S t a g i o n e 2 0 1 3 - 2 0 1 4 Gala Verdi Gala Verdi Gianandrea Noseda direttore Barbara Frittoli soprano Leonora, dama di compagnia della principessa d’Aragona Aida, schiava etiope Marianne Cornetti mezzosoprano Lady Macbeth, moglie di Macbeth Azucena, zingara della Biscaglia Amneris, figlia del re Marcelo Álvarez tenore Manrico, ufficiale del principe Urgel e presunto figlio di Azucena Radamès, capitano delle guardie Luca Salsi baritono Macbeth, generale dell’esercito del re Duncano Conte di Luna, giovane gentiluomo aragonese Amonasro, re d’Etiopia e padre d’Aida Dario Prola tenore Alejandro Escobar tenore Daniela Valdenassi mezzosoprano Giuseppe Capoferri basso Davide Motta Fré basso Maria de Lourdes Martins soprano Marco Sportelli baritono Enrico Bava basso Macduff, nobile scozzese, signore di Fiff Ruiz, soldato al seguito di Manrico Malcolm, figlio di Duncano Dama di Lady Macbeth Un servo di Lady Macbeth Ferrando, capitano degli armati del Conte di Luna Ines, confidente di Leonora Un vecchio zingaro Ramfis, gran sacerdote Claudio Fenoglio maestro del coro Orchestra e Coro del Teatro Regio Teatro Regio Dicembre 2013: Mercoledì 18 ore 19, Domenica 22 ore 18 Gli Amici del Regio, a un anno dalla fondazione, sono orgogliosi di offrire il Gala Verdi, permettendo così di destinare l’incasso a favore delle iniziative che il Teatro rivolge ai giovani. Durante gli intervalli cena di gala con prodotti delle terre verdiane a cura di Restate in contatto con il Teatro Regio: Macbeth Preludio Introduzione [Coro] «Che faceste? Dite su!» Scena e Cavatina di Lady Macbeth «Nel dì della vittoria io le incontrai» - «Vieni! T’affretta!» Gran Scena e Duetto di Macbeth e Lady Macbeth «Sappia la sposa mia» - «Fatal mia donna!» Balli Coro di profughi scozzesi «Patria oppressa!» Scena e Aria di Macbeth «Perfidi! All’Anglo contra me v’unite!» - «Pietà, rispetto, amore» Scena e Battaglia - Inno di vittoria - Finale «Via le fronde, e mano all’armi!» - «Vittoria! Vittoria!» Primo intervallo Selezione di salumi: culatello di Zibello, strolghino di culatello, spalla cotta Parmigiano Reggiano Selezione di pani di farine biologiche del forno a legna di Eataly Crostini Rigoletto Verzolini in insalata Zuppa alla Santé Gavi di Gavi Cantina Fontanafredda Lambrusco Terre Verdiane Cantina Ceci Barolo Borgogno Acque minerali Lurisia La cena è firmata da Ugo Alciati Il trovatore Coro «Or co’ dadi» - «Squilli, echeggi la tromba guerriera» Scena e Cavatina di Leonora «Che più t’arresti?» - «Tacea la notte placida» Coro di zingari e Canzone di Azucena «Vedi! Le fosche notturne spoglie» - «Stride la vampa!» Scena e Aria del Conte di Luna «Tutto è deserto» - «Il balen del suo sorriso» Scena e Aria di Manrico «Quale d’armi fragor poc’anzi intesi?» - «Ah sì, ben mio» Racconto di Azucena «Condotta ell’era in ceppi» Scena ultima «Che!... Non m’inganna quel fioco lume?...» Secondo intervallo Zabaione Budino di castagne Asti spumante millesimato Cantina Fontanafredda Caffè Lavazza I dolci sono firmati da Luca Montersino Aida Preludio Romanza di Radamès «Se quel guerrier io fossi!» Scena e Romanza di Aida «Ritorna vincitor!» - «I sacri nomi di padre... d’amante» Introduzione - Scena, Coro di donne e Danza degli schiavi mori «Chi mai fra gli inni e i plausi» Coro dal Gran Finale II «Gloria all’Egitto» Scena e Duetto di Aida e Amonasro «Ciel! Mio padre!» - «Rivedrai le foreste imbalsamate» Duetto di Radamès e Aida - Scena - Finale III «Pur ti riveggo, mia dolce Aida...» 2 Verdi oltre i 200 Non è facile dire cosa resterà del bicentenario verdiano in questo 2013 affollato di anniversari all’opera (Wagner, certo, ma anche Britten): è presto per un bilancio e non c’era certo bisogno delle celebrazioni per scoprire Giuseppe Verdi (1813-1901). Per riscoprirlo, forse sì. E allora questo bicentenario ci porta una buona notizia e una cattiva. La buona notizia è che, lentamente, fra mille contraddizioni, forse paradossalmente più all’estero che in Italia, avanza la percezione di Verdi come grande uomo di teatro. Ormai nessuno, nemmeno la critica più paleolitica, sottovaluta il Verdi musicista e se qualcuno ancora facesse delle ironie sui suoi già famigerati “zum-pa-pa” si esporrebbe al pubblico ludibrio. Ma dire che Verdi è un grande musicista è come dire che Shakespeare è un grande poeta: è vero, ma non basta. Verdi è anche un grande musicista, ma è soprattutto un grande drammaturgo, uno dei più grandi che la nostra storia (la storia di quello che chiamiamo l’Occidente, non solo l’Italia) abbia conosciuto. Questa è una consapevolezza che Verdi aveva chiarissima ma che il suo pubblico aveva un po’ perso. E qui bisogna dare atto, anche se magari non piace, se si scontra con abitudini così consolidate da diventare pigrizie o paure del nuovo, che un ruolo decisivo l’hanno svolto i famigerati registi. Certo, la molteplicità delle scuole, delle tendenze e dei gusti rende difficile orientarsi, dire con sicurezza dove vada il teatro verdiano. Ma una certezza c’è: indietro non si torna. Non si potrà più tornare alla messinscena d’opera come mera illustrazione. C’è qualcosa di più importante del rispetto della didascalia ed è il rispetto della drammaturgia, una fedeltà non formale ma sostanziale, che alle volte (anzi spesso, meglio: quasi sempre) obbliga ad andare contro la lettera del libretto per ritrovare l’essenza di quel che c’è dietro. Questa è la buona notizia, che riguarda chi ama Verdi, dunque il mondo intero. La cattiva riguarda invece l’Italia. Qui il bicentenario è stato forse un’occasione mancata per fare il punto su Verdi come coscienza critica dell’identità nazionale, come insuperato indagatore di tipi, modi, figure, figuri italiani. Si è molto insistito, forse perché il bicentenario è arrivato a ridosso del 150° anniversario dell’Unità, sul Verdi “politico”, risorgimentale, sull’uomo che ha fatto l’Italia almeno quanto Cavour o Garibaldi. Ma, a parte le contraddizioni del percorso politico di Verdi, che sono poi quelle di tutta l’emergente borghesia settentrionale (dal repubblicanesimo degli anni Quaranta all’apprezzamento per Bava Beccaris, il generale che fece sparare cannonate sul popolo ai moti milanesi del 1898), è mancata l’indagine su uno dei nostri rari intellettuali ad aver raccontato gli italiani per quello che sono, non per quello che credono di essere o dovrebbero essere o vorrebbero essere. Anche se mascherati, in omaggio alle convenzioni, da antichi ebrei o da spagnoli del Cinquecento. Verdi non è la colonna sonora dell’Italia del Risorgimento, è la colonna sonora dell’Italia, di ieri, di oggi e – si suppone, anzi si spera – anche di domani. In questo senso, e solo in questo senso, rimane viva la frase di D’Annunzio: sì, veramente Giuseppe Verdi «pianse e amò per tutti». 3 Macbeth Macbeth è l’opera più importante degli «anni di galera» (parole sue) di Verdi, circostanza di cui egli era assolutamente consapevole, come dimostra anche il fatto che la scelse per dedicarla all’«amatissimo suocero» Antonio Barezzi, cioè il suo vero padre. È anche il primo incontro con Shakespeare, «il gran maestro del cuore umano», e oggi si fatica a capire quanto quella del Bardo fosse una scelta audace. Nonostante la sbornia romantica, in Italia il teatro shakespeariano era ancora considerato con diffidenza, e solo cinque anni prima un Otello recitato da Gustavo Modena a Milano era caduto fra lazzi e schiamazzi. Del resto, quando Verdi presenta Macbeth, la tragedia, benché più volte tradotta, non era mai stata rappresentata in Italia. E al libretto dell’opera pubblicato da Ricordi fu premesso un Avvertimento non firmato, ma probabilmente scritto da Andrea Maffei, nel quale si prega il pubblico di cogliere «l’intelligenza della ragion poetica», quindi di non ridere di fronte al (voluto) grottesco della vicenda. L’epistolario su Macbeth è anche prezioso perché ci mostra Verdi nei panni di direttore artistico. Sempre estremamente puntiglioso sull’esecuzione delle sue opere, mai come nel Macbeth Verdi moltiplica cure ed esigenze, alla ricerca di un teatro “totale”, che dovrebbe far riflettere chi pensa ancora come secondario l’aspetto scenico delle sue opere o rimane ancorato al totem della sedicente “voce verdiana” come soluzione a ogni problema esecutivo o, peggio, interpretativo. Verdi non la pensava affatto così. Basta leggere la sua lettera del 19 agosto 1846 ad Alessandro Lanari, impresario della Pergola. Per la parte del protagonista, sono in ballottaggio due baritoni, Felice Varesi e Gaetano Ferri. E Verdi risolve così la questione (punteggiatura e maiuscole sono le sue): «Varesi è il solo artista attuale in Italia che possa fare la parte che medito, e per il suo genere di Canto, e per il suo sentire, ed anche per la stessa sua figura. Tutti gli altri artisti, e anche i migliori di lui, non potrebbero farmi quella parte come io vorrei, senza nulla togliere al merito di Ferri che ha più bella figura, più bella voce, e se vuoi anche migliore cantante, non mi potrebbe certamente fare in quella parte l’effetto che mi farebbe Varesi». Allo stesso Varesi viene spiegato (lettera del 4 febbraio 1847) come deve morire in scena: «Dalla morte potrai trarre molto partito se unita, al canto, farai l’azione ragionata. Tu capirai benissimo che Macbet [sic] non deve morire come Edgardo, Gennaro et… [i tenori spiranti in Lucia di Lammermoor e Lucrezia Borgia di Donizetti, ndr] quindi bisogna trattarla in modo nuovo – Sia patetica, ma più che patetica, terribile. Tutta sotto voce, ad eccezione dei due ultimi versi ché anzi qui l’accompagnerai anche coll’azione prorompendo con tutta forza sulle parole… Vil… corona… e sol per te!... Tu sei (già s’intende) per terra, ma in quest’ultimo verso ti solleverai quasi ritto nella persona e fare tutto l’effetto possibile». Verdi regista? Certamente sì. Perché il canto, anzi la musica, per lui non sono un fine: sono un mezzo. Che serve a raggiungere il suo vero scopo: il teatro. 