“Accanto alla gente… dieci anni dopo”
Convegno decimo anniversario terremoto Umbria/Marche
Nocera Umbra (Pg), 22 settembre 2007
COMUNITÀCORRESPONSABILI DEL CREATO
Simone Morandini, Fondazione Lanza
1. MEMORIA DEL PASSATO, PER RITROVARE FUTURI VITALI
Siamo riuniti oggi in primo luogo nella memoria di un evento od anzi, di una serie di
eventi, che dieci anni fa sono stati soprattutto oscurità. Siamo nella memoria di un tempo
che per tante famiglie evoca probabilmente soprattutto paura, grida e storie lacerate; nella
memoria di un tempo che molti forse sarebbero lieti di poter superare semplicemente
lasciandolo alle spalle.
Eppure ritornare su di esso è necessario, per non rimuoverlo. Sappiamo bene, infatti,
che il dolore e la paura rimossi continuano a far male, restano come parassiti nascosti, che
fanno appassire la nostra vita. Se, invece, abbiamo il coraggio di affrontarli a viso aperto e
di elaborarli intenzionalmente, la fatica può aiutarci a diventare persone più sagge, di una
saggezza aperta al futuro. Di più, se siamo capaci di ricordare assieme quanto affrontato e
di farlo in un ambito di condivisione, allora potremmo anche trovarci a ricevere in dono
parole che ci aiutino a tessere reti di solidarietà tra le persone, in quello spazio comune
che è la società. Trovarci a ricevere, cioè, quel tipo di saggezza che forgia legami e
relazioni inedite, creando, così, un tessuto prezioso in cui la vita e le vite possono fiorire
ed anche – ciò che spesso è assai più difficile - ri-fiorire.
È questa un’esperienza ben nota alla comunità cristiana, che desidera condividerla con
tutti: proprio nella memoria del Signore Crocifisso – di una vita spezzata - essa trova quel
ricordo che la fa essere, che la costituisce come comunità, che crea legami rinnovati,
Proprio nella celebrazione ripetuta ogni giorno di tale memoria essa fonda quella pratica
della solidarietà vissuta, che si attiva anche in occasione delle emergenze, anche in
situazioni come quella che siamo chiamati a ricordare oggi.
Particolarmente importante, d’altra parte, è la condivisione di memorie vivificanti di
fronte ad una realtà come quella del terremoto che – anche tra i tanti eventi che ci
incutono timore - ha una valenza particolarmente negativa. In esso, infatti, è la terra
stessa che sembra perdere la sua stabilità; è quella natura che ogni giorno fa da sfondo
affidabile alla nostra esistenza, che sembra improvvisamente ed incomprensibilmente
assumere un volto violento, quasi volesse aggredirci. Per molti - non solo per chi è
direttamente colpito nel proprio corpo o negli affetti o per chi vede sparire la propria
abitazione - l’esperienza è traumatica; il suo protrarsi per tanti mesi, poi, rischia
probabilmente per alcuni di minare la stessa fiducia nella vita. Il pericolo è, cioè, quello di
attivare reazioni a catena, che magari arrivano ad incidere anche sul tessuto di quelle
relazioni umane che alla vita fanno da sfondo e giungono a sfilacciare persino la qualità
della convivenza civile.
Ripensare assieme ad un evento come quello che ricordiamo oggi è, allora, scelta
coraggiosa, di grande valore sul piano umano e civile, come su quello di fede: significa
decidere di far fronte a tale sfida, decidere di mantenere una memoria - ed una memoria
comune – per aiutare ognuno a vivere la propria vita ed assieme di sostenere la
convivenza di tutti. Significa provare ad attraversare quel grido che viene dal passato di
dieci anni fa – e che pure è importante, ce lo ricorda Giobbe – per ritessere fili e parole
che ci aiutino a vivere assieme l’oggi ed il domani. A vivere nella solidarietà tra uomini e
donne, nel legame con la terra, nella fiducia in quel Dio che ama appassionatamente la sua
creazione, fino a condividerne appassionatamente le sofferenze, come ha fatto in Gesù
sulla Croce.
