Marina Štremfelj Centro Aletti Il colloquio spirituale è un’arte che prende le dimensioni e i colori della sapienza dell’ascolto e della comunicazione “Strumento precipuo di formazione è il colloquio personale da tenersi con regolarità e con una certa frequenza, come consuetudine di insostituibile e collaudata efficacia” (Vita Consecrata, 66) INTRODUZIONE 1. Oggi, forse più che, mai si nota un grande bisogno, una vera e propria sete di persone che sappiano mettersi in ascolto dell’altro, capaci di offrire consigli di vita, di dire quella parola che sa toccare i cuori nel profondo e aiuta a riprendersi anche nei momenti più difficili. C’è bisogno di persone spirituali, piene di vita, di bontà, di amore, capaci di suscitare la vita, la bontà, l’amore anche negli altri. Abbiamo bisogno di persone tranquille, che non hanno paura per se stesse, che non contano su se stesse, ma si affidano pienamente allo Spirito Santo: solo queste persone possono partorire figli spirituali. Pavel Evdokimov definisce addirittura come una categoria di santità la protezione materna, e anche san Serafino di Sarov afferma che la prima qualità di uno starets è l’amore materno verso coloro che guida. Così si esprime: “Devi essere per gli altri come una madre”.1 Noi crediamo che, dove è presente l’amore, lì c’è Dio (cf 1Gv 4,8). E se il padre o la madre spirituali aiutano veramente gli altri a trovare la fonte dell’amore, significa che essi generano figli per Dio: ecco la fecondità spirituale. Senza l’amore, l’uomo non può conoscere Dio che è Amore. E allora è veramente grande il contributo delle persone spirituali che aiutano l’uomo contemporaneo, spesso così confuso e sofferente a causa di una vita divisa. D’altra parte, proprio per questo l’uomo di oggi è così bisognoso di trovare il luogo interiore dove può sentirsi amato e dove può vivere la comunione con gli altri recuperando una dimensione relazionale, rinnovando la relazione spezzata. Anche nel passato i religiosi “erano soprattutto padri e madri spirituali proprio perché l’uomo contemporaneo è ferito nelle relazioni interpersonali e ciò costituisce un grosso handicap per la conoscenza di Dio. L’uomo ha bisogno di incontrare uno con cui instaurare relazione sana..., perché Dio è relazione.”2 Questo incontro favorisce la nascita di una vera comunione che, di conseguenza, fa nascere pure la speranza concreta e reale per un mondo rinnovato, per un mondo escatologico dove finalmente regneranno la Verità, l’Amore, la Bellezza. Ecco l’ambito privilegiato per poter generare persone predisposte ad incontrarsi con Dio. In questo contesto, si può forse sottolineare in modo particolare il ruolo della donna che, fin dalla creazione, ha ricevuto un compito preciso da parte di Dio: essere di aiuto all’uomo, un aiuto che, in maniera peculiare e speciale, va compreso come capacità di creare le relazioni e di portare le persone a vivere la comunione.3 2. L’argomento a me richiesto richiederebbe una riflessione sullo Spirito Santo, che noi in questo contesto non possiamo che lasciare per presupposta. Infatti, su queste cose non possiamo parlare se non in riferimento alla fonte della vita. Non è un caso che nella nostra fede professiamo: Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita. I nostri aiuti non possono dipendere solo dalle capacità intellettuali, perché Dio nella Scrittura ci dice: “Distruggerò la sapienza dei sapienti … Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo?” (1Cor 1,19), perché la sapienza secondo la carne sarà distrutta. La Sapienza divina trova il suo vero principio solo nel dono dello Spirito Santo. Crescere nella sapienza non è altro che lasciarsi educare al rapporto filiale verso il Padre (cf. Gv 14,31), l’unico ambito in cui si può collocare il colloquio spirituale. La paternità e la maternità sono “spirituali” perché generano alla docilità al principio della santificazione, cioè allo Spirito Santo, Colui che ha il 1 Cf P. EVDOKIMOV, La donna e la salvezza del mondo, ed. it. Milano 1979, pp. 270-1. M. I. RUPNIK, Dall’esperienza alla sapienza. Profezia della vita religiosa, Roma 1996, p. 57. 3 M. T. PORCILE SANTISO, La mujer, espacio de salvacion, ed. it. Bologna 1994, p. 179. 2 1 potere di far sorgere il mondo di Dio, come ha fatto al momento della creazione, all’incarnazione e poi risuscitando Cristo e predisponendo in noi il germe della risurrezione. La nostra fede ci invita da sempre ad invocare lo Spirito Santo per il rinnovamento della terra, del mondo, dell’umanità, per la trasfigurazione della realtà, per la riconciliazione. Noi, persone religiose siamo chiamate a rimanere fedeli all’onda dei profeti della Bibbia, gridando prima di tutto: “Mandi il tuo spirito... e rinnova la faccia della terra!” (Sal 104,30). Ecco la nostra missione: un insegnamento vivo che, da corpo a corpo, da bocca ad orecchio, da cuore a cuore trasmetta l’arte della sequela e soprattutto trasmetta lo Spirito Santo, ricevuto in dono per animare, aiutare, e, nel caso del bisogno, anche consolare ogni persona. Credo che per questo padre Cleopa, monaco della Romania, afferma che “l’essenza di un monastero sono i padri.”4 IL COLLOQUIO SPIRITUALE COLLOCATO NELL’ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE Che cosa è l’accompagnamento spirituale, quale ne è lo scopo principale 1. E’ l’arte spirituale per eccellenza perché, in fondo, si tratta delle ispirazioni e della creatività che aprono nuove dimensioni e nuovi colori nella vita. In ogni arte spirituale prima di tutto c’è una persona, un “artista” che si lascia ispirare per far nascere un’opera d’arte come frutto visibile di ogni ispirazione. Gli stessi elementi valgono anche per l’accompagnamento spirituale, dove c’è una persona che guida e una che cammina, ma al frutto spirituale si arriva solo dopo aver seguito le ispirazioni dello Spirito Santo. Sono tanti i possibili pericoli di un pensiero solamente umano, che apparentemente può sembrare geniale, ma non è detto che sia frutto dell’ispirazione spirituale, dello Spirito Santo, l’unico che dà senso alle nostre parole. Questo, se vale per il discepolo, vale anche per il maestro. Tramite il rapporto con il maestro, il discepolo si libera da una sterile valutazione di se stesso, dall’essere ancorato alla propria volontà, e questa rinuncia è l’inizio della creatività spirituale, perché permette di essere liberi anche da se stessi e così di disporsi ad essere pronti alla volontà di Dio che fa con noi che noi mai saremmo stati in grado di immaginare. La guida spirituale, a sua volta, deve imparare la docilità all’ispirazione spirituale, che sorpassa le semplici capacità psicologiche di introspezione, che in questo caso possono essere più di ostacolo che di utilità. San Serafino di Sarov, un grande monaco russo vissuto tra il 1759 e il 1833, a chi gli faceva i complimenti per la sua capacità di chiaroveggenza, rispondeva: “Il cuore dell’uomo è aperto solo a Dio... io considero come un indizio proveniente da Dio il primo pensiero che si forma in me; senza conoscere che cosa il mio interlocutore abbia nell’anima, io credo soltanto che Dio mi indichi di dirgli questo o quello; per il suo bene spirituale. Vi sono dei casi nei quali, dopo aver ascoltato la confidenza di qualcuno, io metto da parte la mia fede nella volontà di Dio e decido secondo la mia propria intelligenza, senza ricorrere a lui; ebbene, in questi casi sbaglio sempre”.5 2. Bisogna necessariamente tener conto della tradizione spirituale già sperimentata, perché solo quella garantisce il cammino verso la maturità spirituale, cioè la capacità di prendere le proprie responsabilità nei confronti della vita. Per questo è indispensabile avere la conoscenza degli antichi Padri, dei Padri della Tradizione. “Seguire la Tradizione viva dei Padri non significa aggrapparsi al passato come tale, ma aderire con senso di sicurezza e libertà di slancio alla linea della fede, mantenendo un orientamento costante verso il fondamento: ciò che è essenziale, ciò che dura e non cambia. Si tratta di una fedeltà assoluta.”6 Perciò è importante nell’accompagnamento spirituale saper cogliere i pensieri che hanno radici bibliche ed ecclesiali, cioè i pensieri della cultura cristiana che, lungo la storia, hanno alimentato lo sviluppo della Tradizione. Lo conferma anche il monaco serbo Justin Popović, che nei Padri cercava lo spirito con il quale leggere i segni delle problematiche del tempo. Infatti, mettersi alla scuola dei Padri vuol dire imparare a conoscere meglio Cristo e a conoscere meglio l’uomo. 4 5 I. BALAN, Il mio padre spirituale, Roma 2002, p. 131. Cit. in I. Kologrivov, Saggio sulla santità in Russia, Brescia 1955, p. 455. 6 J. SARAIVA MARTINS, “Istruzione sullo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale”, in Seminarium 30 (1990) 3, pp. 343-4. 2 Anche padre Cleopa, quando dava dei consigli alle persone, costantemente faceva riferimento agli altri monaci dicendo: “Così diceva padre Ioanichie, così diceva padre Paisie… Gli anziani che hanno amato Cristo hanno avuto una grande saggezza spirituale.”7 P. Dumitru Staniloae afferma che “la Tradizione consiste nell’esperienza continua, la stessa ma sempre nuova, di questo amore che supera ogni conoscenza e che può essere sperimentato solo nell’esperienza simultanea dell’amore tra tutti i credenti, cioè nella Chiesa... Così dobbiamo comprendere il rapporto tra la permanenza della Rivelazione compiuta in Cristo e la sua continua novità manifestata dalla tradizione e la cui base è data dagli apostoli.”8 3. “L’accompagnamento spirituale tocca qualcosa di essenziale per la vita cristiana, e tuttavia è quasi impossibile definire e descrivere con esattezza ciò che s’intende o presume”,9 perché dato che si tratta di esperienza spirituale e personale, è sempre difficile definirla con parole. Spesso si tende a considerarlo qualcosa che riguarda i fondamenti pratici della vita cristiana. In realtà, si tratta di qualcosa di più: questa relazione diventa una sorta di ambito da cui dipende il conseguimento di quelle virtù e qualità che costituiscono il fine della vita cristiana e che determinano anche il proprio rapporto con Dio. L’essenzialità è anche la caratteristica tipica delle persone sapienti. 4. L’accompagnamento spirituale fatto nello Spirito “è certamente autentico solo quando si situa presso Gesù Cristo, meditandolo e seguendolo”.10 Più questo accompagnamento fa progredire nella vita spirituale, tanto più favorisce il coinvolgimento della persona nel seguire Cristo, crescendo nell’amore filiale per Dio Padre. Nello stesso tempo anche lo Spirito Santo si manifesta “sempre in movimento ‘verso Gesù’, allo scopo di renderlo presente e manifesto”11 nella nostra vita. Il compito fondamentale dell’accompagnamento spirituale “sta nell’indirizzare verso colui che solo merita il nome di ‘maestro’ e che nel tempo presente può essere conosciuto e sperimentato solo attraverso ‘frammenti’ e ‘come in uno specchio’”.12 5. L’accompagnamento spirituale inizia la persona a sapere trattare il proprio corpo e a saper attendere il ritmo della vita, il quale garantisce che è il cuore l’organo e luogo privilegiato dell’accompagnamento spirituale. E’ proprio il ritmo a garantire la costanza, la continuità e la vita. 6. Per seguire il Signore occorre la purezza del nostro cuore dalle passioni della carne, ma se si dimentica questo, allora si capovolge tutto, perché senza la purezza del cuore è impossibile giungere a quel fine (cf Fil 3,13). Cassiano sottolinea, che se “dimentichiamo questo scopo, avverrà necessariamente che, come camminando nella tenebra e andando fuori strada, più volte inciamperemo ed erreremo molto. Questo è accaduto a parecchi che nel principio della loro vita monastica avevano disprezzato ricchezze, beni, l’intero mondo e poi si lasciano prendere da malumore e ira per una zappetta, per un ago, per una canna, per un libretto. Ma non sarebbero soggetti a queste passioni se si ricordassero dello scopo per il quale hanno disprezzato tutte le cose”.13 7. L’accompagnamento spirituale conduce la persona “dentro la totalità della Chiesa e ai compiti della società umana…. Lo Spirito di Dio è spirito di chiarezza”,14 e di concretezza. Per questo è importante ricordare che “la comunità gioca un ruolo portante anche per il progresso spirituale del monaco… una personalità non si forma isolatamente, ma solo all’interno di una comunità”.15 Proprio perché l’uomo è creato da un Dio Amore e ha per scopo l’Amore, non si può prescindere dalla comunità. Attraverso l’accompagnamento spirituale si comincia a creare la comunità e quindi si aiuta l’umanità a fare il passaggio dall’egoismo, dall’individualismo, dal 7 I. BALAN, Il mio padre spirituale, cit., p. 123. D. STANILOAE, Il genio dell'ortodossia, Milano 1986, pp. 80-1. 