47 Periodico quadrimestrale di informazione bancaria e di cultura locale della Banca della Marca Credito Cooperativo Società Cooperativa. Poste Italiane spa · Spedizione in abbonamento postale, 70% · DCB TV. Anno XVI · N. 47 · Settembre 2008 La famiglia a Nordest Il ’68 dopo quarant’anni Ritorna Halloween La battaglia di Fontanafredda L’ansia alimentare Secondo una recente indagine del Censis, il cibo è causa di ansia e paura a una buona parte degli italiani. Difficile crederci, eppure «la paura alimentare» è fra quelle che oggi attanagliano il mondo e gli italiani sembrano soffrirne la loro parte. L’ansia che li opprime ha cause diverse che si chiamano residui parassitari, modificazioni genetiche, allevamenti di massa, qualità dei mangimi usati negli allevamenti e, non ultimo, la provenienza degli alimenti che andranno a comporre il nostro piatto quotidiano. Inoltre le trascorse notizie sulla mucca pazza e sulla influenza asiatica del pollo hanno contribuito la loro parte nell’infondere l’idea che si è toccato il fondo e che la natura si sta rivoltando. Le nuove paure alimentari vanno dunque ad aggiungersi a quella sempre presente negli italiani di ingrassare (sono il 63 per cento della popolazione), altri nuovi timori che li costringono a fare la spesa con molta cautela, prestando attenzione al prezzo ma anche alle etichette che la legge italiana ha reso obbligatorie su molti prodotti dei nostri supermercati. La maggioranza dei consumatori (sono l’86 per cento) teme oggi che gli antiparassitari presenti nella frutta e nella verdura possano ritrovarsi nel piatto sfuggiti anche a un accurato lavaggio; il 77 per cento è spaventato dai prodotti modificati e teme che questi possano incidere sulla salute; il 74 per cento sono invece preoccupati sia per la qualità degli alimenti propinati agli animali negli allevamenti sia per le modalità con le quali si allevano gli animali; infine il 39 per cento degli italiani dichiara di acquistare prodotti di qualità in quanto offrono maggior sicurezza contro le sofisticazioni. Da queste paure gli italiani cercano di difendersi tornando alla cucina di una volta e alle vecchie ricette di famiglia, convinti in questo modo di esorcizzare le loro paure e poter quindi continuare a mangiare bene malgrado l’aumento dei prezzi. È questo un segnale evidente che le loro paure sono innescate unicamente dalla poca conoscenza del mondo alimentare del nostro paese, nonché dalla cattiva informazione che tende a spaventare più che a consigliare il consumatore. Si possono capire le preoccupazioni per gli Omg ma per quanto riguarda i pesticidi le leggi ci sono, vengono applicate e i controlli non mancano. Un cibo senza veleni è nel nostro paese un diritto acquisito e garantito da tempo. sommario SOTTOVO C E ANNO XVI · N. 47 · SETTEMBRE 2008 2 L’ansia alimentare 3 Espansione territoriale 4 Notizie in breve 7 Soci protagonisti di fiducia 8 Il ’68 dopo quarant’anni 10 La famiglia a Nordest 12 Nuova filiale a Fontanafredda 13 Le tremule foglie dei pioppi 16 La Fontana del Buoro 18 Il progetto salva rospi 20 Il gemellaggio con Petritoli 21 Ecco di nuovo Halloween 22 Incontro con Marzio Bruseghin 25 Atletica coi fiocchi 26 I nostri anziani raccontano 28 La battaglia di Fontanafredda 30 L’Inquisizione a Orsago e a Cordignano 32 I bombardieri del Re 33 Elio Casagrande il pittore dei vescovi 34 Per lo sviluppo degli impianti fotovoltaici In copertina. Campanile della parrocchia Santa Maria Assunta di Fontanafredda (foto di Silvio Vicenzi). Foto. Archivio Banca della Marca, Silvio Vicenzi, Foto Viola, Giorgio Mies, Norma Grafica. Quadrimestrale di informazione bancaria e di cultura locale della Banca della Marca Direzione e redazione Via Garibaldi, 46 · 31010 Orsago/Tv Progetto Janna/Pn Direttore responsabile Angelo Roman Stampa Tipolitografia Carlet Giuseppe s.r.l. Orsago/Tv In redazione Luciano Baratto, Claudio Bortolotto, Adriano Ceolin, Piergiovanni Mariano, Giuseppe Maset, Mario Meneghetti, Gianpiero Michielin, Vittorio Janna, Maurizio Valle, Gino Zanatta Registrazione Tribunale Treviso n. 911 del 27 maggio 1993 Le opinioni esposte in articoli firmati o siglati esprimono il punto di vista dei singoli autori e non quello dell’Amministrazione della Banca. Gli articoli inviati alla redazione, anche se non pubblicati, non si restituiscono. È consentita la riproduzione dei testi purché venga citata la fonte. L’Editore si rende disponibile ad assolvere agli obblighi in materia di diritto d’autore con i soggetti interessati non individuati che avanzino legittima richiesta. Garanzia di riservatezza. I dati personali dei destinatari della rivista saranno utilizzati dall’Editore, titolare del trattamento, unicamente per l’invio della pubblicazione e di eventuali offerte commerciali secondo le finalità e i modi consentiti dalla D. Lgs. n. 196/2003. Pertanto, i dati potranno essere trattati con mezzi informatici o manualmente anche da parte di terzi che svolgono attività strumentali (etichettatura, spedizione) e potranno essere consultati, modificati, integrati o cancellati in ogni momento dagli interessati inoltrando richiesta al responsabile, nominato per la carica, sig. Patrizio Pillon all’indirizzo della redazione. Internet: www.bancadellamarca.it · e-mail: [email protected] di Gianpiero Michielin, presidente A fine luglio scorso Banca della Marca ha aperto la nuova filiale di Fontanafredda ed entro il corrente anno diverrà attivo lo sportello di Caneva, dove attualmente sono in corso i lavori di ristrutturazione ed adeguamento dei locali alle esigenze bancarie. A Fontanafredda la nostra presenza è nella zona centrale del paese, di facile accesso e con buoni spazi di parcheggio, mentre a Caneva si è optato per la piazza, vero cuore di un paese che ha frazioni con profonde tradizioni e antiche parlate. Entrambe le nuove aperture danno finalmente una risposta alle forti attese del territorio che da tempo reclamava la presenza dei nostri sportelli e dei nostri servizi. Qualche Socio della nostra cooperativa, forse ancora ancorato al passato, recrimina che con l’espansione degli sportelli si perde l’identità di Banca locale. La realtà è completamente diversa ed il Consiglio di Amministrazione della nostra Banca ha scelto di continuare ad assicurare la nostra presenza nei paesi ove mancava o era carente l’offerta del Credito Cooperativo. Abbiamo voluto far conoscere ed apprezzare un modo diverso di fare Banca, una capacità di erogare il servizio a portata d’uomo, in modo che il cliente si senta a suo agio, attraverso collaboratori preparati che si pongono a servizio della gente, delle famiglie, delle imprese. Espandere la nostra competenza territoriale non significa solo ricercare nuovi spazi per consolidare la nostra realtà, dare concretezza alla nostra dinamicità e professionalità, significa anche dare risposte concrete alle comunità del territorio, agli organismi che le rappresentano, all’associazionismo ed al volontariato che le caratterizzano. Non ci sentiamo assolutamente i primi della classe e dobbiamo continuamente migliorarci; ci sentiamo invece orgogliosi di appartenere ad un movimento, costituito dal oltre 400 Istituti di credito autonomi e collegati in rete che, con la loro presenza e la loro storia, hanno permesso in oltre un secolo di vita di costruire una società più libera ed emancipata, di far esplodere realtà come quella dell’ormai mitico Nordest. Il merito delle Banche di Credito Cooperativo, un tempo chiamate Casse Rurali ed Artigiane, è stato quello di saper porsi a fianco delle famiglie, degli agricoltori, degli artigiani, dei piccoli e grandi imprenditori come un fidato compagno di viaggio, capace di aiutare nel momento del bisogno e di far decollare un progetto se ritenuto valido e degno di sostegno. Estendere la nostra presenza non è quindi abbandonare i valori ed i principi dei nostri fondatori, di don Antonio Possamai in primis, ma di portarli anche nelle Comunità contermini che possono vantare con noi una omogeneità culturale, il terreno fertile per far conoscere, crescere ed apprezzare quello che proponiamo con la nostra presenza. Nei programmi della Banca, per il prossimo futuro, non c’è di certo quello di chiuderci a riccio, di tirare egoisticamente i remi in barca, di fermarci. Uno degli obiettivi del piano strategico è e rimane quello di portare i nostri servizi e la nostra cultura in quei territori che per identità di esperienze sociali e culturali sono simili ai luoghi dove siamo sorti e cresciuti, e pertanto possono apprezzare e condividere l’esperienza oltremodo positiva della cooperazione. Con chi condivide queste speranze, questi principi, questi valori identificativi del nostro servizio, potremo allargare la compagine sociale e dare alle Comunità il nostro aiuto per un’ulteriore crescita e, ci auguriamo, per garantire a tutti un futuro migliore. Espansione territoriale EDITORIALE PRIMO PIANO in N OT I Z I E BREVE NORME DA CONOSCERE DIRITTI DEL CONSUMATORE Per autenticare la firma nei passaggi di proprietà di un bene mobile, quali l’auto, il motorino, la barca, ecc., non è più indispensabile rivolgersi ad un notaio bensì è sufficiente andare presso il Comune o un’agenzia di consulenza sede di uno sportello telematico dell’automobilista. Lo fissa la Legge 4.8.2006, n. 248, art. 7. Salta anche l’autentica notarile per l’estinzione dell’ipoteca sulla casa, una volta estinto il mutuo con la banca. È infatti un’incombenza dell’istituto di credito comunicare, entro 30 giorni dall’avvenuta estinzione, alla Conservatoria che provvederà d’ufficio all’immediata cancellazione dell’iscrizione ipotecaria, in base alla legge 2.4.2007, n. 40, art. 13. Non rientrano in questi obblighi per le banche le estinzioni di mutuo avvenute in passato che soggiacciono alle precedenti norme. Anche queste sono innovazioni che permettono un’economia di tempo e dei risparmi a vantaggio, in particolare, delle famiglie. IL 25° ANNIVERSARIO COOPERATIVA «INSIEME SI PUÒ» 4 INSIEME CON FIDUCIA In occasione della festa del 25° anniversario della fondazione della Cooperativa «Insieme si può», istituita l’8 giugno 1983, Unindustria, tramite il direttore Giuseppe Milan, ha consegnato alla cooperativa una targa quale riconoscimento del ruolo imprenditoriale e sociale che ha svolto e che sta svolgendo. La festa, organizzata a Treviso l’otto giugno scorso alla presenza di autorità civili e religiose, ha avuto come momento culmine l’intitolazione del Campus dell’educazione alla cofondatrice dell’Università Cattolica Armida Borelli. In occasione del discorso celebrativo Rina Biz, presidente da 25 anni, ha annunciato di lasciare la presidenza nelle mani di Anita Leuratti, che da sempre è stata al suo fianco. Il mondo della cooperazione si inchina per i risultati ottenuti da «Insieme si può», una vera impresa moderna e trasparente. IN COMUNE DI ORSAGO NUOVO ASILO NIDO PARROCCHIALE Nei mesi scorsi ha trovato conclusione il notevole sforzo della Parrocchia di Orsago posto nel restauro dell’asilo e nella creazione di un asilo nido. Il complesso aveva bisogno di interventi urgenti per la messa a norma e, confidando sulla generosità di famiglie ed istituzioni, è stato realizzato un restauro ed un adeguamento alle attuali normative che ha richiesto un impegno economico davvero importante. L’Asilo parrocchiale era stato avviato oltre cento anni fa da don Antonio Possamai, il lungimirante ed illuminato parroco che aveva fondato nel 