4 Il trovatore Perché Verdi scrive Il trovatore? Il soggetto di El trovador di Antonio García Gutiérrez gli piace tanto («immaginoso e con situazioni potenti») che lo sceglie, caso unico fino a quel momento, prima ancora di avere un contratto con un teatro e con un editore. Ma Il trovatore è incastonato al centro della cosiddetta “trilogia popolare”, fra Rigoletto e La traviata. E sono evidenti le differenze rispetto all’opera che lo precede e a quella che lo segue. Rigoletto e Traviata sono soggetti scandalosi, al limite dell’osceno (specie il primo), di forte critica sociale, dunque fortemente politici (specie la seconda), opere di rottura, dirompenti, rivoluzionarie. Circostanza che si riflette anche nelle loro strutture musicali, dove le forme chiuse dell’opera italiana, rimaste più o meno immutate dalla loro cristallizzazione rossiniana (Semiramide è del 1823), esplodono, letteralmente, sotto l’urgenza drammatica e si affaccia la “scena” come futura unità di misura del teatro musicale verdiano. Il trovatore sembra tutto diverso. C’è il solito indistinto sfondo medievale, dove spariscono le motivazioni politiche dei contendenti (Manrico rivoluzionario, il Conte di Luna difensore dell’ordine costituito) e il solito triangolo lui-lei-l’altro. I protagonisti si esprimono nelle forme consacrate, tutti con il loro bravo recitativo–cantabile–tempo di mezzo–cabaletta col daccapo, il finale dell’atto centrale (il secondo, nel caso) prevede il consueto concertato “di stupore”, eccetera. Fa eccezione alla regola, sia in termini drammaturgici che musicali, Azucena, e non a caso la critica le si è attaccata come alla ciambella di salvataggio per inserire quest’opera nel trio dei capolavori “centrali” di Verdi insieme alle sue illustri consorelle. E tuttavia questo non spiega tutto. La “modernità” del Trovatore è soprattutto drammaturgica. In un libretto così simmetrico (quattro atti, anzi «parti», ognuna in due quadri), ogni atto tranne ovviamente l’ultimo si chiude su una sospensione: il primo con il duello fra Manrico e il Conte, il secondo con il ratto di Leonora, il terzo con la partenza di Manrico verso la pira. Come dire: “il seguito alla prossima puntata”… Ma questa è esattamente la struttura del romanzone d’appendice ottocentesco, è Dumas portato all’opera, è la trasposizione teatrale del feuilleton. E spiega da un lato il ritmo incalzante di quest’opera apparentemente macchinosa (anche se lo sappiamo benissimo, a ogni calata di sipario vorremmo che si riaprisse subito, per sapere come va a finire) e il successo che ebbe per tutto l’Ottovcento, quando fu di gran lunga il titolo verdiano più popolare. Et pour cause: raccontava una storia con gli stessi meccanismi narrativi della letteratura coeva. Quanto al terzo atto, qui Verdi fa un esperimento incredibile: quello di due azioni che si svolgono in contemporanea. Nel primo quadro, Azucena arrestata e condannata al rogo; nel secondo, Manrico nella sua fortezza che vede, laggiù nella pianura, quello che noi spettatori abbiamo appena visto nella scena precedente. Per risolvere il problema di raccontare due storie in contemporanea ci sarebbe voluto il cinema. Ma averlo anticipato in maniera così clamorosa non è l’ultimo dei meriti di Giuseppe Verdi. 5 Aida Forse per reazione agli allestimenti elefantiaci in arene, stadi, circhi e così via, è bon ton critico precisare che in realtà Aida è opera intimista e incentrata su passioni e affetti privati. È certamente vero, però la componente spettacolare quando non pompier (felicemente pompier, peraltro) c’è, e il fatto che possa non piacere non è una buona ragione per ignorarla. Del resto, è vero che Aida ebbe una genesi celebrativa, anche se non, come spesso capita di sentire e, ahimè, anche di leggere, per l’apertura del Canale di Suez. Per quell’occasione, che fu anche uno dei più clamorosi eventi mondani dell’epoca, il khedivè d’Egitto, Ismail Pascià, chiese a Verdi un inno, e il nostro rispedì la proposta al mittente: «il n’est pas dans mes habitudes de composer des morceaux de circostance» (a Paul Draneht Bey, direttore dei teatri khedivali, da Genova, 9 agosto 1869). Aida fu scritta, in realtà, per l’inaugurazione del Teatro dell’Opera del Cairo. Oltre a essere un’opera imperiale, è forse anche un’opera imperialista, anzi, diciamolo apertamente, colonialista? È la tesi sostenuta da molti, per esempio da Edward W. Said nel suo Cultura e imperialismo. L’Oriente, si sa, era di moda all’opera in generale e all’Opéra in particolare, dove pochi anni prima di Aida la première postuma dell’Africaine di Meyerbeer aveva ribadito con enorme successo le regole del genere. Il grand opéra esotico elaborato a Parigi, questa «capitale del XIX secolo», come la chiamava Walter Benjamin, era un modello imprescindibile, sicuramente “pompato” dalla corsa agli imperi coloniali. Senza infingimenti o pudori politically correct: «O nuovo mondo / alla mia patria ti posso offrir! / Nostro è questo terreno fecondo / che l’Europa può tutta arricchir», canta Vasco da Gama nella traduzione italiana dell’aria più celebre dell’Africana. Da notare poi che, come insegnava il sommo anglista, «ideale esotico e ideale erotico vanno di pari passo», quindi i vaneggiamenti di Radamès sulla bellezza della schiava Aida sono i primi di una lunga serie in cui la conquista coloniale diventa conquista sessuale: dalla «Celeste Aida» alla «Faccetta nera» c’è magari una netta regressione estetica, ma la discendenza è certamente diretta. E tuttavia ridurre Aida a questo sarebbe banale e forse ingiusto. Intanto perché la simpatia (in senso etimologico) di Verdi va agli Etiopi oppressi e non agli Egiziani oppressori. E poi perché in campo egizio si aggiunge il problema dell’abituale anticlericalismo verdiano, che evidentemente nemmeno la recentissima conquista di Roma aveva placato. I preti, nelle sue opere, fanno quasi sempre brutta figura, ma raramente così brutta come Ramfis e soci nell’Aida (peraltro l’anticlericalismo operistico italiano non finisce qui: pensate a Bohème o a Tosca). E, passando dal pubblico al privato, non si può fare a meno di pensare che il dramma di Radamès innamorato della schiava nera sia quello di tanti ragazzi di brava famiglia, vittime del colpo di fulmine per la colf immigrata invece che per un mezzosoprano socialmente compatibile. E forse non solo nell’Italia di ieri. Alberto Mattioli Alberto Mattioli è dal 2011 il corrispondente da Parigi del quotidiano «La Stampa», per il quale è stato anche redattore della Cultura e caposervizio agli Spettacoli. In precedenza, ha lavorato al «Resto del Carlino» e al «Giorno». Esperto d’opera, ha collaborato o collabora con «Classic Voice», «Vanity Fair», «Musica», «Arte & Dossier», «L’Opera» e ha tenuto conferenze o scritto programmi di sala per la maggior parte dei teatri italiani. È autore di una biografia di Pavarotti, Big Luciano (Mondadori 2007) e per gli stessi tipi ha pubblicato nel 2012 una raccolta di riflessioni sul mondo dell’opera, Anche stasera. Come l’opera ti cambia la vita. 6 Macbeth Melodramma in quattro atti Libretto di Francesco Maria Piave e Andrea Maffei Prima rappresentazione assoluta: Firenze, Teatro della Pergola, 14 marzo 1847 Seconda versione: Parigi, Théâtre-Lyrique Imperial, 21 aprile 1865 (La scena è in Iscozia, e massimamente al castello di Macbeth.) Dall’Atto I Introduzione [Coro] (Bosco. Tre crocchi di streghe appariscono l’un dopo l’altro fra lampi e tuoni.) streghe i. Che faceste? Dite su! ii. Ho sgozzato un verro! i. E tu? iii.M ’è frullata nel pensier la mogliera d’un nocchier: al dimòn la mi cacciò... Ma lo sposo che salpò col suo legno affogherò. i. Un rovaio io ti darò... ii. I marosi leverò... iii.Per le secche lo trarrò. tutte Un tamburo! Che sarà? Vien Macbetto. Eccolo qua! Le sorelle vagabonde van per l’aria, van sull’onde, sanno un circolo intrecciar che comprende e terra e mar. Macbeth e Banco, generali dell’esercito del re di Scozia Duncano, si imbattono nella congrega di streghe, le quali profetizzano che Macbeth sarà re di Scozia e Banco padre di futuri re. Nel castello di Macbeth, Lady Macbeth legge una lettera che riferisce i successi militari del marito e la profezia delle streghe. Scena e Cavatina di Lady Macbeth (Atrio nel castello di Macbeth, che mette in altre stanze.) lady macbeth (leggendo una lettera) «Nel dì della vittoria le incontrai: stupito io n’era per le udite cose; quando i nunzi del re mi salutaro sir di Caudore, vaticinio uscito dalle veggenti istesse che predissero un serto al capo mio. Racchiudi in cor questo segreto. Addio». Ambizioso spirto tu se’, Macbetto... Alla grandezza aneli... Ma sarai tu malvagio? Pien di misfatti è il calle della potenza, e mal per lui che il piede dubitoso vi pone, e retrocede! Vieni! T’affretta! Accendere ti vo’ quel freddo core! L’audace impresa a compiere io ti darò valore; di Scozia a te promettono le profetesse un trono... Che tardi? Accetta il dono, ascendivi a regnar! (Entra un servo.) servo Al cader della sera il re qui giunge. lady macbeth Che di’? Macbetto è seco? servo Ei l’accompagna. La nuova, o donna, è certa. 7 lady macbeth Trovi accoglienza quale un re si merta. (Il servo parte.) Duncano sarà qui?... Qui? Qui la notte?... Or tutti sorgete, ministri infernali, che al sangue incorate, spingete i mortali! Tu, notte, ne avvolgi di tenebra immota; qual petto percota non vegga il pugnal. La notte stessa Lady Macbeth persuade il marito a uccidere Duncano. Gran Scena e Duetto di Macbeth e Lady Macbeth macbeth (a un servo) Sappia la sposa mia, che pronta appena la mia tazza notturna, vo’ che un tocco di squilla a me lo avvisi. (Il servo parte.) Mi si affaccia un pugnal? L’elsa a me volta? Se larva non sei tu, ch’io ti brandisca... Mi sfuggi?... Eppur ti veggo!... A me precorri sul confuso cammin che nella mente di seguir disegnava!... Orrenda immago! Solco sanguigno la tua lama irriga!... Ma nulla esiste ancora... Il sol cruento mio pensier le dà forma, e come vera mi presenta allo sguardo una chimera. Sulla metà del mondo or morta è la natura; or l’assassino come fantasma per l’ombre si striscia: or consuman le streghe i lor misteri. Immobil terra! A’ passi miei sta’ muta! (Odesi un tocco di campana.) È deciso... Quel bronzo, ecco, m’invita! Non udirlo, Duncano! È squillo eterno che nel cielo ti chiama o nell’inferno! (Entra nelle stanze del re.) lady macbeth Regna il sonno su tutti... Oh, qual lamento! Risponde il gufo al suo lugubre addio! macbeth Tutto è finito! (Si avvicina a Lady Macbeth e le dice sottovoce:) Fatal mia donna! Un murmure, com’io non intendesti? lady macbeth Del gufo udii lo stridere... Testé che mai dicesti? macbeth Io? lady macbeth Dianzi udirti parvemi. macbeth Mentre io scendea? lady macbeth Sì! Sì! macbeth Di’! Nella stanza attigua Chi dorme? lady macbeth Il regal figlio... macbeth (guardandosi le mani) O vista, o vista orribile! lady macbeth Storna da questo il ciglio... macbeth Nel sonno udii che oravano i cortigiani, e: «Dio sempre ne assista», ei dissero; «amen» dir volli anch’io, ma la parola indocile gelò sui labbri miei. macbeth (di dentro) Chi v’ha? lady macbeth Follie! lady macbeth Ch’ei fosse di letargo uscito pria del colpo mortal? macbeth Perché ripetere quell’«amen» non potei? 