9 J. SUDBRACK, Direzione spirituale, Ed. Paoline, Roma 1985, p. 7. 10 Ibid., cit., p. 86. 11 P. EVDOKIMOV, La novità dello spirito, Milano 1980, p. 269. 12 J. SUDBRACK, Direzione spirituale, cit., pp. 15-6. 13 Filocalia, vol. 1, Cassiano il Romano, ed. it. Torino 1982, p. 155. 14 J. SUDBRACK, Direzione spirituale, cit., p. 81. 15 Ibid., p. 21. 8 3 soggettivismo, alla comunione, alla comunità e alla Chiesa. Come nei tempi antichi, anche oggi c’è una lotta per la vita, come allora, anche oggi qualcosa sta morendo e qualcosa sta nascendo, come allora, anche oggi la Chiesa si sta chiedendo come rispondere alle esigenze degli uomini, come aiutarli nella loro vita culturale e spirituale affinché possano vivere nella loro dignità, con i valori autentici dell’uomo. LE QUALITA’ DELL’ACCOMPAGNATORE SPIRITUALE 1. L’accompagnatore spirituale dovrebbe essere “un vero consigliere sulla via della salvezza”.16 Ma questo consiglio deve essere il prodotto della sua personale integrità come esercizio della virtù. Si dice infatti negli Apoftegmi, “Un uomo che insegna, e non fa ciò che insegna, assomiglia a una sorgente: abbevera e lava tutti, ma non può purificare se stessa”.17 Questo implica due aspetti. Da una parte, l’integrità della guida che, se non ha sperimentato personalmente ciò che insegna, può causare danni e sicuramente non è di beneficio a se stesso. Dall’altra riduce la sua autorevolezza e quindi l’efficacia di ciò che dice. Per questo, insegnava il monaco Poemen, “insegna al tuo cuore a custodire ciò che insegna la tua lingua”,18 e ancora “insegna alla tua bocca a dire ciò che il tuo cuore racchiude”.19 2. Ma la guida spirituale aiuta anche per mezzo della parola: “La lingua dei saggi guarisce” (Pro 12,18), egli è colui che aiuta a riconoscere e a comprendere la Parola di Dio.20 Infatti gli Apoftegmi ci mostrano quante persone venivano dal padre spirituale con la domanda: ‘Padre, dimmi una parola di salvezza’, nella quale cercavano “un vero sollievo per le loro anime. E il potere terapeutico della parola dei Padri si manifesta spesso immediatamente, come appare nelle Vite dei santi e in parecchi Apoftegmi, ove leggiamo di visitatori che vanno dagli Anziani in condizioni di tristezza, di abbattimento o d’inquietudine e ne ritornano pieni di pace e di gioia (cfr. Pro 12,25)”.21 In effetti, non servono molte parole, ma occorre quella giusta. Se un maestro volesse dire subito tutto e saziare tutte le aspettative del discepolo e se “riduce l’attesa al possesso, la speranza all’avere e il continuo tendere nella storia all’essere nel presente”,22 costui, di sicuro, sta superando o anticipando anche l’azione dello Spirito Santo. 3. L’accompagnatore spirituale è una persona della cardiognosia, che è un dono dello Spirito Santo. “L’illuminazione dello Spirito Santo conferisce al padre spirituale un potere che è particolarmente necessario per il suo ruolo: quello della cardiognosia. Questo carisma spirituale gli permette di leggere nei cuori, di conoscere direttamente e nella sua intimità ‘l’uomo interiore’, e di superare così il piano delle apparenze spesso ingannevoli, fino a percepire nel suo figlio spirituale ciò che questi ignora, le sue malattie inconsce, le sue tendenze e i suoi ‘pensieri’ segreti”.23 Se la cardiognosia è un dono dello Spirito, un aspetto associato allo Spirito è quello dell’ingresso degli ultimi tempi nella storia, e questo influisce profondamente anche sull’identità delle persone che abbiamo davanti. Nessuno può essere identificato o accettato solo sulla base del suo passato o del suo presente, ma sulla base del suo futuro. E siccome il futuro lo conosce solo Dio, noi dobbiamo essere liberi dal nostro giudizio sulle persone. Nello Spirito Santo, tutti sono santi potenziali, anche se noi li giudichiamo diversamente e, nello Spirito, li vediamo così come sono in Dio. 4. L’accompagnatore spirituale, persona di esperienza. Padre Cleopa diceva: “Non date mai un consiglio ad un altro se prima non l’avete sperimentato. Colui che dà un consiglio e non lo vive è come una sorgente d’acqua dipinta su un muro. Ma colui che parla in base alla sua esperienza è come acqua viva”.24 E’ 16 I. BALAN, Il mio padre spirituale, cit., p. 95. Poemen 25, in Vita e detti dei padri del deserto, Roma 19992, p. 378. 18 Poemen 188, ibid., p. 416. 19 Poemen 63, ibid., p. 388. 20 Cf J. SUDBRACK, Direzione spirituale, cit., p. 14. 21 J.-C. LARCHET, Terapia delle malattie spirituali, Milano 2003, p. 464. 22 J. SUDBRACK, Direzione spirituale, cit., p. 15. 23 J.-C. LARCHET, Terapia delle malattie spirituali, cit., p. 460. 24 I. BALAN, Il mio padre spirituale, cit., p. 115. 17 4 importantissima quindi la sua esperienza personale, perché per il fatto che anche lui ha sofferto a causa di diverse prove, diventa capace di aiutare gli altri e, come dice la Parola di Dio: “proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2,18). Inoltre, l’esperienza personale vissuta nella carità diventa esperienza ecclesiale, cioè un tesoro a cui tutti coloro che vivono questa dimensione ecclesiale possono attingere. 5. L’accompagnatore spirituale – persona matura. E’ importante che l’accompagnatore arrivi ad una certa maturità spirituale personale. Ci dice anche san Paolo: “Se uno non sa governare la propria famiglia come potrà aver cura della chiesa di Dio?” (1Tm 3,5), e ancora “Se un cieco fa da guida a un cieco, tutti e due cadranno nella fossa” (Mt 15,14); “Come puoi dire al tuo fratello: “Lascia che tolga dal tuo occhio la pagliuzza mentre la trave è là nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Mt 7,4-5). Se l’accompagnatore non raggiunge la propria maturità spirituale, significa che non è ancora giunta a un sano equilibrio spirituale, che si chiama salute spirituale. È per questo che sant’Isacco il Siro insegna: “Il nutrimento solido [della paternità spirituale] è per coloro che sono sani, per quelli che hanno i sensi esercitati, e che possono mangiare di tutto. Voglio dire che essi possono sopportare le aggressioni che subiscono tutti i sensi, e che il loro cuore non viene deteriorato da tutto ciò che incontrano nell’esercizio della perfezione”.25 6. Occorre anche che la stessa guida si lasci guidare da un’altra guida, per continuare l’esperienza di essere continuamente un figlio, un discepolo. Mosè era una guida guidata. 7. Il padre spirituale agisce anche con l’esempio della propria vita. Cercando di conformarsi alla volontà di Dio, mostra ai suoi figli attraverso le sue azioni, i suoi atteggiamenti e modi d’essere come ci si deve conformare, e questo esempio possiede un’efficacia tale da trasformare coloro che entrano in contatto con lui, fino a manifestarsi con la semplice presenza: Si racconta infatti di Antonio: “Tre padri avevano costume di andare ogni anno dal beato Antonio; due di loro lo interrogavano sui pensieri e sulla salvezza dell’anima; il terzo invece sempre taceva e non chiedeva nulla. Dopo lungo tempo, il padre Antonio gli dice: ‘E’ tanto ormai che vieni qui e non mi chiedi nulla’. Gli rispose: ‘A me, padre, basta il solo vederti’”.26 L’accompagnatore dovrebbe manifestare una presenza spirituale soprattutto nei momenti di grandi tribolazioni causate dalle tentazioni, che si presentano prima di tutto attraversi i dubbi e poi suscitando sentimenti cattivi, distruttivi. Ci vuole una grande pazienza in questi momenti, anche non consolando mai queste persone, a partire da noi stessi, perché davvero solo Dio salva. Bisogna aspettare che la persona di nuovo abbracci i pensieri di Dio i quali, a loro volta, faranno nascere anche i sentimenti spirituali. Se non aspettiamo l’azione dello Spirito Santo, rischiamo di prevenire con i nostri sentimenti, e a questo punto, la persona facilmente si aggrappa ai suoi sentimenti, e allora lo Spirito Santo non potrà più agire. In questo modo diventiamo noi protagonista, impediamo addirittura l’agire dello Spirito Santo. Se invece sappiamo aspettare, nella persona avviene la novità dello Spirito Santo e allora adesso potremmo anche abbracciare tutti, perché l’abbraccio diventa l’espressione della vittoria dello Spirito Santo dentro di noi e non la sostituzione. E’ Dio che “vuole aiutare le persone ad andare oltre se stesse. L’uomo passa attraverso la scuola spesso dura della pedagogia divina, deve imparare ad appoggiarsi non al proprio sapere ed alla propria esperienza, ma solo a Dio”.27 8. I consigli vanno sempre personalizzati, per cui bisogna tener conto dell’età della persona e dell’età della sua maturazione spirituale per poter adattare il cammino e i consigli spirituali. Per questo san Paolo distingue il nutrimento a seconda delle persone che ha davanti: “Vi ho nutrito con il latte…” (1Cor 3,2). Infatti, una delle caratteristiche fondamentali del padre spirituale che cerca di dare consigli di vero aiuto è che tale consiglio “è perfettamente adattato alla personalità del malato, alla sua situazione particolare, al suo stato e alle sue disposizioni 25 Discorsi ascetici, 56, tr. fr. J. Touraille, Paris 1981. Antonio 27, in Vita e detti dei padri del deserto, cit., pp. 88-9. 27 J. SUDBRACK, Direzione spirituale, cit., p. 77. 26 5 attuali”.28 San Giovanni Climaco così si esprime: “Talvolta, ciò che è rimedio per uno è veleno per l’altro; e, qualche volta, ciò che si amministra a una stessa persona le serve di rimedio se cade al momento opportuno, ma dato in controtempo diviene veleno”.29 Per questo occorrono il riferimento alla Tradizione dei Padri, l’esperienza personale, la capacità del discernimento spirituale e l’ispirazione dello Spirito Santo per la persona concreta. 9. L’accompagnatore ha il carisma del discernimento spirituale. Come vedremo, l’oggetto del colloquio spirituale è principalmente la rivelazione dei pensieri del discepolo alla guida spirituale. Il male si trasforma spesso in “angelo di luce” (2Cor 11,14) e nella vita spirituale gli inganni e le illusioni moltissimi. Per evitarli non c’è altro modo di rivelare i pensieri alla guida spirituale, che deve avere la capacità di discernere. I figli spirituali, rivelando i pensieri al padre/alla madre spirituale imparano progressivamente anch’essi quest’arte del discernimento, ma che rimane sempre difficile quando si riferisce a se stessi, perché vi interferisce l’ostacolo principale che si oppone alla volontà di Dio, cioè la “volontà propria”.30 10. L’accompagnatore dev’essere di cuore puro. San Giovanni Climaco dice che “il medico deve essere completamente spogliato dalle passioni”.31 Ed esclama: “Beati i medici che non sono soggetti alle nausee e i superiori che possiedono l’impassibilità”.32 E’ l’impassibilità che permette al padre spirituale di essere illuminato da Dio nella sua funzione, di ricevere la luce dallo Spirito senza l’aiuto del quale non potrebbe essere un terapeuta efficace e una guida autentica. Questa impassibilità nonn significa assenza di sofferenza e di sensibilità, e neanche assenza di pensieri cattivi che si presentano allo spirito e che non possiamo evitare, ma la forza interiore capace di resistere alle passioni, che nasce dalla carità. Dice infatti Massimo il Confessore: “Se amiamo sinceramente Dio, la nostra stessa carità scaccia le nostre passioni”.33 11. Il padre spirituale rimane conscio della propria verità di essere peccatore. “Un fratello disse al padre dopo essersi confessato: ‘Padre, non mi dimenticare nelle tue preghiere, perché sono un grande peccatore!’ ‘Dio!’, disse il padre. Poi continuò sottovoce, come se parlasse con se stesso: ‘Io sono peggio di te!’”34 Dentro di noi bisogna avere e custodire la certezza, “che non esiste un attimo in cui noi non pecchiamo davanti a Dio e perciò non c’è un attimo nel quale non abbiamo bisogno del suo aiuto.”35 12. E’ misericordioso e compassionevole. Alla capacità di riconoscere se stessi come peccatori si associa la compassione, che è uno dei fondamentali elementi dell’amore vero, testimoniato da Cristo. La compassione è quell’affetto dolce ma allo stesso tempo penoso, grazie al quale si sentono in noi le sofferenze e i mali degli altri, come se fossero propri. Padre Cleopa si esprime così: “Dicono i santi Padri di non condannare e, anche nel caso che tu veda qualcosa, di non crederci. Ma, se credi senza vedere, questo significa ancora di più che sbagli davanti a Dio.”36 La compassione fa sentire il padre spirituale responsabile di coloro che gli aprono il loro cuore e si affidano a lui. La compassione è l’amore per eccellenza, che si traduce anche in disponibilità in ogni momento, in una grande pazienza, in profonda dolcezza e indulgenza. I santi, fa notare san Doroteo di Gaza, “non odiano il peccatore, non lo giudicano, non lo sfuggono. Al contrario, lo compatiscono, lo esortano, lo consolano, lo curano come un membro malato; fanno di tutto per salvarlo”.37 28 J.-C. LARCHET, Terapia delle malattie spirituali, cit., p. 466. La Scala, XXVI, 20. 30 Cf T. Špidlík, “La direzione spirituale nell’Oriente cristiano”, in A cura del Centro Aletti, In Colloquio, Roma 1995, pp. 23-4. 31 Lettera al Pastore, 21. 32 Ibid., 15. 33 Centuria III, 50. 34 I. BALAN, Il mio padre spirituale, cit., p. 117. 35 Ibid., p. 131. 36 I. BALAN, Il mio padre spirituale, cit., p. 133. 37 Istruzioni spirituali, VI, 76. 29 6 13. L’accompagnatore spirituale non è importante. “Quanto più il discepolo progredisce, tanto più il maestro si metterà da parte e, da maestro, diventerà un compagno o perfino un discepolo.”38 L’accompagnatore spirituale “deve sapere che la sua forza determinante deve farsi tanto più indietro quanto più si penetra nel rapporto interiore tra uomo e Dio.”39 L’accompagnamento spirituale diventa quindi un’esperienza spirituale per tutte e due le persone, perché si cercano insieme le cose che conducono a Dio. 14. L’accompagnatore spirituale favorisce l’unità, l’armonia di tutti e di tutto. “Con la parola edifica, con la mano scrive e con l’atto e la vita consiglia”,40 per favorire l’armonia della persona. Così, tutto giova per una unità spirituale. I Padri non parlavano solo all’intelletto, non illuminavano solo la mente, ma parlavano all’uomo intero, riscaldavano il cuore. Proprio nella vita cristiana, occorre stare attenti a perseguire l’organicità di tutte le dimensioni che la rendono tale e che talvolta pratichiamo in modo separato, come tanti cassetti isolati: la formazione, la vita morale, la missione, la liturgia, la spiritualità... Gli uomini educati nell’antica cultura greca avevano “un senso squisito per l’armonia. Sentivano quindi dolorosamente la confusione che regna nella vita sociale e nell’uomo stesso. Ma non sono gli astri che creano la pace del cosmo, ma la parola creatrice di Dio. Essa è quindi il principio primo che unifica la vita umana. I marinai, scrive san Basilio, dirigono il corso della nave guardando le stelle. Il cristiano, per non sbagliare la strada, guarda le parole divine, i comandamenti della Scrittura. Ma che cos’è la parola di Dio?, si chiede Basilio... Essa è il principio unificante della nostra vita disgregata dal peccato e dalla dimenticanza di Dio... Dio continua a rivolgere agli uomini la sua parola attraverso la storia, molte volte ed in diversi modi (cf Eb 1,1). Nel tumulto del mondo essa viene spesso soffocata; nel silenzio invece risuona ad alta voce e porta nella nostra vita l’armonia e la pace.”41 Emerge l’importanza della Parola di Dio nel processo di integrazione spirituale che continuamente ci indica Dio e riporta tutto all’unico vero centro, a Dio, che è l’unica Persona centrale, fondamentale per l’uomo. Proprio oggi che il mondo è profondamente diviso da tante contrapposizioni, il Vangelo è, in primo luogo, un messaggio di riconciliazione e un appello all’unità. IL COLLOQUIO SPIRITUALE dovrebbe favorire…: All’interno dell’accompagnamento spirituale, il colloquio spirituale rappresenta il luogo privilegiato per la vera conoscenza di Dio e dell’uomo stesso, nel quale si dischiude di nuovo la possibilità di sperimentare una relazione sana, autentica, dove ci sentiamo integralmente accolti, riconosciuti, considerati ed aiutati ad uscire da se stessi, affinché non viviamo più per noi stessi, ma per Colui che è morto e risorto per noi. Dunque il padre spirituale è colui che aiuta e favorisce l’incontro esistenziale tra l’uomo e Dio nelle diverse dimensioni spirituali. 1. Quanto più il colloquio spirituale favorisce la totalità è l’integrità della persona, tanto più questa sta diventando spirituale. Ogni persona è creata ad immagine di Dio, non solo in una sua particella. Tutto vi è incluso. “Non è mai possibile separare da una parte solo il corporeo e dall’altra solo lo spirituale. Entrambi si compenetrano, proprio nella reciproca distinzione… la corporeità è un’immagine dell’uomo, ma l’uomo è al tempo stesso più di quanto la sua corporeità lasci trasparire… si coglie l’uomo nel suo essere creatura di fronte a Dio, nel suo essere figlio di Dio. E là – solo là – si fa chiaramente visibile lo spirituale.”42 Dal punto di vista del mondo, il colloquio spirituale può sembrare una cosa ideale e astratta. Si rischia di dire che la persona diminuisce e non conta niente. Ma si deve far capire al discepolo che il colloquio spirituale favorisce l’integrità non solo delle cose sacrosante che lo fanno diventare “devoto”, ma soprattutto aiuta ad integrare anche i momenti di vita spezzati, rotti, vissuti male, da pagani. Anche questo fa parte della totalità della persona, anche la sua vita passata con momenti brutti e belli, difficili e facili, peccaminosi e amorevoli, tutti. 38 J. SUDBRACK, Direzione spirituale, cit., p. 33. Ibid., p. 38. 40 I. BALAN, Il mio padre spirituale, cit., p. 131. 41 T. ŠPIDLÍK, Il cammino dello Spirito, Roma 1995, pp. 13-5. 42 J. SUDBRACK, Direzione spirituale, cit., pp. 26-7. 39 7 Il colloquio spirituale dovrebbe favorire l’accettazione di tutta la storia della persona, trovando il valore della storia, malgrado il fatto che a certe esperienze si è arrivati, purtroppo, attraverso il peccato. Se il colloquio spirituale non favorisce questo, porta automaticamente ad una doppia vita. L’integrità viene fatta quindi grazie alla Parola, grazie alla parte verginale della persona, grazie alla parte ‘mariana’ delle persona, l’unica capace di dire di sì e di accogliere la luce, la vita nuova. Da questa convinzione potrà essere messa anche nella mangiatoia, nella parte peccaminosa, disintegrata della persona. Tramite l’aiuto spirituale, la persona comincia quindi ad intravedere tutta la sua vita spezzata, raccolta in un immenso, caldo cuore. Comincia a intravedere anche una sua nuova immagine, vista da Dio nell’insieme, nell’integrità, realtà tipica della mente illuminata dall’amore. E cambiano la mentalità, il comportamento, le abitudini, perché si scopre di essere amati e la realtà di vita tutta intera viene assunta da una Persona, il Dio-Padre-Amore che sana, lava, cura, guarisce e tutto porta ad una trasfigurazione nella risurrezione. E’ davvero importante favorire l’accettazione di se stessi per trovare la pace, affinché ci sentiamo figli di Dio – dono di Dio, e per questo di grande valore. E’ importante accettare la storia passata con tutto ciò che comporta, perché tutto concorre al bene per coloro che amano Dio (cf Rm 8). Chi di noi non ha vissuto nella vita passata qualche momento in cui era terra screpolata, in cui le ossa si sono rotte? E’ proprio il colloquio spirituale che può far rivivere queste ossa dimenticate favorendo la Luce che illumina, riscalda e ammorbidisce e bagna di rugiada la terra screpolata. 2. Il colloquio spirituale dovrebbe favorire, prima di tutto l’apertura del cuore, l’ascolto reciproco e la disponibilità interiore come atteggiamento di fondo. Ed è questo che aiuta a sensibilizzare nella persona l’apertura dell’orecchio interiore per essere capace di riconoscere e comprendere la voce di Dio nel proprio cuore. Possiamo fare il riferimento alle parole di p. Rupnik, che parla da un artista mosaicista: “bisogna ascoltare la pietra, sentirla e vedere dove essa suggerisce di aprirla, non si deve colpire con violenza non si deve imporre la nostra volontà sulla pietra dove noi vogliamo che si apra perché così la pietra si chiude come un riccio, ma se la apri lì dove lei suggerisce allora rimarrai stupito della meraviglia dei colori che nasconde dentro, cristallini e allora prendi un’altra, una terza, una quarta e poi li metti insieme e nasce un mosaico.”43 Che significa? L’ascolto dovrebbe favorire l’apertura interiore. Per questo l’accompagnatore dovrebbe all’inizio sottomettersi alla persona, perché si riveli di sua libera scelta. Bisogna lasciare libera la persona di parlare, non la possiamo fermare, né bloccare, né ostacolare, ma lasciarla aprire. Nello stesso momento la guida, mentre ascolta, sta sensibilizzando anche l’orecchio della persona accompagnata, perché questa, mentre parla, automaticamente ascolta se stessa e diventa sempre più capace di sentire e di capire cosa sta dicendo. Può capitare molte volte che la persona, dopo aver parlato, facendole la domanda: “ma ti sei sentita?”, risponda: “Sì, ma solo adesso che mi sono espressa, mi sono resa conto di ciò che penso e …”. In questo contesto, potrebbe essere molto utile la ripresa sintetica dell’accompagnatore, dopo aver ascoltato la persona con le parole: “se ho capito bene, tu volevi dire questo e questo…”, il che sarebbe un altro modo di favorire nella persona l’ascolto di sé. E’ molto importante nel colloquio spirituale saper ascoltare, saper individuare e capire da quale fonte provengano certi pensieri e che cosa si vuole raggiungere. In questo cammino di ascolto e di apertura subentra la necessità di saper affrontare ed accettare il progresso che passa per la solitudine, il silenzio e il deserto. Passando per queste tre cose, si cresce, anche se bisogna passare la logica cristica, pasquale. Si tratta di prove, ma come la mamma quando partorisce sta male, quando arriva il bambino, sente una ricompensa talmente grande che, per amore suo, accetta di soffrire. Allora, la solitudine, il silenzio e il deserto hanno tanti elementi in comune e spesso si vivono in profondo collegamento. Anche se in un periodo sarà più sottolineato il silenzio, in un altro la solitudine e nell’altro il deserto, comunque questi momenti si intrecciano prima o poi. a) LA SOLITUDINE 43 Citazione del film Il colore dell’amore. 