RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – mercoledì 16 marzo 2016
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Luci spente e serrande giù nel giorno di Ognissanti (Piccolo)
Fvg, il crollo dell’edilizia. Chiusa un’impresa su tre (M. Veneto)
Ribellione sull’acqua, la Regione tira dritto (Gazzettino)
La Regione sbaglia il contratto. Addetti Egas rischiano il posto (M. Veneto)
Il patto Veneto-Roma per “rubarci” Sappada (M. Veneto)
Partecipate, adesso si taglia (Gazzettino)
CRONACHE LOCALI (pag. 8)
Sertubi a rischio, spiraglio dall'Europa (Piccolo Trieste)
La strana coppia a sinistra: «Chiuderemo la Ferriera» (Piccolo Trieste)
Riccesi vince al Tar. Costruirà il carcere di Pordenone (Piccolo Trieste)
Nuove proroghe contro il caos Isee (Piccolo Trieste)
Il sequestro beffa dei libretti al portatore (Piccolo Trieste)
Niente Irpef, Imu e tariffe congelate (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Tavolo in Confindustria sulla mobilità in porto (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Le mamme vanno avanti ma non saranno in piazza (M. Veneto Udine)
Parità tra uomo e donna, incontro al San Giorgio (M. Veneto Udine)
Nuova bufera al Consorzio di bonifica (M. Veneto Pordenone)
Sintesi, la paga non arriva. Si va al muro contro muro (M. Veneto Pordenone)
«Da noi non risultano irregolarità» (M. Veneto Pordenone)
Kennedy, laboratori chiusi «La situazione è grave» (Gazzettino Pordenone)
«Serve una nuova sede per il liceo Pujati» (M. Veneto Pordenone)
Cgil: «Scuola, meglio costruirla nuova» (M. Veneto Pordenone)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Luci spente e serrande giù nel giorno di Ognissanti (Piccolo)
di Diego D’Amelio TRIESTE Le nove chiusure festive diventano dieci. La discussione sulla legge del
commercio è ripresa ieri e la maggioranza ha accolto l'emendamento con cui Luca Ciriani (Fdi) ha
proposto di aggiungere il 1° novembre alle altre giornate in cui le attività commerciali del Fvg
dovranno tenere le serrande abbassate: 1° gennaio, Pasqua, lunedì dell'Angelo, 25 aprile, 1° maggio, 2
giugno, 15 agosto, 25 e 26 dicembre. Una sola eccezione possibile, derivante dalla seconda novità di
giornata: la decisione della giunta di ampliare il numero potenziale delle località "a prevalente
economia turistica", rispetto a quelle attuali di Grado e Lignano. Se accettata, la domanda alla Regione
permetterà ai Comuni richiedenti di applicare la liberalizzazione totale del commercio sul proprio
territorio, senza vincoli di giornata e orario. Resta invece confermato il rinvio all'autunno del
ragionamento sulle chiusure domenicali, col ritiro da parte della maggioranza dell'ipotesi di almeno
dieci turni di riposo. Una decisione che la relatrice di maggioranza, Renata Bagatin (Pd), deve aver
incassato malvolentieri: «L'Italia è l'unico Paese europeo con una deregolamentazione totale, che
consente di tenere i negozi aperti 24 ore su 24, 7 giorni su 7. È necessario mettere mano alla questione,
ma ci limitiamo per ora alle chiusure festive, non essendo stato possibile trovare un'intesa con
l'opposizione sulle domeniche». Il passaggio è sottolineato polemicamente da Ciriani: «Nella
maggioranza erano in pochi a crederci: bisognava andare fino in fondo, senza fare annunci e poi
rimandare». L'assessore al Commercio, Sergio Bolzonello, respinge le critiche: «La giunta non ha
creato illusioni: la nostra è una legge sulle chiusure nelle festività e tale rimane. Abbiamo lasciato
all'aula i ragionamenti sulle domeniche e la maggioranza ha preferito attendere l'eventuale impugnativa
del governo sulle festività, tornando sul tema delle domeniche in autunno», quando andrà in
discussione la legge di riordino del terziario. Il rinvio semina delusione nella Confcommercio
regionale. Il presidente Alberto Marchiori ricorda che la «direttiva europea non detta regole su orari e
aperture dei negozi. La non decisione va dunque interpretata come scelta politica di non intervenire a
tutela di imprese e lavoratori». La replica di Bagatin non si fa attendere: «Le risposte devono arrivare
dalla politica nazionale, su cui stiamo facendo pressione per arrivare a risposte chiare». Di contro, la
dilazione sulle domeniche non placa l'opposizione dei grandi punti vendita, che parlano di «legge
illiberale, demagogica e anticostituzionale, visto che Consulta e Tar hanno chiarito che la materia è di
esclusiva pertinenza statale. Si profilano ricorsi e una fase di confusione normativa che penalizzerà
consumatori e imprese». La bordata è di Fabrizio Cicero, delegato Federdistribuzione, per il quale «le
dieci festività di chiusura obbligatoria non danno possibilità di scelta all'imprenditore, come stabilito
dalla normativa nazionale. È illogico limitare la liberalizzazione, che ha comportato maggiori salari e
occupazione, che ora verranno messi a rischio».
Fvg, il crollo dell’edilizia. Chiusa un’impresa su tre (M. Veneto)
di Michela Zanutto UDINE Un’impresa su tre ha chiuso i battenti in regione fra il 2008 e il 2015, ben
820 realtà. All’indomani dello scoppio del caso Vidoni è bene guardare ai dati. Anche perché la sorte
peggiore tocca agli operai, in questo caso la variazione in sette anni è negativa del 43 per cento: da 14
mila 328 a 8 mila e cento. Maglia nera nella classifica provinciale, modulata sui dati delle quattro
Casse edili, è Pordenone. Nella Destra Tagliamento gli operai persi toccano quota 49,3 per cento,
passando da 3 mila 752 a mille 902 addetti fra il 2008 e il 2015. Meno 850 posti. Segue di poco
staccata Udine, con il taglio del 44,8 per cento (meno 2 mila 914 operai). A Trieste l’emorragia
riguarda mille 135 addetti (meno 41,6 per cento) e a Gorizia 329 (meno 24,5 per cento). Posti di lavoro
persi a causa della chiusura delle imprese. «Il caso Vidoni è esemplificativo dell’ennesima impresa che
svolge la sua attività prevalentemente con gli appalti pubblici e si trova in condizioni di difficoltà –
sottolinea Mauro Franzolini, segretario generale della Fenea Uil –. Gare di appalto al massimo ribasso,
scarsissima remunerazione del lavoro svolto e dei margini di utile sono le condizioni in cui operano le
imprese e i lavoratori del settore edile. Se nel nostro Paese non cambia il rapporto fiduciario tra
soggetto appaltante ed esecutore delle opere, le imprese che sopravviveranno e che agganceranno la
ripresa saranno una esigua minoranza». È proprio nella chiusura delle imprese edili che si leggono tutte
le difficoltà del settore. Il tracollo in questo caso è a Udine, dove le realtà edili passano da mille 335 a
784. Meno 551, pari al 41,3 per cento. Distaccata di pochi punti è ancora una volta Pordenone, con 299
imprese in meno (il taglio è del 37,8 per cento). Seguono Gorizia (perse 99 imprese, pari al 30,5 per
cento) e Trieste (167 imprese, il 29,7 per cento). Ma come uscirne? «Sono percorsi difficili da invertire
in tempi brevi – aggiunge Franzolini –. Ci vorrebbe un piano di investimenti generalizzato nel
comparto edile. Un intervento straordinario in attesa che riprenda una richiesta di abitazioni private,
spinta dalla ripresa del comparto industriale e quindi dell’occupazione». Il compito di “tirare la
carretta” spetta proprio alle opere pubbliche: «Ma in questo senso la Terza corsia è paradigmatica di un
sistema in difficoltà –chiosa Franzolini –: c’è stata una fatica incredibile a reperire le risorse e mettere
in cantiere un’opera ideata tantissimi anni fa. Ma ormai in 15 anni è cambiato il mondo ed è evidente
che se lo Stato ci mette così tanto tempo a eseguire un’opera, l’Italia perde in competitività».
