Auguri
di
Buone Feste
A
VIII .1
D
2013
ANNO VIII - DICEMBRE 2013
SOMMARIO
E
Natale,festadellasemplicità,dellapovertàe
dellagioia
P
V alkm0……SantiagodeCompostela
IL MOSCATI
ANNO VIII - N. 1
DICEMBRE 2013
A CURA DELLA REDAZIONE
DELLA COMUNITÀ PARROCCHIALE
S. GIUSEPPE MOSCATI
VIA LIBERO LEONARDI, 41
00173 - ROMA
TEL/FAX 06 7215571
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G. LUCARELLI, A. MANNU,
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L. PARADISI
F
Siriapaesedelmale
pag.5
pag.6
A
Ilfenomenodel“femminicidio”
EvangeliiGaudium
pag.8
pag.10
V Piccolodiariodellavitacomunitaria
pag.12
L L’eucarestiafalaChiesa-parteottava
pag.15
C
Esultate!200anniconGiuseppeVerdi
Luoghinascostid’Italia
pag.17
pag.18
C
LoSfratto
pag.15
TERRITORIO E CITTADINANZA
Festeericorrenze
pag.20
S
Fratellimaggiori-quattordicesimaparte
pag.21
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nella causale del versamento
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La presente pubblicazione non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene pubblicata senza alcuna
periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001
Editoriale
NATALE, FESTA DELLA SEMPLICITÀ,
DELLA POVERTÀ E DELLA GIOIA
"Parlando con un anziano della nuova parrocchia di San Benedetto, qui a Pinheiro, su come vivere la festa di Natale, nella sua semplice sapienza, mi diceva che in questi tempi il Natale appare più come una
festa sperata e attesa in cui ciascuno nel suo sogno alimenta il desiderio di trasformare e migliorare la
sua vita sempre monotona e grigia, per poi invece ritornare al solito tram tram di ogni giorno già a partire dal 26 dicembre.
Allora, per comprendere meglio il mistero del Natale, dovremmo abbandonare la nostra fantasia e mettere i piedi per terra, come si è soliti dire qui in Brasile. Infatti, il Vangelo secondo Luca ci offre un'impressione di luminosità e di serenità: una grande luce compare sulla terra, si ode il cantico di pace di una
moltitudine dell'esercito celeste, mentre con i pastori andiamo ad adorare il bambino che è nato e incontriamo Maria e Giuseppe che contemplano il loro primogenito. Del resto, sempre nella nostra fantasia, il
presepio è composto di molte immagini, di diversa grandezza e misura: ma l’essenziale è che tutti guardino allo stesso punto, alla capanna dove Maria e Giuseppe attendono la nascita di Gesù o lo adorano nei
primi momenti dopo la sua nascita.
Tutto questo è vero e fa parte del mistero del Natale. Ma è importante anche ricordare il contesto oscuro
in cui tutto ciò avviene. Non si può dire che il contesto del primo Natale fosse un contesto di luce e di
serenità, ma piuttosto di oscurità, di dolore e anche di disperazione.
Anche oggi, come allora, possiamo lamentarci di vivere in un periodo particolarmente oscuro e difficile.
D'altra parte è difficile che si possa trovare nella storia dell'umanità un contesto veramente favorevole
all'uomo e alla sua dignità.
Questo fa parte del mistero del peccato, che è un mistero di assurdità e di irrazionalità. In tale quadro
possiamo chiederci: come opera il mistero del Natale? Come questo Natale ci può far affrontare questo
contesto ostile o indifferente? Che cosa sa dire per il vero bene e la dignità dell'uomo?
In primo luogo appare chiaro che il mistero del Natale è un mistero di modestia e di piccolezza. Non ha la
pretesa di introdurre modifiche di grande livello, che mutino il contesto in tempi brevi. E tuttavia il mistero del Natale introduce nel cammino storico dell'uomo alcuni atteggiamenti che riguardano ogni tempo e
situazione. Segnalo tre atteggiamenti di speranza.
Anzitutto un crescente amore e desiderio della Parola di
Dio, specialmente di quella contenuta nella Bibbia. Soprattutto vorrei ricordare, in questo amore alla Parola di Dio, la
crescente capacità dei laici di leggere le Scritture e di pregare a partire da esse: questo, a mio parere, è un segnale
di ri-nascita e di speranza che non deluderà.
Vorrei ricordare, come secondo segnale, la nascita della
nuova parrocchia di San Benedetto, qui a Pinheiro. Nei villaggi che ne fanno parte, ho avuto modo di sperimentare
come veramente il mistero del Natale è un mistero di povertà e di impoverimento: Cristo, da ricco che era, si fece
povero per noi, per farsi simile a noi, per amore nostro e
soprattutto per amore dei più poveri.
Tutto qui è povero, semplice e umile. La semplicità della
fede illumina tutta la vita e ci fa accettare con docilità le grandi cose di Dio.
Povertà, semplicità, gioia: sono parole semplicissime, elementari, ma di cui abbiamo paura e quasi vergo-
gna. Ci sembra che la gioia perfetta non vada bene, perché sono sempre tante le cose per cui preoccu-
Il Moscati Anno VIII n. 1
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Editoriale
parsi, sono tante le situazioni sbagliate, ingiuste. Come potremmo di fronte a ciò godere di vera gioia?
Ma anche la semplicità non va bene, perché sono anche tante le cose di cui diffidare, le cose complicate,
difficili da capire, sono tanti gli enigmi della vita: come potremmo di fronte a tutto ciò godere del dono
della semplicità?
E la povertà non è forse una condizione da combattere e da estirpare dalla terra?
Ma gioia profonda vuol dire semplicemente fidarsi di Dio, sapere che Dio sa tutte queste cose, che ha
cura di noi e che susciterà in noi e negli altri quei doni che la storia richiede. Ed è così che nasce lo spirito
di povertà: nel fidarsi in tutto di Dio. In Lui noi possiamo godere di una gioia piena, perché abbiamo toccato il Verbo della vita che risana da ogni malattia, povertà, ingiustizia, morte.
Se tutto è in qualche modo così semplice, deve poter essere semplice anche il crederci. Sentiamo spesso
dire oggi che credere è difficile in un mondo così, che la fede rischia di naufragare nel mare dell’indifferenza e del relativismo odierno.
Credere è in fondo un gesto semplice, un gesto sia del cuore che si butta sia di una parola che proclama:
Gesù è Signore! È un atto talmente semplice che non distingue fra dotti e ignoranti, tra persone che hanno compiuto un cammino di fede o che devono ancora compierlo. Il Signore è di tutti, è ricco di amore
verso tutti coloro che lo invocano.
La fede, ripeto, è semplice, è un atto di abbandono, di fiducia, e dobbiamo ritrovare questa semplicità.
Essa illumina tutte le cose e permette di affrontare la complessità della vita senza troppe preoccupazioni
o paure.
Per credere non si richiede molto. Ci vuole il dono dello Spirito Santo che Egli non fa mancare ai nostri
cuori e da parte nostra occorre fare attenzione a pochi segni ben collocati, ai piccoli segni, piccoli come
quelli del presepio. Talora noi siamo alla ricerca di segni complicati. Ma può bastare poco per credere se il
cuore è disponibile e se si dà ascolto allo Spirito.
Ma soprattutto vorrei menzionare, come terzo segno, quello promosso dall'organizzazione Pakistan for
all (il Pakistan per tutti), realizzando a partire dal mese di ottobre una catena umana per proteggere i
fedeli cattolici convenuti per la Messa domenicale: “Musulmani e cristiani, insieme. Una sola nazione, un
solo sangue”, recitava uno striscione.
Infatti, una catena di "scudi umani " formata da circa 300 musulmani aveva protetto una chiesa cristiana
in cui era in corso la Messa per evitare possibili attacchi terroristici. L'iniziativa, portata avanti dal gruppo
Pakistan for all, favorevole al dialogo interreligioso, ha visto la partecipazione di un Mufti che ha letto
alcuni brani del Corano sulla tolleranza e la pace, ed è stata applaudita dal sacerdote che aveva celebrato
la funzione. I due religiosi, poi, si sono stretti la mano mentre i partecipanti al raduno innalzavano cartelli: che bel segno di Natale!
Questa serie di gesti mi sono sembrati fiori purissimi germinati per opera dello Spirito Santo, che mostra
la sua presenza anche nelle pieghe più difficili del mondo di oggi. Si tratta di famiglie che si sono cercate,
hanno parlato e pianto insieme, e hanno elaborato insieme iniziative di pace e di riconciliazione coinvolgendo anche altri.
Questo fiore del Vangelo nato in un terreno non cattolico mi è sembrato un segnale importantissimo della
presenza di Dio in ogni cuore e mi dà motivo di speranza anche in un contesto oscuro e difficile come il
nostro.
È con questa riflessione che voglio augurarvi un gioioso Natale, un Natale vero, all'insegna della speranza
di incontrare Gesù.
Mario – sacerdote Fidei Donum in Brasile
È con questa riflessione che desidero, insieme a d. François, d. Luca, d. Cristiano e
d. Ricardo, augurarCI un gioioso e vero Natale, in cui poter cogliere segnali della
presenza di Dio che siano per ciascuno motivo di speranza.
