luca ragagnin
Divagazione in Dissolvenza su Tutto
© 2013 Miraggi Edizioni
via Dronero 2, 10144 Torino
www.miraggiedizioni.it
Progetto grafico Miraggi
In copertina: immagini di Karel Teige, tratte da abeceda
di Vítězlav Nezval, 1926
Finito di stampare a Città di Castello
nel mese di settembre 2013 da CDC Artigrafiche
per conto di Miraggi Edizioni
su carta Palatina 85 gr delle Cartiere Milani Fabriano SpA
realizzata secondo principi ecosostenibili e a basso impatto ambientale
Prima edizione: settembre 2013
ISBN 978-88-96910-38-2
Miraggi Edizioni
Sommario dei capitomboli
primo capitombolo
I titoli – Roché, Perec, Satie e John Lennon – Hašek,
Jarry e le cose perdute – Ravel, Colette e il bambino
capriccioso – Pangea e il registratore Geloso – Roland Barthes, due pittori russi e la data di morte
della Modernità – Number Nine, Number Nine,
Number Nine
9
secondo capitombolo
21
terzo capitombolo
35
Breve apparizione di Testa – Variegata origine della multipla Anfesibena – Il teschio di Sir Thomas
Browne e W.G. Sebald – Macedonio Fernández e
l’ordine della disunità – René Daumal, il Papa
Breton, una fotografia automatica e il pianeta
dell’Analogia – Compare (e tosto scompare) Aleister Crowley – Irrompe un Autore – La moltiplicazione agamica delle storie – Piccolo florilegio di
Monti­analoghisti – Una telefonata (Number Nine,
Number Nine, Number Nine)
Libri sognanti – Un libraio dispettoso – Attraversare il Paradiso – Arrivano i Gatti – Adorno,
le Ombre e il Rumoratico – Un giapponese e un
boemo – Castelli agonizzanti – Il Postino Ideale e
un sasso su cui inciampare
quarto capitombolo
E Arthur Cravan, l’han poi trovato? – L’Avanguardia Europea dell’Ombra in Avvitamento Immortale – Il Regno del Puntino – Una panoramica
dall’alto – Una partita a scacchi e la Morte come
ready-made – Il set solare di Joseph Cornell – Scrittori in Scatola – I tjurunga – Una passeggiata con
mio padre
47
quinto capitombolo
69
sesto capitombolo
83
Tentativo di descrizione di 5 scatti fotografici. Il diario segreto di F.W.: – L’anguilla infinita – Tarta­
rughe Celtiche Magiche – Falene in contromano – Spose in Nero e Macchine Celibi – Lo specchio
delle Altre Emily – Un airone futurista
La centrale dell’Ovipo, l’Opificio dei Viandanti
Poliziotti – Struttura romanzesca della ricerca e
identità della medesima – La Ripetizione come Rivelazione della Modificazione – Labirinti di neve,
rocchetti stellari e signori che si chiamano tutti
Pierre Menard – La Modificazione come amante caduta in disgrazia – Una telefonata (Number
Nine, Number Nine, Number Nine)
settimo capitombolo
L’Altra Parte spiegata a un bambino: la schiena
della Luna – Ancora il bambino, ancora l’ottovolante dell’infinito e Cesare Pavese – Un codice a
barre in lacrime
ottavo capitombolo
105
nono capitombolo 113
Rubrica degli smarriti 121
Il Manuale del Viandante Obliquo – Ancora spasmi e misurazioni al nanonulla – Il Rumoratico dei
cestini delle sale d’attesa – Una lista – Raymond
Roussel – Catene montuose di soffice sonno analogo
È ora di andare a dormire – Alcuni Viandanti di
prima e preannuncio di Ringo – Hôtel de l’Univers,
Aden, Arabia – Rainer Maria, Marina – La nonnina di Praga incontra Katherine Mansfield – Lunga passeggiata di Robert Walser – Baudelaire battezza le macerie – Due dublinesi e un quasi bretone – Buonanotte, rosso puntino
Portfolio della dissolvenza124
Biblioteca dei viandanti
93
125
PRIMO CAPITOMBOLO
★ I titoli ★ Roché, Perec, Satie e John Lennon ★ Hašek,
Jarry e le cose perdute ★ Ravel, Colette e il bambino
capriccioso ★ Pangea e il registratore Geloso ★ Roland
Barthes, due pittori russi e la data di morte della Modernità
★ Number Nine, Number Nine, Number Nine
uongiorno.
