ENRICO MATTEI
SCRITTI E
DISCORSI
1945–1962
raccolta integrale dall’archivio storico eni
Un vero e proprio secondo Rinascimento
di Mario Pirani
«V
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Copertina
Davide Vincenti
Progetto Grafico
Pagliardini Associati srl
ogliate perdonarmi se sarò costretto a parlarvi in modo
scarno e dimesso». Così esordì in uno dei suoi discorsi
più esplicitamente politici, confessando che i suoi ascoltatori, «i cittadini della nobile terra di Busto Arsizio», avrebbero meritato un oratore più efficace ed eloquente. Correva l’anno 1952 e un
incipit di tanta esplicita modestia oratoria suonava come una confessione inaspettata da parte di un personaggio che già primeggiava
nel panorama della nuova Italia repubblicana. Eppure era un discorso
veritiero che, paragonato allo sbrodolarsi negli anni a venire della
retorica pubblica, ci fornisce una spietata chiave di paragone tra la
classe dirigente che veniva allora formandosi e le coorti di portaborse,
affaristi, organizzatori interessati del consenso che sarebbero loro subentrati qualche decennio dopo con tutta la boria di una generazione
senza arte né parte e, soprattutto, senza pudore. Per questo analizzare
quel discorso non è inutile. È infatti questo, forse, l’unico tentativo
del fondatore dell’Eni di uscire dal suo ruolo di grande imprenditore
pubblico per presentarsi come uno dei costruttori di una nuova Italia,
ispirata ai principi di un grande partito di massa, fortemente consapevole del suo ruolo storico. Dirà cose che non ripeterà mai più, ma che
lo studioso non potrà cancellare e disconoscere.
Parole semplici, ma segnate dalla sincerità. «Io sono venuto alla
politica occasionalmente, dal lavoro industriale e dalla guerra partigiana, e mi manca quella scaltrita parola che con la forma afferra
i cuori e le menti. A mio modo di vedere, la lotta che ci prepariamo
a sostenere per dare nuovi quadri alle amministrazioni provinciali
e comunali pone alla coscienza di ciascuno di noi un problema che
si presenta per gradi e si risolve in modo unico ed inesorabile nel
suo schematismo più crudo. Io sono convinto che è dovere di tutti | 3
gli elettori, uomini e donne, di accorrere alle urne e che infine fra
tutte le scelte programmatiche teoricamente possibili una soltanto
si impone ed è quella della Democrazia cristiana.» A coronamento
del discorso il Presidente dell’Eni pone l’opera di ricostruzione della
DC: gli investimenti nel Sud, la Cassa del Mezzogiorno, la riforma
agraria, lo sviluppo edilizio. Insomma l’Italia del “miracolo economico”. La certezza di un futuro non è apparsa mai così limpida
agli italiani: «questa terra attende una lunga pace, che le permetta
di ricostituirsi nella sua compagine economica e nella sua saldezza
spirituale». Parole che non ascolteremo più così ferme, certe, intrise
di speranza per molti decenni.
Mattei non amava parlare in pubblico. Eppure, soprattutto
quando entrava nel merito dei risultati che Eni aveva raggiunto,
si animava e i discorsi filavano precisi e veloci, senz’altro pieni di
passione. Ricordava tutto dell’azienda di cui era presidente: numero
di nuovi assunti, chilometri di metanodotti, benzina venduta, metri
quadrati di terreno acquistati, prezzi del gas, stazioni di servizio,
motel. E volentieri li ricordava in occasione dei frequenti incontri
che, per vari motivi, faceva con il personale Eni: ricorre, in questo
gruppo di discorsi, la parola “famiglia” riferita all’azienda. Un vezzo
tutto matteiano di indicare il legame profondo che univa i dipendenti al progetto del loro leader.
Ascoltandolo si aveva la sensazione che tutto fosse sotto il suo
controllo, come in effetti era. Sceglieva tra i suoi più stretti collaboratori quello che di volta in volta, sulla base della propria competenza, doveva scrivergli il discorso. E poi rileggeva, correggeva,
inseriva nuove idee, fino ad arrivare all’ultima stesura.
I discorsi si faranno con gli anni più articolati.
La funzione più composita delle alleanze si farà sentire grazie
all’apporto dell’intellighenzia alla definizione di una linea politica
dell’Eni, certamente più duttile di quella che si esprimeva nel 1952.
La visione del Risorgimento come prodromo della Resistenza sta4 | bilisce quel collegamento che salderà storicamente i due momenti
basilari della storia d’Italia. «È legittimo affermare», sostiene Mattei
nel suo discorso celebrativo dell’anniversario della Liberazione del
25 aprile 1961, «che il Risorgimento italiano si distingue dagli altri
moti di indipendenza sviluppatisi nel secolo diciannovesimo, per il
suo carattere di sereno e illuminato spiritualismo, profondamente
nutrito dall’ideale della libertà. Il processo unitario italiano non fu
infatti un fenomeno politico e militare, ma una originale rielaborazione dei principi essenziali della civiltà europea quali si erano
andati preparando e maturando nelle più illuminate coscienze.»
«Partigiani e patrioti della Resistenza, noi sentiamo di dover rimeditare l’affermazione, più volte espressa, che questa fu il naturale
e legittimo proseguimento del Risorgimento, o anche un vero e proprio secondo Risorgimento. L’anelito di libertà che guidò le gesta dei
padri che fecero l’Italia fu anche il nostro anelito, che da una parte
giustificò, dall’altra fuse insieme, in un valido blocco di energie, i
diversi gruppi, le correnti ed i movimenti ideologici che si batterono
contro il fascismo ed il nazismo.»
Se ci si libera dall’afflato retorico, tipico delle orazioni celebrative, e si guarda alla sostanza del discorso matteiano, ne ricaviamo
una linea politica che si snoda attorno al paradigma che accompagnerà per anni la discussione sul valore unitario della Resistenza, sulle sue radici risorgimentali, sul mantenersi o meno in vita
di quell’arco costituzionale attorno a cui si consolidò, si ruppe e
riprese più volte, una difficile dialettica, quella del rapporto tra il
cattolicesimo più avanzato e una sinistra segnata da un riformismo
incompiuto. Il terrorismo, l’assassinio di Moro, la caduta dell’Urss,
il tentativo di rinascita dei postcomunisti ne segnarono i momenti
di acme.
Il rapporto di solidarietà tra movimento partigiano e le nuove democrazie che sorgono nel Terzo Mondo porterà Mattei a dire:
«Dobbiamo quotidianamente confermare e approfondire in noi la
coscienza dei grandi problemi del mondo attuale, per contribuire
concretamente alla loro soluzione. In verità, le esigenze che sem- | 5
bravano proprie solo del nostro Paese e dei Paesi impegnati nella
lotta di Liberazione sono divenute oggi problemi di altre nazioni;
popoli nuovi si sono messi in movimento in tutti i continenti. Se
non vogliamo che l’anelito di libertà venga frustrato a vantaggio
delle tirannidi e delle dittature, che si sforzano di coartare e piegare
le coscienze degli uomini, non possiamo non tenere conto di questo
ampliamento di prospettive e di orizzonti.»