Ribellione sull’acqua, la Regione tira dritto (Gazzettino)
Elisabetta Batic La Regione tira dritto sulla legge sull'acqua di prossima discussione in Consiglio
regionale. Sono «timori infondati» quelli manifestati dai sindaci e amministratori di una trentina di
Comuni del Friuli Venezia Giulia che chiedevano lo stop del provvedimento per rivedere la norma, al
fine di evitare «una deriva accentratrice e a forte rischio di tecnocrazia».
«Gestioni piccole in località fragili come la montagna e parti della pianura sprovviste di
infrastrutturazioni - chiarisce Vittorino Boem (Pd), relatore di maggioranza - si sono dimostrate non
efficienti. Nella legge non c'è scritto da nessuna parte che il gestore unico regionale potrà essere
privato, anzi - prosegue il consigliere - abbiamo blindato la norma di modo che la gestione possa essere
decisa solo dai sindaci», il cui ruolo viene rafforzato proprio lasciando la scelta nelle loro mani.
Secondo Boem, «con un'unica entità avremo una struttura organizzativa e tecnica strutturata in grado di
fare da contraltare rispetto alle società di gestione che svolgono il servizio». Quella attuale, infatti, è
una dimensione frammentata con cinque autorità: «Diamo ai sindaci un fortissimo potere e non in
forma di assemblee pletoriche ma ad un'assemblea di 18 soggetti che potranno partecipare in maniere
effettiva ad esempio alla modulazione delle tariffe, diamo assoluta forza al livello territoriale, ma con
una struttura unitaria a supporto dei sindaci e non dipendente dalle società di gestione». Avendo
competenza propria, l'autorità unica «può spingere le società a strutturarsi a livello provinciale per
ottenere i finanziamenti per fare le opere che ci mancano». Ma già s’incrociano le bordate fra Lauri
(Sel) e 5 Stelle), che accusano il partito di avere due visioni opposte sul tema.
Tra i punti qualificanti del provvedimento anche la tutela dell'ambiente ma non va scordato il tema dei
rifiuti a proposito del quale «non abbiamo l'autorità di governo e saremmo commissariabili ma nessuno
ne parla». Da qui la necessità di dotarsi di un'unica struttura di governo con una parte tecnica afferente
all'acqua e una ai rifiuti, mentre la parte amministrativa sarà la stessa. Occhio di riguardo ai Comuni
montani sotto i mille abitanti: oltre all'obbligo di relazione dei gestori con i territori, presidi territoriali e
l'abbattimento delle tariffe con la Carta famiglia (solo per l'acqua) si prevede che l'autorità verifichi le
condizioni di una possibile gestione autonoma.
La Regione sbaglia il contratto. Addetti Egas rischiano il posto (M. Veneto)
UDINE Un taglio di 300 euro in busta paga. Per altro su una busta paga di mille 200 euro. Poi è
possibile pure un taglio del personale e anche di ore lavorate. È il destino contro cui stanno lottando i
dipendenti del magazzino regionale centralizzato Egas di Pordenone che ieri sono stati ricevuti dalla II
Commissione, presieduta da Alessio Gratton (Sel). Tutta colpa di un errore finito nel capitolato
d’appalto scritto nel 2013. Un errore confermato anche dall’assessore Maria Sandra Telesca che ha già
assicurato che ora si procederà con una verifica legale con l’avvocatura. Intanto però 60 lavoratori (che
potrebbero scendere a 45 dopo un taglio del 25 per cento) rischiano di passare da un contratto logistico
a un contratto pulizie pur a parità di mansioni e professionalità. È quanto hanno detto in audizione, ieri,
i rappresentanti sindacali di Cgil e Cisl in merito al regime contrattuale proposto da Coopservice di
Reggio Emilia, l’impresa aggiudicataria dell’appalto indetto dalla Regione per il servizio di
distribuzione dei materiali sanitari per ospedali e dei farmaci. «A partire dal primo aprile – hanno
spiegato i sindacati – cambiamo titolare, che ha già paventato l’intenzione del cambio di contratto oltre
a possibili tagli o del numero dei dipendenti o delle ore lavorate con il passaggio da full time a part
time. Tutto risale al 15 aprile di tre anni fa – è stato ricordato –, con il bando su cui già allora avevamo
avanzato preoccupazioni per i lavoratori perché il bando era stato scritto male, senza alcuna garanzia
del mantenimento del contratto vigente. Allora ci fu risposto che ci sbagliavamo, invece oggi la
preoccupazione è reale. Per il contratto del trasporto unico furono messe delle clausole di salvaguardia,
in questo caso no. Forse perché un migliaio di lavoratori vanno più tutelati rispetto ad appena una
sessantina? Eppure ciò che viene fatto a Pordenone è molto importante per tutta la collettività. Siamo
lavoratori professionisti che svolgono un’attività pubblica». «Ci stava bene il contratto che avevamo –
hanno detto i lavoratori – anche se non superava i 1.200 euro al mese, ma ci dava dignità di vita; questo
taglio ci toglierà dignità, a noi che già viviamo in maniera difficoltosa. Facciamo anche i turni e
finiamo oltre la mezzanotte. Quando ci arrivano degli ordini all’ultimo minuto di farmaci urgenti per un
intervento, restiamo sin oltre l’orario, pur senza essere ripagati, perché ci sentiamo prima di tutto
utenti».(m.z.)
Il patto Veneto-Roma per “rubarci” Sappada (M. Veneto)
di Mattia Pertoldi UDINE Attenta Sappada, nella partita per il passaggio in Fvg, il Veneto sta giocando
sporco con l’obiettivo, nemmeno troppo velato, di affossare la norma già approvata dalla Commissione
Affari Costituzionali del Senato e che oggi dovrebbe approdare in Aula per il via libera di palazzo
Madama. Il condizionale, però, è d’obbligo perchè già ieri nell’emiciclo romano girava,
incessantemente, la voce di un possibile primo rinvio del testo. Ufficialmente in ossequio a una serie di
documenti approvati dalle Commissioni e giudicati più urgenti da affrontare rispetto all’addio del
Comune bellunese al Veneto e al suo contemporaneo passaggio in provincia di Udine. Una modifica
dei lavori d’Aula – comunque da decidersi in sede di conferenza di capigruppo – che, però, nasconde
una serie di resistenze ampie e diffuse, di matrice veneta, che hanno nel sottosegretario per gli Affari
Regionali e le Autonomie Gianclaudio Bressa il loro grande architetto. Eletto nella circoscrizione del
Trentino Alto Adige, e artefice dell’accordo elettorale alle ultime politiche tra Pd ed Svp, è, da sempre,
uno degli uomini forti del Bellunese nel cui capoluogo è nato ed è stato sindaco. Bressa, ufficialmente,
ha sempre sposato la linea del rispetto dell’esito referendario svoltosi a Sappada, dove i cittadini hanno
votato con una maggioranza “bulgara” l’addio al Veneto e l’approdo in Fvg, ma negli ultimi mesi ha
dovuto far fronte a una serie di pressioni, bellunesi, ma pure veneziane, di non poco conto. E a chi si
chiede se Sappada sia così importanti per gli equilibri geoeconomici del Nordest, la risposta porta
all’invito ad allargare lo sguardo, osservando lo spettro d’insieme, la realtà completa. Il problema,
infatti, non è tanto Sappada in sé e il valore economico-turistico che è in grado di spostare – relativo
per il Veneto, decisamente più importante per una regione piccola come il Fvg – e tantomeno, in
provincia di Venezia Cinto Caomaggiore, quanto il precedente che è in grado di creare, come ha
sostenuto più volte il governatore veneto Luca Zaia lanciando l’allarme di una disgregazione della
regione. «Se Sappada passa al Friuli – ha tuonato una manciata di giorni fa – appoggeremo tutti i
Comuni di confine che vorranno fare altrettanto, quindi daremo sfogo a Trento e Bolzano verso il
mare». Il vero nocciolo della questione, infatti, è tutto qui. I sappadini si sentono friulani, come
racconta la storia di quelle terre, e per questo vogliono salutare Venezia e abbracciare Udine, ma per
Zaia la vera motivazione è legata all’Autonomia del Fvg che il Veneto, costituzionalmente, non
possiede. Un mero problema di schei, dunque, che ha portato alla mobilitazione di diversi comitati
veneti – capaci di inserire nello stesso calderone temi come la Macroregione del Nordest, le richieste di
Specialità anche per il Veneto e l’abolizione di tutte le Autonome – e, diplomaticamente, il pressing sui
parlamentari veneti e sullo stesso Bressa. Un voto positivo del Senato sulla querelle Sappada, infatti,
secondo Zaia si tradurrebbe in una sorta di “liberi tutti” con il Veneto che rischierebbe seriamente di
dire definitivamente addio al piatto forte di questa battaglia. Quale? Cortina d’Ampezzo, la perla delle
Dolomiti e una vera e propria cassaforte di denaro – legato al turismo – per il leone di San Marco.