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don Alessandro
Il Moscati Anno VIII n. 1
Prima la Vita
Km 0
: siamo davanti all'ultima pietra miliare del Cammino di Santiago e
abbiamo tutti un unico pensiero "ce l'abbiamo
fatta"........siamo 8 moscatini che ad agosto abbiamo percorso i 225 km che vanno da Ponferrada a Santiago de Compostela; uno degli itinerari
che aveva percorso San Giacomo nel suo annuncio di evangelizzazione in Spagna; lo stesso pellegrinaggio che poi aveva fatto S. Francesco e che
nei secoli è stato battuto da milioni di pellegrini.
E di pellegrini ne abbiamo incontrati tantissimi: chi
viaggiava in gruppo, come noi; chi da solo ma che
poi inevitabilmente è
diventato uno di noi.
Pellegrini lo siamo stati
anche noi nell'aver sperimentato tante cose tra
cui la Provvidenza ogni
giorno.
Di tappa in tappa è possibile prenotare un ostello
dove dormire; la scelta di
noi moscatini è stata
quella di non prenotare
mai per poter sperimentare ogni giorno la sensazione di essere condotti da Lui e di poter approdare dove Lui ci avrebbe fatto trovare rifugio.
Ed è sempre stato così anche il giorno in cui proprio non si trovava posto, abbiamo trovato molto
di più: la casa di una famiglia che ha messo tutta
se stessa a nostra disposizione.
E mentre dormi in posti diversi, passi un sentiero,
incontri pellegrini che ti dicono Buen Camino,
nell'anima risuonano solo le parole del salmo "il
Signore è davvero il mio pastore, con Lui non
manco di nulla e per me Lui prepara la mensa"
perché l'esperienza del pellegrino è scoprire come
nell'essenziale possiamo trovare tutto!
Km 0, siamo tutti lì a guardarlo con la consapevolezza che non è il punto di arrivo ma il punto da
cui tutti ripartiremo con le nostre vite perché la
strada ce lo ha insegnato così come la Vita: quando pensiamo di essere arrivati chissà dove, è il
momento in cui dobbiamo ripartire, in cui possiamo reinventarci…
E il cammino di Santiago tra le altre, ti fà fare
anche questa esperienza, di reinventarsi sempre:
puoi partire con un'idea, un'aspettativa ma il pellegrinaggio te ne svela altre: prima tra tutte, co-
Il Moscati Anno VIII n. 1
me gruppo, che il cammino era fatto da noi ma
condiviso da tutta la Comunità SGM: noi eravamo
i piedi che sono arrivati alla tomba di S. Giacomo,
siamo state le mani che hanno pregato le intenzioni affidate, siamo stati gli occhi alzati al cielo
quando il Botafumero spargeva tutto il suo pregiato incenso, ma la Comunità, i volti, le storie di
tutti, erano lì alla Sua presenza........
Km 0 pensi di dover andare avanti quando nella
vita capita a tutti di sentirci un po' a zero e sul
cammino scopri che per capire dove sei e il senso
della tua storia, devi riguardare il percorso fatto,
riguardare e accettare la
nostra storia, viverne le
paure e le zone d'ombra,
tutto è necessario per
farci pace, per trovare il
senso, per non portarsi
pesi inutili nello zaino,
perché lo zaino ha il suo
peso ogni giorno e tappa
dopo tappa devi arrivarci
al giorno dopo.....e il tuo
zaino è solo tuo perché
certe responsabilità sono
proprie.. il tuo compagno
di viaggio ha il suo e per
un attimo può portarne due, ma solo per un attimo... il cammino è insieme non è mai al posto
di....ne dividi la bellezza, la fatica, i passi che ad
un certo punto hanno lo stesso suono all'unisono,
ma sono diversi... nella diversità ti accompagni e
ti capisci perché osservi il cammino del compagno, non pretendi di sostituirti.....
E la Vita in fondo è questa, l'Amore è questo: non
decisione ma accoglienza, quando l'Altro bussa!
Santiago ti lascia il desiderio del camminare, ti fa’
portare a casa quella sensazione a cui attingere
quando il mondo intorno sembra andare troppo
veloce, quella sensazione dove tutto sembra fuori
dal tempo, dove possiamo fermarci, ritrovare il
nostro giusto respiro per avere ancora la forza di
andare, perché non conta il mal di piedi ma solo
la ricchezza dell'esperienza interiore e delle relazioni con gli altri: negli occhi degli altri, in uno
sguardo, puoi trovare tante volte il coraggio di
andare.............
Santiago è tutto questo!!
Loredana Pisapia
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Finestra sul Mondo
C
Siria paese del male
entinaia di migliaia di vittime, due
milioni di profughi rifugiati in Egitto,
Turchia, Libano e Giordania. Oltre
11 mila i bambini morti dall'inizio del conflitto, spesso uccisi da bombe ma anche finiti nel
mirino di cecchini e a volte torturati. Sono le
cifre della guerra in Siria.
Riportiamo alcuni intensi passaggi dell’intervista rilasciata a Ballarò da Domenico Quirico,
152 giorni di prigionia, piccole camere buie
dove combattere contro il tempo e la paura e
le umiliazioni, la fame, la mancanza di pietà,
due false esecuzioni, due evasioni fallite, il
silenzio; di Dio, della famiglia, degli altri, della vita.
Ostaggio in Siria, tradito dalla rivoluzione che
non è più ed è diventata fanatismo e lavoro
di briganti. L’ostaggio piange e qui tutti ridono del suo dolore, considerato come prova di
debolezza.
La Siria è il Paese del Male; dove il Male
trionfa, lavora, inturgidisce come gli acini
dell’uva sotto il sole d’Oriente. E dispiega
tutti i suoi stati; l’avidità, l’odio, il fanatismo,
l’assenza di ogni misericordia, dove persino i
bambini e i vecchi gioiscono ad essere cattivi.
Dall’intervista di Giovanni Floris a Domenico Quirico (Ballarò 10 settembre 2013)
Esiste al mondo un paese in cui non c’è più la
pietà, non esiste più l’attenzione verso chi soffre, chi non ha nulla. Un paese in cui persino i
bambini e i vecchi hanno smarrito il sentimento
della solidarietà umana. In cui due anni di violenza, di guerra civile, hanno trasformato all’interno il rapporto tra l’uomo e ciò che lo circonda. Questa è la Siria di oggi.
Il rapimento è iniziato con un’imboscata nella
notte, l’8 di aprile, travestita da imboscata di
uomini del governo e del regime, ma in realtà
era semplicemente una finzione per cercare di coprire chi erano i veri responsabili di questa
operazione, cioè una banda di comuni banditi travestiti da islamisti rivoluzionari. Da quel momento, attraverso una serie di passaggi successivi e lunghi viaggi attraverso praticamente tutta la Siria, un quotidiano viaggio nell’umiliazione.
Un simbolo dell’esperienza di quei 5 mesi è una porta chiusa, che non si apre mai, e nello stesso tempo una porta che quando si apre è l’angoscia, perché non sai se chi entra viene a portarti la morte o portarti la liberazione ed è molto più probabile il primo caso che il secondo.
I miei carcerieri erano dei ragazzi, giovani, 20-30 anni non di più, tutti della zona dove il rapimento si è verificato. La loro giornata era assolutamente vuota, la passavano sdraiati sui loro
pagliericci fumando, bevendo mate, mangiando 4-5 volte al giorno, giocando con i loro telefonini e guardando alla televisione gli incontri di lotta americana o film sentimentali egiziani degli
anni ’50. Come vedete non erano islamisti.
Noi siamo stati rinchiusi sempre in piccole stanze con poca luce e con le finestre spesso chiuse,
in un calore insopportabile, gettati sul pavimento.
C’è ormai in Siria oggi un’industria del sequestro che riguarda gli occidentali, ma anche gli
stessi siriani, commercianti, persone più ricche. Quando sono entrato in Siria sono andato in
una cittadina dove c’è una splendida chiesa cattolica costruita su un antico tempio romano e
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Il Moscati Anno VIII n. 1
Finestra sul Mondo
ho parlato con il prete di questa chiesa
che mi ha detto: “stia attento, perché
qua non c’è la rivoluzione, qui ci sono
dei banditi che taglieggiano la popolazione, che ci costringono a pagare anche per lasciarci tranquilli. Non c’è nessun progetto politico per una società
nuova, per un’economia nuova”. E aveva ragione. La rivoluzione non c’è più
oggi in Siria. Oggi la Siria è diventato
un paese in cui non si potrà più andare, non si può più andare per raccontare cosa succede. È assolutamente impossibile fare giornalismo in Siria oggi, nessuno oggi in
Siria può garantirti la sicurezza.
