47
Periodico quadrimestrale
di informazione bancaria
e di cultura locale
della Banca della Marca
Credito Cooperativo
Società Cooperativa.
Poste Italiane spa · Spedizione in abbonamento postale, 70% · DCB TV.
Anno XVI · N. 47 · Settembre 2008
La famiglia
a Nordest
Il ’68 dopo
quarant’anni
Ritorna
Halloween
La battaglia
di Fontanafredda
L’ansia alimentare
Secondo una recente indagine del Censis, il cibo è causa
di ansia e paura a una buona parte degli italiani.
Difficile crederci, eppure «la paura alimentare» è fra
quelle che oggi attanagliano il mondo e gli italiani
sembrano soffrirne la loro parte. L’ansia che li opprime
ha cause diverse che si chiamano residui parassitari,
modificazioni genetiche, allevamenti di massa, qualità
dei mangimi usati negli allevamenti e, non ultimo,
la provenienza degli alimenti che andranno a comporre
il nostro piatto quotidiano. Inoltre le trascorse notizie
sulla mucca pazza e sulla influenza asiatica del pollo
hanno contribuito la loro parte nell’infondere l’idea che si
è toccato il fondo e che la natura si sta rivoltando.
Le nuove paure alimentari vanno dunque ad aggiungersi
a quella sempre presente negli italiani di ingrassare (sono
il 63 per cento della popolazione), altri nuovi timori che
li costringono a fare la spesa con molta cautela, prestando
attenzione al prezzo ma anche alle etichette che la legge
italiana ha reso obbligatorie su molti prodotti dei nostri
supermercati. La maggioranza dei consumatori (sono l’86
per cento) teme oggi che gli antiparassitari presenti nella
frutta e nella verdura possano ritrovarsi nel piatto sfuggiti
anche a un accurato lavaggio; il 77 per cento è
spaventato dai prodotti modificati e teme che questi
possano incidere sulla salute; il 74 per cento sono invece
preoccupati sia per la qualità degli alimenti propinati
agli animali negli allevamenti sia per le modalità con
le quali si allevano gli animali; infine il 39 per cento
degli italiani dichiara di acquistare prodotti di qualità in
quanto offrono maggior sicurezza contro le sofisticazioni.
Da queste paure gli italiani cercano di difendersi
tornando alla cucina di una volta e alle vecchie ricette di
famiglia, convinti in questo modo di esorcizzare le loro
paure e poter quindi continuare a mangiare bene
malgrado l’aumento dei prezzi. È questo un segnale
evidente che le loro paure sono innescate unicamente
dalla poca conoscenza del mondo alimentare del nostro
paese, nonché dalla cattiva informazione che tende a
spaventare più che a consigliare il consumatore.
Si possono capire le preoccupazioni per gli Omg ma
per quanto riguarda i pesticidi le leggi ci sono, vengono
applicate e i controlli non mancano.
Un cibo senza veleni è nel nostro paese un diritto
acquisito e garantito da tempo.
sommario
SOTTOVO C E
ANNO XVI · N. 47 · SETTEMBRE 2008
2
L’ansia alimentare
3
Espansione territoriale
4
Notizie in breve
7
Soci protagonisti di fiducia
8
Il ’68 dopo quarant’anni
10
La famiglia a Nordest
12
Nuova filiale a Fontanafredda
13
Le tremule foglie dei pioppi
16
La Fontana del Buoro
18
Il progetto salva rospi
20
Il gemellaggio con Petritoli
21
Ecco di nuovo Halloween
22
Incontro con Marzio Bruseghin
25
Atletica coi fiocchi
26
I nostri anziani raccontano
28
La battaglia di Fontanafredda
30
L’Inquisizione a Orsago e a Cordignano
32
I bombardieri del Re
33
Elio Casagrande il pittore dei vescovi
34
Per lo sviluppo degli impianti fotovoltaici
In copertina. Campanile della parrocchia Santa Maria Assunta di
Fontanafredda (foto di Silvio Vicenzi).
Foto. Archivio Banca della Marca, Silvio Vicenzi, Foto Viola,
Giorgio Mies, Norma Grafica.
Quadrimestrale di informazione bancaria e di cultura locale della Banca della Marca
Direzione e redazione
Via Garibaldi, 46 · 31010 Orsago/Tv
Progetto
Janna/Pn
Direttore responsabile
Angelo Roman
Stampa
Tipolitografia Carlet Giuseppe s.r.l.