Non a caso, lo si fa a dieci anni di distanza, oltre la difficoltà immediata della ripartenza, ma anche dopo la fiducia ha ripreso a germogliare, dopo che un tessuto sociale
ed una rete di esistenze sono stati faticosamente ricostruite. Una ricostruzione per la
quale non è possibile sottovalutare l’importanza del contributo delle comunità ecclesiali,
col loro caratteristico intreccio di attenzione alle persone ed alle strutture in cui esse
convivono, di testimonianza dell’Evangelo e di concreta solidarietà. Assieme a tanti altri
soggetti – istituzionali o meno, espressioni della società civile organizzata o semplici
cittadini nella loro generosità - la Caritas, in particolare, ha posto tessere importanti per
quel mosaico di vite e di case che chiamiamo ricostruzione, che conduce attraverso ed
oltre il tempo dell’emergenza. Anche grazie ad essa – grazie alla sua capacità di essere
accanto alla gente, nell’emergenza, come nelle fasi che vi hanno fatto seguito - ha potuto
(ri)-crearsi in questa dinamica una rete, cui è possibile appoggiarsi anche ora, per
guardare al futuro, per ritrovare una qualità di forme nella nostra convivenza.
È come chi, caduto a terra, scopre di avere vicino chi lo aiuta a rialzarsi, affinché egli
stesso possa riprendere il cammino con le proprie gambe – e non solo uno, ma tanti, un
popolo, un comunità. Se pure la solidità della terra può talvolta vacillare, facendo vacillare
anche noi, non viene meno invece quella fedeltà della comunità cristiana agli uomini ed alle
donne, che testimonia a sua volta di una fedeltà anche più radicale, che la fonda e la
costituisce.
2. ALLEANZE SOLIDALI
Sono prospettive che vale la pena di approfondire anche in relazione al nostro futuro,
chiamando in causa anche un altro ambito di significati. Ecco, allora, che, se già ho parlato
di rete e di convivenza tra le persone, vorrei ora piuttosto usare un altro termine, più
denso, più ricco di risonanze: quello di alleanza. Quando, infatti, eventi come quello che
oggi ricordiamo ci fanno riscoprire l’incertezza del nostro essere sulla terra, quando
percepiamo la nostra fragilità di fronte a fenomeni di tale portata, allora, impariamo tutta
l’importanza di fare alleanze. Proviamo ad esplorare il significato di tale espressione,
ricordando che essa ha a monte – come uno sfondo che neppure è sempre necessario
richiamare esplicitamente, tanto ci è presente – quell’alleanza radicale che Dio
gratuitamente ci offre, invitandoci a tradurla in legami, in relazioni storiche, appunto nella
pratica del fare alleanze.
In primo luogo, impariamo l’importanza delle alleanze tra le persone - tra coloro che
sono prossimi, nell’azione solidale, nella condivisione delle difficoltà e del dolore, delle
parole e dei gesti. Sono quelle prime realtà che consentono di continuare ad essere e ad
essere assieme, come segni espressivi di una vita che merita comunque fiducia, che
mantiene fascino anche nelle lacerazioni che la intaccano. Alleanze in cui ognuno si fa
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carico della fatica di tutti – ed in particolare di quella di chi maggiormente è colpito
(l’anziano, il bambino, la persona a basso reddito, ...) - sostenendo così la speranza (l’altrui
ed assieme anche la propria).
Impariamo, poi, l’importanza di quelle alleanze che si esprimono nelle istituzioni, nel
momento in cui esse divengono luoghi di stimolo per la ripresa della vita comune. Il nostro
rapporto col territorio – la nostra responsabilità per esso – è sempre anche mediato da
quello con le istituzioni, alle quali in primo luogo è affidata la cura la cura del territorio
stesso. In questo senso esse divengono il luogo in cui trova espressione – in cui deve
trovare espressione - lo sforzo comune per far fronte alla negatività, per riprendere aldilà
di essa, per ricominciare e per dare continuità all’esistenza condivisa. Facciamo alleanza,
dunque, in quanto cittadini, che sono parte di una comunità locale – nella sua dimensione
civile e politica, ma anche in quella ecclesiale. Facciamo alleanza in un impegno condiviso:
quello per un bene comune che va aldilà degli interessi personali, ma dice piuttosto
l’attenzione per quello spazio in cui le vite di tutti possono crescere assieme - possono,
anzi, fiorire, nel pieno sviluppo delle capacità di ognuno.