8 lady macbeth Follie, follie che sperdono i primi rai del dì. macbeth Allora questa voce m’intesi nel petto: «avrai per guanciali sol vepri, o Macbetto! Il sonno per sempre, Glamis, uccidesti! Non v’è che vigilia, Caudore, per te! lady macbeth Ma dimmi, altra voce non parti d’udire? Sei vano, o Macbetto, ma privo d’ardire: Glamis, a mezz’opra vacilli, t’arresti, fanciul vanitoso, Caudore, tu se’. macbeth Vendetta! Tuonarmi com’angeli d’ira, udrò di Duncano le sante virtù. lady macbeth (a parte) (Quell’animo trema, combatte, delira... Chi mai lo direbbe l’invitto che fu?) (a Macbeth) Il pugnal là riportate... Le sue guardie insanguinate... Che l’accusa in lor ricada. macbeth Io colà?... non posso entrar! lady macbeth Dammi il ferro. (Strappa dalle mani di Macbeth il pugnale, ed entra nelle stanze del re. Bussano forte alla porta del castello.) macbeth Ogni rumore mi spaventa! (Si guarda le mani.) Oh! Questa mano! Non potrebbe l’Oceàno queste mani a me lavar! lady macbeth (rientrando) Ve’! Le mani ho lorde anch’io; poco spruzzo, e monde son. L’opra anch’essa andrà in oblio... (Battono di nuovo.) macbeth Odi tu? Raddoppia il suon! lady macbeth Vieni altrove! Ogni sospetto rimoviam dall’uccisor; torna in te! Fa cor, Macbetto! Non ti vinca un vil timor. macbeth Oh, potessi il mio delitto dalla mente cancellar! Deh, sapessi, o re trafitto, l’alto sonno a te spezzar! Il nobile scozzese Macduff giunge insieme a Banco per assistere il re: il delitto è scoperto. Nell’Atto II, Macbeth è divenuto re di Scozia e il figlio di Duncano, Malcolm, si è rifugiato in Inghilterra. Poiché le streghe avevano profetizzato che i figli di Banco sarebbero saliti al trono, Macbeth e la moglie decidono che anch’essi debbano essere uccisi. In cammino verso il castello di Macbeth, Banco e suo figlio Fleanzio sono assaliti da sicari, ma il giovane riesce a fuggire. Mentre è in corso un banchetto, un sicario entra per annunciare a Macbeth quanto è accaduto. Il re è terrorizzato dalla visione di Banco seduto al suo posto: Lady Macbeth tenta di far svanire le visioni, ma il fantasma di Banco ritorna. L’atteggiamento di Macbeth comincia a insospettire gli ospiti. Macduff decide di andare in esilio. All’inizio dell’Atto III, le streghe si accingono a compiere i loro sortilegi. Dall’Atto III Balli (Un’oscura caverna. Nel mezzo una caldaia che bolle. Tuoni e lampi.) I. Rondò (La scena si riempie di spiriti, diavoli, streghe, che danzano e invocano Ecate. Appare Ecate, la dea della notte e dei sortilegi.) 9 II. Pantomima (Tutti stanno religiosamente atteggiati, e quasi tremanti contemplandola. Ecate dice alle streghe che conosce l’opra loro e per quale scopo fu evocata; esamina tutto attentamente, poi annunzia che re Macbetto verrà ad interrogarle sul suo destino, e dovranno soddisfarlo. Se le visioni abbattessero troppo i suoi sensi, evocheranno gli spiriti aerei per risvegliarlo e ridonargli vigore. Ma non deve più differirsi la rovina che l’attende. Poiché le streghe hanno rispettosamente ricevuto i suoi ordini, Ecate scomparisce fra lampi e tuoni.) III. Valzer (Tutti danzano intorno alla caldaia una ridda infernale, né si arrestano che all’appressarsi di Macbeth.) Sopraggiunge Macbeth e interroga le streghe. Queste, pur mettendolo in guardia contro Macduff, lo rassicurano: non deve temere alcun uomo nato da donna, e sarà invincibile finché la foresta di Birnam non muoverà contro di lui. Nell’Atto IV, al confine tra Scozia e Inghilterra, un gruppo di rifugiati scozzesi lamenta la sorte della patria sotto il dominio di Macbeth. Dall’Atto IV Coro di profughi scozzesi (Luogo deserto ai confini della Scozia e dell’Inghilterra. In distanza la foresta di Birnam.) profughi scozzesi Patria oppressa! Il dolce nome, no, di madre, aver non puoi, or che tutta a’ figli tuoi sei conversa in un avel! D’orfanelli, e di piangenti chi lo sposo, e chi la prole al venir del nuovo sole s’alza un grido, e fere il ciel; a quel grido il ciel risponde quasi voglia impietosito propagare per l’infinito, patria oppressa, il tuo dolor. 10 Suona a morte ognor la squilla, ma nessuno audace è tanto che pur doni un vano pianto a chi soffre, ed a chi muor! Macduff, sconvolto nell’apprendere della morte della moglie e dei figli, è incoraggiato da Malcolm a cercare la vendetta. Nascondendosi dietro a rami tagliati dagli alberi della foresta di Birnam, gli scozzesi avanzano verso il castello di Macbeth. Nel castello, un medico e una dama osservano con orrore Lady Macbeth che, in preda al sonnambulismo, rievoca i delitti commessi. Scena e Aria di Macbeth (Sala nel Castello.) macbeth (entrando agitatissimo) Perfidi! All’Anglo contra me v’unite! Le potenze presaghe han profetato: «Esser puoi sanguinario, feroce; nessun nato di donna ti nuoce!». No, non temo di voi, né del fanciullo che vi conduce!... Raffermar sul trono quest’assalto mi debbe, o sbalzarmi per sempre! Eppur la vita sento nelle mie fibre inaridita! Pietà, rispetto, amore, conforto a’ dì cadenti, non spargeran d’un fiore la tua canuta età. Né sul tuo regio sasso sperar soavi accenti: sol la bestemmia, ahi lasso!, la nenia tua sarà. Scena e Battaglia donne (nell’interno) Ella è morta! macbeth Qual gemito! (Entra la dama di Lady Macbeth.) dama È morta la regina! macbeth (con indifferenza e sprezzo) La vita!... Che importa?... È il racconto d’un povero idiota! Vento e suono che nulla dinota! (La dama parte. Entrano i guerrieri di Macbeth.) guerrieri Sire! Ah, sire! macbeth Che fu?... Quali nuove? guerrieri La foresta di Birnam si muove! macbeth (attonito) M’hai deluso, infernale presagio!... Qui l’usbergo, la spada, il pugnale! Prodi, all’armi! guerrieri Dunque all’armi! macbeth La morte! guerrieri La morte! guerrieri e macbeth La morte o la vittoria! (Intanto la scena si muta, e presenta una vasta pianura circondata da alture e boscaglie. Il fondo è occupato da soldati inglesi, i quali lentamente si avanzano portando ciascheduno una fronda innanzi a sé. Entrano Malcolm, Macduff e soldati.) malcolm Via le fronde, e mano all’armi! Mi seguite!... soldati All’armi! All’armi! (Malcolm, Macduff e soldati partono. Di dentro odesi il fragore della battaglia. Entra in scena Macbeth incalzato da Macduff.) macduff Carnefice de’ figli miei, t’ho giunto. macbeth Fuggi! Nato di donna uccidermi non può. macduff Nato non son, strappato fui dal sen materno. macbeth (spaventato) Cielo! (Brandiscono le spade e, disperatamente battendosi, escono di vista. Entrano, agitatissime, donne scozzesi. La battaglia continua.) donne Infausto giorno! Preghiamo pei figli nostri! Cessa il fragor! Inno di vittoria - Finale uomini Vittoria! donne Vittoria! (Entra Malcolm seguito da soldati inglesi, i quali trascinano prigionieri quelli di Macbeth. Macduff con altri soldati, bardi e popolo.) malcolm Ove s’è fitto l’usurpator? macduff Colà da me trafitto. tutti (piegando un ginocchio a terra) Salve, o re! 11 bardi (con entusiasmo marcato e fiero) Macbeth, Macbeth ov’è? Dov’è l’usurpator? D’un soffio il fulminò il Dio della vittoria. (a Macduff) Il prode eroe egli è che spense il traditor! La patria, il re salvò; a lui onor e gloria! donne Salgan mie grazie a te, gran Dio vendicator; a chi ne liberò inni cantiam di gloria! macduff S’affidi ognun al re ridato al nostro amor! L’aurora che spuntò vi darà pace e gloria! malcolm Confida, o Scozia, in me; fu spento l’oppressor! la gioia eternerò per noi di tal vittoria. — Primo intervallo — 12 Il trovatore Dramma in quattro parti Libretto di Salvatore Cammarano da El trovador di Antonio García Gutiérrez Prima rappresentazione assoluta: Roma, Teatro Apollo, 19 gennaio 1853 Dalla Parte III - Il figlio della zingara La selezione di brani dall’opera comincia con il coro dell’esercito del Conte di Luna, posto in assedio alla rocca di Castellor, dove la nobildonna Leonora si è rifugiata con Manrico, un trovatore di cui è innamorata, incontrato in occasione di un torneo cavalleresco. Coro (Accampamento: a destra il padiglione del Conte di Luna, su cui sventola la bandiera in segno di supremo comando; da lungi torreggia Castellor. Scolte di uomini d’arme dappertutto; alcuni giocano, altri forbiscono le armi, altri passeggiano; poi Ferrando dal padiglione del Conte.) alcuni armigeri Or co’ dadi, ma fra poco giocherem ben altro gioco. altri armigeri Quest’acciar, dal sangue or terso fia di sangue in breve asperso! (Odonsi strumenti guerrieri; tutti si volgono là donde il suono si avanza. Un grosso drappello di balestrieri, in completa armatura, traversa il campo.) alcuni armigeri Il soccorso dimandato! altri armigeri Han l’aspetto del valor! tutti Più l’assalto ritardato or non fia di Castellor! No, no, non fia più! ferrando (dal padiglione del Conte) Sì, prodi amici; al dì novello, è mente del capitan la rocca investir d’ogni parte. Colà pingue bottino certezza è rinvenir più che speranza; si vinca, è nostro. tutti Tu c’inviti a danza! Squilli, echeggi la tromba guerriera, chiami all’armi, alla pugna, all’assalto. Fia domani la nostra bandiera di quei merli piantata sull’alto. No, giammai non sorrise vittoria di più liete speranze finor!... Ivi l’util ci aspetta e la gloria, ivi opimi la preda e l’onor. Dalla Parte I - Il duello Nell’atrio del palazzo dell’Aliaferia, i famigli del Conte di Luna ascoltano da Ferrando, il loro capo, l’orribile storia di Garzia, il fratello del Conte: vent’anni prima, una zingara si era avvicinata alla culla del piccolo, dicendo di volergli predire il futuro. Poco dopo il bimbo si ammalò: la vecchia, accusata di essere una strega e di averne causato la malattia, fu arsa sul rogo. Dopo qualche giorno il piccolo Garzia scomparve e sul luogo del supplizio della strega furono trovati i resti carbonizzati di un bambino. La figlia della zingara venne accusata di aver compiuto il misfatto per vendetta, ma riuscì a dileguarsi. Più tardi, nei giardini del palazzo, Leonora confida a Ines di essere innamorata di Manrico. 13 Scena e Cavatina di Leonora (Giardini del palazzo: sulla destra marmorea scalinata che mette agli appartamenti; la notte è inoltrata, dense nubi coprono la luna. Leonora e Ines.) ines Che più t’arresti?... L’ora è tarda; vieni: di te la regal donna chiese, l’udisti. leonora Un’altra notte ancora senza vederlo... ines Perigliosa fiamma tu nutri! Oh! Come, dove la primiera favilla in te s’apprese? leonora Ne’ tornei! V’apparve bruno le vesti ed il cimier, lo scudo bruno e di stemma ignudo sconosciuto guerrier, che dell’agone gli onori ottenne: al vincitor sul crine il serto io posi! Civil guerra intanto arse: no ’l vidi più, come d’aurato sogno fuggente imago, ed era volta lunga stagion... ma poi... ines Che avvenne? leonora Ascolta. Tacea la notte placida e bella in ciel sereno la luna il viso argenteo mostrava lieto e pieno; quando suonar per l’aere, infino allor sì muto dolci s’udiro e flebili gli accordi d’un lïuto, e versi melanconici un trovator cantò. 