Orsago/Tv
In redazione
Luciano Baratto, Claudio Bortolotto,
Adriano Ceolin, Piergiovanni Mariano,
Giuseppe Maset, Mario Meneghetti,
Gianpiero Michielin, Vittorio Janna,
Maurizio Valle, Gino Zanatta
Registrazione Tribunale
Treviso n. 911 del 27 maggio 1993
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Internet: www.bancadellamarca.it · e-mail: [email protected]
di Gianpiero Michielin, presidente
A fine luglio scorso Banca della Marca ha aperto
la nuova filiale di Fontanafredda ed entro il corrente
anno diverrà attivo lo sportello di Caneva, dove
attualmente sono in corso i lavori di ristrutturazione ed
adeguamento dei locali alle esigenze bancarie.
A Fontanafredda la nostra presenza è nella zona
centrale del paese, di facile accesso e con buoni spazi
di parcheggio, mentre a Caneva si è optato per
la piazza, vero cuore di un paese che ha frazioni con
profonde tradizioni e antiche parlate.
Entrambe le nuove aperture danno finalmente una
risposta alle forti attese del territorio che da tempo
reclamava la presenza dei nostri sportelli e dei nostri
servizi.
Qualche Socio della nostra cooperativa, forse ancora
ancorato al passato, recrimina che con l’espansione
degli sportelli si perde l’identità di Banca locale.
La realtà è completamente diversa ed il Consiglio di
Amministrazione della nostra Banca ha scelto di
continuare ad assicurare la nostra presenza nei paesi
ove mancava o era carente l’offerta del Credito
Cooperativo.
Abbiamo voluto far conoscere ed apprezzare un modo
diverso di fare Banca, una capacità di erogare
il servizio a portata d’uomo, in modo che il cliente si
senta a suo agio, attraverso collaboratori preparati che
si pongono a servizio della gente, delle famiglie, delle
imprese.
Espandere la nostra competenza territoriale non
significa solo ricercare nuovi spazi per consolidare
la nostra realtà, dare concretezza alla nostra
dinamicità e professionalità, significa anche dare
risposte concrete alle comunità del territorio, agli
organismi che le rappresentano, all’associazionismo ed
al volontariato che le caratterizzano.
Non ci sentiamo assolutamente i primi della classe e
dobbiamo continuamente migliorarci; ci sentiamo
invece orgogliosi di appartenere ad un movimento,
costituito dal oltre 400 Istituti di credito autonomi e
collegati in rete che, con la loro presenza e la loro
storia, hanno permesso in oltre un secolo di vita di
costruire una società più libera ed emancipata, di far
esplodere realtà come quella dell’ormai mitico
Nordest.
Il merito delle Banche di Credito Cooperativo,
un tempo chiamate Casse Rurali ed Artigiane, è stato
quello di saper porsi a fianco delle famiglie, degli
agricoltori, degli artigiani, dei piccoli e grandi
imprenditori come un fidato compagno di viaggio,
capace di aiutare nel momento del bisogno e di far
decollare un progetto se ritenuto valido e degno di
sostegno.
Estendere la nostra presenza non è quindi
abbandonare i valori ed i principi dei nostri fondatori,
di don Antonio Possamai in primis, ma di portarli
anche nelle Comunità contermini che possono vantare
con noi una omogeneità culturale, il terreno fertile per
far conoscere, crescere ed apprezzare quello che
proponiamo con la nostra presenza.
Nei programmi della Banca, per il prossimo futuro,
non c’è di certo quello di chiuderci a riccio, di tirare
egoisticamente i remi in barca, di fermarci. Uno degli
obiettivi del piano strategico è e rimane quello di
portare i nostri servizi e la nostra cultura in quei
territori che per identità di esperienze sociali e
culturali sono simili ai luoghi dove siamo sorti e
cresciuti, e pertanto possono apprezzare e condividere
l’esperienza oltremodo positiva della cooperazione.
Con chi condivide queste speranze, questi principi,
questi valori identificativi del nostro servizio, potremo
allargare la compagine sociale e dare alle Comunità
il nostro aiuto per un’ulteriore crescita e, ci auguriamo,
per garantire a tutti un futuro migliore.