Impariamo, però, anche, se davvero vogliamo essere saggi, l’importanza di fare
alleanza con la terra - proprio con quella realtà dalla quale ci è giunta la minaccia. Certo: è
un affermazione che può apparire paradossale: cosa può significare parlare di alleanze con
la terra proprio oggi, ricordando giorni come quelli di dieci anni fa? Come parlare di
alleanza con la terra, quando proprio essa ci si è tanto drammaticamente presentata con il
volto della distruzione?
3. PER UN’ECOLOGIA DELLA PACE
Vorrei provare a rispondere a tale domanda muovendo da due immagini, la prima delle
quali – solare, positiva - mi viene da Mons. Bregantini, vescovo di Locri-Gerace, già
presidente della Commissione Justitia et Pax della CEI. Ricordo che in un convegno
svoltosi ad Assisi nel 2001 egli narrava di un ulivo secolare, strappato alle fiamme di un
incendio da una famiglia di contadini dopo una dura lotta; per puro caso, in un’altra notte di
anni dopo - in una situazione del tutto indipendente dalla precedente - lo stesso ulivo
ebbe a fermare col suo tronco contorto la frana che avrebbe altrimenti rovinosamente
colpito l’abitazione della stessa famiglia. Mi pare di poter cogliere qui la chiara indicazione
di uno stretto legame tra il modo in cui costruiamo il nostro rapporto con la terra e la
nostra possibilità di abitarla come casa ospitale e vivibile, in un’alleanza che è preziosa per
noi come per essa.
Alla luce di questa prima immagine comprendiamo, così, come anche per quegli eventi
che di per sé sfuggono completamente al nostro controllo possa, in effetti, l’impatto possa
dipendere in larga misura dall’uso - proprio od improprio - che facciamo di quell’ambiente
che abitiamo. È quanto evidenziava nitidamente lo stesso Benedetto XVI nel Messaggio per
la Giornata Mondiale per la Pace 2007, nel momento in cui evidenziava lo stretto legame
tra la qualità della convivenza interumana e la pace con la terra, auspicando un’”ecologia
della pace”, che è necessario promuovere, facendola crescere come albero forte e vitale.
Meno solare e purtroppo assi più ampia, invece, l’altra immagine che vorrei richiamare
assieme a voi: quella dell’uragano Katrina, che nell’estate 2006 si è abbattuto su New
Orleans distruggendola quasi completamente. I media hanno mostrato impietosamente in
tale occasione il volto brutale di una natura che anche là sembrava essersi
improvvisamente trasformata in distruttrice di vite (specie di vite di poveri, di neri, di
emarginati), in distruttrice di storie e di convivenza umana. Contemporaneamente, però,
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essi hanno raccontato anche un’altra storia - quasi rovescio luminoso di una medaglia
troppo oscura da sopportare: quella di un’ampia solidarietà internazionale, che
(probabilmente in gran parte stimolata dai media stessi) ha imprevedibilmente coinvolto
anche paesi segnati da povertà e condizioni di vita drammatiche: è come se l’era globale
avesse per qualche tempo dato vita una vera alleanza dell’umanità tutta, di fronte ad una
natura matrigna e pericolosa – quasi richiamando prospettive leopardiane. E tuttavia, forse,
dobbiamo ascoltare anche una storia ancora diversa, che ci hanno narrato i climatologi:
quella di un evento meteorologico la cui inusitata, imprevedibile, violenza era anche il
frutto di un clima perturbato – e perturbato anche da fattori antropici, da quelle emissioni
di gas serra che determinano un riscaldamento dell’atmosfera, che aumenta la probabilità
di simili fenomeni.
