ENRICO MATTEI SCRITTI E DISCORSI 1945–1962 raccolta integrale dall’archivio storico eni Un vero e proprio secondo Rinascimento di Mario Pirani «V © 2012 RCS Libri S.p.A., Milano Tutti i diritti riservati www.rizzoli.eu Copertina Davide Vincenti Progetto Grafico Pagliardini Associati srl ogliate perdonarmi se sarò costretto a parlarvi in modo scarno e dimesso». Così esordì in uno dei suoi discorsi più esplicitamente politici, confessando che i suoi ascoltatori, «i cittadini della nobile terra di Busto Arsizio», avrebbero meritato un oratore più efficace ed eloquente. Correva l’anno 1952 e un incipit di tanta esplicita modestia oratoria suonava come una confessione inaspettata da parte di un personaggio che già primeggiava nel panorama della nuova Italia repubblicana. Eppure era un discorso veritiero che, paragonato allo sbrodolarsi negli anni a venire della retorica pubblica, ci fornisce una spietata chiave di paragone tra la classe dirigente che veniva allora formandosi e le coorti di portaborse, affaristi, organizzatori interessati del consenso che sarebbero loro subentrati qualche decennio dopo con tutta la boria di una generazione senza arte né parte e, soprattutto, senza pudore. Per questo analizzare quel discorso non è inutile. È infatti questo, forse, l’unico tentativo del fondatore dell’Eni di uscire dal suo ruolo di grande imprenditore pubblico per presentarsi come uno dei costruttori di una nuova Italia, ispirata ai principi di un grande partito di massa, fortemente consapevole del suo ruolo storico. Dirà cose che non ripeterà mai più, ma che lo studioso non potrà cancellare e disconoscere. Parole semplici, ma segnate dalla sincerità. «Io sono venuto alla politica occasionalmente, dal lavoro industriale e dalla guerra partigiana, e mi manca quella scaltrita parola che con la forma afferra i cuori e le menti. A mio modo di vedere, la lotta che ci prepariamo a sostenere per dare nuovi quadri alle amministrazioni provinciali e comunali pone alla coscienza di ciascuno di noi un problema che si presenta per gradi e si risolve in modo unico ed inesorabile nel suo schematismo più crudo. Io sono convinto che è dovere di tutti | 3 gli elettori, uomini e donne, di accorrere alle urne e che infine fra tutte le scelte programmatiche teoricamente possibili una soltanto si impone ed è quella della Democrazia cristiana.» A coronamento del discorso il Presidente dell’Eni pone l’opera di ricostruzione della DC: gli investimenti nel Sud, la Cassa del Mezzogiorno, la riforma agraria, lo sviluppo edilizio. Insomma l’Italia del “miracolo economico”. La certezza di un futuro non è apparsa mai così limpida agli italiani: «questa terra attende una lunga pace, che le permetta di ricostituirsi nella sua compagine economica e nella sua saldezza spirituale». Parole che non ascolteremo più così ferme, certe, intrise di speranza per molti decenni. Mattei non amava parlare in pubblico. Eppure, soprattutto quando entrava nel merito dei risultati che Eni aveva raggiunto, si animava e i discorsi filavano precisi e veloci, senz’altro pieni di passione. Ricordava tutto dell’azienda di cui era presidente: numero di nuovi assunti, chilometri di metanodotti, benzina venduta, metri quadrati di terreno acquistati, prezzi del gas, stazioni di servizio, motel. E volentieri li ricordava in occasione dei frequenti incontri che, per vari motivi, faceva con il personale Eni: ricorre, in questo gruppo di discorsi, la parola “famiglia” riferita all’azienda. Un vezzo tutto matteiano di indicare il legame profondo che univa i dipendenti al progetto del loro leader. Ascoltandolo si aveva la sensazione che tutto fosse sotto il suo controllo, come in effetti era. Sceglieva tra i suoi più stretti collaboratori quello che di volta in volta, sulla base della propria competenza, doveva scrivergli il discorso. E poi rileggeva, correggeva, inseriva nuove idee, fino ad arrivare all’ultima stesura. I discorsi si faranno con gli anni più articolati. La funzione più composita delle alleanze si farà sentire grazie all’apporto dell’intellighenzia alla definizione di una linea politica dell’Eni, certamente più duttile di quella che si esprimeva nel 1952. La visione del Risorgimento come prodromo della Resistenza sta4 | bilisce quel collegamento che salderà storicamente i due momenti basilari della storia d’Italia. «È legittimo affermare», sostiene Mattei nel suo discorso celebrativo dell’anniversario della Liberazione del 25 aprile 1961, «che il Risorgimento italiano si distingue dagli altri moti di indipendenza sviluppatisi nel secolo diciannovesimo, per il suo carattere di sereno e illuminato spiritualismo, profondamente nutrito dall’ideale della libertà. Il processo unitario italiano non fu infatti un fenomeno politico e militare, ma una originale rielaborazione dei principi essenziali della civiltà europea quali si erano andati preparando e maturando nelle più illuminate coscienze.» «Partigiani e patrioti della Resistenza, noi sentiamo di dover rimeditare l’affermazione, più volte espressa, che questa fu il naturale e legittimo proseguimento del Risorgimento, o anche un vero e proprio secondo Risorgimento. L’anelito di libertà che guidò le gesta dei padri che fecero l’Italia fu anche il nostro anelito, che da una parte giustificò, dall’altra fuse insieme, in un valido blocco di energie, i diversi gruppi, le correnti ed i movimenti ideologici che si batterono contro il fascismo ed il nazismo.» Se ci si libera dall’afflato retorico, tipico delle orazioni celebrative, e si guarda alla sostanza del discorso matteiano, ne ricaviamo una linea politica che si snoda attorno al paradigma che accompagnerà per anni la discussione sul valore unitario della Resistenza, sulle sue radici risorgimentali, sul mantenersi o meno in vita di quell’arco costituzionale attorno a cui si consolidò, si ruppe e riprese più volte, una difficile dialettica, quella del rapporto tra il cattolicesimo più avanzato e una sinistra segnata da un riformismo incompiuto. Il terrorismo, l’assassinio di Moro, la caduta dell’Urss, il tentativo di rinascita dei postcomunisti ne segnarono i momenti di acme. Il rapporto di solidarietà tra movimento partigiano e le nuove democrazie che sorgono nel Terzo Mondo porterà Mattei a dire: «Dobbiamo quotidianamente confermare e approfondire in noi la coscienza dei grandi problemi del mondo attuale, per contribuire concretamente alla loro soluzione. In verità, le esigenze che sem- | 5 bravano proprie solo del nostro Paese e dei Paesi impegnati nella lotta di Liberazione sono divenute oggi problemi di altre nazioni; popoli nuovi si sono messi in movimento in tutti i continenti. Se non vogliamo che l’anelito di libertà venga frustrato a vantaggio delle tirannidi e delle dittature, che si sforzano di coartare e piegare le coscienze degli uomini, non possiamo non tenere conto di questo ampliamento di prospettive e di orizzonti.» Vi sono altri due passaggi che meritano di venir ripresi perché li ritroveremo