra azione missionaria la Vergine Maria,
stella della Nuova Evangelizzazione, che ha dato al mondo il
Cristo, posto come luce delle genti, perché porti la salvezza sino
all’estremità della terra » (finale del discorso del Papa).
Buona e feconda GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2009 a tutti voi.
P. Antonio Guiotto
Eventuali offerte si possono effettuare con versamento
presso la Banca San Giorgio Credito Cooperativo di Fara Vicentina scrl
(c/c. 019008012524 - EU IBAN:
IT18 P088 0760 8210 1900 8012 524 - BIC: CCRTIT2TC11)
intestato a P. Antonio Guiotto.
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Maria, riscalda i nostri cuori
O nostra Signora, unica speranza,
noi ti supplichiamo:
illumina le nostre menti
con lo splendore della tua grazia,
purifica le nostre anime
con il candore della tua purezza,
riscalda i nostri cuori
con il calore della tua visita.
La medicina della tua misericordia
guarisca le ferite del peccato.
Così potremo giungere
alla gloria della festa eterna,
con l’aiuto di colui
che volle nascere da te,
o Vergine gloriosa.
A lui onore e gloria per i secoli eterni.
Amen.
LA VOCE DI SANTA MARIA
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anno XLII - n. 5 - settembre-ottobre 2009
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N. 5 Settembre/Ottobre