1895 la Cassa rurale di depositi e prestiti San Benedetto di Orsago. La nostra Banca ha sostenuto il progetto e generosamente ha anche contribuito. Con l’apertura di questo nuovo Asilo nido integrato, sono sedici i servizi per la prima infanzia attivati dalle parrocchie della diocesi vittoriese. ALLA SEDE DI ORSAGO IMPIANTO FOTOVOLTAICO SULLA BANCA È entrato in esercizio il 7 maggio 2008 l’impianto fotovoltaico installato presso la sede di Orsago della nostra Banca. L’impianto è costituito da 84 moduli fotovoltaici al silicio policristallino e da 3 inverter SMA SMC6000 ed ha una potenza nominale di 18.48 Wp. La produzione annua di energia è stimata in 20.000 kWh. Rimane invece valida la norma che gli assegni emessi all’ordine del traente possono essere incassati unicamente dal traente stesso. Ulteriori informazioni potranno essere acquisite dal personale della Banca presso gli sportelli. NOTE IN CANTINA A VAZZOLA L’ORCHESTRA FILARMONIA VENETA I Solisti dell’Orchestra Filarmonia Veneta, diretti dal maestro Stefano Romani, sono stati i protagonisti, il 4 luglio scorso, della seconda edizione di «Note in Cantina», concerto organizzato dall’Azienda agricola Bonotto delle Tezze e dal Comune di Vazzola. Sono state proposte, agli oltre cinquecento appassionati presenti, musiche di Dvorak, Strauss e Gounod, eseguite in un ambiente adatto, il cortile della tenuta Bonotto, con una maestria e professionalità di alto livello. Questo appuntamento è stato possibile grazie ad una fattiva collaborazione tra pubblico e imprenditoria privata per raggiungere l’importante obiettivo di diffondere la cultura della musica e quella del vino. Alla serata, oltre al Sindaco di Vazzola Maurizio Bonotto ed all’Assessore alla cultura, erano presenti il nostro Direttore generale Giuseppe Maset ed il responsabile della filiale di Tezze Roberto De Carlo. Banca della Marca ha sostenuto l’iniziativa, realizzata nell’ambito dell’accordo di programma tra la Regione Veneto e la Provincia di Treviso, a fianco dell’Azienda agricola Bonotto delle Tezze ed all’Amministrazione comunale di Vazzola. MARCA SOLIDALE FESTA DEL SOCIO Ha avuto luogo domenica 22 giugno presso il Palaingresso della Fiera di Godega S.U., la prima assemblea della Società di Mutuo Soccorso «Marca Solidale» e la festa del Socio. La partecipazione è stata oltre la migliore attesa con circa duecento Soci presenti. La manifestazione è stata arricchita da un incontro sul tema «Salute e stili di vita» dove sono intervenuti i dirigenti dell’ULSS 7 dott. Sandro Cinquetti, Direttore sanitario, la dott.ssa Paola Paludetti, Direttore socio sanitario del Distretto sud e la dott.ssa Tiziana Menegon Direttore del Servizio igiene e sanità pubblica. Il tema è stato trattato con l’attenzione che merita e da tutti e tre i dirigenti dell’ULSS è arrivato un forte plauso alle iniziative di Banca della Marca a sostegno della famiglia e delle fasce più deboli della popolazione locale. Il Presidente Adriano Ceolin, oltre a relazionare sul primo bilancio e sui programmi di breve periodo, ha reso noto i dati della presenza dei Soci sul territorio ed il numero delle adesioni che già si avvicinano a circa 1700 Soci. Hanno presenziato il Sindaco di Godega S.U. Bonet, il Presidente di Banca della Marca Gianpiero Michielin ed il Direttore Generale Giuseppe Maset. USO DEL CONTANTE NUOVE NORME ANTIRICICLAGGIO Sono state apportate e sono entrate in vigore alcune modifiche al Decreto Legislativo n. 231/2007, relativo alle limitazioni dell’uso di contante e dei titoli al portatore. Il divieto di trasferire denaro contante e titoli al portatore ritorna per gli importi complessivamente pari o superiori ad euro 12.500. Gli assegni bancari e postali dovranno portare la clausola di non trasferibilità per importi pari o superiori ad euro 12.500. L’emissione di assegni trasferibili è consentita fino ad un importo massimo di euro 12.499,99 e per questi non è più richiesta l’indicazione del codice fiscale del girante. MOSTRA DI BALDISSIN A CASA DEI CARRARESI L’artista cordignanese Cesare Baldassin è stato ospite a luglio scorso, con una mostra personale dal titolo «Segni e Colori», alla Casa dei Carraresi, il più prestigioso centro espositivo di Treviso. Cesare Baldassin è conosciuto principalmente come incisore ove primeggia alla grande a livello nazionale; come pittore è meno conosciuto pur avendo vinto premi di rilevanza nazionale come il primo premio di Cordignano del 2005. L’approdo a Casa dei Carraresi è stato possibile grazie anche, tra gli altri, INSIEME CON FIDUCIA 5 PRIMO PIANO di Banca della Marca che ha visto in quest’artista locale il testimonial per diffondere la presenza dell’Istituto in città. Alla vernice inaugurale sabato 12 luglio erano presenti, oltre a critici d’arte, artisti ed amici anche il Direttore generale di Banca della Marca Giuseppe Maset ed il Sindaco di Cordignano dott. Roberto Campagna, che, tra l’altro, è dipendente dello stesso Istituto. L’artista, grato per il lusinghiero successo di pubblico, ha donato alla Banca della Marca due sue opere. (Ca’ Foscari e IUAV) e Verona; tre in Friuli Venezia Giulia: Trieste (con anche la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati – un istituto ad ordinamento speciale) Gorizia e Udine; due in Trentino Alto Adige: Bolzano e Trento. Le sedi delle facoltà sono diffuse anche in altri centri come a Treviso, Vicenza, Pordenone, Rovigo. Offrono una copertura disciplinare su tutti i principali ambiti di studio: 63 sono le facoltà, 213 i dipartimenti e poco meno di 6000 i docenti tra professori ordinari, associati e ricercatori. Nell’anno accademico 2007/2008 in queste tre regioni si sono immatricolati 30.508 studenti con un incremento dell’1% rispetto l’anno precedente. Nell’anno solare 2006, da fonti ministeriali, hanno conseguito il titolo di diploma di laurea 30.803 studenti. CONSIGLI UTILI CONTRO LE TRUFFE ONLINE FENOMENO IN AUMENTO CIRCOLAZIONE DI EURO FALSI In un preoccupato rapporto del Ministero del Tesoro viene reso noto l’aumento enorme anche degli euro falsi non di carta, prima tra tutte le monete da 2 euro. Bankitalia ha accertato che i pezzi fasulli da 2 euro in circolazione, prodotti dalle organizzazioni criminali, sono aumentati oltre il 400%. Nel primo semestre del 2008 ne sono state accertate di false dalla banca centrale ben 12.798 monete. Consistente anche l’aumento dei falsi da 1 euro e da 50 centesimi che registrano una crescita del 125/130%. Per le banconote i falsari si concentrano sui tagli da 50 euro che rappresentano il 26,76% del totale delle banconote ritirate dalla circolazione nei primi sei mesi dell’anno. In questi sei mesi la Banca d’Italia ha periziato ben 73.889 banconote false per un gruzzoletto pari a 4,5 miliardi di euro. Pare, da elementi presenti sulle banconote false, che la provenienza del materiale fasullo e la collocazione delle «zecche alla Totò», sia in paesi diversi dall’Italia. NELLE TRE VENEZIE IL MONDO UNIVERSITARIO In Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige esiste un’offerta formativa ampia e specializzata per quanto attiene l’istruzione superiore. Gli atenei sono quattro in Veneto: Padova, Venezia 6 INSIEME CON FIDUCIA ABI Lab, il Consorzio per la ricerca e lo sviluppo delle tecnologie per la Banca, promosso da ABI, ha predisposto un manifesto da affiggere nelle banche di tutta Italia per dare alcuni consigli utili a rendere più sicura l’attività in Internet con la propria banca. I consigli possono essere sinteticamente così riassunti: 1) installare e mantenere aggiornati i software di protezione ed effettuare delle scansioni periodiche; 2) aggiornare costantemente il sistema operativo e gli applicativi; 3) proteggere il traffico in entrata ed in uscita dal computer installando programmi di filtraggio del flusso di dati; 4) durante la navigazione in Internet non permettere attività da remoto non autorizzate; 5) acconsentire all’installazione di programmi di cui è possibile verificare la provenienza; 6) far attenzione a qualsiasi modifica improvvisa delle impostazioni di sistema; 7) verificare l’autenticità della connessione con la propria banca; 8) diffidare di qualunque richiesta di dati relativi a carte di pagamento; 9) controllare regolarmente le movimentazioni del conto corrente per accertare che le operazioni riportate siano state realmente effettuate; 10) diffidare dai messaggi di posta elettronica che invitano a scaricare programmi o documenti; 11) fare attenzione ad eventuali anomalie rispetto alle procedure abituali con cui viene richiesto l’inserimento dei dati personali sul sito personale di home banking. In caso di dubbi, per difendere il proprio computer da occhiate indiscrete, è meglio rivolgersi al personale della banca. SOCIETÀ OGGI IL NUOVO FASCICOLO SOCI PER SOCI DAI BENI ALLE COMPETENZE SOCI PROTAGONISTI di fiducia È stata distribuita la seconda edizione del fascicolo «Soci per Soci». Una guida nei settori dell’abbigliamento, dell’alimentazione, dell’arredamento, dell’edilizia e servizi connessi, dell’elettronica, della medicina e cosmesi, delle forniture per famiglie, dei trasporti, dei viaggi e tempo libero. Si tratta di Soci della Banca di Credito Cooperativo, che producono beni o gestiscono servizi, che si mettono in rete con tutti i Soci della Banca. Essi si propongono sia con sconti che con corsie preferenziali nella loro attività, riconoscendosi così in un contesto di reciprocità tra Soci dello stesso sodalizio: la Banca della Marca. È una iniziativa forte perché la cultura della cooperazione non consiste solo nel fare impresa, nel mettersi insieme per realizza- re dei prodotti o dei servizi di cui fruire a condizioni ottimali, ma significa anche generare relazioni, costruire reti di persone, incontrarsi e riconoscersi, vivere valori e trasmetterli. Così la guida «Soci per Soci» diventa uno strumento per incontrare Soci che offrono ad altri Soci i beni che loro producono: è un primo importante tassello di quel generare beni immateriali che vanno oltre lo scambio commerciale. I Soci sono un capitale enorme della Banca della Marca, ma sono anche un giacimento di operosità di cui la guida rappresenta una finestra importante, ma non esauriente. Viviamo in una società fatta di insicurezze. Alimentano tale scenario l’impoverimento delle reti di fiducia tradizionali, dalla fragilità delle famiglie alla scomparsa dei borghi parentali, dall’immigrazione che mette radici all’incertezza economica. Occorre contrastare tale percezione di fragilità costruendo reti sociali forti. Il patrimonio associativo di una banca cooperativa è potenzialmente un laboratorio di umanità nuova per costruire lo star bene insieme di tanti che ne condividono l’appartenenza in qualità di Soci. Ne è conseguenza il fatto che l’operazione «Soci per Soci» può diventare uno strumento più ampio che faccia conoscere la più diffusa produzione di beni e servizi, ma può anche mettere in rete le competenze, le abilità, perché tanti Soci hanno esperienze, bagagli professionali e relazionali che possono condividere. Ci sono attività di Banca della Marca, parallele al credito, che SOCIETÀ OGGI potrebbero vedere i Soci parte attiva nella vita sociale e nelle iniziative dell’istituto di credito. Significa avere una base sociale composta di persone che usano la propria adesione per vivere «per», stare «tra», promuovere «con» altri Soci e con la stessa comunità locale nella quale la Banca opera attività, progetti, idee. Ci