nel percorso storico che ci accompagnerà negli anni a venire. Il primo riguarda i caduti di Cassino evocati il 25 aprile 1956 da Mattei: «Là, ove caddero i primi combattenti del corpo italiano della Liberazione, è stata chiamata la bandiera del Corpo Volontari della Liberà che idealmente rinnova l’incontro fra le forze armate che combatterono al Sud a fianco degli alleati e quelle partigiane che, spontaneamente, si costituirono nel Nord, seguendo il punto d’intesa di tutta la nazione. A Cassino, a Montelungo e a Montecamino il simbolo dell’esercito volontario dei partigiani si associa alla bandiera dell’esercito italiano a significare la comune vittoria del 25 aprile.» Queste posizioni stanno a significare la consapevolezza raggiunta dall’Eni nel declinare una politica internazionale estesa a tutto il Terzo Mondo con espliciti punti di riferimento a Washington, alle Nazioni Unite, alla Cina e naturalmente all’Unione Sovietica. Dai primi pozzi nella Val Padana si passa, quindi, ad un sistema di alleanze e scambi commerciali che si allarga alle più vaste aree mondiali, facendo ruotare gli interessi italiani ben oltre i confini del 1945. La bandiera col cane a sei zampe finisce per svettare assieme al Tricolore con una compenetrazione di valori a vantaggio dell’una e dell’altro. Ma ad infondere questi valori permanenti e nazionali al cane a sei zampe è stata soprattutto l’elaborazione e l’affermazione di una linea innovativa di cooperazione che il gruppo pubblico italiano inventò e applicò in tutto il Terzo Mondo, non più chiamato 6 | a una collaborazione secondaria e puramente economica, ma a una partnership di pari dignità che apriva la strada della sovranità petrolifera a tutti quei Paesi produttori che ne erano stati fino ad allora esclusi. È in questo contesto che vanno collocati e giudicati anche i discorsi di Enrico Mattei e il loro mutarsi di registro e contenuti nel corso di almeno un decennio. Nel luglio del 1961, quando presi servizio all’Eni, ero uno dei trenta dirigenti della holding, scelti direttamente da Enrico Mattei. Una squadra di giovani e giovanissimi che un leader geniale aveva messo insieme andandoseli a scegliere uno per uno sulla base delle competenze e del carattere. L’impresa che aveva in mente aveva bisogno non solo di gente capace, ma anche di persone disposte a comprendere che quella per cui stava lavorando era una missione e non solo un progetto industriale: affrancare l’Italia dalla dipendenza energetica. Tutti noi, Giorgio Ruffolo, Sabino Cassese, Luigi Spaventa, Paolo Leon – per citarne solo alcuni – eravamo uniti dalla genialità del nostro leader e convinti di aver aderito ad una “causa nazionale”. A settembre ebbi un lungo incontro con Enrico Mattei. Il mio incarico era stato definito e me ne volle parlare direttamente. Andai da lui, a Borca di Cadore, insieme a Giorgio Ruffolo, allora capo delle Relazioni esterne. Ci accolse in canottiera con grande cordialità, era uno molto diretto che non amava la forma e i suoi discorsi erano concreti e privi di retorica. Fui colpito dalla concretezza delle sue parole e dal modo con cui tutta la sua azione fosse concentrata a raggiungere lo scopo. Senza incertezze. Senza sbavature. Mi parlò dell’Algeria e dei nostri interessi in quella regione, spiegandomi che da tempo Eni aveva preso una posizione precisa, rifiutando l’invito dei francesi a partecipare all’esplorazione del Sahara. E mi propose di andare in Tunisia da dove avrei dovuto prendere contatti con i rivoluzionari algerini e capire in che modo Eni avrebbe potuto aiutarli. L’obiettivo era naturalmente quello di “seminare” i termini di una futura collaborazione e tenere d’occhio i movimenti delle altre grandi multinazionali interessate agli idrocarburi algerini. La questione algerina è senz’altro un paradigma del modo con | 7 cui Mattei interpretava il proprio incarico: individuato l’obiettivo (in questo caso l’accesso alle risorse del Sahara), metteva in campo tutto il suo straordinario intuito e una grande abilità manageriale. Ma non era solo questo. Enrico Mattei coniugava la necessità energetica dell’Italia con uno spirito fortemente anticolonialista, convinto com’era che una collaborazione paritaria con questi Paesi corrispondesse ai nostri interessi nazionali e ci liberasse dal giogo delle grandi major petrolifere. Da questo punto di vista risulta illuminante il discorso pronunciato da Mattei a Tunisi il 10 giugno 1960. Un discorso coraggioso ed esplicito come nessun altro «contro la decolonizzazione» e contro «la guerra d’Algeria», per la libertà dell’Africa e per la collaborazione economica con quel grande Continente. 8 | 1 | [Dai partigiani la via della libertà e dell’avvenire] Roma, 25 aprile 1949 L a felice coincidenza della celebrazione della vittoria con il momento di massimo splendore della primavera potrebbe offrire lo spunto ad una digressione retorica, se i fatti non stessero a dimostrare la realtà viva, e non solamente simbolica, della fioritura miracolosa di un Paese come il nostro, uscito appena da ancor pochi anni, col corpo guasto e le funzioni equilibrate, dalle rovine e dai dolori di una atroce guerra che, durante due anni, era stata anche guerra civile. Io vorrei poter dipingere un parallelo tra ciò che è avvenuto e ciò che avremmo anche potuto aspettarci se fosse mancato, nella fine del conflitto, quell’apporto materiale e soprattutto morale degli italiani alla causa alleata, che siamo qui appunto per celebrare, con raccoglimento, con commozione, con immutata riconoscenza, verso i nostri compagni caduti. Non tutti potevano consentire con noi, quando, con le brume autunnali del 1943, i tedeschi discesero da padroni sul nostro territorio, dico non tutti potevano essere convinti che la guerra germanica era perduta. Un prestigio secolare, che durava quasi dai tempi di Arminio, almeno da quando Federico Guglielmo di Prussia aveva creato il più grande esercito imperiale tedesco e suo figlio Federico il Grande lo aveva reso strumento della potenza prussiana, tutto ciò aveva creato il mito della invincibilità germanica. Non era bastata l’esperienza amara della Prima guerra mondiale. Contro i disfattisti un’abile propaganda era riuscita a persuadere non solo i tedeschi, ma anche tutta l’Europa, | 9 che la sconfitta degli eserciti imperiali non era dipesa dalla travolgente offensiva franco-anglo-americana, messa a servizio di un ideale di democratica libertà, ma semplicemente dal tradimento interno di un esiguo gruppo di sovversivi scontrosi. Tanto forte ed energica seppe essere questa propaganda che, malgrado i reggimenti democratici della Repubblica di Weimar, malgrado la semioccupazione straniera, malgrado il controllo militare, il disastro economico, malgrado il drammatico episodio dell’inflazione, già nel 1919 poté a poco a poco grandeggiare quel movimento imponente della croce uncinata, il quale, nel giro di pochi anni, ed ancor prima del 1939, riuscì a cancellare gli ultimi vincoli del trattato di