S t a g i o n e
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Gala Verdi
Gala Verdi
Gianandrea Noseda direttore
Barbara Frittoli soprano Leonora, dama di compagnia
della principessa d’Aragona
Aida, schiava etiope
Marianne Cornetti mezzosoprano Lady Macbeth, moglie di Macbeth
Azucena, zingara della Biscaglia
Amneris, figlia del re
Marcelo Álvarez tenore Manrico, ufficiale del principe Urgel
e presunto figlio di Azucena
Radamès, capitano delle guardie
Luca Salsi baritono
Macbeth, generale dell’esercito
del re Duncano
Conte di Luna, giovane gentiluomo
aragonese
Amonasro, re d’Etiopia e padre d’Aida
Dario Prola tenore
Alejandro Escobar tenore
Daniela Valdenassi mezzosoprano
Giuseppe Capoferri basso
Davide Motta Fré basso
Maria de Lourdes Martins soprano
Marco Sportelli baritono
Enrico Bava basso
Macduff, nobile scozzese, signore di Fiff
Ruiz, soldato al seguito di Manrico
Malcolm, figlio di Duncano
Dama di Lady Macbeth
Un servo di Lady Macbeth
Ferrando, capitano degli armati
del Conte di Luna
Ines, confidente di Leonora
Un vecchio zingaro
Ramfis, gran sacerdote
Claudio Fenoglio maestro del coro
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Teatro Regio
Dicembre 2013: Mercoledì 18 ore 19, Domenica 22 ore 18
Gli Amici del Regio, a un anno dalla fondazione, sono orgogliosi di offrire il
Gala Verdi, permettendo così di destinare l’incasso a favore delle iniziative che
il Teatro rivolge ai giovani.
Durante gli intervalli cena di gala con prodotti delle terre verdiane a cura di
Restate in contatto con il Teatro Regio:
Macbeth
Preludio
Introduzione [Coro]
«Che faceste? Dite su!»
Scena e Cavatina di Lady Macbeth
«Nel dì della vittoria io le incontrai» - «Vieni! T’affretta!»
Gran Scena e Duetto di Macbeth e Lady Macbeth
«Sappia la sposa mia» - «Fatal mia donna!»
Balli
Coro di profughi scozzesi
«Patria oppressa!»
Scena e Aria di Macbeth
«Perfidi! All’Anglo contra me v’unite!» - «Pietà, rispetto, amore»
Scena e Battaglia - Inno di vittoria - Finale
«Via le fronde, e mano all’armi!» - «Vittoria! Vittoria!»
Primo intervallo
Selezione di salumi: culatello di Zibello, strolghino di culatello, spalla cotta
Parmigiano Reggiano
Selezione di pani di farine biologiche del forno a legna di Eataly
Crostini Rigoletto
Verzolini in insalata
Zuppa alla Santé
Gavi di Gavi Cantina Fontanafredda
Lambrusco Terre Verdiane Cantina Ceci
Barolo Borgogno
Acque minerali Lurisia
La cena è firmata da Ugo Alciati
Il trovatore
Coro
«Or co’ dadi» - «Squilli, echeggi la tromba guerriera»
Scena e Cavatina di Leonora
«Che più t’arresti?» - «Tacea la notte placida»
Coro di zingari e Canzone di Azucena
«Vedi! Le fosche notturne spoglie» - «Stride la vampa!»
Scena e Aria del Conte di Luna
«Tutto è deserto» - «Il balen del suo sorriso»
Scena e Aria di Manrico
«Quale d’armi fragor poc’anzi intesi?» - «Ah sì, ben mio»
Racconto di Azucena
«Condotta ell’era in ceppi»
Scena ultima
«Che!... Non m’inganna quel fioco lume?...»
Secondo intervallo
Zabaione
Budino di castagne
Asti spumante millesimato Cantina Fontanafredda
Caffè Lavazza
I dolci sono firmati da Luca Montersino
Aida
Preludio
Romanza di Radamès
«Se quel guerrier io fossi!»
Scena e Romanza di Aida
«Ritorna vincitor!» - «I sacri nomi di padre... d’amante»
Introduzione - Scena, Coro di donne e Danza degli schiavi mori
«Chi mai fra gli inni e i plausi»
Coro dal Gran Finale II
«Gloria all’Egitto»
Scena e Duetto di Aida e Amonasro
«Ciel! Mio padre!» - «Rivedrai le foreste imbalsamate»
Duetto di Radamès e Aida - Scena - Finale III
«Pur ti riveggo, mia dolce Aida...»
2
Verdi oltre i 200
Non è facile dire cosa resterà del bicentenario verdiano in questo 2013 affollato di anniversari all’opera (Wagner, certo, ma anche Britten): è presto per un bilancio e non c’era
certo bisogno delle celebrazioni per scoprire Giuseppe Verdi (1813-1901). Per riscoprirlo, forse sì. E allora questo bicentenario ci porta una buona notizia e una cattiva.
La buona notizia è che, lentamente, fra mille contraddizioni, forse paradossalmente
più all’estero che in Italia, avanza la percezione di Verdi come grande uomo di teatro.
Ormai nessuno, nemmeno la critica più paleolitica, sottovaluta il Verdi musicista e se
qualcuno ancora facesse delle ironie sui suoi già famigerati “zum-pa-pa” si esporrebbe
al pubblico ludibrio. Ma dire che Verdi è un grande musicista è come dire che Shakespeare è un grande poeta: è vero, ma non basta. Verdi è anche un grande musicista, ma
è soprattutto un grande drammaturgo, uno dei più grandi che la nostra storia (la storia
di quello che chiamiamo l’Occidente, non solo l’Italia) abbia conosciuto. Questa è una
consapevolezza che Verdi aveva chiarissima ma che il suo pubblico aveva un po’ perso.
E qui bisogna dare atto, anche se magari non piace, se si scontra con abitudini così consolidate da diventare pigrizie o paure del nuovo, che un ruolo decisivo l’hanno svolto i
famigerati registi. Certo, la molteplicità delle scuole, delle tendenze e dei gusti rende
difficile orientarsi, dire con sicurezza dove vada il teatro verdiano. Ma una certezza c’è:
indietro non si torna. Non si potrà più tornare alla messinscena d’opera come mera
illustrazione. C’è qualcosa di più importante del rispetto della didascalia ed è il rispetto
della drammaturgia, una fedeltà non formale ma sostanziale, che alle volte (anzi spesso,
meglio: quasi sempre) obbliga ad andare contro la lettera del libretto per ritrovare l’essenza di quel che c’è dietro.
Questa è la buona notizia, che riguarda chi ama Verdi, dunque il mondo intero. La
cattiva riguarda invece l’Italia. Qui il bicentenario è stato forse un’occasione mancata
per fare il punto su Verdi come coscienza critica dell’identità nazionale, come insuperato indagatore di tipi, modi, figure, figuri italiani. Si è molto insistito, forse perché il
bicentenario è arrivato a ridosso del 150° anniversario dell’Unità, sul Verdi “politico”,
risorgimentale, sull’uomo che ha fatto l’Italia almeno quanto Cavour o Garibaldi. Ma,
a parte le contraddizioni del percorso politico di Verdi, che sono poi quelle di tutta
l’emergente borghesia settentrionale (dal repubblicanesimo degli anni Quaranta all’apprezzamento per Bava Beccaris, il generale che fece sparare cannonate sul popolo ai
moti milanesi del 1898), è mancata l’indagine su uno dei nostri rari intellettuali ad aver
raccontato gli italiani per quello che sono, non per quello che credono di essere o dovrebbero essere o vorrebbero essere. Anche se mascherati, in omaggio alle convenzioni,
da antichi ebrei o da spagnoli del Cinquecento. Verdi non è la colonna sonora dell’Italia
del Risorgimento, è la colonna sonora dell’Italia, di ieri, di oggi e – si suppone, anzi si
spera – anche di domani. In questo senso, e solo in questo senso, rimane viva la frase di
D’Annunzio: sì, veramente Giuseppe Verdi «pianse e amò per tutti».
3
Macbeth
Macbeth è l’opera più importante degli «anni di galera» (parole sue) di Verdi, circostanza di cui egli era assolutamente consapevole, come dimostra anche il fatto che la
scelse per dedicarla all’«amatissimo suocero» Antonio Barezzi, cioè il suo vero padre. È
anche il primo incontro con Shakespeare, «il gran maestro del cuore umano», e oggi si
fatica a capire quanto quella del Bardo fosse una scelta audace. Nonostante la sbornia
romantica, in Italia il teatro shakespeariano era ancora considerato con diffidenza, e
solo cinque anni prima un Otello recitato da Gustavo Modena a Milano era caduto fra
lazzi e schiamazzi. Del resto, quando Verdi presenta Macbeth, la tragedia, benché più
volte tradotta, non era mai stata rappresentata in Italia. E al libretto dell’opera pubblicato da Ricordi fu premesso un Avvertimento non firmato, ma probabilmente scritto
da Andrea Maffei, nel quale si prega il pubblico di cogliere «l’intelligenza della ragion
poetica», quindi di non ridere di fronte al (voluto) grottesco della vicenda.
L’epistolario su Macbeth è anche prezioso perché ci mostra Verdi nei panni di direttore artistico. Sempre estremamente puntiglioso sull’esecuzione delle sue opere, mai
come nel Macbeth Verdi moltiplica cure ed esigenze, alla ricerca di un teatro “totale”,
che dovrebbe far riflettere chi pensa ancora come secondario l’aspetto scenico delle sue
opere o rimane ancorato al totem della sedicente “voce verdiana” come soluzione a ogni
problema esecutivo o, peggio, interpretativo. Verdi non la pensava affatto così. Basta
leggere la sua lettera del 19 agosto 1846 ad Alessandro Lanari, impresario della Pergola. Per la parte del protagonista, sono in ballottaggio due baritoni, Felice Varesi e Gaetano Ferri. E Verdi risolve così la questione (punteggiatura e maiuscole sono le sue):
«Varesi è il solo artista attuale in Italia che possa fare la parte che medito, e per il suo
genere di Canto, e per il suo sentire, ed anche per la stessa sua figura. Tutti gli altri
artisti, e anche i migliori di lui, non potrebbero farmi quella parte come io vorrei,
senza nulla togliere al merito di Ferri che ha più bella figura, più bella voce, e se vuoi
anche migliore cantante, non mi potrebbe certamente fare in quella parte l’effetto
che mi farebbe Varesi».
Allo stesso Varesi viene spiegato (lettera del 4 febbraio 1847) come deve morire in scena:
«Dalla morte potrai trarre molto partito se unita, al canto, farai l’azione ragionata.
Tu capirai benissimo che Macbet [sic] non deve morire come Edgardo, Gennaro et…
[i tenori spiranti in Lucia di Lammermoor e Lucrezia Borgia di Donizetti, ndr] quindi
bisogna trattarla in modo nuovo – Sia patetica, ma più che patetica, terribile. Tutta sotto voce, ad eccezione dei due ultimi versi ché anzi qui l’accompagnerai anche
coll’azione prorompendo con tutta forza sulle parole… Vil… corona… e sol per te!...
Tu sei (già s’intende) per terra, ma in quest’ultimo verso ti solleverai quasi ritto nella
persona e fare tutto l’effetto possibile».
Verdi regista? Certamente sì. Perché il canto, anzi la musica, per lui non sono un fine:
sono un mezzo. Che serve a raggiungere il suo vero scopo: il teatro.
4
Il trovatore
Perché Verdi scrive Il trovatore? Il soggetto di El trovador di Antonio García Gutiérrez
gli piace tanto («immaginoso e con situazioni potenti») che lo sceglie, caso unico fino
a quel momento, prima ancora di avere un contratto con un teatro e con un editore.
Ma Il trovatore è incastonato al centro della cosiddetta “trilogia popolare”, fra Rigoletto
e La traviata. E sono evidenti le differenze rispetto all’opera che lo precede e a quella
che lo segue. Rigoletto e Traviata sono soggetti scandalosi, al limite dell’osceno (specie il
primo), di forte critica sociale, dunque fortemente politici (specie la seconda), opere di
rottura, dirompenti, rivoluzionarie. Circostanza che si riflette anche nelle loro strutture
musicali, dove le forme chiuse dell’opera italiana, rimaste più o meno immutate dalla
loro cristallizzazione rossiniana (Semiramide è del 1823), esplodono, letteralmente,
sotto l’urgenza drammatica e si affaccia la “scena” come futura unità di misura del
teatro musicale verdiano.
Il trovatore sembra tutto diverso. C’è il solito indistinto sfondo medievale, dove spariscono le motivazioni politiche dei contendenti (Manrico rivoluzionario, il Conte di
Luna difensore dell’ordine costituito) e il solito triangolo lui-lei-l’altro. I protagonisti si
esprimono nelle forme consacrate, tutti con il loro bravo recitativo–cantabile–tempo di
mezzo–cabaletta col daccapo, il finale dell’atto centrale (il secondo, nel caso) prevede
il consueto concertato “di stupore”, eccetera. Fa eccezione alla regola, sia in termini
drammaturgici che musicali, Azucena, e non a caso la critica le si è attaccata come alla
ciambella di salvataggio per inserire quest’opera nel trio dei capolavori “centrali” di Verdi insieme alle sue illustri consorelle.