Ecco, allora, che ciò che nelle parole di Mons. Bregantini appariva ancora nella forma
della metafora, assume qui, invece, una preoccupante concretezza storica: come la
capacità di quella famiglia della Locride di prendersi cura dell’ulivo ha potuto significare
salvezza - per loro come per esso - così, d’altra parte, la nostra incapacità di
salvaguardare quel grande bene comune che è la stabilità del clima planetario, espone
anche noi – assieme all’intero ecosistema planetario - a gravi conseguenze. Ecco, dunque,
perché le alleanze che dobbiamo imparare a stringere devono davvero coinvolgere anche
la terra: non certo per una pretesa devozione alla grande Madre Gaia, come vorrebbero
alcune tendenze dell’”ecologia profonda”, ma per il desiderio di custodire quella casa della
vita che ci è stata donata, mantenendola – per quanto ci è possibile e per quanto da noi
dipende – abitabile, come spazio in cui assieme possiamo trovare gioia. È una
responsabilità di giustizia, che abbiamo nei confronti delle generazioni future, ma anche di
coloro che già oggi vivono in situazioni ambientalmente precarie – per la desertificazione,
per l’emergenza idrica o per quella alimentare. Fare alleanza con la terra, allora, non può
essere la reazione di chi, vedendola minacciosa, cerca di dominarla senza riserve, ma
quella di chi sa invece cercare di “andarci d’accordo”, sapendo che solo assieme ad essa
possiamo vivere. Si tratta, cioè, di ritrovare quell’intuizione che era di Francesco d’Assisi
e di Benedetto da Norcia, riscoprendoci come creature entro una creazione che è rete
armoniosa di relazioni: l’azione che da loro forma, trasformandone la configurazione non
può trascurare il loro valore, all’interno di una fraternità creaturale. Si tratta di ricordare
che il nostro agire ed il nostro vivere possono darsi solo a partire da quella realtà che ci
precede e che la fede cristiana confessa come “donazione originaria” (Giovanni Paolo II,
Centesimus annus), come dono vivificante di Dio; si tratta di sintonizzare anche su tale
realtà il nostro pensare, il nostro progettare, il nostro agire. Per le comunità cristiane è
anche questo un modo di testimoniare la fede nel creatore, in colui che – al principio ed
ogni giorno – chiama all’essere tutte le cose che sono.
Per questo in quei momenti in cui ci troviamo a dare – o a ridare – forma alla nostra
vita sulla terra, è importante tenere costantemente presente l’impronta che vi lasciamo,
valutando con attenzione se essa sia o meno sostenibile, se ne consolidi o ne indebolisca il
prezioso tessuto vitale, in cui anche noi siamo inseriti. Per questo dobbiamo sempre
tenere presente quei principi di prevenzione e di precauzione che ci ricordano l’importanza
di uno sguardo attento al futuro, capace di ponderare attentamente l’impatto del nostro
agire sull’ambiente, come sulla vita degli uomini e delle donne che lo abitano.
Sono istanze sulle quali ha lavorato in modo ampio ed articolato in questo mese di
settembre anche la III Assemblea Ecumenica Europea, svoltasi a Sibiu, in Romania, che ha
lanciato segnali forti, che riprendono in un contesto modificato quanto già proposto da
precedenti appuntamenti ecumenici. L’invito è ad una cura per il creato capace di farsi
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stile di vita all’interno di una comunità cristiana che è tutta corresponsabile per la terra. È
lo stesso richiamo che la Chiesa Cattolica italiana ha voluto risuonasse forte e chiaro ogni
anno, in questo mese di settembre, con l’istituzione della giornata per il Creato, che
quest’anno celebriamo per la seconda volta. È una scelta che esprime proprio la
convinzione che quell’alleanza per la vita cui il Signore chiama uomini e donne non possa
darsi in forme che vadano a detrimento della terra su cui essa si realizza. Quella
corresponsabilità vissuta, che costituisce il tessuto vitale di ogni alleanza, ha da
estendersi, cioè, ad includere anche realtà che certamente non possono farne esperienza,
non possono corrispondervi in forma cosciente, ma la cui presenza è strettamente
intrecciata con le nostre esistenze.
4. ACQUA FONTE DI VITA
Per la celebrazione del creato di quest’anno siamo stati invitati, in particolare, a
rivolgere lo sguardo al tema dell’acqua, così carico di valenze simboliche, così presente
nelle narrazioni bibliche, come nella vita della comunità credente (si pensi al battesimo).