pace, a liberare la Sarre, ad occupare Austria e Boemia, ad erigersi minaccioso contro tutti nel centro dell’Europa. Chi non ricorda i violenti discorsi hitleriani, esaltanti gli 85 milioni di uomini pronti a muoversi per dare al vecchio continente un assetto sociale per i successivi mille anni? Nessuna meraviglia, dunque, che, malgrado e al disopra del nostro collasso militare, molti ancora in Italia puntassero sulla carta della vittoria tedesca. Le bandiere non garrivano più orgogliose come nel 1940, ma gli eserciti hitleriani tenevano testa su tutti i fronti ed era solo questione di resistere un’ora di più. Si trattava solo di aggiungere alle armi di offesa solo un nuovo ritrovato, che entrambi i contendenti credevano di aver già quasi in pugno e che solo la sorte mise in mano prima agli americani. Ebbene, ammettiamo pure che molti, in buona fede, nel settembre 1943 credessero ancora nella vittoria della Germania e nella convenienza degli italiani a rimanere «fedeli» al di lei fianco. Calco sulla parola «fedeli» per marcare il significato ironico che le attribuisco. Un alleato che ci aveva gettato allo sbaraglio, facendoci entrare di forza, dico di forza, in una guerra sua, al solo ed unico scopo di 10 | avere a propria disposizione una flotta mediterranea, che fronteggias- se la flotta inglese, ed aveva lesinato al nostro esercito proprio i più elementari mezzi di offesa e di difesa, poteva veramente domandare che l’Italia rispettasse ancora nell’autunno del 1943 una parola data da Mussolini senza nessun consenso cordiale ed ideale della nazione? La risposta negativa che viene sulle vostre labbra è quella stessa che salì alle labbra dei partigiani quando essi videro scendere nelle nostre contrade l’esercito hitleriano. Ebbene, lasciate che continui a svolgere la mia ipotesi: se, nel settembre del 1943 avesse avuto in Italia il sopravvento l’opinione e quindi anche l’azione di coloro che puntavano sulla carta tedesca, l’Italia sarebbe oggi divisa in due pezzi come la Germania, la calcherebbero ancora gli eserciti americani e russi, non avrebbe un governo, non avrebbe il diritto di mantenere attive le proprie industrie, si vivrebbe di privazioni, forse un carosello aereo porterebbe le briciole della pietà americana, giorno per giorno inviate agli esausti abitanti di Milano. Ciò che non è stato non si può immaginare, ma questa visione apocalittica di un’Italia ancor oggi invasa e smembrata non è una malvagia presunzione: è, riportato in grande, ciò che sta avvenendo in quella martoriata Venezia Giulia divisa fra anglo-americani e titini, in una parte della quale è stata dichiarata crimine borghese perfino la celebrazione della Pasqua. Ed allora, amici, confrontiamo idealmente tutto questo con la viva realtà: mettiamo a fronte la distrutta Lipsia con questa Milano, che espone dinanzi agli occhi estatici dell’Europa e del mondo, nel trionfo della sua Fiera, le opere egregie delle sue manifatture e il ritmo pulsante dei suoi traffici, e sentiremo il cuore gonfiarsi di riconoscenza verso gli altri, verso coloro che non credettero nella Germania che, messi al bivio fra la via della libertà e quella del servaggio, non esitarono a scegliere la prima: più dura, irta di triboli e di spine, ma sboccante sulla spiaggia radiosa dell’avvenire. Il panorama non cambia se passiamo a considerare, dopo quello più strettamente economico, l’aspetto politico della odierna situazione dell’Italia. | 11 Un governo stabile, l’ordine pubblico saldamente presidiato, relazioni diplomatiche corrette con tutti i Paesi del mondo, iniziative italiane, come quella dell’agganciamento alla Organizzazione per la cooperazione economica europea, del nuovo organismo politico interstatale europeo, che vengono accolte, invito dell’Italia a partecipare a un patto di sicurezza che ci pone al riparo della invasione e della rivoluzione, possibilità per il nostro governo di difendere i più alti interessi del Paese, come quelli coloniali, anche dinanzi a consessi internazionali dei quali ci era stata finora sbarrata strepitosamente ed inesorabilmente la porta di ingresso. Questa Italia operosa e risorgente guardi dunque indietro con animo trepido e grato alla dolorosa, ma ardente epopea conclusa il 25 aprile del 1945 e cosparga di memori fiori le mille e mille tombe di cui è disseminato il cammino della vittoria. Chi ebbe fede nei destini della patria, e ne raccoglie oggi, nella letizia comune, i frutti ricchi di promesse, tende idealmente la mano anche a chi in buona fede ha combattuto sull’altra parte della barricata. Le guerre civili lasciano inesorabilmente una scia dietro di sé, che più facilmente si cancella quando il vincitore trova in sé la generosità di dimenticare. La Pasqua del Signore, che abbiamo celebrato proprio in questi giorni, ci ricordi che siamo tutti figli di un solo padre che compatisce i nostri errori, ma ci illumina e ci sospinge senza violenza, ma anche eliminando gli ostacoli, sulla via del bene. In linguaggio politico questa via del bene si chiama Italia. Per essa abbiamo sofferto, per essa sono caduti i generosi che oggi celebriamo. Assistere alla sua resurrezione economica, morale e politica significa vedere realizzato il loro sogno che, per i morti, fu anche vaticinio e promessa. 12 | 2 | L’Eni e il problema italiano dell’energia Piacenza, 12 settembre 1957, Convegno internazionale tecnico-economico degli idrocarburi Recenti sviluppi nel campo dell’energia Nella mia prolusione al convegno dell’anno scorso mi soffermai a considerare la posizione del gas naturale nell’evoluzione dei consumi di energia in Italia e nel mondo. Nel corso di quest’anno l’attenzione rivolta ai problemi dell’energia, tanto dagli studiosi quanto dagli operatori economici, è ancora aumentata, particolarmente in Europa. Sotto lo stimolo di una previsione di fabbisogni sempre crescenti, i programmi di ricerca e di produzione sono stati quasi ovunque intensificati. Interessanti risultati sono stati conseguiti nel settore del gas naturale. Il recente inizio dello sfruttamento del giacimento di Lacq costituisce un avvenimento importante per la Francia, che vedrà aumentare considerevolmente le sue disponibilità di energia con l’apporto di questa fonte primaria. In Germania, la produzione di gas naturale ha avuto un notevole incremento, principalmente dovuto allo sfruttamento del giacimento di Rehden. Passando all’Est europeo, vanno segnalati i progressi particolarmente rapidi realizzati dall’Unione Sovietica nel campo dell’estrazione e del trasporto del gas naturale; considerevoli sviluppi sono previsti per i prossimi anni in Romania e in Polonia. L’importanza crescente dell’industria del gas naturale è anche sottolineata dall’interessamento che ad essa vanno rivolgendo le organizzazioni internazionali: tanto l’Organizzazione europea per la cooperazione economica quanto l’Economic commission for Europe hanno costituito appositi comitati per lo studio dei problemi tecnici ed economici del gas in