14 Versi di prece, ed umile qual d’uom che prega iddio; in quella ripeteasi un nome... il nome mio... Corsi al veron sollecita... Egli era, egli era desso!... Gioia provai che agli angeli solo è provar concesso! Al core, al guardo estatico la terra un ciel sembrò. ines Quanto narrasti di turbamento m’ha piena l’alma!... Io temo! leonora Invano! ines Dubbio, ma tristo presentimento in me risveglia quest’uomo arcano! Tenta obliarlo... leonora Che dici? Oh, basti! ines Cedi al consiglio dell’amistà... Cedi... leonora Obliarlo! Ah! Tu parlasti detto, che intendere l’alma non sa. Di tale amor che dirsi mal può dalla parola, d’amor che intendo io sola, il cor s’inebriò! Il mio destino compiersi non può che a lui dappresso... S’io non vivrò per esso, per esso io morirò! ines (Non debba mai pentirsi chi tanto un giomo amò!) Poco dopo, il Conte di Luna si avvia verso gli appartamenti di Leonora, di cui anch’egli è innamorato. Proprio in quel momento echeggia il canto del trovatore: Leonora, uscendo dalle sue stanze per incontrarlo, si imbatte nel Conte ma, confusa dalle tenebre, non lo riconosce e gli rivolge parole d’amore, pensando di avere di fronte Manrico. Il trovatore si fa avanti e il Conte lo sfida a rivelare la propria identità: Manrico si dichiara seguace dei suoi nemici. I due uomini si allontanano per battersi in duello. Dalla Parte II - La gitana In un accampamento di nomadi, gli zingari, intenti al lavoro, battono le loro incudini. Tra loro è Manrico, rimasto ferito in battaglia e assistito da sua madre, Azucena. Coro di zingari e Canzone di Azucena (Un diruto abituro, sulla falda di un monte della Biscaglia; nel fondo, quasi tutto aperto, arde un gran fuoco. I primi albori. Azucena siede presso il fuoco. Manrico le sta disteso accanto sopra una coltrice ed avviluppato nel suo mantello; ha l’elmo ai piedi e fra le mani la spada, su cui figge immobilmente lo sguardo. Una banda di zingari è sparsa all’interno.) zingari Vedi! Le fosche notturne spoglie de’ cieli sveste l’immensa volta; sembra una vedova che alfin si toglie i bruni panni ond’era involta! All’opra! All’opra! Dagli... Martella... (Danno di piglio ai ferri del mestiere. Al misurato tempestar dei martelli cadenti sulle incudini, or uomini, or donne, e tutti in un tempo infine intonano la cantilena seguente:) zingari Chi del gitano i giorni abbella? La zingarella! uomini (alle donne, sostando un poco dal lavoro) Versami un tratto; lena e coraggio il corpo e l’anima traggon dal bere. (Le donne mescono ad essi in rozze coppe.) uomini Oh! Guarda, guarda! Del sole un raggio brilla più vivido nel mio bicchiere! donne Oh! Guarda, guarda! Del sole un raggio brilla più vivido nel tuo bicchiere! tutti All’opra! All’opra! Dagli... Martella... Chi del gitano i giorni abbella? La zingarella! azucena (Canta: gli zingari le si fanno da lato.) Stride la vampa! – La folla indomita corre a quel fuoco – lieta in sembianza! Urli di gioia – intorno echeggiano; cinta di sgherri – donna s’avanza! Sinistra splende – sui volti orribili la tetra fiamma – che s’alza al ciel! Stride la vampa! – Giunge la vittima nero vestita, – discinta e scalza! Grido feroce – di morte levasi; l’eco il ripete – di balza in balza!... Sinistra splende – sui volti orribili la tetra fiamma – che s’alza al ciel! zingari Mesta è la tua canzon! azucena Del pari mesta che la storia funesta da cui tragge argomento! (Rivolge il capo dalla parte di Manrico e mormora sommessamente:) Mi vendica... mi vendica! manrico (L’arcana parola ognor!) vecchio zingaro Compagni, avanza il giorno: a procacciarci un pan, su, su, scendiam per le propinque ville. zingari Andiamo. 15 (Ripongono sollecitamente ne’ sacchi i loro arnesi e discendono alla rinfusa per la china; tratto tratto, e sempre a maggior distanza, odesi il loro canto.) zingari Chi del gitano i giorni abbella? La zingarella! L’anziana zingara rievoca la storia della propria madre, arsa sul rogo, e, rimasta sola con Manrico, gli narra di aver rapito il figlio del Conte di Luna per vendicarla, ma di aver poi gettato tra le fiamme, in preda a un folle delirio, il proprio figlio, anziché quello del Conte. Accorgendosi del turbamento di Manrico, lo rassicura, dicendogli di aver mentito. Eppure Manrico non si spiega perché, mentre duellava con il Conte ed era sul punto di sopraffarlo, sia stato dissuaso dall’ucciderlo da una sorta di voce soprannaturale. Intanto il fido Ruiz gli fa pervenire un messaggio: Leonora, credendolo morto, ha deciso di prendere il velo. Nei pressi del convento dove Leonora ha deciso di ritirarsi, è in agguato il Conte di Luna. Scena e Aria del Conte di Luna (Atrio interno di un luogo di ritiro in vicinanza di Castellor. Alberi nel fondo. È notte. Il Conte, Ferrando e alcuni seguaci inoltrandosi cautamente avviluppati nei loro mantelli.) conte Tutto è deserto! Né per l’aura ancora suona l’usato carme... In tempo io giungo. ferrando Ardita opra, o signore, imprendi. conte Ardita, e qual furente amore ed irritato orgoglio chiesero a me. Spento il rival, caduto ogni ostacol sembrava a’ miei desiri: novello e più possente ella ne appresta! 16 L’altare! Ah no, non fia d’altri Leonora mai... Leonora è mia! Il balen del suo sorriso d’una stella vince il raggio!... Il fulgor del suo bel viso novo infonde in me coraggio!... Ah! L’amor, l’amore ond’ardo le favelli in mio favor!... Sperda il sole d’un suo sguardo la tempesta del mio cor. (Odesi il rintocco de’ sacri bronzi.) conte Qual suono!... O ciel! ferrando La squilla vicino il rito annunzia! conte Ah! Pria che giunga all’altar... si rapisca!... ferrando Oh, bada!... conte Taci!... Non odo... Andate!... Di quei faggi all’ombra celatevi!... (Ferrando e gli altri seguaci si allontanano.) Ah! Fra poco mia diverrà... Tutto m’investe un foco! (Ansioso e guardingo osserva dalla parte donde deve giungere Leonora, mentre Ferrando e i seguaci dicono sottovoce:) ferrando e seguaci Ardire! Andiam! Celiamoci fra l’ombre... nel mister! Ardire! Andiam! Silenzio! Si compia il suo voler! conte (nell’eccesso del furore) Per me, ora fatale, i tuoi momenti affretta... La gioia che m’aspetta gioia mortal non è!... Invano un dio rivale opponi all’amor mio, non può nemmeno un dio, donna, rapirti a me! manrico Alto è il periglio!... Vano dissimularlo fora! A la novella aurora assaliti saremo!... leonora Ahimè! Che dici?... Il Conte di Luna, folle d’amore, è deciso a rapire Leonora, ma Manrico sopraggiunge a sventarne le trame. Mentre i suoi compagni mettono in fuga il Conte e i suoi armigeri, Manrico e Leonora si allontanano insieme. manrico Ma de’ nostri nemici avrem vittoria... Pari abbiam al loro ardir, brando e coraggio! (a Ruiz) Tu va’; le belliche opre nell’assenza mia breve, a te commetto! Che nulla manchi! Dalla Parte III - Il figlio della zingara (Ruiz parte.) L’esercito del Conte assedia Castellor, dove Leonora si è rifugiata con Manrico. Ferrando e un gruppo di soldati tornano all’accampamento trascinando con loro Azucena, sorpresa mentre si aggirava in quei luoghi alla ricerca del figlio. In lei Ferrando riconosce la fattucchiera accusata della morte di Garzia: il Conte, nel condannarla al rogo, gioisce per la duplice vendetta che compirà uccidendo al tempo stesso la presunta assassina del fratello e la madre dell’odiato rivale. In una sala attigua alla cappella della rocca di Castellor, Manrico e Leonora attendono l’ora delle nozze: commossi perché stanno per coronare il loro amore, sono tuttavia turbati per l’imminenza della battaglia. Quando già il suono dell’organo annuncia l’inizio del rito, giunge trafelato Ruiz per annunciare che Azucena sta per essere giustiziata. Manrico chiama i suoi uomini a una sortita per salvare la madre dal fuoco della pira. leonora Di qual tetra luce il nostro imen risplende! Scena e Aria di Manrico (Sala adiacente alla cappella in Castellor, con verone in fondo. Manrico, Leonora e Ruiz.) leonora Quale d’armi fragor poc’anzi intesi? manrico Il presagio funesto, deh!, sperdi, o cara! leonora E il posso? manrico Amor... Sublime amore, in tale istante ti favelli al core! Ah sì, ben mio, coll’essere io tuo, tu mia consorte, avrò più l’alma intrepida, il braccio avrò più forte. Ma pur se nella pagina de’ miei destini è scritto ch’io resti fra le vittime dal ferro ostil trafitto, fra quegli estremi aneliti a te il pensier verrà! E solo in ciel precederti la morte a me parrà! (Si ode il suono dell’organo della vicina cappella.) 17 leonora e manrico L’onda de’ suoni mistici pura discende al cor! Vieni; ci schiude il tempio gioie di casto amor! (Si avviano giubilanti al tempio; Ruiz viene frettoloso.) Di quella pira... l’orrendo foco tutte le fibre m’arse, avvampò! Empi, spegnetela, o ch’io fra poco col sangue vostro la spegnerò! Era già figlio prima d’amarti... non può frenarmi il tuo martir! Madre infelice, corro a salvarti, o teco almeno corro a morir! ruiz Manrico! leonora Non reggo a colpi tanto funesti... Oh, quanto meglio sarìa morir! manrico Che? (Ruiz torna con armati.) ruiz La zingara, vieni... Tra ceppi mira... ruiz e armati All’armi, all’armi! Eccone presti a pugnar teco, o teco a morir! manrico O dio! (Manrico parte frettoloso seguito da Ruiz e dagli armati, mentre odesi dall’interno fragor d’armi e di bellici strumenti.) ruiz Per man de’ barbari accesa è già la pira! manrico (accostandosi al verone) O ciel! Mie membra oscillano... Nube mi copre il ciglio! leonora Tu fremi! manrico E il deggio! Sappilo... Io son... leonora Chi mai? manrico Suo figlio! Ah! Vili... Il rio spettacolo quasi il respir m’invola!... Raduna i nostri, affrèttati, Ruiz... va’... torna... vola... (Ruiz parte.) 18 Dalla Parte II - La gitana Racconto di Azucena azucena Condotta ell’era in ceppi al suo destin tremendo, col figlio sulle braccia, io la seguia piangendo: infino ad essa un varco tentai, ma invano, aprirmi, invan tentò la misera fermarsi e benedirmi, ché, fra bestemmie oscene, pungendola coi ferri, al rogo la cacciavano gli scellerati sgherri! Allor con tronco accento «Mi vendica!» sclamò. Quel detto un’eco eterno in questo cor lasciò. Il figlio giunsi a rapir del Conte: lo trascinai qui meco... Le fiamme ardean già pronte. Ei distruggeasi in pianto... io mi sentiva il core dilaniato, infranto! Quand’ecco agli egri spirti, come in un sogno, apparve la vision ferale di spaventose larve! Gli sgherri!... Ed il supplizio!... La madre smorta in volto, scalza... discinta!... Il grido, il noto grido ascolto... «Mi vendica!». La mano convulsa tendo... Stringo la vittima... Nel foco la traggo, la sospingo... Cessa il fatal delirio... L’orrida scena fugge... La fiamma sol divampa, e la sua preda strugge!... Pur volgo intorno il guardo e innanzi a me vegg’io... dell’empio Conte il figlio! Il figlio mio, mio figlio avea bruciato! Sul capo mio le chiome sento rizzarsi ancor! Dalla Parte IV - Il supplizio Leonora si aggira nei pressi della torre dove Manrico, sconfitto, è stato imprigionato. Sopraggiunge il Conte, che rammenta ai suoi cortigiani l’approssimarsi della vendetta: all’alba Manrico salirà sul patibolo e Azucena sarà condotta al rogo. Leonora implora clemenza e giunge a offrire se stessa in cambio della vita di Manrico. Il Conte accetta il patto: ma Leonora, furtivamente, assume il veleno nascosto nel proprio anello. Nel carcere, Manrico cerca di consolare Azucena, che, provata, viene vinta da un profondo torpore. Entra Leonora annunciandogli l’imminente libertà. Scena ultima (Orrido carcere: in un canto, finestra con inferriata; porta nel fondo; smorto fanale pendente dalla volta. Si apre la porta, entra Leonora: Azucena, Manrico, in ultimo il Conte con séguito di armati.) manrico Che!... Non m’inganna quel fioco lume? leonora Son io, Manrico... manrico O mia Leonora! Ah! Mi concedi, pietoso nume, gioia sì grande, anzi ch’io mora? leonora Tu non morrai!... Vengo a salvarti... manrico Come? A salvarmi? Fia vero? leonora Addio... (accennandogli la porta) Tronca ogni indugio... T’affretta... Parti!... manrico E tu non vieni? leonora Restar degg’io! manrico Restar! leonora Deh! Fuggi! manrico No. leonora (cercando di trarlo verso l’uscio) Guai se tardi! manrico No... leonora La tua vita!... manrico Io la disprezzo... Pur figgi, o donna, in me gli sguardi! Da chi l’avesti ed a qual prezzo? Parlar non vuoi!... Balen tremendo!... 