Se ho imparato a odiare in questa esperienza è una domanda molto difficile. L’odio è la strada
più semplice. Persone che mi hanno rubato cinque mesi della mia vita, ma non soltanto a me,
l’hanno rubata alla mia famiglia, alle persone che mi vogliono bene. Mi hanno rubato libri che
non ho letto, libri che non ho scritto, articoli che non ho scritto. Sentimenti che non ho avuto e
che non ho dato. La vita. Cinque mesi sono tanti. Bisogna pensarla in termini di secondi, di
minuti, non di giorni o di mesi. Secondi e minuti rubati. Allora, boh, l’odio in fondo è una strada semplice. Io li odio? Rispondo di no. Ma non perché io sia un santo o perché io possa arrivare all’altra soluzione, che è quella del perdono, che è una soluzione troppo complicata e
troppo grande. Rispondo di no, perché io spero di accorgermi che questa esperienza tremenda
e terribile non mi ha reso peggiore di come ero prima, ma mi ha insegnato qualche cosa, mi
“...se io scegliessi l’odio, sarei un uomo peggiore di prima e
pagherei doppiamente questa esperienza e la pagherei anche per il
tempo che viene. Sarei come sequestrato ancora.”
ha reso migliore. E questo lo scoprirò soltanto nelle ore, nei giorni, nei mesi che verranno. In
questo momento non posso dirlo. Ma se io scegliessi l’odio, sarei un uomo peggiore di prima e
pagherei doppiamente questa esperienza e la pagherei anche per il tempo che viene. Sarei
come sequestrato ancora.
Non credo di aver commesso degli errori tecnici, nel senso dell’organizzazione di questo viaggio. Mi sono affidato come per le altre quattro volte alla “parte buona” di questa rivoluzione.
L’errore è stato di essere tradito dalla rivoluzione in cui io avevo creduto. Credevo che la rivoluzione siriana fosse l’evento che poteva trasformare radicalmente un mondo marcio e immobile, quello delle dittature araba, eccetera. Mi sono sbagliato. Questa rivoluzione, come quasi
tutte le rivoluzioni, ha una seconda fase in cui gli eroi, gli idealisti, i creatori di miti scompaiono, muoiono, vengono ingoiati dalla melma dei profittatori, degli sciacalli, dei lupi, di quelli che
usano la rivoluzione per la scalata sociale, per i loro progetti di fanatismo politico, per le loro
idee falsamente religiose. In questo senso io ho commesso un errore, nel non aver capito che
quella rivoluzione non c’era più e che era stata sostituita da qualcos’altro.
Credo che la ragione per cui sono stato sequestrato e la ragione per cui sono stato liberato è
probabilmente il più orribile, il più diffuso dei sentimenti umani: l’avidità.
Il Moscati Anno VIII n. 1
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Attualità
Il fenomeno del
“O
tempora, o mores” (Che tempi,
che costumi) urlava Cicerone contro Catilina, per denunciare il degrado morale e la corruzione dei suoi tempi.
Nonostante siano passati duemila anni, questa esclamazione è ancora tragicamente moderna per introdurre uno degli argomenti
attualmente più discussi: il tristissimo fenomeno del femminicidio, termine coniato in
questi ultimi anni dall’antropologa messicana
Marcella Lagarde con riferimento alla continua uccisione di
donne che si verifica al confine tra
Messico e Stati
Uniti.
Questo tristissimo
fenomeno compare
con sempre maggiore
frequenza
nelle cronache di
tutto il mondo, e
coinvolge in modo
trasversale i Paesi
avanzati
come
quelli in via di sviluppo, i ricchi come i poveri,
i colti come gli analfabeti. Per quanto riguarda l’Italia, esiste una oggettiva difficoltà a
quantificare il fenomeno e la sua diffusione,
anche perché, a livello istituzionale, non vengono raccolti i dati in modo sistematico. Il
giusto risalto dato dai mass-media al fenomeno, potrebbe far pensare ad un aumento
esponenziale di casi, ma in effetti non è così.
La percentuale di femminicidi in Italia è sostanzialmente stabile ed abbiamo un tasso di
omicidi di donne simile alla Svezia e più basso della Russia e della Finlandia. Il problema
è che il fenomeno non accenna a diminuire.
E non bisogna mai dimenticare che l’uccisione di donne da parte dei loro mariti, fidanzati, amanti, partner, conviventi genera terribili
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“effetti collaterali”, a volte trascurati, come la
sorte dei figli, vittime innocenti di queste disgraziate coppie, e che spesso riportano traumi così profondi da non poter essere mai più
rimossi dalla loro mente.
Qualche sociologo ha affermato che le cause
scatenanti del femminicidio, sono da ricercarsi nelle origini stesse del femminismo.
Per millenni le donne sono state tenute in
uno stato di sudditanza rispetto all’uomo il
quale, forte di una supremazia non solo fisica, ma anche sociale, morale e politica, ha sempre avuto la tendenza a
considerare la sua
donna, nel bene e
nel male, come sua
proprietà indiscussa.
L’affermazione prepotente del femminismo nel precedente secolo non è
ancora riuscita a
demolire del tutto quella distorta convinzione
di dominio maschilista che ha attraversato i
secoli.
Ma le donne ora hanno sempre più coraggio
nel denunciare le violenze subite, sia per la
maggiore fiducia nelle istituzioni e sia per la
maggiore indipendenza delle vittime, non più
così ricattabili, come una volta, nella vita familiare.
Indubbiamente si tratta di una patologia che
colpisce la famiglia e, in un’altissima percentuale di casi, avviene all’interno delle mura
domestiche. L’assassino è quasi sempre legato alla vittima da un rapporto affettivo, o amoroso, o peggio ancora, coniugale.
Psicologi, sociologi e criminologi tentano in
qualche modo di spiegare un fenomeno tanto
Il Moscati Anno VIII n. 1
Attualità
complesso, che spesso risulta essere solo
un’orrenda distorsione dell’amore.
La spiegazione più recente, è la crisi economica in atto in tutto l’occidente che ha tolto il
lavoro a molti, sia uomini che donne; ma
mentre le donne, esistenzialmente più pratiche degli uomini, sono più capaci di adattarsi
psicologicamente a lavori meno qualificati e
di rimboccarsi le maniche nell’ambito domestico, molti uomini di mezza età (più orgogliosi delle donne), sono rimasti spiazzati e
del tutto impreparati ed incapaci, all’età di
45, 50 anni, di riorganizzare le loro vite da
disoccupati o addirittura esodati.
La tesi è che la crisi economica, la disoccupazione crescente e la perdita del senso dei
valori fondamentali, come quello della legalità, costituiscano in qualche modo il contesto
nel quale spesso maturano esasperazioni
che, in individui privi di equilibrio o con equilibrio precario, sfociano in atti indicibili di violenza sul partner o addirittura sui figli. Le
difficoltà economiche hanno spesso funzionato da detonatore di frustrazioni fino a quel
momento represse. Le donne, poi, innegabilmente sono divenute più forti e più sicure di
un tempo, l’ingresso a pieno titolo nel mondo
del lavoro, ha permesso loro di raggiungere
quell’indipendenza economica che le emancipa dal ruolo di “angeli del focolare” nel quale
il maschilismo le aveva relegate da sempre,
assegnandole il solo compito di presiedere
alla proliferazione ed educazione della prole e
all’assolvimento di sole faccende domestiche.
Un’altra spiegazione è da ricercarsi nelle mutate relazioni amorose, che sono diventate superficiali e fragili. In questo XXI secolo il
matrimonio non è più ambito e considerato
dalla donna come un simbolo di sicurezza e
un traguardo esistenziale: molte di loro, anche in presenza di figli (e questo è l’aspetto
più triste del problema) non sono più disposte a sopportare una vita familiare insoddisfacente e molto spesso sono loro a prendere
l’iniziativa della separazione. Questo atteggiamento, può far esplodere patologie mentali
che spesso covano sotto la cenere, con le
conseguenze che conosciamo da parte
dell’uomo non abituato all’idea di poter essere abbandonato.
Il Moscati Anno VIII n. 1
Come arginare, combattere ed arrestare
questo orribile fenomeno?
Innanzi tutto occorre sconfiggere la cultura
patriarcale, e predisporre delle campagne
mediatiche di sensibilizzazione ed educazione
pubblica, che coinvolga politici, personaggi
pubblici, associazioni femminili, ma soprattutto la scuola, che debbono prendere una posizione di netta condanna, affinché la violenza
nei confronti delle donne, venga considerata
socialmente inaccettabile e divulgare informazioni al pubblico sulle pene esistenti. Ma
anche la famiglia deve fare la sua parte, perché è al suo interno che i figli debbono ricevere, fin da piccoli, e soprattutto da parte del
padre, sani esempi comportamentali di collaborazione e rispetto verso la cosiddetta “altra
metà del cielo”. Ed infine, ma non per ultimo,
occorre anche una maggiore presenza pubblica sui temi della sicurezza, perché troppe
volte i violenti si erano palesati ed erano stati
denunciati all’Autorità, senza che questa sia
però intervenuta.
Il Campidoglio tinto di rosso in occasione
della giornata internazionale contro
la violenza sulle donne
lo scorso 25 novembre
Pochi giorni fa, in Italia è entrata in vigore
un’apposita legge concepita proprio per arginare e scoraggiare la violenza sulle donne,
ma non sarà certo un pugno di nuovi articoli
del codice penale a determinare la necessaria
rivoluzione culturale; solo l’accettazione di un
rapporto paritario con l’altro sesso da parte
dell’uomo, con un’equa ripartizione dei doveri
ed il riconoscimento dei rispettivi diritti, farà
cessare quei conflitti di coppia, il cui perdurare faranno fatalmente vacillare gli stessi cardini dei basilari valori su cui poggia la nostra
società civilmente costituita. Noi tutti dobbiamo fare la nostra parte. Da oggi.