generale, dedicando particolare attenzione a quelli specifici del gas naturale. | 13 Anche nel settore del petrolio si sono verificati, durante l’ultimo anno, avvenimenti di estremo interesse. La crisi di Suez ha dato pieno risalto alla fondamentale importanza di questa fonte di energia ed alla necessità di assicurarne il libero afflusso, a prezzi convenienti, ai Paesi consumatori. D’altro lato, vanno posti in rilievo alcuni risultati positivi, quali la scoperta dei campi del Sahara, di indubbia importanza per l’Europa, il promettente sviluppo delle ricerche in Sicilia e gli accordi che l’Ente nazionale idrocarburi ha stipulato nel Medio Oriente. Un anno di attività dell’Eni Ritengo ora opportuno delineare, seguendo una consuetudine già invalsa nei precedenti convegni, i principali progressi dell’attività dell’Eni durante l’ultimo anno. In questo periodo la nostra attività mineraria si è notevolmente estesa, per quanto le aree accordateci in permesso, al di fuori della zona di esclusiva, non raggiungano, né in Sicilia, né nell’Italia peninsulare, un terzo del totale dei permessi e delle concessioni. Su tutte le zone affidate all’ente di Stato si è svolta, e continua a svolgersi, una intensa attività di esplorazione. Gli studi geologici sono ormai pressoché completati, oltre che nella zona di esclusiva, anche nei permessi ottenuti prima del settembre 1956, mentre sono già in fase avanzata nei permessi ottenuti successivamente. Nel 1956 sono stati totalizzati in Italia 197 mesi squadra di prospezioni geofisiche, di cui 88 nella zona di esclusiva, 78,5 nell’Italia centrale e 30,5 in Sicilia. Nei primi sette mesi dell’anno in corso sono stati effettuati in complesso 120 mesi squadra, di cui 51,5 mesi squadra nella Valle Padana, 43 nell’Italia centro-meridionale e 25,5 in Sicilia. L’attività di perforazione svolta nel 1956 sul territorio nazionale si compendia nei seguenti dati: sono stati ultimati 138 pozzi, di cui 57 di esplorazione e 81 di coltivazione, perforando 217.672 m, di cui 14 | 94.089 m a scopo di esplorazione e 123.583 m a scopo di coltivazione. La quota del gruppo Eni sul totale dei metri perforati in Italia corrisponde a circa il 74%. Nei primi sette mesi del 1957 l’Eni ha perforato complessivamente 159.439 m. Nello stesso periodo sono stati completati nella sola zona di esclusiva 68 pozzi, per un totale di 129.828 m, con un aumento del 58% rispetto al corrispondente periodo del 1956. Abbiamo continuato a modernizzare il macchinario impiegato per la perforazione e, in generale, per le operazioni minerarie, ricorrendo largamente alla produzione nazionale in sostituzione di quella di importazione. Nel mese di giugno di quest’anno l’Azienda generale italiana petroli mineraria ha posto in funzione la prima sonda costruita dal Nuovo Pignone: l’esecuzione di un pozzo profondo 3350 m ha consentito di constatare le ottime prestazioni dell’apparecchio. In Sicilia, al pozzo Rosolini 1, è stata sperimentata per la prima volta in Italia, e con esito soddisfacente, una turbotrivella da 10” di fabbricazione francese; un altro esperimento sarà effettuato con una turbotrivella da 7”. Intanto, in un pozzo del campo di Piadena è stato battuto, raggiungendo una profondità di 5251 m, il record mondiale di profondità al di fuori degli Stati Uniti. Le moderne e efficienti attrezzature, l’elevata competenza tecnica e l’appassionato lavoro hanno portato al raggiungimento di notevoli risultati. Nel 1956 sono stati effettuati nella zona di esclusiva parecchi nuovi ritrovamenti. Due di essi hanno portato alla identificazione di due giacimenti, Selva e Minerbio, la cui importanza è stata messa in luce nel corso del 1957. Il più recente ritrovamento è quello di Casteggio, dove il pozzo esplorativo che ha accertato la presenza dello strato mineralizzato ha una capacità di erogazioni di 70-80.000 m3 al giorno. Sempre nella zona di esclusiva, il primo pozzo esplorativo da noi ubicato presso Soncino, nella Bassa Bresciana, ha incontrato uno strato gassifero. È stato pure effettuato un ritrovamento di petrolio presso Busseto. In Abruzzo, nuovi pozzi perforati in località Madonna della Croce e La Plaja hanno permesso di individuare un’estensione della zona minera- | 15 lizzata: attualmente questa zona, che viene denominata campo di Alanno, ci fornisce una produzione complessiva dell’ordine di 150 t al giorno. Una modesta mineralizzazione a gas è stata inoltre rinvenuta presso Jesi. In Sicilia, sempre nel 1956, sono stati effettuati ritrovamenti di petrolio a Gela e di gas naturale a Rizzo. Durante i primi mesi del 1957 è stato perforato nel permesso Enna, che l’Agip mineraria sta esplorando in compartecipazione con la Società navigazione industriale applicazione Viscosa, un pozzo che ha incontrato un orizzonte gassifero, le cui dimensioni sono ancora oggetto di indagini. Nel permesso Noto, nel corso della perforazione del pozzo Rosolini 1, è stata incontrata una formazione dolomitica con impregnazioni di petrolio: nei primi giorni di settembre il pozzo è stato posto in erogazione e, senza pompaggio, sono state estratte circa 15 t di greggio al giorno. Sono ora in corso di allestimento le apparecchiature di pompaggio. La nostra produzione di idrocarburi è in costante progresso. Nel 1956 le aziende Eni hanno prodotto in complesso 4159 milioni di m3 di gas naturale con un incremento di 816 milioni, pari al 24%, rispetto al 1955: questa produzione corrisponde al 93% del totale nazionale. La produzione di idrocarburi liquidi e liquefacibili è stata del 17% superiore a quella dell’anno precedente. Nei primi sette mesi di quest’anno sono stati prodotti 2647 milioni di m3 di gas, con un aumento del 14% rispetto al corrispondente periodo del 1956. Per l’intero anno 1957 si prevede che la produzione raggiungerà i 4700 milioni di m3. La produzione di idrocarburi liquidi e liquefacibili, di 111.000 t nei primi sette mesi del 1957, ha segnato un aumento del 49% rispetto ai primi sette mesi del 1956. Ciò è dovuto principalmente allo sviluppo del campo di Alanno ed all’entrata in produzione del pozzo di Gela numero 1, dal quale solo si ricavano attualmente circa 200 t di greggio al giorno. I pozzi di Gela numeri 2 e 3, recentemente completati, hanno dimostrato anch’essi una capacità produttiva almeno dello stesso ordine di grandezza di quello del numero 1; è pertanto da prevedere che le quantità estratte aumenteranno notevolmente. Tra i lavori di sviluppo dei giacimenti recentemente scoperti hanno 16 | particolare importanza quelli in corso nel campo gassifero di SelvaMinerbio, dal quale si prevede di estrarre nel 1958 circa 1,5 milioni di m3 al giorno. Nel campo petrolifero di Gela sono attualmente in perforazione quattro pozzi; una quinta sonda sta per entrare in funzione. Il centro provvisorio di raccolta del petrolio, capace di ricevere e smistare mediante autotreni cisterna 400 t al giorno, sarà sostituito da un altro, in via di allestimento, che avrà una capacità di stoccaggio di 