Indialogo.it
www.in-dialogo.it
Suppl. n° al n.1/2009 di “Incontri Con…”
Periodico di cultura religiosa
realizzato in collaborazione con
l’Ufficio Irc/smi-sms e la Comm.
per l’Ecumenismo e il dialogo
della Diocesi di Pinerolo,
Via Vescovado 1, Pinerolo.
Dir. responsabile: Antonio Denanni
Anno 2, n.3, Maggio/Giugno 2011
I sacri monti e i complessi devozionali
A 300 anni dall’unità
Abbiamo appena celebrato i 150 anni
dell’unità d’Italia, dove si è guardato al
passato per ricordare quello che hanno
fatto i nostri antenati. Non pago di questa commemorazione qualcuno si è messo ad ipotizzare che cosa celebreranno
dello stesso evento i nostri eredi quando
fra altri centocinquant’anni ricorderanno
i trecento anni dell’unità d’Italia.
Forse a Roma, a Torino, a Firenze e in
qualche altra città qualcuno ricorderà
l’evento di quella che fu l’Italia, che probabilmente sarà inserita nella Federazione degli Stati uniti mondiali. In qualche
scuola, durante l’ora di storia, si vedranno
magari dei documentari tridimensionali di
questi eventi. Delle associazioni forse organizzeranno qualche conferenza.
Sono naturalmente delle semplici proiezioni o forse desideri dell’animo umano.
È bello infatti pensare che il passato rimanga nel cuore e nelle menti dei posteri
che verranno ed essi ricordino che un po’
del loro presente è frutto delle generazioni
che li hanno preceduti. Un presente-futuro,
si spera fraterno e solidale, che ha avuto inizio nel passato.
Buon compleanno Italia.
Antonio Denanni
La fede, nello svettare delle montagne
Tutte le culture hanno da sempre ritrovato nelle cime dei monti una tensione verso l’oltre
La storia delle fedi è legata anche
alla sacralità delle montagne. Tutte
le culture hanno ritrovato nello svettare della montagna una immagine
della tensione verso l’oltre e l’altro
rispetto al limite terrestre e tutte le
religioni vi hanno letto un segno
del divino. Lunghi elenchi di monti sacri, le cui vette sono segnate da
santuari, appartengono a tutte le tradizioni religiose.
Nella mitologia indù il dio
Shiva abita le montagne in
compagnia della sua sposa, la
dea Parvati, nome che letteralmente significa «la montanara»,
e si celebra il monte Meru come
«una trave di legno che funge da
puntello perché il cielo non cada
sulla terra». Della civiltà greca
è noto il significato dell’Olimpo
o del monte Parnaso. Gli Ittiti
consideravano i monti come la
sede del dio della tempesta.
In Giappone i monti sono considerati residenze dei kami, le
divinità: da lassù fanno scorrere
l’acqua per le coltivazioni. Gli
spiriti degli antenati, purificati dai riti funebri, salgono sui
monti ove sono divinizzati. Le
On line per gli altri
ascensioni ai monti sacri, come il
Fuji-yama, sono vere e proprie processioni mistiche, ricche di rituali
purificatori.
Per i maestri taoisti cinesi è, invece,
il monte K’un-lun la sede paradisiaca
dell’immortalità: lassù il Signore Celeste, Chan Tao-ling, aveva scoperto
due spade vittoriose contro gli spiriti
del male e da lì era asceso al cielo
In questo numero
www.finesettimana.org Portale dell’Associazione Culturale “don G. Giacomini” di
Pallanza, che organizza incontri culturali-religiosi nei fine settimana.
www.1b1s.org Il sito One Body One Spirit è una vera e propria “piazza virtuale” dove
le diverse espressioni del mondo cristiano possono incontrarsi e lavorare insieme.
www.rivisteonline.org Banca dati di libera consultazione sponsorizzata dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose e Teologico di Assisi e dalla Conferenza Episcopale Italiana
Gli abati di S.Maria /1
pag. 2
Atei, credenti e speranza
pag. 3
Chiesa di pietra e di carne
pag. 4
SS. Trinità, ovvero...
pag. 6
Non solo profitto
pag. 7
Il cibo dell’ultimo minuto
pag. 8
I mediatori intergenerazionali pag.10
Sono 40 anni che si pensa alla salute della terra
Giornata Mondiale della Terra (Earth Day)
«Tutti, a prescindere dalla razza, dal sesso, da quanto guadagnino, hanno diritto ad un ambiente sano e sostenibile»
Il 22 aprile si è celebrata
la Giornata Mondiale della
Terra (Earth Day).
Si tratta del 41°
“compleanno” da quando,
nel 1970, il senatore
americano Gaylord Nelson
ha istituito il “Giorno della
Terra” per promuovere una
giornata di educazione e
sensibilizzazione sui temi
dell’ambiente e della natura.
L’iniziativa si è allargata
nel 1990 al di fuori dai
confini statunitensi, quando
il coinvolgimento di ben 141
Stati ha conferito al Giorno
della Terra una dimensione
internazionale. Oggi sono
circa 200 i Paesi coordinati
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dall’Earth Day Network,
che ogni anno il 22 Aprile
mobilita
organizzazioni
in tutto il mondo per
promuovere iniziative a
sostegno della protezione e
della sostenibilità ambientale
cui partecipano quasi mezzo
miliardo di persone.
Nato come movimento
universitario, nel tempo,
l’Earth Day è divenuto un
avvenimento
educativo
ed informativo. I gruppi
ecologisti lo utilizzano quale
occasione per valutare le
problematiche del pianeta:
l’inquinamento di aria,
acqua e suolo, la distruzione
degli ecosistemi, le migliaia
di piante e specie animali che
scompaiono, e l’esaurimento
delle risorse non rinnovabili.
L’Earth Day, il giorno della
Terra, da più di quarant’anni
si basa saldamente su questo
principio: tutti, a prescindere
dalla razza, dal sesso, da
quanto guadagnino o dal
luogo in cui vivono, hanno il
diritto ad un ambiente sano
e sostenibile.
L’edizione del 2011 è stata
organizzata attorno alle
“Billion Acts of Green” (Un
Miliardo di azioni verdi).
Cioè ad impegni di singoli
cittadini, associazioni, Enti
e Governi, aziende che puntano a migliorare la vita in
maniera sostenibile. Possono
essere registrati sia i singoli
gesti che le grandi iniziative
che puntano alla sostenibilità
e alla riduzione misurabile
delle emissioni di CO2.
L’obiettivo dell’EDN è
di far registrare un miliardo
di azioni prima del Summit
della Terra che si terrà dal
14 al 16 maggio 2012 a Rio
de Janeiro in Brasile. Ad
oggi sono oltre 80 milioni
le azioni registrate sul sito
ufficiale dell’EDN per
questa che è la più grande
campagna
di
servizio
ambientale nel mondo.
Per informazioni e per aderire:
www.giornatamondialedellaterra.it .
su un drago dai cinque colori, dopo
aver bevuto l’elisir dell’immortalità.
Per gli arabi è la catena montuosa
Qâf, fatta di smeraldo, in cima alla
quale si scopre l’infinita distesa dei
cieli divini. In quella montagna vive
in perfetta solitudine fin dall’origine
del mondo l’uccello mitico Simurgh,
fonte di sapienza e di felicità perché a
lui è concesso di vedere Segue a pag.2
Supplemento d‘anima
Mukhtar Mai
Mukhtar Mai è una attivista
pakistana per i diritti umani.
Nata in una contea rurale
del distretto di Muzaffargarh
più o meno nel 1972 (ma lei
stessa non è del tutto certa del
suo anno di nascita), nel 2002
è stata violentata da quattro
uomini del clan Mastoi come vendetta di una
presunta relazione tra il fratello minore di lei,
Shakoor, e una donna appartenente al clan
Mastoi, che avrebbe gettato disonore su tutto
il clan.
Successivamente è stato scoperto che
l’accusa a Shakoor era stata formulata per
coprire la violenza subita dal ragazzo stesso
da parte di uomini Mastoi.
Nonostante fosse svelata la verità di questa
duplice violenza, molti si attendevano che
Mukhtar, come accade generalmente in
Pakistan dopo uno stupro, si suicidasse per
la vergogna. Ma lei, appoggiata dalla madre
e da 200 abitanti del suo paese, ha iniziato
una battaglia legale contro i suoi violentatori,
sostenuta dalle organizzazioni per i diritti
umani.
Segue a pag.2
11/05/2011 13.01.38
Indialogo.it
Pag. 2
dei giornali
Terzo canto
Pennellate bibliche
del Servo
ci
hanno
“Il Signore Terzo canto del Servo i n f o r m a t o
Dio mi ha
sull’ennesidato
mo atto di violenza, che ha condotto
una lingua da discepolo, per- al martirio un servo della pace: un voché io sappia indirizzare una lontario italiano attivo in Palestina. Si
parola allo sfiduciato. (…)
tratta dell’ultima vittima di una lunga
Il Signore Dio mi ha aperto lista.
l’orecchio e io non ho oppoSpontaneamente, sentendo leggere
sto resistenza, non mi sono tirato in- quel testo nella Domenica delle Paldietro.
me, la mente è andata a quanti (di
Ho presentato il mio dorso ai flagelogni o di nessuna fede) hanno il colatori, le mie guance a coloro che mi
raggio di mettere la propria esistenza
strappavano la barba; non ho sottrata servizio di altre persone, costi quel
to la faccia agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste, per questo che costi.
Mi è sembrato di cogliere con imnon resto svergognato, per questo
mediatezza
l’attualizzazione delle parendo la mia faccia dura come pietra,
role
di
Isaia
e mi è anche tornata alla
sapendo di non restare confuso.
mente
una
suggestiva
interpretazione
È vicino chi mi rende giustizia: chi
del
celebre
passo
del
discorso della
oserà venire a contesa con me? Afmontagna: “se uno ti dà uno schiaffrontiamoci.
Chi mi accusa? Si avvicini a me. fo sulla guancia destra, tu porgigli
Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi anche l’altra” (Mt. 5,39) proposta da
mons. Tonino Bello che pressappoco
dichiarerà colpevole?”(Is. 50,4-9)
Si tratta del famoso terzo canto del insegnava così: «le tue minacce, le tue
Servo di Jahvé, testo sul quale siamo percosse su entrambe le guance non
spesso sollecitati a riflettere, soprattut- mi fanno paura e non mi fermeranno
to nel periodo che precede immediata- nel ricercare la giustizia».
Anche da queste righe dunque un camente la Pasqua.
Per una triste coincidenza quest’an- loroso ringraziamento a tutti i testimono, pochi giorni prima dell’inizio del- ni della giustizia e ai servi dell’amore.
Carlo Gonella
la Settimana Santa, le prime pagine
(La rivista Glamour
la nomina donna dell’anno).
Tre uomini sono stati imprigionati per
sodomia, subita da Shakoor, ma cinque
dei sei uomini accusati da Mukhtar, in un
primo tempo condannati a morte, sono
stati liberati nel 2005 e poi assolti qualche
Segue da pag.1
L’Abbazia
di Santa Maria nel borgo
Verano di Pinerolo venne
retta dalle sue origini (1064)
al 1434 da 29 abati claustrali, cioè eletti dal monaci che
vivevano nel monastero e,
secondo la Bolla di Gregorio
VII del 1073, per la regolarità
della elezione, dovevano essere presenti due altri abati e
poi l’eletto riceveva l’investitura papale.
Di molti di essi la storia dice
poco. Di altri, invece, sono
ricordati gli avvenimenti sociali e politici di quel periodo.
Dalmazzo regge l’Abbazia
dal 1123 al 1144 come sesto
abate.
Il papa Callisto II dal Laterano con sua Bolla gli
conferma l’indipendenza dai
vescovi e la giurisdizione su
Pinerolo, su parte di Frossasco, su Reietto, sulla Val
Lemina, su Miradolo, Porte,
Turina, Malanaggio, Villaretto, Pinasca, Perosa, la Val San
Martino, l’alta Val Pragelato,
Legnasco, Famolasco, Buria-
settimana fa.
Con gli 8.300 dollari ottenuti come
indennizzo Mukhtar ha costruito due scuole
e un Centro per rifugiati nel suo villaggio,
che fino a quel momento ne era totalmente
privo. Adesso combatte giornalmente per
i diritti delle trecento ragazze nelle due
La fede, nello svettare... da p.1
il mistero dei cieli divini.
In Medio Oriente sono le
ziqqurrat, i famosi templi a
gradoni della Mesopotamia,
che riproducono in forma architettonica la simbologia di
un monte sacro, sul cui vertice si ergeva il santuariettoresidenza delle divinità. A
questa simbologia si ispira
il sogno di Giacobbe narrato dalla Genesi: «Una scala
poggiava sulla terra, mentre
la sua cima raggiungeva il
cielo. Ed ecco, gli angeli di
Dio salivano e scendevano su
di essa» (28, 12). Su questo
schema di collegamento tra
cielo e terra (ascesi spirituale)
è stata vissuta la spiritualità
di molti monaci del deserto. Il monastero più noto è quello di Santa Caterina nel Sinai, uno dei monti biblici
fondamentali. Così pure l’esperienza
mistica proposta da san Giovanni
della Croce (1542-1591) ha come riferimento simbolo il monte Carmelo.
I monti biblici più noti a cui si fa
riferimento per la spiritualità dei sacri monti sono: l’Ararat su cui posa
l’arca di Noè, il Moria del sacrificio
scuole, che secondo il costume locale
dovrebbero essere quasi tutte già sposate
e conseguentemente aver abbandonato gli
studi. Mukhtar stessa ha imparato a leggere
e scrivere solo dopo la costruzione delle
scuole, avendo cominciato a lavorare nei
campi sin da giovanissima.
Pagine di storia religiosa del Pinerolese
presso la corte d’Inghilterra.
L’abate viene ricordato per aver portato l’acqua
del Lemina e del Rio Merdarello sino al Borgo Piano per
irrigare i terreni coltivati fuori
delle mura, ma anche per usi
igienici e di aver incrementato la vita agricola sul territorio con l’abbattimento di
molte aree coperte da foreste
e rese abitabili.
Nel 1294 egli fa innalzare le
forche presso il ponte vecchio
di San Martino de’ Fulgeriis
sul Chisone dove termina il
suo territorio.
