Energia liberalizzata. Max Keefe. DICIOTTO GENNAIO 2012 AVVENTURE Le Tour du Faso La corsa più pazza del mondo di Marco Pastonesi IDEE il giusto salario STORIE La Comandante Comanche serie originale in più parti ottava puntata MAXKEEFE FOTOGRAFIE Tour du Faso 2008 Burkina Faso STORIE E AVVENTURE IMMAGINARIE Avventure in Africa La corsa più pazza del mondo A ridosso del Sahara, le tante storie irreali, divertenti e tragiche del Tour du Faso. Un libro di Marco Pastonesi. Max Keefe è un mensile creato, impaginato e diffuso da Roberto Mengoni Mar Keefe è aperto, rinfrescante, gratuito e rifiuta la pubblicità. Per gli amici e gli amici degli amici 1 La foto sopra non viene dal Tour de France. Viene dal Burkina Faso, l’ultimo posto sul pianeta dove si potrebbe immaginare di andare in bicicletta. E non si tratta di una passeggiata, bensì di una corsa ciclistica vera e propria, “Le Tour du Faso”, la più popolare e prestigiosa in Africa. Il Giro del Burkina Faso? In un paese che ha appena duemila chilometri di strade asfaltate? Senza parlare della miseria, della desertificazione, dei problemi politici? Padronissimi di non crederci. Ma il Tour du Faso esiste e lo scorso novembre ha raggiunto la venticinquesima edizione. Sono una decina di tappe per circa milleduecento chilometri, spesso su asfalto, con lunghi tratti su piste di terra rossa. Vi partecipano alcune squadre europee e le nazionali africane, gente che parte all’arrembaggio senza preparatori, massaggiatori, mecca- nici ed ammiraglie. Sono eroi per caso, a bordo di biciclette sgangherate di seconda mano, prese in prestito, regalate, che devono aggiustare da soli. Se forano, si arrangiano con mastice e pezze, più veloci della scuderia Ferrari. Il Burkina sembra l’Italia dei tempi eroici del ciclismo. Un pubblico appassionato segue il tour per strada o in televisione, magari l’unico, messo al centro del villaggio dal fortunato proprietario. Racconta tutto questo Marco Pastonesi, giornalista della Gazzetta, in un libretto del 2007. Poca sociologia. Tocco rapido di giornalista abituato a restituire con le parole lo scatto e una volata. Soprattutto, una collezione di volti, storie e tempi africani, sconosciuti, poveri e ricchi di speranza. Tra i caratteri memorabili, il re tradizionale dei Mossi, che fondarono secoli fa un vasto impero; il collega della reda- zione sportiva del principale giornale burkinabé; i pompieri ciclisti francesi, la giovanissima maglia nera del Gabon, Nombo Ndjassy, quello che “ha sentito parlare di doping, ma non sa bene cosa sia.” E’ la gara a due pedali più umana al mondo. I giudici, a volte, chiudono un occhio, se si tratta di riammettere alla corsa un corridore giunto fuori tempo massimo spingendo la bici spaccata, con il cambio rotto e la catena per terra. Lo scorso anno i ciclisti ai nastri di partenza erano una novantina, appartenenti a nove squadre africane e a tre europee. Ha vinto Hamidou Zidweiba, Burkina Faso, 28 anni. Dietro di lui un camerunense, Martinien Tega, 38 anni, e un altro burkinabé, Rasmane Ouedraogo, 24 anni. Cliccate qui per vedere (in francese) l’ultima tappa del 2011. Non è una stupenda avventura? I numeri arretrati su www.robertomengoni.it MAXKEEFEDICIOTTOGENNAIO2012 Messaggio da Max Tra Natale e Capodanno Max ha avuto tempo per pensare. Si è chiesto se ci fossero alternative alle agenzie di rating, agli hedge funds, a Wall Street e alla City; se sarebbe possibile usare la creatività umana per migliorare il mondo invece di inventare nuovi strumenti finanziari. La rete abbonda di idee: economia digitale, banche etiche, progetti comunitari, energie rinnovabili, microprogetti sociali invece di elefantiache megastrutture. Non tutto ha senso o è realizzabile. Ma vale la pena ragionarci su. Max vorrebbe dedicare qualche pagina alle alternative. Un’altra forma di avventura. Quella delle idee. Idee alternative Il giusto salario La New Economics Foundation di Londra esplora il giusto valore dello stipendio. “Le stesse opportunità. E lo stesso salario. Se veramente ci credi, sei proprio fuori di testa” cantavano gli Style Council all’epoca dellaThatcher. In quell’epoca che sembra preistoria nacquero i mercati finanziari globalizzati privi di regole ed altamente creativi, maestri nella vendita del nulla ai polli in batteria del denaro facile. Fino al prossimo crollo di Wall Street. La globalizzazione ha portato anche