sono esperienze positive in ambiti simili che potrebbero dare riferimenti ad un possibile 8 INSIEME CON FIDUCIA lavoro di ampliamento del progetto «Soci per Soci». Per esempio le «banche del tempo», gli «albi delle competenze» cui attingere in caso di necessità, il «volontariato sociale» promosso dal Credito Cooperativo… E l’azione della Banca nella singola realtà locale, comune od altro, in cui opera, potrebbe avere strategicamente interesse ad avere una presenza sociale attiva, capace di proposta e di costru- zione di alleanze e reti di fiducia tra cittadini. Motivare i Soci ad essere protagonisti nel territorio. È una provocazione, ma lo spirito dell’essere cooperatori, va letto oggi dentro le trasformazioni della comunità e pone la domanda sulla capacità di mettersi in gioco perché appunto «la mia Banca è differente!». SERGIO DUGONE il ’68 DOPO QUARANT’ANNI COSA RIMANE DELLA RIVOLTA STUDENTESCA I PRO E I CONTRO IN UN DIBATTITO CHE ANCORA FA DISCUTERE Quanto accaduto quarant’anni fa – con il movimento giovanile che contestava violentemente la mentalità e la cultura della società di allora – è tutt’oggi oggetto di un vivo dibattito tra posizioni pro e contro. I denigratori accusano il ’68 di aver distrutto i valori della tradizione, di aver innestato nella società l’idea che tutto si equivalga, che non c’è differenza tra il bene e il male, tra il vero e il falso, tra l’allievo e il maestro. I difensori sostengono invece che il ’68 ha portato più libertà individuale, ha introdotto un nuovo modo di fare politica, ha cercato di promuovere l’eguaglianza tra i ceti e ha dato maggiori spazi e autonomia alle donne. Sono valutazioni, sia quelle positive che quelle negative, che rispondono al vero perché il ’68 è stato una tale concentrazione di avvenimenti e una così forte accelerazione verso il nuovo che ha finito con il dar vita a fermenti sociali assai controversi e inesplicabili, nei quali non sempre era stato possibile individuare gli aspetti positivi da quelli negativi. Nata nelle Università tra gli studenti e i giovani intellettuali, la contestazione ha toccato i paesi europei più avanzati quali Francia, Spagna, Germania, Olanda valicando la cortina di ferro e lasciando un segno anche nei paesi socialisti. Ha portato ovunque contestazioni e rivolte, ha scardinato valori ritenuti fondamentali e sacri, ha generato ovunque contrapposizioni e conflittualità spesso assai dure. In Italia – dove ancora sussistevano pesanti problemi legati alla povertà e all’emigrazione, dove stagnava un’insofferenza verso il vecchio e l’autoritarismo e dove già si avvertivano i sintomi della crisi nel rapporto padri/figli – la contestazione giovanile ha trovato terreno fertile: partendo della città ed espandendosi nei paesi, essa è entrata di prepotenza nelle nostre case e, mascherata spesso da ideologie di sinistra, si è mostrata come una gigantesca terapia di gruppo che sradicava un bigottismo ancora presente nella tradizionale educazione famigliare. Dall’esasperata ricerca del nuovo, dalla volontà di ottenere tutto e subito a qualsiasi costo, si è passati gradualmente a voler realizzare il cambiamento della società basato su un modello di collettività più moderna, più giusta ed equa, più consapevole dei problemi del nostro esistere. Per molti il ’68 è stato uno stravolgimento, un crollo di ideali e di metodi di vita, un vuoto di potere; per altri è stato una febbrile ed entusiastica stagione che ha aperto il Paese ai tempi moderni e a un nuovo modo di concepire la politica. E tuttavia sono pochi oggi coloro che difendono gli ideali che hanno portato i giovani in piazza ad abbattere il vecchiume della società; oggi sono molti di più coloro che, compresi certi sessantottini, valutano negativamente l’eredità di quell’anno di lotte e di speranze. Il dibattito è tuttora aperto come dimostra quanto avvenuto a Cortina, a margine di «Cortina InConTra 08» dove un ex ministro è arrivato ad affermare che il terrorismo è la logica conseguenza del ’68, affermazione prontamente contestata da altri intellettuali che l’hanno definita un abbaglio storico, una scemenza. Eppure non tutto è stato negativo: ripulito da tanta zavorra e dagli eccessi, il ’68 ha avuto anche aspetti positivi, perché ha innescato un processo che ci ha guidato verso un periodo di grandi cambiamenti e speranze, verso una società più aperta, più equa, più giusta. Se l’obiettivo non è stato raggiunto o trova intoppi e ritardi, significa che coloro che hanno detenuto il potere hanno gradualmente portato le lancette dell’orologio a prima del 1968, cercando di restaurare un mondo di nuovi privilegiati attraverso promesse di facili successi e di valori ipocriti. Come ha dimostrato ampiamente il dibattito svoltosi nel Paese in questi mesi, l’unica certezza emersa è che – a quarant’anni di distanza – quella rivoluzione non ha avuto ancora modo e tempo di potersi sedimentare e di far conoscere a fondo il meglio che proponeva. MARIO MENEGHETTI SOCIETÀ OGGI VERSO IL POST CONSUMISMO? NUOVI STILI DI VITA OLTRE LA CRISI la famiglia A NORDEST 10 INSIEME CON FIDUCIA L’area in cui viviamo è il cuore del Nordest. Tra Treviso e Pordenone, tra Venezia e Belluno, la crescita economica a due cifre, per tanti anni, ha generato benessere diffuso e relativo consumismo. Oggi la crisi è presente anche da noi. Aziende che ridimensionano l’attività o chiudono, società che invecchia ed ha bisogno dell’immigrazione sia per i distretti produttivi che per l’assistenza primaria, costi dei servizi, stagnazione ed inflazione mettono a dura prova i bilanci familiari. La famiglia si è appesantita di impegni: dai mutui per la casa (la proprietà resta un valore), ai costi degli stili di vita, ai pesi assistenziali di varia natura. E la famiglia prosegue a sostenere un’economia che nel Nordest continua ad avere una crescita superiore alla media del Paese. Il ceto medio diffuso è quello più in difficoltà. Ha costruito le sue sicurezze negli anni del boom economico ed oggi è alle prese con stili di vita che generano costi e che alimentano la sindrome da terza, quarta settimana del mese. Da un lato il commercio si adegua: offre acquisti con crediti dilazionati, pagamenti rateali senza interessi, offerte civetta che invogliano a comprare… Dall’altro lato in famiglia si ricorre all’indebitamento diffuso: cresce il credito al consumo, le finanziarie che offrono denaro, la spesa con il libretto da pagare a fine mese, ma anche le insolvenze, dalle spese condominiali al rinvio di pagamenti, alla mancata manutenzione degli automezzi, al l’omissione di assicurazioni ed altro. Ed agli anziani viene offerto il… mutuo alla rovescia. Chi è proprietario di casa la ipoteca ricevendone un capitale, saranno poi gli eredi a valutare se riscattare o lasciar perdere. Ma vi è chi reagisce alla potenziale deriva e rimette in discussione abitudini e stili di vita. E ci sono organizzazioni che tentano di abbattere costi, accorciando la filiera distributiva dei beni. Sarà una stagione interessante quella che ci coinvolgerà nei prossimi mesi e forse anni. Una stagione degli acquisti consapevoli, della sobrietà, della lotta allo spreco. Se la Coldiretti propone i mercati dei contadini, la vendita diretta dei produttori ai consumatori, si moltiplicano i GAS, gruppi di acquisto solidale. L’ultimo è nato a Vittorio Veneto, dopo Fontanelle, il Quartier del Piave ed altri. Famiglie che acquistano insieme, direttamente e che si distribuiscono i prodotti con abbattimento dei costi del 30% medio. Nel Veneziano l’operazione dei «Bilanci di giustizia» ha coniugato la capacità di rivedere abitudini e stili di consumo con la solidarietà con progetti in paesi del Terzo mondo. I negozi del «commercio equo e solidale» non conoscono crisi, ma crescita costante, segno anche questo di un cambiamento in atto. Bere «l’acqua del Sindaco» è diventato lo slogan di alcune aziende ULSS come quella di Pieve di Soligo, dove tutti ribadiscono che l’acqua del rubinetto è buona, costa poco e non produce bottiglie di plastica che inquinano. A Conegliano verrà aperto a breve un supermercato con la possibilità di acquistare una serie di prodotti sfusi, senza imballaggio. I distributori di latte fresco sono richiesti in tante località e si dovrà fare uno sforzo per moltiplicarli. Occorrerà imparare ad acquistare prodotti stagionali, meglio se direttamente dai produttori. Sarà da leggere l’esperienza degli «orti agli anziani» che alcuni Comuni hanno realizzato in questi ultimi anni. E riscoprire i mezzi di mobilità più tradizionale, partendo dalla bicicletta lasciata in ripostiglio per anni. Se sul fronte energetico l’abbattimento dei costi passa per cam- “ Il ceto medio sempre più in difficoltà economiche bio di lampade, eliminazione di spie accese, elettrodomestici a basso consumo ed alta resa, le caldaie ad alto rendimento, con le valvole di controllo calore in casa sono incentivate fiscalmente. E occorrerà fare le spese programmate: partire da casa con l’elenco di quello che effettivamente serve, senza farsi emozionare dalle tecniche di vendita. Occorre organizzare le famiglie. Per dare a tutti informazioni sulle opportunità e occasioni di incontro e confronto per poter capire che si può vivere meglio spendendo meno e soprattutto eliminando acquisti di cose superflue di cui abbiamo piene le case. Ma spazi di sperimentazione di un nuovo modo di essere famiglia ci sono. La rete famiglie aperte diffusa nel vicentino, le famiglie che aiutano famiglie in una sorta di affido tra famiglie del padovano, i condomini solidali della Lombardia… dicono degli spazi ulteriori di cambiamento. „ Il «progetto famiglia» di Banca della Marca potrebbe essere un significativo interprete e protagonista di questo cambiamento. SERGIO DUGONE TERRITORIO nuova filiale A FONTANAFREDDA Banca della Marca è un Istituto di Credito locale operante prevalentemente nella parte nord-orientale della provincia di Treviso. Fin dalle sue origini questa Banca ha guardato con grande attenzione all’area di territorio che corre lungo il confine che separa il Veneto dal Friuli. La presenza ormai consolidata ad Orsago e Francenigo, nel Veneto, piuttosto che a Sacile e Maron di Brugnera, per il Friuli, confermano la volontà della Banca di voler essere una realtà forte e vitale per queste comunità, così ricche di imprenditorialità e di creatività. I successi commerciali e relazionali che sono stati raggiunti in questi territori vengono adesso esalatati e rafforzati dall’apertura di una nuova filiale, la trentesima per la Banca, presso la città di Fontafredda. Posta lungo la strada che conduce a Pordenone, Fontanafredda ha saputo nel tempo sviluppare una dinamica industriale ed abitativa rilevante, che la pone tra i principali centri del nostro territorio. Per questa filiale è stato scelto un edificio di nuova costruzione, estremamente caratterizzato nella sua estetica, e posto all’inizio della strada che da Fontanafredda conduce a Vigonovo. Come di consueto, la Banca ha posto molta attenzione alla realizzazione degli spazi operativi, affinando ulteriormente idee iniziate alcuni anni addietro. Il concetto attorno cui ruota l’intera struttura degli arredi è quello di esaltare il ruolo di Banca di relazione. Per questo motivo, gli spazi, i colori e i materiali sono tutti tesi a creare un ambiente caldo e di sobria eleganza, ma nel contempo sempre funzionali e confortevoli da vivere sia per i clienti che per i