Gianni Lucarelli
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Attualità
SINTESI DELL'ESORTAZIONE APOSTOLICA
“EVANGELII GAUDIUM”
“L
a gioia del Vangelo riempie il cuore e la
vita intera di coloro che si incontrano
con Gesù”: inizia così l’Esortazione apostolica
“Evangelii Gaudium” con cui Papa Francesco
sviluppa il tema dell’annuncio del Vangelo nel
mondo attuale, raccogliendo, tra l’altro, il contributo dei lavori del Sinodo che si è svolto in
Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012 sul tema “La
nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede”.
Con questa Esortazione, il Papa indica alcune
"vie per il cammino della Chiesa nei prossimi
anni”. Ne segnaliamo cinque. Innanzitutto, intende avviare “una nuova tappa evangelizzatrice” caratterizzata dalla gioia. E’ un accorato appello a tutti i battezzati perché con nuovo
fervore e dinamismo portino agli altri l’amore di Gesù che sperimentano nella loro vita, la gioia
e la bellezza della sua amicizia, in uno “stato permanente di missione”. I cristiani sono chiamati
ad essere “evangelizzatori con Spirito” che “pregano e lavorano”: sulla loro bocca deve risuonare il primo annuncio o ‘kerygma’: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e
adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”.
Secondo punto: rinnovamento con creatività e audacia, a partire dal recupero della
“freschezza originale del Vangelo”. Occorre “una conversione pastorale e missionaria, che non
può lasciare le cose come stanno”, e una “riforma delle strutture” ecclesiali perché “diventino
tutte più missionarie”. Il Pontefice pensa anche ad “una conversione del papato” sulla via di
una maggiore collegialità e di una “salutare decentralizzazione”. Bisogna trovare “nuove strade” e “metodi creativi”, non avere paura di rivedere consuetudini e norme della Chiesa che non
sono “direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia”.
Sottolinea la necessità di far crescere la responsabilità dei laici, tenuti “al margine delle decisioni” da “un eccessivo clericalismo”, e di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa”, in particolare “nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti”.
Terzo punto: una Chiesa aperta, accogliente e misericordiosa. Il Papa invita la Chiesa ad
avere “le porte aperte”. La Chiesa è il luogo della misericordia non della condanna, perché Dio
non si stanca mai di perdonare. “Nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per
una ragione qualsiasi”. Così, l’Eucaristia “non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. La Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è
posto per ciascuno con la sua vita faticosa”. Papa Francesco ribadisce di preferire una Chiesa
“ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa … rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci … è che tanti nostri fratelli vivono senza l’amicizia di Gesù”. L’annuncio del Vangelo deve avere caratteristiche
positive: vicinanza, rispetto, compassione, pazienza per la fatica di un cammino di maturazione. Anche le omelie dei sacerdoti devono rifuggire da una “predicazione puramente moralista o
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Il Moscati Anno VIII n. 1
Attualità
indottrinante” ed essere positive per non lasciare “prigionieri della negatività”, ma offrire
“sempre speranza”, riuscendo a dire “parole che fanno ardere i cuori”.
Quarto punto. Il dialogo e l’incontro: con gli altri cristiani (l’ecumenismo è “una via imprescindibile dell’evangelizzazione”), con le altre religioni (“condizione necessaria per la pace nel
mondo”) e con i non credenti. Il dialogo va condotto “con un’identità chiara e gioiosa”: non
oscura l’evangelizzazione. In particolare, il Papa osserva che “in quest’epoca acquista notevole
importanza la relazione” con i musulmani. Implora “umilmente” i Paesi di tradizione islamica
perché garantiscano la libertà religiosa ai cristiani, anche “tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei Paesi occidentali!”. Contro il tentativo di privatizzare le religioni,
afferma che “il rispetto dovuto alle minoranze di agnostici o di non credenti” non deve mettere
“a tacere le convinzioni di maggioranze credenti”.
Quinto punto. La Chiesa sia voce profetica, capace di parlare “con audacia … anche controcorrente”. Ribadisce l’opzione della Chiesa per i poveri. Il Papa chiede “una Chiesa povera per i
poveri”. Denuncia l’attuale sistema economico che “è ingiusto alla radice”. “Questa economia
uccide” perché prevale la “legge del più forte”. L’attuale cultura dello “scarto” ha creato
“qualcosa di nuovo”: “gli esclusi non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’”. “Prego il Signore che ci
regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri!". Le comunità cristiane che si dimenticano dei poveri sono destinate alla dissoluzione. “Tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura” ci sono “i bambini nascituri, che sono i più indifesi e
innocenti di tutti … Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita
umana”. La famiglia – prosegue il Papa – “attraversa una crisi culturale profonda” che
“favorisce uno stile di vita … che snatura i vincoli familiari”. Denuncia le “nuove situazioni di
persecuzione dei cristiani”.
L’Esortazione si conclude con una preghiera a Maria “Madre dell’Evangelizzazione”. Guardando alla Madre di Dio “torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto”.
Per leggere il testo completo dell'Esortazione Apostolica E
" vangelii Gaudium", o scaricarlo in
formato PDF, vai su www.vatican.va/phome_it.htm
Orari Celebrazione Eucaristica
periodo invernale (da settembre a giugno):
dal lunedì al sabato: 8.30, 18.30
Domenica: 8.30, 10.00, 11.30, 18.30
Nel periodo delle festività, dal Santo Natale all’Epifania
è sospesa la S. Messa festiva delle ore 10.00
e la S. Messa festiva delle ore 11.30 è anticipata alle 11.00
Il Moscati Anno VIII n. 1
11
Vita in Comunità
D
al 6 al 9 Festa della Comunità
Spettacolo teatrale offerto dalla
compagnia “la Bottega dell’Orefice”,
karaoke e cena solidale, laboratorio di cucina, giochi e canti per i
più piccoli, coro gospel dei Whitest e balli di gruppo. Nella serata
finale l’estrazione dei numeri della lotteria con ricchi premi e vola
desiderio per salutarci.
Giugno
D
omenica 13 si è svolta la nostra
assemblea comunitaria ricca di
argomenti all’ordine del giorno. È stata un’assemblea abbastanza partecipata che ci ha
visto lavorare per piccoli gruppi sul progetto pastorale per poi ritrovarci per la condivisione. Sono emerse proposte alcune delle quali hanno già prodotto nuovi indirizzi per
il nuovo anno; altre saranno da valutare con il consiglio pastorale.
Ottobre
D
omenica 20 nella messa delle 18.00 abbiamo potuto salutare d. Daniel Grech, giovane sacerdote della diocesi di Gozo (Malta) che ha generosamente servito la nostra
comunità per un anno. è stato inviato nella parrocchia di san
Cirillo Alessandrino (Tor Sapienza) dove continuerà il suo ministero. Dopo la messa gli abbiamo fatto festa nel salone parrocchiale.
piccolo DIARIO della VITA COMUNITARIA
S
abato 16 alle ore 11.00 abbiamo celebrato la s. messa
nella chiesa del cimitero laurentino pregando per i
nostri cari defunti molti dei quali vi riposano.
Novembre
D
omenica 17 abbiamo celebrato la festa di san
Giuseppe Moscati, nostro patrono. Festa preparata dall’adorazione eucaristica nella notte tra venerdì 15 e sabato 16.
Nella messa delle ore 11.00 di domenica anziani e
malati della comunità hanno ricevuto il sacramento
dell’Unzione degli infermi; a seguire pranzo comunitario e incontro tra i catechisti e gli educatori dell’Oratorio con d. Cristiano per provare a progettare una
collaborazione che faciliti e renda più fruttuoso il
servizio ai bambini, ragazzi e famiglie della nostra
comunità.
12
Il Moscati Anno VIII n. 1
Vita in Comunità
D
omenica 1 dalle 15.00 alle
18.00, abbiamo vissuto il
nostro ritiro di Avvento. La
meditazione l’ha proposta d. Andrea Lonardo, già parroco e oggi direttore dell’ufficio catechistico della Diocesi di
Roma. A seguire preghiera silenziosa, una merenda fraterna e la preghiera comunitaria dei vespri.
Dicembre
G
iovedì 5 dalle ore 20 alle ore 21,
ci siamo raccolti per pregare insieme.
Vorremmo riuscire a farlo una volta al
mese, ritrovarci tutti davanti al Signore Gesù, perché tutto abbia inizio da
Lui e in Lui compimento.
S
iamo felici di poter pubblicare le foto dei matrimoni di alcune delle coppie della nostra
comunità. Gioia e Andrea (28 aprile), Francesca
e Daniele (14 giugno), Fabrizio e Barbara (7 luglio), Valentina e Luca (27 luglio), Alessandra e
Fabio (14 settembre) e Roberta e Davide (21
settembre).
Il Moscati Anno VIII n. 1
13
Vita in Comunità
potuto iniziare la lavoC arirazioneamici,dellaabbiamo
nuova croce che sarà posta in
presbiterio sulla parete alle spalle dell’altare.