Questo provoca la reazione
dei viandanti provenienti dalla Val Perosa. Il governatore
di quella comunità organizza
una spedizione per abbattere
le forche.
L’abate chiede aiuto a Pinerolo da dove accorrono
numerosi armati per fronteggiare gli uomini del governatore di Perosa schierandosi
sul ponte.
Aurelio Bernardi
Gli abati dell’abbazia di Santa Maria - 1
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sco, Piossasco, Rivalta, l’isola ligure di Gallinara e Porto
Maurizio.
Si chiude con questo Abate
il periodo delle donazioni di
terre che fanno della Abbazia
una di quelle più estese come
territorio del Piemonte.
Gerardo II (1235-1238) è il
quindicesimo Abate.
Il papa Gregorio IX, indignato per l’omaggio reso da
questo Abate all’imperatore
Federico II, lo scomunica,
privandolo della dignità abbaziale.
I monaci eleggono nuovo
abate Albuino, il sedicesimo
(1239-1246), il quale cede i
diritti abbaziali sopra Pinerolo al conte Amedeo IV di
Savoia e chiede al popolo di
ubbidirgli.
In cambio, Amedeo, con il
consenso del fratello Tommaso, suo erede, dà al Monastero la facoltà di far legna nei
boschi di Miradolo, il transito
dei bovini ed il pascolo senza
Maggio 2011
pedaggio, per tutta la contea.
L’ostilità dei pinerolesi e degli stessi monaci per questo
scambio e l’intervento della
Santa Sede che disapprovò
l’intesa, costrinse l’abate,
accusato anche di pessimi costumi, a fuggire a Cumiana.
Pinerolo giura nel 1246 fedeltà a Tommaso II di Fiandra che diviene anche padrone della Val Chisone.
Al Monastero resta solo più
la giurisdizione temporale su
Abbadia, San Pietro Val Lemina e la Val San Martino.
Balangero dei Bersatori
(1287-1288) è il diciannovesimo abate claustrale.
Era prevosto della Collegiata dei Santi Donato e Maurizio sin dal 1272.
Egli proveniva da una illustre e antica famiglia investita
di vari feudi nel pinerolese
che darà due vescovi alla diocesi di Aosta di cui il primo,
Nicolò (1283-1300), ebbe anche il ruolo di ambasciatore
di Isacco, il Sinai dell’esodo, il Nebo
della morte di Mosè, il Carmelo di
Elia, il Sion del tempio gerosolimitano, il monte delle Tentazioni di
Cristo e quello delle Beatitudini,
il monte della Trasfigurazione e il
Golgota-Calvario, sino al monte degli Ulivi che nell’ascensione di Gesù
congiunge terra e cielo.
In epoca più recente, a partire dalla
fine del XV secolo, in ambito europeo cristiano e nel nuovo mondo si
sono sviluppati in contesti montani
dei luoghi di pellegrinaggio con cappelle o santuari,che hanno portato
alla definizione di “Sacro Monte”.
Questi edifici sono collocati in genere su di una altura elevata, in un ambiente naturale, in una posizione appartata rispetto al centro urbano e vi
si giunge prevalentemente mediante
un pellegrinaggio. Non di rado il
percorso richiama la Via Dolorosa, il
cammino che da Gerusalemme conduce al Calvario percorso dal Cristo
caricato della Croce.
Sul tema dei Sacri Monti si è tenuto
nell’autunno del 2004 un convegno
internazionale a Torino. A.D.
Cfr. www.sacrimonti.net.
I sacri monti italiani
nel Patrimonio
mondiale dell’Unesco
Dal 1979 ad oggi sono 36 i siti
della nostra penisola iscritti nella
Lista del Patrimonio mondiale
dell’Umanità. L’elenco comprende
città d’arte e paesaggi incantevoli.
Nel luglio 2003 l’Unesco ha inserito
anche i Sacri Monti di Belmonte,
Crea, Domodossola, Ghiffa, Oropa,
Orta, Ossuccio, Varallo e Varese.
11/05/2011 13.01.40
Cultura
Pag. 3
Maggio 2011
Il teologo della speranza e della croce Jürgen Moltmann
Atei e credenti uniti dalla speranza
«Non esiste una chiara linea di confine fra credenti e non credenti... La fede è universale»
Teologo della speranza
e della croce, Jürgen
Moltmann chiede ai cristiani
di «riversarsi» nel mondo dei
non credenti per annunciare
quel Dio «che sta con i
senza Dio». Il pensatore
protestante saluta come «urgente e
necessaria» l’apertura di un confronto fra
laici e cristiani su Dio.
La sua riflessione si è incentrata sulla
speranza. Come essa può interagire nello
scambio tra credenti e non credenti?
«Non esiste una chiara linea di
confine fra credenti e non credenti,
come fra cristiani e musulmani. La
fede è universale come l’incredulità. In
ogni credente si trova l’incredulità ed
in ogni ateo la fede. In ciascun essere
umano si svolge un dialogo fra fede e
incredulità: “Signore, io credo, ma tu
aiutami nella mia incredulità”, grida il
padre del giovane malato nel Vangelo
di Marco. Nessuno è soddisfatto della
propria incredulità. La speranza è più
ampia perché legata all’amore per la
vita. Speriamo finché respiriamo e, se
dubitiamo e diventiamo tristi, la speranza
persa ci tormenta. Dove viene distrutta la
speranza nella vita inizia la violenza e la
morte».
Cosa offre «in più» la fede cristiana?
«Il cristianesimo costituisce la “religione
della speranza”: chi spera in Dio ha
sempre aperti nuovi orizzonti. La fede
è fiduciosa speranza: il futuro non
è estrinseco al cristianesimo, bensì
l’elemento della sua fede, la nota su
cui si accordano le sue canzoni, i colori
con cui sono dipinti i suoi quadri. Una
speranza viva risveglia ogni nostro senso
per il nuovo giorno e ci riempie di un
meraviglioso amore per la vita, poiché
sappiamo che siamo attesi e, quando
moriremo, ci attende la festa della vita
eterna. La speranza abbraccia credenti e
atei perché Dio spera in noi, ci accoglie e
non abbandona nessuno».
Lei ha scritto molto sulla Croce, che
sembra non interessare più l’Europa.
Il Crocifisso può tornare ad essere
eloquente?
«La questione di Dio e del dolore è il
punto di partenza del moderno ateismo
europeo. Muore un bambino, migliaia
di persone vengono uccise, innocenti
cadono per mano terroristica. E dov’è
Dio? All’antico interrogativo della
teodicea non vi è risposta: se Dio è buono
e onnipotente, perché la sofferenza? Se
Dio vuole il bene ma non impedisce il
dolore, non è buono. La giustificazione
migliore di Dio, dice chi lo denigra,
è di non esistere. Ma l’ateismo è una
risposta? Se Dio non esiste, perché la
sofferenza sulla terra? Non ci serve un
Dio da accusare? Questa discussione mi
è sempre parsa teorica».
Come affrontare tale scandalo?
«Per chi è tormentato dal dolore non si
tratta di avere una risposta a un perché:
egli cerca un aiuto e una speranza per
uscire dal dolore. Quando ero in pericolo
di vita non mi sono chiesto perché
mi trovassi in quella situazione: ho
domandato aiuto urlando. Una divinità
buona ed onnipotente non può aiutarci.
Al centro del cristianesimo si trova la
passione di Dio sulla croce di Cristo.
In ciò si palesa una passione per la vita
colma di compassione per le devastazioni
della vita. “Solo il Dio sofferente può
aiutare” scrisse Bonhoeffer in cella
guardando il Dio crocifisso. Nel Cristo
moribondo il dolore di Dio ha trovato
la sua espressione umana: Dio soffre
le nostre pene. Cristo viene per cercare
ciò che è perduto e lui stesso si dà per
perso per trovare i persi. Chi si avvicina
a Cristo prende parte al dolore di Dio e
percepisce la sua desolazione. È successo
a Giovanni Paolo II e a Madre Teresa».
Lorenzo Fazzini, Avvenire, 3.2.2011
Lo scrittore Erri De Luca e il matematico Roberto Natalini
La scienza e tutta la vita è ricca d’infinito
«Nel fluire degli avvenimenti bisogna fare i conti con infiniti tipi di infinito»
La
scienza e la
vita ci
parlano
dell’infinito come certezza e come speranza.
Il matematico Roberto Natalini testimonia che buona parte della scienza
moderna si fonda non solo sull’idea
ma sull’uso dell’infinito. Lo scrittore
Erri De Luca chiama in causa il concetto opposto, quello di “finito”, e
afferma che neanche in carcere, dove
stai spalle al muro e faccia alle sbarre,
devi darti per “finito”. Recentemente,
di fronte a un’assemblea di detenuti,
ha detto: «Nessuno consideri la prigione come una “fine in cui finire”».
Insomma ci si accorge che non solo
la conoscenza scientifica ma la stessa
vita è potenzialmente ricca di infinito:
in tutte le condizioni, anche in quelle
che appaiono disperate, è possibile un
“nuovo inizio”. Ma «come lettore di
scrittura sacra – rileva De Luca – posso dire che l’infinito è caratteristica
esclusiva della divinità». [...]
La scienza incontra l’infinito in varie occasioni. Basta una moltiplicazione appena più complessa di quelle
che si fanno a scuola, e i cosiddetti
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numeri naturali non bastano più. Per
non parlare della teoria della relatività
e della fisica quantistica, osserva Natalini, che è dirigente di ricerca presso
l’Istituto per le applicazioni del calcolo del Cnr. E non esiste soltanto un
tipo di infinito: «Bisogna fare i conti
con infiniti tipi di infinito».
C’è una circostanza straordinaria
in cui si afferra l’infinito. Quando avvertiamo il tempo, il fluire degli avvenimenti e noi stessi, «precipitiamo
dentro di noi in momenti di infinita
intensità. Segue una sorta di infinita
concentrazione che ci fa presumere
di poter avere una percezione infinita
e un’anima immortale». E qui Natalini ricorda il film Miracolo a Milano, quando l’indovino ripete a ogni
barbone:«Lei non finisce qui. No, no.
Chissà dove finirà lei. Diventerà una
grande persona. Lei non finisce qui».
Ma nella vita c’è una “speranza di
infinito”?
Nel caso di chi ha fede, risponde De
Luca, «è come un tentativo di sporgersi oltre, di guardare un po’ più lontano». Nella fotografia, si chiama messa
a fuoco all’infinito. «L’idea di infinito
spunta quando guardiamo l’orizzonte.
Che cosa c’è, dopo? Il credente lo sa.
Il non credente si ferma lì».
De Luca segue l’evoluzione di un
ragazzo che era entrato in carcere da
mafioso, poi ha studiato e ora è diventato ingegnere informatico. «Ma
solo un’esigua minoranza si riscatta.
Per gli altri, il tempo della pena resta
un carico da buttare a fine percorso».
E invece non bisogna rassegnarsi a
«dare il tempo per perduto». La salvezza è alla portata di tutti: dipende
dalla capacità della persona, dalla
spinta che parte da dentro; sta nelle
nostre fibre». [...]
Luigi Dell’Aglio, Avvenire, 11.5.2010
Ritagli
In volo da Joannesburg
di Anonimo su numerosi blog
La scena che segue si è svolta
sul volo della compagnia British
Airways tra Johannesburg e
Londra. Una donna bianca, di
circa 50 anni, prende posto in
classe economica di fianco a
un nero. Visibilmente turbata,
chiama la hostess. «Qual è il suo
problema signora?» chiede la
hostess.
«Ma non lo vede?» risponde
la signora. «Mi avete messo a
fianco di un nero. Non sopporto
di rimanere accanto a questa
persona. Assegnatemi un altro
posto».
«Per favore, si calmi - dice la
hostess - perché tutti i posti sono
occupati. Vado a vedere se ce n’è
uno disponibile».
L’hostess si allontana e
ritorna alcuni minuti più tardi:
«Signora, è come pensavo, nella
classe economica non c’è nessun
altro posto libero. Ho parlato col
comandante e mi ha confermato
che non c’è nessun posto neanche
in classe executive. Ci è rimasto
libero soltanto un posto in prima
classe». E, prima che la donna
possa fare il ben che minimo
commento, la hostess continua:
«Nella nostra compagnia è del
tutto insolito permettere ad una
persona con biglietto in classe
economica di sedersi in prima
classe. Ma, viste le circostanze,
il comandante trova che sarebbe
scandaloso obbligare qualcuno a
sedersi a fianco di una persona
sgradevole». E rivolgendosi
al nero l’hostess prosegue:
«Dunque, signore, prenda il
suo bagaglio a mano, perchè
una poltrona in prima classe la
attende».
E tutti i passeggeri vicini che,
allibiti, avevano assistito alla
scena, si alzano e applaudono.
11/05/2011 13.01.42
Progetto culturale
Pag. 4
Maggio 2011
La Parrocchia/ 5 - di Don Primo Mazzolari
La chiesa di pietra e la chiesa di carne
Dal cap. 5 del libretto
di Don Primo Mazzolari
“LA PARROCCHIA”
Capitolo V
Anche la chiesa di
pietra è a servizio dei
poveri. Una chiesa
troppo bella non può essere una
parrocchiale. Infatti le chiese troppo
belle sono più musei che parrocchie;
e i sacerdoti sono guardati come
ministri del culto, i quali predicano
bene, ma non sono “il nostro prete”.
Parrocchia e parroco sono due fatti
di amicizia e di intimità, più che di
grazia, o di cultura, o di bellezza.
Solo l’amicizia riposa, dà confidenza
e stabilisce l’uguaglianza.
Il problema dell’apostolato
parrocchiale non consiste unicamente
nel costruire la “domus Dei”, ma nel
renderla “domus plebis”.
Moltissime cose si possono
regalare, non la chiesa - parlo della
chiesa di pietra - se vogliamo ch’essa
conservi il suo naturale titolo di
“plebana” come si chiamavano le
chiese dei primi tempi: un titolo
di nobiltà vera, anche se la parola
plebana è l’inverso di nobile.
Ma che cosa non ha redento e
nobilitato la Chiesa attraverso i
secoli, quando non si è fatta aiutare
da coloro che detengono o il denaro
o il potere o la fama?