Quella stessa Cortina che, in provincia di Trento sino al 1923, da anni guarda con favore – senza
nemmeno nascondere i vantaggi finanziari che ne deriverebbero – al “trasferimento” in Alto Adige per
ottenere gli stessi benefit economici, questa volta sì, delle confinanti, ma in una Regione Speciale,
Corvara e Dobbiaco. Un teorema il cui corollario porta da Venezia a Roma, dove Bressa ha riversato
tutti i propri dubbi sul ministro delle Riforme Maria Elena Boschi e sull’intero Governo che potrebbe,
davvero, decidere di affossare la norma. Come? Intanto rinviando la discussione in Senato, decidendo
di incardinarne il testo senza votazioni (senza dimenticare che sarà comunque necessario anche il placet
della Camera) per poi, semplicemente, impantanare il testo, come migliaia di altri provvedimenti nella
storia del nostro Paese, con un continuo ping-pong tra Commissione ed Aula. Equilibri, sottili giochi di
potere e di rappresentanza sui quali si saprà molto di più oggi osservando quello che accadrà a palazzo
Madama. «La Commissione ha licenziato un testo completo – ha commentato il senatore Carlo Pegorer
(Pd) – e che trova puntuale riscontro in tutte le procedure giuridiche e costituzionali necessarie in casi
come questi. Domani (oggi ndr) è prevista la votazione in Aula e ogni eventuale dilazione dei tempi
risulterebbe discutibile perchè non vorrei che rispondesse alle eccessive pressioni dei rappresentanti del
Veneto».
Partecipate, adesso si taglia (Gazzettino)
Maurizio Bait TRIESTE - La Regione mette sul piatto 25mila euro, l’Università di Udine altri 20 sotto
forma di ore lavorate dai propri dipendenti. Lo scopo è ambizioso: ottenere un rapporto analitico sulle
società partecipate della Regione medesima, con l’intento di accertare tecnicamente quali realtà
debbano essere ricalibrate, quali doppioni debbano essere eliminati e quali soggetti siano da consegnare
a un destino di dismissione. Sotto esame anche i pezzi grossi: da Friulia a Mediocredito, che
presumibilmente sarà progressivamente ceduto, da Insiel ad Autovie, peraltro indirizzata al passaggio
sotto il diretto controllo regionale per conseguire la concessione autostradale di lungo periodo (2038) in
regime pubblico.
In tale prospettiva, la Giunta Serracchiani ha approvato uno schema di accordo con l’ateneo friulano su
proposta dell’assessore alle Finanze, Francesco Peroni. L’accordo avrà un’estensione temporale di un
anno perché la Regione non può aspettare per razionalizzare il mondo delle sue partecipate. Il compito
sarà affidato ad un gruppo di lavoro in seno al Dipartimento di Scienze economiche e statistiche ed è
finalizzato innanzitutto alla definizione di un sistema di reporting, ossia a un flusso regolato di
informazioni sul sistema e su ciascun soggetto che lo compone. Il gruppo di lavoro - e qui c’è una
sorpresa - sarà composto dai professori Andrea Garlatti, Antonio Massarutto, Stefano Miani e Andrea
Moretti. Il primo è stato assessore tecnico alla Funzione pubblica e alle riforme sotto la Presidenza di
Renzo Tondo.
«L’apporto del Dipartimento può essere opportunamente focalizzato sugli aspetti di carattere generale e
su un limitato numero di approfondimenti settoriali riferiti alle partecipate di maggiore rilevanza - si
legge nel testo dell’intesa - a titolo esemplificativo Friulia, Mediocredito Fvg, Autovie Venete e Insiel,
che possono anche fungere da riferimento di sperimentazione per l’applicazione degli schemi
generali».
La Regione, del resto, ha due ordini coincidenti di necessità: «Adempiere alle prescrizioni di legge in
materia e di sviluppare il proprio ruolo di "capogruppo" in termini sempre più qualificati e incisivi»,
scrive la Regione. Il problema è che la questione, «di grande rilevanza sia a livello nazionale che a
livello internazionale», presenta «elementi di complessità notevole per i quali né la letteratura
specialistica, né la prassi operativa (anche quella più evoluta) individuano al presente soluzioni
uniformi, universalmente applicabili».
Pertanto è alto il rischio di commettere errori, più strategici che formali, ai quali "a valle" sarebbe
difficile tentare un rimedio. Ecco perché si manifesta l’esigenza di uno studio approfondito e
autorevole. In altre parole: una verità della quale potersi fidare fino in fondo.
CRONACHE LOCALI
Sertubi a rischio, spiraglio dall'Europa (Piccolo Trieste)
di Silvio Maranzana La Commissione europea effettuerà un supplemento d’indagine per stabilire se i
dazi imposti alla Sertubi, attualmente nella misura del 31,2 per cento, e che mettono in pericolo la
sopravvivenza stessa dell’azienda, possono venir tagliati così come richiesto dal fronte politicosindacale triestino e regionale. Lo si apprende dalla risposta che Cecilia Malmstrom, commissario
europeo per il Commercio ha dato ieri all’interrogazione presentata dall’europarlamentare del Pd
Isabella De Monte. «Nel caso in questione - fa rilevare Malmstrom esaminando la problematica dal suo
sorgere - l’inchiesta ha messo in luce un importante dumping pregiudizievole originario dell'India. Di
conseguenza, il 19 settembre 2015 la Commissione ha imposto misure provvisorie». Sertubi, di
proprietà del Gruppo Duferco, è stata presa in affitto dagli indiani di Jindal e trasformata con un
cruentissimo taglio di personale (i dipendenti che erano 230 oggi sono 77) da azienda produttrice in
centro di smistamento di tubi indiani che però a Trieste, nella maggior parte dei casi, vengono rifiniti o
comunque subiscono l’ultima fase della lavorazione, il che costituisce il principale motivo
d’opposizione al fatto che siano prodotti d’importazione. «La Commissione non ha deciso se adottare o
meno misure definitive - fa rilevare Malmstrom - ed è pienamente consapevole della situazione della
società Sertubi Jindal Saw Italia spa che è stata visitata da funzionari della Commissione». A questo
punto si apre lo spiraglio che ha indotto l’Ue a tenere aperta la partita: «Considerate le dichiarazioni
degli utilizzatori relative ad aumenti dei prezzi successivamente al periodo dell'inchiesta, si esaminerà
ulteriormente l'interesse dell'Unione e in particolare l'interesse degli utilizzatori. L'analisi dell'interesse
dell'Unione è un test attentamente equilibrato che tiene conto degli interessi dei diversi stakeholder,
come i produttori dell'Unione, gli importatori, ma anche gli utilizzatori. Se la Commissione decidesse
di non imporre misure definitive, i dazi provvisori non verrebbero esatti». Sembra di capire dunque che
dal tutto si potrebbe passare anche al niente non solo con il taglio, ma con l’abolizione dei dazi. «La
Commissione desidera rassicurare l'Onorevole deputata - conclude la commissaria - sul fatto che le
questioni citate verranno ulteriormente indagate prima di prendere una decisione definitiva entro il
marzo 2016». La fine di questo mese viene dunque riconfermata come deadline, ma segnerà anche
l’esaurimento dell’indennità di mobilità per una trentina di ex dipendenti. Il commento che ne ha fatto
ieri, subito dopo aver ricevuto risposta da Bruxelles, la stessa De Monte, è improntato a una certa
soddisfazione, anche se il pericolo resta comunque incombente. «Non siamo ancora davanti a una
comunicazione definitiva e certa, attesa a giorni - osserva l’europarlamentare del Pd - ma dalla
commissaria Malmström arriva una risposta di attenzione alla questione Sertubi Jindal Saw Italia spa,
oltre che la conferma che sulla vicenda sono in corso nuovi ragionamenti che tengono conto di nuovi
elementi. Come chiesto nella mia interrogazione, ma anche dalle Istituzioni e in primis dai lavoratori prosegue De Monte - mi auguro che ciò possa essere il preludio a una sospensione o a una riduzione
dei dazi, ad oggi provvisori. Sospensione che eviterebbe gravi ripercussioni economiche e
occupazionali, pur nel rispetto delle leggi comunitarie sulla concorrenza». Secondo De Monte infatti, i
dazi imposti dall’Ue a imprese come Sertubi rischiano di compromettere l’esistenza stessa di tali realtà
produttive. «Ricordo inoltre che Sertubi - specifica - utilizza semilavorati di origine extraeuropea ai
quali apporta, però, nella lavorazione sul territorio dell’Ue, un valore aggiunto significativo».