E tuttavia questo non spiega tutto. La “modernità” del Trovatore è soprattutto drammaturgica. In un libretto così simmetrico (quattro atti, anzi «parti», ognuna in due
quadri), ogni atto tranne ovviamente l’ultimo si chiude su una sospensione: il primo
con il duello fra Manrico e il Conte, il secondo con il ratto di Leonora, il terzo con la
partenza di Manrico verso la pira. Come dire: “il seguito alla prossima puntata”… Ma
questa è esattamente la struttura del romanzone d’appendice ottocentesco, è Dumas
portato all’opera, è la trasposizione teatrale del feuilleton. E spiega da un lato il ritmo incalzante di quest’opera apparentemente macchinosa (anche se lo sappiamo benissimo,
a ogni calata di sipario vorremmo che si riaprisse subito, per sapere come va a finire) e il
successo che ebbe per tutto l’Ottovcento, quando fu di gran lunga il titolo verdiano più
popolare. Et pour cause: raccontava una storia con gli stessi meccanismi narrativi della
letteratura coeva.
Quanto al terzo atto, qui Verdi fa un esperimento incredibile: quello di due azioni
che si svolgono in contemporanea. Nel primo quadro, Azucena arrestata e condannata
al rogo; nel secondo, Manrico nella sua fortezza che vede, laggiù nella pianura, quello
che noi spettatori abbiamo appena visto nella scena precedente. Per risolvere il problema di raccontare due storie in contemporanea ci sarebbe voluto il cinema. Ma averlo
anticipato in maniera così clamorosa non è l’ultimo dei meriti di Giuseppe Verdi.
5
Aida
Forse per reazione agli allestimenti elefantiaci in arene, stadi, circhi e così via, è bon
ton critico precisare che in realtà Aida è opera intimista e incentrata su passioni e affetti
privati. È certamente vero, però la componente spettacolare quando non pompier (felicemente pompier, peraltro) c’è, e il fatto che possa non piacere non è una buona ragione
per ignorarla. Del resto, è vero che Aida ebbe una genesi celebrativa, anche se non, come
spesso capita di sentire e, ahimè, anche di leggere, per l’apertura del Canale di Suez. Per
quell’occasione, che fu anche uno dei più clamorosi eventi mondani dell’epoca, il khedivè
d’Egitto, Ismail Pascià, chiese a Verdi un inno, e il nostro rispedì la proposta al mittente: «il n’est pas dans mes habitudes de composer des morceaux de circostance» (a Paul
Draneht Bey, direttore dei teatri khedivali, da Genova, 9 agosto 1869). Aida fu scritta, in
realtà, per l’inaugurazione del Teatro dell’Opera del Cairo.
Oltre a essere un’opera imperiale, è forse anche un’opera imperialista, anzi, diciamolo
apertamente, colonialista? È la tesi sostenuta da molti, per esempio da Edward W. Said nel
suo Cultura e imperialismo. L’Oriente, si sa, era di moda all’opera in generale e all’Opéra in
particolare, dove pochi anni prima di Aida la première postuma dell’Africaine di Meyerbeer aveva ribadito con enorme successo le regole del genere. Il grand opéra esotico elaborato a Parigi, questa «capitale del XIX secolo», come la chiamava Walter Benjamin, era un
modello imprescindibile, sicuramente “pompato” dalla corsa agli imperi coloniali. Senza
infingimenti o pudori politically correct: «O nuovo mondo / alla mia patria ti posso offrir!
/ Nostro è questo terreno fecondo / che l’Europa può tutta arricchir», canta Vasco da
Gama nella traduzione italiana dell’aria più celebre dell’Africana. Da notare poi che, come
insegnava il sommo anglista, «ideale esotico e ideale erotico vanno di pari passo», quindi i
vaneggiamenti di Radamès sulla bellezza della schiava Aida sono i primi di una lunga serie
in cui la conquista coloniale diventa conquista sessuale: dalla «Celeste Aida» alla «Faccetta
nera» c’è magari una netta regressione estetica, ma la discendenza è certamente diretta.
E tuttavia ridurre Aida a questo sarebbe banale e forse ingiusto. Intanto perché la simpatia (in senso etimologico) di Verdi va agli Etiopi oppressi e non agli Egiziani oppressori.
E poi perché in campo egizio si aggiunge il problema dell’abituale anticlericalismo verdiano, che evidentemente nemmeno la recentissima conquista di Roma aveva placato. I preti,
nelle sue opere, fanno quasi sempre brutta figura, ma raramente così brutta come Ramfis
e soci nell’Aida (peraltro l’anticlericalismo operistico italiano non finisce qui: pensate a
Bohème o a Tosca). E, passando dal pubblico al privato, non si può fare a meno di pensare
che il dramma di Radamès innamorato della schiava nera sia quello di tanti ragazzi di
brava famiglia, vittime del colpo di fulmine per la colf immigrata invece che per un mezzosoprano socialmente compatibile. E forse non solo nell’Italia di ieri.
Alberto Mattioli
Alberto Mattioli è dal 2011 il corrispondente da Parigi del quotidiano «La Stampa», per il quale è stato anche redattore della Cultura e caposervizio agli Spettacoli. In precedenza, ha lavorato al «Resto del Carlino» e
al «Giorno». Esperto d’opera, ha collaborato o collabora con «Classic Voice», «Vanity Fair», «Musica», «Arte
& Dossier», «L’Opera» e ha tenuto conferenze o scritto programmi di sala per la maggior parte dei teatri italiani. È autore di una biografia di Pavarotti, Big Luciano (Mondadori 2007) e per gli stessi tipi ha pubblicato
nel 2012 una raccolta di riflessioni sul mondo dell’opera, Anche stasera. Come l’opera ti cambia la vita.
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Macbeth
Melodramma in quattro atti
Libretto di Francesco Maria Piave e Andrea Maffei
Prima rappresentazione assoluta: Firenze, Teatro della Pergola, 14 marzo 1847
Seconda versione: Parigi, Théâtre-Lyrique Imperial, 21 aprile 1865
(La scena è in Iscozia, e massimamente al castello di Macbeth.)
Dall’Atto I
Introduzione [Coro]
(Bosco. Tre crocchi di streghe appariscono l’un
dopo l’altro fra lampi e tuoni.)
streghe
i. Che faceste? Dite su!
ii. Ho sgozzato un verro!
i. E tu?
iii.M ’è frullata nel pensier
la mogliera d’un nocchier:
al dimòn la mi cacciò...
Ma lo sposo che salpò
col suo legno affogherò.
i. Un rovaio io ti darò...
ii. I marosi leverò...
iii.Per le secche lo trarrò.
tutte
Un tamburo! Che sarà?
Vien Macbetto. Eccolo qua!
Le sorelle vagabonde
van per l’aria, van sull’onde,
sanno un circolo intrecciar
che comprende e terra e mar.
Macbeth e Banco, generali dell’esercito del re di
Scozia Duncano, si imbattono nella congrega di
streghe, le quali profetizzano che Macbeth sarà re
di Scozia e Banco padre di futuri re.
Nel castello di Macbeth, Lady Macbeth legge una
lettera che riferisce i successi militari del marito e
la profezia delle streghe.
Scena e Cavatina di Lady Macbeth
(Atrio nel castello di Macbeth, che mette in altre
stanze.)
lady macbeth (leggendo una lettera)
«Nel dì della vittoria le incontrai:
stupito io n’era per le udite cose;
quando i nunzi del re mi salutaro
sir di Caudore, vaticinio uscito
dalle veggenti istesse
che predissero un serto al capo mio.
Racchiudi in cor questo segreto. Addio».
Ambizioso spirto
tu se’, Macbetto... Alla grandezza aneli...
Ma sarai tu malvagio?
Pien di misfatti è il calle
della potenza, e mal per lui che il piede
dubitoso vi pone, e retrocede!
Vieni! T’affretta! Accendere
ti vo’ quel freddo core!
L’audace impresa a compiere
io ti darò valore;
di Scozia a te promettono
le profetesse un trono...
Che tardi? Accetta il dono,
ascendivi a regnar!
(Entra un servo.)
servo
Al cader della sera il re qui giunge.
lady macbeth
Che di’? Macbetto è seco?
servo
Ei l’accompagna.
La nuova, o donna, è certa.
7
lady macbeth
Trovi accoglienza quale un re si merta.
(Il servo parte.)
Duncano sarà qui?... Qui? Qui la notte?...
Or tutti sorgete, ministri infernali,
che al sangue incorate, spingete i mortali!
Tu, notte, ne avvolgi di tenebra immota;
qual petto percota non vegga il pugnal.
La notte stessa Lady Macbeth persuade il marito
a uccidere Duncano.
Gran Scena e Duetto di Macbeth
e Lady Macbeth
macbeth (a un servo)
Sappia la sposa mia, che pronta appena
la mia tazza notturna,
vo’ che un tocco di squilla a me lo avvisi.
(Il servo parte.)
Mi si affaccia un pugnal? L’elsa a me volta?
Se larva non sei tu, ch’io ti brandisca...
Mi sfuggi?... Eppur ti veggo!... A me precorri
sul confuso cammin che nella mente
di seguir disegnava!... Orrenda immago!
Solco sanguigno la tua lama irriga!...
Ma nulla esiste ancora... Il sol cruento
mio pensier le dà forma, e come vera
mi presenta allo sguardo una chimera.
Sulla metà del mondo
or morta è la natura; or l’assassino
come fantasma per l’ombre si striscia:
or consuman le streghe i lor misteri.
Immobil terra! A’ passi miei sta’ muta!
(Odesi un tocco di campana.)
È deciso... Quel bronzo, ecco, m’invita!
Non udirlo, Duncano! È squillo eterno
che nel cielo ti chiama o nell’inferno!
(Entra nelle stanze del re.)
lady macbeth
Regna il sonno su tutti... Oh, qual lamento!
Risponde il gufo al suo lugubre addio!
macbeth
Tutto è finito!
(Si avvicina a Lady Macbeth e le dice sottovoce:)
Fatal mia donna! Un murmure,
com’io non intendesti?
lady macbeth
Del gufo udii lo stridere...
Testé che mai dicesti?
macbeth
Io?
lady macbeth
Dianzi udirti parvemi.
macbeth
Mentre io scendea?
lady macbeth
Sì! Sì!
macbeth
Di’! Nella stanza attigua
Chi dorme?
lady macbeth
Il regal figlio...
macbeth (guardandosi le mani)
O vista, o vista orribile!
lady macbeth
Storna da questo il ciglio...
macbeth
Nel sonno udii che oravano
i cortigiani, e: «Dio
sempre ne assista», ei dissero;
«amen» dir volli anch’io,
ma la parola indocile
gelò sui labbri miei.
macbeth (di dentro)
Chi v’ha?
lady macbeth
Follie!
lady macbeth
Ch’ei fosse di letargo uscito
pria del colpo mortal?
macbeth
Perché ripetere
quell’«amen» non potei?
8
lady macbeth
Follie, follie che sperdono
i primi rai del dì.
macbeth
Allora questa voce m’intesi nel petto:
«avrai per guanciali sol vepri, o Macbetto!
Il sonno per sempre, Glamis, uccidesti!
Non v’è che vigilia, Caudore, per te!
lady macbeth
Ma dimmi, altra voce non parti d’udire?
Sei vano, o Macbetto, ma privo d’ardire:
Glamis, a mezz’opra vacilli, t’arresti,
fanciul vanitoso, Caudore, tu se’.
macbeth
Vendetta! Tuonarmi com’angeli d’ira,
udrò di Duncano le sante virtù.
lady macbeth (a parte)
(Quell’animo trema, combatte, delira...
Chi mai lo direbbe l’invitto che fu?)
(a Macbeth)
Il pugnal là riportate...
Le sue guardie insanguinate...
Che l’accusa in lor ricada.
macbeth
Io colà?... non posso entrar!
lady macbeth
Dammi il ferro.
(Strappa dalle mani di Macbeth il pugnale, ed
entra nelle stanze del re. Bussano forte alla porta
del castello.)
macbeth
Ogni rumore mi spaventa!
(Si guarda le mani.)
Oh! Questa mano!
Non potrebbe l’Oceàno
queste mani a me lavar!
lady macbeth (rientrando)
Ve’! Le mani ho lorde anch’io;
poco spruzzo, e monde son.
L’opra anch’essa andrà in oblio...
(Battono di nuovo.)
macbeth
Odi tu? Raddoppia il suon!
lady macbeth
Vieni altrove! Ogni sospetto
rimoviam dall’uccisor;
torna in te! Fa cor, Macbetto!
Non ti vinca un vil timor.
macbeth
Oh, potessi il mio delitto
dalla mente cancellar!
Deh, sapessi, o re trafitto,
l’alto sonno a te spezzar!
Il nobile scozzese Macduff giunge insieme a Banco per assistere il re: il delitto è scoperto.