L’idea sarebbe quella di scrivere un catalogo di
titoli.
Oppure un libro di frasi cortissime.
Come Henri-Pierre Roché in Jules et Jim.
È che sono pigro.
Comunque è già stato fatto, almeno nell’intenzione. I titoli, dico.
Georges Perec l’ha fatto.
Dove l’ha fatto Georges Perec? Non me lo ricordo. L’ha
fatto in ogni sua pagina alla fine veramente scritta per esteso,
temo.
Fa niente.
Sapete che cosa ha detto Erik Satie sul letto di morte? No?
Ve lo dico io.
Ha detto, Bastardi!
Si riferiva ai vicini di casa e alla sua famiglia. Tutta gente
che disturbava con commenti impropri le sue fragilissime tessiture al pianoforte. Plìn plìn plòn plèn. Lo deconcentravano
in continuazione. Alla fine gliel’ha proprio cantato chiaro.
Bastardi!
Sul letto di morte.
Oppure l’idea potrebbe essere quella di scrivere un libro di
frasi imperdibili pronunciate in punto di trapasso.
Mi sa che qualcuno ha già fatto anche questo, non mi ricordo chi.
È che sono pigro.
9
★
titoli
★
roché,
perec,
satie,
lennon
★
cose
perdute
John Lennon, invece, diceva Peace off!, Vaffanpace!
Lo scriveva nelle lettere che dall’America mandava a chiunque.
Che buffo tipo, John Lennon. Pacifista e irascibile insieme,
alla massima potenza.
Jaroslav Hašek il modo per conciliare gli opposti l’aveva
scovato. Durante la Grande Guerra scriveva editoriali al vetriolo su un quotidiano di sinistra ai quali rispondeva, con
schiaffi verbali rumorosissimi, da una testata di destra un
giornalista poco conosciuto a Praga, un tale nascosto dietro
pseudonimo, il medesimo Jaroslav Hašek, ovviamente.
Alfred Jarry, invece, pare che in punto di morte abbia
chiesto uno stuzzicadenti. Chissà se è vero. Se fosse vero,
sicuramente l’avrei trovato nel libro di frasi imperdibili pronunciate in punto di trapasso. Il fatto è che non si trova più
lui, il libro.
Qui da noi, i libri, dopo un po’, non si trovano più.
Questo libro parla delle cose che si perdono.
Cose culturali, intendo. Libri, dischi, case editrici, quelle
faccende lì.
Ma non solo.
Se vi interessa l’argomento, e siete in libreria, e mi state sfogliando, affrettatevi a comprarmi, prima che sparisca anch’io,
almeno sotto forma di questo specifico trattatello.
Io me ne intendo, di cose perdute. Anzi, ci vado a nozze,
perché la ricerca è meglio del ritrovamento. Non l’ho pensato
io, l’ha pensato qualcuno che non mi ricordo più chi è.
Non importa.
Nella ricerca e nella smemoratezza, una attaccata al polso
destro, l’altra a quello sinistro, si vive bene.
Solo che, dopo un po’, ci si stufa di non trovare le cose.
Ecco, io ho la fortuna di appassionarmi, gettarmi nella mischia del perduto e poi stufarmi, ché non trovo mai quello
10
che cerco, trovo sempre qualcos’altro, perché mi occupo di
parole e di suoni.
Per esempio, adesso, in un adesso che è soprattutto il momento perduto di questa riga, devastato da un mal di denti
molto filosofico, ho dato da mangiare all’impianto stereofonico L’Enfant et les Sortilèges di Maurice Ravel, e sto ragionando tra me e me non sui sortilegi, ma sulle meraviglie
dell’infanzia, che consistono, io credo, principalmente nella
sostituzione continua e ininterrotta di una perdita con un
ritrovamento, laddove la particella ri è ammessa nel meccanismo per diritto ancestrale.
Forse è per questo motivo impalpabile, eppure così netto,
che è arduo dare la giusta voce all’infanzia, nelle opere letterarie.