La strana coppia a sinistra: «Chiuderemo la Ferriera» (Piccolo Trieste)
di Fabio Dorigo “Sì Sinistra per Trieste”. “No, Ferriera per Trieste”. In un’affermazione e in una
negazione nasce la più stravagante lista civica per le prossime amministrative. Una lista civica,
presentata ieri mattina al Caffè San Marco, che vuole essere “unitaria” e che è costituita da due gruppi
che fanno capo al capogruppo comunale di Sel Marino Sossi e al parlamentare senza partito Aris
Prodani (ex M5S), l’associazione Agorà. La coppia più improbabile della politica triestina. Attenti a
quei due: il compagno Marino e l’apolitico Aris si sono conosciuti al tavolo che doveva produrre
“Trieste in comune” (l’alternativa unitaria di sinistra) e si sono piaciuti subito. E pensare che mai e poi
mai l’ex grillino Prodani avrebbe pensato di dover battezzare una lista di sinistra che nel simbolo rosso
richiama la Sinistra italiana (come Sossi legge il Sì) nata a Roma su iniziativa di Sel e di alcuni
fuoriusciti dal Pd. Quando nel novembre scorso l’ex Pd Pippo Civati entrò nel gruppo Alternativa
Libera, Prodani («Il mio cuore non batte né a destra né a sinistra») si accomodò nel Gruppo misto. «È
un progetto politico che non finirà con le elezioni. Vogliamo offrire un’alternativa all’elettorato sempre
più spaesato. Marino Sossi è la dimostrazione di cosa voglia dire presentare un programma e seguirlo.
Questo è l’inizio di un’avventura politica. In ogni caso non entro nel gruppo di Sinistra italiana ma
resto nel misto. Voglio occuparmi della mia città da parlamentare libero» spiega Prodani. «Il percorso
intrapreso si basa sulla convergenza di intenti e di prassi, ma anche sulla valorizzazione delle
differenze, quale espressione della natura multiculturale della città» è la premessa in politichese (o
sinistrese stretto) della lista. Tradotto significa «ascoltare e confrontarsi con le persone ed elaborare
delle proposte che soddisfino i bisogni della cittadinanza». Capolista sarà la disoccupata Erika Cei con
la passione della fotografia. «Ho iniziato a interessarmi di politica nel 2013 fotografando la Ferriera che
noi vogliamo chiudere. Un impianto incompatibile con la salute e il lavoro» spiega la capolista che
ricorda la città di Basaglia degli anni Settanta quando c’erano più di 270mila abitanti e l’economia era
disastrata come quella di oggi. «Non ho più vent’anni e neppure trenta. Quindi, con le poche energie
che mi restano, voglio riprovare a fare ripartire la sinistra. Serve un ricambio generazionale. Così, per
compensare la lista, sarà piena di giovani» scherza il candidato sindaco Sossi. “Sì Sinistra per Trieste”
(qualcuno ricorda la preposizione in comune con la vecchia Lpt) è una lista aperta ai cittadini e alle
associazioni. «Non parlerò male di nessun altra lista di sinistra» assicura il capogruppo di Sel che non
vuole buttare sale sulla spaccatura che si è consumata e che regalerà a Trieste due liste di sinistra con
Possibile alla finestra. E quindi si limita a parlare male del Pd. «Bisogna dire chiaramente che il
centrosinistra è morto e che il Pd non rappresenta più la sinistra. Ha fatto cose che non erano riuscite
neppure alla destra» aggiunge Sossi che lascia agli ex compagni di Sel rimasti attaccati al centrosinistra
l’onere di sostenere la ricandidatura di Cosolini. Nove membri del direttivo del partito di Vendola in
liquidazione («Il tesseramento è bloccato al 2015») stanno con lui tra cui l’ex segretario della Cgil
Valdi Catalano. «Siamo stati eletti nel 2011 con un programma che parlava di riconversione e
demolizione. Questo non è stato fatto» ricorda il candidato sindaco Sossi. Una promessa mancata
quella della chiusura dell’area a caldo che pesa sulla giunta Cosolini. E c’è poi da dare rappresentanza a
un’emergenza sociale senza precedenti. «A Trieste ci sono 2.700 domande per l’assegno di povertà a
fronte delle 400 e passa che sono a Udine» ricorda Sossi. A guardare con interesse alla presentazione
della lista c’è anche l’ex consigliere regionale dei verdi Alessandro Metz. Assiste anche Alex Kornfeid,
segretario di Trieste Cambia. «Ho molta stima di Sossi. E guardo con favore a questo progetto politico»
spiega invece il segretario del Psi Gianfranco Orel presente pure al San Marco. Il partito, che ha
partecipato ad alcune sedute del tavolo rosso e anche alle primarie del Pd sostenendo Francesco Russo,
non esclude di poter affiancare “Sì Sinistra per Trieste” e la candidatura di Sossi. Ma scoprire i
socialisti alla sinistra del Pd sarebbe davvero troppo.
Riccesi vince al Tar. Costruirà il carcere di Pordenone (Piccolo Trieste)
Sarà la società triestina Riccesi costituitasi in associazione temporanea di imprese con la Kostruttiva di
Marghera a costruire un nuovo carcere da trecento posti nel comune di San Vito al Tagliamento. Ne dà
notizia l’avvocato Alfredo Piscicelli riferendo che il Tar del Friuli Venezia Giulia ha depositato ieri la
sentenza con la quale è stato rigettato il ricorso che era stato presentato da Impresa Pizzarotti di Parma
contro il provvedimento adottato il 18 novembre 2015 con il quale il dirigente del Provveditorato
interregionale per le opere pubbliche per il Veneto, il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia
aveva affidato appunto alla ati Kostruttiva - Riccesi l’appalto che aveva per oggetto la progettazione
definitiva ed esecutiva, nonché l’esecuzione dei lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario.