Nell’Atto II, Macbeth è divenuto re di Scozia e il
figlio di Duncano, Malcolm, si è rifugiato in Inghilterra. Poiché le streghe avevano profetizzato
che i figli di Banco sarebbero saliti al trono, Macbeth e la moglie decidono che anch’essi debbano
essere uccisi. In cammino verso il castello di Macbeth, Banco e suo figlio Fleanzio sono assaliti da
sicari, ma il giovane riesce a fuggire.
Mentre è in corso un banchetto, un sicario entra
per annunciare a Macbeth quanto è accaduto. Il
re è terrorizzato dalla visione di Banco seduto al
suo posto: Lady Macbeth tenta di far svanire le
visioni, ma il fantasma di Banco ritorna. L’atteggiamento di Macbeth comincia a insospettire gli
ospiti. Macduff decide di andare in esilio.
All’inizio dell’Atto III, le streghe si accingono a
compiere i loro sortilegi.
Dall’Atto III
Balli
(Un’oscura caverna. Nel mezzo una caldaia che
bolle. Tuoni e lampi.)
I. Rondò
(La scena si riempie di spiriti, diavoli, streghe,
che danzano e invocano Ecate. Appare Ecate, la
dea della notte e dei sortilegi.)
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II. Pantomima
(Tutti stanno religiosamente atteggiati, e quasi
tremanti contemplandola. Ecate dice alle streghe
che conosce l’opra loro e per quale scopo fu evocata; esamina tutto attentamente, poi annunzia che
re Macbetto verrà ad interrogarle sul suo destino,
e dovranno soddisfarlo. Se le visioni abbattessero
troppo i suoi sensi, evocheranno gli spiriti aerei
per risvegliarlo e ridonargli vigore. Ma non deve
più differirsi la rovina che l’attende. Poiché le
streghe hanno rispettosamente ricevuto i suoi ordini, Ecate scomparisce fra lampi e tuoni.)
III. Valzer
(Tutti danzano intorno alla caldaia una ridda
infernale, né si arrestano che all’appressarsi di
Macbeth.)
Sopraggiunge Macbeth e interroga le streghe.
Queste, pur mettendolo in guardia contro Macduff, lo rassicurano: non deve temere alcun uomo
nato da donna, e sarà invincibile finché la foresta
di Birnam non muoverà contro di lui.
Nell’Atto IV, al confine tra Scozia e Inghilterra,
un gruppo di rifugiati scozzesi lamenta la sorte
della patria sotto il dominio di Macbeth.
Dall’Atto IV
Coro di profughi scozzesi
(Luogo deserto ai confini della Scozia e dell’Inghilterra. In distanza la foresta di Birnam.)
profughi scozzesi
Patria oppressa! Il dolce nome,
no, di madre, aver non puoi,
or che tutta a’ figli tuoi
sei conversa in un avel!
D’orfanelli, e di piangenti
chi lo sposo, e chi la prole
al venir del nuovo sole
s’alza un grido, e fere il ciel;
a quel grido il ciel risponde
quasi voglia impietosito
propagare per l’infinito,
patria oppressa, il tuo dolor.
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Suona a morte ognor la squilla,
ma nessuno audace è tanto
che pur doni un vano pianto
a chi soffre, ed a chi muor!
Macduff, sconvolto nell’apprendere della morte
della moglie e dei figli, è incoraggiato da Malcolm a cercare la vendetta. Nascondendosi dietro
a rami tagliati dagli alberi della foresta di Birnam, gli scozzesi avanzano verso il castello di
Macbeth.
Nel castello, un medico e una dama osservano
con orrore Lady Macbeth che, in preda al sonnambulismo, rievoca i delitti commessi.
Scena e Aria di Macbeth
(Sala nel Castello.)
macbeth (entrando agitatissimo)
Perfidi! All’Anglo contra me v’unite!
Le potenze presaghe han profetato:
«Esser puoi sanguinario, feroce;
nessun nato di donna ti nuoce!».
No, non temo di voi, né del fanciullo
che vi conduce!... Raffermar sul trono
quest’assalto mi debbe,
o sbalzarmi per sempre! Eppur la vita
sento nelle mie fibre inaridita!
Pietà, rispetto, amore,
conforto a’ dì cadenti,
non spargeran d’un fiore
la tua canuta età.
Né sul tuo regio sasso
sperar soavi accenti:
sol la bestemmia, ahi lasso!,
la nenia tua sarà.
Scena e Battaglia
donne (nell’interno)
Ella è morta!
macbeth
Qual gemito!
(Entra la dama di Lady Macbeth.)
dama
È morta la regina!
macbeth (con indifferenza e sprezzo)
La vita!... Che importa?...
È il racconto d’un povero idiota!
Vento e suono che nulla dinota!
(La dama parte. Entrano i guerrieri di Macbeth.)
guerrieri
Sire! Ah, sire!
macbeth
Che fu?... Quali nuove?
guerrieri
La foresta di Birnam si muove!
macbeth (attonito)
M’hai deluso, infernale presagio!...
Qui l’usbergo, la spada, il pugnale!
Prodi, all’armi!
guerrieri
Dunque all’armi!
macbeth
La morte!
guerrieri
La morte!
guerrieri e macbeth
La morte o la vittoria!
(Intanto la scena si muta, e presenta una vasta
pianura circondata da alture e boscaglie. Il fondo
è occupato da soldati inglesi, i quali lentamente si
avanzano portando ciascheduno una fronda innanzi
a sé. Entrano Malcolm, Macduff e soldati.)
malcolm
Via le fronde, e mano all’armi!
Mi seguite!...
soldati
All’armi! All’armi!
(Malcolm, Macduff e soldati partono. Di dentro
odesi il fragore della battaglia. Entra in scena
Macbeth incalzato da Macduff.)
macduff
Carnefice de’ figli miei, t’ho giunto.
macbeth
Fuggi! Nato di donna
uccidermi non può.
macduff
Nato non son,
strappato fui dal sen materno.
macbeth (spaventato)
Cielo!
(Brandiscono le spade e, disperatamente battendosi, escono di vista. Entrano, agitatissime, donne scozzesi. La battaglia continua.)
donne
Infausto giorno!
Preghiamo pei figli nostri!
Cessa il fragor!
Inno di vittoria - Finale
uomini
Vittoria!
donne
Vittoria!
(Entra Malcolm seguito da soldati inglesi, i quali
trascinano prigionieri quelli di Macbeth. Macduff con altri soldati, bardi e popolo.)
malcolm
Ove s’è fitto l’usurpator?
macduff
Colà da me trafitto.
tutti
(piegando un ginocchio a terra)
Salve, o re!
11
bardi (con entusiasmo marcato e fiero)
Macbeth, Macbeth ov’è?
Dov’è l’usurpator?
D’un soffio il fulminò
il Dio della vittoria.
(a Macduff)
Il prode eroe egli è
che spense il traditor!
La patria, il re salvò;
a lui onor e gloria!
donne
Salgan mie grazie a te,
gran Dio vendicator;
a chi ne liberò
inni cantiam di gloria!
macduff
S’affidi ognun al re
ridato al nostro amor!
L’aurora che spuntò
vi darà pace e gloria!
malcolm
Confida, o Scozia, in me;
fu spento l’oppressor!
la gioia eternerò
per noi di tal vittoria.
— Primo intervallo —
12
Il trovatore
Dramma in quattro parti
Libretto di Salvatore Cammarano da El trovador di Antonio García Gutiérrez
Prima rappresentazione assoluta: Roma, Teatro Apollo, 19 gennaio 1853
Dalla Parte III - Il figlio della zingara
La selezione di brani dall’opera comincia con il
coro dell’esercito del Conte di Luna, posto in assedio alla rocca di Castellor, dove la nobildonna
Leonora si è rifugiata con Manrico, un trovatore
di cui è innamorata, incontrato in occasione di
un torneo cavalleresco.
Coro
(Accampamento: a destra il padiglione del Conte
di Luna, su cui sventola la bandiera in segno di
supremo comando; da lungi torreggia Castellor.
Scolte di uomini d’arme dappertutto; alcuni giocano, altri forbiscono le armi, altri passeggiano;
poi Ferrando dal padiglione del Conte.)
alcuni armigeri
Or co’ dadi, ma fra poco
giocherem ben altro gioco.
altri armigeri
Quest’acciar, dal sangue or terso
fia di sangue in breve asperso!
(Odonsi strumenti guerrieri; tutti si volgono là donde il suono si avanza. Un grosso drappello di balestrieri, in completa armatura, traversa il campo.)
alcuni armigeri
Il soccorso dimandato!
altri armigeri
Han l’aspetto del valor!
tutti
Più l’assalto ritardato
or non fia di Castellor!
No, no, non fia più!
ferrando (dal padiglione del Conte)
Sì, prodi amici; al dì novello, è mente
del capitan la rocca
investir d’ogni parte.
Colà pingue bottino
certezza è rinvenir più che speranza;
si vinca, è nostro.
tutti
Tu c’inviti a danza!
Squilli, echeggi la tromba guerriera,
chiami all’armi, alla pugna, all’assalto.
Fia domani la nostra bandiera
di quei merli piantata sull’alto.
No, giammai non sorrise vittoria
di più liete speranze finor!...
Ivi l’util ci aspetta e la gloria,
ivi opimi la preda e l’onor.
Dalla Parte I - Il duello
Nell’atrio del palazzo dell’Aliaferia, i famigli
del Conte di Luna ascoltano da Ferrando, il loro
capo, l’orribile storia di Garzia, il fratello del
Conte: vent’anni prima, una zingara si era avvicinata alla culla del piccolo, dicendo di volergli
predire il futuro. Poco dopo il bimbo si ammalò:
la vecchia, accusata di essere una strega e di averne causato la malattia, fu arsa sul rogo. Dopo
qualche giorno il piccolo Garzia scomparve e sul
luogo del supplizio della strega furono trovati i
resti carbonizzati di un bambino. La figlia della
zingara venne accusata di aver compiuto il misfatto per vendetta, ma riuscì a dileguarsi.
Più tardi, nei giardini del palazzo, Leonora confida a Ines di essere innamorata di Manrico.
13
Scena e Cavatina di Leonora
(Giardini del palazzo: sulla destra marmorea
scalinata che mette agli appartamenti; la notte
è inoltrata, dense nubi coprono la luna. Leonora
e Ines.)
ines
Che più t’arresti?... L’ora è tarda; vieni:
di te la regal donna
chiese, l’udisti.
leonora
Un’altra notte ancora
senza vederlo...
ines
Perigliosa fiamma
tu nutri! Oh! Come, dove
la primiera favilla
in te s’apprese?
leonora
Ne’ tornei! V’apparve
bruno le vesti ed il cimier, lo scudo
bruno e di stemma ignudo
sconosciuto guerrier, che dell’agone
gli onori ottenne: al vincitor sul crine
il serto io posi! Civil guerra intanto
arse: no ’l vidi più, come d’aurato
sogno fuggente imago, ed era volta
lunga stagion... ma poi...
ines
Che avvenne?
leonora
Ascolta.
Tacea la notte placida
e bella in ciel sereno
la luna il viso argenteo
mostrava lieto e pieno;
quando suonar per l’aere,
infino allor sì muto
dolci s’udiro e flebili
gli accordi d’un lïuto,
e versi melanconici
un trovator cantò.
14
Versi di prece, ed umile
qual d’uom che prega iddio;
in quella ripeteasi
un nome... il nome mio...
Corsi al veron sollecita...
Egli era, egli era desso!...
Gioia provai che agli angeli
solo è provar concesso!
Al core, al guardo estatico
la terra un ciel sembrò.
ines
Quanto narrasti di turbamento
m’ha piena l’alma!... Io temo!
leonora
Invano!
ines
Dubbio, ma tristo presentimento
in me risveglia quest’uomo arcano!
Tenta obliarlo...
leonora
Che dici? Oh, basti!
ines
Cedi al consiglio dell’amistà...
Cedi...
leonora
Obliarlo! Ah! Tu parlasti
detto, che intendere l’alma non sa.
Di tale amor che dirsi
mal può dalla parola,
d’amor che intendo io sola,
il cor s’inebriò!
Il mio destino compiersi
non può che a lui dappresso...
S’io non vivrò per esso,
per esso io morirò!
ines
(Non debba mai pentirsi
chi tanto un giomo amò!)
Poco dopo, il Conte di Luna si avvia verso gli
appartamenti di Leonora, di cui anch’egli è innamorato. Proprio in quel momento echeggia il
canto del trovatore: Leonora, uscendo dalle sue
stanze per incontrarlo, si imbatte nel Conte ma,
confusa dalle tenebre, non lo riconosce e gli rivolge parole d’amore, pensando di avere di fronte
Manrico. Il trovatore si fa avanti e il Conte lo
sfida a rivelare la propria identità: Manrico si
dichiara seguace dei suoi nemici. I due uomini si
allontanano per battersi in duello.