Non stupisce che dalle “storie d’acqua della Bibbia” si sia potuto trarre un delicato
libretto, che ne esplora le diverse valenze presenti nelle Scritture ebraico-cristiane. In
esso l’acqua appare come una delle grandi espressioni della benedizione divina sulla terra,
come il segno del suo passaggio che la feconda e la vivifica: come ciò che permette di
vivere, di esistere come esseri umani, di stare alla presenza del Signore.
Certo, tanti sono i linguaggi con cui si potrebbe parlare di acqua: potremmo farlo con
un linguaggio scientifico, richiamando la fondamentale funzione biologica ed ecosistemica
dell’H2O, quale condizione essenziale per la vita. È dall’acqua che viene la vita, che, anzi,
ha potuto svilupparsi sulla terra proprio anche perché si tratta di un “pianeta azzurro”, le
cui condizioni climatiche permettono la presenza di acqua allo stato liquido.
Potremmo farlo in un linguaggio narrativo, come le donne africane che - nel corso
dell’Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese tenutasi ad Harare in Zimbabwe nel
1998 - avevano presentato il loro faticoso compito quotidiano di procurare l’acqua per la
famiglia e di renderla potabile. Si potrebbero magari anche riportare, a commento
dell’immagine che esse ci evocano, le parole di Benedetto XVI nel Messaggio per la
Giornata Mondiale della Pace 2007: «All’origine di non poche tensioni che minacciano la
pace sono sicuramente le tante ingiuste disuguaglianze ancora tragicamente presenti nel
mondo» e tra di esse quelle «nell’accesso a beni essenziali, come il cibo, l’acqua, la casa,
la salute» (n.6) 1 .
È una varietà di linguaggi che già di per sé è significativa, come evocazione di una
sinfonia che testimonia del ruolo centrale dell’acqua nell’esperienza umana; tutta ne è
attraversata e in essa affonda le proprie radici. Veramente “molto utile” è “sora acqua”
nella sua umiltà e non stupisce che gran parte delle fedi dell’umanità le assegnino un forte
valore simbolico, in ordine al rapporto con la realtà ultima ed all’origine del mondo. Anche
la tradizione biblica conosce bene il grande valore dell’acqua: Israele nasce come popolo
di nomadi, che ben conscio della preziosità delle risorse idriche ed i conflitti ai pozzi
(pensiamo a Giacobbe) sono ben noti alla Scrittura ebraica. Non stupisce, allora, che, per
converso, il deserto appaia come il luogo dell’assenza di vita per eccellenza, lo spazio nel
1
Il testo del Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace 2007 – assieme agli altri testi e documenti
ecclesiali cui si farà riferimento nel prosieguo di questa esposizione - è disponibile nel database di documenti ecclesiali sulla
salvaguardia del creato accessibile a partire dalla sezione Pubblicazioni del sito del Servizio Nazionale per il Progetto
Culturale (www.progettoculturale.it).
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quale essa può realizzarsi solo in forme fragili e precarie, che non garantiscono alcuna
sicurezza.
Ma c’è in essa qualcosa di più: i racconti della creazione mostrano un ruolo
determinante assegnato all’acqua. Pensiamo, in particolare, a Gen.2, in cui la bontà della
terra-giardino donata ad Adam è espressa proprio tramite l’immagine dell’abbondanza
d’acqua. Per dire che la terra è il dono buono di Dio, lo spazio che permette la vita e ad
essa è finalizzato, il linguaggio mitico del testo ci parla dei fiumi (ben quattro!) che
l’attraversano. Di più, Gen1 vede l’acqua come l’elemento originario, sul quale si libra lo
Spirito di Dio per dar vita allo stesso essere ordinato della creazione In antiche versioni
orientali leggiamo addirittura qui di uno Spirito-colomba, che cova sulle acque, quasi esse
stesse fossero gravide del processo di generazione del cosmo.