La Kostruttiva - Riccesi era risultata prima in graduatoria ed è stata assistita nel giudizio davanti al Tar
dagli avvocati Alfredo Piscicelli, Gianni Zgagliardich e Helga Garuzzo. Il Tar del Friuli Venezia Giulia
già il 27 gennaio scorso aveva respinto la domanda cautelare di sospensiva della Pizzarotti e ieri ha
depositato la sentenza con cui ha rigettato il ricorso. «Ferma restano la facoltà di Impresa Pizzarotti di
proporre appello davanti al Consiglio di Stato - fa rilevare l’avvocato Piscicelli - nessun ostacolo si
frappone ora per dare corso, dopo la firma del contratto, ai lavori per la realizzazione del nuovo istituto
penitenziario nel comune di San Vito al Tagliamento che costituisce opera strategica di notoria e
assoluta importanza, non solo in vista del soddisfacimento delle esigenze connesse all’amministrazione
della giustizia in seno al Tribunale di Pordenone stanti le gravi carenze che caratterizzano l’ormai
fatiscente struttura carceraria del capoluogo della Destra Tagliamento, ma anche più in generale delle
esigenze afferenti all’intero distretto della Corte d’Appello di Trieste».
Nuove proroghe contro il caos Isee (Piccolo Trieste)
Un sostegno ai disabili e alle loro famiglie nel pasticciaccio nazionale del modello Isee. L’assessore al
Bilancio Matteo Montesano ha fatte proprie tre mozioni (di Fds, Fi e Pd), proposte lunedì sera in
Consiglio comunale, che alleviano i disagi derivati a molti cittadini triestini dal caos Isee: il Comune
chiederà all’Inps di recepire quanto prima l’aggiornamento del modello, posticiperà le date di
presentazione del modulo per consentire alle famiglie di ricompilarlo e cercherà gli strumenti per
consentire ai disabili incorsi nella “trappola” normativa di rifarlo gratuitamente. Come il consigliere di
Fds Marino Andolina denuncia ormai da tempo, il calcolo del reddito inserito nel nuovo modello
includeva anche gli assegni di sostegno ai disabili, rendendoli così “più ricchi” agli occhi dello Stato e
complicando quindi l’accesso a servizi fondamentali. La stortura è stata sanata di recente dal Consiglio
di Stato ma la sentenza deve ancora essere tradotta in pratica su più fronti. Una vicenda che ha spinto
Andolina e il collega Iztok Furlanic a presentare ufficiale denuncia nei confronti dei soggetti
responsabili, nella fattispecie Inps e il ministero degli Affari sociali, affinché il giudice competente
accerti eventuali responsabilità penali. Tornando alle mozioni, quella presentata dal presidente della
prima commissione Giovanni Barbo e dal presidente della seconda Igor Svab (entrambi del Pd),
«impegna il sindaco a farsi parte attiva presso la direzione nazionale dell’Inps affinché venga
rapidamente recepita e tradotta in modifica dell’applicativo per il calcolo dell’Isee la sentenza del
Consiglio di Stato» e chiede inoltre «di coinvolgere i parlamentari regionali affinché ci sia un’azione
congiunta». La mozione di Forza Italia, a firma di Everest Bertoli e Manuela Declich, chiedeva invece
di posticipare i limiti di consegna del modulo al 30 giugno, in modo da dare alle persone il tempo di
rifarlo. Dopo un emendamento a firma Lorenzo Giorgi (Pdl), che ha tolto il termine del 30 giugno per
consentire a ogni assessorato di fissare la data più consona, Montesano l’ha fatta propria. Quella di
Andolina sollecita infine il Comune ad adottare «misure dirette o indirette» per assicurare la gratuità
del procedimento a chi debba rifare l’Isee. (g.tom.)
Il sequestro beffa dei libretti al portatore (Piccolo Trieste)
di Ugo Salvini Impossibilitati a tornare in possesso dei propri soldi. È la situazione kafkiana in cui si
sono venuti a trovare recentemente numerosi inquilini di locali e cantine d’affari, nonché soffitte non
abitabili, di proprietà dell’Ater. Il paradosso trova la sua origine nel groviglio di normative
antiriciclaggio che il legislatore nazionale ha copiosamente emesso negli ultimi tempi per limitare la
circolazione del contante. Fino a pochi anni fa, prima dell’entrata in vigore delle norme più restrittive,
l’Ater chiedeva agli inquilini che stipulavano un contratto di affitto relativo a beni immobili diversi da
quelli a destinazione abitativa di effettuare il deposito cauzionale aprendo un libretto al portatore.
Solitamente l’importo corrispondeva a tre mensilità di affitto. L’istituto prescelto era la Banca popolare
Friuladria e, più precisamente, la filiale di piazza dei Foraggi, anche perché fisicamente molto vicina
alla sede dell’Ater, alla quale nel corso degli anni si erano rivolti circa un centinaio di inquilini. Piano
piano, per le motivazioni più varie, sono arrivate le richieste di disdetta. Ma gli inquilini che
rinunciavano alla locazione - a causa delle normative sull’antiriciclaggio approvate nel frattempo - si
sono ritrovati in una sorta di gabbia burocratica tanto che, pur esibendo la lettera di svincolo firmata
dall’Ater, non sono riusciti a rientrare in possesso del danaro depositato, in quanto i libretti al portatore
sono diventati strumenti guardati con estrema diffidenza dal sistema. In parallelo sono iniziate a
fioccare le proteste. «Siamo sempre stati perfettamente consapevoli delle difficoltà incontrate dagli
inquilini titolari di libretti al portatore ma - spiega il dirigente dell’area legale dell’Ater, Giorgio Ceria non abbiamo potuto fare alcunché, in quanto le modifiche normative in materia sono state decise dal
legislatore per motivi noti a tutti. Pur avendo firmato numerose lettere di svincolo abbiamo sempre
saputo degli ostacoli burocratici e legali incontrati dai nostri ex inquilini. In virtù della buona qualità
del rapporto con la Banca popolare Friuladria, di concerto con l’ufficio competente dell’istituto, siamo
alla fine riusciti a delineare un iter in grado di garantire agli interessati un rientro piuttosto veloce». La
soluzione, frutto della buona volontà dell’Ater e della banca, è quindi destinata a garantire agli ex
inquilini la riconquista dei propri soldi. Una riconquista tutt’altro che scontata in base alle leggi vigenti.
È stato il governo Monti a fissare i primi paletti sui libretti al portatore a partire del 31 dicembre 2011.
E, in caso di mancato rispetto dei limiti imposti dalla normativa, il ministero dell’Economia e delle
Finanze irroga sanzioni molto pesanti, in qualche caso spropositate, se si considera che i libretti al
risparmio sono da sempre utilizzati dai pensionati per conservare gli ultimi risparmi di una vita e,
eventualmente, trasferirli agli eredi.
Niente Irpef, Imu e tariffe congelate (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain Non è ancora pronto. Ma il grosso del lavoro ormai è fatto. E sindaco e assessore
comunale al Bilancio parlano di «piccolo muracolo». Il riferimento è al bilancio preventivo del
Comune di Gorizia che, oltre a “disegnare” i programmi futuri, delinea la portata della pressione
fiscale: argomento cui, giustamente, i cittadini sono molto sensibili perché si tratta delle loro tasche.