Dalla Parte II - La gitana
In un accampamento di nomadi, gli zingari, intenti al lavoro, battono le loro incudini. Tra loro
è Manrico, rimasto ferito in battaglia e assistito
da sua madre, Azucena.
Coro di zingari e Canzone di Azucena
(Un diruto abituro, sulla falda di un monte della
Biscaglia; nel fondo, quasi tutto aperto, arde un
gran fuoco. I primi albori.
Azucena siede presso il fuoco. Manrico le sta disteso accanto sopra una coltrice ed avviluppato
nel suo mantello; ha l’elmo ai piedi e fra le mani
la spada, su cui figge immobilmente lo sguardo.
Una banda di zingari è sparsa all’interno.)
zingari
Vedi! Le fosche notturne spoglie
de’ cieli sveste l’immensa volta;
sembra una vedova che alfin si toglie
i bruni panni ond’era involta!
All’opra! All’opra! Dagli... Martella...
(Danno di piglio ai ferri del mestiere. Al misurato tempestar dei martelli cadenti sulle incudini,
or uomini, or donne, e tutti in un tempo infine
intonano la cantilena seguente:)
zingari
Chi del gitano i giorni abbella?
La zingarella!
uomini (alle donne, sostando un poco dal lavoro)
Versami un tratto; lena e coraggio
il corpo e l’anima traggon dal bere.
(Le donne mescono ad essi in rozze coppe.)
uomini
Oh! Guarda, guarda! Del sole un raggio
brilla più vivido nel mio bicchiere!
donne
Oh! Guarda, guarda! Del sole un raggio
brilla più vivido nel tuo bicchiere!
tutti
All’opra! All’opra! Dagli... Martella...
Chi del gitano i giorni abbella?
La zingarella!
azucena (Canta: gli zingari le si fanno da lato.)
Stride la vampa! – La folla indomita
corre a quel fuoco – lieta in sembianza!
Urli di gioia – intorno echeggiano;
cinta di sgherri – donna s’avanza!
Sinistra splende – sui volti orribili
la tetra fiamma – che s’alza al ciel!
Stride la vampa! – Giunge la vittima
nero vestita, – discinta e scalza!
Grido feroce – di morte levasi;
l’eco il ripete – di balza in balza!...
Sinistra splende – sui volti orribili
la tetra fiamma – che s’alza al ciel!
zingari
Mesta è la tua canzon!
azucena
Del pari mesta
che la storia funesta
da cui tragge argomento!
(Rivolge il capo dalla parte di Manrico e mormora sommessamente:)
Mi vendica... mi vendica!
manrico
(L’arcana parola ognor!)
vecchio zingaro
Compagni, avanza il giorno:
a procacciarci un pan, su, su, scendiam
per le propinque ville.
zingari
Andiamo.
15
(Ripongono sollecitamente ne’ sacchi i loro arnesi
e discendono alla rinfusa per la china; tratto
tratto, e sempre a maggior distanza, odesi il loro
canto.)
zingari
Chi del gitano i giorni abbella?
La zingarella!
L’anziana zingara rievoca la storia della propria
madre, arsa sul rogo, e, rimasta sola con Manrico, gli narra di aver rapito il figlio del Conte di
Luna per vendicarla, ma di aver poi gettato tra
le fiamme, in preda a un folle delirio, il proprio
figlio, anziché quello del Conte. Accorgendosi del
turbamento di Manrico, lo rassicura, dicendogli
di aver mentito. Eppure Manrico non si spiega
perché, mentre duellava con il Conte ed era sul
punto di sopraffarlo, sia stato dissuaso dall’ucciderlo da una sorta di voce soprannaturale. Intanto il fido Ruiz gli fa pervenire un messaggio:
Leonora, credendolo morto, ha deciso di prendere il velo.
Nei pressi del convento dove Leonora ha deciso di
ritirarsi, è in agguato il Conte di Luna.
Scena e Aria del Conte di Luna
(Atrio interno di un luogo di ritiro in vicinanza
di Castellor. Alberi nel fondo. È notte. Il Conte,
Ferrando e alcuni seguaci inoltrandosi cautamente avviluppati nei loro mantelli.)
conte
Tutto è deserto! Né per l’aura ancora
suona l’usato carme...
In tempo io giungo.
ferrando
Ardita opra, o signore,
imprendi.
conte
Ardita, e qual furente amore
ed irritato orgoglio
chiesero a me. Spento il rival, caduto
ogni ostacol sembrava a’ miei desiri:
novello e più possente ella ne appresta!
16
L’altare! Ah no, non fia
d’altri Leonora mai... Leonora è mia!
Il balen del suo sorriso
d’una stella vince il raggio!...
Il fulgor del suo bel viso
novo infonde in me coraggio!...
Ah! L’amor, l’amore ond’ardo
le favelli in mio favor!...
Sperda il sole d’un suo sguardo
la tempesta del mio cor.
(Odesi il rintocco de’ sacri bronzi.)
conte
Qual suono!... O ciel!
ferrando
La squilla
vicino il rito annunzia!
conte
Ah! Pria che giunga
all’altar... si rapisca!...
ferrando
Oh, bada!...
conte
Taci!...
Non odo... Andate!...
Di quei faggi all’ombra celatevi!...
(Ferrando e gli altri seguaci si allontanano.)
Ah! Fra poco mia diverrà...
Tutto m’investe un foco!
(Ansioso e guardingo osserva dalla parte donde
deve giungere Leonora, mentre Ferrando e i seguaci dicono sottovoce:)
ferrando e seguaci
Ardire! Andiam! Celiamoci
fra l’ombre... nel mister!
Ardire! Andiam! Silenzio!
Si compia il suo voler!
conte
(nell’eccesso del furore)
Per me, ora fatale,
i tuoi momenti affretta...
La gioia che m’aspetta
gioia mortal non è!...
Invano un dio rivale
opponi all’amor mio,
non può nemmeno un dio,
donna, rapirti a me!
manrico
Alto è il periglio!... Vano
dissimularlo fora!
A la novella aurora
assaliti saremo!...
leonora
Ahimè! Che dici?...
Il Conte di Luna, folle d’amore, è deciso a rapire
Leonora, ma Manrico sopraggiunge a sventarne
le trame. Mentre i suoi compagni mettono in fuga
il Conte e i suoi armigeri, Manrico e Leonora si
allontanano insieme.
manrico
Ma de’ nostri nemici
avrem vittoria... Pari
abbiam al loro ardir, brando e coraggio!
(a Ruiz)
Tu va’; le belliche opre
nell’assenza mia breve, a te commetto!
Che nulla manchi!
Dalla Parte III - Il figlio della zingara
(Ruiz parte.)
L’esercito del Conte assedia Castellor, dove Leonora si è rifugiata con Manrico. Ferrando e un
gruppo di soldati tornano all’accampamento
trascinando con loro Azucena, sorpresa mentre
si aggirava in quei luoghi alla ricerca del figlio.
In lei Ferrando riconosce la fattucchiera accusata
della morte di Garzia: il Conte, nel condannarla
al rogo, gioisce per la duplice vendetta che compirà uccidendo al tempo stesso la presunta assassina del fratello e la madre dell’odiato rivale.
In una sala attigua alla cappella della rocca di
Castellor, Manrico e Leonora attendono l’ora
delle nozze: commossi perché stanno per coronare il loro amore, sono tuttavia turbati per l’imminenza della battaglia.
Quando già il suono dell’organo annuncia l’inizio del rito, giunge trafelato Ruiz per annunciare
che Azucena sta per essere giustiziata. Manrico
chiama i suoi uomini a una sortita per salvare la
madre dal fuoco della pira.
leonora
Di qual tetra luce
il nostro imen risplende!
Scena e Aria di Manrico
(Sala adiacente alla cappella in Castellor, con
verone in fondo. Manrico, Leonora e Ruiz.)
leonora
Quale d’armi fragor
poc’anzi intesi?
manrico
Il presagio funesto,
deh!, sperdi, o cara!
leonora
E il posso?
manrico
Amor... Sublime amore,
in tale istante ti favelli al core!
Ah sì, ben mio, coll’essere
io tuo, tu mia consorte,
avrò più l’alma intrepida,
il braccio avrò più forte.
Ma pur se nella pagina
de’ miei destini è scritto
ch’io resti fra le vittime
dal ferro ostil trafitto,
fra quegli estremi aneliti
a te il pensier verrà!
E solo in ciel precederti
la morte a me parrà!
(Si ode il suono dell’organo della vicina cappella.)
17
leonora e manrico
L’onda de’ suoni mistici
pura discende al cor!
Vieni; ci schiude il tempio
gioie di casto amor!
(Si avviano giubilanti al tempio; Ruiz viene frettoloso.)
Di quella pira... l’orrendo foco
tutte le fibre m’arse, avvampò!
Empi, spegnetela, o ch’io fra poco
col sangue vostro la spegnerò!
Era già figlio prima d’amarti...
non può frenarmi il tuo martir!
Madre infelice, corro a salvarti,
o teco almeno corro a morir!
ruiz
Manrico!
leonora
Non reggo a colpi tanto funesti...
Oh, quanto meglio sarìa morir!
manrico
Che?
(Ruiz torna con armati.)
ruiz
La zingara,
vieni... Tra ceppi mira...
ruiz e armati
All’armi, all’armi! Eccone presti
a pugnar teco, o teco a morir!
manrico
O dio!
(Manrico parte frettoloso seguito da Ruiz e dagli
armati, mentre odesi dall’interno fragor d’armi e
di bellici strumenti.)
ruiz
Per man de’ barbari
accesa è già la pira!
manrico
(accostandosi al verone)
O ciel! Mie membra oscillano...
Nube mi copre il ciglio!
leonora
Tu fremi!
manrico
E il deggio! Sappilo...
Io son...
leonora
Chi mai?
manrico
Suo figlio!
Ah! Vili... Il rio spettacolo
quasi il respir m’invola!...
Raduna i nostri, affrèttati,
Ruiz... va’... torna... vola...
(Ruiz parte.)
18
Dalla Parte II - La gitana
Racconto di Azucena
azucena
Condotta ell’era in ceppi
al suo destin tremendo,
col figlio sulle braccia,
io la seguia piangendo:
infino ad essa un varco tentai,
ma invano, aprirmi,
invan tentò la misera
fermarsi e benedirmi,
ché, fra bestemmie oscene,
pungendola coi ferri,
al rogo la cacciavano
gli scellerati sgherri!
Allor con tronco accento
«Mi vendica!» sclamò.
Quel detto un’eco eterno
in questo cor lasciò.
Il figlio giunsi a rapir del Conte:
lo trascinai qui meco...
Le fiamme ardean già pronte.
Ei distruggeasi in pianto...
io mi sentiva il core dilaniato, infranto!
Quand’ecco agli egri spirti,
come in un sogno, apparve
la vision ferale di spaventose larve!
Gli sgherri!... Ed il supplizio!...
La madre smorta in volto,
scalza... discinta!... Il grido,
il noto grido ascolto...
«Mi vendica!».
La mano convulsa tendo...
Stringo la vittima...
Nel foco la traggo, la sospingo...
Cessa il fatal delirio...
L’orrida scena fugge...
La fiamma sol divampa,
e la sua preda strugge!...
Pur volgo intorno il guardo
e innanzi a me vegg’io...
dell’empio Conte il figlio!
Il figlio mio, mio figlio avea bruciato!
Sul capo mio le chiome sento rizzarsi ancor!
Dalla Parte IV - Il supplizio
Leonora si aggira nei pressi della torre dove
Manrico, sconfitto, è stato imprigionato. Sopraggiunge il Conte, che rammenta ai suoi cortigiani
l’approssimarsi della vendetta: all’alba Manrico
salirà sul patibolo e Azucena sarà condotta al
rogo. Leonora implora clemenza e giunge a offrire se stessa in cambio della vita di Manrico. Il
Conte accetta il patto: ma Leonora, furtivamente, assume il veleno nascosto nel proprio anello.
Nel carcere, Manrico cerca di consolare Azucena,
che, provata, viene vinta da un profondo torpore.
Entra Leonora annunciandogli l’imminente libertà.
Scena ultima
(Orrido carcere: in un canto, finestra con inferriata; porta nel fondo; smorto fanale pendente dalla volta. Si apre la porta, entra Leonora:
Azucena, Manrico, in ultimo il Conte con séguito di armati.)
manrico
Che!... Non m’inganna quel fioco lume?
leonora
Son io, Manrico...
manrico
O mia Leonora!
Ah! Mi concedi, pietoso nume,
gioia sì grande, anzi ch’io mora?
leonora
Tu non morrai!... Vengo a salvarti...
manrico
Come? A salvarmi? Fia vero?
leonora
Addio...
(accennandogli la porta)
Tronca ogni indugio... T’affretta... Parti!...
manrico
E tu non vieni?
leonora
Restar degg’io!
manrico
Restar!
leonora
Deh! Fuggi!
manrico
No.
leonora
(cercando di trarlo verso l’uscio)
Guai se tardi!
manrico
No...
leonora
La tua vita!...
manrico
Io la disprezzo...
Pur figgi, o donna, in me gli sguardi!