Espansione territoriale
EDITORIALE
PRIMO PIANO
in
N OT I Z I E
BREVE
NORME DA CONOSCERE
DIRITTI DEL CONSUMATORE
Per autenticare la firma nei passaggi di proprietà di
un bene mobile, quali l’auto, il motorino, la barca,
ecc., non è più indispensabile rivolgersi ad un notaio
bensì è sufficiente andare presso il Comune o
un’agenzia di consulenza sede di uno sportello
telematico dell’automobilista. Lo fissa la Legge
4.8.2006, n. 248, art. 7. Salta anche l’autentica
notarile per l’estinzione dell’ipoteca sulla casa,
una volta estinto il mutuo con la banca.
È infatti un’incombenza dell’istituto di credito
comunicare, entro 30 giorni dall’avvenuta
estinzione, alla Conservatoria che provvederà
d’ufficio all’immediata cancellazione dell’iscrizione
ipotecaria, in base alla legge 2.4.2007, n. 40,
art. 13. Non rientrano in questi obblighi per
le banche le estinzioni di mutuo avvenute in passato
che soggiacciono alle precedenti norme.
Anche queste sono innovazioni che permettono
un’economia di tempo e dei risparmi a vantaggio,
in particolare, delle famiglie.
IL 25° ANNIVERSARIO
COOPERATIVA «INSIEME SI PUÒ»
4
INSIEME
CON FIDUCIA
In occasione della festa del 25° anniversario della
fondazione della Cooperativa «Insieme si può»,
istituita l’8 giugno 1983, Unindustria, tramite
il direttore Giuseppe Milan, ha consegnato alla
cooperativa una targa quale riconoscimento
del ruolo imprenditoriale e sociale che ha svolto e
che sta svolgendo. La festa, organizzata a Treviso
l’otto giugno scorso alla presenza di autorità civili
e religiose, ha avuto come momento culmine
l’intitolazione del Campus dell’educazione alla
cofondatrice dell’Università Cattolica Armida Borelli.
In occasione del discorso celebrativo Rina Biz,
presidente da 25 anni, ha annunciato di lasciare
la presidenza nelle mani di Anita Leuratti, che
da sempre è stata al suo fianco. Il mondo della
cooperazione si inchina per i risultati ottenuti
da «Insieme si può», una vera impresa moderna e
trasparente.
IN COMUNE DI ORSAGO
NUOVO ASILO NIDO
PARROCCHIALE
Nei mesi scorsi ha trovato conclusione il notevole
sforzo della Parrocchia di Orsago posto nel restauro
dell’asilo e nella creazione di un asilo nido.
Il complesso aveva bisogno di interventi urgenti per
la messa a norma e, confidando sulla generosità di
famiglie ed istituzioni, è stato realizzato un restauro
ed un adeguamento alle attuali normative che
ha richiesto un impegno economico davvero
importante. L’Asilo parrocchiale era stato avviato
oltre cento anni fa da don Antonio Possamai,
il lungimirante ed illuminato parroco che aveva
fondato nel 1895 la Cassa rurale di depositi e prestiti
San Benedetto di Orsago. La nostra Banca ha
sostenuto il progetto e generosamente ha anche
contribuito. Con l’apertura di questo nuovo Asilo
nido integrato, sono sedici i servizi per la prima
infanzia attivati dalle parrocchie della diocesi
vittoriese.
ALLA SEDE DI ORSAGO
IMPIANTO FOTOVOLTAICO
SULLA BANCA
È entrato in esercizio il 7 maggio 2008 l’impianto
fotovoltaico installato presso la sede di Orsago
della nostra Banca. L’impianto è costituito
da 84 moduli fotovoltaici al silicio policristallino e
da 3 inverter SMA SMC6000 ed ha una potenza
nominale di 18.48 Wp. La produzione annua
di energia è stimata in 20.000 kWh.
Rimane invece valida la norma che gli assegni emessi
all’ordine del traente possono essere incassati
unicamente dal traente stesso. Ulteriori informazioni
potranno essere acquisite dal personale della Banca
presso gli sportelli.
NOTE IN CANTINA A VAZZOLA
L’ORCHESTRA FILARMONIA
VENETA
I Solisti dell’Orchestra Filarmonia Veneta, diretti dal
maestro Stefano Romani, sono stati i protagonisti,
il 4 luglio scorso, della seconda edizione di «Note
in Cantina», concerto organizzato dall’Azienda
agricola Bonotto delle Tezze e dal Comune di
Vazzola. Sono state proposte, agli oltre cinquecento
appassionati presenti, musiche di Dvorak, Strauss e
Gounod, eseguite in un ambiente adatto, il cortile
della tenuta Bonotto, con una maestria e
professionalità di alto livello. Questo appuntamento
è stato possibile grazie ad una fattiva collaborazione
tra pubblico e imprenditoria privata per raggiungere
l’importante obiettivo di diffondere la cultura della
musica e quella del vino. Alla serata, oltre al Sindaco
di Vazzola Maurizio Bonotto ed all’Assessore alla
cultura, erano presenti il nostro Direttore generale
Giuseppe Maset ed il responsabile della filiale di
Tezze Roberto De Carlo. Banca della Marca ha
sostenuto l’iniziativa, realizzata nell’ambito
dell’accordo di programma tra la Regione Veneto e
la Provincia di Treviso, a fianco dell’Azienda agricola
Bonotto delle Tezze ed all’Amministrazione
comunale di Vazzola.