L’acqua, dunque, come elemento centrale nel venire all’essere del mondo-cosmo che
abitiamo. Ad un primo sguardo sembra facile trovare assonanze col pensiero dei
presocratici, ma la fede nel Dio creatore ricorda che è sempre la Parola – magari
esprimendosi in incognito, attraverso dinamismi di ordine fisico - che rende l’acqua così
ricca e feconda. Essa, cioè, come e più degli altri elementi del creato, appare come dono,
offerto agli uomini ed a tutti i viventi da colui che è Signore della vita. Così in Geremia si
invita a temere «il Signore nostro Dio, colui elargisce la pioggia d’autunno e quella di
primavera a suo tempo», che «ha fissato le settimane per la messe e ce le mantiene
costanti» (Ger.5,24). Anche i Salmi e più tardi la stessa tradizione evangelica (Sl.104, 1013; Mt.5,45) riconosceranno nella pioggia - che cade sui giusti come sugli ingiusti, sugli
uomini come sulle bestie, sugli animali domestici come su quelli selvatici e persino su
quelli feroci, pericolosi per l’uomo – un grande segno rivelatore dell’amore universale di
Dio. Una realtà, dunque, che non nasce dall’opera dell’uomo, che egli ha da ricevere
sempre come dono, di cui non è possibile appropriarsi con arroganza ed egoismo. Ben lo
ricorda il libro di Giobbe:
«Chi ha scavato canali agli acquazzoni e una strada alla nube tonante,
per far piovere sopra una terra senza uomini su un deserto dove non c’è nessuno,
per dissetare regioni desolare e squallide e far germogliare erbe nella steppa?
Ha forse un padre la pioggia? O Chi mette al mondo le gocce della rugiada?
Dal seno di chi è uscito il ghiaccio e la brina del cielo chi l’ha generata?» (Gb.38,25-29)
Di più, l’acqua, - l’acqua buona - assume, ad esempio, in Geremia una portata
direttamente teologica. Dio stesso è qui la sorgente d’acqua vivificante, contrapposta alle
cisterne screpolate scavate dal popolo idolatra (Ger.2,13); in quest’acqua può affondare le
radici il giusto che cerca pienezza di vita (Ger.17,8). Non è difficile, in questo contesto
ritrovare in tutta la loro freschezza – metafora che qui ritrova anch’essa il suo originario
contesto di significato - le parole del Gesù giovanneo, che si dice acqua viva, sorgente e,
anzi, generatore di sorgenti nel cuore di ogni uomo (Gv.7,37). Ma qui può ritrovare vita
anche una considerazione del battesimo, che vede l’acqua come segno e strumento
(efficace secondo l’approccio cattolico) del donarsi di Dio ad ognuno di noi. Una visione
dell’acqua come condizione di possibilità (e quasi “sacramento”) della vita biologica si
intreccia, così con una teologia che scopre Dio stesso servirsi dell’acqua nella sua
materialità per comunicare se stesso ai suoi fedeli.
Mi interessa, però, oggi ritrovare il tema dell’acqua nell’ultimo testo del canone
cristiano: nell’Apocalisse, con tutta la sua densità simbolica, che tratteggia la figura di una
città senza lutto né lacrime: uno spazio in cui i cieli e la terra sono nuovi, mentre il mare
non c’è più. Eppure, anche qui l’acqua è presente, ma depurata dalla sua dimensione
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violenta e distruttiva - è questo il significato del “mare sparito” (Ap.21,2). È una terra
ormai definitivamente al sicuro dalla minaccia del diluvio, ma abitata da un «fiume d’acqua
viva, limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello», le cui acque
donano potere risanante all’albero che se ne abbevera (Ap.22,1-2).
5. ACQUA: UN TEMPO DI CRISI
Sono storie diverse, ma tutte attraversate da un’esperienza fondamentale che
accomuna gli esseri umani: l’acqua è condizione necessaria per la vita – quella umana, ma
non solo. Senza di essa non è solo impossibile realizzare un’esistenza autenticamente
umana, ma in effetti neppure semplicemente sopravvivere a lungo. Comprendiamo in
questo senso tutta la drammaticità della crisi idrica che segna l’esistenza dell’umanità in
questo tempo – una crisi che vede quasi un miliardo e mezzo di persone prive di un
accesso adeguato all’acqua, mentre anche più numerose sono quelle cui manca una
sufficiente disponibilità di acqua potabile. È una realtà che tocca direttamente soprattutto
le regioni a più basso reddito, nelle quali, tra l’altro, l’accesso all’acqua può spesso
scatenare veri e propri conflitti. Va anche sottolineato, d’altra parte, che – contrariamente
a quanto si potrebbe pensare – non si tratta di questioni puramente locali, prive di
connessioni con le aree a più alto tenore di vita. In effetti in Africa vi sono diverse aree
che vivono una condizione di penuria idrica sono tuttavia costrette dalle dinamiche
dell’economia globale (ed in particolare dal servizio del debito estero) ad impegnarsi in
produzioni agricole idricamente esigenti finalizzate all’esportazione, sottraendo risorse alle
esigenze della popolazione. C’è una sorta di commercio nascosto dell’acqua che va ben
aldilà dei flussi visibili che possono viaggiare tra aree adiacenti. Lo tesso mutamento
climatico, cui facevamo riferimento poc’anzi, poi, rende più complessa la questione della
disponibilità d’acqua, spezzando equilibri consolidati e favorendo il verificarsi di eventi
metereologici estremi (lunghe siccità in determinate aree del pianeta, affiancate da
nubifragi in altre aree od in altri momenti).