8000 t circa. Esso sarà collegato con oleodotti ai vari pozzi e verrà dotato di impianti di riscaldamento e di separazione gas-olio-acqua per il trattamento, in una prima fase, di 2000 t giornaliere di greggio. È continuato lo sviluppo della rete di trasporto e di distribuzione del gas nella Valle Padana: alla fine del 1956 essa raggiungeva la lunghezza di 4355 km, maggiore del 7% di quella dell’anno precedente. Mentre si potranno avere in futuro cospicui incrementi relativi delle reti di distribuzione urbana, si debbono prevedere soltanto sviluppi limitati della rete di trasporto della Società nazionale metanodotti, che ha raggiunto ormai una struttura quasi definitiva, capace di rispondere alle esigenze del servizio anche per volumi di gas superiori a quelli attuali. Infatti nel gennaio 1957, in relazione alle note difficoltà di rifornimento di combustibili liquidi, la rete ha potuto far fronte ad una punta massima di erogazione giornaliera di circa 17 milioni di m3. Continuano i lavori di miglioramento della rete e dei relativi impianti di compressione e decompressione, e gli allacciamenti dei nuovi giacimenti ai metanodotti dorsali. Le grandi utenze (imprese industriali e comuni) sono aumentate da 1680 al 30 giugno 1956 a 1781 al 30 giugno 1957. Le utenze domestiche allacciate alle reti urbane, alimentate parzialmente o integralmente a metano, erano, alla fine del 1956, più di 1.600.000; di esse circa 230.000 erano servite con metano puro. Il loro numero è in costante aumento a mano a mano che la metanizzazione si estende a nuovi centri. Al termine del primo semestre 1957, le utenze domestiche rifornite direttamente da aziende del gruppo erano 21.816. Sul finire dell’anno scorso sono entrati in esercizio gli impianti di Forlimpopoli, Alfonsine, | 17 e Massa Lombarda della Metano Città; la stessa società ha posto in esercizio nel primo semestre di quest’anno l’impianto di Fusignano, mentre stanno per essere completati quelli di Conselice e di Lugo. Il settore di utilizzazione che nel 1956 ha registrato il maggiore incremento rispetto all’anno precedente (+41,2%) è stato quello degli usi domestici e civili che, in volume, sono stati pari al 9,8% del gas complessivamente erogato, contro l’8,6% nel 1955. Alla fine del primo semestre 1957 tale percentuale era ulteriormente salita all’11%. Anche i consumi di gas per trasformazioni chimiche, che nel 1956 hanno costituito l’8% dei consumi totali, sono destinati ad aumentare fortemente soprattutto per l’entrata in attività del grande complesso petrolchimico dell’Azienda nazionale idrogenazione combustibili a Ravenna, prevista per la primavera del 1958. I progressi delle utilizzazioni domestiche e chimiche sottolineano l’evoluzione dei consumi verso gli impieghi che realizzano il massimo rendimento dal punto di vista tecnico e da quello del valore d’uso, unitamente considerati. La crescente domanda di energia in Italia Nel 1956 la quota dei consumi globali di energia coperta dal gas naturale ha continuato ad aumentare, passando dall’11% al 13%, grazie ad un tasso di incremento della produzione maggiore di quello, peraltro assai sostenuto, della domanda nazionale di energia. Anche i consumi di combustibili liquidi hanno ulteriormente aumentato il loro peso sul consumo globale dell’energia, di cui hanno rappresentato il 36% nel 1955 e il 38% nel 1956. Ci troviamo nel pieno di una radicale evoluzione del bilancio dell’energia, caratterizzata da una profonda modificazione della struttura dei consumi e da un rapido aumento del loro ammontare complessivo. Per cogliere il senso di questo aumento, è opportuno esaminare brevemente il rapporto che corre tra la dinamica della domanda di energia e quella del reddito nazionale espresso in termini reali. Dal 1938 ad oggi possiamo distinguere due fasi. Nella prima, che 18 | va dal 1938 al 1950, comprendente il periodo bellico e quello della ricostruzione, il tasso medio di incremento annuale dei consumi di energia risultò pari soltanto allo 0,50%, mentre quello del reddito raggiunse l’1%. Nella seconda fase, di forte espansione economica, che ha avuto inizio nel 1950, l’aumento annuo medio del reddito nazionale, pur raggiungendo, tra il 1950 e il 1956, il valore eccezionale del 7%, è restato inferiore al tasso annuale di incremento dei consumi di energia, salito al 9,5%. Numerosi fattori concorrono a spiegare questa netta modificazione del rapporto tra i due tassi. Per esempio, è evidente che il periodo bellico segnò un’espansione delle attività artigianali, che presentano un basso grado di intensità dei consumi di energia; e che, durante la fase della ricostruzione, il rinnovamento e l’ammodernamento degli impianti e dei processi produttivi consentì grandi progressi nei rendimenti energetici, e quindi cospicue economie nella erogazione delle fonti primarie di energia. Fattori, questi, che non agirono, o agirono meno intensamente, nel periodo successivo, nel quale l’aumento del consumo di energia per unità di reddito è stato essenzialmente causato dalla rapida espansione dei settori economici ad alta densità di consumi di energia, come le industrie elettrochimiche, le industrie siderurgiche e metallurgiche, quelle dei materiali da costruzione e i trasporti. Anche la rapida espansione dei consumi di energia per usi domestici ed agricoli ha contribuito ad imprimere alla domanda italiana totale di energia l’eccezionale slancio di questi ultimi anni. Se dall’esame delle tendenze passate ci volgiamo a considerare il probabile corso dell’evoluzione futura, ci troviamo di fronte a numerosi problemi legati tra loro in un sistema di interdipendenze talmente complesso da rendere difficile un’accurata previsione. Una conseguenza di tali difficoltà è che le previsioni del fabbisogno di energia sono soggette a continue revisioni: in pratica, esse si sono rivelate quasi sempre errate per difetto. Tra le più autorevoli formulate in quest’ultimo periodo, quella dei tre saggi dell’European atomic energy community, relativa al fabbi- | 19 sogno italiano di energia nel prossimo ventennio, parte dall’ipotesi che tanto il prodotto lordo nazionale quanto i consumi di energia si sviluppino ad un tasso del 4% all’anno. L’ipotesi sullo sviluppo del reddito sembra tutt’altro che irreale, soprattutto se considerata alla luce degli obiettivi fissati allo sviluppo economico italiano dal piano Vanoni. Quanto alla seconda ipotesi, invece, essa è in contrasto con l’esperienza degli ultimi sei anni, durante i quali, come abbiamo visto, i consumi di energia sono aumentati in misura più che proporzionale agli aumenti del reddito. Il rapporto tra i due aumenti, che è stato in media di 1,4 tra il 1950 e il 1956, dovrebbe scendere, secondo gli esperti dell’Euratom, a 1: una modificazione di questa ampiezza può essere determinata soltanto da forti progressi nel rendimento energetico, nel rapporto cioè tra l’energia lorda impiegata e l’energia netta disponibile per gli utilizzatori finali. Ora, è certo che