Perché parlano di miracolo? Perché l’Imu, la Tosap e le tariffe a domanda individuale rimarranno
“inchiodate” ai livelli del 2015 mentre la Tasi sulla prima casa sarà abolita come deciso dal governo
Renzi. Non solo. I goriziani continueranno ad essere esentati dal pagamento dell’Irpef che, in altri
Comuni, è una realtà consolidata e con la quale bisogna fare i conti. Volenti o nolenti. «Il termine per
l’approvazione del bilancio preventivo era fissato per il 31 marzo, poi c’è stata la proroga alla fine di
aprile. Noi - spiega l’assessore comunale Pettarin - siamo a buon punto. Credo che entro metà aprile lo
porteremo all’approvazione: in anticipo rispetto a quelle che sono le scadenze di legge». Aggiunge
Pettarin: «Senza lodarsi troppo, credo sia stato fatto un ottimo lavoro. Abbiamo economizzato su tutto
quanto era possibile e oggi abbiamo un bilancio coerente che non aumenterà la pressione fiscale ai
cittadini». Fa eco il sindaco Romoli: «Gorizia, inoltre, è uno dei pochissimi Comuni italiani e
sicuramente l’unico fra i capoluoghi del Friuli Venezia Giulia che ha mantenuto il livello standard dei
servizi e non ha aumentato le tasse - aggiungono sindaco e assessore alle Finanze -. L’addizionale Irpef
è rimasta azzerata mentre a Trieste, Udine e Pordenone, tanto per citare i Comuni maggiori, c’è
eccome. Soltanto a Trieste l’addizionale Irpef è all’8 per mille». Ma come è stato possibile, in tempi di
vacche magre, far quadrare i conti senza aumentare le tasse o tagliare i servizi? Razionalizzando su
tutto, abbassando il carico dei mutui, risparmiando sul personale. «L’obiettivo della mia
amministrazione è sempre stato quello di evitare, per quanto possibile, di mettere le mani nelle tasche
dei cittadini e su questa linea - spiega il sindaco - ci siamo mossi sin dall’inizio cercando, da una parte,
di tagliare le spese non indispensabili della macchina comunale e, dall’altra, di gestire efficientemente i
conti. Abbiamo ridotto i mutui, sui quali si pagano ogni anno tanti interessi e abbiamo anche messo
sotto controllo i costi per il funzionamento della struttura ed effettuato tante piccole grandi economie,
fra cui, anche l’eliminazione dei telefonini per gli amministratori, dell’auto blu e delle spese di
rappresentanza, che sono quasi scomparse». Altro capitolo (non secondario) le tariffe a domanda
individuale che «rimarranno sostanzialmente inalterate. E anche questo è un argomento sensibile per le
famiglie isontine», annuncia ancora il sindaco Romoli.
Tavolo in Confindustria sulla mobilità in porto (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Tavolo nella sede di Ronchi di Assindustria sui nove licenziamenti in porto a Monfalcone.
L’appuntamento è per domani pomeriggio e al tavolo, sotto la supervisione dei vertici industriali, ci
saranno la Compagnia portuale che ha annunciato la messa in mobilità dei nove dipendenti e dall’altro
lato i sindacati, la Filt-Cgil e la Fit-Cisl. Si tratta dell’incontro auspicato in particolare dalla Filt,
attraverso il segretario Valentino Lorelli che vuole fare chiarezza sulla fondatezza delle motivazioni da
parte della Compoagnia portyuale che si è detta “costretta” a ristrutturare l’organico che passa da 75 a
66 dipendenti. Silenzio invece da parte della Regione sulla crisi della Compagnia portuale e la messa in
mobilità dei nove addetti, la gran parte lavoratori specializzati nella manovra ferroviaria che resteranno
a casa dopo l’affidamento (dal primo maggio) del servizio ferroviario del raccordo del Liserty a una
società che sostituirà la Compagnia e la Coracfer. Ci sono altri lavoratori anche di questa società
ferroviaria ed è probabile che vengano anche loro messi in mobilità. Nessuna risposta della Regione
nemmeno alla richiesta di incontro, ribadita dalla Filt-Cgil. «Chiediamo come sindacato una
convocazione da parte della giunta regionale - ha dichiarato pochi giorni fa il segretario, Valentino
Lorelli - perché bisogna rimediare alla mancata clausola occupazionale nel bando di gara». Nonostante
il passaggio del servizio ferroviario infatti risulta che non è stato formalizzato, come accade in molte
altre situazioni, il passaggio del personale che attualmente lavora alla manovra del raccordo alla nuova
società che gestirà il servizio. Da quanto si può capire si tratterebbe di questioni puramente economiche
visto che la società che ha vinto la gara (unica a partecipare) prima ha chiesto una tariffa di 82 euro a
carro e poi, dopo trattative, è scesa a 42, lo stesso prezzo praticato finora. Una tariffa che permetteva
una gestione economica “in proprio” da parte della Compagnia assieme alla Coracfer che garantiva così
il servizio agli altri raccordati. Ma che ora non permetterebbe guadagni alla società che subentra. Ecco
dunque gli esuberi dovuti a questa vicenda ma anche allo sfaschi che sta vivendo il porto, «Una
situazione sempre più surreale» ha denunciato lo stesso Lorelli. (g.g.)
Le mamme vanno avanti ma non saranno in piazza (M. Veneto Udine)
di Paola Mauro LATISANA «Noi non ci saremo. Non ci faremo strumentalizzare in una
manifestazione che ha il puro sapore elettorale». Il comitato Nascere a Latisana, riunito ieri sera in
direttivo, ha deciso di non presenziare alla fiaccolata che il sindaco sta preparando per mercoledì
prossimo. Una presa di posizione – quella che ci viene anticipata dalla presidente Renata Zago – che ha
dei presupposti molto chiari: «Sono tutte iniziative che andavano prese prima, molto prima – spiega a
nome del comitato – così danno proprio l’idea dello spot elettorale e noi non ci stiamo». Il direttivo
convocato ieri sera doveva servire al comitato per prendere una decisione in merito alla lucciolata, ma
anche per definire la chiusura dell’attività del gruppo, arrivato ormai al capolinea, vista la sospensione
del punto nascita, operativa da venerdì. Ma l’incontro ha preso quasi subito un’altra linea e il comitato
va avanti. E lo fa sobbarcandosi proprio quel ricorso al Tribunale amministrativo regionale, nei
confronti del quale da giorni il sindaco Benigno tergiversa. E infatti è stato attaccato anche ieri nella
sua pagina Facebook. «Sembrava già scritto, solo da depositare, adesso si parla di delibera per
incaricare gli avvocati, ci pare che si stia perdendo tempo – dice la presidente del comitato – e noi
invece stiamo già verificando la questione, supportate da professionisti che ci stanno dando importanti
consigli non solo tecnici ma anche legali e soprattutto abbiamo la disponibilità di alcune persone per
sobbarcarsi il costo del ricorso al Tar». E riferendosi alla manifestazione di domenica a Gemona, il
comitato ieri sera ha invitato il sindaco di Latisana a incatenarsi anche per l’ospedale locale, non solo
per quello della pedemontana. La presidente del comitato, sempre ieri sera, ha sottolineato come la
fiducia delle persone stia vincendo contro le decisioni calate dall’alto: «Mi risulta – racconta – che a
sostegno della decisione di sospendere il punto nascita, si stia dicendo che nelle ultime due settimana
non si registrano nati nel reparto di Latisana». «Vale la pena ricordare – continua – che di nati ce ne
sono stati ben 18 dal primo marzo a oggi. E perfino dopo il decreto di chiusura sono nati a Latisana
nove bambini. E sembra che ce ne siano in arrivo altri due per domani». Il comitato ritiene «sia a dir
poco “vergognoso” dire che a Latisana non c’è più un trend positivo perché nessuno vi sta partorendo,
quando i dati confermano esattamente il contrario». E che il numero dei parti sarebbe proseguito con
questo andamento lo conferma anche il numero delle future mamme contattate dall’azienda, per
programmare il proseguo della gravidanza altrove: «Finora sono state contattate una quarantina di
donne con scadenza per i primi di aprile – ci tiene a sottolineare la presidente del comitato Nascere a
Latisana – che con la struttura aperta avrebbero contribuito all’incremento». Lunedì sera, a Trieste,
durante un incontro pubblico organizzato dal sindacato dei medici (Anao Assomed) sullo stato di
attuazione della riforma sanitaria nella nostra regione, il caso del punto nascita di Latisana è stato più
volte definito «un taglio indiscriminato di servizi» ed è stata manifestata da parte dei medici presenti
una grande preoccupazione per quello che potrà accadere dopo la sua chiusura.
Parità tra uomo e donna, incontro al San Giorgio (M. Veneto Udine)
Quali sono gli ostacoli che impediscono una reale parità tra uomo e donna nel lavoro e nella società? E
quanto contribuiscono gli sterotipi a perpetuare disparità e discriminazioni nei confronti delle donne?
Questi gli interrogativi al centro dell’iniziativa che si terrà oggi, con inizio alle 17, al teatro San
Giorgio di Udine, promossa da Cgil, coordinamento donne Spi e Auser Fvg, con il patrocinio del
Comune e di Federsanità Anci. L’incontro, dal titolo “Il danno sociale degli stereotipi”, è organizzata
nell’ambito delle manifestazioni per la giornata internazionale della donna e sarà a ingresso libero. In
programma un dibattito, coordinato da Daniela Vivarelli, della segreteria provinciale Spi Cgil, e una
rappresentazione teatrale, a cura della compagnia “I Plateali”, tutta giocata sul tema degli sterotipi.