Vi sono altri due passaggi che meritano di venir ripresi perché
li ritroveremo nel percorso storico che ci accompagnerà negli anni a
venire. Il primo riguarda i caduti di Cassino evocati il 25 aprile 1956
da Mattei: «Là, ove caddero i primi combattenti del corpo italiano
della Liberazione, è stata chiamata la bandiera del Corpo Volontari
della Liberà che idealmente rinnova l’incontro fra le forze armate
che combatterono al Sud a fianco degli alleati e quelle partigiane
che, spontaneamente, si costituirono nel Nord, seguendo il punto
d’intesa di tutta la nazione. A Cassino, a Montelungo e a Montecamino il simbolo dell’esercito volontario dei partigiani si associa
alla bandiera dell’esercito italiano a significare la comune vittoria
del 25 aprile.»
Queste posizioni stanno a significare la consapevolezza raggiunta dall’Eni nel declinare una politica internazionale estesa a tutto il Terzo Mondo con espliciti punti di riferimento a Washington,
alle Nazioni Unite, alla Cina e naturalmente all’Unione Sovietica.
Dai primi pozzi nella Val Padana si passa, quindi, ad un sistema
di alleanze e scambi commerciali che si allarga alle più vaste aree
mondiali, facendo ruotare gli interessi italiani ben oltre i confini del
1945. La bandiera col cane a sei zampe finisce per svettare assieme
al Tricolore con una compenetrazione di valori a vantaggio dell’una
e dell’altro. Ma ad infondere questi valori permanenti e nazionali al
cane a sei zampe è stata soprattutto l’elaborazione e l’affermazione
di una linea innovativa di cooperazione che il gruppo pubblico italiano inventò e applicò in tutto il Terzo Mondo, non più chiamato
6 | a una collaborazione secondaria e puramente economica, ma a una
partnership di pari dignità che apriva la strada della sovranità petrolifera a tutti quei Paesi produttori che ne erano stati fino ad allora
esclusi. È in questo contesto che vanno collocati e giudicati anche i
discorsi di Enrico Mattei e il loro mutarsi di registro e contenuti nel
corso di almeno un decennio.
Nel luglio del 1961, quando presi servizio all’Eni, ero uno dei
trenta dirigenti della holding, scelti direttamente da Enrico Mattei.
Una squadra di giovani e giovanissimi che un leader geniale aveva
messo insieme andandoseli a scegliere uno per uno sulla base delle competenze e del carattere. L’impresa che aveva in mente aveva
bisogno non solo di gente capace, ma anche di persone disposte a
comprendere che quella per cui stava lavorando era una missione
e non solo un progetto industriale: affrancare l’Italia dalla dipendenza energetica. Tutti noi, Giorgio Ruffolo, Sabino Cassese, Luigi
Spaventa, Paolo Leon – per citarne solo alcuni – eravamo uniti dalla
genialità del nostro leader e convinti di aver aderito ad una “causa
nazionale”.
A settembre ebbi un lungo incontro con Enrico Mattei. Il mio incarico era stato definito e me ne volle parlare direttamente. Andai da lui,
a Borca di Cadore, insieme a Giorgio Ruffolo, allora capo delle Relazioni
esterne. Ci accolse in canottiera con grande cordialità, era uno molto
diretto che non amava la forma e i suoi discorsi erano concreti e privi
di retorica. Fui colpito dalla concretezza delle sue parole e dal modo con
cui tutta la sua azione fosse concentrata a raggiungere lo scopo. Senza
incertezze. Senza sbavature. Mi parlò dell’Algeria e dei nostri interessi in
quella regione, spiegandomi che da tempo Eni aveva preso una posizione precisa, rifiutando l’invito dei francesi a partecipare all’esplorazione
del Sahara. E mi propose di andare in Tunisia da dove avrei dovuto
prendere contatti con i rivoluzionari algerini e capire in che modo Eni
avrebbe potuto aiutarli. L’obiettivo era naturalmente quello di “seminare” i termini di una futura collaborazione e tenere d’occhio i movimenti
delle altre grandi multinazionali interessate agli idrocarburi algerini.
La questione algerina è senz’altro un paradigma del modo con | 7
cui Mattei interpretava il proprio incarico: individuato l’obiettivo (in
questo caso l’accesso alle risorse del Sahara), metteva in campo tutto
il suo straordinario intuito e una grande abilità manageriale. Ma
non era solo questo. Enrico Mattei coniugava la necessità energetica dell’Italia con uno spirito fortemente anticolonialista, convinto
com’era che una collaborazione paritaria con questi Paesi corrispondesse ai nostri interessi nazionali e ci liberasse dal giogo delle grandi
major petrolifere. Da questo punto di vista risulta illuminante il discorso pronunciato da Mattei a Tunisi il 10 giugno 1960. Un discorso
coraggioso ed esplicito come nessun altro «contro la decolonizzazione» e contro «la guerra d’Algeria», per la libertà dell’Africa e per la
collaborazione economica con quel grande Continente.
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1 | [Dai partigiani la via della libertà
e dell’avvenire]
Roma, 25 aprile 1949
L
a felice coincidenza della celebrazione del­la vittoria con il momento di massimo splendore della primavera potrebbe offrire
lo spunto ad una digressione retorica, se i fatti non stessero a
dimostrare la realtà viva, e non solamente simbolica, della fioritura
miracolosa di un Paese come il nostro, uscito appena da ancor pochi
anni, col corpo guasto e le funzioni equilibrate, dalle rovine e dai
dolori di una atroce guerra che, durante due anni, era stata anche
guerra civile.
Io vorrei poter dipingere un parallelo tra ciò che è avvenuto e ciò
che avremmo anche po­tuto aspettarci se fosse mancato, nella fine del
conflitto, quell’apporto materiale e soprattutto morale degli italiani
alla causa al­leata, che siamo qui appunto per celebrare, con raccoglimento, con commozione, con immutata riconoscenza, verso i nostri
compagni caduti.
Non tutti potevano consentire con noi, quan­do, con le brume autunnali del 1943, i tedeschi discesero da padroni sul nostro territorio,
dico non tutti potevano essere convinti che la guerra germanica era
perduta.
Un prestigio secolare, che durava quasi dai tempi di Arminio,
almeno da quando Federico Guglielmo di Prussia aveva creato il più
gran­de esercito imperiale tedesco e suo figlio Fe­derico il Grande lo
aveva reso strumento della potenza prussiana, tutto ciò aveva creato il
mito della invincibilità germanica. Non era ba­stata l’esperienza amara
della Prima guerra mondiale. Contro i disfattisti un’abile propaganda
era riuscita a persuadere non solo i tedeschi, ma anche tutta l’Europa, | 9
che la sconfitta degli eserciti imperiali non era dipesa dalla travolgente offensiva franco­-anglo-americana, messa a servizio di un ideale di
democratica libertà, ma semplicemente dal tradimento interno di un
esiguo gruppo di sovversivi scontrosi.
Tanto forte ed energica seppe essere questa propaganda che, malgrado i reggimenti democra­tici della Repubblica di Weimar, malgrado
la semioccupazione straniera, malgrado il control­lo militare, il disastro economico, malgrado il drammatico episodio dell’inflazione, già
nel 1919 poté a poco a poco grandeggiare quel movimento imponente
della croce uncinata, il quale, nel giro di pochi anni, ed ancor prima
del 1939, riuscì a cancellare gli ultimi vin­coli del trattato di pace, a
liberare la Sar­re, ad occupare Austria e Boemia, ad erigersi minaccioso
contro tutti nel centro dell’Europa.