Farsi regalare una chiesa da coloro
che credono nella sua utilità solo in
funzione conservatrice e reazionaria
è almeno molto pericoloso.
Passando davanti a una chiesa in
costruzione nella periferia di una
grande città, un capocellula diceva
ai suoi compagni : “Ecco un cavallo
di Troia!”.
Non è bello lasciarsi impressionare
da certe insinuazioni, ma siccome
nell’animo di molta gente c’è già
l’indisposizione verso un creduto
connubio tra il padrone e il prete
bisogna tenerne conto.
E un altro diceva: “Adoperano i
nostri soldi ed essi ci fanno bella
figura!”.
Ci sarebbe qui il problema, grosso
e delicato, del “denaro in chiesa”,
problema che non si risolve con
la gratuità dei servizi di culto resi
ai poveri. Se io dico a un mio
parrocchiano: “Tu non puoi pagare, e
le esequie saranno di carità”, invece
di andargli incontro lo umilio due
volte, perché non può dare e perché
avrà il rito di “carità”. Il povero
vuole l’uguaglianza: vuole che i suoi
morti abbiano le stesse accoglienze
rituali dei ricchi e i suoi figlioli, nel
giorno delle nozze, uguale festa dei
figli del padrone.
Il povero chiede che almeno nella
casa del Padre non ci siano differenze
o “accettazioni di persone”.
Vi ho parlato di belle chiese, di
chiese troppo belle, che a fatica si
impiegano al servizio. Non crediate
che mi piacciano le cose brutte: ho
solo paura che il povero ci stia in
soggezione e avverta il distacco e
il “di più”. Quando il divario tra
la “casa del Povero” e la “casa dei
poveri” è troppo, non è che il povero
si metta in soggezione, ma può essere
preso da un dubbio; “Mi dicono che
Gesù è il Povero: guarda che bella
casa possiede!”.
Un ragionamento sbagliato,
lo so bene: ma che importa un
ragionamento sbagliato, se la gente
lo fa e ci crede? Quando la periferia
parigina non aveva che baracche
per chiese, la gente che viveva
in baracche consimili riusciva a
dire: “Questo è il “compagno” che
va bene”. E andavano a trovarlo.
Più tardi, quando son diventate
di pietra come quelle della zona
borghese, i poveri hanno voltato le
spalle al “compagno Cristo” che
stava diventando borghese pure lui.
L’amore più grande, prima di dare la
vita, accetta la sorte di colui che ama.
Quando vado a far visita ai carcerati
m’accorgo che voglio loro bene fino
a un certo punto. E la prova è questa:
io esco e loro restano dentro.
Il Signore non ci ha fatto né
ricchi né felici, ma facendosi
uomo è rimasto con noi. E non
soltanto l’Incarnazione, ma anche
l’Eucaristia, se non la intendiamo
così, perde assai del suo significato
divino.
In molte parrocchie sorgono oratori
e cinema parrocchiali meravigliosi.
Una parrocchia di 1500 anime vi
ha speso circa sessanta milioni. Il
vescovo l’ha benedetto e se ne è
compiaciuto al pari della stampa; la
povera gente un po’meno. Niente di
più utile della salvezza del fanciullo.
Però, in quella parrocchia, vivono in
media un centinaio di disoccupati,
e almeno una trentina di giovani
oltre i venticinque anni che non si
possono sposare per ché non hanno
casa, e le case sono quel che sono.
Primo Mazzolari, La parrocchia,.
EDB (5, continua)
Che cosa ci guadagniamo a pensare?
George Bernard Shaw scriveva “La gente normalmente
pensa una volta all’anno. Io mi sono fatto una reputazione
internazionale pensando una o due volte alla settimana”.
Occupati come siamo a venderci bene e vendere
meglio, corriamo il rischio di non pensare neppure una
volta ali “anno.
Mi risulta che in giro vi siano infiniti corsi per
dimagrire (!), per imparare a parlare (per dire cosa?),
per ap-prendere tecniche di “comunicazione” efficace
(che cos’è la comunicazione?), ma non ho mai letto da
qualche parte l’esistenza di un “corso per imparare a
pensare”.
E così, a forza di vivere “fuori” da se stessi, evitando
le nostre parti più intime, puntando sempre di più a
co-struirsi un “falso Sé” da esibire, siamo sempre più
esposti al panico, alla insicurezza, in balia degli eventi
e degli altri.
Per capire la gravita della situazione basti pensare che
negli ultimi trent’anni i disturbi d’ansia sono au-mentati
del 429 per cento, cioè si sono quadruplicati!
Pensare non è solo teorizzare, disquisire ecc. Pensare
è una operazione che coinvolge la nostra emotività, la
nostra affettività, cioè la nostra mente nel suo significato
più ampio. […]
Che cosa ci guadagniamo a pensare? Intanto ci
guadagniamo che siamo noi a suonare la musica e
non diventiamo dei burattini nelle mani di altri che ci
vogliono comprare con i loro fuochi d’artificio. Inoltre,
passando nel nostro interno, guadagniamo la capacità di
contenere, di imparare a lasciar depositare in noi ciò che
viviamo, senza per forza cercare subito un rimedio per
espellere il dolore e il dubbio. Questo ci rende più forti,
più maturi e ci consente di non smarrirci di fronte agli
eventi che la vita personale e sociale ci presenta.
Michele Cerato, Associazione Rafael www.associazionerafael.it
I nuovi preti
La spiritualità
del prete diocesano
di Giuseppe Grampa
Soprattutto, l’esistenza di un uomo “spirituale”
obbedisce al comando di amare come Cristo: cioè
di essere per gli altri, come Lui, realizzando una
dedizione e una donazione, che si fa prossimità,
condivisione, cura dell’altro.
In questi elementi fondamentali possiamo
individuare la vocazione e la spiritualità del
presbitero diocesano.
Se volessimo esprimerla in una formula
riassuntiva potremmo dire che la spiritualità
del presbitero diocesano consiste nella
“dedizione stabile ad una Chiesa particolare,
come specificazione di valore nella direzione
della carità pastorale verso la chiesa”. Per essa
il presbitero viene donato a una Chiesa locale:
si pone cioè al servizio del disegno di Dio
relativo all’evento della Chiesa locale, di cui
impara a studiarne la storia, a leggerne il volto,
a raccoglierne l’eredità spirituale attraverso
la trama dei rapporti con tutti i membri della
comunità.
E’ come dire che la vocazione propria del
presbitero è vivere la carità, la dedizione di sé,
dentro una Chiesa locale, in comunione con il
Vescovo, con segni e gesti di condivisione, di
corresponsabilità, di un comune prendersi a
carico i fedeli.
L’orientamento o lo specifico della carità
presbiterale è dunque questo amore: “Un amore
dovuto anche a chi non vi ha altro titolo, fuorché
la dimora in un dato territorio, fuorché il trovarsi
in un dato posto nella società ecclesiastica,
affidato alla cura del pastore. E’ un amore
che indica un’appartenenza, che non si può
declinare… Un amore che deve avere sempre
disponibile una riserva di eroismo e di dedizione:
a tale tremendo amore ci siamo votati; è questo
che ci qualifica. Venir meno non si può… “ (G.B.
Montini, Discorsi dell’Arcivescovo di Milano,
Milano, 1963).
La spiritualità del prete si specifica dunque
come carità pastorale, come profonda e singolare
partecipazione alla missione di servizio di Cristo,
nel dedicarsi alla propria Chiesa.[...]
“Oggetto pertanto di questo amore è la
diocesi, meglio, ‘la Chiesa di Dio che è’ in
questo determinato punto dello spazio, dove si
costruisce organizzandosi
in un modo particolare, attorno ad un vescovo
determinato; e presenta caratteristiche possibilità
ed esigenze, conserva molteplici tradizioni
umane e cristiane, dà vita a diversi organismi
ed istituzioni. Tutta codesta complessa realtà –
nella generalità dei suoi aspetti e dei compiti a
cui può chiamare – verrà abbracciata ed amata e
fatta termine di una donazione che si vuole senza
divisioni, ad imitazione di quella del vescovo:
ciò si esprime accettando l’incardinazione e
impegnandosi al celibato” (G. Moioli, Scritti sul
prete, Glossa, Milano 1990)
Giuseppe Grampa, vescovo di Lugano
Centro Formazione Professionale
Sede di Pinerolo
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Focus
Pag. 5
W Schmid: “La felicità piena comprende anche...”
“Le persone aspirano alla felicità e da alcuni anni a questa
parte più appassionatamente
che mai. E fin qui ci siamo,
ma il problema è: la definizione di felicità non è uguale
per tutti, come invece molti
credono. Il più delle volte intendiamo stare bene, essere in salute, sentirsi a proprio
agio, divertirsi, fare esperienze gradevoli,
godere dei piaceri della vita, avere successo, in poche parole: sperimentare tutto
ciò che si considera positivo. [...]
E allora dove sta il problema? Questo
tipo di felicità rende avidi. Non bastano
pochi attimi, tutta la vita deve essere positiva - il benessere a tutti i costi. [...]
La moderna concezione del mondo
e dell’uomo parte dal presupposto che
tutto possa essere positivo; tuttavia,
esistono anche cose negative che non
scompaiono, indipendentemente da
quanti interventi di chirurgia estetica si
facciano, da quali farmaci si inventino
e da quali misure politiche si adottino.
Ricercare la felicità solo in quanto c’è
di positivo equivale ad un restringimento della prospettiva che nulla ha a
che vedere con la vita vera. Per felicità
dovremmo intendere anche altro; una
riflessione filosofica potrebbe offrirci
qualche spunto. Presto impariamo che la
vita presenta anche altri lati, non sempre
lieti, se non altro perchè prima o poi ci si
esaurisce... L’uomo moderno non sa amministrare questi «tempi morti», questi
momenti di “stasi”; ha difficoltà nell’affrontare periodi tristi, grigi, banali, peggio ancora se accompagnati dal dolore.
Per fortuna esiste anche un altro tipo
di felicità! La felicità nella pienezza
comprende sempre anche il rovescio
della medaglia, cio’ che è spiacevole,
doloroso e negativo e con cui bisogna
fare i conti. Ha meno pretese della felicità del benessere, poichè non è sempre
e solo in attesa di qualcosa di positivo;
dipende unicamente dall’atteggiamento
che dapprima si assume e poi si apprende nei confronti della vita, riflettendo
sulle sue peculiarità, su tutti i suoi aspetti e la sua impoderabilità.
Non sono forse proprio la polarità, la
contrapposizione e la contradditorietà
quelle che vediamo in tutte le cose ed
esperienze? Riesco ad accettare la polarità della vita, se non in tutte le sue forme almeno nella sua struttura di base?
Riesco a condividere tutto quello che
mi succede? Come convivo con quello
che c’è di negativo in me e nella mia
esistenza? La vita in tutta la sua polarità
appare comunque bella e apprezzabile?
Allora comprendo di essere inserito
in un contesto più ampio in cui trovano
spazio sia l’uno sia l’altro. Con un senso
di gratitudine e una gioia possibile solo
se non ci si limita a voler cogliere unicamente gli aspetti positivi della vita.
Questa felicità “altra” a poco a che fare
con il denaro, piuttosto con lo spirito.”
W. Schmid, L’altra felicita; LaStampa, 22.9.09
T. Auriemma: “Resistere... Contro la falsa bellezza”
Affinché la chirurgia estetica
possa attecchire, è necessario non
solo avere coscienza del proprio
corpo, ma anche percepirlo
come imperfetto, difettoso,
brutto. Tommaso Auriemma,
autore di Contro la falsa
bellezza. Filosofia della chirurgia estetica
(Melangolo 2010) parla di mutilazione: essa
«è la condizione fondamentale affinché
l’intervento chirurgico venga invocato.
Dobbiamo sentirci mancanti, storpi. Prima
di seminare un certo gusto, la cultura della
chirurgia estetica semina disgusto».
Una percezione serena e corretta del
proprio corpo non spinge a modificarlo,
quindi è necessario che il soggetto venga
indotto a sentirsi brutto, imperfetto.
Entra in gioco allora prepotentemente la
valenza culturale della chirurgia estetica,
la cui necessità è invocata per creare
orrore, disagio, in modo che l’individuo
non stia più bene con se stesso: «Bisogna
che si crei un disagio, bisogna sottrarre
agli individui ogni amore di sé». Bisogna
che le persone siano indotte a provare
vergogna per il proprio corpo.
“Normale”, infatti, non è un corpo
con le sue caratteristiche originali e
le sue eventuali smagliature, bensì il
corpo “perfetto”, quello modellato
dall’intervento chirurgico. Vale la
pena sottolineare il rovesciamento del
concetto di normalità, mentre molto resta
ancora da indagare sul bombardamento
culturale che lo produce.
Ecco allora che tanti ragazzi e ragazze,
senza dimenticare anche persone meno
giovani, si sentono straniere nel proprio
corpo: non lo accettano più, non lo
amano più, non ci stanno più dentro.
Devono cambiarlo, perché tutto il loro
malessere si annida lì. Una volta creato
il bisogno, si offre anche la soluzione:
ti vergogni di come sei? Puoi cambiarti
a tuo piacimento! E’ il corpo che non
siamo, infatti, a essere esaltato.
Una parte rilevante nella costruzione
dei meccanismi psicologici e sociali
che precedono il ricorso alla chirurgia
della bellezza è interpretata dai divi,
innalzati a modello, raggiungibile e
imitabile a patto che si intervenga… I
divi, i vip, si pongono come modelli in
un doppio senso: indicano una bellezza
da raggiungere e sono la dimostrazione,
in quanto ne sono essi stessi fruitori, che
essa è raggiungibile, grazie ai miracoli
della nuova chirurgia. Del divo i giornali
di gossip si affannano a raccontare non
solo le avventure amorose, ma anche
ogni ritocco. Il gioco è smascherato:
prima si provoca la vergogna di sé, poi
si incoraggia a superarla ricorrendo alla
chirurgia della bellezza.