l’impressionante crescita dei salari pagati ai manager delle multinazionali. Secondo l’Economist, in dodici anni (19982010), il rapporto tra i salari dei supermanager delle aziende quotate nella borsa londinese e quello medio è cresciuto da 47 a 120 volte. In un’economia altamente integrata la logica di mercato spinge le grandi aziende a cercare i migliori manager a suon di milioni. Ma sono davvero i migliori? E come vengono realizzati i profitti? Quali costi sociali ed ambientali si nascondono dietro i bilanci aziendali? Siamo sicuri che il lavoro di una maestra d’asilo valga meno rispetto a quello di un pubblicitario? Uno studio di fine 2009 della New Economics Foundation (“A Bit Rich”, che può essere scaricato cliccando sul titolo) cerca di rispondere in modo scientifico e non ideologico a queste domande, giungendo a conclusioni sorprendenti. Per esempio, un commercialista distrugge 47 sterline per ogni sterlina prodotta, mentre un operatore di asilo nido procura quasi 10 sterline di benefici economici per ogni sterlina di stipendio. Sappiamo istintivamente che ciò è vero. Uno spazzino produce dei benefici immediatamente tangibili. Al minimo, toglie a ciascuno la fatica di dover prov- 2 vedere alla pulizia delle strade intorno a casa (per quanto in certe parti d’Italia non guasterebbe che i cittadini si attivassero) e di dover smaltire i propri rifiuti. Ma come quantificare questi benefici in un modello economico che abbia senso? Dal punto di vista teorico lo studio mette in discussione la visione ortodossa di un salario legato unicamente alla produttività, prendendo in considerazione gli effetti sociali ed ambientale dell’attività svolta da alcune categorie tipiche del mondo londinese. Sotto esame sono sei professioni, tre di altissimo profilo e salario: il banchiere della City, il grande commercialista, il responsabile pubblicitario; e tre di basso livello e bassi guadagni: l’addetto alle pulizie, l’operatore di asilo e l’operaio di un impianto di riciclaggio. Ogni attività umana, che si tratti di produrre yogurt o di cantare la ninnananna ai figli ha un costo legato ai fattori di produzione: nel caso dello yogurt, il prezzo del latte, dei macchinari, dei lavoratori, del trasporto del prodot- to, della pubblicità, a cui si aggiunge, naturalmente il margine di profitto. Ci sono però altri costi, come le malattie dei lavoratori, la produzione di rifiuti o le emissioni di gas tossici, che non compaiono nei bilanci delle aziende, a meno che lo stato non lo imponga sotto forma di tasse (per esempio i contributi sociali) o di regolamentazione (obbligo di trattare i rifiuti tossici). La ricerca del profitto spinge le aziende a ridurre i costi e, spesso, alla tentazione di trasferire i costi sociali ed ambientali sulla collettività. Non c’è ricompensa per curare la natura o il benessere dei lavoratori. E così gli stipendi dei manager crescono per ricompensare profumatamente il loro impegno a massimizzare i profitti. Dall’altro lato è innegabile il valore sociale di un addetto alle pulizie in ospedale, che protegge la salute degli infermi e i bilanci sanitari. Eppure il suo salario è infimo, qualcosa come 7 euro all’ora nel Regno Unito. Un operatore di asilo nido porta a casa meno di 1000 euro al mese. In Gran Bretagna, ma non solo, è una professione che attira ragazze giovani, poco pratiche nel trattare i pupi anche se, speriamo, piene di entusiasmo. Si tratta di un’attività essenziale per la società. L’asilo nido permette alle donne di proseguire nella propria carriera, restando membri produttivi della società. Un bambino ben curato dall’infanzia incorrerà nel futuro in minori rischi di disadattamento, abbandono della scuola, criminalità e miseria. Lo studio sottolinea, per esempio, che in Svezia, dove il 70% delle mamme lavora grazie a una rete di asili nidi organizzata dallo stato, solo il 4% dei bambini vive in povertà. La percentuale in Gran BretaLa New Economics Foundation (clicca il link sul nome) è stata fondata nel 1986 in Gran Bretagna dai leader del “The Other Economic Summit”, forum alternativo al G7. Rispettato think-tank, produce studi sulle possibilità di un nuovo modello di creazione della ricchezza, basato su uguaglianza, diversità e stabilità economica. Tra le idee “la banca del tempo”, “l’indice del pianeta felice” e “la settimana di 21 ore”.. Al centro: Il campione burkinabé Abdul Wahad Sawadogo. Vinse