MARCA SOLIDALE
FESTA DEL SOCIO
Ha avuto luogo domenica 22 giugno presso
il Palaingresso della Fiera di Godega S.U.,
la prima assemblea della Società di
Mutuo Soccorso «Marca Solidale» e
la festa del Socio. La partecipazione è
stata oltre la migliore attesa con circa
duecento Soci presenti.
La manifestazione è stata arricchita da
un incontro sul tema «Salute e stili di
vita» dove sono intervenuti i dirigenti
dell’ULSS 7 dott. Sandro Cinquetti, Direttore
sanitario, la dott.ssa Paola Paludetti, Direttore
socio sanitario del Distretto sud
e la dott.ssa Tiziana Menegon Direttore del Servizio
igiene e sanità pubblica. Il tema è stato trattato con
l’attenzione che merita e da tutti e tre i dirigenti
dell’ULSS è arrivato un forte plauso alle iniziative
di Banca della Marca a sostegno della famiglia
e delle fasce più deboli della popolazione locale.
Il Presidente Adriano Ceolin, oltre a relazionare
sul primo bilancio e sui programmi di breve periodo,
ha reso noto i dati della presenza dei Soci sul
territorio ed il numero delle adesioni che già
si avvicinano a circa 1700 Soci. Hanno presenziato
il Sindaco di Godega S.U. Bonet, il Presidente di
Banca della Marca Gianpiero Michielin ed il Direttore
Generale Giuseppe Maset.
USO DEL CONTANTE
NUOVE NORME ANTIRICICLAGGIO
Sono state apportate e sono entrate in vigore alcune
modifiche al Decreto Legislativo n. 231/2007,
relativo alle limitazioni dell’uso di contante e dei
titoli al portatore. Il divieto di trasferire denaro
contante e titoli al portatore ritorna per gli importi
complessivamente pari o superiori ad euro 12.500.
Gli assegni bancari e postali dovranno portare
la clausola di non trasferibilità per importi pari o
superiori ad euro 12.500. L’emissione di assegni
trasferibili è consentita fino ad un importo massimo
di euro 12.499,99 e per questi non è più richiesta
l’indicazione del codice fiscale del girante.
MOSTRA DI BALDISSIN
A CASA DEI CARRARESI
L’artista cordignanese Cesare Baldassin è stato ospite
a luglio scorso, con una mostra personale dal titolo
«Segni e Colori», alla Casa dei Carraresi, il più
prestigioso centro espositivo di Treviso. Cesare
Baldassin è conosciuto principalmente come incisore
ove primeggia alla grande a livello nazionale; come
pittore è meno conosciuto pur avendo vinto premi
di rilevanza nazionale come il primo premio
di Cordignano del 2005. L’approdo a Casa dei
Carraresi è stato possibile grazie anche, tra gli altri,
INSIEME
CON FIDUCIA
5
PRIMO PIANO
di Banca della Marca che ha visto in quest’artista
locale il testimonial per diffondere la presenza
dell’Istituto in città. Alla vernice inaugurale sabato
12 luglio erano presenti, oltre a critici d’arte, artisti
ed amici anche il Direttore generale di Banca della
Marca Giuseppe Maset ed il Sindaco di Cordignano
dott. Roberto Campagna, che, tra l’altro, è
dipendente dello stesso Istituto. L’artista, grato per
il lusinghiero successo di pubblico, ha donato alla
Banca della Marca due sue opere.