P. Perazzolo, Il nostro tempo, 23.1.2011
Amos Oz: “I fanatici all’origine del conflitto di civiltà”
Il vero conflitto di civiltà
non è quello ipotizzato nel
celebre saggio di Samuel
Huntington. Non è fra Est
e Ovest e anzi non ha punti
cardinali. Per Amos Oz è
il conflitto «tra i fanatici e
tutti gli altri». È un tema
che gli sta molto cuore. Sul fanatismo
ha scritto un saggio, Contro il fanatismo,
edito da Feltrinelli qualche anno fa.
L’impressione è che tutta la sua opera,
penso in particolare a un romanzo
come La scatola nera, si interroghi
su questo aspetto inquietante
dell’esistenza umana.
«È vero. Ne parlo nei romanzi, ne ho
parlato nell’autobiografia. Del resto è il
problema del secolo.
Il fanatico è un cattivo genio che si
annida in ciascuno di noi, comincia nella
famiglia e si allarga alla società. Lo si
riconosce dal fatto che vuol cambiare le
persone a ogni costo. Direi che questo
atteggiamento esiste dovunque e anzi si
sta sempre più imponendo».
Lei non lo collega in via privilegiata alla
religione, come viene spontaneo pensare?
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«Non è solo un problema di religioni.
Pensi al terrorismo degli Anni Settanta
in Italia. Era mosso da un’ideologia, che
non è esattamente un religione. Ma si
può andare anche oltre: io ad esempio
continuo a essere un militante pacifista,
ma ci sono certi pacifisti in Israele che, se
potessero, mi ucciderebbero volentieri.
O ancora: secondo lei non è fanatismo
quello di certi animalisti vegetariani, per
non parlare della criminalizzazione dei
fumatori? Il problema è che il fanatico
è sempre altruista, agisce su una scena
pubblica, è molto interessato a te perché
vuole cambiarti, renderti migliore. E
allora dico: attenti a quelli che dedicano
la loro vita a cercare di cambiarti». [...]
Considera la tolleranza l’opposto del
fanatismo?
«Sì, insieme all’immaginazione, alla curiosità, e
a tanti altri atteggiamenti
positivi nei confronti del
mondo e degli altri».
È però un concetto
moderno,
almeno
nella forma in cui la
intendiamo. Nasce con
l’Illuminismo. Il fanatismo è ben più
antico, forse eterno.
«Anche la tolleranza è antica. Pensi
alla democrazia greca. O al Talmud,
dove la gente è esplicitamente invitata
a discutere e confrontarsi. Credo che
in ognuno di noi ci sia un genio della
tolleranza, proprio come c’è quello del
fanatismo». [...]
Anche l’amore però è ambivalente.
«Il fanatico dice di amarti, fa tutto per
te, arriva a ucciderti perché pensa al tuo
benessere e alla tua anima. Dobbiamo
renderci conto che la lotta contro il
fanatismo è oggi la più importante. Ci
vorrebbero dei dipartimenti di fanatismo
comparato nelle maggiori università»
Mario Baudino, La Stampa, 7.11.2010
Maggio 2011
Decaloghi moderni
I comandamenti dell’amicizia
a cura di Denis Sonet
Denis Sonet, educatore giovanile, ha raccolto alcune affermazioni di celebri autori sull’amicizia, per costruire un decalogo.
1. Stimerai l’amicizia come la più preziosa delle
perle
«Nessun rimedio ha più valore, nessuno è più efficace di un amico presso il quale troviamo conforto
nelle giornate cattive e insieme al quale condividiamo la gioia nei momenti di felicità» (A. Rievaulx).
2. Amerai tutti i tuoi amici senza gelosie
«I veri amici non permettono alla gelosia e allo spirito di competizione di degradare o alterare il loro
rapporto; l’amicizia non è esclusiva né possessiva». È dunque importante amare prima se stessi:
«Non ci si può innamorare di nessuno, se prima di
tutto non si è amici di se stessi» (E. Strachen).
3. Aprirai generosamente la tua amicizia ad altri cuori
«Se il cuore si apre agli altri, si allarga e si riempie di gioia: questo è il bellissimo segreto della vita
interiore». «L’amicizia richiusa in se stessa finisce
per stancare e deludere; ad essere sempre e solo in
due, si finisce per intristirsi e annoiarsi».
4. Manterrai l’amicizia con il dialogo
«L’amicizia ha bisogno della comunicazione tra
amici. Altrimenti non può nascere né vivere». Gli
uomini hanno bisogno di parlare e di essere ascoltati: «La loro anima colma di preoccupazioni, di noia
o di gioie aspira ad esprimersi. Le parole permettono una comunicazione reciproca» (F. di Sales).
5. Ai tuoi amici confiderai le tue pene e le tue
gioie in tutta semplicità
«Un amico è qualcuno che sa tutto di voi e, ciononostante, vi ama» (la Bibbia). «Una delle grandi
felicità della vita è l’amicizia, e una delle felicità
dell’amicizia è aver qualcuno a cui confidare un
segreto» (A. Manzoni).
6. Ai tuoi amici ti mostrerai come sei
Quale conforto è provare una completa fiducia in
qualcuno, poter dire le cose come vengono, senza
dover pesare le parole, poter stare in silenzio se lo
desideriamo. Sì, il segno della vera amicizia è il fatto che il silenzio non pesa.
7. Fornirai loro un valido sostegno nelle difficoltà
«La vera amicizia nasce nel momento in cui decido
di essere amico, e non solo di averne uno». «Amico
è colui che è al vostro fianco nei momenti difficili».
«Quando un amico è in difficoltà, non annoiatelo
chiedendogli cosa potete fare per lui; pensate a quello che sarebbe opportuno fare e fatelo» (E. Howe).
8. Ai tuoi amici perdonerai i loro difetti senza esitazioni
«Nell’amicizia non si va lontano, se non si sa perdonare». «Per farsi un amico, bisogna chiudere un
occhio. Per conservarlo, bisogna chiuderli tutte e
due!» (N. Douglas).
9. Cercherai di rendere migliori i tuoi amici
Ci sono amicizie fatte di complicità che non fanno che alimentare la mediocrità. La vera amicizia
è un’amicizia di emulazione. «Amare qualcuno,
diceva Dostoiewski, significa vederlo come Dio
voleva che fosse».
10. Con i tuoi amici costruirai appassionatamente un mondo migliore
L’amicizia non cambia soltanto due cuori, ma cambia tutti i rapporti con gli altri e può cambiare il
mondo, se è posta al servizio di un grande progetto.
D. Sonet, Scoprire l’amore, SEI
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Documenti
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Maggio 2011
Un commento sulla SS.TRINITÀ, “convivialità delle differenze”
SS. Trinità, ovvero la democrazia allo stato puro
«Il Dio dei cristiani aiuta a capire la relazionalità. E oggi anche la scienza parla di relazionalità»
So benissimo che parlare oggi
della SS. Trinità non è facile, per due
motivi: anzitutto perché ci hanno forse
nauseato secoli e secoli di discussioni
puramente teologiche, con intrecci anche
fortemente filosofici, ma senza incidere
minimamente sulla realtà esistenziale
di un popolo a cui di Dio interessava
solo una cosa: che almeno fosse la
Consolazione e per alcuni il Giudice
supremo. E c’è un secondo motivo: oggi
si preferisce parlare di Dio in generale,
per evitare di cadere in contrapposizioni
religiose che non aiutano certo un dialogo
ecumenico. Anche se, siamo sinceri, si
può finire in un qualunquismo che porta
ad un appiattimento anche nel campo
sociale. Lo sappiamo: l’essere umano ha
bisogno di sentirsi parte dell’infinito, e di
sognare oltre la banalità di un presente
che ci riduce ad una specie di larve.
Cristo ci ha parlato del Padre e dello
Spirito Santo, e lo ha fatto a modo
suo. Senza usare una terminologia per
addetti ai lavori. Se leggendo i Vangeli
ci troviamo di fronte a discorsi un
po’ complessi, non penso che Gesù
abbia parlato così alle folle e tanto
meno ai discepoli, anch’essi duri di
comprendonio. Si nota la mano della
Chiesa primitiva. C’è già il tentativo di
fare teologia.
Una cosa risulta chiara: Dio non è solo
un nome generico, ma ha un volto, un
volto che naturalmente ha bisogno del
nostro linguaggio umano per esprimersi.
E il rischio è duplice: avvicinarci troppo
a Dio estraniandoci dal nostro mondo
reale, o avvicinare troppo Dio al nostro
mondo banale.
Vorrei fare ora qualche considerazione
personale.
Una prima cosa da dire è questa.
L’essere umano sente il bisogno
d’infinito. Anche il più distratto. Anche
il più rozzo. Anche il meno sensibile. In
quanto essere umano ha sete d’infinito.
Ha sete, perché l’infinito è presente, ma
è come se non ci fosse. Chiamatelo come
volete, ma l’infinito è l’essere divino che
fa parte del nostro essere umano. Non
esiste alcun ateismo, in questo senso.
Si può essere atei, si deve esserlo nel
senso di rifiutare un Dio che ha spento
in noi l’infinito e il suo desiderio. La
religione favorisce l’ateismo, quando
ci offre e ci impone un Dio scontato e
banale. In questo senso gli atei sono i
più disposti ad accogliere l’infinito che
c’è nell’essere umano. E in questo senso
i credenti sono coloro che uccidono
l’infinito che è in noi.
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C’è un’altra osservazione. Il Dio che partito preso o ideologica.
convivialità. Sappiamo che il cammino
ci ha rivelato Gesù Cristo ci può aiutare
La comunità ideale è quella che è lungo e faticoso. Ma non risolveremo
a capire meglio questo mondo. In fondo, esprime le migliori energie di ciascuno. certo le tensioni creando ulteriori
diciamolo, un Dio anonimo, senza volto Sto dicendo belle parole, ma poi nella tensioni o paure.
fa comodo a tutti. Non dice nulla. È un realtà di tutti i giorni non facciamo che
Bisogna credere nella convivialità delle
alibi al nostro sfrenato egoismo. Ma se screditarle. Il mondo politico da una differenze: qui sta il futuro dell’umanità
Dio ha un volto, per modo di dire, allora parte, e quello religioso dall’altra, non globale.
i nostri rapporti con lui cambiano, e fanno che omologare oppure dividere.
Eppure per noi credenti la cosa
cambiano i nostri rapporti con la realtà.
Ecco poi il razzismo, il fondamentalismo, dovrebbe essere più facile, per modo di
Dunque, il Dio dei cristiani aiuta a l’integralismo, l’emarginazione.
dire. Crediamo nella Trinità, ovvero in
capire la relazionalità, e noi sappiamo
Secondo me siamo ancora ben lontani un Dio uno e trino. Ma penso che a noi
che anche la scienza, oggi soprattutto, dalla “convivialità delle differenze” di sia indifferente che Dio sia uno e trino. A
parla di relazionalità. Non ci interessa cui parlava don Tonino Bello. Ognuno noi interessa fare di Dio, vago e anonimo,
al momento capire come possano si crede un mondo a sé. Noi abbiamo una bandiera per i nostri egoismi politici
nell’unico Dio convivere tre persone e paura dell’altro. E ci creano ad arte la o religiosi. E qui sta l’errore madornale
tre relazioni. I teologi hanno tentato, oggi paura dell’altro. Viviamo di paure delle che rallenta il corso della Storia.
forse un po’ meno, di capirne qualcosa, differenze. Certo, il problema sta nella Don Giorgio Capitani, 29 maggio 2010
usando anche una terminologia presa
dalla filosofia. Non saprei a vantaggio di
chi, non senz’altro del popolo cristiano.
Una cosa però dovrebbe farci piacere:
sapere che anche Dio è relazione.
Interessante, intrigante parlare di
democrazia divina allo stato puro. Già
la parola monoteismo andrebbe riletta e
superata.
Tiriamo almeno una conseguenza più
concreta. Don Tonino Bello,
pensando proprio alla Trinità,
L’immagine che dà di sè la Chiesa
parlava spesso di “convivialità
delle differenze”. Le differenze
convivono, vivono insieme,
Ormai non ci si Manca il respiro (Ancora, pp. 144,
stanno
bene
insieme,
presta nemmeno più 13,00). Gli autori - Saverio Xeres,
rimanendo però differenze.
attenzione,
ma
nei presbitero e docente di storia della chiesa
Qui sta il punto. Noi parliamo
mezzi di informazione presso la facoltà Teologica dell’Italia
di comunità, di unitarietà,
si è ritornati alla settentrionale, e Giorgio Campanini,
di armonia, e pensiamo
«antica e preconciliare laico e già professore di Storia delle
che tutto debba livellarsi.
identificazione fra chiesa dottrine politiche, oltre che di teologia
Confondiamo la convivenza
italiana e Conferenza del laicato - danno voce a un disagio
con l’omologazione.
episcopale», anzi sovente addirittura sempre più diffuso tra i cattolici italiani,
Perché ci sia una società tra cattolici e presidenza della Cei. E alla sofferenza di tanti credenti che
ideale, occorre che le differenze questo non dipende in primo luogo amano e hanno a cuore la propria chiesa
di ciascuno rimangano. Un da una sbrigativa semplificazione e la vorrebbero in costante riforma per
dipinto è bello quando c’è una da parte dei mass media, ma da un presentarsi al suo Signore «senza macchia
armonica contrapposizione di progressivo dilatarsi della forbice tra la né ruga» (Ef 5,27). [...]
colori. I colori non si devono sovraesposizione dei vertici ecclesiastici
L’immagine che emerge da questo
confondere. Pensate al gioco e l’afasia dell’opinione pubblica nella doppio, appassionato sguardo non è
delle luci.
chiesa.
delle più incoraggianti: sempre più
Non dobbiamo, perciò, avere
È l’immagine che la chiesa dà di se fedeli assistono scoraggiati e impotenti
paura della diversità di usi e stessa che in un certo senso autorizza a un progressivo depotenziamento dei
costumi, delle culture, delle l’osservatore esterno a identificarla con documenti conciliari, specie di quelli
religioni, ecc. Qui sta il bello. le figure più rappresentative del suo portatori di un nuovo soffio vitale nella
Anche sulla parola integrazione, episcopato. Non si tratta quindi di un chiesa. Sembra quasi che le decisioni
stiamo attenti. Integrazione deplorevole malcostume giornalistico, collegiali assunte dai padri conciliari
non significa omologazione quanto piuttosto di un serio campanello - che, non si dimentichi, costituiscono
e neppure una specie di d’allarme sullo stato di salute della chiesa la più alta espressione del magistero
compromesso
(tiriamoci italiana e sul suo impatto nella società ecclesiale - siano equiparati ai molteplici
pronunciamenti di singole conferenze
indietro in qualcosa per andare civile.