il Tour du Faso nel 2004. I numeri arretrati su www.robertomengoni.it MAXKEEFEDICIOTTOGENNAIO2012 3 gna è oggi uno sconvolgente 30% (era il 10% nel 1979, all’inizio dell’era Thatcher), una delle peggiori nel mondo industrializzato. Vediamo cosa accade al responsabile di un’azienda pubblicitaria, il cui salario parte da seicentomila euro e può superare i dieci milioni annui. La pubblicità presenta alcuni aspetti positivi, stimola i consumi e quindi l’attività economica, ma questi sono ampiamente controbilanciati dai danni causati dalla creazione di bisogni inutili, dalla corsa sfrenata allo status fomentata dall’invidia, che alimenta insoddisfazione e frustrazione, oltre che da un intollerabile spreco di risorse. Alla fine, per ogni sterlina prodotta, ben undici finiscono in cenere. E che dire di un commercialista? Uno dei migliori si vanta di aver aiutato un suo cliente a vendere la sua azienda per 1,5 milioni di euro pagando 10.000 euro di tasse, ovvero sottraendo legalmente fondi che potrebbero essere utilizzati per erogare servizi essenziali alla collettività. Lo studio sfata numerosi miti. E’ importante accennare a un fatto che sembra banale. Ciò che offende le persone, e che conduce spesso al crimine, alla violenza e ad altri gravi problemi sociali, proprio come accaduto in Inghilterra la scorsa estate, non è tanto la povertà assoluta, quanto la percezione della disuguaglianza. Che fare? “A Bit Rich” conclude con una serie di proposte che non vengono dal Capitale di Marx, ma che facevano parte del programma di ogni partito di sinistra europeo fino agli anni ottanta. Alcune di queste chiedono di fissare un massimo differenziale tra gli stipendi, basato sul valore sociale del lavoro; di tassare progressivamente i ceti benestanti; di utilizzare la leva fiscale per fare in modo che i prezzi riflettano anche il valore sociale ed ambientale dell’attività economica. Alcune proposte non sembrano tenere conto della realtà economica, in cui la forza della globalizzazione sovrasta la capacità dei singoli stati di tenerla a freno. Ciò nonostante, la New Economics Foundation ha il merito di ribaltare la gerarchia delle professioni, restituendo al lavoro il suo originale significato di attività sociale che non si esaurisce unicamente nella ricerca del profitto. Da questo, in conclusione, potrebbero ripartire i governi per impostare politiche che restituiscano maggiore equilibrio e quindi benessere alle società occidentali. Dopo una pausa di un mese torna la Comandante Comanche, con sette nuove avventure. Se siete nuovi su Max Keefe o non avete letto le precedenti puntate, la Comandante è un’astronauta del XXII secolo in cerca dell’amore impossibile per un pilota di cui non si conosce nient’altro che il nome, Cavallo pazzo. La Comandante trascina la sua astronave per la galassia intera in cerca dell’introvabile amante, finendo su pianeti bizzarri, bellissimi o incomprensibili. Nelle prime sette puntate la Comandante ha visitato: Ichimachi, il pianeta con una sola città (maggio), Karuhito, il pianeta degli uomini leggeri (giugno), Ugokushima, il pianeta delle isole mobili (luglio), Tomesei, il pianeta degli uomini trasparenti (agosto), Kodomomono, il pianeta dei bambini (settembre), Warusenai, il pianeta dei collezionisti di memorie (ottobre) e Daiyou, il pianeta ostile (novembre). Sette nuove storie che ci porteranno fino a luglio quando, se ce la farò, uscirà una raccolta completa di tutte le avventure della mitologica cosmonauta pellerossa. Comandante Comanche Fumochitai Racconto originale di Roberto Mengoni L’astronave della Comandante Comanche, The-Great-Gig-in-the-Sky, era vicina a Fumochitai, il pianeta di legno di balsamo, interamente devoluto alla ricerca della liberazione dalla schiavitù delle emozioni attraverso la pratica della meditazione. Molti sono i pianeti della galassia che ospitano maestri di saggezza a cui accorrono le persone in cerca della perfezione dell’anima. Ciascuno di questi è perfetto nel suo campo, insegna a liberarsi di un sottile strato di imperfezione, ma nessuno rasenta la grandezza dei maestri di Fumochitai, il pianeta dove niente cambia e che, per colmo di perfezione, non compare sulle mappe elettroniche delle grandi rotte transplanetarie. Il pianeta di legno di balsamo offre un faticoso ma meraviglioso cammino di graduale distacco dai desideri terreni insoddisfatti. Il primo