8 Per quanto riguarda la solitudine, bisogna saper distinguere la solitudine psicologica dalla solitudine spirituale. La solitudine psicologica ci isola dagli altri, ci porta alla chiusura ed è molto pesante o addirittura distruttiva, in quanto spesso impregnata dal pensiero che nessuno ci vuole bene, nessuno si interessa di noi, per nessuno siamo preziosi. Ecco il vero problema della solitudine psicologica. Facciamo l’esempio di una suora venuta per un colloquio. Le chiediamo se vuole dire qualcosa e, dopo 10 minuti di silenzio, dice: “Nessuno mi vuole bene nella comunità”. La guida replica: “Ma tu qualche volta leggi la Sacra Scrittura?” “Certo!”, “Aiutami allora a capire quale profeta dice questa parola, o in quale vangelo è scritto questo pensiero: nessuno mi vuole bene...” “No, non è scritto nella Bibbia, lo penso io.” Si tratta allora di farle capire che il trucco del Nemico sta proprio in questo “lo penso io” e che credere fermamente ad un pensiero del genere vorrà dire ben presto realizzarlo, perché la persona diventa ciò a cui crede. E, se si comincia a comportarsi con gli altri a partire da questo pensiero a cui si crede, in quanto il pensiero a cui crediamo ci forma, creeremo delle realtà corrispondenti a questo pensiero che porta alla disperazione. Invece la solitudine spirituale segue i pensieri che aprono il cuore, che hanno a che fare con la vita. Rosmini dice per se stesso: “la solitudine mi è cara, perché immerge in profondi pensieri, e ci fa creare d’intorno una società migliore che gli uomini. Tuttavia non sono già questi monti, e queste valli, e questa pace e questo silenzio che posseggono il mio cuore. I luoghi materiali sono troppo angusti per noi, il nostro luogo è Dio. Ah! In quel luogo possiamo ben stare adagiati, ma quanto è stretta la via che porta alla vita! L’ampiezza infinita, ove si dilata infinitamente il gaudio del cuore, viene dopo la strettezza.”44 Ecco il luogo della solitudine spirituale – il nostro cuore – e non i luoghi esterni alla nostra realtà. Ma, una volta scoperta la ricchezza della solitudine spirituale nel cuore, allora si sapranno apprezzare anche la montagna, la natura, la bellezza dei fiori. E nella solitudine c’è un silenzio che ci fa esclamare: “ecco il luogo di Dio, ecco la casa di Dio”. E, nella casa di Dio, Dio parla. b) IL SILENZIO Nella vita spirituale bisognerebbe, con tanta umiltà, mettersi in ginocchio e dire: Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta (cf 1Sam 3,9). Ma per questo è necessario il silenzio esteriore e interiore per poter essere aperti alla voce del Signore, per poter dare la precedenza a Dio. In un certo senso il silenzio significa la passività, però proprio questa passività è la condizione fondamentale per raggiungere un’attività autentica, dalla quale prendono il vero significato anche tante altre cose della nostra vita, come ad esempio l’attesa, il fallimento, il sacrificio, la malattia, la sofferenza, la pazienza, l’accettazione di lasciarsi dire e lasciarsi fare... In questo modo, nella persona, il cuore si predispone per ricevere Dio e riflettere sulla vita eterna. Infatti la buona terra sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola, la custodiscono in un cuore puro e in silenzio producono frutto. E’ il silenzio interiore che ci permette di ascoltare Dio e nello stesso tempo ci rende capaci di ascoltare il mondo e saperne riconoscere le grida, per le quali anche il Signore ha detto a Mosè: “ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido…, conosco infatti le sue sofferenze” (Es 3,7). Solo la persona che si intende del silenzio interiore si intende anche della voce di Dio, sa ascoltare Dio e sa ascoltare il mondo. Perché è Dio che le fa ascoltare il mondo e le parla della sofferenza del mondo. Se la persona non vive il silenzio interiore, ma cerca solo di capire il mondo, sarà indaffaratissima sempre: un attivista, un pastoralista nel senso deteriore del termine. Il colloquio spirituale dovrebbe quindi favorire il silenzio interiore, affinché possiamo capire la voce di Dio. E’ una voce da non trascurare mai. E’ evidente l’amore di Dio per noi, ma alla comprensione di esso è possibile arrivare solo attraverso il silenzio; è Lui che ci invita a rimanere in silenzio. Ogni intervento di Dio, ogni azione di Dio è in effetti un invito alla interiorizzazione attraverso il silenzio. Solo così si può fare il passaggio dall’apparenza delle cose e delle persone, alla quale spesso si dà assoluta importanza, a ciò che è nascosto, a ciò che non si vede, non si sente e non si può toccare. L’udito esterno si fa strada verso l’udito interiore e l’occhio esterno si fa strada verso l’orecchio interiore e, in fine, dalla riflessione si arriva alla contemplazione, che è la visione per eccellenza, che non smette mai di stupirsi e di 44 A. ROSMINI, Calendario spirituale, a cura di Giorgio Versini, Stresa 2007, p. 23. 9 cercare Dio in ogni cosa. Su questo cammino ogni evento, ogni intervento di Dio, è prima di tutto un invito a rimanere in silenzio. Ed è vero, quando ci troviamo davanti a una cosa bella, prima di tutto stiamo zitti. O quando ci troviamo davanti ad una grande sofferenza, non è la parola la prima reazione, ma il silenzio. Nei funerali ad esempio, si parla poco, ma ciò che si dice è sensato, molto riflettuto, sono molto pesate le parole. E deve essere così. La persona che sa essere da sola è capace di vivere relazioni non possessive. Se invece la persona non sa vivere da sola, in questo silenzio, avrà delle relazioni prevalentemente possessive delle persone, nelle relazione diventerà esclusiva. c) IL DESERTO Dopo 16 anni di solitudine nel bosco, quando Serafino di Sarov torna in mezzo alla gente, trova una fila incredibile di persone che vogliono parlare con lui. Un teologo gli dice: “Come mai tu, che non hai studiato niente, hai tanta gente che ti viene a chiedere un consiglio spirituale”? Nella solitudine, nel silenzio, nel deserto, la persona trova la possibilità di una purificazione profonda e quindi diventa luce. E, quando uno è così purificato, trasparente, la luce con facilità passa e scalda e può arrivare anche agli altri. Le persone come Serafino sono persone di luce, hanno sempre qualche parola calorosa da dire a chi vive nel buio, nel dolore. E Serafino stesso diceva che la strada più cara alla tradizione monastica è quella “strada che guida l’uomo verso la deificazione per mezzo del deserto.”45 Il deserto è per lui una occasione straordinaria per la persona che si deifica, santifica, divinizza, perché trova veramente la possibilità di rivestirti di Dio, in quanto nel deserto non trova altri appoggi, se non Dio, e non cerca altro di essenziale per la vita. Allora il deserto è quel luogo inabitato, non coltivato, dove è impossibile contare sulle proprie forze. Perciò dice Filerete di Mosca: “beato il deserto nel quale si ode una voce tanto desiderata. Beata la voce per mezzo della quale fu annunciato l’avvento del Signore! Perché se si comanda di preparare la via del Signore non è lontano e desidera visitarci… Che cosa è il deserto secondo il concetto degli uomini comuni, per l’occhio sensibile? Un luogo che non è abitato né coltivato dagli uomini anche se è pieno di animali selvaggi e altri esseri viventi. Allora possiamo capire che cosa significa il deserto per lo sguardo spirituale, per l’occhio di Dio. Una volta che le passioni, appartenenti alla natura delle bestie, e i desideri brutali hanno invaso l’uomo, scacciano da lui ogni pensiero spirituale, ogni desiderio puro, ogni specie di bene e, per così dire, devastano il nobile dominio della sua natura, che cosa diventa allora la sua anima se non un deserto selvaggio?... E’ forse in questo deserto sconvolto, desolato, impenetrabile che si fa strada la voce del Signore della gloria e della magnificenza? Esce lui forse dai tabernacoli beati del cielo e va a visitare la terra devastata dal peccato e dalla maledizione?”46 Ma il deserto ha due facce; oltre ad essere il luogo della Parola di Dio, è anche il luogo delle bestie selvatiche, che si presentano nella forma di pensieri e sentimenti cattivi, passionali, brutti e selvatici, che possono provocare anche tanta paura. Ecco perché il Cardinal Špidlík dice che di per sé non stanca il lavoro, ma i pensieri e sentimenti cattivi. La parte selvatica del deserto, la parte più difficile del deserto desolato può anche far nascere nella persona il profondo desiderio, la profonda necessità di aprirsi a un altro pensiero, a una voce diversa che non fa paura, ma che pacifica, santifica. Infatti bisogna avere tanta sete della voce di Dio. E questa voce di Dio esce dai tabernacoli ed entra nel deserto, perché la casa del Signore è lì dove nasce il desiderio di Dio. Nel deserto, quando nasce questo desiderio, il Signore si sente a casa, perché è il desiderio più conforme a Dio e più autentico nel senso spirituale. San Girolamo afferma, a partire da questa esperienza, che il deserto è “la terra promessa che fa germogliare i fiori di Cristo.”47 3. Il colloquio spirituale dovrebbe favorire la fiducia, la fede e la libertà reciproca, perché è possibile realizzarlo soltanto sulla “base della fiducia e consiste perciò, non da ultimo, in un atteggiamento fiducioso tra le due persone.”48 Il compito dell’accompagnamento spirituale è di 45 R. Pagani, “San Serafino di Sarov”, in L’altra Europa, p. 205 (1986). Filarete di Mosca, Predica su colui che chiama nel deserto… in T. ŠPIDLÌK, I grandi mistici russi, Roma 1987, pp. 68-9. 47 Cit. in T. ŠPIDLÌK, I grandi mistici russi, cit., p. 88. 48 J. SUDBRACK, Direzione spirituale, cit., p. 28. 46 10 guidare la persona verso questa fiducia che però dovrebbe passare dalla fiducia interpersonale alla fiducia in Dio. Non si tratta dunque primariamente della fiducia tra due persone, ma di arrivare alla fiducia in Dio e nella sua Provvidenza. Solo questa fiducia spirituale evita anche tanti problemi: che la persona si attacchi alla guida, che diventi dipendente. E’ importante la libertà reciproca, che previene il pericolo di scambiare la guida con Dio, e questo può avvenire quando la guida comincia a sentirsi molto importante per la salvezza dell’altra persona, oppure quando l’altra persona si attacca alla mano della guida, anziché alla grazia, passata tramite la mano della guida. A proposito della fiducia, anche santa Teresa di Lisieux afferma che “è la fiducia, che deve condurci all’Amore..., ma noi ci sforziamo d’andare a Dio con la fiducia e con qualcosa d’altro, cercando qualche appiglio, qualche segno, qualche garanzia. Ora, ciò che è proprio della fiducia è il non cercare altra cosa, il non appoggiarsi che sull’amore e la misericordia. Se si cerca Dio con la fiducia e con qualcosa di altro, in verità si smette di avere fiducia e si perde tutto.”49 Ciò significa che non è tanto importante chiedersi continuamente si siamo perfetti, se siamo abbastanza bravi, buoni, forti, ma se siamo fiduciosi. Se noi non nutriamo una fiducia totale, conduciamo una vita a metà, che ci porta ad una grande disperazione, la quale può essere anche positiva se prende un esito buono. La disperazione non avviene perché “condannati da Dio, ma… condannati da noi stessi, vedendoci incapaci della fiducia che ci salverebbe. Bisogna passare per una tale disperazione attenuata, perché muoiano le radici orgogliose che ne sono all’origine…, perché la fiducia sbocci... L’orgoglio muore disperando.”50 Dopo aver sperimentato i frutti della fiducia, si guarisce anche da altre malattie, soprattutto delle paure. I santi sono testimoni che, con il fatto di crescere nella fiducia e nell’abbandono nelle mani di Dio, contemporaneamente vedevano diminuire in loro le varie paure di fronte alle prove, alla sofferenza, alla croce, alla morte. Prima o poi dobbiamo ammettere che, a prescindere dalle cose che facciamo, non potremo mai evitare le prove nella vita. Quindi è inevitabile pensare di non fare nella vita anche degli sbagli. Perciò è importante sapere che credere significa essere convinti che i misteri della fede hanno una forza che salva e fa progredire, malgrado i nostri peccati, malgrado gli sbagli che possiamo fare, malgrado il fatto che le cose che ci possono tormentare siano tante. Con questa fede che ci apre a nuove visioni, cambia la prospettiva, cambia la luce, cambiano i colori. Infatti, quando si crede nella Provvidenza di Dio, malgrado gli sbagli, le cadute, la Provvidenza stessa ci farà progredire nella vita, ci farà andare avanti comunque. In una parola, ciò significa credere che “la tua fede ti ha salvato”, che ti ha salvato l’amore divino, nel quale hai creduto. Infatti, nessun bene è perfettamente conosciuto se non è perfettamente amato. 