Da chi l’avesti ed a qual prezzo?
Parlar non vuoi!... Balen tremendo!...
19
Dal mio rivale!... Intendo, intendo!...
Ha quest’infame l’amor venduto...
Venduto un core che mi giurò!
leonora
Oh, come l’ira ti rende cieco!
Oh, quanto ingiusto, crudel sei meco!
T’arrendi... Fuggi, o sei perduto!
Nemmeno il cielo salvar ti può!
azucena (dormendo)
Ai nostri monti... ritorneremo!
L’antica pace... ivi godremo!...
Tu canterai... sul tuo liuto...
in sonno placido... io dormirò!
(Leonora è caduta ai piedi di Manrico.)
manrico
Ti scosta...
leonora
Non respingermi...
Vedi!... Languente... oppressa
io manco...
manrico
Va’... Ti abomino...
Ti maledico...
leonora
Ah, cessa!
Non d’imprecar, di volgere
per me la prece a dio
è questa l’ora!
manrico
Un brivido
corse nel petto mio!
leonora
(cadendo bocconi)
Manrico!
manrico
(accorrendo a sollevarla)
Donna, svelami...
Narra!
20
leonora
Ho la morte in seno...
manrico
La morte!...
leonora
Ah, fu più rapida
la forza del veleno
ch’io non pensava!...
manrico
Oh, fulmine!
leonora
Senti! la mano è gelo...
(toccandosi il petto)
Ma qui... foco terribil
arde...
manrico
Che festi!... O cielo!
leonora
Prima che d’altri vivere...
io... volli tua morir!...
manrico
Insano!... Ed io quest’angelo
osava maledir!
leonora
Più non resisto!
manrico
Ahi, misera!...
(Entra il Conte, arrestandosi sulla soglia.)
leonora
(stringendogli la destra in segno d’addio)
Ecco l’istante... Io moro...
Manrico! Or la tua grazia...
padre del cielo... imploro...
conte
(Ah! Volle me deludere,
e per costui morir!)
leonora
Prima che... d’altri vivere...
io... volli tua morir!...
manrico
Insano!... Ed io quest’angelo
osava maledir!
conte
(Ah! Volle me deludere,
e per costui morir!)
(Leonora spira.)
conte
(additando agli armati Manrico)
Sia tratto al ceppo!
manrico
(partendo tra gli armati)
Madre... O madre, addio!
azucena (destandosi)
Manrico! Ov’è mio figlio?
(Il Conte trascina Azucena verso la finestra.)
conte
Vedi?...
azucena
Cielo!
conte
È spento!
azucena
Egli era tuo fratello!...
conte
Ei!... Quale orror!
azucena
Sei vendicata, o madre!
(Cade a piè della finestra.)
conte (inorridito)
E vivo ancor!
conte
A morte corre!
azucena
Ah, ferma! M’odi...
— Secondo intervallo —
21
Aida
Opera in quattro atti
Libretto di Antonio Ghislanzoni
Prima rappresentazione assoluta: Il Cairo, Teatro dell’Opera, 24 dicembre 1871
Preludio
Dall’Atto I
(Sala nel palazzo del re a Menfi. A destra e a
sinistra, una colonnata con statue e arbusti in fiore. Grande porta nel fondo, da cui si scorgono i
templi, i palazzi di Menfi e le piramidi.)
Il gran sacerdote Ramfis riferisce a Radamès, capitano delle guardie, che l’esercito etiope sta nuovamente marciando sul suolo egizio, e gli lascia
intendere che proprio lui è stato indicato dalla
dea Iside quale supremo condottiero: si reca quindi dal re per riferirgli il vaticinio.
Radamès, rimasto solo, sogna il momento in cui
tornerà carico di gloria all’amore di Aida, la
schiava etiope alla quale è segretamente legato.
Romanza di Radamès
radamès
Se quel guerrier
io fossi! Se il mio sogno
si avverasse!... Un esercito di prodi
da me guidato... E la vittoria... E il plauso
di Menfi tutta! E a te, mia dolce Aida,
tornar di lauri cinto...
Dirti: per te ho pugnato, per te ho vinto!
Celeste Aida, forma divina,
mistico serto di luce e fior,
del mio pensiero tu sei regina,
tu di mia vita sei lo splendor.
Il tuo bel cielo vorrei ridarti,
le dolci brezze del patrio suol;
un regal serto sul crin posarti,
ergerti un trono vicino al sol.
22
Sopraggiunge Amneris: invaghita di Radamès,
la figlia del re gli chiede maliziosamente se la
sua evidente felicità non sia dovuta a un amore
segreto. Radamès, equivocando l’allusione della
principessa e temendo che la propria relazione
con Aida sia stata scoperta, reagisce in modo
tale da insospettirla. L’arrivo di Aida complica
ulteriormente la situazione, ma il teso colloquio
dei tre viene interrotto dall’ingresso della corte.
Il re invita tutti ad ascoltare da un messaggero
le ultime notizie dai confini etiopi, quindi proclama la guerra e nomina Radamès comandante
dell’esercito. Rimasta sola, Aida dà sfogo al proprio senso di colpa per aver augurato la vittoria
a Radamès.
Scena e Romanza di Aida
aida
Ritorna vincitor!... E dal mio labbro
uscì l’empia parola! Vincitor
del padre mio... di lui che impugna l’armi
per me... per ridonarmi
una patria, una reggia e il nome illustre
che qui celar m’è forza! Vincitor
de’ miei fratelli... ond’io lo vegga, tinto
del sangue amato, trionfar nel plauso
dell’egizie coorti!... E dietro il carro,
un re... mio padre... di catene avvinto!...
L’insana parola,
o Numi, sperdete!
Al seno d’un padre
la figlia rendete;
Struggete le squadre
dei nostri oppressor!
Ah! Sventurata! Che dissi? E l’amor mio?
Dunque scordar poss’io
questo fervido amore che, oppressa e schiava,
come raggio di sol qui mi beava?
Imprecherò la morte a Radamès,
a lui ch’amo pur tanto!
Ah! Non fu in terra mai
da più crudeli angoscie un core affranto!
I sacri nomi di padre... d’amante
né profferir poss’io, né ricordar...
Per l’un... per l’altro... confusa... tremante...
Io piangere vorrei... vorrei pregar.
Ma la mia prece in bestemmia si muta...
Delitto è il pianto a me... colpa il sospir...
In notte cupa la mente è perduta...
E nell’ansia crudel vorrei morir.
Numi, pietà del mio soffrir!
Speme non v’ha pel mio dolor...
Amor fatal, tremendo amor,
spezzami il cor, fammi morir!
Radamès riceve poi l’investitura quale comandante supremo. Ramfis gli affida la spada sacra e invoca la protezione divina sul sacro suolo
dell’Egitto.
schiave
Or, dove son le barbare
orde dello stranier?
Siccome nebbia sparvero
al soffio del guerrier.
Vieni: di gloria il premio
raccogli, o vincitor;
t’arrise la vittoria,
t’arriderà l’amor.
amneris
(Vieni, amor mio, ravvivami
d’un caro accento ancor!)
Sopraggiunge Aida e Amneris le comunica la falsa notizia della morte di Radamès: la reazione
disperata della schiava etiope e poi le sue lacrime
di gioia quando le rivela di aver mentito, confermano i sospetti della principessa. Aida ammette
di amare Radamès, ma Amneris, furente, le ricorda che, nella sua condizione servile, non può
sperare di ergersi a sua rivale.
Coro dal Gran Finale II
Dall’Atto II
(Una sala nell’appartamento di Amneris.
Amneris circondata dalle schiave che l’abbigliano
per la festa trionfale. Dai tripodi si eleva il
profumo degli aromi. Giovani schiavi mori
danzando agitano i ventagli di piume.)
Introduzione - Scena, Coro di donne
e Danza degli schiavi mori
schiave
Chi mai fra gli inni e i plausi
erge alla gloria il vol,
al par di un dio terribile,
fulgente al par del sol?
Vieni: sul crin ti piovano
contesti ai lauri i fior;
suonin di gloria i cantici
coi cantici d’amor.
amneris
(Vieni, amor mio, mi inebria...
fammi beato il cor!)
(Uno degli ingressi della città di Tebe. Sul davanti un gruppo di palme. A destra il tempio di
Ammone – a sinistra un trono sormontato da
un baldacchino di porpora. Nel fondo una porta
trionfale.
La scena è ingombra di popolo. Entra il re, seguito dai ministri, sacerdoti, capitani, flabelliferi, porta insegne, ecc., ecc. Quindi, Amneris con
Aida e schiave. Il re va a sedere sul trono. Amneris prende posto alla sinistra del re.)
popolo
Gloria all’Egitto, ad Iside
che il sacro suol protegge!
Al re che il delta regge
inni festosi alziam!
Gloria! Gloria! Gloria!
Gloria al Re!
donne
S’intrecci il loto al lauro
sul crin dei vincitori!
Nembo gentil di fiori
stenda sull’armi un vel.
23
Danziam, fanciulle egizie,
le mistiche carole,
come d’intorno al sole
danzano gli astri in ciel!
sacerdoti
Della vittoria agli arbitri
supremi il guardo ergete;
grazie agli dèi rendete
nel fortunato dì.
(Le truppe egizie precedute dalle fanfare sfilano
dinanzi al re. Un drappello di danzatrici reca i
tesori dei vinti. Altre truppe seguono i carri di
guerra, i vasi sacri, le statue degli dèi.)
popolo
Vieni, o guerriero vindice,
vieni a gioir con noi;
sul passo degli eroi
i lauri, i fior versiam!
Gloria al guerrier, gloria!
Gloria all’Egitto, gloria!
sacerdoti
Agli arbitri supremi
il guardo ergete;
grazie agli dèi rendete
nel fortunato dì.
Acclamato dal popolo e preceduto dalla sfilata
delle sue truppe, giunge Radamès. Amneris gli
impone la corona del vincitore e il re giura che
esaudirà qualunque sua richiesta. Radamès
chiede che i prigionieri vengano condotti al loro
cospetto. Tra essi Aida riconosce il padre, ma
Amonasro le impone di non rivelare chi egli sia
realmente, e rivolgendosi con parole nobili al Faraone chiede clemenza per l’esercito sconfitto.
Radamès domanda, come ricompensa per la
vittoria, che sia concessa la grazia ai prigionieri. Amneris è indispettita e Ramfis preoccupato
all’idea che gli ufficiali etiopi, una volta liberati, possano ritornare alle armi. Il re concede la
grazia a condizione che Aida resti a corte con il
padre a garanzia dell’impegno di pace del suo
popolo; poi annuncia che ricompenserà Radamès
offrendogli in sposa Amneris e destinandolo così
alla sua successione.
24
Dall’Atto III
Sulle rive del Nilo, Ramfis accompagna Amneris
al tempio di Iside, per trascorrere una veglia di
preghiera nell’imminenza delle nozze. Sopraggiunge Aida: Radamès l’ha convocata per quello
che la giovane pensa essere il loro ultimo incontro,
ma il padre Amonasro la sorprende sul luogo.
Scena e Duetto di Aida e Amonasro
aida
Ciel! Mio padre!
amonasro
A te grave cagion
m’adduce, Aida. Nulla sfugge al mio
sguardo. D’amor ti struggi
per Radamès... ei t’ama... qui lo attendi.
Dei Faraon la figlia è tua rivale...
Razza infame, aborrita e a noi fatale!
aida
E in suo potere io sto!...
Io, d’Amonasro figlia!...
amonasro
In poter di lei!... No!... Se lo brami,
la possente rival tu vincerai,
e patria, e trono, e amor, tutto tu avrai.
Rivedrai le foreste imbalsamate,
le fresche valli, i nostri templi d’or!...
aida (con trasporto)
Rivedrò le foreste imbalsamate,
le fresche valli, i nostri templi d’or!...
amonasro
Sposa felice a lui che amasti tanto,
tripudii immensi ivi potrai gioir...
aida (con espansione)
Un giorno solo di sì dolce incanto...
un’ora, un’ora di tal gioia, e poi morir!
amonasro (cupo)
Pur rammenti che a noi l’Egizio immite
le case, i templi e l’are profanò...
Trasse in ceppi le vergini rapite...
madri... vecchi... fanciulli ei trucidò.
aida
Ah! Ben rammento quegl’infausti giorni!
Rammento i lutti che il mio cor soffrì!
Deh! Fate, o Numi, che per noi ritorni
l’alba invocata de’ sereni dì.
amonasro
Rammenta.
Non fia che tardi.
In armi ora si desta
il popol nostro; tutto è pronto già...
Vittoria avrem... Solo a saper mi resta
qual sentier il nemico seguirà...
aida (atterrita e supplichevole)
Pietà! Pietà! Pietà!
amonasro
Flutti di sangue scorrono
sulle città dei vinti...
Vedi?... Dai negri vortici
si levano gli estinti...
Ti additan essi e gridano:
“Per te la patria muor!”.
aida
Pietà! Pietà! Padre, pietà!
amonasro
Tu stessa!
amonasro
Una larva orribile
fra l’ombre a noi s’affaccia...