(Ca’ Foscari e IUAV) e Verona; tre in Friuli Venezia
Giulia: Trieste (con anche la Scuola Internazionale
Superiore di Studi Avanzati – un istituto ad
ordinamento speciale) Gorizia e Udine; due in
Trentino Alto Adige: Bolzano e Trento. Le sedi delle
facoltà sono diffuse anche in altri centri come a
Treviso, Vicenza, Pordenone, Rovigo. Offrono
una copertura disciplinare su tutti i principali ambiti
di studio: 63 sono le facoltà, 213 i dipartimenti e
poco meno di 6000 i docenti tra professori ordinari,
associati e ricercatori. Nell’anno accademico
2007/2008 in queste tre regioni si sono
immatricolati 30.508 studenti con un incremento
dell’1% rispetto l’anno precedente. Nell’anno solare
2006, da fonti ministeriali, hanno conseguito il titolo
di diploma di laurea 30.803 studenti.
CONSIGLI UTILI
CONTRO LE TRUFFE ONLINE
FENOMENO IN AUMENTO
CIRCOLAZIONE DI EURO FALSI
In un preoccupato rapporto del Ministero del Tesoro
viene reso noto l’aumento enorme anche degli euro
falsi non di carta, prima tra tutte le monete da
2 euro. Bankitalia ha accertato che i pezzi fasulli da
2 euro in circolazione, prodotti dalle organizzazioni
criminali, sono aumentati oltre il 400%. Nel primo
semestre del 2008 ne sono state accertate di false
dalla banca centrale ben 12.798 monete.
Consistente anche l’aumento dei falsi da 1 euro e
da 50 centesimi che registrano una crescita del
125/130%. Per le banconote i falsari si concentrano
sui tagli da 50 euro che rappresentano il 26,76%
del totale delle banconote ritirate dalla circolazione
nei primi sei mesi dell’anno. In questi sei mesi
la Banca d’Italia ha periziato ben 73.889 banconote
false per un gruzzoletto pari a 4,5 miliardi di euro.
Pare, da elementi presenti sulle banconote false, che
la provenienza del materiale fasullo e la collocazione
delle «zecche alla Totò», sia in paesi diversi
dall’Italia.
NELLE TRE VENEZIE
IL MONDO UNIVERSITARIO
In Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige
esiste un’offerta formativa ampia e specializzata
per quanto attiene l’istruzione superiore.
Gli atenei sono quattro in Veneto: Padova, Venezia
6
INSIEME
CON FIDUCIA
ABI Lab, il Consorzio per la ricerca e lo sviluppo delle
tecnologie per la Banca, promosso da ABI, ha
predisposto un manifesto da affiggere nelle banche
di tutta Italia per dare alcuni consigli utili a rendere
più sicura l’attività in Internet con la propria banca.
I consigli possono essere sinteticamente così
riassunti: 1) installare e mantenere aggiornati
i software di protezione ed effettuare delle scansioni
periodiche; 2) aggiornare costantemente il sistema
operativo e gli applicativi; 3) proteggere il traffico in
entrata ed in uscita dal computer installando
programmi di filtraggio del flusso di dati; 4) durante
la navigazione in Internet non permettere attività
da remoto non autorizzate; 5) acconsentire
all’installazione di programmi di cui è possibile
verificare la provenienza; 6) far attenzione a qualsiasi
modifica improvvisa delle impostazioni di sistema;
7) verificare l’autenticità della connessione con
la propria banca; 8) diffidare di qualunque richiesta
di dati relativi a carte di pagamento; 9) controllare
regolarmente le movimentazioni del conto corrente
per accertare che le operazioni riportate siano state
realmente effettuate; 10) diffidare dai messaggi di
posta elettronica che invitano a scaricare programmi
o documenti; 11) fare attenzione ad eventuali
anomalie rispetto alle procedure abituali con cui
viene richiesto l’inserimento dei dati personali sul sito
personale di home banking. In caso di dubbi, per
difendere il proprio computer da occhiate indiscrete,
è meglio rivolgersi al personale della banca.
SOCIETÀ OGGI
IL NUOVO FASCICOLO SOCI PER SOCI
DAI BENI ALLE COMPETENZE
SOCI PROTAGONISTI
di fiducia
È stata distribuita la seconda edizione del fascicolo «Soci per Soci». Una guida nei settori dell’abbigliamento, dell’alimentazione,
dell’arredamento, dell’edilizia e
servizi connessi, dell’elettronica,
della medicina e cosmesi, delle
forniture per famiglie, dei trasporti, dei viaggi e tempo libero.
Si tratta di Soci della Banca di
Credito Cooperativo, che producono beni o gestiscono servizi,
che si mettono in rete con tutti i
Soci della Banca. Essi si propongono sia con sconti che con corsie preferenziali nella loro attività, riconoscendosi così in un
contesto di reciprocità tra Soci
dello stesso sodalizio: la Banca
della Marca.