tali possibilità esistono grazie al continuo perfezionamento tecnologico dei processi produttivi; ma è anche vero che altri fattori possono influire sul rapporto tra energia e reddito in senso contrario: l’espansione dell’industrializzazione (e in particolare dei settori ad elevata densità di energia), lo sviluppo dei trasporti, l’inurbamento delle popolazioni agricole, la meccanizzazione dell’agricoltura eccetera. Sulla base, dunque, delle ipotesi degli esperti dell’Euratom, il fabbisogno italiano di energia, che nel 1956 è stato pari a 52 milioni di t di carbone equivalente, dovrebbe toccare 76 milioni di t nel 1965 e 110 milioni di t nel 1975. Attualmente la produzione italiana complessiva di fonti di energia può essere ragguagliata a circa 22 milioni di t di carbone equivalente, e copre il 42% dei fabbisogni nazionali di energia. La differenza tra i 110 milioni di t che saranno necessari nel 1975 e i 22 milioni che attualmente produciamo dà la dimensione del problema italiano dell’energia nei prossimi due decenni. Per risolvere questo grave problema senza compromettere la nostra bilancia valutaria è necessario concentrare gli sforzi in tre direzioni principali: aumentare la produzione italiana di 20 | fonti di energia «tradizionali» (cioè, dati i limiti tecnico-economici della produzione idroelettrica e quelli della modesta produzione carbonifera, specialmente la produzione di idrocarburi); sviluppare una grande industria atomica nazionale; sviluppare una nostra produzione di idrocarburi anche al di fuori dei confini nazionali. Il contributo dell’Eni Lungo queste tre direzioni principali si articola già attualmente, e si svilupperà in avvenire, l’attività dell’Eni, impegnato a rafforzare il suo contributo, già oggi rilevante, alla copertura del fabbisogno italiano di energia. L’impegno di sviluppare al massimo la produzione nazionale di idrocarburi, cui l’Eni ha contribuito nel 1956 per l’84% del totale, sarà mantenuto negli anni futuri compiendo il massimo sforzo sia nell’area di esclusiva, sia nelle altre aree del territorio peninsulare ed insulare cui le operazioni del gruppo si sono progressivamente estese man mano che si ottenevano i permessi richiesti. Già nel piano quadriennale di investimenti, presentato dall’Eni lo scorso anno al comitato dei ministri per lo sviluppo dell’occupazione e del reddito, veniva data grande importanza allo sviluppo di tutte le attività del gruppo nell’Italia centro-meridionale. Tuttavia, secondo le disposizioni della legge che regola i provvedimenti per il Mezzogiorno, approvata nel luglio scorso, la quota da riservare al Sud sugli investimenti effettuati dagli enti e aziende pubbliche non può essere inferiore al 60% degli investimenti per nuovi impianti e al 40% degli investimenti totali. È evidente che, fermi restando i programmi di investimenti da effettuare nella zona di esclusiva, dei quali non è possibile prevedere una riduzione, tale disposizione implica la necessità di aumentare gli investimenti nelle zone meridionali in misura tale da conseguire il rapporto dettato dalla legge. È peraltro da presumere che la redditività dei nuovi investimenti nel Sud sarà più che soddisfacente, date le promettenti prospettive della ricerca in quelle zone. Rientrano in questa linea i recenti accordi conclusi dall’Eni con la regione siciliana, riguardanti la concessione di 180.700 ha suddivisi | 21 in otto permessi di ricerca, che saranno trasferiti a due società appositamente costituite dall’Agip mineraria e da essa controllate. Dopo l’eventuale ritrovamento di idrocarburi da parte di ciascuna di queste società, la regione siciliana potrà acquistarvi una quota di partecipazione fino al 25% del capitale; cosicché gli utili corrispondenti si aggiungeranno alle normali royalties. Le condizioni offerte dall’Azienda dello Stato sono evidentemente, per la regione, molto più vantaggiose di quelle in vigore con le società private. Alcune di queste ultime, inoltre, sono impegnate a pagare royalties minori di quelle cui è impegnato l’Eni. Fin dal dicembre dell’anno scorso, con la costituzione dell’Agip nucleare, l’Eni si è preoccupato di rispondere concretamente alla seconda istanza fondamentale: quella di contribuire allo sviluppo, nel nostro Paese, di una grande industria atomica. La nuova società, organizzati in pochi mesi i suoi quadri e definiti i programmi, ha già concluso con la compagnia americana Vitro e con la Commissione britannica per l’energia atomica accordi di considerevole importanza, non solo per il loro obiettivo immediato (lo studio e la progettazione di due centrali nucleari di grande potenza) ma anche perché, attraverso essi, potremo avvalerci di una ricca gamma di esperienze tecniche, per porre la premessa di una futura indipendenza del nostro Paese in questo campo. Può certamente sembrare più comoda la decisione, da altri adottata, di acquistare direttamente all’estero i reattori e tutte le apparecchiature necessarie. L’Eni, invece, considera suo dovere puntare direttamente sull’indipendenza del nostro Paese in campo nucleare: e già la progettazione dei due primi impianti prevede il più ampio impiego possibile di prodotti dell’industria nazionale. Il terzo elemento di un programma che miri ad assicurare all’Italia un alto grado di sicurezza e di convenienza economica nell’approvvigionamento di fonti di energia è la ricerca petrolifera all’estero. Si tratta di attività che tutti i maggiori Paesi industriali, ad esempio Stati 22 | Uniti, Inghilterra, Francia, Belgio, Olanda, hanno intrapreso. Ho già avuto occasione altre volte di insistere su un punto che mi sembra ovvio: il petrolio va cercato dove esistono maggiori probabilità di trovarlo a condizioni economiche vantaggiose. E sono note le possibilità che si schiudono alla ricerca petrolifera nei territori del Medio Oriente. Nell’assumere iniziative in questo campo, siamo pienamente coscienti, non soltanto della serietà dell’impegno finanziario, tecnico, organizzativo che graverà sulle aziende del gruppo, ma anche delle nuove responsabilità di cui l’Eni verrà investito e delle loro implicazioni per la politica nazionale dell’energia e per il tradizionale assetto dell’industria petrolifera internazionale. Le iniziative in questo campo risultano pienamente giustificate da molteplici considerazioni. È chiara, in primo luogo, la necessità di garantire un rifornimento diretto degli ingenti quantitativi di petrolio greggio occorrenti alla nostra economia, senza gravare in modo intollerabile sulla bilancia valutaria e, possibilmente, a prezzi migliori degli attuali; senza contare poi la prospettiva, anche più brillante, di entrare nel mercato mondiale come venditori. Infine, oltre ai vantaggi diretti e immediati, la partecipazione italiana alla produzione petrolifera estera produce numerosi vantaggi indiretti, con l’attivazione di correnti di scambio e la creazione di nuove occasioni per il nostro lavoro. L’Eni, con la sua organizzazione integrata, si rivela un