19 Dal mio rivale!... Intendo, intendo!... Ha quest’infame l’amor venduto... Venduto un core che mi giurò! leonora Oh, come l’ira ti rende cieco! Oh, quanto ingiusto, crudel sei meco! T’arrendi... Fuggi, o sei perduto! Nemmeno il cielo salvar ti può! azucena (dormendo) Ai nostri monti... ritorneremo! L’antica pace... ivi godremo!... Tu canterai... sul tuo liuto... in sonno placido... io dormirò! (Leonora è caduta ai piedi di Manrico.) manrico Ti scosta... leonora Non respingermi... Vedi!... Languente... oppressa io manco... manrico Va’... Ti abomino... Ti maledico... leonora Ah, cessa! Non d’imprecar, di volgere per me la prece a dio è questa l’ora! manrico Un brivido corse nel petto mio! leonora (cadendo bocconi) Manrico! manrico (accorrendo a sollevarla) Donna, svelami... Narra! 20 leonora Ho la morte in seno... manrico La morte!... leonora Ah, fu più rapida la forza del veleno ch’io non pensava!... manrico Oh, fulmine! leonora Senti! la mano è gelo... (toccandosi il petto) Ma qui... foco terribil arde... manrico Che festi!... O cielo! leonora Prima che d’altri vivere... io... volli tua morir!... manrico Insano!... Ed io quest’angelo osava maledir! leonora Più non resisto! manrico Ahi, misera!... (Entra il Conte, arrestandosi sulla soglia.) leonora (stringendogli la destra in segno d’addio) Ecco l’istante... Io moro... Manrico! Or la tua grazia... padre del cielo... imploro... conte (Ah! Volle me deludere, e per costui morir!) leonora Prima che... d’altri vivere... io... volli tua morir!... manrico Insano!... Ed io quest’angelo osava maledir! conte (Ah! Volle me deludere, e per costui morir!) (Leonora spira.) conte (additando agli armati Manrico) Sia tratto al ceppo! manrico (partendo tra gli armati) Madre... O madre, addio! azucena (destandosi) Manrico! Ov’è mio figlio? (Il Conte trascina Azucena verso la finestra.) conte Vedi?... azucena Cielo! conte È spento! azucena Egli era tuo fratello!... conte Ei!... Quale orror! azucena Sei vendicata, o madre! (Cade a piè della finestra.) conte (inorridito) E vivo ancor! conte A morte corre! azucena Ah, ferma! M’odi... — Secondo intervallo — 21 Aida Opera in quattro atti Libretto di Antonio Ghislanzoni Prima rappresentazione assoluta: Il Cairo, Teatro dell’Opera, 24 dicembre 1871 Preludio Dall’Atto I (Sala nel palazzo del re a Menfi. A destra e a sinistra, una colonnata con statue e arbusti in fiore. Grande porta nel fondo, da cui si scorgono i templi, i palazzi di Menfi e le piramidi.) Il gran sacerdote Ramfis riferisce a Radamès, capitano delle guardie, che l’esercito etiope sta nuovamente marciando sul suolo egizio, e gli lascia intendere che proprio lui è stato indicato dalla dea Iside quale supremo condottiero: si reca quindi dal re per riferirgli il vaticinio. Radamès, rimasto solo, sogna il momento in cui tornerà carico di gloria all’amore di Aida, la schiava etiope alla quale è segretamente legato. Romanza di Radamès radamès Se quel guerrier io fossi! Se il mio sogno si avverasse!... Un esercito di prodi da me guidato... E la vittoria... E il plauso di Menfi tutta! E a te, mia dolce Aida, tornar di lauri cinto... Dirti: per te ho pugnato, per te ho vinto! Celeste Aida, forma divina, mistico serto di luce e fior, del mio pensiero tu sei regina, tu di mia vita sei lo splendor. Il tuo bel cielo vorrei ridarti, le dolci brezze del patrio suol; un regal serto sul crin posarti, ergerti un trono vicino al sol. 22 Sopraggiunge Amneris: invaghita di Radamès, la figlia del re gli chiede maliziosamente se la sua evidente felicità non sia dovuta a un amore segreto. Radamès, equivocando l’allusione della principessa e temendo che la propria relazione con Aida sia stata scoperta, reagisce in modo tale da insospettirla. L’arrivo di Aida complica ulteriormente la situazione, ma il teso colloquio dei tre viene interrotto dall’ingresso della corte. Il re invita tutti ad ascoltare da un messaggero le ultime notizie dai confini etiopi, quindi proclama la guerra e nomina Radamès comandante dell’esercito. Rimasta sola, Aida dà sfogo al proprio senso di colpa per aver augurato la vittoria a Radamès. Scena e Romanza di Aida aida Ritorna vincitor!... E dal mio labbro uscì l’empia parola! Vincitor del padre mio... di lui che impugna l’armi per me... per ridonarmi una patria, una reggia e il nome illustre che qui celar m’è forza! Vincitor de’ miei fratelli... ond’io lo vegga, tinto del sangue amato, trionfar nel plauso dell’egizie coorti!... E dietro il carro, un re... mio padre... di catene avvinto!... L’insana parola, o Numi, sperdete! Al seno d’un padre la figlia rendete; Struggete le squadre dei nostri oppressor! Ah! Sventurata! Che dissi? E l’amor mio? Dunque scordar poss’io questo fervido amore che, oppressa e schiava, come raggio di sol qui mi beava? Imprecherò la morte a Radamès, a lui ch’amo pur tanto! Ah! Non fu in terra mai da più crudeli angoscie un core affranto! I sacri nomi di padre... d’amante né profferir poss’io, né ricordar... Per l’un... per l’altro... confusa... tremante... Io piangere vorrei... vorrei pregar. Ma la mia prece in bestemmia si muta... Delitto è il pianto a me... colpa il sospir... In notte cupa la mente è perduta... E nell’ansia crudel vorrei morir. Numi, pietà del mio soffrir! Speme non v’ha pel mio dolor... Amor fatal, tremendo amor, spezzami il cor, fammi morir! Radamès riceve poi l’investitura quale comandante supremo. Ramfis gli affida la spada sacra e invoca la protezione divina sul sacro suolo dell’Egitto. schiave Or, dove son le barbare orde dello stranier? Siccome nebbia sparvero al soffio del guerrier. Vieni: di gloria il premio raccogli, o vincitor; t’arrise la vittoria, t’arriderà l’amor. amneris (Vieni, amor mio, ravvivami d’un caro accento ancor!) Sopraggiunge Aida e Amneris le comunica la falsa notizia della morte di Radamès: la reazione disperata della schiava etiope e poi le sue lacrime di gioia quando le rivela di aver mentito, confermano i sospetti della principessa. Aida ammette di amare Radamès, ma Amneris, furente, le ricorda che, nella sua condizione servile, non può sperare di ergersi a sua rivale. Coro dal Gran Finale II Dall’Atto II (Una sala nell’appartamento di Amneris. Amneris circondata dalle schiave che l’abbigliano per la festa trionfale. Dai tripodi si eleva il profumo degli aromi. Giovani schiavi mori danzando agitano i ventagli di piume.) Introduzione - Scena, Coro di donne e Danza degli schiavi mori schiave Chi mai fra gli inni e i plausi erge alla gloria il vol, al par di un dio terribile, fulgente al par del sol? Vieni: sul crin ti piovano contesti ai lauri i fior; suonin di gloria i cantici coi cantici d’amor. amneris (Vieni, amor mio, mi inebria... fammi beato il cor!) (Uno degli ingressi della città di Tebe. Sul davanti un gruppo di palme. A destra il tempio di Ammone – a sinistra un trono sormontato da un baldacchino di porpora. Nel fondo una porta trionfale. La scena è ingombra di popolo. Entra il re, seguito dai ministri, sacerdoti, capitani, flabelliferi, porta insegne, ecc., ecc. Quindi, Amneris con Aida e schiave. Il re va a sedere sul trono. Amneris prende posto alla sinistra del re.) popolo Gloria all’Egitto, ad Iside che il sacro suol protegge! Al re che il delta regge inni festosi alziam! Gloria! Gloria! Gloria! Gloria al Re! donne S’intrecci il loto al lauro sul crin dei vincitori! Nembo gentil di fiori stenda sull’armi un vel. 23 Danziam, fanciulle egizie, le mistiche carole, come d’intorno al sole danzano gli astri in ciel! sacerdoti Della vittoria agli arbitri supremi il guardo ergete; grazie agli dèi rendete nel fortunato dì. (Le truppe egizie precedute dalle fanfare sfilano dinanzi al re. Un drappello di danzatrici reca i tesori dei vinti. Altre truppe seguono i carri di guerra, i vasi sacri, le statue degli dèi.) popolo Vieni, o guerriero vindice, vieni a gioir con noi; sul passo degli eroi i lauri, i fior versiam! Gloria al guerrier, gloria! Gloria all’Egitto, gloria! sacerdoti Agli arbitri supremi il guardo ergete; grazie agli dèi rendete nel fortunato dì. Acclamato dal popolo e preceduto dalla sfilata delle sue truppe, giunge Radamès. Amneris gli impone la corona del vincitore e il re giura che esaudirà qualunque sua richiesta. Radamès chiede che i prigionieri vengano condotti al loro cospetto. Tra essi Aida riconosce il padre, ma Amonasro le impone di non rivelare chi egli sia realmente, e rivolgendosi con parole nobili al Faraone chiede clemenza per l’esercito sconfitto. Radamès domanda, come ricompensa per la vittoria, che sia concessa la grazia ai prigionieri. Amneris è indispettita e Ramfis preoccupato all’idea che gli ufficiali etiopi, una volta liberati, possano ritornare alle armi. Il re concede la grazia a condizione che Aida resti a corte con il padre a garanzia dell’impegno di pace del suo popolo; poi annuncia che ricompenserà Radamès offrendogli in sposa Amneris e destinandolo così alla sua successione. 24 Dall’Atto III Sulle rive del Nilo, Ramfis accompagna Amneris al tempio di Iside, per trascorrere una veglia di preghiera nell’imminenza delle nozze. Sopraggiunge Aida: Radamès l’ha convocata per quello che la giovane pensa essere il loro ultimo incontro, ma il padre Amonasro la sorprende sul luogo. Scena e Duetto di Aida e Amonasro aida Ciel! Mio padre! amonasro A te grave cagion m’adduce, Aida. Nulla sfugge al mio sguardo. D’amor ti struggi per Radamès... ei t’ama... qui lo attendi. Dei Faraon la figlia è tua rivale... Razza infame, aborrita e a noi fatale! aida E in suo potere io sto!... Io, d’Amonasro figlia!... amonasro In poter di lei!... No!... Se lo brami, la possente rival tu vincerai, e patria, e trono, e amor, tutto tu avrai. Rivedrai le foreste imbalsamate, le fresche valli, i nostri templi d’or!... aida (con trasporto) Rivedrò le foreste imbalsamate, le fresche valli, i nostri templi d’or!... amonasro Sposa felice a lui che amasti tanto, tripudii immensi ivi potrai gioir... aida (con espansione) Un giorno solo di sì dolce incanto... un’ora, un’ora di tal gioia, e poi morir! amonasro (cupo) Pur rammenti che a noi l’Egizio immite le case, i templi e l’are profanò... Trasse in ceppi le vergini rapite... madri... vecchi... fanciulli ei trucidò. aida Ah! Ben rammento quegl’infausti giorni! Rammento i lutti che il mio cor soffrì! Deh! Fate, o Numi, che per noi ritorni l’alba invocata de’ sereni dì. amonasro Rammenta. Non fia che tardi. In armi ora si desta il popol nostro; tutto è pronto già... Vittoria avrem... Solo a saper mi resta qual sentier il nemico seguirà... aida (atterrita e supplichevole) Pietà! Pietà! Pietà! amonasro Flutti di sangue scorrono sulle città dei vinti... Vedi?... Dai negri vortici si levano gli estinti... Ti additan essi e gridano: “Per te la patria muor!”