dipendenti. Coerente con la propria vocazione di valorizzare il territorio e le risorse che vi vivono, le persone incaricate di seguire la nuova filiale sono tutti giovani residenti in zona, ma già dotati delle necessarie competenze e professionalità. In più, essendo tutte cresciute all’interno dell’azienda, ne hanno assimilato la cultura e quelle caratteristiche distintive, fatte di cortesia, di disponibilità e di flessibilità, che da sempre sono apprezzate dalla clientela e che non mancheranno, anche a Fontanafredda, di essere la chiave del successo di questa nuova filiale. TERRITORIO SCOPRIRE IL MONDO VEGETALE LE TREMULE FOGLIE dei pioppi BELLEZZA E INCANTO DI UN ALBERO COMUNE Difficile oggi che la poesia pascoliana possa ricreare le antiche suggestioni di un tempo, quando alla lettura dei bellissimi versi «le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggera» il pensiero scorreva alla nostra campagna dove questi alberi si innalzavano maestosi e numerosi lungo i corsi d’acqua, ai margini dei campi, sui viottoli e sulle strade alberate. Un tempo comunissimo in tutta la pianura padana – dove lo trovavamo sia isolato nei campi o raccolto in caratteristici filari o posto all’inizio di una proprietà terriera come splendida cariatide naturale – il pioppo og- gi ci appare meno frequentemente che in passato, come fors’anche lascia intendere il suo nome scientifico, populus, (addirittura un popolo!) con riferimento alle sue fitte formazioni arboree lungo le rive dei fiumi. Anche se meno frequente di un tempo, il pioppo rimane tuttavia una pianta caratteristica della nostre pianure e nelle nostre montagne, ed è sicuramente tra gli alberi più facilmente riconoscibili e sicuramente più familiari dentro il paesaggio veneto. Il pioppo appartiene alla famiglia delle Salicacee (che comprende i salici) e ama di preferenza i ter- reni profondi e freschi, motivo per il quale lo troviamo spesso vicino a grandi salici sulle rive dei nostri fiumi, (lungo il Livenza nel suo corso iniziale – a esempio – o lungo le sponde del Sile) e lungo fossi spesso in consistenze arbustive; contrariamente ai salici rifugge invece dai ristagni d’acqua. La specie solitamente più comune è il pioppo nero (Populus nigra L.) in dialetto chiamato talpon, albero maestoso e longevo (può arrivare all’età di trecento anni) dalla chioma irregolarmente ovale, spesso dilatata, che ha dato origine a moltissime forme TERRITORIO , Albero elegante e maestoso oggi coltivato per la cellulosa ibride assai apprezzate per la rapida crescita: ciò lo rende particolarmente adatto a formare barriere frangivento, per alberare viali e strade; viene apprezzato an che per il suo legname dal quale si ricavano mobili rustici, cassette per imballo, attrezzi, lavori al tornio, carbone vegetale e fiammiferi. Ma il prodotto principale derivato dal pioppo rimane la cellulosa che serve all’industria per la produzione della carta. Per questo oggi troviamo il pioppo riunito in colture specializzate, i pioppeti, che talvolta si ergono sullo sfondo del nostro orizzonte. In queste coltivazioni solitamente vengono impiegate due specie particolari: la prima è un ibrido de rivato dall’incrocio del pioppo nero con un pioppo americano (Populus deltoides Marshall) chiamato Populus euroamericana, un pioppo a rapido accrescimento e che fornisce una buona produzione legnosa; il secondo è il pioppo canadese (Populus canadensis), anche questo coltivato in pioppeti. Le foglie del pioppo canadese, appena uscite dalle gemme, si tingono di rosso arancione, un fenomeno che ricorda una fioritura. Ma non è raro trovarlo anche nei parchi per la sua maestosità. Derivato dal pioppo nero è il pioppo cipressino (Populus italica), albero dal comportamento lineare che ricorda la forma slanciata e snella del cipresso, utilizzato sia in campagna per segnare i confini delle proprietà, sia nei parchi di città per la sua compatta e verde eleganza. Della sua famiglia è sicuramente l’albero più conosciuto e familiare. Altro pioppo che fa parte del nostro paesaggio è il pioppo bianco o gattice (Populus alba), detto in dialetto àlbera, pianta dalle foglie di forma palmata, verde o scuro nella pagina superiore e bianco tomentose in quella inferiore; la sua chioma globosa affascina perché a un colpo di vento repentino diventa meravigliosamente candida. Insieme con il pioppo cipressino faceva parte nella pianura padana dei boschi planiziali insieme a salici, querce, carpini, olmi e frassini. Queste piante formavano l’antica Selva Fetontea, così chiamata dal mitico Fetonte, figlio del Sole che, impadronitosi del carro alato del padre, volle guidarlo per un giorno nel cielo; ma inesperto, rischiò di incenerire la terra. Giove lo fulminò facendolo precipitare nel Po. Le sorelle lo piansero così dolorosamente che Giove, impietositosi, le trasformò in pioppi. È il mito dal quale si fa risalire la leggenda del tremolio dei pioppi, e in particolare del (Populus tremula), il pioppo tremolo (in dialetto bredol), dalla corteccia liscia e dal colore bianca chiara grigio- so sono disposti in lunghi amenti; l’impollinazione avviene per opera del vento (anemofila) dando origine, sulle piante femminili, a delle infruttescenze che alla fine si trasformano in ciuffi di pelo bianchi cotonosi che facilitano la loro dispersione nel l’aria. Anche per questo oggi i pioppi non sono graditi in città e nei giardini ove questi batuffoli candidi si insinuano persino nelle case. ELISABETTA DAL COL TERRITORIO verde, e soprattutto dalle foglie ovate percorse da un brivido costante: il loro lungo picciolo appiattito perpendicolarmente rispetto alla lamina fogliare le fa tremare a un lievissimo soffio di vento o a un’inavvertita frescura di un ruscello. Per la sua eleganza il tremolo viene spesso piantato nei giardini dimenticando che è sì pianta eliofila ma che, vivendo spontaneamente in ambienti freschi, richiede terreni ricchi di umidità. Nella nostra tradizione popolare – a causa del tremolio delle foglie, comune in quasi tutte le specie – il pioppo porta con sé una vena di malinconica serietà che non lo ha mai reso particolarmente bene accetto al genere umano. Ogni pioppo è soltanto maschile o femminile e le talee derivate da ciascun esemplare assumono il sesso dell’albero da cui provengono. I fiori dell’uno e dell’altro ses- TERRITORIO LA FONTANA A CIANO DEL MONTELLO TRA FASCINO E MISTERO del Buoro 16 INSIEME CON FIDUCIA L’acqua oltre a racchiudere in se la preziosità di un elemento indispensabile alla vita, esercita anche un fascino ancestrale. La Fontana del Buoro, una oramai esigua sorgente a Ciano del Montello, ubicata suggestivamente in un anfratto roccioso del Montello che si affaccia sul torrente Nasson a pochi metri dalla sua confluenza con il Piave, è ritenuta fin dall’antichità una fonte «magica». Leggende e miti hanno caratterizzato quest’angolo di territorio come nessun altro nell’area montelliana, non solo per la presenza di questa polla d’acqua sorgiva, ma anche perché le pareti rocciose alle sue spalle ospitano diverse cavità carsiche. La concomitanza di grotte e acqua ne fanno quindi un luogo unico, ricordato anche dallo scrittore Gian Domenico Mazzocato nel suo romanzo Il bosco veneziano. Doveroso è però riconoscere che le pagine più belle, scritte su questa sorgente incantata, sono da attribuire al prof. Antonio Paolillo, direttore del Museo di Storia naturale di Crocetta del Montello, che in una approfondita ricerca sul territorio montelliano ha saputo ricostruire trascorsi e racconti legati al Buoro di Ciano. «Il nome di questa cavità ipogea ci riporta all’epoca romana quando Ciane, la ninfa del Buoro di Ciano, viene considerata una fata delle grotte montelliane – scrive il professore Paolillo, nella sua ineccepibile ricerca –. Questo personaggio leggendario è identificabile in quella ninfa delle fonti che nella mitologia classica cercò di impedire al dio degli inferi Plutone il ratto di Proserpina, e questo per vendicarsi la trasformò in fonte. Le origini di questa leggenda, legata al mondo classico potrebbero trovare conferma nei ritrovamenti di vestigia romane nel terrazzamento alluvionale immediatamente sovrastante. Sempre in relazione ai culti della terra e della fertilità nel Medioevo il luogo viene dedicato a San Mamerto protettore e patrono ( Acqua e vita legate da storie e leggende locali dei raccolti, nonché ecclesiastico francese del V secolo. Nominato arcivescovo di Vienna, egli fu molto probabilmente il primo a far uso delle rogazioni riprendendo le vecchie abitudini pagane che esaltavano le processioni del popolo salmodiante. Anche per la grotta del Buoro e per la chiesetta sovrastante dedicata a San Mamerto si è continuato, e in qualche modo si continua tutt’oggi, quella forma spontanea di sincretismo religioso che si è generata in una mirata convivenza dell’antico culto pagano con il cristianesimo; anche qui come in molte parti del mondo, in concomitanza con le sovrapposizioni religiose, vediamo come a livello popolare si cambiano le immagini e il significato ma non i valori e la significante che queste rappresentano. Ed è su questa tendenza che le attuali credenze locali oggi vorrebbero sostituire la Madonna al mito della vecchia ninfa, che ancora vive nella tradizione popolare». Le gente della zona ha attribuito proprietà miracolose all’acqua del Buoro, legate alla leggenda dell’apparizione di una figura femminile, per alcuni una ninfa per altri la Madonna, che dissuase tre individui dal loro intento di danneggiare la sorgente. L’intervento della misteriosa fanciulla, racconta il mito cianese, tramutò magicamente l’acqua da torbida in cristallina, ma soprattutto diede le sembianze di animali ai tre manigoldi, forse dei lupi come raffigurato nell’antico «capitel dei lovi», eretto poco lontano e di cui purtroppo non rimangono che delle rovine. Pare probabile che la figura femminile legata alla sorgente abbia potuto ispirare anche la credenza secondo cui le puerpere che bevono l’acqua ne ricevano il beneficio di aver sempre latte abbondante per i loro pargoli. Fino agli anni Settanta le proprietà della fonte hanno scaturito dei veri e propri pellegrinaggi da parte di persone provenienti anche dalle province vicine, che giungevano a Ciano del Montello muniti di bottiglie e damigiane per attingerne l’acqua miracolosa, pratica cessata intorno ai primi anni Ottanta quanto la polla è andata progressivamente esaurendosi, divenendo, in periodi di magra, TERRITORIO una esigua pozza. La presenza umana nella zona è testimoniata da ritrovamenti preistorici significativi, nei campi attorno alla chiesa di Santa Mama, edificata sul terrazzo roccioso che sovrasta la sorgente. «I materiali sono stati raccolti tutti in superficie dopo le arature autunnali e primaverili: si tratta di una discreta quantità di prodotti della scheggiatura, tra i quali prevalgono nettamente alcune forme laminari; oltre a queste sono stati trovati anche dieci nuclei e sessantatre strumenti, oggi esposti al Museo di Storia naturale di Crocetta del Montello – spiega il prof. Paolillo –. Escluso un manufatto, tutti gli altri sono attribuibili ad un insieme omogeneo, della fase recente del Mesolitico IL PROGETTO Castelnoviano, che testimonia una presenza umana tra gli otto e i dieci mila anni or sono». Il fascino che esercita il Buoro di Ciano del Montello si perde quindi nella notte dei tempi e nonostante l’acqua non zampilli più copiosa come un tempo, permane