È stato possibile grazie al dono che Luigi ed
Anna hanno voluto fare alla comunità in ricordo di loro figlio Mauro, deceduto in un incidente l’anno scorso.
A nome di tutti li ringrazio perché ci hanno
permesso di realizzare questo vecchio progetto, mai andato in porto
per le difficoltà economiche.
don Alessandro
Virginia
N
ella nostra semplice, piccola e amata Comunità parrocchiale ci sono state persone
speciali, toccate dall’amore di Dio, che hanno
operato bene nella “Sua vigna” e di questo ne
siamo tutti molto orgogliosi.
Tra queste c’era Virginia e purtroppo pochi
mesi fa, all’età di 83 anni, è tornata alla Casa
del Padre.
Parlare di Virginia emoziona ancora molto perché lei era “la catechista” per eccellenza. Infatti,
ancor prima che la parrocchia di San Giuseppe Moscati fosse terminata, e parliamo degli anni
’80, lei già insegnava catechismo ad un gruppo di bambini presso l’adiacente parrocchia dei SS.
Gioacchino ed Anna. È stata catechista per ben 25 anni.
Ad ognuno di noi ha lasciato un piacevole e personale ricordo: la generosa disponibilità; il saper ascoltare e consigliare; la sensibilità verso i piccoli e i bisognosi; la gioia, l’allegria e la
grande voglia di vivere; la forza di volersi mettere in gioco nonostante l’età; l’autonomia; la
franchezza e la schiettezza; la fede viva; la partecipazione attiva ai campi, agli incontri di formazione e di coordinamento anche serali e senza timore del freddo e del cattivo tempo; la giocosità e il brio nel relazionarsi con i bambini; il saper parlare di Gesù con parole semplici ed
efficaci; la sua grande empatia con tutta la comunità.
Virginia era tutto questo, ma anche una madre e una nonna meravigliosa, sempre attenta,
sensibile e premurosa.
Cara Virginia, tu tra di noi eri la “maggiore”, ma la tua freschezza ti rendeva “giovane” ai nostri
occhi. Quante risate insieme! Ci mancano tanto il tuo sorriso e i tuoi grandi e vivaci occhi azzurri, con affetto.
Maria Grazia e il gruppo catechistico
14
Il Moscati Anno VIII n. 1
La Parola oggi
L’EUCARISTIA FA LA CHIESA
(parte ottava)
Vivere la Messa
LA LITURGIA EUCARISTICA
D
opo la Liturgia della Parola, ha inizio la Liturgia Eucaristica. Le due Liturgie sono congiunte tra di loro e hanno la stessa valenza e importanza per edificare la Sua Chiesa. Ě per questo
motivo che è molto importante partecipare a tutta
la celebrazione della Messa con l’interezza della
persona affinché “La Parola di Dio si diffonda e sia
glorificata” (2Ts.3,1).
La liturgia Eucaristica è suddivisa in: riti di presentazione dei doni; la preghiera eucaristica e i riti di
comunione. Le tre parti corrispondono a quello
che Gesù fece nell’Ultima Cena quando prese il
pane e il vino (presentazione dei doni); rese grazie
con la preghiera di benedizione (preghiera eucaristica), spezzò il pane e diede pane e vino ai suoi
discepoli (riti di comunione).
PREPARAZIONE DELL’ALTARE
Terminata la Liturgia della Parola, i ministri preparano sull’altare il corporale (da “corpus” panno su
cui si depongono le due specie eucaristiche), il
purificatoio (panno per asciugare il calice e purificare le labbra), il calice e la patena (i vasi liturgici
più sacri), il messale (volume che raccoglie tutte le
parti dell’Ordinario della Messa). L’altare è il simbolo stesso di Cristo; la mensa eucaristica è diventata la mensa sacrificale, il luogo dell’offerta e
della morte di Cristo.
quando il popolo d’Israele nel deserto, con l’aiuto
dei profeti, apprende il vero significato dell’offerta
a Dio e del sacrificio.
Con il tempo, il popolo impara a sostituire il sacrificio cruento (di animali) con il sacrificio incruento
(sacrificio interiore) che esige l’offerta del cuore,
della volontà e della mente a Dio. La vera offerta,
infatti, consiste nel conformarci nella nostra vita
sempre più a Lui.
Nei Vangeli e in San Paolo (1 Cor 11,23-25) si
legge che Gesù, nell’Ultima Cena, utilizzò il pane e
il vino e lo condivise con i suoi prima del suo
“sacrificio” per la nostra salvezza. Oltre al pane e
al vino possono essere offerti denaro o altri doni
per i più bisognosi o per la comunità portati dai
fedeli. Lo spirito che deve accompagnare questi
gesti non è solo dare qualcosa ma dare se
stessi. I primi destinatari della carità non sono i
poveri ma tutta la comunità che si mette a servizio
attraverso i segni, le parole e le opere. Il volto di
Gesù, infatti, è in colui che soffre; Lui è la carne
del povero. La carità non è altro che corresponsabilità, disponibilità e amore. Atteggiamenti questi
che ci aiutano ad essere “A Sua immagine e somiglianza”.
Benedetto XVI, nell'Esortazione Apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis n. 47 ha ribadito
che: “In questo gesto umile e semplice si manife-
sta, in realtà, un significato molto grande: nel pane e nel vino che portiamo all'altare tutta la creazione è assunta da Cristo Redentore per essere
trasformata e presentata al Padre (114). In questa
prospettiva portiamo all'altare anche tutta la sofferenza e il dolore del mondo, nella certezza che
tutto è prezioso agli occhi di Dio”. Lui dà tutto ciò
di cui abbiamo bisogno: mangiare e bere di Sé per
avere la Vita con la V maiuscola.
PRESENTAZIONE DEI DONI
Con la processione offertoriale ha inizio la Liturgia
Eucaristica. I fedeli con questa azione partecipano
con l’offerta del pane e del vino, usati da Gesù
nell’Ultima Cena, a rinnovare il dono di se stessi a
Dio ed eseguono il canto di offertorio. La consuetudine di portare all'altare i doni è molto antica e
risale ai primordi della Chiesa, al tempo dell’esilio
Il Moscati Anno VIII n. 1
IL PANE è il nutrimento essenziale, quello dei
poveri di tutti i tempi e di tutto il mondo. Nella
figura del pane Dio diventa vitale nutrimento per
noi uomini. Lui è il pane VIVO; è il pane della
Vita (Gv 6,34).
IL VINO è bevanda. Non una semplice bevanda
che spegne la sete, ma qualcosa di più, rende lieto
il cuore dell'uomo: è la bevanda della gioia.
Ed è sotto la figura del vino che Cristo elargisce il
suo sangue. Non come bevanda "misurata", ma
15
La Parola oggi
come sovrabbondanza (lo ha versato tutto) della
prelibatezza divina.
C'è anche un altro significato nell'uso del pane e
del vino nella liturgia. Essi sono al contempo frutto
della terra (dono di Dio) e del lavoro dell'uomo. I
chicchi di frumento devono essere lavorati, impastati e cotti dall'uomo con i frutti del suo ingegno
e della sua inventiva (macine, forni). Così anche
per il vino: i grappoli d’uva una volta raccolti vanno pestati e il mosto fatto fermentare al punto
giusto. Questo perché Dio chiede sempre la nostra
collaborazione e partecipazione attiva nel piano
della nostra Salvezza.
PRESENTAZIONE DEL PANE E DEL VINO
Sant’Agostino vedeva nella processione, uno
scambio di doni: “Cristo assume la nostra
umanità per donarci la sua divinità”. Di questa intuizione rimane eco nella preghiera della
liturgia eucaristica che il sacerdote recita mentre
versa l’acqua nel calice del vino: in essa chiede
che questo atto sia segno della nostra unione con
la vita divina di Cristo che ha assunto la nostra
natura umana. Gesù stesso esaudirà questo desiderio assumendo nel momento della consacrazione gli umili doni del pane e del vino, simboli della
nostra offerta (realtà umana) e la unisce all’offerta
di Se stesso (realtà divina) e la rende un’offerta
unica e grande cioè come Cristo con i suoi, Capo e
Corpo dell’organismo ecclesiale. La preghiera eucaristica chiede appunto che diventiamo “Un solo
corpo e un solo spirito” e che “Egli faccia di
noi un sacrificio perenne a te gradito”. A questo punto della celebrazione, grazie alla potenza
dello Spirito Santo, il pane di grano e il vino di uva
diventano, nella loro intera sostanza, il Corpo e il
Sangue di Cristo eucaristico.
Questo passaggio importante ed unico è chiamato
“transustanziazione”.
LA TRANSUSTANZIAZIONE (trans=passaggio e
substantia=sostanza) indica che la sostanza materiale del pane e del vino si trasforma nella sostanza viva e reale del Corpo e del Sangue di Cristo
senza che essa subisca nessun cambiamento esteriore (forma-sapore-odore), nelle due specie eucaristiche. Il celebrante sull’altare eleva la patena e il
calice e dice la preghiera di benedizione a Dio:
“Benedetto sei tu Signore, Dio dell’universo...”. L’assemblea insieme al celebrante, risponderà acclamando: ”Benedetto nei secoli il Signore”.