desiderio da far scomparire è quello di riempire il proprio ventre. I discepoli imparano ad avere bisogno di sempre meno alimenti. Immediatamente appena arrivati, eliminano la carne, il pesce e le uova, imparando a nutrirsi di soli vegetali e legumi. Poi riducono le quantità: una ciotola di riso deve bastare per un giorno intero, poi per tre giorni, poi per una settimana. In questo modo la mente diventa chiara, rendendo facile l’introspezione approfondita nel proprio io. Il secondo desiderio da sopprimere è quello del movimento. Camminano solo Numeri arretrati su www.robertomengoni.it MAXKEEFEDICIOTTOGENNAIO2012 4 se necessario per rimuovere i pensieri inutili e diventano perfetti una volta che imparino a muoversi unicamente nella mente. Il terzo desiderio da eliminare è quello della parola, che costituisce una torbida distrazione per la chiarezza dei pensieri, in virtù dell’irreparabile ambiguità che avvolge concetti pur bellissimi espressi con suoni rozzi e informi. Per questo, i veri maestri non hanno bisogno di parlare ai discepoli, essendo loro sufficiente un singolo gesto, concepito al termine di un lungo purissimo pensiero. I novizi a Fumochitai imparano a tacere e a descrivere a sé stessi con il silenzio l’assenza delle emozioni. L’altro desiderio da cancellare è quello di un compagno. Non serve un compagno nella ricerca della verità assoluta che si nasconde, visibile ma intoccabile, pura ma incrostata di errori, cristallina ma infangata, nel recesso più profondo della propria anima individuale. I discepoli di Fumochitai sono membri di un unico corpo mistico. La loro fusione si compie nell’annullamento completo delle anime individuali. Infatti, cosa resta degli esseri viventi una volta che scompare il desiderio di mangiare, di ascoltare, di parlare, di muoversi e di amare? Un vuoto assoluto che diventa luce. Un profumo di infinito che non sa di nulla uguale per tutti. Sulla strada della purezza infinita, gli ostacoli aumentano invece di diminuire. Qualsiasi minima cosa può turbare le delicate pareti del vuoto. Basta un soffio di vento. La pratica prosegue perciò nel buio delle caverne dove l’aria è stagnante e non cambia mai di temperatura. Lì, nelle immobili disseccate caverne di Fumochitai non vi è il rischio che l’unica goccia d’acqua che ha impiegato mille anni per scendere da una solitaria vera acquifera cada, con un rumore simile ai motori di un’astronave in atterraggio, a poca distanza dal punto di meditazione, turbando l’ascesi. Il nutrimento giunge sotto forma di chicchi di riso e di una goccia d’acqua, deposti delicatamente in una ciotola di feltro e in una foglia di gelso. Al resto pensa l’energia quantistica cosmica che fluisce senza interruzioni attraverso i canali filosofali del legno di balsamo, favorendo la diffusione dell’anima pura nel vuoto celeste. O qualcosa del genere. Per questo la ricerca più pura della perfezione si compie a Fumochitai, il pianeta dove ogni cosa è immobile e sterile. Non esistono animali, piante e neppure batteri che diano fastidio. L’orizzonte sempre uguale in ogni direzione è costellato di uomini, donne e alligatori fermi a pensare su sé stessi. L’unico avvenimento è quando qualcuno raggiunge l’illuminazione. E subito dopo muore. Fumochitai è un posto terribilmente noioso per fermarsi. Il bar dello spazioporto vende solo tè rilassanti. L’unico ristorante serve verdure scotte senza olio e sale. Vicino si trova il buco nero dove la Comandante Comanche sperava di gettarsi per dimenticare Cavallo Pazzo. “Comandante?” Il nostromo Pachugo svegliò la donna delicatamente. Lei scattò in piedi con il laser in mano, mentre i capelli si accendevano di un rosso fuoco, come sempre quando veniva sorpresa a sognare. Non fece fuoco come di solito perché il nostromo, uomo previdente, aveva tolto il caricabatteria la sera prima. “Sarebbe ora di ripartire.” La Comandante guardò il pianeta Fumochitai che luccicava di una luce smorzata. L’orlo del buco nero incombente componeva un sorriso beffardo, ma lei non si sarebbe mai buttata nel buco nero. Non da sola, almeno. “Rotta su Jodan. Andiamo a farci due risate!” “Dov’è Jodan?” Chiese il nostromo consultando l’agenda elettronica senza trovarne il nome. “Lo sto inventando in questo momento” rispose e di sdraiò di nuovo, addormentandosi e sognando un pianeta dove avrebbe riso di Cavallo Pazzo. Numeri arretrati su www.robertomengoni.it