prezioso strumento per la realizzazione di tali vantaggi: esso può impiegare a tale scopo l’imponente potenziale di mezzi e di competenza accumulato pur continuando a intensificare la sua attività mineraria nel territorio nazionale; e può assicurare, come ha già cominciato a fare, importanti sbocchi alla esportazione, specie nel settore meccanico, non solo alle aziende del gruppo, ma a tutta l’industria nazionale. Gli inizi di questa attività sono del resto più che soddisfacenti. In Egitto, dai giacimenti di El Belayim e di Abu Rudeis si ottengono ora 3500 t di greggio al giorno, e il ritmo della produzione è in continuo aumento. Si prevede che nel 1958 la produzione raggiungerà i 2 milioni di t, di cui una parte notevole sarà disponibile per il consumo italiano, dopo aver soddisfatto il fabbisogno egiziano. | 23 Già dalla fine di giugno hanno cominciato ad affluire nei porti italiani i carichi di petrolio estratto dall’Eni in Egitto, per un ammontare complessivo di circa 50.000 t mensili; e non è lontano il giorno in cui questa fonte rappresenterà un importante contributo alla copertura dei fabbisogni petroliferi del nostro Paese. Forse anche più vaste possibilità ci offre la combinazione raggiunta in Iran. Gli uomini e i mezzi sono pronti per l’immediato inizio delle esplorazioni, che cominceranno dalla fase del rilevamento geologico, con l’ausilio della fotogeologia aerea, per passare poi ai rilevamenti geofisici. È attualmente in allestimento un impianto per perforazioni sul fondo marino, che potrà essere impiegato sia nel Golfo Persico, sia nella piattaforma continentale. Iniziative di questo tipo verranno intraprese dalle aziende del gruppo anche in altri Stati e territori, nell’esclusivo interesse del nostro Paese, ogniqualvolta se ne presenterà l’occasione e la convenienza. Per dare tutto il loro frutto, imprese di questa portata debbono essere condotte e sostenute da una organizzazione agile ed efficiente, che le inquadri armonicamente nel complesso delle iniziative intese a realizzare una politica nazionale dell’energia. L’organizzazione che è stata costruita quasi dal nulla negli ultimi dodici anni offre garanzie di costituire una solida base per le attività intraprese. I progressi finora realizzati le hanno consentito di dare un valido contributo allo sviluppo del reddito nazionale senza gravare sulle finanze statali, anzi, con profitto del Tesoro, cui l’Eni ha versato, nel 1956, il 65% dei suoi utili, per circa 3 miliardi di lire. L’Eni oggi dispone dei mezzi tecnici, degli uomini, del credito; dispone, nonostante le opposizioni e le astiose polemiche, del prestigio necessario. Nella sua stessa struttura di grande complesso industriale articolato e integrato, esso fornisce al tempo stesso l’occasione e lo strumento per coordinare tali attività, svolte nei campi più diversi, in una politica dell’energia che assicuri il progresso economico del nostro Paese. 24 | 3 | [Sulla decolonizzazione degli Stati e dell’economia] Tunisi, 9-10 giugno 1960 I o sono qui per rispondere al vostro appello d’investimenti e per aiutarvi nella lotta contro il sottosviluppo. Non ho paura della guerra in Algeria. Non ho paura della decolonizzazione. Io credo alla decolonizzazione non solo per ragioni morali di dignità umana, ma per ragioni economiche di produttività. Senza la decolonizzazione non è possibile suscitare nei popoli afroasiatici le energie, l’entusiasmo necessario alla messa in valore dell’Africa e dell’Asia. Ora le ricchezze dell’Africa e dell’Asia sono immense. La geografia della fame è una leggenda: è legata solo alla passività, all’inerzia creata dal colonialismo nelle popolazioni autoctone. Faceva comodo al colonialismo incoraggiare la fatalità, la rassegnazione. Io leggo sempre i vostri discorsi e quello che più mi ha colpito è la lotta contro la fatalità e la rassegnazione. Ho lottato anch’io contro l’idea fissa che esisteva nel mio Paese: che l’Italia fosse condannata ad essere povera per mancanza di materie prime e di fonti energetiche. Queste fonti energetiche le ho individuate e le ho messe in valore e ne ho tratto delle materie prime. Ma, prima di far tutto questo, ho dovuto fare anch’io della decolonizzazione perché molti settori dell’economia italiana erano colonizzati anzi, direi, che la stessa Italia meridionale era stata colonizzata dal Nord d’Italia! | 25 Il fatto coloniale non è solo politico: è anche, e soprattutto, economico. Esiste una condizione coloniale quando manca un minimo d’infrastruttura industriale per la trasformazione delle materie prime. Esiste una condizione coloniale quando il giuoco della domanda e dell’offerta per una materia prima vitale è alterato da una potenza egemonica: anche privata, di monopolio e di oligopolio. Nel settore del petrolio questa potenza egemonico-oligopolistica è il cartello. Io lotto contro il cartello non solo perché è oligopolistico ma perché è malthusiano, e malthusiano ai danni dei Paesi produttori come ai danni dei Paesi consumatori. Il cartello è anglosassone, ma io non sono contro il mondo anglosassone. Gli indipendenti americani sono miei amici e hanno molto peso in America e ne avranno ancora di più se ci sarà in America a novembre una amministrazione. Io ho ristabilito la legge della domanda e dell’offerta perché ho tagliato tutti i nodi gordiani, tutte le strozzature («goulots d’étranglement») alla produzione, al trasporto, al raffinaggio, alla distribuzione. Ho visto diminuire la benzina in Italia a 100 lire al litro facendo risparmiare miliardi al consumatore italiano. Voglio far risparmiare anche gli altri se si associano con me. Associandomi con voi tengo conto che voi avete oggi l’interesse di un Paese consumatore ma domani («inshallah») di un Paese produttore. Il cartello vi può creare una raffineria, ma sarà una ciste («un kyste») nel vostro corpo economico. Non vi farà male ma non vi farà neanche bene. «Moi, en tout cas, je ne veux pas “m’enkyster” dans votre corps économique». Io voglio creare qualcosa di più di una raffineria: voglio creare 26 | un polo di sviluppo economico nel Sud tunisino. Voi mi avete chiesto delle pompe di benzina Azienda generale italiana petroli: io vi ho offerto una rete di stazioni di servizio e di motel che vi risolverà il problema turistico. Voi mi avete chiesto di farvi una raffineria ed io vi offro una industria petrolchimica. Ma vi offro anche un mercato per l’eccedente della vostra produzione e vi offro soprattutto la parità, la cogestione, la formazione di una élite tecnologica perché non siate il ricevitore passivo di una iniziativa straniera, ma siate soggetto non oggetto di economia. Io avrò delle critiche in Italia (perché non una raffineria in Sicilia?) e voi subirete delle pressioni angloamericane. Non lasciatevi spaventare. Io non mi sono spaventato; il Marocco non si è spaventato. Non spaventatevi neanche voi. | 27 4 | Una promessa in Sicilia Gagliano Castelferrato (EN), 27 ottobre 1962 M attei: «Prima di tutto desidero