Interverranno tra gli altri Monica Pascoli, sociologa dell’università di Udine, la docente di scuola
primaria Sonia Aita e la sindacalista Orietta Olivo, della segreteria regionale Cgil.
Nuova bufera al Consorzio di bonifica (M. Veneto Pordenone)
di Piero Tallandini Nuova bufera sugli appalti al Consorzio di bonifica Cellina-Meduna. Un’ulteriore
tranche d’inchiesta dopo quella che era scattata alle fine di ottobre, nel 2014. Si tratta di accertamenti
sulla regolarità degli appalti che ha portato ieri mattina il Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di
finanza di Pordenone ad eseguire controlli e ad acquisire una massiccia mole di documentazione negli
uffici della sede del Consorzio di bonifica in via Matteotti e negli uffici di imprenditori. É scattato il
sequestro di aree adibite a cantiere e in particolare nella zona del Cellina tra San Quirino e Roveredo.
Indagati due imprenditori e alcuni funzionari del consorzio. Ieri da fonti della Guardia di Finanza si è
appreso che questa tranche di indagine è ancora in fase iniziale e che imprenditori e funzionari sono
stati iscritti nel registro degli indagati come mera forma di tutela per poter procedere con gli
accertamenti documentali e i sequestri probatori. Al momento i reati ipotizzati sono la turbata libertà
degli incanti e la truffa ai danni della Regione. L’iscrizione sul registro degli indagati per queste due
ipotesi di reato è stata notificata ieri agli imprenditori che stanno realizzando l’opera nell’area tra San
Quirino e Roveredo. Gli indagati sono Bruno Manzato e il nipote Antonio, rispettivamente presidente e
legale rappresentante dell’impresa di costruzioni Manzato spa, con sede a Ceggia in provincia di
Venezia. Sono difesi dall’avvocato pordenonese Nisco Bernardi. Nel mirino della Procura ci sono due
appalti affidati alla ditta veneta. Il primo è stato aggiudicato il 15 dicembre del 2015 in una gara con
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Erano sette le offerte pervenute e il prezzo di
aggiudicazione è stato di 1,2 milioni di euro più Iva (per la precisione 1.242.721,14 euro). Progetto che
prevede la realizzazione di opere di riconversione irrigua nella zona del Cellina. In particolare,
verranno realizzate condotte in pressione al posto delle ormai vestuste canalette. I lavori erano
cominciati il 20 febbraio. Sono invece conclusi da almeno un anno i lavori per l’altro appalto affidato
alla Manzato, da 2,2 milioni euro, oggetto degli accertamenti: anche in questo caso si era trattato di un
progetto consorziale che prevedeva la realizzazione di opere di riconversione irrigua che avevano
interessato alcune aree campestri tra i territori comunali di Pordenone e Sacile. Gli accertamenti
potrebbero estendersi anche ad altri appalti. Uno degli aspetti che sta verificando la Procura è se siano
stati ripresentati nuovamente dei progetti già di fatto sviluppati in un primo lotto. A coordinare
l’inchiesta è il sostituto procuratore Maria Grazia Zaina. La Manzato è una ditta storica del settore,
attiva da 50 anni nel campo della realizzazione di grandi impianti come acquedotti, reti per l’irrigazione
e per lo smaltimento di scarichi reflui.
Sintesi, la paga non arriva. Si va al muro contro muro (M. Veneto Pordenone)
di Guglielmo Zisa SPILIMBERGIO Nuova delusione per i lavoratori della Sintesi di Spilimbergo.
Nonostante gli impegni presi dalla proprietà, la Ikf spa,dell’atteso (entro ieri) saldo della mensilità di
dicembre non si è ancora avuta traccia. Una mancanza che stride non poco con i buoni propositi delle
maestranze di mantenere la calma, sperando di “salvare il salvabile”, nel loro caso rappresentato dagli
stipendi arretrati, dai trattamenti di fine rapporto e dai premi di anzianità maturati. I lavoratori. I
lavoratori sono pressoché convinti che la storia di Sintesi, azienda che ha visto molti di loro crescere
umanamente e professionalmente, sia arrivata al capolinea. L’ombra del fallimento si allunga e i
lavoratori si dicono pronti a tutto pur di non cedere di un centimetro rispetto a quanto spetta loro.
Stando al piani dell’azienda, seppure ai lavoratori non sia arrivata alcuna comunicazione ufficiale, a
Spilimbergo da mercoledì prossimo si chiude. Una prospettiva che si scontra con quei patti con i
lavoratori che la proprietà ha disatteso. Anche il secondo piano di rientro delle spettanze, presentato ai
sindacati, è stato disatteso se non per il fatto che, almeno gli euro delle mensilità di gennaio e metà
degli stipendi di dicembre sono entrati nelle loro tasche. Nulla si sa delle tredicesime, degli stipendi di
gennaio e febbraio, di tutti gli arretrati e dei tfr, mentre si spera che almeno il saldo di dicembre arrivi
entro questa settimana. Il vertice. È andato letteralmente in fumo l’auspicio dei lavoratori e di chi ne
rappresenta gli interessi sulla possibilità che la proprietà entro la fine di febbraio pagasse tutti gli
arretrati, comprese le casse integrazioni in ritardo e le quote dei trattamenti di fine rapporto dovute ai
lavoratori ormai fuoriusciti da Sintesi, offrendo al tempo stesso garanzie adeguate sulle restanti
spettanze. Per la proprietà si tratta di un pessimo biglietto da visita con cui presentarsi dinanzi alle parti
sociali venerdì, al tavolo da essa stessa richiesto alla Regione (l’appuntamento è alle 9.30 nella sede
della Provincia a Pordenone, dove sono ospitati gli uffici regionali della Politiche del lavoro), per
chiedere la stipula dell’accordo per il licenziamento dei lavoratori per cessata attività. Se alla lista degli
scontenti, lavoratori a parte (24 in tutto fra attivi e già in cassa integrazione da marzo 2015), si
aggiungono quanti per loro ragioni si sono dimessi e risultano tuttora in attesa degli arretrati – i
lavoratori ex Ame (una cinquantina) che nei confronti della proprietà di Sintesi vantano crediti, oltre ai
fornitori che attendono d’essere pagati – il quadro che ne esce è estremamente complicato.
«Da noi non risultano irregolarità» (M. Veneto Pordenone)
«Nessun comportamento illecito da parte dei lavoratori di Poste italiane nel Pordenonese: a Slp Cisl
non risultano casi di portalettere che abbiano “insabbiato la corrispondenza”. Se queste accuse avessero
fondamento, dovrebbero essere circostanziate e denunciate agli organismi competenti. Per quanto ci
riguarda, il comportamento delle maestranze in provincia è regolare». Lo sostiene il segretario di Slp
Cisl, Gianfranco Parziale, dopo che si è diffusa la notizia che, nel Pordenonese, alcuni funzionari e
responsabili della qualità di Poste sarebbero coinvolti e indagati nella truffa dei recapiti, in seguito a
un’inchiesta avviata a Roma. «Una notizia che ha creato allarmismi ingiustificati tra dipendenti e
clienti – mette in evidenza Parziale –. Slp Cisl preferisce interfacciarsi con l’azienda nelle sedi
deputate, con gli strumenti legislativi e contrattuali a disposizione. Quando abbiamo avuto elementi per
denunciare irregolarità o incongruenze, l’abbiamo fatto con determinazione. Bisogna precisare che
l’inchiesta è il risultato di una indagine interna di Poste effettuata a livello nazionale e non sollecitata
da una denuncia sindacale. E’ ancora in corso una inchiesta parallela della magistratura». Parziale
ricorda che «ci interessa che siano individuati e puniti gli ideatori di condotte non regolari, ovvero chi
aveva effettivo potere decisionale. A oggi nessun lavoratore di Pordenone è stato interessato da
provvedimenti disciplinari (non esistono nemmeno i 10 funzionari di cui si è parlato). Se dovesse
accadere, attiveremo ogni forma di tutela per quanti sono estranei alla questione e ingiustamente
coinvolti. E’ un dato di fatto che il responsabile della qualità del Friuli è stato licenziato, ma riteniamo
che anche per questa posizione debba essere fatta chiarezza». E conclude: «Non è facile per un
sindacato sostenere scelte difficili come l’accordo sul recapito a giorni alterni, che tra settembre e
novembre partirà in tutta la provincia. Stiamo comunque lavorando nei tavoli negoziali regionali per
adeguare il nuovo modello di recapito alla nostra realtà territoriale».(g.s.)