Chi non ricorda i violenti discorsi hitle­riani, esaltanti gli 85 milioni di uomini pronti a muoversi per dare al vecchio continen­te un
assetto sociale per i successivi mille anni?
Nessuna meraviglia, dunque, che, malgrado e al disopra del nostro collasso militare, molti ancora in Italia puntassero sulla carta della vittoria tedesca.
Le bandiere non garrivano più orgogliose come nel 1940, ma gli
eserciti hitleriani tene­vano testa su tutti i fronti ed era solo questione
di resistere un’ora di più. Si trattava solo di aggiungere alle armi di
offesa solo un nuovo ritrovato, che entrambi i contendenti credevano
di aver già quasi in pugno e che so­lo la sorte mise in mano prima agli
americani.
Ebbene, ammettiamo pure che molti, in buo­na fede, nel settembre
1943 credessero ancora nella vittoria della Germania e nella convenienza degli italiani a rimanere «fedeli» al di lei fianco.
Calco sulla parola «fedeli» per marcare il significato ironico che
le attribuisco.
Un alleato che ci aveva gettato allo sbara­glio, facendoci entrare
di forza, dico di forza, in una guerra sua, al solo ed unico scopo di
10 | avere a propria disposizione una flotta mediterranea, che fronteggias-
se la flotta inglese, ed aveva lesinato al nostro esercito proprio i più
elementari mezzi di offesa e di difesa, poteva veramente domandare
che l’Italia rispettasse ancora nell’au­tunno del 1943 una parola data
da Mussolini senza nessun consenso cordiale ed ideale della nazione?
La risposta negativa che viene sulle v­ostre labbra è quella stessa
che salì alle labbra dei partigiani quando essi videro scendere nelle
nostre contrade l’esercito hitleriano.
Ebbene, lasciate che continui a svolgere la mia ipotesi: se, nel settembre del 1943 avesse avuto in Italia il sopravvento l’opinione e quindi anche l’azione di coloro che puntavano sulla carta tedesca, l’Italia
sarebbe oggi divisa in due pezzi come la Germa­nia, la calcherebbero ancora gli eserciti americani e russi, non avrebbe un governo, non
avrebbe il diritto di mantenere attive le pro­prie industrie, si vivrebbe
di privazioni, forse un carosello aereo porterebbe le bricio­le della pietà
americana, giorno per giorno inviate agli esausti abitanti di Milano.
Ciò che non è stato non si può immaginare, ma questa visione
apocalittica di un’Italia ancor oggi invasa e smembrata non è una
malvagia presunzione: è, riportato in grande, ciò che sta avvenendo
in quella martoriata Venezia Giulia divisa fra anglo-americani e titini,
in una parte della quale è stata dichiarata crimine borghese perfino la
celebrazione del­la Pasqua.
Ed allora, amici, confrontiamo idealmente tutto questo con la
viva realtà: mettiamo a fronte la distrutta Lipsia con questa Milano,
che espone dinanzi agli occhi estatici dell’Europa e del mondo, nel
trionfo della sua Fiera, le opere egregie delle sue manifatture e il ritmo
pulsante dei suoi traffici, e sentiremo il cuore gonfiarsi di riconoscenza verso gli altri, verso coloro che non credettero nella Germania
che, messi al bivio fra la via della libertà e quella del servaggio, non
esitarono a scegliere la prima: più dura, irta di tribo­li e di spine, ma
sboccante sulla spiaggia radiosa dell’avvenire.
Il panorama non cambia se passiamo a considerare, dopo quello
più strettamente economico, l’aspetto politico della odierna situazione
dell’Italia.
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Un governo stabile, l’ordine pubblico saldamente presidiato, relazioni diplomatiche cor­rette con tutti i Paesi del mondo, iniziative
italiane, come quella dell’agganciamento alla Organizzazione per
la cooperazione economica europea, del nuovo organismo politico
interstata­le europeo, che vengono accolte, invito del­l’Italia a partecipare a un patto di sicurezza che ci pone al riparo della invasione e
della rivoluzione, possibilità per il nostro governo di difendere i più
alti interessi del Paese, come quelli coloniali, anche dinanzi a consessi
internazionali dei quali ci era stata finora sbarrata strepitosamente ed
inesorabilmente la porta di ingresso.
Questa Italia operosa e risorgente guardi dunque indietro con animo trepido e grato alla dolorosa, ma ardente epopea conclusa il 25
aprile del 1945 e cosparga di memori fiori le mille e mille tombe di cui
è disseminato il cammino della vittoria.
Chi ebbe fede nei destini della patria, e ne raccoglie oggi, nella letizia comune, i frutti ricchi di promesse, tende idealmente la mano anche a chi in buona fede ha combattuto sull’altra parte della barricata.
Le guerre civili lasciano inesorabilmente una scia dietro di sé, che
più facilmente si cancella quando il vincitore trova in sé la generosità
di dimenticare.
La Pasqua del Signore, che abbiamo celebra­to proprio in questi
giorni, ci ricordi che siamo tutti figli di un solo padre che compatisce
i nostri errori, ma ci illumina e ci sospinge senza violenza, ma anche
eliminando gli osta­coli, sulla via del bene.
In linguaggio politico questa via del bene si chiama Italia.
Per essa abbiamo sofferto, per essa sono caduti i generosi che
oggi celebriamo.
Assistere alla sua resurrezione econo­mica, morale e politica significa vedere realizzato il loro sogno che, per i morti, fu anche vaticinio
e promessa.
12 |
2 | L’Eni e il problema italiano dell’energia
Piacenza, 12 settembre 1957, Convegno internazionale
tecnico-economico degli idrocarburi
Recenti sviluppi nel campo dell’energia
Nella mia prolusione al convegno dell’anno scorso mi soffermai a
considerare la posizione del gas naturale nell’evoluzione dei consumi
di energia in Italia e nel mondo.
Nel corso di quest’anno l’attenzione rivolta ai problemi dell’energia, tanto dagli studiosi quanto dagli operatori economici, è ancora
aumentata, particolarmente in Europa. Sotto lo stimolo di una previsione di fabbisogni sempre crescenti, i programmi di ricerca e di
produzione sono stati quasi ovunque intensificati.
Interessanti risultati sono stati conseguiti nel settore del gas naturale. Il recente inizio dello sfruttamento del giacimento di Lacq costituisce
un avvenimento importante per la Francia, che vedrà aumentare considerevolmente le sue disponibilità di energia con l’apporto di questa
fonte primaria. In Germania, la produzione di gas naturale ha avuto
un notevole incremento, principalmente dovuto allo sfruttamento del
giacimento di Rehden. Passando all’Est europeo, vanno segnalati i progressi particolarmente rapidi realizzati dall’Unione Sovietica nel campo
dell’estrazione e del trasporto del gas naturale; considerevoli sviluppi
sono previsti per i prossimi anni in Romania e in Polonia. L’importanza
crescente dell’industria del gas naturale è anche sottolineata dall’interessamento che ad essa vanno rivolgendo le organizzazioni internazionali:
tanto l’Organizzazione europea per la cooperazione economica quanto
l’Economic commission for Europe hanno costituito appositi comitati
per lo studio dei problemi tecnici ed economici del gas in generale, dedicando particolare attenzione a quelli specifici del gas naturale.