. aida Pietà! Pietà! Padre, pietà! amonasro Tu stessa! amonasro Una larva orribile fra l’ombre a noi s’affaccia... Trema! Le scarne braccia... sul capo tuo levò... aida Io?... aida Padre!... amonasro Radamès so che qui attendi... (con intenzione) Ei t’ama... Ei conduce gli Egizii... Intendi?... amonasro Tua madre ell’è... aida Orrore! Che mi consigli tu? No! No! Giammai! amonasro Ravvisala... Ti maledice... amonasro (con impeto selvaggio) Su, dunque! sorgete, egizie coorti! Col fuoco struggete le nostre città... Spargete il terrore, le stragi, le morti... Al vostro furore più freno non v’ha. aida (nel massimo terrore) Ah! No!... Ah! No!... Padre, pietà! Pietà!... aida Chi scoprirlo potria? chi mai? aida Ah, padre!... Padre!... amonasro (respingendola) Mia figlia ti chiami!... aida No!... amonasro (respingendola) Non sei mia figlia... Dei Faraoni tu sei la schiava! aida (con un grido) Ah! Pietà, pietà! Pietà! (trascinandosi a stento ai piedi del padre) Padre!... A costoro... schiava non sono... Non maledirmi... non imprecarmi... Ancor tua figlia potrai chiamarmi... Della mia patria degna sarò. 25 amonasro Pensa che un popolo, vinto, straziato, per te soltanto risorger può... aida Oh, patria! Oh, patria... quanto mi costi! amonasro Coraggio! Ei giunge... Là tutto udrò... (Si nasconde fra i palmizii. Entra Radamés.) I tuoi già invadono la nostra terra, io degli Egizii duce sarò. Fra il suon, fra i plausi della vittoria, al re mi prostro, gli svelo il cor. Sarai tu il serto della mia gloria, vivrem beati d’eterno amor. aida Né d’Amneris paventi il vindice furor? La sua vendetta, come folgor tremenda, cadrà su me, sul padre mio, su tutti. Duetto di Radamès e Aida radamès (con trasporto) Pur ti riveggo,mia dolce Aida... aida T’arresta, vanne... Che speri ancor? radamès A te d’appresso l’amor mi guida. aida Te i riti attendono d’un altro amor. D’Amneris sposo... radamès Che parli mai?... Te sola, Aida, te deggio amar. Gli dèi m’ascoltano, tu mia sarai... aida D’uno spergiuro non ti macchiar! Prode t’amai, non t’amerei spergiuro. radamès Dell’amor mio dubiti, Aida? aida E come speri sottrarti d’Amneris ai vezzi, del re al voler, del tuo popolo ai voti, dei sacerdoti all’ira? radamès Odimi, Aida. Nel fiero anelito di nuova guerra il suolo Etiope si ridestò... 26 radamès Io vi difendo. aida Invan! Tu nol potresti... Pur... Se tu m’ami... Ancor s’apre una via di scampo a noi... radamès Quale? aida Fuggir... radamès Fuggire! aida (colla più viva espansione) Fuggiam gli ardori inospiti di queste lande ignude; una novella patria al nostro amor si schiude... Là... tra foreste vergini di fiori profumate, in estasi beate la terra scorderem. radamès Sovra una terra estrania teco fuggir dovrei! Abbandonar la patria, l’are dei nostri dèi! Il suol dov’io raccolsi di gloria i primi allori, il ciel de’ nostri amori come scordar potrem? aida Sotto il mio ciel, più libero l’amor ne fia concesso; ivi nel tempio istesso gli stessi Numi avrem. Fuggiam, fuggiam... radamès (esitante) Aida! aida Tu non m’ami... Va’! radamès Non t’amo? Mortal giammai né dio arse d’amor al par del mio possente. aida Va’... Va’... T’attende all’ara Amneris... radamès No!... Giammai! aida e radamès Vieni meco, insiem fuggiamo questa terra di dolor. Vieni meco... T’amo, t’amo! A noi duce fia l’amor. (S’allontanano rapidamente. Ad un tratto Aida s’arresta.) aida Ma dimmi: per qual via eviterem le schiere degli armati? radamès Il sentier scelto dai nostri A piombar sul nemico fia deserto Fino a domani... aida E quel sentier?... radamès Le gole di Nàpata... Scena - Finale III aida Giammai, dicesti? Allor piombi la scure su me, sul padre mio... radamès Ah no! fuggiamo! (con appassionata risoluzione) Sì: fuggiam da queste mura, al deserto insiem fuggiamo; qui sol regna la sventura, là si schiude un ciel d’amor. I deserti interminati a noi talamo saranno, su noi gli astri brilleranno di più limpido fulgor. aida Nella terra avventurata de’ miei padri, il ciel ne attende; ivi l’aura è imbalsamata, ivi il suolo è aromi e fior. Fresche valli e verdi prati (Si fa avanti Amonasro.) amonasro (con gioia feroce) Di Nàpata le gole! Ivi saranno i miei... radamès Oh! Chi ci ascolta?... amonasro D’Aida il padre e degli Etiopi il Re. radamès (nella massima agitazione e sorpresa) Tu!...Amonasro!... Tu!... il re? Numi! Che dissi?... No... Non è ver... No! (con un grido) Sogno... delirio è questo! aida Ah, no! Ti calma, ascoltami, all’amor mio t’affida. 27 amonasro A te l’amor d’Aida un soglio innalzerà. radamès Io son disonorato! Per te tradii la patria! aida Ti calma! amonasro No: tu non sei colpevole, era voler del fato... radamès Io son disonorato! aida Ah, no! amonasro No! Vien: oltre il Nil ne attendono i prodi a noi devoti; là del tuo core i voti coronerà l’amor. (trascinando Radamès) Vieni, vieni, vieni. (Amneris, sacerdoti e guardie escono dal tempio.) amneris Traditor! aida La mia rival!... amonasro L’opra mia a strugger vieni! (avventandosi su Amneris con un pugnale) Muori!... radamès (frapponendosi) Arresta, insano!... amonasro Oh, rabbia! 28 ramfis Guardie, olà! radamès (ad Aida eAmonasro) Presto!... Fuggite!... amonasro (trascinando Aida) Vieni, o figlia! ramfis (alle guardie) L’inseguite! radamès (a Ramfis) Sacerdote, io resto a te. Nell’Atto IV, in una sala nel palazzo del re, Amneris rivela a Radamès che Amonasro è morto in battaglia, ma che Aida è sopravvissuta e si è dileguata, e si impegna a salvargli la vita se dimenticherà il suo amore per la schiava etiope. Di fronte al suo rifiuto, la principessa lo abbandona al giudizio dei sacerdoti. Radamès viene condotto in una sala attigua, dove Ramfis e i sacerdoti lo accusano di tradimento. Poiché rifiuta di dire alcunché a propria discolpa, è condannato a essere sepolto vivo sotto l’altare del dio Vulcano. Quando i sacerdoti escono dalla sala del giudizio, Amneris lancia una violenta invettiva contro la loro ipocrita crudeltà. Nel tempio di Vulcano, Radamès viene rinchiuso in una cripta sotto l’altare del dio. Inaspettatamente gli appare Aida, che, avendo saputo della sua sorte, vi si è nascosta per morire con lui. Mentre si alzano i canti delle sacerdotesse, i due innamorati si abbracciano teneramente. Entra Amneris, sconvolta dal rimorso: prostrata sulla tomba, invoca la dea Iside perché conceda la pace a Radamès. Gianandrea Noseda è considerato oggi tra i più eminenti direttori d’orchestra del panorama internazionale. Dal 2007 Direttore musicale del Teatro Regio, che ha collocato stabilmente nella mappa dei grandi teatri d’opera, vi dirige ogni anno produzioni operistiche e concerti sinfonici, oltre a tournée e residenze all’estero. Le nuove produzioni di Don Giovanni, Salome per la regia di Robert Carsen, Thaïs (in dvd per Arthaus Musik), La dama di picche, La traviata, Boris Godunov per la regia di Andrei Konchalovsky (dvd Opus Arte), I Vespri siciliani, Fidelio, Tosca, fino alle più recenti Evgenij Onegin e Don Carlo sono state accolte da unanimi consensi del pubblico e della critica. Guida i complessi del Teatro Regio in tournée in Spagna, al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, dove torna ogni anno, al Festival di Dresda, al Konzerthaus di Vienna e in Giappone, dove si è appena conclusa la seconda residenza al Bunka Kaikan di Tokyo, dopo il grande successo di quella dell’estate 2010. Gianandrea Noseda è inoltre Direttore ospite principale della Filarmonica di Israele, Laureate Conductor della Bbc Philharmonic, “Victor De Sabata Guest Chair” della Pittsburgh Symphony e Direttore artistico del Festival di Stresa. È stato il primo Direttore ospite principale non russo nella storia del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo e Direttore ospite principale della Rotterdam Philharmonic e dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Nato a Milano, dove ha compiuto gli studi musicali, dirige le più importanti orchestre sinfoniche del mondo: Chicago, Pittsburgh, Philadelphia, Los Angeles e Cleveland negli Stati Uniti, la London Symphony, i Wiener Symphoniker, l’Orchestre de Paris e la Filarmonica della Scala in Europa, mentre in Giappone è ospite regolare della Nhk Symphony Orchestra. Intensa e felice la collaborazione con il Metropolitan di New York, dove dirige ogni anno dal 2002 e dove tornerà nella prossima stagione con due produzioni, tra cui un’attesissima nuova produzione de Il principe Igor per la regia di Dmitrij Černjakov. Come Chief Conductor della Bbc Philharmonic ha guidato l’orchestra in tournée in Giappone (nel 2004 e nel 2008) e in Europa, oltre ad aver scritto una pagina storica nel 2005, quando un milione e mezzo di utenti scaricò dalla rete le nove Sinfonie di Beethoven offerte dal sito della Bbc nell’ambito del progetto The Beethoven Experience. Il suo War Requiem di Britten con la London Symphony Orchestra – presentato al Barbican di Londra e al Lincoln Centre di New York nell’autunno 2011, ora disponibile in cd per l’etichetta Lso Live – è stato salutato dalla critica americana come uno degli eventi dell’anno. Sicuro punto di riferimento per il repertorio verdiano nel mondo, ha inanellato una serie ininterrotta di successi a partire da Macbeth alla Metropolitan Opera, fino ai trionfi di Luisa Miller e di Aida alla Scala, dei Vespri siciliani all’Opera di Vienna e del Rigoletto al Festival di Aix-en-Provence nell’estate 2013. Con Simon Boccanegra ha inaugurato la stagione 2013-2014 del Teatro Regio. Dal 2002 Gianandrea Noseda è legato all’etichetta discografica Chandos, per la quale ha registrato oltre 30 cd dedicati a musiche di Bartók, Dvořák, Karłowicz, Liszt, Mahler, Prokof ’ev, Rachmaninoff, Šostakovič e Smetana. Con «Musica Italiana», ha avviato un progetto dedicato ai compositori italiani del XX secolo, tra cui Ottorino Respighi, Alfredo Casella, Goffredo Petrassi ed Ermanno Wolf-Ferrari, accolto dalla critica internazionale con plauso unanime. Nell’ambito della collaborazione con Deutsche Grammophon ha inciso il debutto discografico di Anna Netrebko con la Filarmonica di Vienna, mentre con l’Orchestra Teatro Regio ha diretto l’album mozartiano di Ildebrando D’Arcangelo e i due progetti verdiani con Rolando Villazón e Anna Netrebko. Attento ai giovani musicisti, ha collaborato con il Royal College of Music e con l’Orchestra della Guildhall School di Londra, con la National Youth Orchestra of United Kingdom e con l’Orchestra Giovanile Italiana. Dirige inoltre regolarmente la European Union Youth Orchestra in tournée. Gianandrea Noseda è Cavaliere Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana. Nata a Milano, Barbara