Queste preghiere sono delle lodi di benedizione,
simili alle formule ebraiche dell’Antico e del Nuovo
Testamento: la “Berakah” ebraica e il “Cantico di
16
Zaccaria. Nel calice verranno messe poche gocce
d’acqua, perché Gesù nell’Ultima Cena, secondo il
rituale ebraico, non versò vino puro (all’epoca il
vino era molto denso) ma mescolato con acqua
(per diluirlo). A questo gesto sono state date varie
spiegazioni. Queste gocce d’acqua rappresentano
comunque la nostra umanità, mentre il vino rappresenta la persona stessa di Gesù Cristo come lo
sottolinea la preghiera: ”L’acqua unita al vino
sia segno della nostra unione con la vita
divina di Colui che ha voluto assumere la
nostra natura umana” .
ABLUZIONE
Il sacerdote si lava le mani. Anticamente, questo
gesto era funzionale poiché venivano donati prodotti della terra, prodotti oleosi e odorosi per cui il
sacerdote aveva la necessità di purificarsi. Attualmente il segno è rimasto ma ha assunto un segno
penitenziale; il sacerdote prega, dicendo:
”Lavami, Signore da ogni colpa; purificami
da ogni peccato” (Salmo 50/51).
ORAZIONE SULLE OFFERTE
Dopo la presentazione dei doni e il rito di abluzione, il celebrante invita i fedeli a pregare e recita
l’orazione sopra le offerte a nome di tutta l’assemblea. La risposta dei fedeli: “Il Signore riceva
dalle tue mani questo sacrificio....”, e l’Amen
conclusivo alla preghiera esprimono la partecipazione attiva del popolo.
Questo breve dialogo con l’assemblea e la preghiera finale del celebrante conclude il rito di
presentazione dei doni e introduce la preghiera
eucaristica che avrà il suo vero compimento nel
grande sacrificio (riti di comunione).
Maria Grazia M.
Dai testi: Ufficio Liturgico Diocesi di Roma (Padre Scicolone);Il pane, il vino e il perdono (don Tonino Lasconi);Celebrare l’Eucaristia è vivere (Mario Chiarapini);Compendio C.C.
L'itinerario sulla santa messa continua nel prossimo
numero de “ Il Moscati”.
Il Moscati Anno VIII n. 1
Cultura e spettacolo
ESULTATE!
200 anni con Giuseppe Verdi
L
o sappiamo che la cultura non va più di moda, e poi costa e non ci sono soldi, ma proprio per questo vogliamo ricordare in poche righe
uno dei tanti grandi uomini che hanno illustrato il
nostro Paese e che oggi rappresentano il solo
(ahimè…) motivo di orgoglio per dichiararsi Italiani.
Giuseppe Verdi, nato duecento anni fa (il 10 ottobre 1813) in una sperduta frazione della Bassa
Parmense, figlio di contadini, divenuto musicista
grazie a studi irregolari finanziati dalla generosità
di Antonio Barezzi, un agiato negoziante suo concittadino, è considerato il maggior compositore
italiano e tra i massimi in assoluto di tutti i tempi.
Morì a Milano nel 1901, a 87 anni, ricco, famoso,
venerato dal pubblico. Nei suoi ultimi giorni, i Milanesi fecero coprire di paglia le strade intorno alla
casa del Maestro perché il rumore dei carri non lo
disturbasse e parteciparono in oltre centomila, in
silenzio, ai suoi funerali.
Si costruì la sua vita da solo, tra dolori, difficoltà,
incomprensioni e anni di duro lavoro che lui stesso
definì “anni di galera”. Nel 1836 aveva sposato la
figlia di Barezzi, Margherita, che gli diede due figli;
quattro anni dopo si ritrovò solo, in un malandato
appartamento di Milano, distrutto dal dolore: aveva perso i due bambini e la amatissima moglie,
appena ventiseienne, e la sua ultima composizione – per ironia della sorte, un’opera buffa che
aveva dovuto scrivere mentre i suoi cari gli morivano intorno – era stato un clamoroso fiasco alla
Scala.
La svolta della sua vita ebbe veramente dell’incredibile. L'impresario della Scala Bartolomeo Merelli,
forse l’unico ad avere ancora fiducia in Verdi, gli
diede da leggere un libretto di soggetto biblico il
cui solo titolo destava diffidenza: Nabucodonosor.
Pare che il Maestro, inizialmente, non lo avesse
degnato neanche di un’occhiata, fin quando il
volumetto non cadde casualmente per terra
aprendosi in corrispondenza della pagina contenente il coro degli schiavi Ebrei che rimpiangono
la Patria perduta: va’, pensiero, sull’ali dorate…
In preda a un’improvvisa e travolgente ispirazione, in breve tempo il Nabucodonosor, abbreviato
in Nabucco, fu musicato ed ebbe un successo
Il Moscati Anno VIII n. 1
travolgente. Fu l’inizio, per Verdi, di una
carriera lunga e luminosa: scrisse 28 opere liriche, tra cui
ricordiamo le celeberrime Rigoletto, Il
trovatore, La traviata, Un ballo in maschera, La forza del
destino, Aida, Otello
e l’ultima, Falstaff, la
sua unica opera buffa dopo quella giovanile (Un giorno di
regno) che era caduta alla Scala tanti
anni prima.
Il Nabucco condizionò la vita del Maestro non solo
sul piano artistico, ma anche sentimentale e politico. Infatti, fu anche grazie alle insistenze di una
brava e bella soprano appena trentenne molto in
auge alla Scala, Giuseppina Strepponi, che il Nabucco fu inserito subito nel cartellone del teatro
milanese che ne decretò il trionfo. E l’interesse
della cantante per l’opera si estese ben presto
all’autore, di cui divenne compagna e poi moglie
amatissima e inseparabile fino alla morte. Il Va’
pensiero, poi, divenne ben presto l’inno della lotta
dei patrioti milanesi contro l'occupante austriaco,
che esploderà nelle gloriose e sfortunate Cinque
Giornate del 1848. Il Maestro così, forse un po’
suo malgrado, divenne uno dei simboli del Risorgimento tant’è che, grazie all’acronimo ricavato dal
suo cognome (V.E.R.D.I. per Vittorio Emanuele
Re d’Italia), si inneggiava a lui per invocare l’unità d’Italia.
E perciò, noi che abbiamo il privilegio di essere
italiani come Verdi, di appartenere a un popolo
che, nonostante gli sforzi di questi ultimi anni, non
è ancora riuscito a distruggere la sua grande cultura e l’impronta di civiltà che ha dato al mondo,
gridiamo ancora “Viva Verdi!” ed esclamiamo,
come il suo Otello nella prima entrata in scena:
“Esultate!”
Per le sue musiche sublimi; perché è diventato
grande venendo dal nulla e si è affermato con le
sue sole forze e le sue capacità; perché è rimasto
uomo del popolo, semplice e attaccato alle sue
radici, fondamentalmente generoso e altruista,
sotto la sua scorza burbera e scostante di contadino.
Giuseppe Palumbo
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Cultura e spettacolo
Luoghi nascosti d’Italia
di Vincenzo Giaquinto
PIEMONTE – Orta San Giulio (VC)
Un po’ di storia
La tradizione, contenente interessanti riferimenti storici, vuole che, in questa località, ci sia la centesima e ultima
chiesa fondata da San Giulio originario della Grecia. Secondo la leggenda, il santo raggiunse l'isola navigando sul
proprio mantello e la liberò dai draghi edificando una piccola chiesa, dedicata ai dodici apostoli. Nel Medioevo la
posizione strategica rese l'isola un importante centro difensivo, che era munito di un castello appartenente al re
d'Italia Berengario. L'antica torre ottagonale del castello fu demolita per far posto al nuovo seminario vescovile, e
questo ha indotto alcuni storici a ipotizzare che essa potesse essere in origine il battistero della pieve isolana. Gli
scavi archeologici condotti all'interno dell'edificio hanno evidenziato le tracce di una primitiva basilica con unica
abside e circa un secolo dopo su questa venne eretta una nuova chiesa più grande e sempre con unica abside. La
chiesa attuale a tre navate, in stile romanico, fu
edificata nel XII secolo, sul modello dell'antica
cattedrale di Novara; al suo interno è custodito un
prezioso ambone scolpito e sorretto da quattro colonne più antiche, e rappresenta un vero capolavoro
della scultura romanica. L'ambone è tutto decorato
con simboli cari alla cristianità (i quattro simboli
degli Evangelisti e scene di lotta del bene contro il
male).
Visita
Entrando nel borgo assistiamo alla vista di palazzi
settecenteschi coi loggiati aperti sui giardini digradanti a lago e la piazza principale è chiusa su tre lati
dai portici, all´ombra dei quali prosperano i negozietti mentre le terrazze dei caffè si spingono con i tavolini a lambire l´acqua.
Da segnalare c’è il Palazzo della Comunità della Riviera (costruzione rinascimentale risalente al 1582) e simbolo del lungo autogoverno che caratterizzò
questa comunità.
Proseguendo per la via principale, troviamo l´Ospedale del 1602 e,
all´incrocio con una piccola salita, Casa Monti Caldara (XVII sec.) con belle
balconate di ferro battuto, elemento presente in molte case del borgo.