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Anche nel settore del petrolio si sono verificati, durante l’ultimo
anno, avvenimenti di estremo interesse. La crisi di Suez ha dato pieno risalto alla fondamentale importanza di questa fonte di energia
ed alla necessità di assicurarne il libero afflusso, a prezzi convenienti, ai Paesi consumatori. D’altro lato, vanno posti in rilievo alcuni
risultati positivi, quali la scoperta dei campi del Sahara, di indubbia
importanza per l’Europa, il promettente sviluppo delle ricerche in
Sicilia e gli accordi che l’Ente nazionale idrocarburi ha stipulato nel
Medio Oriente.
Un anno di attività dell’Eni
Ritengo ora opportuno delineare, seguendo una consuetudine
già invalsa nei precedenti convegni, i principali progressi dell’attività
dell’Eni durante l’ultimo anno.
In questo periodo la nostra attività mineraria si è notevolmente
estesa, per quanto le aree accordateci in permesso, al di fuori della
zona di esclusiva, non raggiungano, né in Sicilia, né nell’Italia peninsulare, un terzo del totale dei permessi e delle concessioni.
Su tutte le zone affidate all’ente di Stato si è svolta, e continua a
svolgersi, una intensa attività di esplorazione.
Gli studi geologici sono ormai pressoché completati, oltre che
nella zona di esclusiva, anche nei permessi ottenuti prima del settembre 1956, mentre sono già in fase avanzata nei permessi ottenuti
successivamente.
Nel 1956 sono stati totalizzati in Italia 197 mesi squadra di prospezioni geofisiche, di cui 88 nella zona di esclusiva, 78,5 nell’Italia
centrale e 30,5 in Sicilia. Nei primi sette mesi dell’anno in corso sono
stati effettuati in complesso 120 mesi squadra, di cui 51,5 mesi squadra
nella Valle Padana, 43 nell’Italia centro-meridionale e 25,5 in Sicilia.
L’attività di perforazione svolta nel 1956 sul territorio nazionale
si compendia nei seguenti dati: sono stati ultimati 138 pozzi, di cui
57 di esplorazione e 81 di coltivazione, perforando 217.672 m, di cui
14 | 94.089 m a scopo di esplorazione e 123.583 m a scopo di coltivazione.
La quota del gruppo Eni sul totale dei metri perforati in Italia corrisponde a circa il 74%.
Nei primi sette mesi del 1957 l’Eni ha perforato complessivamente
159.439 m. Nello stesso periodo sono stati completati nella sola zona
di esclusiva 68 pozzi, per un totale di 129.828 m, con un aumento del
58% rispetto al corrispondente periodo del 1956.
Abbiamo continuato a modernizzare il macchinario impiegato
per la perforazione e, in generale, per le operazioni minerarie, ricorrendo largamente alla produzione nazionale in sostituzione di quella
di importazione.
Nel mese di giugno di quest’anno l’Azienda generale italiana petroli mineraria ha posto in funzione la prima sonda costruita dal Nuovo Pignone: l’esecuzione di un pozzo profondo 3350 m ha consentito
di constatare le ottime prestazioni dell’apparecchio. In Sicilia, al pozzo
Rosolini 1, è stata sperimentata per la prima volta in Italia, e con esito
soddisfacente, una turbotrivella da 10” di fabbricazione francese; un altro
esperimento sarà effettuato con una turbotrivella da 7”. Intanto, in un
pozzo del campo di Piadena è stato battuto, raggiungendo una profondità
di 5251 m, il record mondiale di profondità al di fuori degli Stati Uniti.
Le moderne e efficienti attrezzature, l’elevata competenza tecnica
e l’appassionato lavoro hanno portato al raggiungimento di notevoli
risultati. Nel 1956 sono stati effettuati nella zona di esclusiva parecchi
nuovi ritrovamenti. Due di essi hanno portato alla identificazione di
due giacimenti, Selva e Minerbio, la cui importanza è stata messa in
luce nel corso del 1957.
Il più recente ritrovamento è quello di Casteggio, dove il pozzo
esplorativo che ha accertato la presenza dello strato mineralizzato ha
una capacità di erogazioni di 70-80.000 m3 al giorno. Sempre nella
zona di esclusiva, il primo pozzo esplorativo da noi ubicato presso
Soncino, nella Bassa Bresciana, ha incontrato uno strato gassifero. È
stato pure effettuato un ritrovamento di petrolio presso Busseto.
In Abruzzo, nuovi pozzi perforati in località Madonna della Croce e
La Plaja hanno permesso di individuare un’estensione della zona minera- | 15
lizzata: attualmente questa zona, che viene denominata campo di Alanno, ci fornisce una produzione complessiva dell’ordine di 150 t al giorno.
Una modesta mineralizzazione a gas è stata inoltre rinvenuta presso Jesi.
In Sicilia, sempre nel 1956, sono stati effettuati ritrovamenti di
petrolio a Gela e di gas naturale a Rizzo. Durante i primi mesi del
1957 è stato perforato nel permesso Enna, che l’Agip mineraria sta
esplorando in compartecipazione con la Società navigazione industriale applicazione Viscosa, un pozzo che ha incontrato un orizzonte
gassifero, le cui dimensioni sono ancora oggetto di indagini. Nel permesso Noto, nel corso della perforazione del pozzo Rosolini 1, è stata
incontrata una formazione dolomitica con impregnazioni di petrolio:
nei primi giorni di settembre il pozzo è stato posto in erogazione e,
senza pompaggio, sono state estratte circa 15 t di greggio al giorno.
Sono ora in corso di allestimento le apparecchiature di pompaggio.
La nostra produzione di idrocarburi è in costante progresso. Nel
1956 le aziende Eni hanno prodotto in complesso 4159 milioni di m3
di gas naturale con un incremento di 816 milioni, pari al 24%, rispetto
al 1955: questa produzione corrisponde al 93% del totale nazionale.
La produzione di idrocarburi liquidi e liquefacibili è stata del 17%
superiore a quella dell’anno precedente.
Nei primi sette mesi di quest’anno sono stati prodotti 2647 milioni di
m3 di gas, con un aumento del 14% rispetto al corrispondente periodo del
1956. Per l’intero anno 1957 si prevede che la produzione raggiungerà
i 4700 milioni di m3. La produzione di idrocarburi liquidi e liquefacibili,
di 111.000 t nei primi sette mesi del 1957, ha segnato un aumento del
49% rispetto ai primi sette mesi del 1956. Ciò è dovuto principalmente
allo sviluppo del campo di Alanno ed all’entrata in produzione del pozzo
di Gela numero 1, dal quale solo si ricavano attualmente circa 200 t di
greggio al giorno. I pozzi di Gela numeri 2 e 3, recentemente completati,
hanno dimostrato anch’essi una capacità produttiva almeno dello stesso
ordine di grandezza di quello del numero 1; è pertanto da prevedere che
le quantità estratte aumenteranno notevolmente.
Tra i lavori di sviluppo dei giacimenti recentemente scoperti hanno
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particolare importanza quelli in corso nel campo gassifero di SelvaMinerbio, dal quale si prevede di estrarre nel 1958 circa 1,5 milioni
di m3 al giorno. Nel campo petrolifero di Gela sono attualmente in
perforazione quattro pozzi; una quinta sonda sta per entrare in funzione. Il centro provvisorio di raccolta del petrolio, capace di ricevere
e smistare mediante autotreni cisterna 400 t al giorno, sarà sostituito
da un altro, in via di allestimento, che avrà una capacità di stoccaggio
di 8000 t circa. Esso sarà collegato con oleodotti ai vari pozzi e verrà
dotato di impianti di riscaldamento e di separazione gas-olio-acqua
per il trattamento, in una prima fase, di 2000 t giornaliere di greggio.