immutato il suo alone di magia. INGRID FELTRIN SULLA NOSTRA PEDEMONTANA salva rospi I rospi non sono certo tra le creature del regno animale più apprezzate. Viscidi al tatto e poco gradevoli d’aspetto, non si sono conquistati una particolare simpatia, non a caso nelle fiabe rappresentano l’inevitabile che rende loro le sembianze originarie con un fatidico bacio. A dispetto di leggende e sensibilità estetica il rospo comune (il suo nome scientifico è Bufo bufo) è una creatura inoffensiva che in natura ha un ruolo importante per l’equilibrio dell’ecosistema ma purtroppo la sua sopravvivenza, al pari di altri anfibi, è minata dall’antropizzazione. Nel mese di marzo il rospo comune migra, dopo il lungo letargo invernale, verso gli stagni per riprodursi: la femmina, di dimensioni maggiori, lungo il tragitto, carica sul dorso il maschio, compiendo insieme il percorso che li separa al luogo dell’accoppiamento. Il Bufo bufo è un anfibio attivo di notte, pertanto è con il buio che intraprende il suo viaggio irto di insidie: i corridoi di migrazione, infatti, sono individuati grazie all’istinto di questa creatura che certo non può tenere conto della presenza di strade solcate dai veicoli impietosi. Il cammino che separa il rospo dall’assicurarsi una discendenza, in molti casi lo porta alla morte, schiacciato dalle auto mentre inconsapevole attraversa le strade. Le zone di migrazione più importanti in provincia di Treviso sono quella dei Laghi di Revine e del Montello dove sulla strada panoramica che da Crocetta porta a Nervesa ogni primavera potrebbe verificarsi un ecatombe di queste creature se non fosse per i volontari della campagna «Salva ro- < In pochi anni salvati migliaia di rospi < spi». Il progetto di salvaguardia è stato predisposto da alcuni anni grazie all’impegno di organizzazioni quali la L.A.C. (Lega Abolizione Caccia), U.N.A. (Uomo Natura Animali), ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali) e altre associazioni, nonchè con il contributo di moltissimi cittadini. In pochi anni sono stati salvati decine di migliaia di esemplari, non poco se si pensa che una femmina depone 10.000 uova: il progetto quindi preserva dal l’estin zione questi anfibi. Ma quali sono le modalità adottate dai volontari «Salva rospi»? All’imbrunire gli angeli del Bufo bufo armati di guanti, un secchio contenete un po’ d’acqua ed una torcia elettrica, raggiungono le zone di migrazione e con attenzione controllano i lati della strada, raccogliendo rospi prima che balzino sull’asfalto andando incontro a morte certa. Il lavoro è incessante perché in alcune sere c’è da affrontare una vera e propria moltitudine di creature gracidanti e saltellanti, che con determinazione vogliono raggiungere il luogo dove riprodursi ma nel tempo la tecnica di recupero e rilascio dei rospi, trasportati nei secchi sul lato opposto della strada, si è andata affinando. Non va poi sottovalutato il fatto che oramai la sensibilità verso i temi ambientali è par- ticolarmente diffusa e quindi sono numerosi coloro che si offrono volontari per questo compito. In alcune zone per facilitare le operazioni sono state poste delle protezioni (basse reti in plastica) sul ciglio della strada, per meglio controllare il fenomeno; sul Montello è stato realizzato un tunnel di attraversamento per anfibi e piccoli animali, denominato «rospidotto». Accorgimenti sempre più rigorosi assicurano inoltre l’incolumità dei volontari che viceversa rischierebbero di essere travolti dalla auto visto che le operazioni si svolgono di notte in zone spesso sprovviste di illuminazione pubblica, come il Montello dove a beneficiare della sensibilità degli attivisti di L.A.C., U.N.A. ed ENPA spesso sono anche le rane, i rospi smeraldini, le raganelle ed i ricci, grazie ai presidi faunistici garantiti dal progetto «Salva rospi». I dati raccolti dalla associazioni inducono a ritenere che la migrazione delle due località trevigiane sia la più numericamente importante dell’intero Veneto. Nel dettaglio va detto che il Montello è diviso in due zone. La prima interessa la strada panoramica e da località Zotta a S. Margherita arriva alle Prese XIV e XV (per circa 12 chilometri). La seconda riguarda la strada Dorsale del Montello, tra le Prese XVIII e XIX, nonché il tratto terminale della Presa XVII (circa 7.500 metri) e qui i rospi si muovono in direzione concentrica verso uno stagno tra la Dorsale e le Prese XIV e XV, mentre per la Panoramica vanno in direzione nord, verso il Piave. I Laghi di Revine sono interessati dalla migrazione nel tratto compreso tra l’inizio dell’abitato di Revine Lago e Soller, insieme alla zona che va da Colmaggiore fino all’innesco con la S.P. 35 (7.500 metri complessivi): qui la direzione della migrazione è concentrica verso i due laghi nella parte est e, verso il canale Tajada, in quella ovest. I rospi non saranno teneri come un cerbiatto o leggiadri come una farfalla, ma non per questo meritano di essere sterminati sulle strade, dopo tutto chiedono solo un po’ di tolleranza e di attenzione a chi guida in limitate zone geografiche, per pochi giorni all’anno. INGRID FELTRIN INSIEME CON FIDUCIA 19 TERRITORIO IL GEMELLAGGIO con Petritoli VIDOR NON HA DIMENTICATO IL PAESINO MARCHIGIANO CHE NEL 1918 OSPITÒ I PROFUGHI VIDORESI 20 INSIEME CON FIDUCIA «Gli amici si vedono nel momento del bisogno», recita un adagio popolare che sembra coniato per la bella storia che vede protagoniste due comunità: la trevigiana Vidor e Petritoli, cittadina marchigiana in provincia di Ascoli Piceno, che nel corso di novant’anni hanno coltivato un’amicizia scaturita da un momento di grande sofferenza. Nel 1918 i vidoresi, trovatisi nell’occhio del ciclone della Prima Guerra Mondiale, furono costretti ad abbandonare le loro case: una scelta dolorosa ma inevitabile dopo che il 10 novembre 1917 il paese venne occupato dai soldati tedeschi della XIV Armata del Generale Otto Von Bellow. Un centinaio di persone partirono per le Marche, grazie all’aiuto del maresciallo Chiodaro, comandante della stazione dei carabinieri di Petritoli, originario di Vidor. Nonostante le ristrettezze della guerra, i profughi furono accolti con grande generosità e nel corso di questa permanenza il paese amico divenne sede provvisoria dell’Amministrazione comunale di Vidor, sotto la guida del Commissario prefettizio Giacinto Dal Molin. Nel corso dei decenni diverse famiglie vidoresi mantennero i rapporti con gli amici di Petritoli, ma a li- vello istituzionale il legame s’interruppe per molto tempo, da prima per le incombenze della ricostruzione post bellica, e poi perché il ricordo di quei giorni, legato ad un momento particolarmente drammatico, era stato progressivamente rimosso da molti. Nel 2002 la pubblicazione del volume La comunità di Petritoli nella prima metà del Novecento, scritto dal professor Giuseppe Colasanti, ridestò l’interesse degli enti locali per il legame intrecciato tra le due comunità nel corso della Grande Guerra. Gli amici di un tempo non c’erano più ma i loro figli ed i nipoti nel luglio 2003 si sono incontrati per non dimenticare, riscoprendo un legame antico e profondo, tant’è che nel maggio 2004 a Petritoli e poi nel settembre successivo a Vidor, è stato celebrato ufficialmente il gemellaggio tra i due paesi. Ogni anno l’amicizia viene rinnovata con degli scambi culturali, l’ultimo in occasione del Palio Assalto al Castello a Vidor. INGRID FELTRIN UNA FESTA NEL NOME DEI MORTI. TERRITORIO RITO ANTICHISSIMO E PAGANO DIVENUTO UNA FESTA MONDIALE ECCO DI NUOVO Halloween Anche da noi ha ormai preso piede Halloween, festa americana celebrata nella notte di Ognissanti, divenuta occasione per passare in allegria, quasi fosse carnevale, una nottata che invece nelle origini era attesa con angoscia e nella quale si esercitavano una serie di rituali per esorcizzare la paura della morte. La notte di Halloween, antica festa celtica, è l’ultima tra quelle che la globalizzazione ha imposto alla società odierna come una merce da consumarsi in un contesto moderno e privo del suo antico vero significato. Oggi infatti, da internet alle pubblicazioni editoriali, dalle zucche con il lumino alle riunioni conviviali con le ragazze vestite da streghe, la modernità non fa altro che recuperare un mito – quello del culto dei morti – riproponendolo in un tripudio beffardo e quasi gioioso e «mettendo in scena lo spettacolo della morte deridendola con ogni sorta di scherzo»; un mito – quello del culto dei morti – che per altri versi e con altre forme era già presente nella nostra coltura popolare, ma che da tempo era caduto in disuso con la scomparsa della civiltà contadina e delle tradizioni ad essa legate. Sbagliano pertanto coloro che pensano che Halloween sia soltanto una moda proveniente da oltre oceano, una festa tratta dal folklore americano e pertanto estranea alla nostra cultura e tradizione. Estranea semmai è la sua figurazione moderna, questa voglia dei giovani di divertirsi che va al di là della timorosa pietà con la quale i nostri vecchi aspettavano la notte dei morti. Ma del resto anche in America, la festa di Halloween ha perduto il suo antico significato e se escludiamo alcune località del Minnesota e del Massachusetts – dove i roghi delle streghe furono una triste realtà e dove è ancora vivo il significato originario della festa – per il resto del paese Halloween rimane solo un grosso business commerciale che suscita tutt’al più qualche brivido di nostalgia nelle persone anziane. Nella nostra tradizione, in quell’Italia contadina ormai scomparsa, il ricordo dei morti non era propriamente una festa, ma un sentimento che a scadenza definita faceva tornare una turba di anime migranti. Ci si chiudeva in casa la sera del TERRITORIO primo novembre, si banchettava aspettando il ritorno dei morti che nella notte sarebbero passati a visitare luoghi a loro cari. Per l’occasione di imbandiva la tavola di dolcetti fatti di miele e di mandorle (le favette, gli ossetti dei morti) e il mattino seguente si preparava la minestra di fave per il pranzo. E così per secoli, rispettando quella tradizione che proveniva da una cultura antichissima, risalente all’età romana o anche più in là, come appunto quella di Halloween, festa pagana diffusa tra le popolazioni del Nord europeo a partire dal 4000 avanti Cristo. Essa era legata in modo particolare alle celebrazioni del capodanno dei Celti il 31 ottobre; nella notte in cui moriva l’estate si credeva che fate ed elfi uscissero dei boschi e si divertissero a prendersi gioco degli uomini. Fu papa Gregorio III (V secolo d.C.) che, nell’intento di sopprimere questa tradizione pagana, fece coincidere la festa di Ognissanti, che allora si celebrava il 13 maggio, con il capodanno celtico spostandola al primo di novembre. Ma Halloween riuscì a sopravvivere ed esportata negli Stati Uniti divenne di moda durante l’Ottocento finendo con l’assumere nel secolo scorso lo spirito provocatorio di «notte del diavolo» o «degli scherzi». Nel dopoguerra si ebbe il boom della festa con le maschere, i dolci, i gadget e Halloween diventava la festa dei bambini e delle zucche, un fenomeno mediatico che oggi contagia il mondo intero. Ma anche così cambiata, Halloween o festa di Ognissanti «continua nel suo intreccio tra paganesimo, cristianesimo e consumismo a commemorare i morti, a stabilire con loro una distanza insieme ludica e affettuosa. Naturalmente lo fa a suo modo, nelle forme contaminate del