Mi pare in questo senso particolarmente rilevante quanto troviamo nel Messaggio della
CEI per la Giornata di quest’anno: l’acqua «è un bene comune della famiglia umana, da
gestire in forme sostenibili per garantire la vivibilità del pianeta anche alle prossime
generazioni. Occorrono, dunque, politiche dell’acqua capaci di contrastare gli sprechi e le
inefficienze, per promuovere invece un uso responsabile anche nei vari settori economici
(industria, agricoltura,...). Occorre proteggere la disponibilità di acqua pulita dalle varie
forme di inquinamento che la minacciano; occorre tutelare la stabilità del clima e del
regime delle piogge, contenendo la portata dei mutamenti climatici di origine antropica.
Occorre, ancora, assicurare la preservazione di quegli ecosistemi marini e fluviali, la cui
bellezza esprime spesso la diversità biologica che li abita». Sono temi che riguardano le
scelte politiche, ma anche il consumo individuale: «tutti siamo invitati a rinnovare i nostri
stili di vita, nel segno della sobrietà e dell’efficienza, testimoniando anche nelle nostre
pratiche del valore che riconosciamo all’acqua».
Lo stesso messaggio sottolinea, poi, che l’acqua non è «realtà puramente economica»,
che potrebbe essere integralmente gestita dalle leggi del mercato. Come dono della
creazione, invece, l’acqua partecipa della destinazione universale dei beni della terra e tale
dato deve trovare espressione anche a livello normativo. C’è un «fondamentale diritto
all’acqua» che va garantito ad ogni essere umano. Proprio perché «senza acqua la vita è
minacciata», sottolinea il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica, «tale
diritto è universale e inalienabile» (n. 485).
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Anche l’acqua, insomma, entra come componente fondamentale in quell’alleanza che –
lo accennavamo prima – siamo chiamati a tessere coinvolgendo persone, istituzioni e la
terra stessa. Lo evidenziava in modo particolarmente nitido il bel documento dal titolo Il
canto del fiume, elaborato nel 2001 dall’Episcopato della regione del fiume Colombia: solo
se sappiamo ascoltare il messaggio che le acque della nostra terra portano con sé, se
sappiamo gestire in modo sapiente anche le risorse idriche, possiamo costruire una
comunità civile capace di futuro.
6. CONCLUSIONE
Il tema dell’alleanza, insomma, è emerso come elemento centrale del nostro far
memoria degli eventi di dieci anni fa – un’alleanza che interessa persone, istituzioni, ma
anche la terra e l’acqua, come elementi espressivi del contesto ambientale in cui troviamo
a vivere. Vorrei, però, concludere ricordando un altro elemento che è presente, come
substrato e come tessuto costitutivo in ogni alleanza vitale, ed è la carità – la più grande di
tutte le cose che restano. È quella carità che muove le pratiche solidali, la stessa che nutre
l’attenzione delle istituzioni per le popolazioni ad esse affidate, la stessa che Dante – nella
conclusione della Commedia - descriveva come «amor che muove il sole e l’altre stelle».
Anche la nostra capacità di concludere alleanze – specie quando esse sono a servizio dei
più deboli – è testimonianza di questa potenza d’amore che, aldilà della negatività che
talvolta (spesso, troppo spesso) irrompe nelle nostre vite, operando costantemente per
sostenerle e rafforzarle.
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