A meno che non si accompagni alla moralità fiabesca, la
fissità della pagina mal si adatta alla bocca magmatica di vulcano che è il cuore di un bambino, ai lapilli ascendenti che
sono le sue mani, alle sue dita da presa e rilascio, possesso e
perdita, capriccio e carezza.
Colette, che ai bambini preferiva certamente i gatti, ne plasmò uno nel 1925 ad uso del pentagramma di Maurice Ravel.
Ecco la storia di L’Enfant et les Sortilèges: in una vecchia
casa di campagna in Normandia, nel primo pomeriggio, un
bambino di sette anni brontola davanti ai suoi compiti di
scuola. La madre entra nella stanza e si arrabbia per la pigrizia del figlio. Il bimbo, punito, preso da un accesso di collera
getta la tazza e la teiera a terra, martirizza lo scoiattolo nella
sua gabbia, tira la coda al gatto, tormenta la brace con un
attizzatoio, rovescia il bollitore, lacera il libro, strappa la carta
da parati e demolisce il vecchio orologio. «Sono libero, libero, cattivo e libero!» Esausto, si lascia cadere sulla vecchia poltrona e qui, finalmente, il tribunale cosmico della materia inanimata dispone
11
★
bambino
capriccioso
12
Ecco, dell’infanzia, secondo me, si perde soprattutto la
voce.
Del corpo non c’è molto da dire. Cambia. È nell’ordine
naturale dello sviluppo. E poi il corpo, nel mondo moderno,
si veste: un’azione che non trasporta mistica né prodigi. Nel
passaggio da una taglia a un’altra i pensieri latitano.
La voce di noi bambini, invece, come è capitato a me, se la
si ritrova incisa quarant’anni prima in un registratore Geloso
emerso da uno sgabuzzino durante un trasloco, c’è il caso che
apra un baratro.
Registratore Geloso g570
★
ritrovare
l’irrecuperabile
una punizione visibile: la poltrona arretra e uno dopo l’altro
gli oggetti incominciano a spostarsi e a parlare, minacciando
la piccola peste, che rimane atterrita. Nella casa e nel giardino
le creature espongono le loro lamentele e la volontà di vendetta. Mentre il bambino chiama la madre, il mondo sicuro
che avvolge la sua esistenza, come un’immensa onda terrificante, si ripiega e si getta su di lui per punirlo.
Ma prima di svenire, a riprova che dentro il cuore della
crudeltà dell’infanzia sta accucciato il bisogno di attenzione e di amore e che, dunque, l’entità bambino si muove nel
mondo grazie a una frizione di opposti – possesso e perdita,
capriccio e carezza –, si attiva in lui il dispositivo della cura
e così, identificando nello scoiattolo ferito l’oggetto su cui
esercitare un potere ritrovato persino in una zona di timore
e terrore, di spaesamento e perdita delle certezze, il cucciolo
umano guarisce il cucciolo animale, riscattandosi agli occhi
invisibili degli oggetti, che prontamente lo riportano dalla
madre.
È proprio in quell’interzona di smarrimento che si forma
la crosta mentale su cui poggiare i primi passi alla ricerca dei
libri perduti, dei dischi introvabili e di molto altro.
È nella deriva non dei continenti, ma dei sentimenti, che
si è staccata nella mia vita una personalissima Pangea, Terra Tutta, assestata solo dall’alto siderale in una cartografia
definitiva, ma a me, qui nel basso dell’esistenza, disponibile solamente per zolle disunite e distanti, per ritrovamenti
sconnessi.
È un’archeologia stilizzata, questa ricerca, una cucina molecolare, un ralenti a imbuto, con le attrezzature inadeguate,
il pentolame spaiato, lo schermo in ombra per la troppa luce
accecante, la luminescenza dell’irrisione.
A volte, però, ritrovare l’irrecuperabile può fare del male.
L’infanzia: stiamoci dentro ancora per un poco.
È come se il pianeta Terra diventasse di colpo trasparente,
una sfera di vetro soffiato da qualcuno lassù, e noi, guardandoci i piedi, riuscissimo a scorgere il vuoto dell’origine.
Ma i primi osservatori dei dagherrotipi non devono forse
avere provato il medesimo senso di vertiginosa e orrorifica
attrazione? Roland Barthes e la sua Camera chiara sembrano
confermarlo.
Allora la dissolvenza e l’assolvenza sono due divinità in
guerra e noi siamo il loro campo di battaglia.