Trema! Le scarne braccia...
sul capo tuo levò...
aida
Io?...
aida
Padre!...
amonasro
Radamès so che qui attendi...
(con intenzione)
Ei t’ama...
Ei conduce gli Egizii... Intendi?...
amonasro
Tua madre ell’è...
aida
Orrore!
Che mi consigli tu? No! No! Giammai!
amonasro
Ravvisala...
Ti maledice...
amonasro (con impeto selvaggio)
Su, dunque! sorgete,
egizie coorti!
Col fuoco struggete
le nostre città...
Spargete il terrore,
le stragi, le morti...
Al vostro furore
più freno non v’ha.
aida (nel massimo terrore)
Ah! No!... Ah! No!...
Padre, pietà! Pietà!...
aida
Chi scoprirlo potria? chi mai?
aida
Ah, padre!... Padre!...
amonasro (respingendola)
Mia figlia ti chiami!...
aida
No!...
amonasro (respingendola)
Non sei mia figlia...
Dei Faraoni tu sei la schiava!
aida (con un grido)
Ah! Pietà, pietà! Pietà!
(trascinandosi a stento ai piedi del padre)
Padre!... A costoro... schiava non sono...
Non maledirmi... non imprecarmi...
Ancor tua figlia potrai chiamarmi...
Della mia patria degna sarò.
25
amonasro
Pensa che un popolo, vinto, straziato,
per te soltanto risorger può...
aida
Oh, patria! Oh, patria... quanto mi costi!
amonasro
Coraggio! Ei giunge... Là tutto udrò...
(Si nasconde fra i palmizii. Entra Radamés.)
I tuoi già invadono la nostra terra,
io degli Egizii duce sarò.
Fra il suon, fra i plausi della vittoria,
al re mi prostro, gli svelo il cor.
Sarai tu il serto della mia gloria,
vivrem beati d’eterno amor.
aida
Né d’Amneris paventi
il vindice furor? La sua vendetta,
come folgor tremenda,
cadrà su me, sul padre mio, su tutti.
Duetto di Radamès e Aida
radamès (con trasporto)
Pur ti riveggo,mia dolce Aida...
aida
T’arresta, vanne... Che speri ancor?
radamès
A te d’appresso l’amor mi guida.
aida
Te i riti attendono d’un altro amor.
D’Amneris sposo...
radamès
Che parli mai?...
Te sola, Aida, te deggio amar.
Gli dèi m’ascoltano, tu mia sarai...
aida
D’uno spergiuro non ti macchiar!
Prode t’amai, non t’amerei spergiuro.
radamès
Dell’amor mio dubiti, Aida?
aida
E come speri
sottrarti d’Amneris ai vezzi,
del re al voler, del tuo popolo ai voti,
dei sacerdoti all’ira?
radamès
Odimi, Aida.
Nel fiero anelito di nuova guerra
il suolo Etiope si ridestò...
26
radamès
Io vi difendo.
aida
Invan! Tu nol potresti...
Pur... Se tu m’ami... Ancor s’apre una via
di scampo a noi...
radamès
Quale?
aida
Fuggir...
radamès
Fuggire!
aida (colla più viva espansione)
Fuggiam gli ardori inospiti
di queste lande ignude;
una novella patria
al nostro amor si schiude...
Là... tra foreste vergini
di fiori profumate,
in estasi beate
la terra scorderem.
radamès
Sovra una terra estrania
teco fuggir dovrei!
Abbandonar la patria,
l’are dei nostri dèi!
Il suol dov’io raccolsi
di gloria i primi allori,
il ciel de’ nostri amori
come scordar potrem?
aida
Sotto il mio ciel, più libero
l’amor ne fia concesso;
ivi nel tempio istesso
gli stessi Numi avrem.
Fuggiam, fuggiam...
radamès
(esitante)
Aida!
aida
Tu non m’ami... Va’!
radamès
Non t’amo?
Mortal giammai né dio
arse d’amor al par del mio possente.
aida
Va’... Va’... T’attende all’ara Amneris...
radamès
No!... Giammai!
aida e radamès
Vieni meco, insiem fuggiamo
questa terra di dolor.
Vieni meco... T’amo, t’amo!
A noi duce fia l’amor.
(S’allontanano rapidamente. Ad un tratto Aida
s’arresta.)
aida
Ma dimmi: per qual via
eviterem le schiere
degli armati?
radamès
Il sentier scelto dai nostri
A piombar sul nemico fia deserto
Fino a domani...
aida
E quel sentier?...
radamès
Le gole di Nàpata...
Scena - Finale III
aida
Giammai, dicesti?
Allor piombi la scure
su me, sul padre mio...
radamès
Ah no! fuggiamo!
(con appassionata risoluzione)
Sì: fuggiam da queste mura,
al deserto insiem fuggiamo;
qui sol regna la sventura,
là si schiude un ciel d’amor.
I deserti interminati
a noi talamo saranno,
su noi gli astri brilleranno
di più limpido fulgor.
aida
Nella terra avventurata
de’ miei padri, il ciel ne attende;
ivi l’aura è imbalsamata,
ivi il suolo è aromi e fior.
Fresche valli e verdi prati
(Si fa avanti Amonasro.)
amonasro (con gioia feroce)
Di Nàpata le gole!
Ivi saranno i miei...
radamès
Oh! Chi ci ascolta?...
amonasro
D’Aida il padre e degli Etiopi il Re.
radamès (nella massima agitazione e sorpresa)
Tu!...Amonasro!... Tu!... il re?
Numi! Che dissi?...
No... Non è ver... No!
(con un grido)
Sogno... delirio è questo!
aida
Ah, no! Ti calma, ascoltami,
all’amor mio t’affida.
27
amonasro
A te l’amor d’Aida
un soglio innalzerà.
radamès
Io son disonorato!
Per te tradii la patria!
aida
Ti calma!
amonasro
No: tu non sei colpevole,
era voler del fato...
radamès
Io son disonorato!
aida
Ah, no!
amonasro
No!
Vien: oltre il Nil ne attendono
i prodi a noi devoti;
là del tuo core i voti
coronerà l’amor.
(trascinando Radamès)
Vieni, vieni, vieni.
(Amneris, sacerdoti e guardie escono dal
tempio.)
amneris
Traditor!
aida
La mia rival!...
amonasro
L’opra mia a strugger vieni!
(avventandosi su Amneris con un pugnale)
Muori!...
radamès (frapponendosi)
Arresta, insano!...
amonasro
Oh, rabbia!
28
ramfis
Guardie, olà!
radamès (ad Aida eAmonasro)
Presto!... Fuggite!...
amonasro (trascinando Aida)
Vieni, o figlia!
ramfis (alle guardie)
L’inseguite!
radamès (a Ramfis)
Sacerdote, io resto a te.
Nell’Atto IV, in una sala nel palazzo del re, Amneris rivela a Radamès che Amonasro è morto
in battaglia, ma che Aida è sopravvissuta e si è
dileguata, e si impegna a salvargli la vita se dimenticherà il suo amore per la schiava etiope. Di
fronte al suo rifiuto, la principessa lo abbandona
al giudizio dei sacerdoti. Radamès viene condotto in una sala attigua, dove Ramfis e i sacerdoti
lo accusano di tradimento. Poiché rifiuta di dire
alcunché a propria discolpa, è condannato a essere sepolto vivo sotto l’altare del dio Vulcano.
Quando i sacerdoti escono dalla sala del giudizio,
Amneris lancia una violenta invettiva contro la
loro ipocrita crudeltà.
Nel tempio di Vulcano, Radamès viene rinchiuso
in una cripta sotto l’altare del dio. Inaspettatamente gli appare Aida, che, avendo saputo della sua sorte, vi si è nascosta per morire con lui.
Mentre si alzano i canti delle sacerdotesse, i due
innamorati si abbracciano teneramente. Entra
Amneris, sconvolta dal rimorso: prostrata sulla
tomba, invoca la dea Iside perché conceda la pace
a Radamès.
Gianandrea Noseda è considerato oggi tra i più
eminenti direttori d’orchestra del panorama internazionale. Dal 2007 Direttore musicale del Teatro
Regio, che ha collocato stabilmente nella mappa dei
grandi teatri d’opera, vi dirige ogni anno produzioni operistiche e concerti sinfonici, oltre a tournée
e residenze all’estero. Le nuove produzioni di Don
Giovanni, Salome per la regia di Robert Carsen,
Thaïs (in dvd per Arthaus Musik), La dama di picche, La traviata, Boris Godunov per la regia di Andrei
Konchalovsky (dvd Opus Arte), I Vespri siciliani,
Fidelio, Tosca, fino alle più recenti Evgenij Onegin e
Don Carlo sono state accolte da unanimi consensi
del pubblico e della critica. Guida i complessi del
Teatro Regio in tournée in Spagna, al Théâtre des
Champs-Elysées di Parigi, dove torna ogni anno, al
Festival di Dresda, al Konzerthaus di Vienna e in
Giappone, dove si è appena conclusa la seconda residenza al Bunka Kaikan di Tokyo, dopo il grande
successo di quella dell’estate 2010.
Gianandrea Noseda è inoltre Direttore ospite principale della Filarmonica di Israele, Laureate Conductor
della Bbc Philharmonic, “Victor De Sabata Guest
Chair” della Pittsburgh Symphony e Direttore artistico del Festival di Stresa. È stato il primo Direttore
ospite principale non russo nella storia del Teatro
Mariinskij di San Pietroburgo e Direttore ospite
principale della Rotterdam Philharmonic e dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.
Nato a Milano, dove ha compiuto gli studi musicali, dirige le più importanti orchestre sinfoniche
del mondo: Chicago, Pittsburgh, Philadelphia, Los
Angeles e Cleveland negli Stati Uniti, la London
Symphony, i Wiener Symphoniker, l’Orchestre de
Paris e la Filarmonica della Scala in Europa, mentre
in Giappone è ospite regolare della Nhk Symphony
Orchestra. Intensa e felice la collaborazione con il
Metropolitan di New York, dove dirige ogni anno dal
2002 e dove tornerà nella prossima stagione con due
produzioni, tra cui un’attesissima nuova produzione
de Il principe Igor per la regia di Dmitrij Černjakov.
Come Chief Conductor della Bbc Philharmonic
ha guidato l’orchestra in tournée in Giappone (nel
2004 e nel 2008) e in Europa, oltre ad aver scritto
una pagina storica nel 2005, quando un milione e
mezzo di utenti scaricò dalla rete le nove Sinfonie
di Beethoven offerte dal sito della Bbc nell’ambito del progetto The Beethoven Experience. Il suo
War Requiem di Britten con la London Symphony
Orchestra – presentato al Barbican di Londra e al
Lincoln Centre di New York nell’autunno 2011, ora
disponibile in cd per l’etichetta Lso Live – è stato
salutato dalla critica americana come uno degli eventi dell’anno.
Sicuro punto di riferimento per il repertorio verdiano nel mondo, ha inanellato una serie ininterrotta di successi a partire da Macbeth alla Metropolitan
Opera, fino ai trionfi di Luisa Miller e di Aida alla
Scala, dei Vespri siciliani all’Opera di Vienna e del
Rigoletto al Festival di Aix-en-Provence nell’estate
2013. Con Simon Boccanegra ha inaugurato la stagione 2013-2014 del Teatro Regio.
Dal 2002 Gianandrea Noseda è legato all’etichetta discografica Chandos, per la quale ha registrato
oltre 30 cd dedicati a musiche di Bartók, Dvořák,
Karłowicz, Liszt, Mahler, Prokof ’ev, Rachmaninoff,
Šostakovič e Smetana. Con «Musica Italiana», ha
avviato un progetto dedicato ai compositori italiani del XX secolo, tra cui Ottorino Respighi,
Alfredo Casella, Goffredo Petrassi ed Ermanno
Wolf-Ferrari, accolto dalla critica internazionale con
plauso unanime. Nell’ambito della collaborazione
con Deutsche Grammophon ha inciso il debutto discografico di Anna Netrebko con la Filarmonica di
Vienna, mentre con l’Orchestra Teatro Regio ha diretto l’album mozartiano di Ildebrando D’Arcangelo
e i due progetti verdiani con Rolando Villazón e
Anna Netrebko.
Attento ai giovani musicisti, ha collaborato con
il Royal College of Music e con l’Orchestra della
Guildhall School di Londra, con la National Youth
Orchestra of United Kingdom e con l’Orchestra
Giovanile Italiana. Dirige inoltre regolarmente la
European Union Youth Orchestra in tournée.
Gianandrea Noseda è Cavaliere Ufficiale al
Merito della Repubblica Italiana.
Nata a Milano, Barbara Frittoli si è diplomata
al Conservatorio “Giuseppe Verdi” della sua città
sotto la guida di Giovanna Canetti. Ha vinto numerosi concorsi internazionali e, grazie alle sue
eccezionali qualità vocali, ha avviato una straordinaria carriera che l’ha vista esibirsi nei più importanti
teatri del mondo.