Frittoli si è diplomata al Conservatorio “Giuseppe Verdi” della sua città sotto la guida di Giovanna Canetti. Ha vinto numerosi concorsi internazionali e, grazie alle sue eccezionali qualità vocali, ha avviato una straordinaria carriera che l’ha vista esibirsi nei più importanti teatri del mondo. Nel suo repertorio figurano i ruoli principali delle opere mozartiane e ottocentesche. Ha infatti interpretato la Contessa nelle Nozze di Figaro (Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Regio, Teatro alla Scala, Teatro Real di Madrid, Opéra di Parigi e Bayerische Staatsoper), Donna Anna e Donna Elvira in Don Giovanni (Festival di Salisburgo con Maazel, Glyndebourne, Staatsoper di Vienna, Metropolitan, Washington e Scala), Fiordiligi in Così fan tutte (Staatsoper di Vienna e Ravenna Festival con Riccardo Muti, Covent Garden con Colin Davis, Valencia e Vienna), Elettra in Idomeneo (Dresda con Colin Davis), Vitellia nella Clemenza di Tito, Sifare in Mitridate, re di Ponto (al Teatro Regio con Evelino 29 Pidò, a Parigi con Christophe Rousset). Restando al Settecento fanno inoltre parte del suo repertorio lo Stabat Mater e l’opera Il Flaminio di Pergolesi. Tra i personaggi verdiani è stata più volte Desdemona in Otello (Festival di Salisburgo e Teatro Regio con Claudio Abbado, Metropolitan con James Levine, Opéra di Parigi, Bruxelles con Pappano, Vienna, Nizza e Firenze con Mehta), Amelia in Simon Boccanegra (Opéra di Parigi e Teatro Regio, New York e Boston con Levine), Alice in Falstaff (Teatro Regio con Noseda, Teatro dell’Opera di Roma con Gatti, Maggio Musicale Fiorentino con Pappano, Covent Garden con Haitink, Opera di Zurigo), Elisabetta in Don Carlo (debutto a Firenze con Zubin Mehta, poi a New York e al Teatro Regio con Noseda per i quarant’anni dalla rinascita), Luisa in Luisa Miller (Covent Garden, Opera di Zurigo), Leonora in Trovatore (Teatro alla Scala), Medora nel Corsaro (Teatro Regio). Del repertorio francese ha interpretato Carmen (New York e Londra), Antonia in Les Contes d’Hoffmann e Marguerite nel Faust; ha inoltre debuttato al Teatro Regio in una nuova produzione di Thaïs. Quale interprete pucciniana è stata molte volte Mimì in Bohème, applaudita fra le altre a Vienna, New York, Zurigo e, nel 2010, a Tokyo e Yokohama in occasione nella prima tournée in Oriente del Teatro Regio; ha interpretato Suor Angelica nel Trittico e Liù in Turandot all’Opéra Bastille con Georges Prêtre, in una tournée con il Maggio Musicale Fiorentino e Zubin Mehta e al Gran Teatre del Liceu di Barcellona, dove è stata anche protagonista di Adriana Lecouvreur. Brillante e intensa anche la sua attività concertistica, ha collaborato con le orchestre più prestigiose e con i maggiori direttori del mondo. Numerose le sue interpretazioni del Requiem di Verdi, eseguito sotto la direzione di Riccardo Muti, Claudio Abbado, Riccardo Chailly, Zubin Mehta, Valerij Gergiev, Antonio Pappano, Gianandrea Noseda insieme a complessi come Berliner Philharmoniker, Wiener Philharmoniker, Chicago Symphony Orchestra, Orchestra Filarmonica della Scala, Boston Symphony Orchestra. Il suo repertorio comprende inoltre Ein Deutsches Requiem di Brahms, la Messa in do minore k 427 di Mozart (London Symphony con Colin Davis), il già citato Stabat Mater di Pergolesi e quello di Rossini (Royal Concertgebouw con Riccardo Chailly), la Quarta Sinfonia di Mahler (Royal Concertgebouw con Bernard Haitink). Tra gli impegni futuri ricordiamo La bohème, Mefistofele e Pagliacci al Metropolitan di New York, Suor Angelica al Liceu di Barcellona, Simon Boccanegra e Così fan tutte alla Staatsoper di Vienna. 30 L’americana Marianne Cornetti è riconosciuta a livello internazionale come una dei più grandi mezzosoprano verdiani del mondo. Ha interpretato Amneris in Aida, Azucena nel Trovatore ed Eboli nel Don Carlos nei teatri di Milano, Londra, New York, Vienna, Monaco di Baviera, Roma, Berlino, Bruxelles, Firenze, Verona, Barcellona, Napoli, Palermo, Tokyo e in molti altri. Nel 2005 ha cantato per la prima volta in un ruolo wagneriano interpretando Ortrud nel Lohengrin al Teatro Verdi di Trieste e ha poi continuato il suo percorso in questo repertorio con il debutto come Brangäne in Tristan und Isolde al Teatro dell’Opera di Roma. Da allora è stata Ortrud ad Amsterdam, Parigi e Palermo, e Brangäne a Genova. Il suo repertorio veristico include invece la principessa di Bouillon in Adriana Lecouvreur (Barcellona, Roma, Torino, Amsterdam), Santuzza in Cavalleria rusticana (Milano) e Rosa nell’Arlesiana di Cilea, opera che ha cantato con grande successo a Montpellier e alla Carnegie Hall di New York. Ha poi interpretato il ruolo del titolo nella Gioconda all’Opera di Roma, a Palermo e a Timişoara. Appena terminata la tournée in Giappone con il Teatro Regio (durante la quale ha cantato Ulrica nel Ballo in maschera), i prossimi impegni prevedono Lady Macbeth in Macbeth, Laura nella Gioconda con la Deutsche Oper di Berlino e Azucena nel Trovatore al Gran Teatro Nazionale Cinese di Pechino e al Theatro Municipal di San Paolo in Brasile. Marianne Cornetti ha iniziato la sua carriera professionale, come Giulietta Simionato prima di lei, portando in scena ruoli secondari in importanti teatri quali il Metropolitan, il Pittsburgh Opera Center e la Wolf Trap Foundation di Vienna. Le sue esibizioni nei panni di Azucena al Teatro alla Scala, all’Arena di Verona e all’Opera di Roma le hanno portato un riconoscimento internazionale. Il suo repertorio sul fronte lirico-sinfonico contempla la Messa da requiem di Verdi, la Nona Sinfonia di Beethoven, lo Stabat Mater di Rossini, Sea Pictures di Elgar e El amor brujo di de Falla. Ha registrato L’Arlesiana di Cilea ed Edgar di Puccini insieme a Plácido Domingo. Acclamato in tutti i teatri del mondo, Marcelo Álvarez è riconosciuto a livello internazionale come uno dei più importanti tenori della scena contemporanea. Dopo aver debuttato al Teatro La Fenice nella Sonnambula nel 1995, Álvarez ha consolidato la sua fama in ruoli quali Werther (Genova, Bruxelles), Romeo (Vienna, Monaco), Faust (Monaco, Napoli), Edgardo in Lucia (Tolosa, Trieste, Cagliari, Napoli, Parigi, New York, Monaco, Londra, Chicago), Alfredo nella Traviata (Amburgo, Genova, Venezia, Londra, Vienna, Parigi, New York, Berlino, Firenze), il Duca in Rigoletto (Trieste, Tolosa, Verona, Buenos Aires, Barcellona, Milano) e Rodolfo nella Bohème. A partire dal 1997 si sono succeduti molti significativi debutti: Arturo nei Puritani al Teatro Comunale di Bologna, Linda di Chamounix al Teatro alla Scala e con l’Orchestra of the Age of Enlightenment a Londra, Falstaff alla Staatsoper di Berlino in una nuova produzione diretta da Claudio Abbado. Nel 2000 ha debuttato al Covent Garden nel suo primo Hoffmann e alla Bayerische Staatsoper di Monaco con una nuova produzione di Faust. Nel 2005 Álvarez ha cantato il suo primo Gustavo in Un ballo in maschera al Covent Garden, teatro che l’ha visto esordire l’anno seguente come Cavaradossi in Tosca; sempre nel 2006 ha debuttato come Manrico nel Trovatore al Teatro Regio di Parma e nel 2007 con Don José nella Carmen a Tolosa. Al Teatro Regio, dove ha cantato per la prima volta nel 2006 nella Bohème “olimpica”, ha debuttato nel ruolo di Maurizio in Adriana Lecouvreur nel 2009, prima di esordire nel ruolo del titolo in Andrea Chénier a Parigi, seguito dal suo primo Radamès nell’Aida, ancora al Covent Garden e poi al Metropolitan di New York. Ancora a Parigi ha debuttato nel 2011 come Don Alvaro nella Forza del destino. Da allora ha ricevuto i maggiori elogi per le sue interpretazioni del repertorio verdiano, cui si affiancano i successi come tenore pucciniano: è stato Cavaradossi alla Scala, al Metropolitan, alla Deutsche Oper di Berlino, a Torino e a Parma, oltre che nella recentissima tournée del Regio in Giappone. Il suo Don José è stato applaudito a Londra, Firenze, Valencia, Roma, Tokyo e Zurigo. È ospite fisso all’Arena di Verona, dove ha interpretato praticamente tutto il suo repertorio. Nel corso della stagione 2012-2013 è ritornato al Metropolitan come protagonista di una nuova produzione di Un ballo in maschera, titolo affrontato anche alla Scala di Milano. Dopo aver interpretato Chénier a Torino, ha aggiunto un altro nuovo ruolo nel suo repertorio: Enzo Grimaldo in una nuova produzione della Gioconda di Ponchielli all’Opéra di Parigi. Gli impegni della stagione 2013-2014 lo vedranno, per citarne alcuni, tornare alla Scala come Manrico, al Metropolitan come Chénier e all’Opéra di Parigi come Radamès. Nato a Córdoba in Argentina, Álvarez ha iniziato lo studio della musica classica intorno ai vent’anni, quando era già un affermato uomo d’affari. Una volta presa la decisione di intraprendere la carriera operistica, vendette la sua azienda, lasciò l’Argentina e arrivò in Italia nel 1995. Nel giro di un mese dal suo arrivo, il suo calendario era già pieno di offerte in tutta Europa, e non solo, per i due anni successivi: nell’arco di poco tempo la sua fama si era già accresciuta a livello internazionale. Nato a San Secondo Parmense, diplomatosi presso il Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, Luca Salsi ha debuttato giovanissimo presso il Teatro Comunale di Bologna nella Scala di seta di Rossini (1997). La rapida e intensa carriera l’ha condotto in breve tempo su alcuni dei maggiori palcoscenici del mondo, fra i quali Metropolitan, Teatro alla Scala, Washington Opera, Los Angeles Opera, New Israeli Opera, Staatsoper di Berlino, Liceu di Barcellona, Maggio Musicale Fiorentino, Opera di Roma, Regio di Parma, San Carlo di Napoli, Filarmonico di Verona, Massimo di Palermo e Festival Puccini di Torre del Lago. Ha collaborato con importanti direttori d’orchestra, fra i quali James Conlon, Daniele Gatti, Plácido Domingo, Gustavo Dudamel, Nicola Luisotti, Riccardo Muti, Renato Palumbo, Donato Renzetti e Alberto Zedda, nonché con prestigiosi registi quali Daniele Abbado, Robert Carsen, Hugo de Ana, Antony Minghella, Giuseppe Patroni Griffi, Lamberto Puggelli, Maurizio Scaparro e Franco Zeffirelli. Il suo repertorio include ruoli come Sharpless in Madama Butterfly (New York, Washington, Berlino, Seul e Torre del Lago), Marcello nella Bohème (Washington, Los Angeles, Milano, Palermo, Napoli e Torre del Lago), Ford in Falstaff (Bari e Cagliari), Figaro nel Barbiere di Siviglia (Bologna, Genova, Tenerife e Cagliari), Belcore nell’Elisir d’amore (Bilbao), Valentin in Faust (Parma), il ruolo del titolo in Gianni Schicchi (Napoli), Rigoletto (Trieste) e Macbeth (Jesi, Firenze), Conte di Luna nel Trovatore (Bologna), Germont nella Traviata (Ancona, Macerata), Ezio in Attila (Verona), Don Carlo nella Forza del destino (Barcellona, Buenos Aires) e Frank in Edgar (Torre del Lago). Fra i suoi recenti successi, il ruolo del titolo in Macbeth a Chicago con la direzione di Riccardo Muti. In seguito è tornato alla Washington Opera con La forza del destino nella parte di Don Carlo e