4. Il colloquio spirituale dovrebbe favorire la spiritualità incarnata, l’integrazione della realtà di vita quotidiana. Si tratta di quella spiritualità che ha a che fare con la persona nella vita quotidiana, 24 ore su 24. Parlando dell’integrità della persona, abbiamo parlato dell’integrazione della vita passata, ma la spiritualità incarnata è piuttosto legata alla vita presente, attuale, all’oggi, altrimenti si rischia di diventare delle persone nostalgiche, sempre orientate al passato. Ci sono infatti pochi sognatori del futuro, ma anche questo c’è. A noi invece interessa ciò che realmente e eternamente esiste, cioè quello che rientra nel volere di Dio. “Non chi dice Signore, Signore… ma colui che compie la volontà del mio Padre” (Mt 5,12), che si consuma nella Parola: “il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10). Quindi, con la grazia di Dio, è importante favorire la valorizzazione e l’accettazione spirituale della realtà quotidiana, quella presente e non quella ideale. La vita reale di ogni giorno, tante volte, è fatta di fango, di rabbie, di male, di grazie e disgrazie, di tutto e di più. All’interno di questa visione, viene data alla persona la possibilità di accettare spiritualmente sia il successo che il fallimento, la malattia o la salute. La persona che è spirituale, nell’ottica dell’incarnazione, si fa pochi problemi che le cose, a prima vista, siano andate bene o male. Nella vita non dobbiamo dare il voto a ciò che facciamo, ma bisogna solo consegnarci e “non bisogna soprattutto provare di riuscire, ma accettare, al contrario, di vivere in una perpetua atmosfera di sconfitta. Appena si è fatto qualcosa, bene o male, la si offre e si 49 50 Cit. in M.-D. MOLINIÉ, Il coraggio d’aver paura, Roma 1988, p. 172. Ibid., pp. 104-5. 11 volta pagina... e si finisce per offrire senza chiedersi neanche più se è bene o se è male”,51 e l’offerta va fatta così, come è, senza cercare di “perfezionarla” prima di presentarla a Dio. “Chi si lava prima di presentarsi, vuol dire che non vuole dare tutto, ma vuole dare solo ciò che è bello. Ma Cristo desidera proprio ciò che è brutto... per guarirci. Non sono i sani che hanno bisogno del medico... (Mt 9,12-13). Le cose sono create per essere bruciate, polverizzate, gettate dalla finestra. Per un simile uso poco importa che siano belle o brutte: le ceneri saranno le stesse... Teresa del Bambin Gesù diceva a una sua sorella dopo un piccolo sacrificio oscuro: Ciò che hai fatto ora è più importante che se tu avessi ottenuto la restaurazione degli ordini religiosi in Francia! Facciamo fatica a crederlo…, è la lotta eterna fra lo spirito di Dio e lo spirito umano che vorrebbe sempre costruire dimore definitive.”52 Ecco la vera fiducia nell’amore di Dio e non in noi stessi. 5. Il colloquio spirituale dovrebbe favorire la sobrietà. Chi è sobrio? Chi riesce a mantenere la sobrietà spirituale? Prima di tutto bisogna dire che la sobrietà ha a che fare con l’equilibrio della persona integra, al quale si può giungere soltanto quando si conosce bene la meta che si vuole raggiungere nella vita. Il fatto che il colloquio spirituale debba favorire la sobrietà significa, concretamente, incoraggiare nei periodi difficili di prova ed esigere la calma nei periodi di grandi entusiasmi. Significa aiutare a far ordine nella vita e a tener conto del suo ritmo; favorire inoltre ad avere la mentalità, il modo di ragionare da ‘contadini’, che sanno mettere insieme tutto e trovare il giusto equilibrio nel tener conto della natura, del tempo, della temperatura, del ritmo della terra, delle proprie forze, ecc. E’ proprio tipico dello Spirito di Dio che vede tutto e tiene conto di tutto. Altrimenti si rischia di assomigliare a un cagnolino che continuamente corre dietro ad ogni cosa che si presenta. Ma la persona non può correre dietro ad ogni offerta che le viene fatta, dietro ad ogni frutto dell’albero che si presenta bello, desiderabile agli occhi e piacevole alla bocca. La sobrietà, spiritualmente parlando, non è indifferenza, ma un equilibrio interiore, è frutto di una vita che conosce bene la meta ma, nello stesso tempo, è la più grande forza nel raggiungere la meta, in quanto tale equilibrio è sempre in funzione di questa meta. Quindi la sobrietà diventa doppia forza nella vita interiore, perché tiene unito tutto in modo che la persona intera collabori nell’andare verso una direzione. E siccome la nostra meta è l’unione totale con l’amore divino, che è amore misericordioso, allora possiamo parlare anche del cammino salvifico della persona, il quale ci aiuta a capire ancora di più quanto sia importante supplicare la grazia della sobrietà spirituale. Anche sant’Ignazio di Loyola ha scritto una regola che aiuta moltissimo a mantenerci nell’equilibrio: “Chi è consolato pensi a umiliarsi e a ridimensionarsi quanto più potrà, pensando al poco che vale nel tempo della desolazione, senza quella grazia o consolazione. Al contrario chi sta nella desolazione, pensi che, con la grazia sufficiente, può molto per resistere a tutti i suoi nemici, prendendo forza dal suo Creatore e Signore.”53 Nella vita è tanto facile lasciarsi guidare dai sentimenti. Quando il sentimento è bello, ci si eleva, quando è brutto, si cade giù e così si vivono sempre degli estremi. Non lasciarsi condizionare da questo: ecco la sobrietà della mente sana e anche biblica. Infatti oggi dicono: “Osanna, Osanna”, e domani: “Crocifiggilo!”. Questo è successo al Figlio di Dio. 6. Il colloquio spirituale fa entrare nella comprensione del linguaggio spirituale, che include il linguaggio della promessa di Dio, della logica pasquale, del discernimento spirituale, dell’amore divino. Ogni parola ha il suo significato spirituale, per cui è importante un’intesa spirituale sui significati. E ogni parola spirituale ha una storia, che si carica della tradizione, della sapienza spirituale di chi ci ha preceduto e che può diventare un tesoro prezioso per noi. Per questo non si può fare a meno di cercare proprio dai Padri della tradizione un linguaggio spirituale che ci accomuna con loro e tra di noi. 7. Il colloquio spirituale dovrebbe portare alla purificazione del cuore, aiutare a vincere le passioni nascoste, avendo la meglio sulle forze dell’egoismo. Se ci chiedessimo, perché noi così 51 M.-D. MOLINIÉ, Il coraggio d’aver paura, cit., p. 165. Ibid., p. 53. 53 IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, a cura di P. Schiavone, Milano 1996, p. 231. 52 12 facilmente e così volentieri parliamo male degli altri? Forse è questa la risposta: unicamente perché prima noi abbiamo pensato male, perché ci siamo riempiti il capo di pregiudizi, perché ci siamo abituati a considerare le cose secondo i nostri desideri e interessi, le abitudini e passioni. Va detto ancora che sono proprio le passioni che suscitano giudizi falsi. Tanti Padri sono lì a ricordarci che a causa dell’orgoglio, siamo pronti a vedere il peccato degli altri, ma lenti a riconoscere i nostri, ed è proprio dal vincere questo atteggiamento che dipende la nostra vera crescita e maturità spirituale. Quindi il colloquio spirituale dovrebbe favorire nella persona accompagnata il riconoscimento dell’influsso del proprio ego, affinché il divino possa crescere in lei, e concludere come dice San Giovanni Battista: “Egli deve crescere e io diminuire” (Gv 3,30). Solo a questo scopo si fa la discesa nel cuore, per poter entrare nelle profondità di se stessi. La verifica del superamento del nostro ego e di tutte le nostre difficoltà sta in questo: se riesco ad ammettere il peccato o no; se percepisco il bisogno di essere purificato, perdonato dal Salvatore o no; se ammetto la mia fragilità, debolezza, malattia provocata dal peccato o no; se sento il bisogno di essere guarito dall’unico medico, cioè da Gesù Cristo, mio Signore, o no. Il peccato si comprende nell’ambito relazionale, che è anche l’ambito della salvezza, in cui la persona può sperimentare l’amore di Dio nel perdono. Solo Dio può perdonare i peccati (cf Lc 5,21). Le guarigioni operate da Cristo e narrate nel Vangelo hanno questa divina conclusione: “la tua fede ti ha salvato” (Lc 7,50). Davvero la cosa più importante è dare la precedenza al principio della fede e dell’amore. Quando, con il perdono, Dio Padre rivolge di nuovo la parola all’uomo, questi riconosce il Padre e desidera di nuovo la figliolanza. Dio raggiunge l’uomo nel suo peccato rivolgendogli la parola, che è, allo stesso tempo, parola di perdono e chiamata. Si pensi alla vocazione di Pietro, che si incontra con lo sguardo misericordioso di Cristo nel momento del peccato. La conversione spirituale può essere vissuta solo direttamente in prima persona. C’è una sola visione beata, secondo un detto che avrà tanta fortuna negli ambienti monastici, quella del proprio peccato: “Chiesero a un anziano: ‘Come mai alcuni dicono di vedere gli angeli?’. Rispose: ‘Beato colui che vede sempre il proprio peccato’”.54 Chi non fa l’esperienza del perdono dei propri peccati, di essere amato da Dio, non può annunciare l’amore di Dio a nessuno e non può amare nessuno. “È un incontro nel quale l’uomo viene rigenerato… Il perdono dei peccati è un’esperienza totale che segna l’uomo in tutte le sue dimensioni”.55 Convertirsi significa quindi scoprire in Cristo un’altra visione della vita, di se stessi e del mondo, cambiare così l’oggetto della propria attenzione: da un’idea alla Persona, all’Amore. E, se cambia l’oggetto, cambia tutto, perché se fino ad ora si era vissuti solo per sé, d’ora in poi si vive tutto con Cristo, per Cristo e in Cristo. 