Nel suo repertorio figurano i ruoli principali
delle opere mozartiane e ottocentesche. Ha infatti interpretato la Contessa nelle Nozze di Figaro
(Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Regio, Teatro
alla Scala, Teatro Real di Madrid, Opéra di Parigi e
Bayerische Staatsoper), Donna Anna e Donna Elvira
in Don Giovanni (Festival di Salisburgo con Maazel,
Glyndebourne, Staatsoper di Vienna, Metropolitan,
Washington e Scala), Fiordiligi in Così fan tutte
(Staatsoper di Vienna e Ravenna Festival con
Riccardo Muti, Covent Garden con Colin Davis,
Valencia e Vienna), Elettra in Idomeneo (Dresda con
Colin Davis), Vitellia nella Clemenza di Tito, Sifare
in Mitridate, re di Ponto (al Teatro Regio con Evelino
29
Pidò, a Parigi con Christophe Rousset). Restando al
Settecento fanno inoltre parte del suo repertorio lo
Stabat Mater e l’opera Il Flaminio di Pergolesi.
Tra i personaggi verdiani è stata più volte
Desdemona in Otello (Festival di Salisburgo e Teatro
Regio con Claudio Abbado, Metropolitan con James
Levine, Opéra di Parigi, Bruxelles con Pappano,
Vienna, Nizza e Firenze con Mehta), Amelia in
Simon Boccanegra (Opéra di Parigi e Teatro Regio,
New York e Boston con Levine), Alice in Falstaff
(Teatro Regio con Noseda, Teatro dell’Opera di
Roma con Gatti, Maggio Musicale Fiorentino con
Pappano, Covent Garden con Haitink, Opera di
Zurigo), Elisabetta in Don Carlo (debutto a Firenze
con Zubin Mehta, poi a New York e al Teatro Regio
con Noseda per i quarant’anni dalla rinascita), Luisa
in Luisa Miller (Covent Garden, Opera di Zurigo),
Leonora in Trovatore (Teatro alla Scala), Medora nel
Corsaro (Teatro Regio).
Del repertorio francese ha interpretato Carmen
(New York e Londra), Antonia in Les Contes d’Hoffmann e Marguerite nel Faust; ha inoltre debuttato
al Teatro Regio in una nuova produzione di Thaïs.
Quale interprete pucciniana è stata molte volte Mimì
in Bohème, applaudita fra le altre a Vienna, New
York, Zurigo e, nel 2010, a Tokyo e Yokohama in
occasione nella prima tournée in Oriente del Teatro
Regio; ha interpretato Suor Angelica nel Trittico
e Liù in Turandot all’Opéra Bastille con Georges
Prêtre, in una tournée con il Maggio Musicale
Fiorentino e Zubin Mehta e al Gran Teatre del
Liceu di Barcellona, dove è stata anche protagonista
di Adriana Lecouvreur.
Brillante e intensa anche la sua attività concertistica, ha collaborato con le orchestre più prestigiose e
con i maggiori direttori del mondo. Numerose le sue
interpretazioni del Requiem di Verdi, eseguito sotto
la direzione di Riccardo Muti, Claudio Abbado,
Riccardo Chailly, Zubin Mehta, Valerij Gergiev,
Antonio Pappano, Gianandrea Noseda insieme a
complessi come Berliner Philharmoniker, Wiener
Philharmoniker, Chicago Symphony Orchestra,
Orchestra Filarmonica della Scala, Boston Symphony Orchestra. Il suo repertorio comprende inoltre Ein Deutsches Requiem di Brahms, la Messa in do
minore k 427 di Mozart (London Symphony con
Colin Davis), il già citato Stabat Mater di Pergolesi
e quello di Rossini (Royal Concertgebouw con
Riccardo Chailly), la Quarta Sinfonia di Mahler
(Royal Concertgebouw con Bernard Haitink).
Tra gli impegni futuri ricordiamo La bohème,
Mefistofele e Pagliacci al Metropolitan di New York,
Suor Angelica al Liceu di Barcellona, Simon Boccanegra
e Così fan tutte alla Staatsoper di Vienna.
30
L’americana Marianne Cornetti è riconosciuta a livello internazionale come una dei più grandi
mezzosoprano verdiani del mondo. Ha interpretato
Amneris in Aida, Azucena nel Trovatore ed Eboli
nel Don Carlos nei teatri di Milano, Londra, New
York, Vienna, Monaco di Baviera, Roma, Berlino,
Bruxelles, Firenze, Verona, Barcellona, Napoli,
Palermo, Tokyo e in molti altri.
Nel 2005 ha cantato per la prima volta in un ruolo
wagneriano interpretando Ortrud nel Lohengrin al
Teatro Verdi di Trieste e ha poi continuato il suo
percorso in questo repertorio con il debutto come
Brangäne in Tristan und Isolde al Teatro dell’Opera
di Roma. Da allora è stata Ortrud ad Amsterdam,
Parigi e Palermo, e Brangäne a Genova. Il suo repertorio veristico include invece la principessa di
Bouillon in Adriana Lecouvreur (Barcellona, Roma,
Torino, Amsterdam), Santuzza in Cavalleria rusticana (Milano) e Rosa nell’Arlesiana di Cilea, opera che
ha cantato con grande successo a Montpellier e alla
Carnegie Hall di New York. Ha poi interpretato il
ruolo del titolo nella Gioconda all’Opera di Roma, a
Palermo e a Timişoara.
Appena terminata la tournée in Giappone con
il Teatro Regio (durante la quale ha cantato Ulrica
nel Ballo in maschera), i prossimi impegni prevedono
Lady Macbeth in Macbeth, Laura nella Gioconda con
la Deutsche Oper di Berlino e Azucena nel Trovatore
al Gran Teatro Nazionale Cinese di Pechino e al
Theatro Municipal di San Paolo in Brasile.
Marianne Cornetti ha iniziato la sua carriera
professionale, come Giulietta Simionato prima di
lei, portando in scena ruoli secondari in importanti teatri quali il Metropolitan, il Pittsburgh Opera
Center e la Wolf Trap Foundation di Vienna. Le sue
esibizioni nei panni di Azucena al Teatro alla Scala,
all’Arena di Verona e all’Opera di Roma le hanno
portato un riconoscimento internazionale.
Il suo repertorio sul fronte lirico-sinfonico contempla la Messa da requiem di Verdi, la Nona Sinfonia
di Beethoven, lo Stabat Mater di Rossini, Sea Pictures
di Elgar e El amor brujo di de Falla.
Ha registrato L’Arlesiana di Cilea ed Edgar di
Puccini insieme a Plácido Domingo.
Acclamato in tutti i teatri del mondo, Marcelo
Álvarez è riconosciuto a livello internazionale come
uno dei più importanti tenori della scena contemporanea. Dopo aver debuttato al Teatro La Fenice nella
Sonnambula nel 1995, Álvarez ha consolidato la sua
fama in ruoli quali Werther (Genova, Bruxelles),
Romeo (Vienna, Monaco), Faust (Monaco, Napoli),
Edgardo in Lucia (Tolosa, Trieste, Cagliari, Napoli,
Parigi, New York, Monaco, Londra, Chicago),
Alfredo nella Traviata (Amburgo, Genova, Venezia,
Londra, Vienna, Parigi, New York, Berlino, Firenze),
il Duca in Rigoletto (Trieste, Tolosa, Verona, Buenos
Aires, Barcellona, Milano) e Rodolfo nella Bohème.
A partire dal 1997 si sono succeduti molti significativi debutti: Arturo nei Puritani al Teatro
Comunale di Bologna, Linda di Chamounix al
Teatro alla Scala e con l’Orchestra of the Age of
Enlightenment a Londra, Falstaff alla Staatsoper di
Berlino in una nuova produzione diretta da Claudio
Abbado. Nel 2000 ha debuttato al Covent Garden
nel suo primo Hoffmann e alla Bayerische Staatsoper
di Monaco con una nuova produzione di Faust. Nel
2005 Álvarez ha cantato il suo primo Gustavo in Un
ballo in maschera al Covent Garden, teatro che l’ha
visto esordire l’anno seguente come Cavaradossi in
Tosca; sempre nel 2006 ha debuttato come Manrico
nel Trovatore al Teatro Regio di Parma e nel 2007
con Don José nella Carmen a Tolosa.
Al Teatro Regio, dove ha cantato per la prima
volta nel 2006 nella Bohème “olimpica”, ha debuttato nel ruolo di Maurizio in Adriana Lecouvreur
nel 2009, prima di esordire nel ruolo del titolo in
Andrea Chénier a Parigi, seguito dal suo primo
Radamès nell’Aida, ancora al Covent Garden e poi
al Metropolitan di New York. Ancora a Parigi ha
debuttato nel 2011 come Don Alvaro nella Forza
del destino. Da allora ha ricevuto i maggiori elogi
per le sue interpretazioni del repertorio verdiano,
cui si affiancano i successi come tenore pucciniano: è stato Cavaradossi alla Scala, al Metropolitan,
alla Deutsche Oper di Berlino, a Torino e a Parma,
oltre che nella recentissima tournée del Regio in
Giappone. Il suo Don José è stato applaudito a
Londra, Firenze, Valencia, Roma, Tokyo e Zurigo. È
ospite fisso all’Arena di Verona, dove ha interpretato
praticamente tutto il suo repertorio.
Nel corso della stagione 2012-2013 è ritornato
al Metropolitan come protagonista di una nuova
produzione di Un ballo in maschera, titolo affrontato
anche alla Scala di Milano. Dopo aver interpretato
Chénier a Torino, ha aggiunto un altro nuovo ruolo
nel suo repertorio: Enzo Grimaldo in una nuova
produzione della Gioconda di Ponchielli all’Opéra
di Parigi. Gli impegni della stagione 2013-2014 lo
vedranno, per citarne alcuni, tornare alla Scala come
Manrico, al Metropolitan come Chénier e all’Opéra
di Parigi come Radamès.
Nato a Córdoba in Argentina, Álvarez ha iniziato
lo studio della musica classica intorno ai vent’anni,
quando era già un affermato uomo d’affari. Una
volta presa la decisione di intraprendere la carriera
operistica, vendette la sua azienda, lasciò l’Argentina
e arrivò in Italia nel 1995. Nel giro di un mese dal
suo arrivo, il suo calendario era già pieno di offerte
in tutta Europa, e non solo, per i due anni successivi:
nell’arco di poco tempo la sua fama si era già accresciuta a livello internazionale.
Nato a San Secondo Parmense, diplomatosi presso il Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, Luca
Salsi ha debuttato giovanissimo presso il Teatro
Comunale di Bologna nella Scala di seta di Rossini
(1997). La rapida e intensa carriera l’ha condotto in
breve tempo su alcuni dei maggiori palcoscenici del
mondo, fra i quali Metropolitan, Teatro alla Scala,
Washington Opera, Los Angeles Opera, New Israeli
Opera, Staatsoper di Berlino, Liceu di Barcellona,
Maggio Musicale Fiorentino, Opera di Roma, Regio
di Parma, San Carlo di Napoli, Filarmonico di
Verona, Massimo di Palermo e Festival Puccini di
Torre del Lago.
Ha collaborato con importanti direttori d’orchestra, fra i quali James Conlon, Daniele Gatti,
Plácido Domingo, Gustavo Dudamel, Nicola
Luisotti, Riccardo Muti, Renato Palumbo, Donato
Renzetti e Alberto Zedda, nonché con prestigiosi registi quali Daniele Abbado, Robert Carsen,
Hugo de Ana, Antony Minghella, Giuseppe
Patroni Griffi, Lamberto Puggelli, Maurizio
Scaparro e Franco Zeffirelli.
Il suo repertorio include ruoli come Sharpless
in Madama Butterfly (New York, Washington,
Berlino, Seul e Torre del Lago), Marcello nella
Bohème (Washington, Los Angeles, Milano,
Palermo, Napoli e Torre del Lago), Ford in
Falstaff (Bari e Cagliari), Figaro nel Barbiere di
Siviglia (Bologna, Genova, Tenerife e Cagliari),
Belcore nell’Elisir d’amore (Bilbao), Valentin in
Faust (Parma), il ruolo del titolo in Gianni Schicchi
(Napoli), Rigoletto (Trieste) e Macbeth (Jesi,
Firenze), Conte di Luna nel Trovatore (Bologna),
Germont nella Traviata (Ancona, Macerata), Ezio
in Attila (Verona), Don Carlo nella Forza del destino (Barcellona, Buenos Aires) e Frank in Edgar
(Torre del Lago).
Fra i suoi recenti successi, il ruolo del titolo in
Macbeth a Chicago con la direzione di Riccardo
Muti. In seguito è tornato alla Washington Opera
con La forza del destino nella parte di Don Carlo e al
Teatro dell’Opera di Roma con Ernani (Don Carlo),
sempre con la direzione di Riccardo Muti.