L’impressione
più
diffusa
all’esterno,
episcopali e di uffici nazionali che
d’accordo), casomai nella
ma
soprattutto
all’interno
della
chiesa,
finiscono per esprimere una sempre più
esplicazione migliore di ciò che
è
quella
sinteticamente
evidenziata
dal
accentuata autoreferenzialità della chiesa.
ciascuno è, senza tuttavia cadere
titolo
di
un
breve
saggio
a
due
voci:
Enzo Bianchi, La Stampa 16.04.2010
in una contrapposizione per
Sempre più appiattita sulle figure dell’episcopato
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Orizzonti aperti
Pag. 7
Al cuore della fede - 10
Poesie
Secondo la Caritas in veritate di Benedetto XVI
L’amore nella verità
«L’amore nella verità — caritas
in veritate — è una grande sfida per
la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione.
Il rischio del nostro tempo è che
all’interdipendenza di fatto tra gli
uomini e i popoli non corrisponda
l’interazione etica delle coscienze
e delle intelligenze, dalla quale
possa emergere come risultato uno
sviluppo veramente umano. Solo
con la carità, illuminata dalla luce
della ragione e della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana
e umanizzante. La condivisione
dei beni e delle risorse, da cui proviene l’autentico sviluppo, non è
assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore
che vince il male con il bene (cfr
Rm 12,21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà.
La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende «minimamente d’intromettersi nella
politica degli Stati». Ha però una
missione di verità da compiere,
in ogni tempo ed evenienza, per
una società a misura dell’uomo,
della sua dignità, della sua vocazione. Senza verità si cade in
una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi
sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori — talora
nemmeno i significati — con cui
giudicarla e orientarla. La fedeltà
all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà
(cfr Gv 8,32) e della possibilità di
uno sviluppo umano integrale».
Benedetto XVI, Caritas in Veritate, 9
Sempre in attesa
di Pasqualino Ricossa
Addio verdi colli ognor festanti
e liete vigne d’uve fragranti.
Addio semplice felice fanciullezza.
Mi sembra sempre di arrivare,
e mi scopro sempre in attesa.
La notte attende il mattino,
il mattino attende la sera.
Il seme lo stupore del germinare
l’incanto il volo dell’uccellino.
È splendore lo schiudersi
fragrante della rosa,
anche se pungono le spine.
Ora, al declinar della vita,
sommo l’ansie delle mie attese:
ancora mi è duopo aspettare.
Rose e spine; cadono i petali
come gli anni e i giorni miei.
Lunghe attese ed ancora attese.
Qualcosa c’è oltre la vita
che alimenta questo aspettare.
Non ha più senso la parola FINE.
Pasqualino Ricossa
Turismo, estetica e spiritualità
L’abbazia di Boscodon, in Francia
Nella Valle della Durance, poco oltre
Embrun, si sale a sinistra verso l’Abbazia di Boscodon, edificata nello scenario delle Alpi a 1150 m. d’altitudine.
La sua origine risale al 1130, quando
Guillaume de Montmirail donò un vasto appezzamento boschivo (“bosc”,
richiama il legno; “don”, da “dunum”,
i luoghi alti) a chierici e laici che volessero servire Dio seguendo la regola
basiliana o benedettina. Nel 1142 con
dettina riformata dell’Ordine di Chalais, nell’Isère, che verrà soppresso nel
1303, provocando l’affiliazione di Boscodon alla Sacra di S. Michele.
Saccheggiata dai protestanti del
Lesdiguières nel 1579 e da Vittorio
Amedeo II di Savoia, in guerra con la
Francia, nel 1692, confiscata nel 1769
dall’ultimo arcivescovo di Embrun
per sfruttarne intensivamente le risorse forestali, nazionalizzata e venduta a
l’abate Guigo di Revello la comunità
monastica s’inserisce nella linea bene-
privati nel 1791, l’abbazia comincia a
rinascere nel 1972, quando l’Associazione degli Amici di Boscodon
compra ciò che resta della chiesa e del monastero e ne inizia il
restauro e la ricostruzione nello
spirito e nei modi dei monaci
medioevali.
La sete d’interiorità si traduce nella nudità essenziale delle
linee architettoniche, che espri-
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me, senza ricorso ad immagini dipinte, l’armonia della natura, interna ed
esterna all’uomo, come riflesso della
bellezza divina. Nella costruzione si
compongono forme geometriche che
facilmente assumono valenze simboliche: il cerchio richiama la dimensione
divina, il triangolo la Trinità, il quadrato la terra. L’ambiente è accogliente
perché letteralmente a misura d’uomo:
non sistema decimale, ma pollice, palmo, piede, cubito. La chiesa
è volta al sole nascente, segno di Cristo che illumina il
cammino degli uomini. Le
proporzioni rimandano al
tempio di Gerusalemme (Ez
40 s) e alla dimora di Dio
con gli uomini.
Artefice del restauro e della
ricostruzione è Fr. Isidore,
che tuttora guida le visite
all’abbazia facendo scoprire,
attraverso criteri e tecniche
costruttive, un’umanità e
una spiritualità che la frammentazione del nostro tempo difficilmente percepisce,
una visione del mondo dove
l’universo visibile è simbolo dell’invisibile: “Le perfezioni invisibili [di
Dio] possono essere contemplate con
l’intelletto nelle opere da lui compiute” (Rom 1,20); e al centro si trova
Gesù Cristo, cui tutto è sottomesso
(Ef 1,22) ed in cui tutto sussiste (Col
1,17).
Franco Betteto
Maggio 2011
NOTE DI LETTURA
Non solo per profitto
di Andrea Balbo
Martha C. Nussbaum, Non per
profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica,
Il Mulino 2011, 14 euro.
Questo libro non tratta (direttamente) di argomenti religiosi, ma è
un volume che tutte le persone che
hanno a cuore le domande sul senso
dell’esistere e del vivere da uomini
e donne consapevoli nella società
dovrebbero leggere, senza lasciarsi
fuorviare da un linguaggio fin troppo politically correct. M.C. Nussbaum è docente di Law and Ethics
a Chicago, è studiosa del pensiero
greco e dell’educazione e ha da anni
approfondito le indagini sulle radici
umanistiche della società moderna e
non solo di quella occidentale (nel
volume tratta infatti ampiamente
dell’India). Il suo agile libretto è un
invito a fare attenzione: la società
contemporanea, con il suo appello al
profitto puro e semplice, con il suo
invito a valutare ciò che si insegna
soltanto dal punto di vista dell’utilità, corre il rischio molto grave di
minare in profondità le capacità di
discernimento e di spirito critico dei
suoi membri, limitando l’accesso al
pensiero e consegnando, di fatto, le
chiavi delle scelte fondamentali a
piccole minoranze. Se questo processo si realizzasse, si arriverebbe di
fatto alla fine delle democrazie e alla
loro negazione sostanziale. La questione non è nuova, naturalmente,
ma, invece di essere giocata sul terreno della contrapposizione tra cultura umanistica e scientifica, prende
di petto il problema del senso delle
scelte, della capacità di formare
criticamente le nuove generazioni,
dell’accesso al pensiero e alla parola, del vivere in modo responsabile.
La partita del futuro non è quindi banalmente legata ai modelli educativi,
ma più profondamente connessa con
una scelta profonda delle nostre civiltà, che sono di fronte al dilemma
di avere cittadini capaci di influire
ragionevolmente sul mondo che li
circonda o sudditi privi di volontà.
La Nussbaum è chiara: un’autentica
partecipazione si ha soltanto introducendo germi di umanesimo nella
formazione o conservando quelli che
ci sono; in questo contesto anche la
dimensione cristiana acquisterebbe
un ruolo fondamentale, per la sua
intima connotazione umanistica: ma
questa è una considerazione di chi
scrive, non dell’autrice.
Andrea Balbo
11/05/2011 13.01.50
Pag. 8
Cronaca bianca
Maggio 2011
Un’invenzione di Andrea Segrè, dell’Università di Bologna
America latina
Cose dell’altro mondo
Suor Angelina
a Cicero Dantas
«Siamo ogni volta interpellate a essere
presenza di Dio che ama, che accoglie
e che integra». E’ il ruolo delle suore di
S.Giuseppe in Brasile, a Cicero Dantas,
dove venti scuoline e doposcuola
garantiscono ai bambini delle periferie e
dei villaggi più poveri un’educazione (e
un pasto) di qualità.
A raccontare questo mondo di solidarietà
è suor Angelina, 69 anni, in Brasile da
ventiquattro: «Ho sempre desiderato
andare in missione», racconta (…)
«Ho lasciato mia madre morente
quando ho preso il volo per la prima
volta. - confida con le lacrime agli occhi
- Era felice di vedermi partire perché
sapeva che stavo realizzando un sogno».
Che cosa significa vivere e portare la
fede in un pezzo di Sud del mondo?
«Significa trascorrere le giornate
per strada, a contatto con le madri
abbandonate dai mariti, affamate, con
i bambini piccolissimi in braccio e i
piccoli già grandi fuori casa a cercarsi da
mangiare». E ancora: «Fare catechismo
nelle case delle famiglie dilaniate, per
rendersi conto con i propri occhi dove
dormono i bambini che incontriamo
quotidianamente nelle scuotine e ai
doposcuola». In Brasile, educazione è
davvero una forma di sostentamento.
In ogni scuolina di Cicero Dantas (venti
in tutto, suddivise nelle otto periferie)
tre suore accolgono in due stanze, una
cucina e un bagno i bimbi dai 3 ai 6
anni al mattino. A loro vengono serviti
colazione e pranzo. Dalle 14 c’è il
doposcuola, rivolto invece ai ragazzini
che frequentano le elementari. Prima di
andare a casa anche per loro c’è un pasto
caldo, probabilmente l’unico di tutta la
giornata.
Questo fragile sistema-aiuti si regge
sulle offerte che arrivano dall’Italia,
Pinerolo in particolare con la comunità
di S. Domenico e la parrocchia di S.
Donato. «Quotidianamente mi trovo
a spendere più di quanto ho in tasca.
- racconta suor Angelina - Di fronte
alle questioni di salute e di fronte alla
fame non si può restare indifferenti.
Le mamme e i bambini sono sacri».
L’adozione a distanza è lo strumento più
utile, «perché ci permette di garantire al
bimbo adottato un posto a scuola».
Dopo tanti anni di vita dall’altra parte
del mondo, dov’è che ci si sente a casa?
«Casa mia è a Cicero Dantas. In Italia
ho la mia famiglia e gli affetti, ma
ormai tutta la mia vita è nelle scuoline,
circondata dai bambini».
Una vita fatta di difficoltà, anche se
suor Angelina non è tipa da scoraggiarsi
facilmente. «I momenti più critici,
semmai, ti spronano ad andare avanti, a
trovare nuove soluzioni».
Suor Angelina, suora di San Giuseppe, da
Notizie, Esperienze, Proposte, dicembre
2010, Parrocchia di S.Donato
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Il cibo salvato all’ultimo minuto
Da spreco a dono. La parabola del cibo nell’esperienza del Last Minute Market
L’ultimo minuto evoca nel mondo del
calcio l’estrema possibilità di ribaltare
un risultato. Il gol segnato all’ultimo
minuto è il più spettacolare, che libera le emozioni più forti, proprio per
un’azione risolutiva oramai insperata.
Il “Last Minute Market”, il cibo salvato all’ultimo minuto, è un’invenzione
di Andrea Segrè, preside della facoltà
di Agraria dell’università di Bologna,
che si basa su un’idea molto semplice:
prelevare l’invenduto dei supermercati
e donarlo a chi ha bisogno; cibo, insomma, ancora commestibile ma non commerciabile, che viene distribuito a enti
caritativi. La data di scadenza troppo
vicina, una confezione difettosa, un cellophane bucato, una pesca ammaccata:
sono mille i motivi per cui finiscono nel
cassonetto dell’immondizia centinaia di
migliaia di alimenti.
Si calcolano 240 mila tonnellate l’anno
di prodotti alimentari non avariati e,
calcolando tutte le eccedenze, si arriva
a 6 milioni di tonnellate di beni scartati
che potrebbero sfamare ogni anno 3 milioni di persone in Africa. E le famiglie
non sono da meno nella classifica degli
sprechi. In un anno ogni italiano getta
nella pattumiera 27 chili di cibo: il 15
per cento del pane e della pasta acquistati, il 18 per cento della carne e il 12
per cento di frutta e verdura.
Eppure, capì Segrè, lo spreco può essere messo in fuorigioco. Come? Trasformandolo in risorsa. Osservando,
per motivi di studio insieme ai suoi studenti, tutte le fasi di lavorazione in un
ipermercato, capì che era conveniente
per tutti fermare il prodotto prima che
diventasse un rifiuto. Così le imprese
risparmiano in tasse e in costi di smaltimento. L’ambiente si tutela da ulteriore
immondizia. Innumerevoli enti non
profit ricevono cibo risparmiando sui
costi delle mense e investendo più risorse in beni e servizi. «I prodotti invenduti
– spiega Segrè – sono un fallimento del
mercato. Noi ne ribaltiamo la logica trasformandoli in dono». Oggi “Last Minute Market” ha attivato 42 progetti in
una decina di regioni italiane e ha ampliato il suo campo d’azione non solo al
cibo, ma anche ai farmaci, ai libri, alle
sementi, ai frutti non raccolti nei campi
e destinati a marcire.
Per bilanciare le eccedenze del mercato
«serve un patto – sottolinea Segrè – che
coinvolga imprese, istituzioni, mercati e
consumatori». Città Nuova n.13/14, 2010
La terza via dell’Europa
«Trent’anni fa viaggiare nel mondo da
europeo significava sentirsi chiedere:
“Com’è l’Europa? Cosa accade laggiù?”.