Più avanti sorgono l´oratorio di S. Rocco (1631) e diverse dimore settecentesche fra le quali spicca la quattrocentesca
Casa detta dei Nani perché sopra l´architrave
di legno si trovano quattro piccole finestre, e
quasi di fronte, un´altra antica dimora del XVI
secolo; a sinistra, il Palazzo De Fortis Penotti
dalla bella facciata neoclassica e sulla destra
Palazzo Gemelli, tardo rinascimentale.
Il culmine della salita è rappresentato dalla
Chiesa di S. Maria Assunta, edificata nel
1485, con un portale di pietra di Oria con
capitelli a motivi floreali e figure di animali.
Ultima tappa, l´Isola di San Giulio, la cui
superficie, in gran parte, è occupata dal Seminario (1844).
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Prodotto tipico
La mortadella di fegato
Specialità gastronomica
Il risotto al persico
Il Moscati Anno VIII n. 1
Cucina e curiosità
I
“Lo Sfratto”
l 2013 è il 69° anniversario dell’eccidio delle
Fosse Ardeatine e il 70° anniversario della
retata del 16 ottobre del 1943, a cui fece seguito
la deportazione il 18 ottobre del ’43 nei campi di
concentramento. Per questo triste e storico motivo
e pensando alla peculiarità dello spirito ebraico di
estrapolare dalle secolari e ripetute vicissitudini
drammatiche una nota di ottimismo e di speranza
ho voluto esaltare questo loro esempio con la ricetta di un dolce emblematico, lo sfratto. “Lo
Sfratto” è un biscotto dolce, cilindrico, lungo 20-30
cm e largo circa 3 cm ed è di origine ebraica che
col tempo è stato adottato dalla cucina maremmana a Pitigliano e Sorano, comuni toscani in provincia di Grosseto, e viene tutt'ora preparato per le
feste natalizie. Le sue origini sono antiche, risalgono addirittura dagli Etruschi. Nella metà del XVII
secolo l’intolleranza di Cosimo II de' Medici si con-
Ingredienti
BASE:
500 gr farina 00
2 Uova intere*
3 cucchiai di zucchero
50 gr burro fuso
Semi di anice
1 bicchierino di liquore misto
tra mistrà e whisky o brandy
100 ml latte
1 pizzico sale
cretizzò con un susseguirsi di imposizioni nei confronti delle famiglie ebree che in questo periodo
furono discriminate ed emarginate. Passarono
dall’obbligo del pagare tasse molto esose a vestire con dei segni che li rendessero riconoscibili
dagli altri, ed infine sfrattate dalle loro abitazioni e
costrette a confluire nel quartiere a loro destinato,
il Ghetto. L'intimazione di sfratto e l'obbligo all'immediato abbandono dell'abitazione era decretata
dal suono del bastone dell'ufficiale giudiziario picchiato con forza sull’uscio. Nel 1765 la condizione
della comunità ebraica muta radicalmente con
l'avvento al trono di Pietro Leopoldo d'Asburgo,
sovrano di idee liberali che favorì finalmente l'uguaglianza tra cristiani ed ebrei. Gli ebrei tutt’ora
preparano questo dolce per il Rosh haShana, che
è il nostro Capodanno e sono di buon augurio.
Maria Grazia Marsoner
RIPIENO:
500 gr di miele
600 gr noci sgusciate (=2 kg ca intere)
Scorza di metà mandarino
Scorza di metà limone
2 dita di scorza di arancia
Noce moscata, cannella qb
2-3 manciate di pan grattato
da Cookaround.com e ricettario ebraico
Preparazione ripieno Mezz'ora prima di preparare la sfoglia, mettere il miele per 20 minuti a fuoco
lento, fino a che alzandolo con un cucchiaio non formerà un filo e a questo punto si possono unire: la buccia d'arancia, i semi d'anice, la cannella, le noci spellate e tritate finemente, il pangrattato, la scorza di limone, ecc. Si mescola bene e ancora dieci minuti di cottura. Suddividere il ripieno in 6 mucchietti separati e poggiarli su carta forno, far freddare un po’ in frigorifero e con le
mani bagnate di olio formare dei serpentelli lunghi circa 25 cm con diametro 3-4cm
Preparazione sfoglia Setacciate la farina insieme al lievito e
mettetela a fontana sulla spianatoia e nel cratere aggiungete le uova sbattendole con una forchetta, poi lo zucchero e
il burro fuso, la scorza grattugiata del limone, il pizzico di
sale. Impastate bene tutto fino a quando la pasta sarà elastica e morbida, (se risulta troppo dura aggiungete un po'
di latte). Fatene una palla e mettetela avvolta in un canovaccio umido, a lievitare per circa 30 minuti. Si toglie la
pasta dal frigo, si tira sottile e si taglia a strisce larghe 5
cm.
Si arrotolano all’impasto freddo e si formano delle "dita" lunghe e fini. Si mettono su una lastra
unta, si spennellano con il tuorlo dell'uovo e si cuociono in forno a 200 gradi per 15 minuti non di
più, devono dorarsi perfettamente. Si fanno raffreddare, si tagliano a rondelle e si servono con
vin santo liquoroso o un buon limoncello.
Il Moscati Anno VIII n. 1
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Territorio e cittadinanza
Feste e
Ricorrenze
a cura di Gianni Lucarelli
Rievocazione Storica del Presepe di Greccio (RI)
Da martedì 24 dicembre 2013 a mercoledì 8 gennaio 2014
Greccio e il suo presepio, una storia che affonda le proprie origini in una
fredda notte di Natale del 1223 quando San Francesco, di ritorno dalla Palestina, volle ricostruire con persone e animali del tempo la Natività di Betlemme. Nel natale del 1223 il fraticello di Assisi Francesco e il nobile signore di
Greccio Giovanni Velita realizzarono la rievocazione della nascita di Gesù, il
primo presepe della storia. Da allora a Greccio si affollano fedeli e curiosi che,
nei giorni delle festività natalizie, possono assistere alla rappresentazione
storica, in costume medievale, della nascita del presepe. L'evento per il Natale 2013 avrà il seguente calendario:
- 24 Dicembre ore 22.30; 26 Dicembre ore 17.30; 29 Dicembre ore 17.30; 30 Dicembre ore 17.30
- 1 Gennaio ore 17,30; 5 Gennaio ore 17,30; 6 Gennaio ore 17,30
Tribune con oltre 2000 posti a sedere e tensostrutture riscaldate accoglieranno i molti turisti che assisteranno al primo
presepe del mondo.
Per tutti i dettagli visita il sito della Pro Loco di Greccio
Presepe vivente, Sutri (VT)
Da mercoledì 25 dicembre 2013 a lunedì 6 gennaio 2014
La bella cittadina etrusca propone uno dei più suggestivi presepi del territorio e
dell'intera regione, il presepe vivente nell'Anfiteatro romano e all'interno della
limitrofa necropoli etrusca, in una kermesse suggestiva e di grande fascino.
Tutta la necropoli viene illuminata da centinaia di fiaccole e da luci che sapientemente valorizzano l'ambientazione. Sono ricostruiti, all'interno delle grotte dell'area archeologica, gli antichi mestieri e episodi che ripercorrono frammenti della
vita quotidiana in Palestina ai tempi della nascita di Gesù.
La necropoli si anima già nel pomeriggio del 25 dicembre, dalle ore 17.30, dando vita ad una ricostruzione intensa ed emozionante. Al suono dei passi degli antichi romani, tra il battere del fabbro e il crepitio dei fuochi accesi,
una dolce melodia si diffonde nella valle e conduce il visitatore verso il mistero dell'Incarnazione.
Lo spettacolo si rinnova il 26 dicembre, il 1, 5 e 6 gennaio, sempre dalle 17.30 alle 20, offrendo l'occasione anche per una visita al borgo di Sutri, di antica grandezza, centro privilegiato dal tempo degli Etuschi fino al XVII
secolo, ricco di testimonianze architettoniche.
Viva la Befana, Roma
Lunedi 6 Gennaio 2014
“Viva la Befana” è il tradizionale corteo storico folcloristico che ogni anno, la
mattina del 6 gennaio dalle 10.45, parte da Castel Sant'Angelo per
arrivare in piazza San Pietro, sfilando per via della Conciliazione. Mille figuranti
in costume d'epoca, centinaia di famiglie, un pubblico di centomila persone,
accompagnano i Re Magi che, dopo aver assistito all'Angelus del Papa, recano i
tradizionali doni.
Viva la Befana si svolge dal 1986; I doni della Befana non sono solo giocattoli,
ma anche testimonianze di solidarietà, fratellanza, pace, bene comune, dispensatrice di sorrisi e amicizia. I doni dei re magi, che ogni anno rappresentano una provincia d'Italia, sono il dono di
se, la storia, i prodotti, le tradizioni, la cultura che quel territorio porta simbolicamente a tutte le famiglie del mondo.