8. Il colloquio spirituale dovrebbe favorire la discesa nelle profondità del nostro essere tramite lo sviluppo nell’autenticità dei desideri. Lo sviluppo vuol dire che c’è un crescere, un andare avanti, un progredire, una maturazione. Che cosa desidera una bambina piccola? Una bambola, un po’ di affetto... E un neonato? Essere allattato, cambiato... Dopo però, crescendo, si sviluppano anche desideri che possono avere diversi fini che vogliono raggiungere, dai desideri soltanto della carne ai desideri dello Spirito. E nella terza età diventano sempre più essenzializzati, fondamentali... Ma, per arrivare a questo atteggiamento, c’è bisogno di una maturità spirituale. Quindi bisogna favorire la discesa nelle profondità del nostro essere. Più la persona entra in profondità, più si approfondiscono e si convertono anche i suoi desideri. La Bibbia è piena del conflitto di tutte le forme del desiderio. Certo, non le approva tutte, e anche i desideri più puri devono passare una purificazione radicale, ma così prendono tutta la loro forza e danno tutto il suo valore all’esistenza umana. Alla radice di tutti i desideri dell’uomo c’è la sua povertà radicale, e il suo bisogno fondamentale di possedere la vita nella sua pienezza e nel pieno sviluppo del suo essere. Proprio perché il desiderio è qualcosa di essenziale e di inestirpabile nell’uomo, può essere per lui una tentazione pericolosa e costante. Eva ha peccato perché ha ceduto al desiderio dell’albero (cf Gen 3,6) e, avendo ceduto a questo desiderio, diventa lei stessa vittima del desiderio che la porta verso suo marito e subirà il dominio dell’uomo (cf Gen 3,16). Nell’umanità, il peccato è come un desiderio selvaggio pronto a scatenarsi, che il Nuovo Testamento chiama “concupiscenza” (cf 1Gv 2,16, Gc 1,14s). Ogni desiderio ha una parte 54 55 Detti editi e inediti dei Padri del deserto, a cura di S. Chialà e L. Cremaschi, Magnano 2002, p. 48. M. I. RUPNIK, Dall’esperienza alla sapienza. Profezia della vita religiosa, Roma 1996, p. 83 13 legata all’ego. Pertanto ha bisogno di essere convertito, di essere liberato dalla concupiscenza, per essere orientato alla relazione con Dio, polarizzando tutte le energie e dando la capacità di smascherare le illusioni e le contraffazioni. In questo processo ha una grande importanza l’attesa, che garantisce una feconda preparazione del terreno interiore per essere in grado di saper riconoscere i desideri da seguire rispetto alle concupiscenze. Per questo André Louf dice che il ruolo della guida sta “nell’aiuto cha ha apportato al soggetto in questo momento cruciale, affinché ne sposi tutti i soprassalti e ne beva tutta l’amarezza, in una paziente attesa della grazia che vi deve sgorgare.”56 Vediamo la donna Samaritana che è giunta al settimo marito attraverso i sei mariti, attraverso sei desideri, di cui nessuno l’ha soddisfatta. “Hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero” (Gv 4,18). Quando la Samaritana ha incontrato Cristo, lo Sposo dell’umanità, realizza la sponsalità delle sue relazioni. Cristo non ha chiesto alla Samaritana dove era stata, che cosa aveva fatto, perché non era arrivata prima... No, ma evidentemente la Samaritana doveva passare attraverso sei desideri diversi fino ad arrivare a desiderare l’acqua eterna. Perciò la donna poteva lasciare la brocca, simbolo della vita vecchia, di tutti i desideri mai soddisfatti, perché aveva trovato il vero Sposo, la relazione vera. 9. Il colloquio spirituale dovrebbe favorire il raccoglimento nel proprio cuore. Quando si tiene nelle mani una perla, si cerca di maneggiarla con tanta cura, perché siamo consapevoli che è una cosa preziosa. Le distrazioni, in questo caso, perdono automaticamente di forza. La tentazione può parlare, ma non ci lasciamo confondere. La tentazione vorrebbe portarci da altre parti, ma noi andiamo avanti nell’aver sempre cura della perla. Vediamo allora che non è possibile parlare di raccoglimento spirituale se non c’è niente su cui essere raccolti. Esistono diversi esercizi psicologici, che ci fanno più o meno concentrare nello studio, ma non siamo ancora arrivati all’acquisizione di un atteggiamento di raccoglimento interiore, nel cuore, che prende vita dopo avere capito, scoperto, riconosciuto, sperimentato, che la sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna è dentro il nostro cuore. Ecco la nostra perla, la nostra speranza, che “non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rm 5,5). Il raccoglimento spirituale ci porta ad un atteggiamento di continua adorazione per la preziosità che portiamo dentro, il che significa che automaticamente sgorga la preghiera incessante nel nostro cuore. E’ indispensabile quindi la ricerca di quell’unica perla, di quell’unico centro (cf Rm 5,5), il fondamento in Cristo: “nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se sopra questo fondamento si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa” (1Cor 3,11-16) e il senso della sua vita, che è nel rimanere per sempre in Cristo e Cristo in noi (cf Gv 15). 10. Il colloquio spirituale porta sempre di più alla vera conoscenza di Dio, di se stessi e del mondo perché ci fa seguire il cammino della purificazione dalla falsa immagine di Dio, di me e di noi, delle relazioni, dell’amore. Ammettendo sempre di più chi è Dio nella sua verità nei nostri confronti, quale Padre che ci ama, allora si riscopre la vera figliolanza e si approfondisce la consapevolezza che tutto è grazia di Dio. Sentiamo Cristo che ci ricorda: “Senza di me non potete fare nulla” (Gv 15,5) e san Paolo: “Tutto posso in Colui che mi dà la forza” (Fil 4,13). Il cammino della vera conoscenza di Dio, di me e del mondo non arriva mai velocemente e deve includere la grazia della rivelazione stessa di Dio all’uomo. Dio cerca nella persona la possibilità di rivelarsi, di rivelare il suo Volto. Nello stesso momento, anche la persona comincia a sentire la necessità di aprirsi sempre di più, di rivelarsi a Dio e anche agli altri nella sua autenticità; quindi, lentamente riesce anche a far cadere il mantello delle false protezioni e le maschere dei giochi cominciano a sciogliersi. A proposito di questo, Rosmini si esprime in questi termini: “l’essere tentato dai mali, e quasi oppresso, abbassa l’altezza del nostro pensiero, e ci costringe, quasi involontariamente, a riconoscere ciò che siamo, senz’alcuna illusione. E il senso di tanta nostra miseria viene reso dalla grazia il veicolo che ci conduce alla 56 A. LOUF, L’impossibile umiltà: un criterio certo di discernimento spirituale, in A cura del Centro Aletti, In Colloquio, Roma 1995, p. 145. 14 cognizione di Dio. Poiché non trovando in noi altro che miseria, e non altro in questo mondo che tribolazione, il nostro cuore, che non può starsi senza un bene ed un amore, si rivolge finalmente a Dio, quasi per una felice necessità di cui si serve la grazia, e in Dio interamente si abbandona; ed allora incomincia a riconoscerlo per il vero Bene, e ad averlo per il solo suo Amore, e sente – oh quanto! – la verità di quelle parole di Gesù Cristo: Venite a me, o voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi ristorerò.”57 Alle volte ci vuole un lungo cammino per avere il coraggio di ammettere le proprie illusioni, i falsi appoggi e sicurezze e riconoscere che quello che volevamo diventare partendo dalle nostre capacità, o volevamo far apparire davanti agli occhi degli altri, non sta in piedi e non viene costruito sulla roccia, ma sulla sabbia. Infatti, quando in noi stessi non riusciamo a trovare nessun appoggio, cominciamo a cercarlo in Dio e questa è la grazia più grande per capire chi siamo realmente e veramente davanti a Dio. La nostra più grande verità è che senza Dio non possiamo vivere (cf Gv 15). Non conta se siamo capaci o meno, se siamo bravi o no. E anche se avessimo migliaia di capacità e di possibilità di fare bene le cose, finché non viviamo da figli, non viviamo dalla nostra verità più profonda e autentica. 11. Il colloquio spirituale conduce alla cristoformità, per la quale non abbiamo bisogno di tanti libri di teologia o di spiritualità, ma di persone che, con la loro testimonianza, trasmettono la vita vissuta in Cristo, per Cristo e con Cristo e che indicano la strada verso il Padre. Proprio perché queste hanno vissuto come Cristo, inevitabilmente fanno vedere che la via personale passa per la via crucis, che include la logica pasquale, senza la quale non si potrebbe mai arrivare alla cristoformità. Quando nasce un bambino, spesso i parenti dicono che ha gli occhi del papà, la bocca della nonna, le dita della mamma, ed è naturale cercare le somiglianze. E la somiglianza con Cristo che cosa significa? La cristoformità richiede la visione integra di Cristo, altrimenti è facile vedere in Cristo un’immagine ridotta a certi fatti, identificarlo con un taumaturgo, escludendo la via pasquale. Una visione parziale di Cristo permette all’uomo di prendere solo quelle parti che piacciono, che lo attirano. Non è impossibile allora trovare in Cristo solo alcune cose che piacciono anche ai sensi: Egli ha mangiato, ha visitato le persone, ha camminato, ha parlato, viaggiava sulla barca... Siccome Cristo ha realizzato tutto ciò che ha insegnato, ci vuole necessariamente una visione totale e integra della sua Persona che ha offerto la vita per tutti ed è risuscitato il terzo giorno. La cristoformità include tutto ciò che Lui ha insegnato e vissuto, anche il Getsemani, la croce e la morte. Bisogna però dire che Cristo non ha sofferto per soffrire, ma ha sofferto per rivelare l’amore divino, che non avrà mai fine. L’amore divino ha sempre infatti due aspetti: uno svela il lato tragico dell’amore, il sacrificio, l’altro il compimento dell’amore sacrificale come gioia di questo sacrificio. E ogni amore maturo ha sempre queste due dimensioni. Senza la consolazione, la beatitudine, il sacrificio da solo, rischia di essere masochismo, e senza il sacrificio qualcosa di immaturo e di superficiale. Il problema che si pone è proprio come far entrare nella nostra vita la sofferenza, che a tutti i costi l’uomo vorrebbe eliminare. P. Molinié però fa vedere tutta un’altra visione della sofferenza dicendo che “non è la sofferenza che rende difficile la vita cristiana. La sofferenza è dolorosa (per definizione), ma non è pericolosa. Dio non la manda, per metterci in pericolo, ma per salvarci dal pericolo”,58 per allontanarci dai falsi dei e dalle false ricerche di salvezza, che spesso però passano attraverso grandi dolori. Del dolore si intendeva molto bene lo scrittore russo Dostoevskij, grande artista, che è stato molti anni anche in prigione. Per lui: “la sofferenza è una buona cosa… tramite essa tutto è espiato!”59 La sofferenza, vissuta in questo modo, fa scoprire i significati immensi della sapienza di vita. “Tutto ciò che viene sofferto nel buio, perché si ama, nell’altro mondo non è il buio ma la luce, allora il carbone nero con cui si disegna l’amore sulla terra, soffrendo e morendo diventa il colore della carità cioè il colore della luce”.60 Siamo chiamati però a lasciarci ispirare e a contemplare la sofferenza di Cristo Salvatore. Edith Stein ci richiama: “Se desideri raggiungere Cristo, non lo cercare mai senza la sua croce… il mistero della croce può capirlo solo chi è crocifisso… Noi siamo chiamati a patire con Cristo per 57 A. ROSMINI, Calendario spirituale, cit., p. 44. M.-D. MOLINIÉ, Il coraggio d’aver paura, cit., p. 54. 59 DOSTOEVSKIJ, Delitto e castigo, VI, cap. 2. 60 Citazione dal film Il colore dell’amore. 58 15 collaborare alla sua opera di redenzione… Cristo continua a vivere in noi e soffre in noi. Così la nostra sofferenza è feconda.” E’ Gesù crocifisso che ci “farà capire la croce, e non la croce che ci farà capire Dio: al contrario la croce ci svela l’aspetto più incomprensibile di Dio.”61 L’uomo vecchio deve morire per arrivare all’assimilazione a Cristo e anche alla capacità di poterlo seguire nella sobrietà e non secondo modelli romantici. Gesù stesso ci dice: “Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me” (Mt 10,38) e “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15,20). Queste parole ci fanno vedere e credere che “la sofferenza è una grande forza, perché santifica non soltanto gli innocenti, ma anche coloro che hanno peccato, che hanno sbagliato indirizzo di vita, ma che lo sanno ammettere”,62 perché Cristo è morto per tutti. Allora la “sequela Christi” ci apre le immense dimensioni della cristoformità, ma tutte hanno in comune l’invito ad offrire le sofferenze e i dolori per qualcuno. Nei colloqui spirituali è molto importante aiutare le persone in questo accompagnamento, affinché non si chiudano nella sofferenza, ma rimangono nell’apertura della relazione, perché mettere nella relazione ciò che si sta offrendo significa dare al dolore un significato relazionale. Per questo è necessario nella via della cristoformità scoprire la pedagogia, la teologia della Croce. Il Cardinal Špidlìk dice che proprio “nell’atteggiamento verso Cristo sofferente si riflette la maturità della vita spirituale”.63 12. Il colloquio spirituale ci introduce ad una capacità contemplativa, alla visione di Cristo in tutte le cose, perché tutto porta incise le sue tracce, sia per la creazione – per mezzo di Cristo tutto è stato creato –, sia per la redenzione – Cristo ha già assunto su di sé tutto il male del mondo. Quindi niente è escluso da Lui; solo da ciechi vediamo ancora tutta la realtà divisa, separata e rotta, ma in verità Cristo ha già unito tutto con il suo immenso amore. Anche nei momenti di grande dolore, con la grazia di Dio, possiamo già vedere come tutto è collegato in Lui, e pure lo smarrimento, la disperazione si possono trasformare, perché la grazia contemplativa, lo sguardo su Dio, porta il frutto di Dio, prima o poi. Siamo di nuovo lì al punto più importante dei colloqui spirituali, cioè la nostra salvezza. 