È continuato lo sviluppo della rete di trasporto e di distribuzione
del gas nella Valle Padana: alla fine del 1956 essa raggiungeva la lunghezza di 4355 km, maggiore del 7% di quella dell’anno precedente.
Mentre si potranno avere in futuro cospicui incrementi relativi delle
reti di distribuzione urbana, si debbono prevedere soltanto sviluppi
limitati della rete di trasporto della Società nazionale metanodotti,
che ha raggiunto ormai una struttura quasi definitiva, capace di rispondere alle esigenze del servizio anche per volumi di gas superiori a
quelli attuali. Infatti nel gennaio 1957, in relazione alle note difficoltà
di rifornimento di combustibili liquidi, la rete ha potuto far fronte ad
una punta massima di erogazione giornaliera di circa 17 milioni di m3.
Continuano i lavori di miglioramento della rete e dei relativi impianti
di compressione e decompressione, e gli allacciamenti dei nuovi giacimenti ai metanodotti dorsali.
Le grandi utenze (imprese industriali e comuni) sono aumentate da
1680 al 30 giugno 1956 a 1781 al 30 giugno 1957. Le utenze domestiche allacciate alle reti urbane, alimentate parzialmente o integralmente a metano, erano, alla fine del 1956, più di 1.600.000; di esse circa
230.000 erano servite con metano puro. Il loro numero è in costante
aumento a mano a mano che la metanizzazione si estende a nuovi centri. Al termine del primo semestre 1957, le utenze domestiche rifornite
direttamente da aziende del gruppo erano 21.816. Sul finire dell’anno
scorso sono entrati in esercizio gli impianti di Forlimpopoli, Alfonsine, | 17
e Massa Lombarda della Metano Città; la stessa società ha posto in esercizio nel primo semestre di quest’anno l’impianto di Fusignano, mentre
stanno per essere completati quelli di Conselice e di Lugo.
Il settore di utilizzazione che nel 1956 ha registrato il maggiore
incremento rispetto all’anno precedente (+41,2%) è stato quello degli
usi domestici e civili che, in volume, sono stati pari al 9,8% del gas
complessivamente erogato, contro l’8,6% nel 1955. Alla fine del primo semestre 1957 tale percentuale era ulteriormente salita all’11%.
Anche i consumi di gas per trasformazioni chimiche, che nel 1956
hanno costituito l’8% dei consumi totali, sono destinati ad aumentare
fortemente soprattutto per l’entrata in attività del grande complesso
petrolchimico dell’Azienda nazionale idrogenazione combustibili a
Ravenna, prevista per la primavera del 1958.
I progressi delle utilizzazioni domestiche e chimiche sottolineano
l’evoluzione dei consumi verso gli impieghi che realizzano il massimo
rendimento dal punto di vista tecnico e da quello del valore d’uso,
unitamente considerati.
La crescente domanda di energia in Italia
Nel 1956 la quota dei consumi globali di energia coperta dal gas
naturale ha continuato ad aumentare, passando dall’11% al 13%, grazie ad un tasso di incremento della produzione maggiore di quello,
peraltro assai sostenuto, della domanda nazionale di energia.
Anche i consumi di combustibili liquidi hanno ulteriormente aumentato il loro peso sul consumo globale dell’energia, di cui hanno
rappresentato il 36% nel 1955 e il 38% nel 1956. Ci troviamo nel pieno di una radicale evoluzione del bilancio dell’energia, caratterizzata
da una profonda modificazione della struttura dei consumi e da un
rapido aumento del loro ammontare complessivo.
Per cogliere il senso di questo aumento, è opportuno esaminare
brevemente il rapporto che corre tra la dinamica della domanda di
energia e quella del reddito nazionale espresso in termini reali.
Dal 1938 ad oggi possiamo distinguere due fasi. Nella prima, che
18 |
va dal 1938 al 1950, comprendente il periodo bellico e quello della ricostruzione, il tasso medio di incremento annuale dei consumi
di energia risultò pari soltanto allo 0,50%, mentre quello del reddito
raggiunse l’1%. Nella seconda fase, di forte espansione economica,
che ha avuto inizio nel 1950, l’aumento annuo medio del reddito nazionale, pur raggiungendo, tra il 1950 e il 1956, il valore eccezionale
del 7%, è restato inferiore al tasso annuale di incremento dei consumi
di energia, salito al 9,5%.
Numerosi fattori concorrono a spiegare questa netta modificazione del rapporto tra i due tassi. Per esempio, è evidente che il periodo
bellico segnò un’espansione delle attività artigianali, che presentano
un basso grado di intensità dei consumi di energia; e che, durante la
fase della ricostruzione, il rinnovamento e l’ammodernamento degli
impianti e dei processi produttivi consentì grandi progressi nei rendimenti energetici, e quindi cospicue economie nella erogazione delle
fonti primarie di energia. Fattori, questi, che non agirono, o agirono meno intensamente, nel periodo successivo, nel quale l’aumento
del consumo di energia per unità di reddito è stato essenzialmente
causato dalla rapida espansione dei settori economici ad alta densità
di consumi di energia, come le industrie elettrochimiche, le industrie
siderurgiche e metallurgiche, quelle dei materiali da costruzione e i
trasporti. Anche la rapida espansione dei consumi di energia per usi
domestici ed agricoli ha contribuito ad imprimere alla domanda italiana totale di energia l’eccezionale slancio di questi ultimi anni.
Se dall’esame delle tendenze passate ci volgiamo a considerare il
probabile corso dell’evoluzione futura, ci troviamo di fronte a numerosi problemi legati tra loro in un sistema di interdipendenze talmente
complesso da rendere difficile un’accurata previsione.
Una conseguenza di tali difficoltà è che le previsioni del fabbisogno di energia sono soggette a continue revisioni: in pratica, esse si
sono rivelate quasi sempre errate per difetto.
Tra le più autorevoli formulate in quest’ultimo periodo, quella dei
tre saggi dell’European atomic energy community, relativa al fabbi- | 19
sogno italiano di energia nel prossimo ventennio, parte dall’ipotesi
che tanto il prodotto lordo nazionale quanto i consumi di energia si
sviluppino ad un tasso del 4% all’anno. L’ipotesi sullo sviluppo del
reddito sembra tutt’altro che irreale, soprattutto se considerata alla
luce degli obiettivi fissati allo sviluppo economico italiano dal piano
Vanoni. Quanto alla seconda ipotesi, invece, essa è in contrasto con
l’esperienza degli ultimi sei anni, durante i quali, come abbiamo visto,
i consumi di energia sono aumentati in misura più che proporzionale
agli aumenti del reddito. Il rapporto tra i due aumenti, che è stato
in media di 1,4 tra il 1950 e il 1956, dovrebbe scendere, secondo
gli esperti dell’Euratom, a 1: una modificazione di questa ampiezza può essere determinata soltanto da forti progressi nel rendimento
energetico, nel rapporto cioè tra l’energia lorda impiegata e l’energia
netta disponibile per gli utilizzatori finali. Ora, è certo che tali possibilità esistono grazie al continuo perfezionamento tecnologico dei
processi produttivi; ma è anche vero che altri fattori possono influire sul rapporto tra energia e reddito in senso contrario: l’espansione
dell’industrializzazione (e in particolare dei settori ad elevata densità
di energia), lo sviluppo dei trasporti, l’inurbamento delle popolazioni
agricole, la meccanizzazione dell’agricoltura eccetera.