presente, nel linguaggio della società dell’immagine». (A.P.) UN PERSONAGGIO SIMBOLO INCONTRO CON Marzio Bruseghin Grazie alla collaborazione di Roberto Casagrande, responsabile della filiale di Orsago, e la complicità della sorella Sabrina, siamo riusciti a far due chiacchiere con Marzio Bruseghin, in questi giorni impegnato in Spagna perché, oltre al Giro d’Italia, al Tour de France, all’Olimpiade, è presente anche alla Vuelta con nel cuore la speranza di far bene anche al prossimo Mondiale. Per noi della pedemontana trevigiana, in particolare, ma non solo, Bruseghin da atleta con grosse capacità è divenuto un mito, un personaggio che, nella sua umiltà, senso di solidarietà, spirito di sacrificio, rappresenta, e questo ci inorgoglisce, il successo di un territorio che anche nei momenti speciali non cambia stile. Prima delle domande (al telefono non si può tirarla per le lunghe anche perché per lui è uno stress) conosciamo quest’atleta che, tra l’altro, è anche Socio di Banca della Marca, uno che per la sua onestà e semplicità ben rappresenta gli ideali della cooperazione. Marzio, 34 anni, felicemente in- < Modestia e lavoro di un campione legato alla propria terra < namorato di Alessia, è professionista dal 1997. Ha esordito e corso per due anni con la Brescialat, nel 1999 ha preso la valigia ed è andato in Spagna ed ha gareggiato con la Banesto. Nel 2003 è rientrato in Italia, ha passato tre anni con la Fassa Bortolo e dal 2006 porta i colori della Lampre. Tre sono le vittorie individuali più una gara a cronosquadre e quest’anno il terzo posto assoluto al Giro d’Italia. Vive a Piadera, in Comune di Vit- torio Veneto – ma è originario di Santa Apollonia – comune di Cappella Maggiore, e conduce con la sorella Sabrina l’azienda agricola San Maman, di proprietà, specializzata nella produzione di Prosecco – 12 mila bottiglie quest’anno, che esporta. Nelle sue lunghe assenze è proprio la sorella Sabrina assieme al papà Corrado che, rimboccandosi le maniche, permettono a Marzio di correre sereno, perché a casa il trattore non rimane fermo ed i suoi 24 asini possono pascolare tranquilli. È un appassionato cacciatore, attivo nelle zone della sua montagna, il Pian de le Femene, che raggiunge spesso a piedi di buon mattino per fare allenamento e per godersi gli splendidi panorami, il profumo del bosco, della resina, la gioia di un panino e di un’ombra prima della battuta. Dopo i primi convenevoli d’obbligo, la prima domanda: Cosa è cambiato dopo il successo, splendido, di quest’anno? «Ero e sono un uomo sereno, che non chiede niente e non ha bi sogno di niente. Ho vissuto momenti di sogno. Il podio a Milano, la partecipazione all’Olimpiade è stata un qualcosa di straordinario, una magia unica. Forse nemmeno la mamma ha mai sperato tanto. Un po’ di orgoglio mi è rimasto senz’altro perché in questi momenti magici mi è parso di rappresentare la ri- massaggiatori e tiravo avanti perché anche loro avevano alle spalle una famiglia, un futuro da migliorare. Se questa è solidarietà, allora si, hai letto bene». Spesso il mondo del ciclismo è sotto la lente di ingrandimento per i cattivi esempi che derivano da qualche atleta…. «L’onestà, per me, è la prima cosa. La sfida non deve essere mai contro l’avversario ma contro te stesso. Io non ho un medico, se non quello di famiglia, non ho un preparatore, non ho la Ferrari e nemmeno paradisi fiscali. Ho la fortuna di fare quello che desideravo sin da bambino: il contadino-corridore. Tutto il resto è un mondo lontano che non mi appartiene». vincita dei normali. Dopo l’inevitabile euforia, però, sono ritornato me stesso, l’amico del bar. Io, in corsa o su un trattore non cambio». 24 INSIEME CON FIDUCIA È vero? Basta fare il capitano? «Quest’anno è stata la prima e l’ultima volta. Da gregario mi sono sentito sempre più libero e, come si sa, la libertà non ha prezzo». sbagliarmi, la genuinità e la concretezza, viviamo in una società esasperata e consumistica. È la mia indole che mi spinge ad aiutare una persona che sta in difficoltà, apprezzare un abbraccio sincero, assaporare un bicchiere di vino in compagnia, sentirmi in pace con me stesso. Questi valori li ho ricevuti in dono dalla mia famiglia e sono sicuramente frutto della mia terra». Hai fatto, per così dire, l’emigrante, dimostri impegno e in gara non risparmi energie, pur nel successo hai mantenuto il tuo stile semplice di sempre, non ti pare di rappresentare, veramente e in modo degno, la nostra terra? «Oltre alla bicicletta ci sono tanti altri valori importanti, la televisione ci porta a perdere, spero di Nella fatica mi pare di aver letto anche tanta solidarietà, sono fuori strada? «Ad esempio quest’anno al Giro d’Italia, con l’impegno verso la squadra a gestire la classifica generale, ogni volta che dentro di me dicevo, basta, non ce la faccio più, mi veniva in mente uno dei miei compagni, uno dei nostri tecnici, dei meccanici, dei Hai nostalgia di Saro, il tuo cane, e degli asini? «Sono animali, sensibili ed intuitivi, da loro c’è da imparare. Ho nostalgia dei miei spazi, dei miei silenzi, della mia terra, dei miei amici veri e di chi mi vuole bene, quella si ed a volte anche parecchio». Il tempo è passato veloce, domande da fare ce ne sono ancora tante, ma so che lo sto importunando e così lo saluto e chiudo con gli auguri ed una promessa, un bicchiere di «Amets», il suo prosecco, in sua compagnia per poter apprezzare ancor di più un uomo che, nonostante il successo, è rimasto con i piedi per terra, in grado di rappresentare la nostra gente che in silenzio sgobba. Grazie Marzio! M.M. TERRITORIO ATLETICA coi fiocchi Si è corso questa primavera a Prata di Pordenone la terza edizione della «Prata Corre», una manifestazione podistica non competitiva organizzata dal Gruppo Atletica Santarossa. Una corsa non competitiva in primavera di solito non è una grande notizia per il fatto che ormai questo tipo di manifestazioni pullulano un po’ ovunque; diventa invece una notizia se si scopre che la corsa richiama migliaia di partecipanti da tutta la provincia, e anche qualche concorrente dalla regione vicina. Come questo avvenga lo chiediamo al presidente della società la organizza, Aldo Sandrin che subito ci informa che «il successo dell’iniziativa sta nello spirito con il quale è sorta l’associazione, un gruppo di sportivi a cui piace svolgere l’attività nel mezzo della A PRATA DI PORDENONE UNA «SGAMBATA» DI PRIMAVERA NOTA IN TUTTA LA PROVINCIA natura. Sport e natura dunque, piacere e divertimento in una cornice di serenità e di amicizia». E la prova è proprio questa «sgambata» Prata Corre che si articola in tre distanze diverse, cinque, undici e ventuno chilometri, e che partendo dalla rinnovata piazza di Prata centro si snoda nel verde della campagna pratense, tornata per un giorno ad essere oggetto di attenzione particolare, ma anche di particolare attrazione per molti che non la conoscono. Ma è anche il mondo che circonda questa manifestazione ad attrarre i concorrenti: attrazioni musicali dal vivo, intervento della banda del paese con le majorettes e cantanti di buona levatura che allungano le occasioni della festa a Prata. E poi ancora, come da tradizione, i premi assegnati ai gruppi più numerosi, che completano una organizzazione che sotto la guida di Francesco Bresil non lascia nulla all’improvvisazione e che soddisfa le numerose presenze alla corsa. Come ci spiega il presidente, il Gruppo Atletica Santarossa comprende ottanta atleti che fanno podismo e che partecipano alle gare provinciali di Pordenone come in quelle di Venezia, Padova e Treviso. Qualche buon risultato è stato portato a casa, come alcuni ottimi piazzamenti nei campionati italiani di corsa piana e di montagna, risultati destinati ad essere migliorati. E questo, per un’associazione che ha solamente cinque anni di vita, rappresenta molto più di un felice avvio. INSIEME CON FIDUCIA 25 anziani I NOSTRI R A C C O N T A N O il bello DELLA VITA CONIUGALE Il matrimonio è quel lungo momento di vita in cui, passato il breve torpore della luna di miele, molti, uomini e donne, hanno sempre qualcosa da dire e ridire nei confronti del partner, spesso in modo critico. Questo contrasta e non intacca coloro che, inebriati dal profumo dei fiori d’arancio, si preparano al felice evento, ansiosi di arrivare quanto prima all’altare o davanti al sindaco. Tutti i fidanzati sono, infatti, convinti che per loro la vita matrimoniale sarà una cosa completamente diversa da quella che gli altri raccontano, e noi auguriamo loro di cuore che davvero sia così. Preso atto di come da sempre stanno le cose, è palese che, comprese quelle che andiamo a scrivere, sono chiacchiere che nulla cambiano, da valutarsi per quel poco o niente che valgono perché ognuno ha la sua esperienza che è sempre diversa da quella degli altri. L’argomento di chi, tra on e fémena porta le braghe, in questo contesto, deve divenire solo un motivo per un sorriso e nulla più. Se così non fosse, chi può deve comportarsi come il tempo che è rimasto da sposare per fare quel che vuole. Molti affermano che sposati si sta bene, davvero bene però concludono convinti che da scapoli o nubili stavano meglio. È un esprimersi da giovinastri e lo dimostra il fatto che questo modo di dire scompare con l’età quando l’aiuto vicendevole diviene la forza per proseguire il cammino di coppia. La questione che più mette in difficoltà i coniugi è sempre quella di capire chi comanda. La saggezza antica, racchiusa nei proverbi, è controversa sulla questione di chi, tra marito e moglie, deve avere le redini in mano. Infatti, uno dice: inte la casa dei galantòmi, prima le fémene e dopo i omi, un secondo, di contro, sancisce: co inte ‘na casa la pita canta e ‘l gal tase, la fameja no me piase. Noi lasciamo ad ognuno lo sforzo di interpretarli al meglio e, magari, di tirare acqua al proprio molino. L’uomo, sul tema del «potere» in casa, sa fare la vittima, è sicuramente spudorato e non va per il sottile, molto probabilmente a causa di un maschilismo storico, radicato. Spesso lo fa in osteria quando la compagna muta del momento è l’onbra che non prende posizione e non difende la donna e così si sentono frasi del tipo: a casa mea paròn son mi … ma che comànda l’è la me fémena. Oppure tira le conclusioni alle quali arrivava il buon Toni, quando, partendo con l’enfasi del padrone e concludendo con l’umiltà del sottomesso, diceva alla moglie, al termine dei rari, inevitabili diverbi, (anca i piàt i se toca sul secèr): fin che son vivo mi, fémena, a casa mea... te comànda ti! Sono la palese confessione di un’effettiva debolezza, dell’incapacità di assumere decisioni e di fare le scelte giuste. Per una vita coniugale di reciproco rispetto e soddisfazione, è ovvio, le decisioni, almeno quelle importanti, devono essere assunte concordemente ma, molto spesso invece, è proprio il marito che delega la moglie. È questa una scelta libera, non discutibile, e che non può incrinare il rapporto di coppia. Effettivamente, quindi, molto spesso, le mogli sono costrette, loro malgrado, a prendere le redini del comando, quasi sempre però, è innegabile, con risultati positivi: le cose vanno bene, l’economia famigliare regge, i figli crescono sani, educati, rispettosi. Agli occhi di chi vuol sempre ficcare il naso negli affari degli altri, l’orgoglio maschile viene un po’ ferito, messo in un angolo, ma come in tutte le cose o si reagisce o si accetta. Non è onesto, da parte di