13
★
morte
della
modernità
Certe cose è opportuno non ritrovarle mai.
Cosa ci rivela La camera chiara a proposito di tempo, scatti
fotografici e taglie di vestiti? Questo, ad esempio:
Ciò che mi separava da molte di quelle fotografie era la Storia.
Che cos’è la Storia? Non è forse semplicemente quel tempo
in cui non eravamo ancora nati? Io vedevo la mia inesistenza
negli abiti che mia madre aveva indossato prima che potessi
ricordarmi di lei. Vi è una sorta di stupore nel vedere una
persona familiare vestita in altro modo.
barthes 1980: 66-67
E, ancora, appena oltre:
Così, la vita di qualcuno la cui esistenza ha preceduto di poco
la nostra tiene racchiusa nella sua particolarità la tensione
stessa della Storia, la sua partecipazione. La Storia è isterica:
essa prende forma solo se la si guarda – e per guardarla bisogna esserne esclusi.
Allora, se assumiamo l’oggetto Fotografia come un dispositivo di sineddoche della perdita, il viaggio alla caccia degli
oggetti scomparsi non è altro che la spedizione sulle tracce
della propria inesistenza. Ovvio che poi, se la troviamo, un
po’ male ci rimaniamo.
Un altro interruttore, o rocchetto, o clessidra, chiamatelo
come volete.
E se invece, ciò che cerchiamo è stato prodotto in un mondo materico in cui noi già respiravamo? Oplà, aggiungiamoci
il Geloso dello sgabuzzino e otterremo un bel doppio salto
carpiato della morte.
John Lennon: Vaffanpace!
Erik Satie: Bastardi!
Ricominciamo.
14
L’idea potrebbe allora essere quella di scrivere un catalogo
di ritagli.
Sì, ecco, un libro formato da ritagli di memoria accidentale. Pezze, scontrini, striscioline di carta inchiostrate trovate
sui binari delle stazioni ferroviarie, pubblicità, biglietti scaduti e abbandonati di qualcosa, qualsiasi cosa.
Un libriccino di reperti solo in apparenza indecifrabili, un
prontuario di schegge fossili.
Un’operina-specchio compiuta esclusivamente dalla rottura, dalla frantumazione, che risponda a una legge nascosta e
che nessuno desidera più ritrovare: la legge dell’identità come
casualità.
L’Io è un Altro che ritorna Io a patto che l’Altro si disunisca,
smarrendo gli ingranaggi di un Sé Assoluto per strada.
Un manuale di anatomia patchwork, insomma.
Bella scoperta, direte voi: è l’uomo moderno, baby, questo qui. Anzi, è la Modernità fatta (s)persona. E siccome la
Modernità è tramontata, questo tuo libretto è vecchio già sul
nascere.
Quando è morta la Modernità? Be’, dipende. Qualcuno
sostiene nel 1913.
Così presto? Sì, così presto.
E come? Con un quadrato nero.
E dove? In Russia.
Kazimir Malevič, Quadrato nero. Il resto è tela bianca. Decisivo momento minimalista. Dovrà passare ancora molta
complessità e circa mezzo secolo prima che la riduzione formale di Malevič sia ripresa da Steve Reich, Terry Riley e La
Monte Thornton Young e poi dalla ripetitività della musica
dance, che recuperava ritmo, ripetizione, lancio, processo,
progresso e tecnologia. Malevič definì Suprematismo questo
suo nuovo linguaggio visivo geometrico. Scrisse che visualiz15
morley, 2005: 94-95
Kazimir Malevič, Quadrato nero, 1913
zava uno “stato delle sensazioni” e creava attraverso la pittura astratta un senso di meraviglia e beatitudine. Il quadrato
rappresenta i sentimenti, il campo bianco il vuoto dietro i
sentimenti. Il quadrato rappresenta il ritmo, la tela bianca lo
spazio attorno al ritmo. Un singolo quadrato nero su fondo
bianco è alla base della moderna musica dance elettronica.