Ora questo interesse è scemato... il resto del
pianeta non si aspetta più cose importanti
dall’Europa». […]
Di qui una reazione istintiva dell’Europa - politica
ma anche sociale - verso un ritrarsi in sé stessa,
mirata a “salvare il salvabile”: il nostro modus
vivendi, la nostra cultura, i nostri valori, le
nostre prerogative. «Un’illusione», ammonisce
Bauman, «le soluzioni locali a problemi globali
- ovvero cercare di mantenere un sistema stabile,
democratico e sicuro all’interno di un mondo
instabile e insicuro – sono pura illusione».
È per questo che l’Europa deve intraprendere un
altro percorso. E può farlo - dice Bauman -offrendo
al mondo qualcosa di unico, che nessun altro
può proporre. Non la potenza militare («quella
Usa è inarrivabile»), non lo sviluppo economico
(«India, Cina e altri Paesi emergenti presto ci
sorpasseranno»), non l’innovazione scientifica
(«ormai diffusa in modo omogeneo in molte aree
del mondo»). Bensì «la capacità di vivere con gli
altri senza pretendere che gli altri cessino di essere
sé stessi». In altri termini sfuggendo all’alternativa
secca che Lévi-Strauss aveva notato essere la
regola per l’umanità nella gestione del rapporto con
il diverso: “mangiarlo” (annullarlo assorbendolo) o
“vomitarlo” (annullarlo distruggendolo). Ora c’è
una terza via, quella europea: accettare la diversità
culturale, linguistica e sociale, convivendoci.
da un’intervista di Z. Bauman
Marco Robella e Venusia Govetto
Una coppia con la passione per l’Africa
Venusia, originaria di Sorrento e Marco nali. Dalla regione del Louga proviene stato assegnato il Premio internazionale
di Montemagno, in provincia di Asti, si la maggior parte dei senegalesi in Italia. del volontariato da parte della Focsiv.
conoscono e si sposano in Senegal dove Sono quasi 300.000 gli immigrati che, Al momento più di mille volontari che
lavorano come volontari per l’organiz- col loro lavoro, sostengono le proprie appartengono ai 65 organismi associati
zazione non governativa Cisv di Torino. famiglie in Senegal nei periodi di sicci- Focsiv sono sparsi in 50 paesi, impegnaVenusia è la coordinatrice di un progetto tà. Per arginare il dramma dell’emigra- ti in 66 progetti di sviluppo che spaziano
del Cisv per il miglioramento della si- zione e aumentare il reddito di alcune dal settore sanitario, a quello agricolo e
curezza alimentare nella Valle del fiume famiglie, il progetto di turismo solidale, alla formazione alla difesa dei diritti
Senegal. Il progetto si prefigge di ap- coordinato da Marco, è un valido stru- umani. Simona Bruera
poggiare le organizzazioni contadine, mento. Nel 2009 a Venusia e Marco è
di elaborare metodi
Finestra per il Medio Oriente
di lavoro e di raccogliere finanziamenti
per migliorare un
Le lettere di Don Andrea Santoro 24 - In giro per la Turchia
sistema di mutuo
Carissimi, abbiamo ancora gli occhi e il cuo- comunità cristiane che una volta le abitavano. Molte di
soccorso tra contadini. Si concordano
re pieni di quanto abbiamo visto in un giro da queste chiese sono ridotte in rovina, altre difficilmente
le attività, si contempo programmato nell’est della Turchia (il accessibili se non a prezzo di ricerche pazienti e di tragitti
trollano sul terreno,
profondo sud di una volta in Italia). L’intento a piedi. La presenza e lo splendore di queste chiese consi risolvono proera di capire meglio la realtà particolare che trasta con l’assenza e l’oblio dei cristiani che fino ai primi
blemi per miglioviviamo da Urfa fino ai confini con l’Iran, decenni di questo secolo vi abitavano numerosissimi.
rare il lavoro. Sia l’Iraq, la Siria e l’ex Unione Sovietica. Vi faremo una
Nella popolazione attuale abbiamo trovato un ricordo
Venusia che Marco cronaca dettagliata e ragionata nel prossimo numero. Per pieno di simpatia, di stima e anche di nostalgia dei tempi
sono abituati a spo- ora mi limito ad alcune semplici osservazioni.
della loro presenza: un segno di una convivenza riuscita
stamenti continui 1) Anzitutto ci siamo convinti ancora di più della varietà e ancora possibile. Ci siamo convinti ancora di più che la
su strade sterrate
di questa terra chiamata Turchia. Una diversità di natura, diversità, se accettata e amata è ricchezza e stimolo recitra le due città in
di arte, di culture, di popoli. Una diversità che fa la sua proco, fonte di scambio e di collaborazione. La diversità
cui lavorano: Saint
ricchezza e il suo interesse ma anche la sua complessità e se vissuta nel rispetto è vita, altrimenti genera estraneità,
Louis e Longa., Le
in certi casi la sua problematicità.
isolamento, insofferenza o odio.
due città hanno un
2)
Dal
punto
di
vista
naturalistico
abbiamo
visto
delle
bel4) Ci ha colpito l’intensa atmosfera spirituale, riflessa
potenziale turistico non sfruttato. lezze che ci hanno incantato. Valli, gole, pianure, colline, nella sua architettura e nella sua decorazione, di una moMarco è respon- montagne ancora innevate, laghi, praterie, fiumi, piante e schea di Malatya. L’invito alla preghiera saliva al cuore
sabile del progetto fiori di ogni tipo. Un vero regalo di Dio, un’impronta della appena entrati. Era come un piccolo cielo in terra.
di turismo solidale creazione, una goccia della sua bellezza. Chi non ha visto 5) Abbiamo attraversato città e villaggi abitati pressoché
che organizza sog- questa parte della Turchia non può dire di aver visto la Tur- totalmente da curdi. Sempre abbiamo trovato affabilità e
accoglienza. Abbiamo visto la loro laboriosità, il calore
giorni in famiglia chia.
o in “campement”, 3) Dal punto di vista artistico abbiamo visto splendidi delle loro famiglie, la semplicità della loro fede, l’amore
strutture turistiche monasteri e chiese disseminate ovunque. Vi si legge la alla terra che abitano, l’anelito a condizioni di vita migliosemplici e funzio- fede, l’amore e il genio spirituale delle numerosissime ri per i loro figli, la loro cultura, la loro storia.
Perché vado in Turchia
11/05/2011 13.01.51
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Religione&Scuola
Maggio 2011
CINEFORUM
Dal giornale degli studenti del Liceo “Porporato” di Pinerolo
Abemus Papam
Missioni di pace e zafferano
Film per la catechesi e l’irc
Regia di Nanni Moretti (2011)
Un’iniziativa dei militari italiani per sostituire le coltivazioni di oppio
Nessuno vuole fare il Papa. Il coro, mormorato a mezza bocca, che si leva dalla
Ebbene sì, infatti la coltivaziobene questo sia ad attacchi e le persone a bordo
Cappella Sistina mentre il conclave sta
ne di questa spezia è una delle
molto inferio- sono uccise.
per eleggere il nuovo pontefice, è piuttosto
principali risorse degli abitanti
re all’effettivo
I bulbi di zafferano hanno inoltre
chiaro. “Non io, Signore”, pensano (spedei
paesi
in
guerra.
ottenuto
dalla
sostituito
le coltivazioni di oppio;
rano) i cardinali, uno ad uno. Ma ad uno
Parlando
con
il
Tenente
Covendita
nei
noalla
consegna
c’è una specie di cedi loro deve per forza toccare. Il prescelto
al termine di svariate sedute che somiglia- lonnello Laurenti, sono venuta
stri paesi, ade- rimonia in cui i bulbi vengono dati
no ad un esame di maturità (c’è anche chi a conoscenza di questa importante guato per la loro sopravvivenza.
al capo villaggio che provvederà a
sbircia) è il cardinal missione: attualmente molti soldati
Questa operazione anche se può distribuirlo ai contadini.
Melville, nome da
italiani sono impegnati in missioni sembrare irrilevante, a differenIl tenente conclude dicendomi
regista di noir e da
di
pace
in
Afghanistan
e
dall’Italia
ze
delle
grandi
missioni
proposte
che
a suo parere questa idea è buoscrittore. Il franceè
partita
l’idea
di
donare
ai
villaggi
dagli
americani
che
però
risultano
na
ma
probabilmente non sostenise ‘batte’ sul filo di
dello
stato
dei
bulbi
di
zafferano,
inutili,
è
spesso
soggetta
ad
alti
ribile
nel
tempo.
lana il cardinale ‘fa
Martina Rostagno,
vorito’ (un italiano), appunto, in modo che i contadini schi, come mi spiega il tenente, inOnda d’urto, febbraio 2011
un sudamericano e possano trarre un guadagno, seb- fatti i carichi sono sovente soggetti anche un africano.
Adesso vi racconto...
L’Habemus Papam
che annuncia la
presenza del nuovo
papa, anticipa di
di
poco l’urlo furioso che il successore di
Renato Zero
Quanti di voi sanno esattamente mia vita.
Pietro fa al mondo intero: Melville non Se c’era
un’altra
dove si trova la Nuova Zelanda sulla Il rapporto di amicizia che si è creato
vuole essere lì, ha paura, chiede aiuto. Il un Dio da
promessa, magari cartina? Non lo sapevo nemmeno fra noi è unico, difficile da spiegare,
meccanismo perfetto si inceppa e, una discutere…
la stessa: Dio!
io con precisione, prima ancora perché laggiù, non conoscendo la
volta accertata la buona salute fisica del Adesso, non
Riporta Dio,
di pensare a un viaggio, il viaggio nostra storia, i nostri parenti, amici
Santo Padre, alle alte sfere vaticane non c’è più.
dove nascerai,
che mi ha cambiata, che mi ha e culture, ci siamo accettati per ciò
resta altro che affidare con scetticismo
la dove morirai… fatta crescere e che mi ha regalato che siamo e anche se so che non
il papa in pectore ad uno psicanalista, Sei troppo
tante emozioni, parole e sguardi, rivedrò mai più tante persone, con
ingenuo da
Riporta Dio nella diversi da quelli che incontriamo le quali ho condiviso intere giornate,
il più bravo in circolazione. Il medico credere,
fabbrica,
si trova subito le mani legate. Non può
nella vita, che potremmo definire saranno per sempre amici veri,
che
un
Dio,
sei
tu…
chiedere al papa dei suoi sogni, dei suoi
nei sogni più avari che
“di tutti i giorni”, proprio perchè quelli di cui non ci si dimentica.
desideri, del suo rapporto con le donne Dio, non sarà aritmetica,
fai…
ricchi di curiosità e soprattutto di
Da loro e dalla famiglia che mi
ed è oltretutto costretto ad effettuare le
novità.
Quest’estate
ho
trascorso
ha
ospitata ho imparato tanto,
ne parapsicologia.
Ti giochi Dio al totocalcio,
sue sedute davanti a tutti i porporati.
tre mesi in un’isola che pochi ad apprezzare i piccoli gesti, ad
lo vendi per una dose,
Chiede e ottiene che a curarlo sia una Non sta nei falsi tuoi
conoscono davvero, l’isola che i essere consapevole dei miei limiti
simboli,
professionista ignara dell’identità di
Maori chiamano Aotearoa, famosa e a guardare il mondo con occhi
lo butti via in una frase,
Melville. Dopo la prima seduta, l’uo- nella pornografia!
per i kiwi, il rugby e i paesaggi totalmente diversi: Pinerolo era così
lo cercherai in farmacia…
mo, al culmine della disperazione, fug- Ti giochi Dio al
mozzafiato. Ma c’è molto di più, piccola quando sono tornata!
E Dio non è un manifesto,
ge lasciando il portavoce a sbrigarsela totocalcio, lo vendi per
ancora di più se ti trovi ad essere
Soltanto quando si torna a casa ci
da solo. L’opera rifugge la rappresen- una dose,
uno studente internazionale che vive si rende davvero conto di che cosa si
la morte senza un
in una famiglia locale, che frequenta è vissuto, di essere davvero andati e
tazione scandalosa della crisi del ponpretesto…
lo butti via in una frase,
una scuola enorme e colorata di tornati dall’altra parte del Globo e di
tefice, rinunciando ad un dissacrante
La noia o un altro veleno,
verde, piena di gonnelline scozzesi, avercela fatta. Ed è proprio in quel
ritratto del clero in favore del racconto lo cercherai in farmacia…
la bocca di un altro
pantaloncini grigi, sandali e momento che si apprezzano tutti i
dello smarrimento di una persona che Pensi Lui vada a petrolio,
squalo…
scarpette rigorosamente uguali, che momenti di quanto vissuto, che si
mai avrebbe pensato a se stesso come
la
trascorre le sue giornate in mezzo piange e che si inizia a pensare di
ad un malato. Il
Se
mai,
un
Dio,
non
ce
fede,
a ragazzi,giunti da ogni parte del tornare, ma quando si riabbracciano
Il
cielo
in
una
frase
l’hai,
problema semnon
mondo, con il tuo stesso obiettivo.
le persone care, che aspettano con
bra essere la Se ognuno pensasse a cambiare se è un
io ti presenterò il mio…
All’inizio la timidezza gioca la sua ansia all’aereoporto, gli amici e i
fede, ma forse stesso, tutto il mondo cambierebbe.
Dove abita, io non saprei… parte e si hanno molte aspettative, compagni di scuola, si ha davvero
l’inghippo
si
(Bayazid )
paura di non saper gestire la nuova voglia di ricominciare la vita di tutti
Magari in un cuore, in un
trova da un’alvita, anche se ci si rende poi conto i giorni, perchè in fin dei conti, è
atto d’amore,
tra parte. Perché
imbroglio…
che ogni singolo momento è stato mancata.
in questa “partita” tra due fedi a loro
nel tuo immenso io, c’è
speciale, anche quelli di difficoltà,
Sono sicura che prima o poi
E,
non
c’è
Dio
sulla
luna,
modo assolute, una più razionale, la
Dio!!
perchè
rendono
più
forti,
soprattutto
tornerò
in quell’isoletta felice, dove
psicoanalisi, l’altra di segno opposto, ma in questa terra che
…Potrebbe essere Dio…
se
bisogna
contare
solo
su
se
stessi
sono
stata
così bene, e anche se ogni
completamente asservita all’idea di trema!
per
superarli.
tanto
vorrei
scappare laggiù, sono
E tu, al posto suo,
Dio, Melville non trova “rimedi” né su
Se mai, non sarà Dio,
La ricchezza immensa che mi contenta di essere tornata, perché
una sponda, né sull’altra. Lo guardiamo
mi tradiresti?
ha dato questa esperienza non è come dice la mia mamma ospitante
vagare, uomo tra gli uomini, mentre si sarà ricostruire…
tanto la conoscenza dell’inglese, “It’s not over, but everything starts
Mi uccideresti?
perde per le strade di Roma, rinfrancato Se mai, lo ritroverai,
che è sicuramente migliorato, ma again”.