13. Il colloquio spirituale ci fa trasformare l’esperienza personale in esperienza spirituale sotto lo sguardo di Dio, chiedendosi che cosa vede Dio nella nostra concreta esperienza. Solo con questa domanda, riflessione e preghiera si può arrivare alla vera esperienza religiosa, spirituale. Se invece le cose vengono vissute solo in modo umano e interpretate soltanto a partire da noi, è impossibile arrivare ad una lettura spirituale. La nostra vita non va guardata solo con i nostri occhi, perché la semplice lettura psicologica dei fatti ancora non mi potrà salvare. Questo richiede a noi di fare il passo dall’esperienza soggettiva all’esperienza spirituale, superando solo uno sguardo puramente umano su di essa. Cristo è l’uomo perfetto, tutto quello che c’è di pienamente umano è già contenuto in Lui e l’umano trova la sua verità in Lui. 14. Il colloquio spirituale ci fa edificare, costruire le colonne portanti, soprattutto sullo sfondo dei momenti di più grande prova nella nostra vita, perché il seme, per crescere veramente, deve morire. “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Ogni morte è preceduta da tante sofferenze, ma ciò non significa che la sofferenza vada cercata o provocata volontariamente. Ma quando si presenta, quando bussa sulla porta, va accolta e abbracciata. Le colonne spirituali quindi nascono dalle tribolazioni, dalle prove, perché le sofferenze e le prove hanno già dimostrato che il seme è già morto ed è già nato qualcosa di nuovo, la vita nuova: la colonna spirituale è già vita, frutto eterno della morte. E’ ovvio che nel momento della morte si soffre, ma la fede nel Dio vivo, che vince la morte, mi basta. La mia morte non la posso capire, la vita di dopo mi farà capire l’effetto della morte, perciò le colonne spirituali sono già la vita dopo la morte di qualche cosa di noi. Quindi, quando una persona sta nella prova, non cerca in primo luogo di capire i significati chiari di che cosa sta succedendo nel momento della morte del seme, ma approfondisce la fede 61 M.-D. MOLINIÉ, Il coraggio d’aver paura, cit., p. 192. T. ŠPIDLÌK, I grandi mistici russi, cit., p. 18. 63 T. ŠPIDLÌK, Il cammino dello Spirito, cit., pp. 119-21. 62 16 che dà la chiara certezza che questa è la strada e, a sua volta, quando i tempi saranno maturi, la luce di Cristo illuminerà anche le ombre. Ognuno di noi ha bisogno di essere aiutato in questo cammino. “Non vi è nulla di più miserevole e di più vulnerabile di coloro che non hanno una guida e cadono come le foglie… I rischi di smarrimento e di caduta, infatti, sono tanto più grandi quanto più si progredisce. Le trappole tese dai demoni sono tanto più numerose e più sottili quanto più l’uomo avanza e si avvicina al termine”.64 Non è difficile incontrare persone che hanno già fatto un bel tratto di strada e, quando si sono trovate nella forte prova, sono tornate indietro, perché si sono trovate disarmate, impreparate alla lotta, oppure si sono trovate senza un valido aiuto della guida. San Callisto e sant’Ignazio Xantopuloi osservano che “coloro che vogliono camminare senza ricevere consigli seminano nella fatica e nel sudore e spesso non fanno altro che sognare”.65 Per questo un ripetuto consiglio dei Padri è: “Se non hai un maestro, devi cercartene uno a ogni costo”. 15. Il colloquio spirituale favorisce la scoperta del mistero e dell’atteggiamento da assumere di fronte al mistero della vita, che richiede caratteristiche del tutto particolari, perché la sensibilità per il mistero ha un ruolo fondamentale nei colloqui spirituali. Mistero non significa non sapere, ignoranza, ma significa ammettere e riconoscere in noi e intorno a noi una grandezza che ci supera. “Ogni sicurezza cercata escludendo il mistero, in mezzo alle cose ovvie della vita pratica e alle suggestioni del cuore, resta in definitiva come la vita e il cuore, quando si basano su se stessi; perciò crollerà. Solo se tutto ciò viene trasceso nell’infinità di Dio, solo se anche la nostra esperienza viene ancorata a un aldilà dell’esperienza, possiamo sperare in sicurezza, stabilità e futuro duraturo”.66 Il mistero fa parte di Dio, e proprio per questo nei colloqui non dovrebbe mai mancare l’atteggiamento tipico di stare davanti al Mistero, perché solo così può nascere il dialogo aperto, altrimenti è fissato come un chiodo, già concluso in anticipo. Solo la consapevolezza di essere davanti a un grande mistero ci aiuta a non avere delle certezze, che possono essere assolutamente false, e si va avanti come un carro armato. Invece la persona spiritualmente sensibile usa anche un linguaggio che lo rispecchia. Impiega le parole in modo delicato: “Se ho capito bene…”, “Forse, volevi dire così…?” 16. Il colloquio spirituale ci conduce alla capacità di amare sempre di più Dio e fratelli. Quando cresce nell’amore, automaticamente la persona riceve la forza spirituale; con la diminuzione dell’amore, diminuisce anche la forza di operare il bene. Se pensiamo ai santi, ai martiri, non ci sono dubbi, per loro la maggior grazia ricevuta dal Signore era quella di poter soffrire per Lui e in questo modo testimoniare il loro amore per Dio e per gli amici e, alle volte, anche per i nemici. E’ il segno della vera vita interiore: l’uomo nuovo è capace di amare senza riserva e benedire l’umanità con l’amore di Cristo. Ma per questa grandissima grazia bisogna supplicare molto ed avere tanta pazienza. Quando un discepolo rivolge la domanda a padre Cleopa, come si poteva salvare, questi risponde: “Pazienza, pazienza, pazienza. Il fratello chiese: che cosa devo sopportare pazientemente?, e il padre disse: Sopporta pazientemente gli insulti e il disonore per amore di Cristo!”67 17. Il colloquio spirituale fa maturare nella vera umiltà, perché l’umiltà porta alla docilità e la docilità al dialogo, alla relazione, alla fiducia e a tutto il resto a cui finora ci siamo riferiti. L’umiltà autentica, quindi, a differenza dell’umiltà falsa, è la maestra di tutte le esperienze spirituali che, prima o poi, portano alla sapienza spirituale. Lo conferma anche sant’Antonio dicendo: “Vidi tutte le reti del Maligno distese sulla terra, e dissi gemendo: – Chi potrà mai scamparne? E udii una voce che mi disse: – L’umiltà”.68 Quindi non conviene incoraggiare gli sforzi umani per acquisire l’umiltà, in quanto si tratta di una pura grazia di Dio, ma “l’accompagnatore dovrebbe pazientemente aspettare il proprio accompagnato nel luogo dove la grazia dolcemente lo spinge: quello dell’umiliazione e della contrizione del cuore, il luogo 64 J.-C. LARCHET, Terapia delle malattie spirituali, cit., p. 450. Centuria 14, in La Filocalia, ed. italiana, IV, Torino 1987, p. 162. 66 J. SUDBRACK, Direzione spirituale, cit., p. 73. 67 I BALAN, Il mio padre spirituale, cit., p. 111. 68 Antonio 7, cit. in Vita e detti dei Padri del deserto, cit., p. 83. 65 17 della sua pasqua interiore, dove la nuova vita potrà sgorgare alla fine”.69 Tuttavia alla vera umiltà, come frutto puro dello Spirito Santo, si arriva “attraverso un percorso inevitabile di umiliazione, [che] riesce ad eludere le astuzie di questa manipolazione strana ed a ridurre l’influenza negativa del super-io, fino a renderlo tale da potersi egli stesso lasciare investire nell’interiore dallo Spirito”.70 Perché allora è tanto importante l’esperienza dell’umiliazione nel cammino spirituale? Perché è lo stato più favorevole che apre l’uomo all’azione dello Spirito Santo e alle sue grazie. Inoltre, è la più efficace per sciogliere il muro più duro, cioè l’orgoglio e la superbia, il potere, il benessere superficiale. Superficialità, perfezionismo, narcisismo si vincono solo con l’umiliazione che, a sua volta, ci protegge dal rischio “di ridurre una vocazione o un percorso spirituale a uno specchio narcisistico dove ogni anima si ammira, rischiando come Narciso, di annegarvi”.71 In questo cammino è più che mai importante avere il senso delle proprie debolezze e della propria fragilità, per non rischiare di vantarsi di noi stessi e di contare sulle nostre forze e sulle nostre capacità. Questo ci porterebbe prima o poi a trovarci nell’assolutizzare i doni, scindendoli dal Donatore. Riconoscere la nostra debolezza ci permette invece di sentire il bisogno di Lui e del suo amore e questo ci rende sensibili, pazienti e buoni anche verso gli altri. Si tratta di una vera prova, la quale si vince con le parole di san Paolo: “Di lui io mi vanterò! Di me stesso invece non mi vanterò, fuorché delle mie debolezze” (2Cor 12,5). E padre Cleopa diceva: “l’umiltà nasce dall’obbedienza senza brontolii”72, quindi senza lamentele, mormorazioni e continue proteste. Se queste parole si prendono da un punto di vista psicologico, la persona facilmente si innervosisce, invece quando si scopre nell’obbedienza un valore spirituale fondamentale per la nostra salvezza, allora si riesce ad attingere la forza e la grazia e non c’è più bisogno di brontolare. Questo è il frutto spirituale e non quando decidiamo noi di non brontolare più. André Louf afferma che “si tratta di una virtù che rinvia non tanto alla generosità di ogni uomo di buona volontà, piuttosto ad un cammino concreto… Un tale percorso si gestisce non con gli sforzi dell’uomo, ma per mezzo dell’insondabile pedagogia che Dio stessa spiega al suo riguardo… e su questo percorso dell’umiliazione dello spirito, solo Dio può prendere l’iniziativa… L’umiliazione è in effetti l’ultima carta da giocare della pedagogia divina, quando Dio costata che qualcuno si trova sul punto di perdersi sul cammino della falsa virtù… solo un’anima alle prese con i tormenti dell’umiliazione può divenire sensibile alla grazia ed apprendere un po’ alla volta a farsi docile alla sua attività”.73 18. Il colloquio spirituale fa comprendere la parola di san Paolo: “questa infatti è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (1Tes 4,3). Come alla cristoformità non si può giungere con una visione parziale di Cristo, così è anche per la santità. Occorre uno sguardo integrale su Cristo e sulla salvezza che ha operato. E’ ovvio che non possiamo santificarci da soli, ma ci può santificare solo lo Spirito, Colui che ci conduce alla cristoformità. Nella vita sempre possiamo scegliere, possiamo decidere in quanto liberi. Noi siamo santi nella misura in cui abbiamo deciso di aprirci al Santo, allo Spirito, alla sua presenza e alla sua azione che trova in noi e nella nostra vita spazio e ‘permesso’ di agire secondo il volere di Dio. Più diamo spazio, tempo, precedenza, ascolto, possibilità di agire, più lo Spirito agisce, più è presente e più realizza la sua promessa. L’obbedienza nella vita spirituale significa anzitutto acconsentire al movimento che ci rende nuova creatura, è questo passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo nato segretamente nelle acque battesimali, ed è una esigenza iscritta nel nostro battesimo: la docilità al principio della santificazione, cioè allo Spirito Santo. Dice Isaia: “così sarà della parola uscita dalla mia bocca, non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidera e senza aver compiuto ciò per cui lo mandata” (55,11). La persona, a partire della Parola di Dio, ha la possibilità di realizzare la propria vita in modo totale in quanto tutto viene compito. E i santi sono testimoni di questo, a partire da san Paolo 69 A. LOUF, L’impossibile umiltà: un criterio certo di discernimento spirituale, cit., p. 141. Ibid., p. 126. 