al Teatro dell’Opera di Roma con Ernani (Don Carlo), sempre con la direzione di Riccardo Muti. Dopo il debutto al Teatro Regio in questa occasione, i prossimi impegni lo vedranno in Rigoletto al Teatro dell’Opera di Roma, in Adriana Lecouvreur (Michonnet) a Bilbao, in Luisa Miller (Miller) all’Opéra di Losanna, nel Ballo in maschera (Renato) a Karlsruhe, nel Nabucco (ruolo del titolo) in tour in 31 Giappone con il Teatro dell’Opera di Roma, nella Bohème (Marcello) al Metropolitan, nella Forza del destino al Festival di Salisburgo, infine come Nabucco e Macbeth al Liceu di Barcellona. Claudio Fenoglio, nato nel 1976, si è diplomato con il massimo dei voti e la lode in Pianoforte e in Musica corale e direzione di coro; si è inoltre laureato in Composizione. Ha studiato principalmente con Laura Richaud, Franco Scala, Giorgio Colombo Taccani e Gilberto Bosco, frequentando numerosi corsi di perfezionamento. Parallelamente agli studi accademici ha iniziato l’attività in ambito operistico come Maestro sostituto per poi specializzarsi nella direzione di coro. È stato Aiuto Maestro del coro presso il Teatro Massimo di Palermo affiancando per due anni Franco Monego. Nel 2002 è stato chiamato al Teatro Regio come Assistente del Maestro del coro Claudio Marino Moretti e successivamente di Roberto Gabbiani. A partire dal 2007 ha cominciato l’attività come Altro Direttore del coro, alternandosi al Direttore principale in alcune produzioni della Stagione del Regio e collaborando con il Coro Filarmonico dello stesso Teatro. Nel novembre 2010 è stato nominato Direttore del Coro del Teatro Regio, incarico che mantiene tuttora accanto a quello di Maestro del Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi” di Torino. L’Orchestra del Teatro Regio è l’erede del complesso fondato alla fine dell’Ottocento da Arturo Toscanini, sotto la cui direzione vennero eseguiti numerosissimi concerti e molte storiche produzioni operistiche, quali la prima italiana del Crepuscolo degli dèi di Wagner e le prime assolute di Manon Lescaut e Bohème di Puccini. Nel corso della sua lunga storia ha dimostrato una spiccata duttilità nell’affrontare il grande repertorio così come molti titoli del Novecento, anche in prima assoluta, come Gargantua di Corghi e Leggenda di Solbiati. L’Orchestra si è esibita con i solisti più celebri e alla guida del complesso si sono alternati direttori di fama internazionale come Roberto Abbado, Ahronovič, Bartoletti, Bychkov, Campanella, Gelmetti, Gergiev, Oren, Pidò, Sado, Steinberg, Tate e infine Gianandrea Noseda, che dal 2007 ricopre il ruolo di Direttore musicale del Teatro Regio. Ha inoltre accompagnato grandi compagnie di balletto come quelle del Bol’šoj di Mosca e del Mariinskij di San Pietroburgo. Numerosi gli inviti in festival e teatri stranieri; negli ultimi cinque anni, in particolare, è stata ospite 32 con il maestro Noseda in Germania (Wiesbaden, Dresda), Spagna (Madrid, Oviedo, Saragozza e altre città), Austria (Wiener Konzerthaus), Francia (due volte al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi). Nell’estate del 2010 ha tenuto una trionfale tournée in Giappone e in Cina con Traviata e Bohème, un successo ampiamente bissato nel 2013 con il recentissimo “Regio Japan Tour”: nove date a Tokyo con Tosca, Messa da requiem, Un ballo in maschera e un Gala Rossini. L’Orchestra e il Coro del Teatro figurano oggi nei video di alcune delle più interessanti produzioni delle ultime stagioni: Medea, Edgar, Thaïs, Adriana Lecouvreur, Boris Godunov, Un ballo in maschera e I Vespri siciliani. Tra le incisioni discografiche più recenti, tutte dirette da Gianandrea Noseda, figurano, per Deutsche Grammophon, due cd dedicati a Verdi con Rolando Villazón e Anna Netrebko e uno mozartiano con Ildebrando D’Arcangelo; per Chandos, Quattro pezzi sacri di Verdi e un disco dedicato a Petrassi. Fondato alla fine dell’Ottocento e ricostituito nel 1945 dopo il secondo conflitto mondiale, il Coro del Teatro Regio è uno dei maggiori cori teatrali europei. Sotto la guida di Bruno Casoni (19942002) ha raggiunto un alto livello internazionale, dimostrato anche dall’esecuzione dell’Otello di Verdi sotto la guida di Claudio Abbado e dalla stima di Semyon Bychkov che, dopo averlo diretto al Regio nel 2002 per la Messa in si minore di Bach, lo ha invitato a Colonia per l’incisione della Messa da requiem di Verdi ed è tornato a coinvolgerlo nel 2012 in un concerto brahmsiano con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Il Coro è stato diretto successivamente da Roberto Gabbiani, che ne ha incrementato ulteriormente lo sviluppo artistico, mentre nel novembre 2010 l’incarico è stato assegnato a Claudio Fenoglio. Oltre alla Stagione d’Opera, il Coro svolge inoltre una significativa attività concertistica e figura in diverse registrazioni discografiche, ultime delle quali Boris Godunov di Musorgskij, Un ballo in maschera, Vespri siciliani e Quattro pezzi sacri di Verdi, Magnificat e Salmo IX di Petrassi con l’Orchestra del Regio diretta da Gianandrea Noseda. Il Coro ha preso parte alle numerose tournée del Teatro Regio in tutta Europa (ultima delle quali l’ospitalità al festival di Verbier nell’agosto del 2013 per il Requiem verdiano) e nelle due trasferte in Oriente: in Cina e Giappone nel 2010 e a Tokyo nel 2013, con diverse produzioni operistiche e concerti lirico-sinfonici. Teatro Regio Walter Vergnano, Sovrintendente Gianandrea Noseda, Direttore musicale Orchestra Violini primi Sergey Galaktionov•, Stefano Vagnarelli•, Marina Bertolo, Monica Tasinato, Claudia Zanzotto, Elio Lercara, Carmen Lupoli, Enrico Luxardo, Miriam Maltagliati, Alessio Murgia, Paola Pradotto, Laura Quaglia, Daniele Soncin, Giuseppe Tripodi, Francesca Viscito, Roberto Zoppi Violini secondi Marco Polidori•, Cecilia Bacci•, Tomoka Osakabe, Bartolomeo Angelillo, Silvana Balocco, Paola Bettella, Maurizio Dore, Silvio Gasparella, Ekaterina Gouliagina, Fation Hoxolli, Marcello Iaconetti, Roberto Lirelli, Anselma Martellono, Ivana Nicoletta Viole Armando Barilli•, Enrico Carraro•*, Alessandro Cipolletta, Gustavo Fioravanti, Tamara Bairo, Rita Bracci, Maria Elena Eusebietti, Alma Mandolesi, Franco Mori, Roberto Musso, Alessandro Sacco, Claudio Vignetta, Giuseppe Zoppi Violoncelli Relja Lukic•, Davide Eusebietti, Giulio Arpinati, Augusto Gasbarri, Alfredo Giarbella, Armando Matacena, Luisa Miroglio, Marco Mosca, Paola Perardi, Nasim Saad Contrabbassi Davide Botto•, Davide Ghio•, Atos Canestrelli, Alessandro Belli, Fulvio Caccialupi, Vito Galante, Michele Lipani, Stefano Schiavolin Ottavino Roberto Baiocco Flauti Federico Giarbella•, Maria Siracusa Oboi Andrea De Francesco•, Stefano Simondi Corno inglese Alessandro Cammilli Clarinetti Alessandro Dorella•, Luciano Meola Clarinetto basso Edmondo Tedesco Fagotti Andrea Azzi•, Orazio Lodin Controfagotto Sergio Pochettino Corni Natalino Ricciardo•, Evandro Merisio, Pierluigi Filagna, Eros Tondella Trombe Sandro Angotti•, Paolo Paravagna Trombe egizie Ivano Buat•, Lorenzo Bonaudo, Enrico Negro, Gianluigi Petrarulo, Marco Rigoletti, Luca Saglietti Tromboni Gianluca Scipioni•, Enrico Avico, Marco Tempesta Tuba Rudy Colusso Timpani Ranieri Paluselli• Percussioni Lavinio Carminati, Massimiliano Francese, Sergio Meola, Fiorenzo Sordini Arpa Elena Corni• Organo Giannandrea Agnoletto Coro Soprani Sabrina Amè, Chiara Bongiovanni, Anna Maria Borri, Caterina Borruso, Sabrina Boscarato, Eugenia Braynova, Serafina Cannillo, Cristina Cogno, Cristiana Cordero, Eugenia Degregori, Alessandra Di Paolo, Manuela Giacomini, Federica Giansanti, Rita La Vecchia, Laura Lanfranchi, Paola Isabella Lopopolo, Maria de Lourdes Martins, Silvia Spruzzola, Pierina Trivero, Giovanna Zerilli Mezzosoprani/Contralti Cristiana Arri, Angelica Buzzolan, Shiow-hwa Chang, Ivana Cravero, Corallina Demaria, Maria Di Mauro, Roberta Garelli, Rossana Gariboldi, Elena Induni, Antonella Martin, Raffaella Riello, Myriam Rossignol, Marina Sandberg, Teresa Uda, Daniela Valdenassi, Tiziana Valvo, Barbara Vivian Tenori Pierangelo Aimé, Janos Buhalla, Marino Capettini, Gian Luigi Cara, Antonio Coretti, Diego Cossu, Luis Odilon Dos Santos, Alejandro Escobar, Giancarlo Fabbri, Sabino Gaita, Mauro Ginestrone, Roberto Guenno, Leopoldo Lo Sciuto, Vito Martino, Matteo Mugavero, Matteo Pavlica, Dario Prola, Francesco Santoli, Gualberto Silvestri, Sandro Tonino, Franco Traverso, Valerio Varetto Baritoni/Bassi Leonardo Baldi, Mauro Barra, Lorenzo Battagion, Enrico Bava, Giuseppe Capoferri, Massimo Di Stefano, Umberto Ginanni, Desaret Lika, Luca Ludovici, Riccardo Mattiotto, Davide Motta Fré, Gheorghe Valentin Nistor, Mirko Quarello, Franco Rizzo, Enrico Speroni, Marco Sportelli, Marco Tognozzi, Vincenzo Vigo • Prime parti Si ringrazia la Fondazione Pro Canale di Milano per aver messo i propri strumenti a disposizione dei professori Sergey Galaktionov (violino Giovanni Battista Guadagnini, Torino 1772), Stefano Vagnarelli (violino Francesco Ruggeri, Cremona 1686), Cecilia Bacci (violino Santo Serafino, Venezia 1725), Enrico Carraro (viola Giovanni Paolo Maggini, Brescia 1600 ca.) e Marina Bertolo (violino Carlo Ferdinando Landolfi, Milano 1751). Si ringrazia la Fondazione Zegna per il contributo dato al vincitore del Concorso per Prima viola*. In copertina: Verdi 200. Tribute to Andy di Francesco Panico / Mood Design per Teatro Regio © Fondazione Teatro Regio di Torino Prezzo: € 2 3 Per condividere una passione Diventiamo Amici Nel 2012 è rinata l’Associazione Amici del Regio con nuove finalità: costituire un gruppo di persone che amano l’arte, la cultura e la musica e che vogliono dedicare la propria passione al sostegno del Teatro Regio. Sul modello di analoghe Associazioni createsi intorno ai più importanti teatri nel mondo, gli Amici del Regio intendono raccogliere fondi per contribuire a iniziative specifiche, dando così nuovi impulsi all’attività del Teatro. Una realtà, quella del Regio, che emerge nel panorama internazionale per l’altissimo prestigio artistico, come dimostrano i riconoscimenti raccolti nelle tournée che lo hanno visto protagonista in Europa, in Cina e in Giappone; le importanti produzioni immortalate in cd e dvd di successo; le numerose coproduzioni con i più celebri teatri italiani ed europei. Oltre al prestigio artistico, il Teatro Regio si distingue per un’attentissima gestione delle risorse. Grazie al lavoro di tutti, è stato infatti possibile mantenere alta l’offerta culturale e assicurare un equilibrio economico-finanziario anche in presenza dei consistenti tagli ai finanziamenti avvenuti negli ultimi anni. I Soci, oltre a entrare a far parte attivamente della vita del Teatro, usufruiscono di una serie di benefit tra i quali: guardaroba riservato, possibilità di assistere alle prove generali, cd e dvd in omaggio con le produzioni più recenti del Teatro e molto altro ancora. Per informazioni e adesioni: [email protected] Tel. 011.8815.223 - www.teatroregio.torino.it/amici