Dopo il debutto al Teatro Regio in questa occasione, i prossimi impegni lo vedranno in Rigoletto al
Teatro dell’Opera di Roma, in Adriana Lecouvreur
(Michonnet) a Bilbao, in Luisa Miller (Miller)
all’Opéra di Losanna, nel Ballo in maschera (Renato)
a Karlsruhe, nel Nabucco (ruolo del titolo) in tour in
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Giappone con il Teatro dell’Opera di Roma, nella
Bohème (Marcello) al Metropolitan, nella Forza
del destino al Festival di Salisburgo, infine come
Nabucco e Macbeth al Liceu di Barcellona.
Claudio Fenoglio, nato nel 1976, si è diplomato con il massimo dei voti e la lode in Pianoforte
e in Musica corale e direzione di coro; si è inoltre laureato in Composizione. Ha studiato principalmente con Laura Richaud, Franco Scala,
Giorgio Colombo Taccani e Gilberto Bosco, frequentando numerosi corsi di perfezionamento.
Parallelamente agli studi accademici ha iniziato l’attività in ambito operistico come Maestro sostituto
per poi specializzarsi nella direzione di coro. È stato
Aiuto Maestro del coro presso il Teatro Massimo di
Palermo affiancando per due anni Franco Monego.
Nel 2002 è stato chiamato al Teatro Regio come
Assistente del Maestro del coro Claudio Marino
Moretti e successivamente di Roberto Gabbiani. A
partire dal 2007 ha cominciato l’attività come Altro
Direttore del coro, alternandosi al Direttore principale in alcune produzioni della Stagione del Regio
e collaborando con il Coro Filarmonico dello stesso
Teatro.
Nel novembre 2010 è stato nominato Direttore
del Coro del Teatro Regio, incarico che mantiene
tuttora accanto a quello di Maestro del Coro di voci
bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G.
Verdi” di Torino.
L’Orchestra del Teatro Regio è l’erede del complesso fondato alla fine dell’Ottocento da Arturo
Toscanini, sotto la cui direzione vennero eseguiti
numerosissimi concerti e molte storiche produzioni operistiche, quali la prima italiana del Crepuscolo
degli dèi di Wagner e le prime assolute di Manon
Lescaut e Bohème di Puccini.
Nel corso della sua lunga storia ha dimostrato
una spiccata duttilità nell’affrontare il grande repertorio così come molti titoli del Novecento, anche
in prima assoluta, come Gargantua di Corghi e
Leggenda di Solbiati. L’Orchestra si è esibita con i
solisti più celebri e alla guida del complesso si sono
alternati direttori di fama internazionale come
Roberto Abbado, Ahronovič, Bartoletti, Bychkov,
Campanella, Gelmetti, Gergiev, Oren, Pidò, Sado,
Steinberg, Tate e infine Gianandrea Noseda, che
dal 2007 ricopre il ruolo di Direttore musicale del
Teatro Regio. Ha inoltre accompagnato grandi compagnie di balletto come quelle del Bol’šoj di Mosca e
del Mariinskij di San Pietroburgo.
Numerosi gli inviti in festival e teatri stranieri;
negli ultimi cinque anni, in particolare, è stata ospite
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con il maestro Noseda in Germania (Wiesbaden,
Dresda), Spagna (Madrid, Oviedo, Saragozza e
altre città), Austria (Wiener Konzerthaus), Francia
(due volte al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi).
Nell’estate del 2010 ha tenuto una trionfale tournée
in Giappone e in Cina con Traviata e Bohème, un
successo ampiamente bissato nel 2013 con il recentissimo “Regio Japan Tour”: nove date a Tokyo con
Tosca, Messa da requiem, Un ballo in maschera e un
Gala Rossini.
L’Orchestra e il Coro del Teatro figurano oggi
nei video di alcune delle più interessanti produzioni
delle ultime stagioni: Medea, Edgar, Thaïs, Adriana
Lecouvreur, Boris Godunov, Un ballo in maschera e I
Vespri siciliani. Tra le incisioni discografiche più recenti, tutte dirette da Gianandrea Noseda, figurano,
per Deutsche Grammophon, due cd dedicati a Verdi
con Rolando Villazón e Anna Netrebko e uno mozartiano con Ildebrando D’Arcangelo; per Chandos,
Quattro pezzi sacri di Verdi e un disco dedicato a
Petrassi.
Fondato alla fine dell’Ottocento e ricostituito nel
1945 dopo il secondo conflitto mondiale, il Coro
del Teatro Regio è uno dei maggiori cori teatrali
europei. Sotto la guida di Bruno Casoni (19942002) ha raggiunto un alto livello internazionale,
dimostrato anche dall’esecuzione dell’Otello di
Verdi sotto la guida di Claudio Abbado e dalla
stima di Semyon Bychkov che, dopo averlo diretto
al Regio nel 2002 per la Messa in si minore di Bach,
lo ha invitato a Colonia per l’incisione della Messa
da requiem di Verdi ed è tornato a coinvolgerlo nel
2012 in un concerto brahmsiano con l’Orchestra
Sinfonica Nazionale della Rai.
Il Coro è stato diretto successivamente da
Roberto Gabbiani, che ne ha incrementato ulteriormente lo sviluppo artistico, mentre nel novembre 2010 l’incarico è stato assegnato a Claudio
Fenoglio.
Oltre alla Stagione d’Opera, il Coro svolge inoltre una significativa attività concertistica e figura
in diverse registrazioni discografiche, ultime delle
quali Boris Godunov di Musorgskij, Un ballo in maschera, Vespri siciliani e Quattro pezzi sacri di Verdi,
Magnificat e Salmo IX di Petrassi con l’Orchestra
del Regio diretta da Gianandrea Noseda.
Il Coro ha preso parte alle numerose tournée del
Teatro Regio in tutta Europa (ultima delle quali
l’ospitalità al festival di Verbier nell’agosto del
2013 per il Requiem verdiano) e nelle due trasferte
in Oriente: in Cina e Giappone nel 2010 e a Tokyo
nel 2013, con diverse produzioni operistiche e concerti lirico-sinfonici.
Teatro Regio
Walter Vergnano, Sovrintendente
Gianandrea Noseda, Direttore musicale
Orchestra
Violini primi Sergey Galaktionov•, Stefano Vagnarelli•,
Marina Bertolo, Monica Tasinato, Claudia Zanzotto,
Elio Lercara, Carmen Lupoli, Enrico Luxardo,
Miriam Maltagliati, Alessio Murgia, Paola Pradotto,
Laura Quaglia, Daniele Soncin, Giuseppe Tripodi,
Francesca Viscito, Roberto Zoppi
Violini secondi Marco Polidori•, Cecilia Bacci•,
Tomoka Osakabe, Bartolomeo Angelillo, Silvana Balocco,
Paola Bettella, Maurizio Dore, Silvio Gasparella,
Ekaterina Gouliagina, Fation Hoxolli, Marcello Iaconetti,
Roberto Lirelli, Anselma Martellono, Ivana Nicoletta
Viole Armando Barilli•, Enrico Carraro•*,
Alessandro Cipolletta, Gustavo Fioravanti, Tamara Bairo,
Rita Bracci, Maria Elena Eusebietti, Alma Mandolesi,
Franco Mori, Roberto Musso, Alessandro Sacco,
Claudio Vignetta, Giuseppe Zoppi
Violoncelli Relja Lukic•, Davide Eusebietti,
Giulio Arpinati, Augusto Gasbarri, Alfredo Giarbella,
Armando Matacena, Luisa Miroglio, Marco Mosca,
Paola Perardi, Nasim Saad
Contrabbassi Davide Botto•, Davide Ghio•,
Atos Canestrelli, Alessandro Belli, Fulvio Caccialupi,
Vito Galante, Michele Lipani, Stefano Schiavolin
Ottavino Roberto Baiocco
Flauti Federico Giarbella•, Maria Siracusa
Oboi Andrea De Francesco•, Stefano Simondi
Corno inglese Alessandro Cammilli
Clarinetti Alessandro Dorella•, Luciano Meola
Clarinetto basso Edmondo Tedesco
Fagotti Andrea Azzi•, Orazio Lodin
Controfagotto Sergio Pochettino
Corni Natalino Ricciardo•, Evandro Merisio,
Pierluigi Filagna, Eros Tondella
Trombe Sandro Angotti•, Paolo Paravagna
Trombe egizie Ivano Buat•, Lorenzo Bonaudo,
Enrico Negro, Gianluigi Petrarulo, Marco Rigoletti,
Luca Saglietti
Tromboni Gianluca Scipioni•, Enrico Avico, Marco Tempesta
Tuba Rudy Colusso
Timpani Ranieri Paluselli•
Percussioni Lavinio Carminati, Massimiliano Francese,
Sergio Meola, Fiorenzo Sordini
Arpa Elena Corni•
Organo Giannandrea Agnoletto
Coro
Soprani Sabrina Amè, Chiara Bongiovanni,
Anna Maria Borri, Caterina Borruso, Sabrina Boscarato,
Eugenia Braynova, Serafina Cannillo, Cristina Cogno,
Cristiana Cordero, Eugenia Degregori,
Alessandra Di Paolo, Manuela Giacomini,
Federica Giansanti, Rita La Vecchia, Laura Lanfranchi,
Paola Isabella Lopopolo, Maria de Lourdes Martins,
Silvia Spruzzola, Pierina Trivero, Giovanna Zerilli
Mezzosoprani/Contralti Cristiana Arri, Angelica Buzzolan,
Shiow-hwa Chang, Ivana Cravero, Corallina Demaria,
Maria Di Mauro, Roberta Garelli, Rossana Gariboldi,
Elena Induni, Antonella Martin, Raffaella Riello,
Myriam Rossignol, Marina Sandberg, Teresa Uda,
Daniela Valdenassi, Tiziana Valvo, Barbara Vivian
Tenori Pierangelo Aimé, Janos Buhalla, Marino Capettini,
Gian Luigi Cara, Antonio Coretti, Diego Cossu,
Luis Odilon Dos Santos, Alejandro Escobar,
Giancarlo Fabbri, Sabino Gaita, Mauro Ginestrone,
Roberto Guenno, Leopoldo Lo Sciuto, Vito Martino,
Matteo Mugavero, Matteo Pavlica, Dario Prola,
Francesco Santoli, Gualberto Silvestri, Sandro Tonino,
Franco Traverso, Valerio Varetto
Baritoni/Bassi Leonardo Baldi, Mauro Barra,
Lorenzo Battagion, Enrico Bava, Giuseppe Capoferri,
Massimo Di Stefano, Umberto Ginanni, Desaret Lika,
Luca Ludovici, Riccardo Mattiotto, Davide Motta Fré,
Gheorghe Valentin Nistor, Mirko Quarello, Franco Rizzo,
Enrico Speroni, Marco Sportelli, Marco Tognozzi,
Vincenzo Vigo
• Prime parti
Si ringrazia la Fondazione Pro Canale di Milano per aver messo i propri strumenti a disposizione dei professori Sergey
Galaktionov (violino Giovanni Battista Guadagnini, Torino 1772), Stefano Vagnarelli (violino Francesco Ruggeri, Cremona
1686), Cecilia Bacci (violino Santo Serafino, Venezia 1725), Enrico Carraro (viola Giovanni Paolo Maggini, Brescia 1600 ca.)
e Marina Bertolo (violino Carlo Ferdinando Landolfi, Milano 1751).
Si ringrazia la Fondazione Zegna per il contributo dato al vincitore del Concorso per Prima viola*.
In copertina: Verdi 200. Tribute to Andy di Francesco Panico / Mood Design per Teatro Regio
© Fondazione Teatro Regio di Torino
Prezzo: € 2
3
Per condividere
una passione
Diventiamo Amici
Nel 2012 è rinata l’Associazione Amici del Regio con nuove finalità: costituire un gruppo di persone che amano l’arte, la cultura e la musica e che
vogliono dedicare la propria passione al sostegno del Teatro Regio. Sul modello di analoghe Associazioni createsi intorno ai più importanti teatri nel
mondo, gli Amici del Regio intendono raccogliere fondi per contribuire a
iniziative specifiche, dando così nuovi impulsi all’attività del Teatro.
Una realtà, quella del Regio, che emerge nel panorama internazionale
per l’altissimo prestigio artistico, come dimostrano i riconoscimenti raccolti nelle tournée che lo hanno visto protagonista in Europa, in Cina e in
Giappone; le importanti produzioni immortalate in cd e dvd di successo; le
numerose coproduzioni con i più celebri teatri italiani ed europei. Oltre al
prestigio artistico, il Teatro Regio si distingue per un’attentissima gestione
delle risorse. Grazie al lavoro di tutti, è stato infatti possibile mantenere
alta l’offerta culturale e assicurare un equilibrio economico-finanziario anche in presenza dei consistenti tagli ai finanziamenti avvenuti negli ultimi
anni.
I Soci, oltre a entrare a far parte attivamente della vita del Teatro, usufruiscono di una serie di benefit tra i quali: guardaroba riservato, possibilità
di assistere alle prove generali, cd e dvd in omaggio con le produzioni più
recenti del Teatro e molto altro ancora.
Per informazioni e adesioni:
[email protected]
Tel. 011.8815.223 - www.teatroregio.torino.it/amici
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