Kennedy, laboratori chiusi «La situazione è grave» (Gazzettino Pordenone)
PORDENONE - (vs) Non si placa la polemica rispetto al mancato funzionamento dei laboratori di
elettrotecnica all'Istituto Tecnico Kennedy di Pordenone. Dopo la lettera inviata nei giorni scorsi da
alcuni genitori alla dirigente scolastica Antonietta Zancan, questa volta sono è il sindacato Flc Cgil a
lanciare i propri strali: «I laboratori sono sottoutilizzati da mesi, è un fatto gravissimo per un istituto
tecnico» commenta Mario Bellomo segretario provinciale. Secondo il sindacato rosso il problema, che
già si era presentato lo scorso anno, «andava risolto durante l'estate» prosegue il sindacalista. Che
aggiunge: «Nessuno ha la bacchetta magica ma questa cosa va risolta. Se c'è bisogno di supporto le
organizzazioni sindacali si mettono a disposizione». L'appello si rivolge direttamente alla dirigente
Zancan e al responsabile del servizio di prevenzione e protezione. L'attività didattica «non è stata
compromessa - replica la preside - proprio oggi (ieri per chi legge, ndr) ho ricevuto le relazioni degli
insegnanti sulle attività del primo quadrimestre da cui risulta che tutte le esercitazioni sono state fatte,
relazioni che attendevo per rispondere anche ai genitori. I ragazzi lavorano con energia a bassa
tensione, anche perché non potrebbero farlo ad alta tensione perché non hanno la qualifica. Come
accade peraltro in tutti gli Istituti tecnici del Veneto. Forse prima di mettere mano ai laboratori di
chimica sarebbe stato meglio sistemare quelli di elettrotecnica, che da sempre sono stati un punto di
riferimento per questa scuola, luogo dove si incontravano le esigenze del mondo delle imprese e la
didattica» rincara Gianfranco Dall'Agnese sindacalista Flc Cgil e per 32 anni lavoratore al Kennedy.
Alla richiesta dei genitori e del ora anche del sindacato, non è escluso che si aggiunga anche quella
degli studenti con iniziative specifiche.
«Serve una nuova sede per il liceo Pujati» (M. Veneto Pordenone)
SACILE «Una nuova sede per il liceo Pujati». Mancano cinque aule per i liceali e la soluzione radicale
è targata FlcCgil. Mario Bellomo e Gianfranco dall’Agnese hanno contato tre sedi separate del Pujati e
cinque classi “sfrattate” dall’Isis Marchesini, che aumenterà gli iscritti, in settembre. Che fare?
«Chiediamo al sindaco Roberto Ceraolo di aprire un tavolo di confronto – ha incalzato Bellomo –. Con
Provincia, sindacati e scuole: servono aule ai liceali». Il Pujati ha confermato sette classi prime nelle
iscrizioni 2016-2017. Il sindaco Ceraolo ha la soluzione già pronta per settembre. «Ci sono aule libere
in via Piccin per i liceali del Pujati – ha proposto ieri il primo cittadino –. Sono state lasciate libere
dall’ex Ctp degli studenti adulti e potrebbero essere la soluzione-tampone». Caso risolto? I problemi.
«Al Pujati serve un auditorium – hanno elencato alla Cgil –. Per tutti gli studenti pendolari a Sacile
serve una mensa e poi palestre. Il polo scolastico liventino è frequentato da ragazzi pendolari da oltre
60 comuni sul confine veneto-friulano: meritano trasporti migliori». Senza dimenticare la linea
ferroviaria ferma da circa quattro anni Sacile-Gemona: gli studenti la reclamano. «I fondi per costruire
una nuova sede per il Pujati che riunisca i plessi separati attuali, cioè le due sedi in viale Zancanaro nel
parco Balliana e quella in viale Matteotti – ha detto Bellomo – si possono chiedere alla Regione».
Trieste potrebbe mantenere la gestione delle superiori, dopo lo smantellamento della Provincia a
Pordenone? «Non abbiamo ancora certezze in merito – il sindaco Ceraolo segue l’evoluzione
amministrativa -. La soluzione positiva sarebbe mantenere sul territorio la gestione di tutte le scuole,
ma coordinandola sull’area vasta delle Uti con una regia omogenea». L’agenda. Il vertice per trovare
aule al liceo Pujati sarà in Provincia: l’assessore Carlo Spagnol è invitato al tavolo in piazza San
Giorgio a Pordenone. «Aumentano gli iscritti nell’Isis Marchesini – il dirigente Alessandro Basso ha
confermato l’impennata di classi 2016-2017 –. Non prevediamo possibile rinnovare l’accoglienza di
cinque classi liceali del Pujati, in settembre». Cento studenti da sistemare in settembre: il trasloco
potrebbe essere nella Balliana-Nievo dove gli iscritti sono diminuiti? «Non ci sono spazi liberi», ha
verificato il dirigente Claudio Morotti. L’ipotesi dell’utilizzo di aule nel professionale Della Valentina
non sembra possibile: l’ex Ctp degli studenti adulti ha aperto i corsi e incontri anche di mattina, in
un’ala dell’Ipsia in viale Zancanaro. Entro giugno, la soluzione.(c.b.)
Cgil: «Scuola, meglio costruirla nuova» (M. Veneto Pordenone)
PRAVISDOMINI «Per 114 alunni serve una nuova scuola: la media Svevo ha 60 anni». Rughe
dell’età, sui muri dell’istruzione secondaria a Pravisdomini, e il sindacato Flc Cgil si è schierato con il
sindaco Graziano Campaner. Il primo cittadino, infatti, ha programmato per le nuove aule, al posto di
quelle d’annata in via Roma, il conto alla rovescia: costo 1,5 milioni di euro. «Alziamo la posta – è
intervenuto il vertice sindacale Flc Cgil, Mario Bellomo –: serve un campus scolastico con nuove
sezioni di materna statale». Intanto, il clima pre elettorale a Pravisdomini scalda i toni sul caso
dell’edilizia scolastica. «Le scuole materne private e confessionali non bastano, nella Bassa
pordenonese – anche il sindacalista Flc Cgil, Gianfranco Dall’Agnese, ha reclamato le sezioni statali –.
La ragione è semplice: i costi per tutte le tasche. Aspettano l’apertura di sezioni d’infanzia statali tante
famiglie a Pravisdomini, Chions, a Brugnera, Fiume Veneto, Casarsa. Ovvero, dove le materne private
non sono sufficienti a rispondere ai bisogni di formazione». «Sbagliano i leghisti di Pravisdomini a
chiedere un riatto del vecchio edificio della Svevo – Bellomo contesta la politica del Carroccio –.
Meglio una nuova scuola che un edificio datato. Le risorse possono essere recuperate nelle politiche
sulla Buona scuola e in Regione Fvg: per dare aule anche ai bambini della materna». Lo scontro
politico è duro: la Lega Nord, con Angelo Vincenzi, parteggia invece per la soluzione riatto e non ci sta
alle nuove colate di cemento. I problemi segnalati nella Svevo: tra i più diffusi, maniglie di finestre
bloccate, lampadine dei proiettori bruciate, aula video priva delle tende oscuranti, veneziane
sgangherate. Chiara Benotti
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