ringraziarvi di questa calda accoglienza che abbiamo ricevuto, qui, nel vostro paese. Oggi si affacciano alla mia memoria quegli anni che possiamo considerare lontani, dell’immediato dopoguerra, quando nessuno credeva alle reali possibilità del nostro sottosuolo. «Noi cominciammo una lotta dura, fra l’ostilità di coloro che non credevano a queste possibilità del nostro Paese, poi giungemmo alle scoperte della Valle Padana che hanno rivoluzionato, come diceva poco prima il vostro onorevole Lo Giudice, la Valle Padana e l’Alta Italia. «Quando chiedemmo di venire in Sicilia, trovammo che non eravamo di moda: allora erano in un momento favorevole tutte le compagnie petrolifere straniere. Io debbo ringraziare la regione siciliana di averci dato tutto quello che in pratica era rimasto, che gli altri non avevano scelto. Volevamo dimostrare anche alla Sicilia quello che potevano veramente fare gli italiani, gli italiani che si rendevano conto di quello che poteva significare questo tipo di progresso per la Sicilia. «Vennero i nostri primi geologi e gli scienziati, le prime squadre cominciarono il lavoro, svolto tra l’incredulità ed una certa ostilità. Arrivammo al rinvenimento del petrolio di Gela: a Gela oggi sta sorgendo un enorme complesso. «Il vostro presidente [Giuseppe D’Angelo, N.d.C.] ieri ci ha onorato di una visita e si è reso conto di che cosa si può fare in Sicilia. Il nostro ringraziamento va a tutti i nostri scienziati, ai nostri operai, 28 | ai nostri tecnici, a tutti coloro che giornalmente si impegnano nella dura fatica di trovare nelle viscere della vostra terra le ricchezze che vi sono nascoste. Avete visto con quanto impegno ci siamo messi in questa impresa: momenti di attesa, di speranza, di lavoro duro, di polemiche ideologiche contro di noi. Siamo arrivati a scoprire il metano anche a Gagliano: di questo ringraziamo il Signore Iddio, perché gli uomini possono stabilire con i loro mezzi se ci sono le condizioni favorevoli, ma è solo l’aiuto divino che può far arrivare gli uomini a dei successi. Le risorse e le riserve che sono state messe alla luce sono importanti, però probabilmente lo saranno ancora di più perché prosegue il lavoro di ricerca dei nostri tecnici. «Noi siamo convinti che la vostra terra conserva ancora beni nascosti, perciò noi siamo impegnati con tutti i nostri uomini. Dovete ringraziare veramente il vostro presidente per quello che ha fatto per questo paese, per questa provincia povera. Amici miei, anche io vengo da una provincia povera, da un paese povero come il vostro. Pure oggi c’è qua della nostra gente, io sono marchigiano, quelli sono paesi poverissimi, che viene a lavorare in Sicilia: perché prima di qui, in Alta Italia e nel Centro Italia, abbiamo fatto ricerche minerarie come queste, e quindi abbiamo creato le scuole, abbiamo creato gli uomini che operano in Sicilia e pensiamo di mandare anche siciliani in altre zone d’Italia. Poi, con le riserve che sono state accertate, una grande ricchezza è a disposizione della Sicilia. «Amici miei, noi non vi porteremo via niente. Tutto quello che è stato trovato, che abbiamo trovato, è della Sicilia, e il nostro sforzo è stato fatto per la Sicilia e per voi. «Giustamente il vostro presidente diceva che noi non abbiamo nessun profitto personale. È vero: noi lavoriamo per convinzione. Con la convinzione che il nostro Paese, e la Sicilia, e la vostra provincia possano andare verso un maggiore benessere; che ci possa essere lavoro per tutti; e si possa andare verso una maggiore dignità personale e una maggiore libertà. «Amici miei, io vi dico solo questo: noi ci sentiamo impegnati con voi per quanto c’è da fare in questa terra. Noi non portiamo via | 29 il metano; il metano rimane in Sicilia, rimane per le industrie, per tutte le iniziative, per tutto quello che la Sicilia dovrà esprimere». (Dalla piazza una voce interrompe): «Così si può levare questa miseria di Gagliano». (Rivolgendosi all’anonimo) «Amico mio, io non so come lei si chiami, ma anch’io ero un povero come lei; e anch’io ho dovuto emigrare perché il mio paese non mi dava lavoro; sono andato al Nord, e adesso dal Nord stiamo tornando al Sud con tutta l’esperienza acquistata. Noi ci impegniamo con le nostre forze, con le nostre conoscenze, con i nostri uomini, a dare tutto il nostro contributo necessario per lo sviluppo e l’industrializzazione della Sicilia e della vostra provincia. «Io vi devo chiedere, come ho già chiesto al sindaco, scusa di non essere venuto prima. Ma sono gli impegni che abbiamo in tutto il mondo: ci sono 50.000 persone che oggi operano in questo gruppo; e su 50.000 persone ci sono 1600 ingegneri, 3000 periti industriali e geometri, 2000 dottori in chimica e in economia, 300 geologi, decine di migliaia di specialisti che si muovono in tutto il mondo. E tutto questo porta lavoro, porta responsabilità, porta un grande impegno; ma io conoscevo esattamente la situazione di Gagliano, delle sue riserve, di questo lavoro, delle possibilità che esistono per l’avvenire. Le abbiamo seguite giorno per giorno, con ansia, e qualche volta, molte volte, ne eravamo felici. Ora su questo si deve innestare un successivo lavoro, si devono innestare industrie che dovranno portare in questa zona benessere e ricchezza. Noi ci impegniamo insieme con voi, con tutti. «Potete contare sulla nostra opera, come avete potuto contare su tutto quanto abbiamo compiuto fino ad oggi senza che ci fosse stato richiesto. L’abbiamo compiuto perché sapevamo, se arrivava il successo, di poter raggiungere dei risultati che cambiano la fisionomia della vostra regione. E noi andremo avanti in questo, seguiteremo il nostro lavoro di ricerca perché più risorse vengano reperite, queste 30 | risorse sono tesori. «I tesori non sono i quintali di monete d’oro, ma le risorse che possono essere messe a disposizione del lavoro umano. «Amici, desidero ancora ringraziarvi per queste vostre accoglienze che io sapevo mi avreste fatto, ma non così calorose come invece ho trovato, perché so che vi rendete conto dello sforzo che abbiamo compiuto e di ciò che vi portiamo, e quindi fra di noi non poteva esserci che simpatia e fiducia. «Sapevo che un giorno sarei venuto in mezzo a voi, che voi mi avreste guardato con simpatia e con affetto. Abbiamo discusso, con i vostri rappresentanti, dei vostri problemi, molti dei quali non sono che problemini. Non assorbiremo settanta persone, ma tutti coloro che potrete darmi, tutti, e sarà necessario che tornino molti di quelli che sono andati all’estero perché a Gagliano avremo bisogno anche di loro. Noi non vi porremo dei limiti. Noi vogliamo solo stabilire una collaborazione che duri sempre. C’è una scuola di qualificazione da fare? Mi darete il vostro contributo indicandomi i corsi che dovranno essere istituiti. Sono piccoli problemi: l’importante è questa enorme massa di risorse che da oggi è messa a disposizione della Sicilia, e sulla quale si potrà e si dovrà costruire, se ci sarà l’impegno di tutti». | 31