Mi lasceresti senza, un
solo dall’affetto vero che riesce a conla consapevolezza del mondo in Alessia Moroni, 2A CL, Onda
in un pensiero, in un
Dio?
quistare dagli sconosciuti, segno forse desiderio,
cui vivo attraverso la conoscenza d’urto, febbraio 2011
che qualcosa non si è completamente
Se mai, non sarà Dio,
di ragazzi e
nel tuo delirio, nel tuo
infranto.
ragazze, nella
sarà ricostruire…
cielo…Dio!!!
In un film in cui sono ben visibili le due
mia
stessa
Se mai, lo ritroverai,
anime, quella più umoristica, legata alla …Potrebbe essere Dio…
condizione,
vita in Vaticano dello psicoanalista, e la E anch’io, con te
in un pensiero, in un
che
sono
drammatica crisi umana di Melville, cercherei,
desiderio,
riusciti
a
manca quella fusione che armonizzi le
lasciare
un
nel
tuo
delirio,
nel
tuo
nella paura una strada
diverse parti della storia.
segno nella
cielo…Dio!!!
sicura,
Walter Gambarotto
Potrebbe essere Dio
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I miei tre mesi
in Nuova Zelanda
11/05/2011 13.01.52
In diocesi
Pag. 10
Temi per riflettere in un’assemblea diocesana - 2
I genitori, mediatori intergenerazionali
«Generare è prendersi cura di una nuova generazione a cui si è data vita»
Da una relazione di Eugenia Scabini, Preside della Facoltà di Psicologia,
dell’Università Cattolica S. Cuore di
Milano alla “Scuola Diocesana di formazione all’impegno sociale e politico”
della Diocesi di Bologna, nel 2007, sul
tema del corso “Il ruolo sociale della
famiglia oggi”.
Possiamo dire che i genitori hanno
due compiti strettamente intrecciati
tra di loro. Il primo
attiene alla responsabilità della cura
ed educazione della
nuova generazione
cui essi hanno dato
vita, ed il secondo è
dato dal mantenere
viva rinnovandola
la memoria familiare e la duplice
eredità del ramo
paterno materno.
L’uomo e la donna
che si sposano, in
un certo senso, fanno incontrare due
storie familiari. La coppia genitoriale
è un vero e proprio dispositivo di me-
diazione intergenerazionale: riceve
dalla propria storia familiare d’origine e dalla propria cultura nutrimento
materiale e simbolico (affettivo e valoriale) ed è chiamata a trasferirlo innovativamente, non meccanicamente
ma neppure in maniera smemorata
ai figli. Fa parte di una trasmissione
positiva e sana sia il riconoscimen-
to del dono ricevuto ed il connesso
debito contratto (si pensi ad esempio al dono della vita ricevuta ed al
sentimento di obbligo filiale
Musica e spiritualità
quando il genitore invecchia
e abbisogna di cura) sia il
riconoscimento di deficit,
di Joram Gabbio
dolori ed eventuali fallimenAnche per quanto riguarda la musica Agostino ti. Il riconoscere non teme
fu un gigante. Conserviamo di lui varie notazioni verità anche scomode, non
sparse, soprattutto nei commenti ai salmi, oltre al censurare è la prima operatrattatelo sistematico De musica.
zione da fare per portare in
Il vescovo d’Ippona colse il valore della musica,
salvo il valore, cioè ciò che
che supera e porta a compimento la ragione. Egli
comprese che laddove ci si scontrava con l’inef- di bene le generazioni si
fabile, la musica poteva emergere. Nel commento sono scambiate pur entro i
al salmo 32 eccolo predicare così: ognuno chiede loro errori.
Educare è in questa proin qual modo cantare a Dio. Canta a Lui, ma canta
bene. Canta nel giubilo. Che significa giubilare? spettiva una vera e specifica
Intendere senza poter spiegare a parole ciò che avventura. Tanti genitori
con il cuore si canta…La giubilazione non è altro oggi sono preoccupati di
che il canto dell’Alleluja, che ancora oggi sia la li- fornire ai figli competenze
turgia romana, sia quella ambrosiana, vorrebbero e opportunità in molti campi
sempre cantata. Ma la sapienza omiletica di Ago- (lo sport, le lingue,…) e ciò
stino seppe prendere spunto anche direttamente
è comprensibile e opportuno
dagli strumenti che accompagnavano la liturgia:
nel commento al salmo 56, da maestro della co- (potendo), ma a ben vedere
municazione qual era, osservò la presenza di sal- non è l’essenza della funterio e cetra, due strumenti differenti. Ecco allora zione genitoriale che può
l’opportunità per trattare delle azioni che compì la venire esercitata con succescarne di Cristo, cioè i miracoli e passione: essi ap- so anche dal genitore meno
partengono ad un’unica carne, così come salterio istruito o meno economicae cetra modulano un’unica musica, ma l’uno ha la mente dotato. Quante volte
cassa in alto, l’altro in basso; i miracoli, predicò leggendo le biografie di tanAgostino, furono operati da ciò che era sopra, la ti uomini riusciti veniamo a
passione fu compiuta attraverso l’elemento infe- conoscenza delle cosiddette
riore. I miracoli erano opere divine, ma Cristo li
umili origini e come tali
fece per mezzo del corpo, per mezzo della carorigini siano riuscite a trane. Ebbene la carne, in quanto compiva opere
sferire e a comunicare un
divine, è il salterio; la stessa carne, in quanto
capitale umano che ha cosopportava le miserie umane, è la cetra. Il prestituito la base sicura dalla
testo allegorico per predicare è dunque testiquale si è dipanata la libera
monianza preziosa non solo dell’impiego degli
avventura di una vita eccestrumenti all’epoca di Agostino, ma anche della
zionale. L’educazione non
Agostino e la musica
sua sensibilità per la musica.
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JG
finisce mai perché non si è mai finito,
anche da adulti, di compiere il lavoro
di riappropriazione della propria storia, di completare quella “trattativa”
tra ciò che del passato va lasciato e
ciò che va conservato, valorizzato e
ridetto con accenti appropriati ai tempi.
Generare è prendersi cura di una
nuova generazione
familiare e sociale,
fornirle il patrimonio materiale e morale, il nutrimento
simbolico affettivo
e valoriale, che è
essenziale al dispiegarsi della identità
adulta cioè generativa, in grado di portare avanti,
in avanti, si spera in
senso migliorativo
la storia familiare e
sociale. La famiglia
è luogo naturale in
cui si giocano le
sorti anche psicologiche dell’uomo,
della costituzione dell’identità di
ciascuno, in una parola, come ci dice
benissimo la Familiaris Consortio (n.
43), “il luogo nativo e lo strumento
più efficace di umanizzazione e personalizzazione della società”. E questa opera di umanizzazione è efficace
se la famiglia è vissuta e concepita
come comunità di generazioni come
dice Giovanni Paolo II nella lettera
alle Famiglie.
L’attuale perdita o per lo meno
depotenziamento di questo punto di
vista intergenerazionale provoca una
pericolosa scissione tra la famiglia e
la società. Il generare viene prevalentemente vissuto come un fatto privato di natura emozionale (e va bene
distinta l’emozione dall’affetto) e la
società non “vede” famiglie ma individui slegati e si occupa dei cosiddetti soggetti deboli bambini, donne,
vecchi…
Se fallisce questa lunga e preziosa
cura delle nuove generazioni e non
viene valorizzato il lavoro educativo,
di trasferimento innovativo del patrimonio simbolico familiare e culturale
(che è poi la tradizione delle famiglie
e delle loro comunità di appartenenza) la società è destinata ad impoverirsi perché non può contare su quel
bene relazionale che è l’identità della
persona. Non si può contare su quello
che oggi con espressione più in uso si
dice capitale umano o capitale sociale, materia prima senza la quale non
si fabbrica né società né socialità.[...]
Eugenia Scabini, Famiglia e rapporto tra le generazioni, Bologna
Maggio 2011
Passinpiazza
Rapporto sul lavoro
I problemi di Berlusconi con la giustizia, la
crisi libica, l’emergenza immigrazione hanno allontanato lo sguardo dai problemi reali
del paese, in particolare quelli economici e
dell’occupazione, ancora gravi ed irrisolti.
L’”VIII Rapporto su sviluppo e funzionamento dei Centri per l’Impiego in Piemonte” mette il dito sulla piaga: i numeri sullo
“stato di salute” del mercato del lavoro in
Piemonte sono significativi e parlano da sé.
Eccone alcuni.
Nel primo semestre 2010 il tasso di disoccupati ha raggiunto l’8% e il dato più preoccupante si registra nel pubblico impiego
e in quello dell’istruzione, dove i contratti
cessati hanno superato quelli avviati di circa
9.200 unità; anche gli altri settori continuano a registrare un incremento di licenziamenti dovuti a difficoltà aziendali. Intanto
i contratti trasformati da determinati a indeterminati continuano a diminuire e registrano tra i primi 6 mesi del 2010 e lo stesso
semestre dell’anno precedente una variazione del -7%, che raggiunge il -21,3% se ci si
confronta col primo semestre 2008.
Stanno cambiando infatti le caratteristiche
del mercato del lavoro, sempre più orientato
verso la costituzione di rapporti determinati e di breve durata. E’ questa la flessibilità
dell’occupazione che si traduce in una varietà di contratti lavorativi, cosiddetti atipici,
in cui rientrano quelli di durata determinata,
i contratti di collaborazione, di lavoro ripartito, di prestazione occasionale…(per citarne alcuni). Ma flessibilità è anche la disponibilità a ricoprire ruoli sempre diversificati.
Da notare anche la crescita del part time sul
totale dei contratti a tempo indeterminato,
passato tra il 2008 e il 2009 dal 35 al 41% e
che riguarda soprattutto i giovani e le donne.
Chi cerca un posto di lavoro affronta una
situazione complicata da gestire e dall’esito
incerto, sia che si tratti della prima volta, sia
che si abbia già un passato lavorativo alle
spalle. La difficoltà riguarda anche la modalità di gestione delle tappe della ricerca:
quale canale di ingresso utilizzare? A quale
annuncio rispondere? Come compilare il
curriculum vitae? Come gestire adeguatamente il colloquio per rendere appetibile la
propria candidatura?
Il problema, ancora una volta, riguarda soprattutto i giovani che costituiscono il 54%
circa delle persone alla ricerca di un impiego. Si cerca di ovviare alla difficoltà con
forme varie di formazione, tra cui spicca il
tirocinio, utile a fronteggiare la disoccupazione giovanile e a offrire possibilità di inserimento. Nel corso degli anni il suo utilizzo
è aumentato, passando da 4.020 tirocini nel
2002 a 15.473 nel 2009. Nel 2010 la percentuale attivata sale del 19%. La curva di
distribuzione segnala negli anni una crescita
di tirocini delle persone con titoli di istruzione professionale o di laurea, che rappresentano il 10%. Ma dei 13.135 tirocini conclusi
nel 2009, solo 6.139(46,7%) ha registrato
un successivo avviamento al lavoro.
Maria Teresa Maloberti
11/05/2011 13.01.53
In diocesi
Pag. 11
Si ha notizia
la parrocchia, per
Profili
della parrocchia
un certo periodo
Parrocchie del Pinerolese – 12 unita a Villar e poi
di Villar Perosa
sin dal 1078. Il
ricostituita. Ancor
panorama
del
più antica risulta
paese è dominala parrocchia di
to dalla chiesa
Pramollo di cui
di San Pietro in Vincoli. Spesso si sente dire si ha notizia nel 1064. L’attuale chiesa risale
“sembra Superga …”, qualcuno è andato oltre agli anni 1841/1843 e appare sproporzionata
dicendo che è stata eretta sul modello di Su- al numero dei cattolici residenti. E’ indubbio
perga. E’ ora di sfatare questa affermazione, che, in epoca non ecumenica, si fosse voluperché la chiesa è stata costruita prima della to sottolineare la presenza cattolica, numericelebre basilica sita sulla collina torinese. La camente ridotta, in maniera forte. La chiesa
costruzione della chiesa iniziò nel 1709, è sta- precedente, sita nella Borgata dove ha sede il
to anche detto, ma oggi gli studiosi smentisco- Comune e dove sorge il Tempio valdese, fu
no la cosa, che il disegno fosse del Juvarra. La venduta ai valdesi stessi con la condizione
chiesa fu eretta in maniera di essere, almeno (rispettata) che non venisse usata per il culto,
idealmente, al centro delle borgate che com- bensì per la scuola. Nel passato, con abbonponevano allora Villar Perosa. L’industrializ- danza di preti, fu addirittura eretta la vicaria di
zazione ha invece, come conseguenza, favo- Pomeano; il prete titolare era tenuto anche a
rito lo sviluppo del paese (oggi la parrocchia fare scuola. La chiesa di San Michele, in Porpiù popolata in val Chisone) in basso. Qui si te, fu eretta nel 1730 e ingrandita ed abbellita
trovano la chiesa di Sant’Aniceto (costruita dopo il 1850. Della parrocchia, dipendente
intorno al 1930), l’oratorio femminile e quel- dall’Abbazia di Santa Maria, si ha notizia dal
lo maschile con la casa parrocchiale. A Borgo 1064. Nel suo territorio vi sono due cappelle
Soullier vi è un tempio valdese, conosciuto (San Benedetto e San Rocco) e i resti di una
come il tempio di Villar. E stato costruito in- terza detta di portesi “Il Padr’eterno”. Fino
torno al 1965 e possiede una specificità: è il al 1740 appartenne alla parrocchia di San
primo tempio costruito in val Chisone sulla Michele il territorio che dal 1740 appartiene
riva sinistra del Chisone. Per tanti secoli ci si alla parrocchia di San Carlo Borromeo, detera attenuti in maniera scrupolosa al trattato ta Turina (nome della frazione in cui sorge la
di Cavour (1561) che concedeva ai valdesi chiesa) o Inverso Porte dalla posizione geodi innalzare templi solo sulla riva destra. Ciò grafica. Anche in questa parrocchia, collocata
spiega anche perché la popolazione cattolica alla sinistra del Chisone, la presenza valdese
delle parrocchie di San Germano Chisone e (sebbene in maniera minore rispetto a San
Pramollo sia, e di tanto, minoritaria rispetto a Germano e Pramollo) è più marcata.
quella valdese. L’attuale chiesa di San GermaGiorgio Grietti
no risale al 1754, ma già dal 1526 si parla del-
Villar Perosa, San Germano,
Pramollo, Porte, Turina
di Pax Christi Italia
Odissea della politica
Il regime di Gheddafi ha sempre mostrato il
suo volto tirannico. Pax Christi ha denunciato
le connivenze di chi, Italia in testa, gli forniva
una quantità enorme di armi, anche dopo la
sua visita in Italia, sui diritti umani violati in
Libia, sulla tragica sorte delle vittime dei respingimenti, su chi muore nel deserto o nelle
prigioni libiche. Il Colonnello era già in guerra con la sua gente anche quando era nostro
alleato e amico.