Che il quadrato nero sia la culla dell’arte del xx secolo, una
truffa bidimensionale, una rappresentazione del niente, o un
nulla nero, in ogni caso preannuncia l’aspetto minimale del
codice di produzione dell’universo, il codice a barre, presente in ogni singolo prodotto di moderno consumo, forma in
bianco e nero diventata icona di comodità, vendita e acquisto. Il quadrato nero delle sensazioni batte il rosso della rivoluzione russa nella corsa all’occupazione dello spazio bianco
del futuro.
16
Cento anni dopo tondi tondi, possiamo considerare l’indagine di sé stessi come una truffa tridimensionale, il reperimento di indizi come la collezione dei gusci vuoti del
sentimento e tutto lo sporco lavoro come il Suprematismo
dell’Idiota Masochista.
Tra l’altro, sapete chi lo paga, lo sporco lavoro? No? Ma la
musica dance elettronica, ovviamente, cioè l’agonia del mondo occidentale accartocciato. Mi par quasi di sentirlo il suo
definitivo giudizio sugli uomini in un sussurro con il boato
incorporato che sconquasserà i continenti, come se Pangea
fosse pronta a riavvolgersi al ralenti.
Eccolo: Bastardi!
Se amate la pittura, e siete affezionati a quella russa del
xx secolo, e ora vi pare un po’ esagerata tutta questa responsabilità addossata al povero Kazimir, be’, mi spiace dirlo, ma
sarà un americano dai natali lettoni ad aggiungere, nel 1950,
l’essenza del codice a barre, cioè lo statuto della morte della
Modernità, su una cosa semplice semplice chiamata dai più
Quadro.
Mark Rothko, Number 10.
Il signor Rohtko, il mattino del 25 febbraio 1970, all’età
di sessantasei anni, si suicidò nel suo studio di New York,
recidendosi le vene e intossicandosi con due flaconi di idrato
di cloralio, banalissimi barbiturici.
Poco più di un anno prima, nel White Album dei Beatles,
compare una traccia che precipita nello sgomento singhiozzante la vecchia guardia dei fan del quartetto: “Number
Nine”.
Eccone la descrizione: l’apertura consiste in una breve conversazione tra il produttore George Martin e il critico nonché collaboratore tuttofare Alistair Taylor. Dopo una succinta introduzione pianistica, una voce maschile incomincia a
ripetere in continuazione la frase «Number Nine». Seguono
17
★
number 9
otto minuti di rumori, voci, colpi di clacson e una frenata di
automobile.
Ça va sans dire, autore principale del giochetto era John
Lennon. Che in piena epoca di Stockhausen Vogue non poteva
certo essere da meno, anche se all’occorrenza dichiarò di avere dedicato la composizione al Maggio francese.
«Bravi ragazzi, quei francesi. Vaffanpace!»
Ma, a proposito di Parigi, il profeta occhialuto, il tricheco
John, con i colpi di clacson e la frenata di automobile, anticipa di dodici anni il tragico epilogo del signore da cui è partito
tutto questo frammento di discorso: Roland Barthes, titolare
della cattedra di Semiologia letteraria al Collège de France,
uscendo dal medesimo, il 25 febbraio 1980, viene investito
mortalmente da un furgoncino.
Finalmente a casa, dopo l’ennesima estenuante ricerca
a vuoto di libri e dischi fuori catalogo e di molto altro,
decido di congedarmi momentaneamente da tanta Modernità perduta mettendo sul piatto la penultima traccia della
quarta facciata del doppio bianco dei Beatles, e mi abbandono sulla poltrona davanti alla riproduzione di un’operina
defatigante di Rohtko, poi cambio idea, mi alzo, prendo la
scala, vado in corridoio, salgo, raggiungo gli scaffali alti,
estraggo la mia copia polverosa della Camera chiara, riguadagno la poltrona, apro a caso e osservo alternativamente
le fotografie dei morti, il nero di Rohtko, le fotografie dei
morti, il nero di Rohtko, le fotografie dei morti, il nero di
Rohtko.
Number Nine, Number Nine, Number Nine.
Poi, finalmente rilassato, mi addormento.
E sogno.
Sogno di avere scritto un libro che si intitola Capitomboli.
Divagazione in Dissolvenza su Tutto, e che dentro questo libro, per quanto smilzo, si fa fatica a trovare le storie.
18
Strizzo gli occhi chiusi sotto gli occhi chiusi del sonno per
concentrarmi meglio, e alla fine una storia la trovo.
19
Scarica

leggi qualche pagina