Sulla base, dunque, delle ipotesi degli esperti dell’Euratom, il fabbisogno italiano di energia, che nel 1956 è stato pari a 52 milioni di
t di carbone equivalente, dovrebbe toccare 76 milioni di t nel 1965 e
110 milioni di t nel 1975.
Attualmente la produzione italiana complessiva di fonti di energia
può essere ragguagliata a circa 22 milioni di t di carbone equivalente, e
copre il 42% dei fabbisogni nazionali di energia. La differenza tra i 110
milioni di t che saranno necessari nel 1975 e i 22 milioni che attualmente produciamo dà la dimensione del problema italiano dell’energia
nei prossimi due decenni. Per risolvere questo grave problema senza
compromettere la nostra bilancia valutaria è necessario concentrare gli
sforzi in tre direzioni principali: aumentare la produzione italiana di
20 | fonti di energia «tradizionali» (cioè, dati i limiti tecnico-economici della
produzione idroelettrica e quelli della modesta produzione carbonifera,
specialmente la produzione di idrocarburi); sviluppare una grande industria atomica nazionale; sviluppare una nostra produzione di idrocarburi anche al di fuori dei confini nazionali.
Il contributo dell’Eni
Lungo queste tre direzioni principali si articola già attualmente,
e si svilupperà in avvenire, l’attività dell’Eni, impegnato a rafforzare
il suo contributo, già oggi rilevante, alla copertura del fabbisogno
italiano di energia.
L’impegno di sviluppare al massimo la produzione nazionale di
idrocarburi, cui l’Eni ha contribuito nel 1956 per l’84% del totale,
sarà mantenuto negli anni futuri compiendo il massimo sforzo sia
nell’area di esclusiva, sia nelle altre aree del territorio peninsulare ed
insulare cui le operazioni del gruppo si sono progressivamente estese
man mano che si ottenevano i permessi richiesti. Già nel piano quadriennale di investimenti, presentato dall’Eni lo scorso anno al comitato dei ministri per lo sviluppo dell’occupazione e del reddito, veniva
data grande importanza allo sviluppo di tutte le attività del gruppo
nell’Italia centro-meridionale. Tuttavia, secondo le disposizioni della
legge che regola i provvedimenti per il Mezzogiorno, approvata nel
luglio scorso, la quota da riservare al Sud sugli investimenti effettuati
dagli enti e aziende pubbliche non può essere inferiore al 60% degli
investimenti per nuovi impianti e al 40% degli investimenti totali.
È evidente che, fermi restando i programmi di investimenti da effettuare nella zona di esclusiva, dei quali non è possibile prevedere
una riduzione, tale disposizione implica la necessità di aumentare gli
investimenti nelle zone meridionali in misura tale da conseguire il
rapporto dettato dalla legge. È peraltro da presumere che la redditività
dei nuovi investimenti nel Sud sarà più che soddisfacente, date le
promettenti prospettive della ricerca in quelle zone.
Rientrano in questa linea i recenti accordi conclusi dall’Eni con la
regione siciliana, riguardanti la concessione di 180.700 ha suddivisi | 21
in otto permessi di ricerca, che saranno trasferiti a due società appositamente costituite dall’Agip mineraria e da essa controllate. Dopo
l’eventuale ritrovamento di idrocarburi da parte di ciascuna di queste
società, la regione siciliana potrà acquistarvi una quota di partecipazione fino al 25% del capitale; cosicché gli utili corrispondenti si aggiungeranno alle normali royalties. Le condizioni offerte dall’Azienda
dello Stato sono evidentemente, per la regione, molto più vantaggiose
di quelle in vigore con le società private. Alcune di queste ultime,
inoltre, sono impegnate a pagare royalties minori di quelle cui è impegnato l’Eni.
Fin dal dicembre dell’anno scorso, con la costituzione dell’Agip nucleare, l’Eni si è preoccupato di rispondere concretamente alla seconda
istanza fondamentale: quella di contribuire allo sviluppo, nel nostro
Paese, di una grande industria atomica. La nuova società, organizzati
in pochi mesi i suoi quadri e definiti i programmi, ha già concluso con
la compagnia americana Vitro e con la Commissione britannica per
l’energia atomica accordi di considerevole importanza, non solo per il
loro obiettivo immediato (lo studio e la progettazione di due centrali
nucleari di grande potenza) ma anche perché, attraverso essi, potremo
avvalerci di una ricca gamma di esperienze tecniche, per porre la premessa di una futura indipendenza del nostro Paese in questo campo.
Può certamente sembrare più comoda la decisione, da altri adottata, di acquistare direttamente all’estero i reattori e tutte le apparecchiature necessarie.
L’Eni, invece, considera suo dovere puntare direttamente sull’indipendenza del nostro Paese in campo nucleare: e già la progettazione
dei due primi impianti prevede il più ampio impiego possibile di prodotti dell’industria nazionale.
Il terzo elemento di un programma che miri ad assicurare all’Italia
un alto grado di sicurezza e di convenienza economica nell’approvvigionamento di fonti di energia è la ricerca petrolifera all’estero. Si
tratta di attività che tutti i maggiori Paesi industriali, ad esempio Stati
22 | Uniti, Inghilterra, Francia, Belgio, Olanda, hanno intrapreso. Ho già
avuto occasione altre volte di insistere su un punto che mi sembra
ovvio: il petrolio va cercato dove esistono maggiori probabilità di
trovarlo a condizioni economiche vantaggiose. E sono note le possibilità che si schiudono alla ricerca petrolifera nei territori del Medio
Oriente. Nell’assumere iniziative in questo campo, siamo pienamente
coscienti, non soltanto della serietà dell’impegno finanziario, tecnico,
organizzativo che graverà sulle aziende del gruppo, ma anche delle
nuove responsabilità di cui l’Eni verrà investito e delle loro implicazioni per la politica nazionale dell’energia e per il tradizionale assetto
dell’industria petrolifera internazionale.
Le iniziative in questo campo risultano pienamente giustificate
da molteplici considerazioni. È chiara, in primo luogo, la necessità di
garantire un rifornimento diretto degli ingenti quantitativi di petrolio
greggio occorrenti alla nostra economia, senza gravare in modo intollerabile sulla bilancia valutaria e, possibilmente, a prezzi migliori
degli attuali; senza contare poi la prospettiva, anche più brillante, di
entrare nel mercato mondiale come venditori. Infine, oltre ai vantaggi
diretti e immediati, la partecipazione italiana alla produzione petrolifera estera produce numerosi vantaggi indiretti, con l’attivazione di
correnti di scambio e la creazione di nuove occasioni per il nostro lavoro. L’Eni, con la sua organizzazione integrata, si rivela un prezioso
strumento per la realizzazione di tali vantaggi: esso può impiegare a
tale scopo l’imponente potenziale di mezzi e di competenza accumulato pur continuando a intensificare la sua attività mineraria nel
territorio nazionale; e può assicurare, come ha già cominciato a fare,
importanti sbocchi alla esportazione, specie nel settore meccanico,
non solo alle aziende del gruppo, ma a tutta l’industria nazionale.