Mentre parlano solo le armi, si resta senza parole. Ammutoliti, sconcertati. Anche
noi di Pax Christi, come tante altre persone di buona volontà.
Il regime di Gheddafi ha sempre mostrato il suo volto tirannico. Pax Christi, con
altri, ha denunciando le connivenze di
chi, Italia in testa, gli forniva una quantità enormi di armi senza dire nulla, anche
dopo la sua visita in Italia “sui diritti umani violati in Libia, sulla tragica sorte delle
vittime dei respingimenti, su chi muore
nel deserto o nelle
prigioni li-
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biche. Il dio interesse è un dio assoluto,
totalitario, a cui tutto va immolato. Anche
a costo di imprigionare innocenti, torturarli, privarli di ogni diritto, purché accada lontano da qui. In Libia.” (Pax Christi
2 settembre 2010).
Il Colonnello era già in guerra con la sua
gente anche quando era nostro alleato e
amico!
Non possiamo tacere la triste verità di
un’operazione militare che, per quanto
legittimata dal voto di una incerta e divisa
comunità internazionale, porterà ulteriore
dolore in un’area così delicata ed esplosiva, piena di incognite ma anche di speranze. Le operazioni militari contro la Libia
non ci avvicinano all’alba, come si dice,
ma costituiscono un’uscita dalla razionalità, un’ “odissea” perchè viaggio dalla
meta incerta e dalle tappe contraddittorie
a causa di una debolezza della politica.
Di fronte a questi fatti, vogliamo proporre
cinque passi di speranza e uno sguardo di
fede.
1) Constatiamo l’assenza della politica
e la fretta della guerra. E’ evidente a tutti che non si sono messe in opera tutte le
misure diplomatiche, non sono state chiamate in azione tutte le possibili forze di
interposizione. L’opinione pubblica deve
esserne consapevole e deve chiedere un
cambiamento della gestione della politica
internazionale.
Segue a pag. 12
Maggio 2011
Io sono corresponsabile
Coltivare una vigna, accudirla perché porti uva bella e gustosa, esige
molto lavoro, anche specializzato, insieme a fatica, sudore e tanta speranza.
La vigna del Signore è certamente la sua Chiesa, ma più ampiamente
è il mondo intero. Qui i cristiani devono essere presenti, ognuno secondo la propria vocazione e il proprio carisma.
L’approfondimento del mistero della Chiesa come “popolo di Dio”
ci ha fatto comprendere che tutti siamo corresponsabili - pur a titoli
diversi - nel continuare, oggi, la missione evangelizzatrice di Gesù.
Dire corresponsabilità è molto più che dire collaborazione. C’è un
salto di qualità tra queste due parole.
Io posso collaborare con un altro, aiutandolo a realizzare un suo
progetto (il progetto resta suo, non mio). Io sono corresponsabile con
un altro solo quando il progetto da realizzare è anche mio.
Quando si parla di apostolato, è riduttivo usare il verbo “collaborare”, perché la Chiesa è anche mia; inoltre questo verbo dà l’impressione di passiva dipendenza, di impegno saltuario, frammentato e non
continuativo. Occorre parlare di “corresponsabilità”.
La corresponsabilità cresce e si manifesta se si è consapevoli della
propria dignità di battezzati e dell’essere partecipi dell’unica missione
evangelizzatrice che Gesù ha affidato alla sua Chiesa.
Quando i laici si sentono corresponsabili diventa più facile, quasi consequenziale, essere presenti prima di tutto nelle realtà temporali per
portare all’interno di esse il fermento del Vangelo,
Paolo VI così sintetizza la missione dei laici nella società e nella vita
pubblica: “II campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il
mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita
internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione, quali
l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti,
il lavoro professionale, la sofferenza. Più ci saranno laici penetrati
di spirito evangelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente
impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover
sviluppare tutta la loro capacità cristiana spesso tenuta nascosta e
soffocata, tanto più queste realtà, senza nulla perdere ne sacrificare
del loro coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio dell’edificazione del regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesù Cristo”.
Pier Giorgio Debernardi, vescovo
Dalla lettera pastorale 2010 “Andate anche voi nella vigna”
IL pregio dell’uomo
Nel libro dei Proverbi, attribuito al re Salomone, leggiamo: “Il pregio
dell’uomo è la sua bontà” (19,22). Bellissima definizione. Sappiamo
tuttavia che questa ineffabile bontà dal Signore Gesù viene riservata
esclusivamente al Padre celeste: “uno solo è buono, Dio”. Sì, Dio, il
nostro Dio è infinitamente buono.
La virtù della bonquando la sperinoi, sia quando la
il prossimo; essa,
cosa che si ricorda
dimentica.
tà è cara a tutti, sia
mentiamo verso di
esercitiamo verso
infatti, è la prima
e l’ultima che si
La bontà, che racrevolezza, misetenerezza,
fiduFrancesco di Saemana la creatura quando Dio vive in lei”.
chiude in sé amoricordia, perdono,
cia…è, secondo S.
les, il profumo che
Anche S. Paolo ci esorta a “vincere il male con il bene”, ossia con la
bontà.
Ecco il bel commento di un autore:
“ Quando l’onda del mare non trova una persona che la trasformi in
preghiera, fa il suo corso e genera il male. Ma se l’onda del male arrivando ad una persona – e questa devi essere tu – si trasforma in amore,
perdono, silenzio, allora siamo nel mistero di Cristo e qui comincia la
Redenzione”.
É bello, quindi, come figli del Padre celeste, unico, buono, impegnarci ad emanare ovunque quel profumo, segno che Egli vive in
noi, affinché Dio sia glorificato.
Suore Visitandine
Monastero della Visitazione, Pinerolo
[email protected]
11/05/2011 13.01.56
Territorio
Pag. 12
Parrocchia Cuore Immacolato di Maria - San Lazzaro - Pinerolo
La ranocchia che non sapeva di essere cotta
«Quando un cambiamento avviene in un modo lento, sfugge alla coscienza e non suscita nella maggior parte dei casi alcuna reazione»
Immaginate una pentola piena
d’acqua fredda in cui nuota
tranquillamente una piccola
ranocchia.
Un piccolo fuoco è acceso
sotto la pentola e l’acqua si
riscalda molto lentamente.
L’acqua piano piano diventa
tiepida e la ranocchia, trovando
ciò
piuttosto
gradevole,
continua a nuotare.
La temperatura dell’acqua
continua a salire.
Ora l’acqua è calda, più di
quanto la ranocchia possa
apprezzare, si sente un po’
affaticata, ma ciò nonostante
non si spaventa.
Ora l’acqua è veramente calda e
la ranocchia comincia a trovare
ciò sgradevole, ma è molto
indebolita, allora sopporta e non
fa nulla.
La temperatura continua a
salire, fino a quando la ranocchia
finisce semplicemente per
cuocere e morire.
Se la stessa ranocchia fosse
stata buttata direttamente
nell’acqua a 50 gradi, con
un colpo di zampe sarebbe
immediatamente saltata fuori
dalla pentola.
Ciò dimostra
che, quando un
cambiamento
avviene in un modo
sufficientemente
lento,
sfugge
alla coscienza e
non suscita nella
maggior
parte
dei casi alcuna
reazione, alcuna
opposizione,
alcuna rivolta.
Se guardiamo ciò
che succede nella
nostra società da
qualche decennio
possiamo vedere
che stiamo subendo una lenta
deriva alla quale ci stiamo
abituando. Una quantità di cose
che avrebbero fatto inorridire
20, 30 o 40 anni fa, sono state
poco a poco banalizzate e oggi
disturbano appena o lasciano
addirittura
completamente
indifferente la maggior parte
delle persone.
Nel nome del progresso,
della scienza e del profitto si
effettuano continui attacchi alle
Odissea della politica
(segue da pag.11)
2) Si avverte la mancanza di una polizia
internazionale che garantisca il Diritto
dei popoli alla autodeterminazione.
3) Non vogliamo arrenderci alla logica
delle armi. Non possiamo accettare che
i conflitti diventino guerre. Teniamo
desto il dibattito a proposito delle azioni
militari, chiediamo che esse siano il più
possibile limitate e siano accompagnate
da seri impegni di mediazione. Perchè
si sceglie sempre e solo la strada della
guerra? Ce lo hanno chiesto più volte in
questi anni i tanti amici che abbiamo in
Bosnia, in Serbia, in Kosovo, in Iraq.
4) Operiamo in ogni ambito possibile
di confronto e di dialogo perché si faccia ogni sforzo così che l’attuale attacco
armato non diventi anche una guerra di
religione. In particolare vogliamo rivolgerci al mondo musulmano e insieme, a
partire dall’Italia, invocare il Dio della
libertà individuali, alla dignità,
all’integrità della natura, alla
bellezza e alla gioia di vivere,
lentamente ma inesorabilmente,
con la costante complicità
delle vittime, inconsapevoli o
ormai incapaci di difendersi.
Le nere previsioni per il nostro
futuro, invece di suscitare
reazioni e misure preventive,
non fanno altro che preparare
psicologicamente la gente ad
accettare delle condizioni di vita
decadenti, anzi drammatiche. Il
Pace e dell’Amore, non dell’odio e della guerra. Ce lo insegnano tanti testimoni che vivono in molte zone di guerra.
5) Come Pax Christi continuiamo con
rinnovata consapevolezza la campagna
per il disarmo contro la produzione costosissima di cacciabombardieri F-35.
Inoltre invitiamo tutti a mobilitarsi per
la difesa della attuale legge sul commercio delle armi, ricordiamo anche le
parole accorate di d.Tonino Bello: “dovremmo protenderci nel Mediterraneo
non come “arco di guerra” ma come
“arca di pace”.
Giovanni Paolo II per molti anni ha
parlato dei fenomeni bellici contemporanei come “avventura senza ritorno”,
“ spirale di lutto e di violenza”, “abisso del male”, “suicidio dell’umanità”,
“crimine”, “tragedia umana e catastrofe religiosa”. Per lui “le esigenze
dell’umanità ci chiedono di andare risolutamente verso l’assoluta proscrizione
martellamento continuo
di informazioni da parte dei
media satura i cervelli che non
sono più in grado di distinguere
le cose...
Quando ho parlato di queste
cose per la prima volta, era per
un domani.
Ora è per oggi!!!
Coscienza o cottura? Bisogna
scegliere!
Da Orizzonti Aperti, San Lazzaro,
Aprile 2011
della guerra e di coltivare la pace come
bene supremo, al quale tutti i programmi e tutte le strategie devono essere subordinati” (12 gennaio 1991).
In questa prospettiva Pax Cristi ricorda ai suoi aderenti che il credente riconosce nei mali collettivi, o strutture di
peccato, quel mistero dell’iniquità che
sfugge all’atto dell’intelligenza e tuttavia è osservabile nei suoi effetti storici.
Nella fede comprendiamo che di questi mali sono complici anche l’acquiescenza dei buoni, la pigrizia di massa,
il rifiuto di pensare. Chi è discepolo del
Vangelo non smette mai di cercare di
comprendere quali sono state le complicità, le omissioni, le colpe. E allo
stesso tempo con ogni mezzo dell’azione culturale tende a mettere a fuoco la
verità su Dio e sull’uomo.
Maggio 2011
Preziosità del silenzio
Il silenzio è mitezza:
quando non rispondi alle offese,
quando non reclami i tuoi diritti,
quando lasci a Dio la tua difesa e il
tuo onore.
Il silenzio è misericordia:
quando non riveli le colpe dei fratelli,
quando perdoni senza indagare nel
passato,
quando non condanni, ma intercedi
nell’intimo.
Il silenzio è pazienza:
quando soffri senza lamentarti,
quando non cerchi consolazioni
umane,
quando non intervieni, ma attendi
che il seme germogli lentamente.
Il silenzio è umiltà:
quando taci per lasciare emergere i
fratelli,
quando celi nel riserbo i doni di Dio,
quando lasci che il tuo agire sia
interpretato male,
quando lasci ad altri la gloria
dell’impresa.
Il silenzio è fede:
quando taci perché è Lui che agisce,
quando rinunci ai suoni, alle voce
del mondo
per stare alla Sua presenza,
quando non cerchi comprensione,
perché ti basta essere conosciuto da
Lui.
Il silenzio è saggezza :
quando ricorderai che dovremo
rendere conto
di ogni parola inutile
quando ricorderai che il maligno è
sempre in attesa
di una tua parola imprudente
per nuocerti e uccidere.
Il silenzio è adorazione:
quando abbracci la croce, senza
chiedere : “Perché? “
nell’intima certezza che questa è
l’unica via giusta.
(Da un condensato di S.Giovanni
della Croce, + 1591)
“Ma Gesù taceva.“ (Mt 26,63)
Giovanni Giudici, presidente di Pax
Christi Italia, Pavia, 21 marzo 2011
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La fede, nello svettare delle montagne