questi mariti, quando la ciambella non riusce con il buco, dire alla consorte, anche con un po’ di mal celata soddisfazione: no comàndetu ti? È una storia vecchia come il mondo e ci sono sempre stati e ci sono tuttora coloro che vogliono a tutti i costi lamentarsi e brontolare, come il povero Ménego, un calzolaio che viveva qui in zona che definiva la moglie al maresciàl perché, secondo lui, in tutto e dappertutto lei imponeva il suo pensiero, dava ordini, comandava a spron battuto. Il Menego aveva preso un’ubriacatura il giorno del matrimonio e l’aveva mantenuta, salvo qualche breve e rara interruzione, per tutta la vita. La consorte era stata, quindi, costretta a governare la famiglia e certamente lo faceva con il polso necessario. Il Ménego aveva più volte cercato di reagire, di far valere il suo punto di vista, di avere almeno l’ultima parola. Lo faceva principalmente la sera quando rientrava dall’osteria, e come risultato si era ritrovato spesso l’indice puntato sulla porta con l’invito di ritornare lì da dov’era arrivato. Finalmente Ménego capì qual era la convenienza e con l’adorata metà, in tarda età, raggiunse un soddisfacente accordo ed acquisì il diritto dell’ultima parola. Che fu sempre la stessa: «obbedisco!». MARIO MENEGHETTI LA BATTAGLIA STORIA E ARTE di Fontanafredda 28 INSIEME CON FIDUCIA Il territorio di Fontanafredda fu, due secoli fa, al centro di una sto rica battaglia avvenuta nel quadro delle vicende napoleoniche. Fu evento storico di una certa importanza che qui ricordiamo riassumendo brevemente le fasi più salienti del drammatico conflitto. Approfittando delle difficoltà che l’esercito napoleonico francese incontrava in Spagna, il 10 aprile 1809 l’Austria dichiarava improvvisamente guerra alla Francia adducendo a pretesto alcune violazioni del precedente trattato di pace. L’attacco austriaco costrinse il viceré d’Italia Eugenio Beauharnais, comandante delle truppe italo francesi, a ritirare le sue divisioni sul Tagliamento sotto l’incalzare dell’esercito austriaco comandato dall’arciduca Giovanni d’Austria. Ritenuta poco adatta alla difesa la linea sul Tagliamento e temendo che il Cellina straripasse per le piogge impedendo i movimenti di una sua divisione, il Beauhar- nais si ritirò sulla linea del Livenza davanti a Sacile. La pressione nemica gli impedì di raggiungere il Piave dove da tempo erano stati approntati lavori di difesa e dove il viceré pensava di poter attaccare gli austriaci dopo essersi congiunto con la divisione Lamarque, mossasi da Verona. Nella giornata del 15 aprile il viceré dispose l’esercito in ordine di battaglia: alla sinistra dello schieramento, sulla linea Vigonovo-Fontanafredda pose la divisione Broussier (6000 uomini) con il supporto della cavalleria; al centro dello schieramento, davanti a Sacile, la divisione Grenier (6000 uomini); sulla sinistra le divisioni Sèras, Barbou, Severoli (complessivamente13.000 uomini) disposte tra Brugnera e Tamai avendo alla propria destra i terreni paludosi dei Camolli e alle spalle il ponte sul Livenza; il generale Berthier con due battaglioni e con artiglieria fu collocato alle sorgenti del Livenza per impedire che il nemico tentasse il guado. Dall’altra parte l’arciduca d’Austria, pose il centro dello schieramento davanti Pordenone (13000 uomini), con una riserva formata da 24000 uomini tra Torre e Cordenons; la destra dello schieramento sulla strada di Roveredo Ranzano (3600 uomini); la sinistra tra Palse e Talponedo (7200 uomini). Dagli schieramenti appare chiaro che l’arciduca si prestava a muovere un attacco frontale tenendo più debole la sua ala destra in modo da attirare i franco italiani verso la prateria dove la sua riserva, e soprattutto le sua cavalleria, avrebbero avuto buon gioco sulla fanteria nemica. Del tutto simile il piano del Beauharnais: inferiore per numero e quasi privo di cavalleria, egli ritenne opportuno puntare tutto sulla sua destra usufruendo di un terreno paludoso – pieno di valli, collinette, corsi d’acqua – dove la cavalleria nemica difficilmente avrebbe potuto muoversi con agilità. Egli concentrò pertanto i suoi sforzi “ Storico scontro nel 1809 tra francesi e austriaci nell’età napoleonica nella conquista di Porcia per costringere gli austriaci a ritirarsi a Pordenone dove, non avendo adeguati supporti di difesa, sarebbero stati costretti a indietreggiare fino al Tagliamento. La battaglia ebbe inizio la mattina del 16, una domenica di poco sole dopo tanta pioggia: gli italo francesi attaccarono il villaggio di Palse occupandolo; ricevuti in aiuto altri reparti riuscirono finalmente ad entrare in Porcia. Ma quasi subito, in contrattacco, gli austriaci ricacciavano i francesi a Palse. Non potendo rinunciare a Porcia, il viceré ordinava a Grenier (centro) di spostarsi verso Palse (in aiuto alla sinistra) senza perdere i contatti con Broussier (la destra) che, impegnato da reparti austriaci, era costretto ad „ assottigliare le proprie fila. Era la svolta decisiva della battaglia. L’arciduca Giovanni intuiva che Porcia non era un semplice diversivo ma l’obiettivo principale del Beauharnais: ordinava pertanto alla riserva di muoversi verso Vigonovo, attaccare tutta l’ala sinistra del nemico, occupare Sacile e i suoi ponti, prendere di fianco tutto l’esercito nemico e schiacciarlo nel triangolo tra i fiumi Livenza e Meduna. L’ultimo sanguinoso assalto a Porcia si svolgeva tra mezzogiorno e le tre del pomeriggio: uno scontro spaventoso all’insegna «di una terribile ferocia» consumata casa per casa; posizioni venivano prese e perdute riprese nel giro di pochissimo tempo; gli atti di eroismo e di valore furono numerosi sia da una parte che dall’altra. Nel frattempo Grenier (centro), sentendo tuonare i cannoni verso Porcia, si spostava sempre più verso sud (alla sinistra) facendo mancare a Broussier il sostegno fondamentale proprio quando stava sopraggiungendo da Vigonovo la cavalleria e la fanteria austriaca. Nel pomeriggio, agli occhi del viceré apparve, in tutta la sua drammaticità, il quadro dell’imminente disfatta: l’ala sinistra del suo schieramento stava per essere soverchiata da forze preponderanti; il centro si presentava vulnerabile avendo Grenier diviso le proprie forze per aiutare l’ala destra; questa, provata da estenuanti combattimenti non era più in grado di sostenere l’urto nemico. Incominciava di nuovo a piovere e il terreno, già impraticabile, diventava una palude; le prime oscurità della sera incutevano nei combattenti nuovi pericoli, altre disperazioni. Per evitare più tragiche conseguenze al viceré non rimaneva che ordinare la ritirata, che avvenne con grande disordine e ulteriore perdite umane. Beauharnais si assestò il 26 aprile sull’Adige riordinando l’esercito; altrettanto fece l’arciduca il 28 aprile; ma in seguito alle vittorie ottenute da Napoleone in Austria, l’arciduca fu costretto subito a retrocedere verso il confine austriaco, accettando tuttavia il combattimento con il nemico «ogni qual volta l’onore e la sicurezza dell’esercito lo avessero imposto». La battaglia – detta di Fontanafredda dagli austriaci o di Sacile per i francesi – costò ai franco italiani perdite gravissime: i morti vennero sepolti in fosse comuni scavate in diverse località di Palse, Porcia, Fontanafredda dalla gente del luogo. (N.R.) STORIA E ARTE IN UNO STUDIO DI ANTONIO CAUZ RACCOLTI EPISODI TRA IL ’500 E ’600 L’Inquisizione A ORSAGO E A CORDIGNANO 30 INSIEME CON FIDUCIA Questo nuovo lavoro di Antonio Cauz, (Trasgressione e devozione. Orsago e Cordignano nei processi dell’Inquisizione udinese, 15571798), Vittorio Veneto, Circolo culturale «Don Giuseppe Zago» di Orsago, De Bastiani editore, 2008) frutto come sempre di una rigorosa ricognizione sui documenti e caratterizzato dalla chiarezza delle analisi, dall’equilibrio dei giudizi e anche da una buona vivacità narrativa, ci permette di capire le significative relazioni tra i grandi eventi storici, in questo caso la storia religiosa europea del ’500’600, e la vita della gente comune anche dei piccoli paesi. Anzi, la prospettiva limitata, locale, da cui quegli eventi sono osservati ne consente una descrizione concretissima e illuminante. Com’è noto, verso la metà del ’500 la Chiesa cattolica reagì con energia e intransigenza alla grande crisi religiosa prodotta dalla Riforma protestante; tra le varie misure adottate, anche l’istituzione di una Congregazione unica e permanente, l’Inquisizione o Santo Uffizio, che aveva il compito di intervenire capillarmente ovunque giudicasse la fede in pericolo, istruendo tutti i processi ritenuti necessari. Negli stessi anni fu istituita la congregazione dell’Indice, incaricata di fissare l’elenco dei libri proibiti. Orsago e Cordignano facevano parte allora della diocesi di Udine e l’Archivio diocesano udinese conserva, tra i moltissimi documenti relativi a quel periodo, anche gli atti processuali che coinvolgono alcuni abitanti dei due paesi. I capi d’imputazione “ Momenti della nostra storia finora del tutto sconosciuti „ sono quanto mai vari: detenzione di libri proibiti, magia e disprezzo dei Sacramenti, culto del demonio, irriverenza, sortilegio e magia amorosa, uso di cibi proibiti, stregoneria, espressioni teologicamente erronee, sollecitazione in confessione. L’interesse che quei documenti suscitano in noi è molteplice: da un lato possiamo conoscere forme e strumenti con cui la Chiesa, spesso in accordo con l’autorità politica, esercitava la sua opera di controllo e di eventuale repressione delle posizioni potenzialmente eretiche; dall’altro, ed è l’aspetto più importante, ci viene ricostruito un quadro variegato delle credenze religiose e della pietà popolare della nostra gente. L’autore passa agevolmente dalla storia all’antropologia e descrive costumi e forme di vita le cui matrici sono probabilmente precristiane; si tratta di atteggiamenti di fronte all’ignoto e al male, di pratiche superstiziose e di paure di lunga durata, tanto che possiamo rinvenirle, mascherate di falsa modernità, anche nel nostro tempo. Va detto che la Chiesa della Controriforma non usò il pugno di ferro, non volle estirpare con la forza le forme e le credenze della devozione popolare, ma cercò di assecondarle e di ricondurle nell’alveo della dottrina cristiana. Il dato emerge anche nella seconda parte del libro: rielaborando un capitolo delle sue Notizie storiche su Cordignano, Cauz ricostruisce un episodio della storia religiosa locale del ’600, ossia il culto della Madonna del Carmine di Ponte della Muda. La chiesa tollerò inizialmente il fenomeno, intervenendo solo quando assunse un carattere «concorrenziale» e pericoloso per l’autorità costituita. I casi sottoposti al giudizio degli inquisitori sono, come abbiamo detto, quanto mai vari: se l’episodio dei cinque contadini di Orsago, che nel luglio del 1618 si presentarono in chiesa alla prima messa senza pantaloni, si può ridurre ad una giocosa trasgressione popolaresca (che però non fu perdonata), di altro significato e spessore sono le posizioni espresse da Domenico Sacconello, giovane notaio di Cordignano: vicino ad alcune idee dei Riformatori, era convinto che il rapporto tra l’uomo e Dio non dovesse passare necessariamente attraverso pratiche di culto come i digiuni o la confessione. Egli non si nascose, dichiarò apertamente le sue convinzioni e pagò questa franchezza con l’emarginazione sociale. Il merito principale del lavoro di Cauz, oltre naturalmente alla ricostruzione