Gli inizi di questa attività sono del resto più che soddisfacenti. In
Egitto, dai giacimenti di El Belayim e di Abu Rudeis si ottengono ora
3500 t di greggio al giorno, e il ritmo della produzione è in continuo
aumento. Si prevede che nel 1958 la produzione raggiungerà i 2 milioni di t, di cui una parte notevole sarà disponibile per il consumo
italiano, dopo aver soddisfatto il fabbisogno egiziano.
| 23
Già dalla fine di giugno hanno cominciato ad affluire nei porti
italiani i carichi di petrolio estratto dall’Eni in Egitto, per un ammontare complessivo di circa 50.000 t mensili; e non è lontano il giorno
in cui questa fonte rappresenterà un importante contributo alla copertura dei fabbisogni petroliferi del nostro Paese.
Forse anche più vaste possibilità ci offre la combinazione raggiunta in Iran. Gli uomini e i mezzi sono pronti per l’immediato inizio delle esplorazioni, che cominceranno dalla fase del rilevamento
geologico, con l’ausilio della fotogeologia aerea, per passare poi ai
rilevamenti geofisici. È attualmente in allestimento un impianto per
perforazioni sul fondo marino, che potrà essere impiegato sia nel Golfo Persico, sia nella piattaforma continentale. Iniziative di questo tipo
verranno intraprese dalle aziende del gruppo anche in altri Stati e
territori, nell’esclusivo interesse del nostro Paese, ogniqualvolta se ne
presenterà l’occasione e la convenienza. Per dare tutto il loro frutto,
imprese di questa portata debbono essere condotte e sostenute da una
organizzazione agile ed efficiente, che le inquadri armonicamente nel
complesso delle iniziative intese a realizzare una politica nazionale
dell’energia. L’organizzazione che è stata costruita quasi dal nulla negli ultimi dodici anni offre garanzie di costituire una solida base per
le attività intraprese. I progressi finora realizzati le hanno consentito
di dare un valido contributo allo sviluppo del reddito nazionale senza
gravare sulle finanze statali, anzi, con profitto del Tesoro, cui l’Eni
ha versato, nel 1956, il 65% dei suoi utili, per circa 3 miliardi di lire.
L’Eni oggi dispone dei mezzi tecnici, degli uomini, del credito; dispone, nonostante le opposizioni e le astiose polemiche, del prestigio
necessario. Nella sua stessa struttura di grande complesso industriale
articolato e integrato, esso fornisce al tempo stesso l’occasione e lo
strumento per coordinare tali attività, svolte nei campi più diversi,
in una politica dell’energia che assicuri il progresso economico del
nostro Paese.
24 |
3 | [Sulla decolonizzazione degli Stati
e dell’economia]
Tunisi, 9-10 giugno 1960
I
o sono qui per rispondere al vostro appello d’investimenti e per
aiutarvi nella lotta contro il sottosviluppo.
Non ho paura della guerra in Algeria.
Non ho paura della decolonizzazione.
Io credo alla decolonizzazione non solo per ragioni morali di
dignità umana, ma per ragioni economiche di produttività.
Senza la decolonizzazione non è possibile suscitare nei popoli
afroasiatici le energie, l’entusiasmo necessario alla messa in valore
dell’Africa e dell’Asia.
Ora le ricchezze dell’Africa e dell’Asia sono immense.
La geografia della fame è una leggenda: è legata solo alla passività, all’inerzia creata dal colonialismo nelle popolazioni autoctone.
Faceva comodo al colonialismo incoraggiare la fatalità, la rassegnazione.
Io leggo sempre i vostri discorsi e quello che più mi ha colpito è
la lotta contro la fatalità e la rassegnazione.
Ho lottato anch’io contro l’idea fissa che esisteva nel mio Paese:
che l’Italia fosse condannata ad essere povera per mancanza di materie prime e di fonti energetiche.
Queste fonti energetiche le ho individuate e le ho messe in valore e ne ho tratto delle materie prime.
Ma, prima di far tutto questo, ho dovuto fare anch’io della decolonizzazione perché molti settori dell’economia italiana erano
colonizzati anzi, direi, che la stessa Italia meridionale era stata colonizzata dal Nord d’Italia!
| 25
Il fatto coloniale non è solo politico: è anche, e soprattutto,
economico.
Esiste una condizione coloniale quando manca un minimo d’infrastruttura industriale per la trasformazione delle materie prime.
Esiste una condizione coloniale quando il giuoco della domanda
e dell’offerta per una materia prima vitale è alterato da una potenza
egemonica: anche privata, di monopolio e di oligopolio.
Nel settore del petrolio questa potenza egemonico-oligopolistica
è il cartello.
Io lotto contro il cartello non solo perché è oligopolistico ma
perché è malthusiano, e malthusiano ai danni dei Paesi produttori
come ai danni dei Paesi consumatori.
Il cartello è anglosassone, ma io non sono contro il mondo
anglosassone. Gli indipendenti americani sono miei amici e hanno
molto peso in America e ne avranno ancora di più se ci sarà in America a novembre una amministrazione.
Io ho ristabilito la legge della domanda e dell’offerta perché ho
tagliato tutti i nodi gordiani, tutte le strozzature («goulots d’étranglement») alla produzione, al trasporto, al raffinaggio, alla distribuzione.
Ho visto diminuire la benzina in Italia a 100 lire al litro facendo
risparmiare miliardi al consumatore italiano.
Voglio far risparmiare anche gli altri se si associano con me.
Associandomi con voi tengo conto che voi avete oggi l’interesse di un Paese consumatore ma domani («inshallah») di un Paese
produttore.
Il cartello vi può creare una raffineria, ma sarà una ciste («un
kyste») nel vostro corpo economico. Non vi farà male ma non vi farà
neanche bene.
«Moi, en tout cas, je ne veux pas “m’enkyster” dans votre corps
économique».
Io voglio creare qualcosa di più di una raffineria: voglio creare
26 | un polo di sviluppo economico nel Sud tunisino.
Voi mi avete chiesto delle pompe di benzina Azienda generale
italiana petroli: io vi ho offerto una rete di stazioni di servizio e di
motel che vi risolverà il problema turistico.
Voi mi avete chiesto di farvi una raffineria ed io vi offro una
industria petrolchimica.
Ma vi offro anche un mercato per l’eccedente della vostra produzione e vi offro soprattutto la parità, la cogestione, la formazione
di una élite tecnologica perché non siate il ricevitore passivo di una
iniziativa straniera, ma siate soggetto non oggetto di economia.
Io avrò delle critiche in Italia (perché non una raffineria in Sicilia?) e voi subirete delle pressioni angloamericane. Non lasciatevi
spaventare. Io non mi sono spaventato; il Marocco non si è spaventato. Non spaventatevi neanche voi.
| 27
4 | Una promessa in Sicilia
Gagliano Castelferrato (EN), 27 ottobre 1962
M
attei:
«Prima di tutto desidero ringraziarvi di questa calda
accoglienza che abbiamo ricevuto, qui, nel vostro paese.
Oggi si affacciano alla mia memoria quegli anni che possiamo considerare lontani, dell’immediato dopoguerra, quando nessuno credeva alle reali possibilità del nostro sottosuolo.