Attenzione: potrebbero esserci imprecisioni nelle informazioni pubblicate, dovute a cambiamenti, rinvii o
annullamenti. Si consiglia sempre di contattare gli organizzatori o di visitare i rispettivi siti web
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Il Moscati Anno VIII n. 1
Storia e tradizioni
FRATELLI MAGGIORI
La storia del popolo di Israele, la nostra storia
(quattordicesima parte)
Bizantini e Musulmani
N
el 135, al termine della Terza Guerra
Giudaica, quello che era stato il Regno di Giudea era ormai definitivamente ridotto al rango di Provincia romana (la
Provincia di Syria Palaestina), e Gerusalemme,
dove agli Ebrei era vietato risiedere, era stata
rinominata Aelia Capitolina.
Il nome di Gerusalemme fu ripristinato sotto l’Imperatore Teodosio che, con l’Editto di Tessalonica
(380), proclamò il Cristianesimo culto ufficiale
dell’Impero. Alla sua morte (395), l’Impero fu diviso tra i suoi due figli: Onorio, al quale toccò l’Impero Romano d’Occidente, con capitale Ravenna;
e Arcadio, che ebbe l’Impero Romano d’Oriente,
con capitale Costantinopoli, detta anche Bisanzio.
La provincia di Syria Palaestina rientrò nei territori
assegnati all’Impero Bizantino.
Sicilia e la Spagna), prima di essere fermati nel
732 a Poitiers da Carlo Martello, re dei Franchi.
Gerusalemme cadde sotto il dominio arabo nel
638. I nuovi governanti mostrarono una certa
tolleranza verso Ebrei e Cristiani perché “Gente del
libro”, ossia fedeli di religioni che fanno riferimento a testi ritenuti di origine divina dallo stesso
Islam: concessero loro di professare il proprio
credo e di esercitare alcuni fondamentali diritti
civili, quali quello di proprietà; ne autorizzarono,
inoltre, sotto certe condizioni, i pellegrinaggi a
Gerusalemme.
Le cose camminarono abbastanza tranquillamente
fino a che, nel 1055, la dinastia Selgiuchide, di
origine turca, assunse il predominio nel mondo
islamico, soppiantando il governo dei califfi di origine araba, e ridiede all’Islam quella carica di aggressività ed espansionismo che ne aveva caratterizzato gli inizi. I Selgiuchidi sconfissero pesantemente i Bizantini nella battaglia di Manzikert
L’Impero romano d’Occidente ebbe vita breve:
(attuale Turchia) nel 1071 e assunsero il governo
sotto i ripetuti colpi delle invasioni barbariche,
di Gerusalemme nel 1077, massacrando circa
crollò nel 476 con la deposizione dell’ultimo Impe3.000 persone e dimostrandosi certamente meno
ratore Romolo Augustolo da parte di Odoacre, re
tolleranti dei loro predecessori arabi, pur senza
degli Eruli. L’Impero Bizantino, invece, sopravvisse
mai arrivare alla sistematica persecuzione dei peltra alterne vicende per oltre mille anni, fino al
legrini in Terra Santa (che fu il pretesto per il ban1453 quando Costantinopoli fu conquistata dai
do della Prima Crociata). Insomma, costituirono
Turchi e diventò la capitale dell’Impero Ottomano.
una grave minaccia per i Cristiani che, pur se freschi freschi di sciLa fine dell’Impero
sma, capirono che
Romano d’Oriente
dovevano far fronte
affonda le sue radici
comune contro i
ottocento anni priTurchi.
ma, e precisamente
I Cristiani di occinel 622, quando
dente e quelli di
nelle desolate e
oriente, infatti, eradesertiche
terre
no da secoli in aspra
dell’attuale Arabia
polemica per una
Saudita nacque una
serie di questioni
religione destinata a
teologiche (la posicambiare la storia
zione nella Trinità
del mondo: l’Islam. ██ Espansione sotto Maometto, 612-632
dello Spirito Santo
Dopo la morte di ██ Espansione sotto il Califfato "ortodosso", 635-661
che, per gli occidenMaometto, tra il 632 ██ Espansione sotto il Califfato omayyade, 661-750
tali, procede dal
e il 750, gli Arabi Espansione del mondo islamico
Padre e dal Figlio e
conquistarono imper gli orientali dal
mensi territori a est (fino ai confini dell’India) e a
solo Padre), liturgiche ma, soprattutto, politiche,
ovest (il Medio Oriente, l’Africa settentrionale, la
in quanto per gli occidentali il Vescovo di Roma
Il Moscati Anno VIII n. 1
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Storia e tradizioni
era investito del potere di supremazia su tutta la
Chiesa, mentre i quattro vescovati, o patriarcati,
orientali (Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e
Gerusalemme) rivendicavano la propria autonomia. Alla fine, nel 1054, proprio mentre i Selgiudichi stavano per assumere il controllo dell’Islam, lo
scisma tra la chiesa di occidente (cattolica) e quelle di oriente (ortodosse) si consumò in maniera
definitiva, con reciproche accuse di eresia e conseguenti scomuniche. Solo nel 1965, grazie alla lungimiranza e all’intelligenza del Patriarca di Costantinopoli Atenagora I e del Papa di Roma Paolo VI,
le scomuniche sono state revocate e si è aperto un
dialogo tra i cristiani separati, al quale papa Francesco proprio in questi giorni sta dando nuovo
impulso.
La Prima Crociata
Ma torniamo nell’Undicesimo secolo: l’imperatore
bizantino Alessio I Comneno, preoccupato per la
stessa sopravvivenza del suo Impero dopo la disfatta di Manzikert, mise da parte il rancore verso
gli scismatici cattolici e nel 1095 inviò i suoi ambasciatori a papa Urbano II con una richiesta di soccorso contro i Turchi. Il papa, confidando in una
possibile composizione con gli scismatici ortodossi,
in un proclama pronunciato nello stesso anno a
Clermont, invitò i principi europei a intervenire in
aiuto dell’Imperatore, descrivendo in toni altamente drammatici le condizioni dei pellegrini cristiani
in Terrasanta.
Le reazioni all’appello del papa furono fin troppo
entusiastiche: circa 12.000 persone, per lo più
contadini, mendicanti, sbandati e fuorilegge, si
misero spontaneamente in marcia verso Gerusalemme ma, privi di organizzazione, di mezzi e di
preparazione militare, dopo aver attraversato a
piedi mezza Europa razziando, saccheggiando e
massacrando gli Ebrei, giunsero nell’attuale Turchia dove nel 1096 furono sterminati in battaglia
presso Nicea. A
questa velleitaria spedizione,
nota
come
Crociata
dei
Pezzenti, seguì
nello
stesso
anno una spedizione militare
in piena regola
a opera di cavalieri per la
maggior parte
francesi e te-
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deschi, guidati da alcuni nobiluomini fra cui il duca
fiammingo Goffredo di Buglione e i suoi fratelli
Eustachio e Baldovino.
Gli eserciti crociati, provenienti da tutta Europa, si
concentrarono a Costantinopoli, dove alcuni comandanti, tra cui Goffredo, fecero atto di vassallaggio all’Imperatore giurando di restituire a Bisanzio i territori perduti a opera dell’Islam. Si misero,
quindi in marcia verso la Palestina, giungendo
sotto le mura di Gerusalemme il 7 giugno 1099.
Dopo poco più di un mese di assedio, il 15 luglio la
città fu conquistata e tutta la popolazione musulmana sterminata cosicché, secondo una fonte
cristiana, "gli uomini cavalcavano con il sangue
fino alle ginocchia ed alle redini." Già che c’erano,
i crociati fecero piazza pulita anche degli Ebrei,
che cercarono inutilmente scampo nella Sinagoga
che fu data alle fiamme
Il Regno di Gerusalemme
Secondo i patti, i territori conquistati avrebbero
dovuto tornare nella sovranità dell’Impero Romano
d’Oriente ma, si sa, se ne dicono tante… E così i
crociati se li tennero, fondando il Regno di Gerusalemme, la cui corona fu offerta a Goffredo di Buglione. Questi rifiutò, affermando che nessun uomo avrebbe dovuto ricevere una corona dove Cristo aveva indossato quella di spine, e assunse
invece il titolo di Difensore del Santo Sepolcro.
Morto l'anno seguente, gli succedette il fratello
Baldovino, il quale non si fece tanti scrupoli e si
fece immediatamente incoronare Re di Gerusalemme.
Il Regno durò poco e non ebbe vita facile, sotto la
costante pressione dei Musulmani che aspettavano
l’occasione propizia per riprendersi Gerusalemme. E
l’occasione propizia si presentò intorno al 1174 con il
sultano d'Egitto Yusuf ibn
Ayyubnome, detto Ṣalāḥ alDīn, che noi Italiani conosciamo come Saladino, anzi,
“il feroce Saladino”, noto ai
nostri bisnonni perché il suo
personaggio era il rarissimo esemplare di una fortunata raccolta di figurine a premi organizzata
negli anni Trenta dalla Perugina…
Ma sto divagando, e lo spazio a mia disposizione è
finito: le imprese di questo signore le racconteremo nella prossima puntata.
Giuseppe Palumbo
Il Moscati Anno VIII n. 1
Ringraziamo
la ditta D.P.A.
per aver offerto
la stampa della
nostra rivista
IL PANIFICIO
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MENSA SERALE PER I POVERI
Un ringraziamento per il lavoro di pulizia degli arredi sacri che offre gratuitamente
Lo studio RIGGIO-MENTA
da vari anni ci offre consulenza
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