di momenti della nostra storia fino ad ora del tutto sconosciuti, sta nell’aver reso pienamente comprensibili anche ai lettori non specialisti quei fatti lontani, grazie al corredo di informazioni essenziali e di spiegazioni con cui le vicende vengono contestualizzate e ricondotte alle loro corrette dimensioni. SILVANO PICCOLI INSIEME CON FIDUCIA 31 STORIA E ARTE RICORDO DELLA GRANDE GUERRA UNA SCUOLA A PONTE PRIULA E A MANDRE DI SANTA LUCIA i bombardieri del Re 32 INSIEME CON FIDUCIA Il novantesimo anniversario della vittoria della Grande Guerra ripropone un ricordo della Scuola Bombardieri fondata nel 1915 a Ponte Priula di Susegana e a Mandre di Santa Lucia di Piave per addestrare 170.000 soldati all’uso della potente bombarda. La sede di Susegana era stata scelta dagli alti comandi militari perché offriva un nodo ferroviario che consentiva l’invio di armi e uomini sia sul fronte trentino che su quello isontino; inoltre nella campagna circostante era stato individuato uno spazio necessario per la creazione di un poligono di tiro con annessi alloggi e dormitori. In località Mandre, in una antica masserizia dei Collalto, fu invece creata la «Caserma Mandre» che funzionò come scuola ufficiali al fine di preparare degli istruttori per le reclute. Il comando della scuola era sistemato al castello San Salvatore, in Susegana, dove nel 1916 fu ospite il re Vittorio Emanuele e il cugino Amedeo di Savoia, duca d’Aosta. Spesso la scuola veniva visitata da commissioni e autorità militari di Francia e Belgio accompagnate dal generale Cadorna. I bombardieri erano soldati scelti dai reparti d’artiglieria per ricevere istruzioni sull’uso delle bombarde e delle relative cariche esplosive. Al termine dell’addestramento quadrimestrale venivano sostituiti con altri 34.000 nuovi soldati, divisi in batterie. Al poligono di tiro di Ponte Priula avvenivano le esercitazioni con bombarde di vari calibri, crescenti da 50 a 400. Quest’ultima, la più potente, pesava 12 tonnellate, poteva lanciare fino a oltre quattro chilometri una bomba da 2570 chilogrammi di alto esplosivo, provocando un cratere di circa venti metri. Il meccanismo per caricare la bomba nella bocca da fuoco correva su un binario decauville a scartamento ridotto. A cadenza quadrimestrale la Scuola bombardieri inviava diverse batterie complete di bombardieri ai vari fronti. La partenza per il fronte era salutata alla stazione di Susegana dalla banda militare: si per scongiurare la cattiva sorte. Le prestazioni dei bombardieri erano richiestissime per gli esiti risolutivi e distruttivi, specialmente delle siepi di filo spinato, fino ad allora vere trappole di morte per Lucia di Piave: Riccardo Granzotto che più tardi, come frate minore, sarà conosciuto col nome di Fra Claudio, fulgido esemplare di santità. La presenza «invasiva» della Scuola bombardieri mobilitò la vita di Susegana e di Santa Lucia e ne turbò la quiete rurale creando naturalmente problemi anche di ordine morale, ma stimolò anche il suo orgoglio. In occasione della Pasqua del 1916 il parroco di Santa Lucia mons, Vittorio Morando ottenne il permesso di assistere e preparare 80.000 soldati della Scuola bombardieri utilizzando il seicentesco oratorio di San Rocco, presente di fronte alla Caserma Mandre. Nell’ottobre del 1917, in seguito all’invasione nemica, la scuola fu obbligata al «forzato trasferimento» a Sassuolo di Modena, con appendici a Scandiano e a Pavullo, dove dal 15 di novembre si mantenne attiva fino al termine del conflitto. Alla partenza gli artificieri fecero saltare la scuola, il poligono e poi il ponte della Priula perché non potessero servire al nemico. INNOCENTE SOLIGON AL MUSEO DIOCESANO Elio Casagrande STORIA E ARTE i fanti; e diversi furono i riconoscimenti per il loro eroico servizio, svolto non senza sacrificio di vite umane. Tra le personalità che frequentarono la Scuola bombardieri si ricorda, tra altri, il capitano Emilio Bodrèro, divenuto successivamente Sottosegretario alla pubblica istruzione, vice presidente della Camera dei deputati e rettore dell’Università di studi di Padova; i futuristi Filippo Tommaso Marinetti e il giornalista Luciano Nicastro. A fabbricare le strutture della Scuola collaborò anche un muratore diciassettenne di Santa IL PITTORE DEI VESCOVI È stata recentemente presentata a Conegliano la monografia sull’opera del pittore vittoriese Elio Casagrande, stampata dalle Arti grafiche e curata dallo scrivente. Contemporaneamente al Museo diocesano di Vittorio Veneto sono state esposte una cinquantina di opere tra bozzetti di dipinti eseguiti nelle chiese, ritratti di vescovi della nostra diocesi e un autoritratto dell’artista. Monografia e mostra sono state rese possibili grazie alla disponibilità del moglie del pittore Francesca De Polo. Elio Casagrande, pittore e restauratore, è nato a San Giacomo di Veglia nel 1920 ed è morto a Vittorio Veneto nel 2004. Figlio d’arte, la sua prima formazione è avvenuta nella bottega del padre Vittorio (1883-1973), noto pittore e decoratore di tante chiese del Veneto orientale. Nel 1952 si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, sezione pittura «Cadorin», il grande maestro veneziano al quale era legato da rapporti di collaborazione e di stima reciproca. Nell’impianto figurativo ereditato da tali maestri, egli ha cercato di innestare il proprio amore per la cultura classica diventando uno dei pittori di temi sacri più noti del Veneto per la capacità di costruzione plastica, oltre alla libertà dell’uso del colore: lo dimostrano certi suoi monumentali af- MUTUALITÀ freschi come quelli delle parrocchiali di San Floriano (1953), di Santa Maria del Meschio (1953), di Navolè di Gorgo al Monticano (1956, 200 metri quadrati), di Ramera di Mareno di Piave (195758. 400 metri quadrati), di Fossà di San Donà di Piave (1961, 240 metri quadrati) e di Col San Martino in Comune di Farra di Soligo (1995). Particolarmente apprezzata la sua attività di ritrattista che gli ha valso l’epiteto di «pittore dei vescovi»: ben sette ritratti di vescovi della diocesi vittoriese oltre a quello di papa Giovanni Paolo II ornano oggi le stanze del Castello di San Martino. Nelle opere su tela si segnalano paesaggi, nature morte, composizioni di flora e fauna eseguite con grande maestria; tra i numerosi premi e riconoscimenti conseguiti si distingue la medaglia d’oro del Ministero del turismo e dello spettacolo alla mostra concorso nazionale di pittura «La caccia» di Belluno nel 1963. Membro di associazioni artistiche (UCAI di Venezia) e accademiche (Accademia Tiberina), con biografia presente in importanti volumi d’arte contemporanea, le sue opere figurano in collezioni pubbliche e private in Italia, Francia, Svizzera e America. Alla mostra allestita al Museo diocesano, oltre ai lavori già citati, erano esposte alcune tra le opere particolarmente significative della sua vasta produzione: un nudo femminile, tema più volte ripreso e risolto in immagini accattivanti nella loro essenzialità formale; il ritratto dell’amico scultore Carlo Conte in atto di modellare la testina del figlio Ezio, a evidenziare la sua intensa attività di ritrattista; una veduta di Piazza San Marco d Venezia, da cui traspare l’incanto per la struttura architettonica oltre che per i riflessi di luci dei mosaici; infine un vaso di fiori, in ricordo di tante fortunate esposizioni con soggetti di flora e fauna dipinti con maestria tecnica e qualità coloristiche tali da suscitare l’ammirazione dello stesso amico Pietro Annigoni. GIORGIO MIES ACCORDO TRA LA NOSTRA BANCA E IL CIT A BENEFICIO DEI PLESSI SCOLASTICI COMUNALI per lo sviluppo DEGLI IMPIANTI FOTOVOLTAICI 34 INSIEME CON FIDUCIA È noto che le sinergie tra pubblico e privato producono spesso frutti copiosi. Banca della Marca, convinta di poter dare un’opportunità alle comunità del suo territorio di competenza, ha stipulato un protocollo d’intesa innovativo con il Consorzio per i servizi di Igiene del Territorio (C.I.T.) l’Ente pubblico che coordina 44 Comuni nella gestione dei rifiuti. Il Consorzio C.I.T. si era posto da tempo l’obiettivo di collaborare con i Comuni nell’attivare la realizzazione di impianti che contribuiscano al risparmio energetico ed allo sviluppo eco-sostenibile delle fonti energetiche del territorio, quali l’installazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica nei plessi scolastici di proprietà dei Comuni consorziati. Interpellata per una collaborazione, Banca della Marca, sup- portata anche dell’esperienza acquisita al suo interno con l’installazione e l’avvio di impianti fotovoltaici presso la sede di Orsago e la filiale di Santa Lucia di Piave, ha deciso di porsi come partner per l’operazione. La decisione assunta dal Consiglio di Amministrazione trova indirizzo anche nello Statuto che impone alla Banca di perseguire l’obiettivo del miglioramento delle condizioni delle comunità locali ove “ Già installati pannelli alla scuola media «Grava» e agli asili di Conegliano „ opera. In data 3 aprile 2008 il presidente del Consorzio C.I.T., senatore Gianpaolo Vallardi, ed il presidente del Consiglio di amministrazione di Banca della Marca, Gianpiero Michielin, hanno sottoscritto un atto che regolamenta questa collaborazione. Nel documento è previsto che la Banca concede al C.I.T. un prestito dell’importo complessivo di un milione di euro. Il con- sorzio, con questa cifra e nel limite massimo di centomila euro per singolo finanziamento, potrà sostenere i Comuni consorziati che progetteranno l’installazione di impianti solari fotovoltaici per la produzione di energia elettrica nei plessi scolastici di loro proprietà. La durata del finanziamento è di 20 anni e le condizioni applicate sono estremamente vantaggiose. La concessione del prestito è subordinata al possesso dell’attestato di ammissione al contributo/incentivo rilasciato da GSE S.p.A. per il plesso scolastico oggetto di finanziamento. Con il perdurare delle ristrettezze dei bilanci comunali, causate dai sempre più ridotti trasferimenti governativi in atto da anni, l’accordo si presenta come una vera e innovativa opportunità che per- segue due obiettivi mirati: quello del contenimento dei costi e quello del risparmio energetico con scelte eco-compatibili. Certo, in tempi in cui si parla di un ritorno al nucleare, con il costo del greggio altalenante ma sempre tendente a valori elevati, con la difficoltà di sopperire alle carenze di energia attraverso fonti alternative, questa è stata una scelta avveduta e lungimirante che va sostenuta ed apprezzata. Ci auguriamo che le amministrazioni comunali, sempre attente alla salvaguardia del territorio, sfruttino questa collaborazione che, per quanto riguarda Banca della Marca, si aggiunge al continuo sostegno dato agli Enti locali ed al volontariato che caratterizza la dinamicità del nostro territorio. Premiata con il prestigioso «Marchio Famiglia » la Regione Veneto per le famiglie ha scelto Banca della Marca perché da dieci anni con Progetto Famiglia Banca della Marca si è distinta con iniziative e servizi specifici per la famiglia... Rivolgiti a «Sportello Famiglia» in qualsiasi filiale e trovi una risposta concreta... «Conto di famiglia» «Banca Marca Assicura» «Napoleone», il libretto di risparmio per bambini e ragazzi Servizi sanitari di base ed avanzati Mutuo casa Convenzioni e agevolazioni Finanziamenti per la famiglia Sviluppo di forme di aggregazione Gestione del risparmio Corsi di formazione