«Noi cominciammo una lotta dura, fra l’ostilità di coloro che
non credevano a queste possibilità del nostro Paese, poi giungemmo alle scoperte della Valle Padana che hanno rivoluzionato, come
diceva poco prima il vostro onorevole Lo Giudice, la Valle Padana
e l’Alta Italia.
«Quando chiedemmo di venire in Sicilia, trovammo che non
eravamo di moda: allora erano in un momento favorevole tutte le
compagnie petrolifere straniere. Io debbo ringraziare la regione siciliana di averci dato tutto quello che in pratica era rimasto, che gli
altri non avevano scelto. Volevamo dimostrare anche alla Sicilia
quello che potevano veramente fare gli italiani, gli italiani che si
rendevano conto di quello che poteva significare questo tipo di progresso per la Sicilia.
«Vennero i nostri primi geologi e gli scienziati, le prime squadre
cominciarono il lavoro, svolto tra l’incredulità ed una certa ostilità.
Arrivammo al rinvenimento del petrolio di Gela: a Gela oggi sta
sorgendo un enorme complesso.
«Il vostro presidente [Giuseppe D’Angelo, N.d.C.] ieri ci ha onorato di una visita e si è reso conto di che cosa si può fare in Sicilia.
Il nostro ringraziamento va a tutti i nostri scienziati, ai nostri operai,
28 | ai nostri tecnici, a tutti coloro che giornalmente si impegnano nella
dura fatica di trovare nelle viscere della vostra terra le ricchezze che
vi sono nascoste. Avete visto con quanto impegno ci siamo messi
in questa impresa: momenti di attesa, di speranza, di lavoro duro,
di polemiche ideologiche contro di noi. Siamo arrivati a scoprire il
metano anche a Gagliano: di questo ringraziamo il Signore Iddio,
perché gli uomini possono stabilire con i loro mezzi se ci sono le
condizioni favorevoli, ma è solo l’aiuto divino che può far arrivare
gli uomini a dei successi. Le risorse e le riserve che sono state messe
alla luce sono importanti, però probabilmente lo saranno ancora di
più perché prosegue il lavoro di ricerca dei nostri tecnici.
«Noi siamo convinti che la vostra terra conserva ancora beni
nascosti, perciò noi siamo impegnati con tutti i nostri uomini. Dovete
ringraziare veramente il vostro presidente per quello che ha fatto
per questo paese, per questa provincia povera. Amici miei, anche io
vengo da una provincia povera, da un paese povero come il vostro.
Pure oggi c’è qua della nostra gente, io sono marchigiano, quelli sono
paesi poverissimi, che viene a lavorare in Sicilia: perché prima di qui,
in Alta Italia e nel Centro Italia, abbiamo fatto ricerche minerarie
come queste, e quindi abbiamo creato le scuole, abbiamo creato gli
uomini che operano in Sicilia e pensiamo di mandare anche siciliani
in altre zone d’Italia. Poi, con le riserve che sono state accertate, una
grande ricchezza è a disposizione della Sicilia.
«Amici miei, noi non vi porteremo via niente. Tutto quello che è
stato trovato, che abbiamo trovato, è della Sicilia, e il nostro sforzo
è stato fatto per la Sicilia e per voi.
«Giustamente il vostro presidente diceva che noi non abbiamo
nessun profitto personale. È vero: noi lavoriamo per convinzione.
Con la convinzione che il nostro Paese, e la Sicilia, e la vostra provincia possano andare verso un maggiore benessere; che ci possa
essere lavoro per tutti; e si possa andare verso una maggiore dignità
personale e una maggiore libertà.
«Amici miei, io vi dico solo questo: noi ci sentiamo impegnati
con voi per quanto c’è da fare in questa terra. Noi non portiamo via | 29
il metano; il metano rimane in Sicilia, rimane per le industrie, per
tutte le iniziative, per tutto quello che la Sicilia dovrà esprimere».
(Dalla piazza una voce interrompe): «Così si può levare questa
miseria di Gagliano».
(Rivolgendosi all’anonimo)
«Amico mio, io non so come lei si chiami, ma anch’io ero un
povero come lei; e anch’io ho dovuto emigrare perché il mio paese
non mi dava lavoro; sono andato al Nord, e adesso dal Nord stiamo
tornando al Sud con tutta l’esperienza acquistata. Noi ci impegniamo con le nostre forze, con le nostre conoscenze, con i nostri uomini, a dare tutto il nostro contributo necessario per lo sviluppo e
l’industrializzazione della Sicilia e della vostra provincia.
«Io vi devo chiedere, come ho già chiesto al sindaco, scusa di
non essere venuto prima. Ma sono gli impegni che abbiamo in tutto il mondo: ci sono 50.000 persone che oggi operano in questo
gruppo; e su 50.000 persone ci sono 1600 ingegneri, 3000 periti
industriali e geometri, 2000 dottori in chimica e in economia, 300
geologi, decine di migliaia di specialisti che si muovono in tutto
il mondo. E tutto questo porta lavoro, porta responsabilità, porta
un grande impegno; ma io conoscevo esattamente la situazione di
Gagliano, delle sue riserve, di questo lavoro, delle possibilità che
esistono per l’avvenire. Le abbiamo seguite giorno per giorno, con
ansia, e qualche volta, molte volte, ne eravamo felici. Ora su questo
si deve innestare un successivo lavoro, si devono innestare industrie
che dovranno portare in questa zona benessere e ricchezza. Noi ci
impegniamo insieme con voi, con tutti.
«Potete contare sulla nostra opera, come avete potuto contare su
tutto quanto abbiamo compiuto fino ad oggi senza che ci fosse stato
richiesto. L’abbiamo compiuto perché sapevamo, se arrivava il successo, di poter raggiungere dei risultati che cambiano la fisionomia
della vostra regione. E noi andremo avanti in questo, seguiteremo il
nostro lavoro di ricerca perché più risorse vengano reperite, queste
30 | risorse sono tesori.
«I tesori non sono i quintali di monete d’oro, ma le risorse che
possono essere messe a disposizione del lavoro umano.
«Amici, desidero ancora ringraziarvi per queste vostre accoglienze che io sapevo mi avreste fatto, ma non così calorose come
invece ho trovato, perché so che vi rendete conto dello sforzo che
abbiamo compiuto e di ciò che vi portiamo, e quindi fra di noi non
poteva esserci che simpatia e fiducia.
«Sapevo che un giorno sarei venuto in mezzo a voi, che voi mi
avreste guardato con simpatia e con affetto. Abbiamo discusso, con
i vostri rappresentanti, dei vostri problemi, molti dei quali non sono
che problemini. Non assorbiremo settanta persone, ma tutti coloro
che potrete darmi, tutti, e sarà necessario che tornino molti di quelli
che sono andati all’estero perché a Gagliano avremo bisogno anche
di loro. Noi non vi porremo dei limiti. Noi vogliamo solo stabilire
una collaborazione che duri sempre. C’è una scuola di qualificazione da fare? Mi darete il vostro contributo indicandomi i corsi
che dovranno essere istituiti. Sono piccoli problemi: l’importante è
questa enorme massa di risorse che da oggi è messa a disposizione
della Sicilia, e sulla quale si potrà e si dovrà costruire, se ci sarà
l’impegno di tutti».
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“Enrico Mattei, scritti e discorsi (1945-1962)”.