71 Ibid., p. 129. 72 I. BALAN, Il mio padre spirituale, cit., p. 115. 73 A. LOUF, L’impossibile umiltà: un criterio certo di discernimento spirituale, cit., pp. 131-2. 70 18 che dice: “Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti ma non disperati; perseguitati ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo” (2Cor 4,8-10). Paolo sapeva bene che le tribolazioni sono riservate a tutti e che è proprio quando si pensa di esserne esenti il momento in cui esse sono più vicine. Pace e gioia spirituali possono venire solo da Dio e proprio per questo possono diventare un aiuto vero nei momenti di inquietudine, di persecuzione, di prove, di conflitti, di malumori… Paolo ha sperimentato sulla propria pelle che non c’è nessun momento della vita così grave nel quale non si possa sopravvivere, poiché si è sempre sorretti da una forza interiore che è più grande di noi e che va al di là di tutte le difficoltà. Dio si manifesta spesso in maniera sorprendente. Tante volte succede che qualcosa ci fa soffrire molto, ma tutto si svolge nel silenzio, senza capire minimamente che cosa sta succedendo e che cosa possa significare. Forse solo dopo tanto tempo, quando il tempo ha già fatto calmare i dolori e le lotte interiori, la persona smette anche di cercare le spiegazioni, perché ormai non ce n’è più bisogno. Spesso è proprio il tormento il ponte che ci fa fare certi passaggi spirituali e alle volte è addirittura necessario, anzi sarebbe pericoloso immaginarsi una vita senza lotte e senza tormenti, perché la persona facilmente rischierebbe un atteggiamento di rassegnazione, che fa diminuire addirittura la vigilanza spirituale. Un tale compiacimento potrebbe rappresentare un ostacolo di fronte alle azioni dello Spirito Santo. San Paolo stesso ci dice che “è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22), e Cristo ai discepoli di Emmaus ricorda: “non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze?” (Lc 24,26). Dal momento in cui aderiamo con fiducia, nel momento in cui crediamo che anche le tribolazioni sono necessarie, possiamo benedire “Dio, Padre del Signore Gesù Cristo…, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio” (2Cor 1,3). 19. Il colloquio spirituale prepara anche alla morte, alla vita eterna, perché la morte non tronca le relazioni. Non è un caso che anche sant’Ignazio di Loyola consiglia di aver presente sempre il momento della morte per poter vivere per le cose essenziali. “Padre Cleopa era solito dire che la più grande saggezza che protegge l’uomo da tutto il peccato e lo conduce in paradiso, alla felicità eterna, è la morte e la meditazione della morte. E avere sempre nella mente e nel cuore la preghiera di Gesù”.74 E anche gli antichi Padri spesso dicevano che bisogna pregare per l’ultima ora. Pensare alla morte non significa pensare ai funerali, e vedere come tutti piangono, come nei funerali tutti pensano che sia morta una grande persona della quale si ricorderanno per sempre. Non è questo. Prendiamo l’esempio di una mamma che sta a casa, ed è preoccupata di tante cose, come pagare i conti, come sistemare l’ambiente, come…, e le arriva una telefonata: “tuo figlio ha avuto un incidente ed è molto grave”. In quell’istante spariscono tutte le preoccupazioni, l’unico pensiero che conta è come far vincere la vita. Quindi, il pensiero della morte è quel momento della vita che mi fa filtrare ogni esperienza e mi aiuta a non dimenticare le cose più importanti, essenziali della vita, con il loro peso spirituale. Quando facciamo l’esperienza di stare con qualcuno che è sul letto di morte, i nostri pensieri, sentimenti, progetti ecc. scendono automaticamente al piano inferiore. Questi momenti ci purificano, ci liberano dal superfluo. Quindi anche pensare alla nostra morte – che non si sa quando arriverà, ma siamo solo certi che un giorno di sicuro arriverà –, ci aiuta a distinguere e a discernere ciò che è importante da ciò che è meno importante, per cosa combattere e che cosa bisogna lasciar perdere, perché sappiamo che ogni cosa è niente di fronte alla morte. Anche il consiglio che padre Cleopa dava più frequentemente sia ai monaci che ai laici era questo: “Se volete andare avanti fino a Dio, avete bisogno di due muri, ma non muri fatti di mattoni, non muri fatti di pietre, di terra, ma di due muri spirituali: abbiate il timore di Dio nella mano destra, perché il profeta Daniele dice: ‘con il timore di Dio l’uomo è stornato dal male’, e nella mano sinistra abbiate il timore della morte, perché dice il figlio di Sirach: ‘figlio, ricorda la tua fine e non peccherai’. Queste due opere buone, cioè il timore di Dio e la meditazione della morte salvano l’uomo da ogni peccato”.75 Ecco la migliore preparazione per la morte: non la paura per essa, ma il timore, per trovarmi sempre preparato. Porto un altro esempio di padre Cleopa da cui si vede come la morte non tronca i rapporti, ma anzi rafforza la 74 75 I. BALAN, Il mio padre spirituale, cit., p. 107. Ibid., p. 81. 19 capacità di aiuto spirituale: un mese prima della sua morte, diceva a una donna: “Sorella, quando verrai di nuovo a Sihastria, vieni alla croce nel cimitero e dimmi ogni cosa che hai da dirmi e, se Dio vuole, io ti ascolterò e ti aiuterò”.76 Inoltre possiamo ricordarci dell’esempio di Dostoevskij, uno tra i più grandi scrittori russi. Sua figlia racconta che suo padre, “nel momento di dare l’ultima benedizione ai suoi figli ha chiesto di leggere la parabola del figlio prodigo. Su questa sintesi evangelica del destino di ogni uomo e della sua fede radiosa egli ha preso congedo: ricordatevi sempre il perdono del padre e la sua gioia di perdonare”.77 Dostoevskij ha saputo cogliere l’essenziale della vita, che si ritrova nel perdono, nel sacramento che trasforma la sterilità nella fecondità. Questo è ciò che conta nel momento della morte: perdonarci, come il Padre ha perdonato il figlio prodigo e lo ha abbracciato con amore misericordioso. CONCLUSIONE Concludo questa riflessione con la speranza nel cuore di aver potuto dentro di noi rinnovare ed approfondire la bellezza e la necessità della paternità e maternità spirituale, perché senza di essa “la nuova evangelizzazione non avrà quella penetrazione e profondità necessarie per compiere veramente la propria missione in un’Europa ormai profondamente scristianizzata”.78 Per questo la nostra speranza non va perduta, perché Dio tramite il dono della maternità e paternità spirituale rimane fedele, malgrado l’infedeltà dell’uomo. La nuova alleanza da parte di Dio con l’uomo è eterna e, tramite lo Spirito Santo che sempre ci è donato, anche il mondo potrà sperimentare l’Alleanza e l’uomo nuovamente potrà ritrovare la vera Vita. In questo anche la vita religiosa è un segno esplicito che rimanda a Colui al quale il religioso ha risposto con la donazione della sua stessa vita. Padre Rupnik richiama spesso la visione profonda della creazione che “ridonata all’amore, si conforma ad immagine della Nuova Gerusalemme… Il mondo materiale, cosmico, completamente appartenente al principio agapico, quindi personalizzato, diventa la bellezza. La bellezza è infatti l’amore realizzato, incarnato...”79 E Pavel Florenskij dice che “le visioni dei profeti sono delle contemplazioni concrete e non affatto delle costruzioni astratte”,80 come è concreta la bellezza di un servizio fecondo, se vi è integrazione tra persona e vita, inclusa l’accettazione della sofferenza. E’ proprio questa integrità, questa unità interiore che fa apparire la bellezza. Una realtà isolata non è bella, ma diventa bella quando comincia a far trasparire la realtà superiore. Addirittura la persona, quando si lascia ispirare dallo Spirito Santo all’interno della propria storia, “fa esperienza della verità di Dio-Amore in modo tanto più immediato e profondo quanto più si pone sotto la Croce di Cristo... sulla quale Cristo manifesta pienamente la bellezza e la potenza dell’amore. In modo speciale, la vita consacrata rispecchia questo splendore dell’amore, perché confessa, con la sua fedeltà al mistero della Croce”.81 Come esempio concreto di conferma è proprio la figura di san Serafino di Sarov che “rifulge di una luce così pura, così seducente che, se si è appena un poco sensibili a ciò che non è di questo mondo ma viene dall’alto, si prova nell’avvicinarlo un’interiore trasformazione, si diventa migliori, come se l’immagine di Dio in noi si fosse subitamente rinnovata”.82 Forse ognuno di noi può far sue anche le parole del grande pensatore Ivan Kireevsky che nel 1840 scriveva: “Tutti i libri, tutte le opere spirituali non valgono quanto un santo starets in cui sia possibile trovare una guida, al quale ciascuno possa far parte dei propri pensieri e la cui bocca esprima non consigli personali più o meno validi, ma il giudizio dei santi”.83 In questo modo la vita religiosa ha tante possibilità di essere lievito e sale che “sono due materie che apparentemente si perdono nelle sostanze con cui vengono mescolate. Di fatto rafforzano le migliori qualità dei cibi e li proteggono perché non si guastino… Forse molte cose 76 Ibid., p. 130. T. ŠPIDLÌK, L’idea russa, Roma 1996, p. 275. 78 M. I. RUPNIK, Paternità spirituale: un cammino regale per l’integrazione personale, in A cura del Centro Aletti, In colloquio, cit., p. 192. 79 M. I. RUPNIK, Dall’esperienza alla sapienza, cit., p. 43. 80 P. FLORENSKIJ, Il significato dell’idealismo (a cura di Natalino Valentini), Milano 1999, p. 115. 81 Giovanni Paolo II, Vita consecrata, Esortazione Apostolica, n. 24. 82 I. KOLOGRIVOV, Santi russi, Milano 1977, p. 462. 83 Testo riportato in I. Smolitsch, Leben und Lehre der Starzen, Köln 1952, p. 16. 77 20 della vita religiosa contemporanea moriranno. Ma se moriranno a causa dell’amore per Cristo, la vita religiosa risusciterà nel prossimo futuro da questa umile profezia che l’ha fatta nascere e rinnovare in ogni tempo”,84 malgrado le tante difficoltà e crisi che dovevamo e dovremo ancora sopportare. Ma, come dice la beata Madre Teresa di Calcutta, il passato appartiene alla Sua misericordia, il futuro alla Sua provvidenza e il presente al Suo amore. Sono consapevole che questa riflessione ci fa concludere con tante domande e penso che possiamo con tutta la calma dire che a certe risposte è possibile arrivare solo in speciali momenti della nostra vita; le risposte arrivano talvolta improvvise, ci colgono di sorpresa nei momenti in cui meno ce l’aspettiamo, talvolta invece non arrivano se non alla fine della nostra vita su questa terra. “E’ solamente nell’inverno che si può ricevere la fecondità inconcepibile promessa ad Abramo. Nell’attesa, si può essere al servizio di Dio e fare delle opere buone”.85 84 85 M. I. RUPNIK, Dall’esperienza alla sapienza, cit., p. 61. M.-D. MOLINIÉ, Il coraggio d’aver paura, cit., p. 134. 21