È una iniziativa forte perché la
cultura della cooperazione non
consiste solo nel fare impresa,
nel mettersi insieme per realizza-
re dei prodotti o dei servizi di cui
fruire a condizioni ottimali, ma
significa anche generare relazioni, costruire reti di persone, incontrarsi e riconoscersi, vivere
valori e trasmetterli.
Così la guida «Soci per Soci» diventa uno strumento per incontrare Soci che offrono ad altri Soci i beni che loro producono: è
un primo importante tassello di
quel generare beni immateriali
che vanno oltre lo scambio commerciale.
I Soci sono un capitale enorme
della Banca della Marca, ma sono anche un giacimento di operosità di cui la guida rappresenta
una finestra importante, ma non
esauriente.
Viviamo in una società fatta di insicurezze. Alimentano tale scenario l’impoverimento delle reti di
fiducia tradizionali, dalla fragilità
delle famiglie alla scomparsa dei
borghi parentali, dall’immigrazione che mette radici all’incertezza
economica. Occorre contrastare
tale percezione di fragilità costruendo reti sociali forti. Il patrimonio associativo di una banca
cooperativa è potenzialmente un
laboratorio di umanità nuova per
costruire lo star bene insieme di
tanti che ne condividono l’appartenenza in qualità di Soci.
Ne è conseguenza il fatto che
l’operazione «Soci per Soci» può
diventare uno strumento più ampio che faccia conoscere la più
diffusa produzione di beni e servizi, ma può anche mettere in rete le competenze, le abilità, perché tanti Soci hanno esperienze,
bagagli professionali e relazionali
che possono condividere.
Ci sono attività di Banca della
Marca, parallele al credito, che
SOCIETÀ OGGI
potrebbero vedere i Soci parte
attiva nella vita sociale e nelle iniziative dell’istituto di credito. Significa avere una base sociale
composta di persone che usano
la propria adesione per vivere
«per», stare «tra», promuovere
«con» altri Soci e con la stessa
comunità locale nella quale la
Banca opera attività, progetti,
idee. Ci sono esperienze positive
in ambiti simili che potrebbero
dare riferimenti ad un possibile
8
INSIEME
CON FIDUCIA
lavoro di ampliamento del progetto «Soci per Soci». Per esempio le «banche del tempo», gli
«albi delle competenze» cui attingere in caso di necessità, il
«volontariato sociale» promosso
dal Credito Cooperativo…
E l’azione della Banca nella singola realtà locale, comune od altro, in cui opera, potrebbe avere
strategicamente interesse ad avere una presenza sociale attiva,
capace di proposta e di costru-
zione di alleanze e reti di fiducia
tra cittadini. Motivare i Soci ad
essere protagonisti nel territorio.
È una provocazione, ma lo spirito dell’essere cooperatori, va
letto oggi dentro le trasformazioni della comunità e pone la
domanda sulla capacità di mettersi in gioco perché appunto
«la mia Banca è differente!».
SERGIO DUGONE
il ’68
DOPO QUARANT’ANNI
COSA RIMANE
DELLA RIVOLTA STUDENTESCA
I PRO E I CONTRO IN UN DIBATTITO
CHE ANCORA FA DISCUTERE
Quanto accaduto quarant’anni fa
– con il movimento giovanile che
contestava violentemente
la mentalità e la cultura della
società di allora – è tutt’oggi
oggetto di un vivo dibattito tra
posizioni pro e contro.
I denigratori accusano il ’68 di
aver distrutto i valori della
tradizione, di aver innestato nella
società l’idea che tutto si
equivalga, che non c’è differenza
tra il bene e il male, tra il vero e
il falso, tra l’allievo e il maestro.
I difensori sostengono invece che
il ’68 ha portato più libertà
individuale, ha introdotto
un nuovo modo di fare politica,
ha cercato di promuovere
l’eguaglianza tra i ceti e ha dato
maggiori spazi e autonomia alle
donne.
Sono valutazioni, sia quelle
positive che quelle negative, che
rispondono al vero perché il ’68 è
stato una tale concentrazione di
avvenimenti e una così forte
accelerazione verso il nuovo che
ha finito con il dar vita a fermenti
sociali assai controversi e
inesplicabili, nei quali non sempre
era stato possibile individuare gli
aspetti positivi da quelli negativi.
Nata nelle Università tra gli
studenti e i giovani intellettuali,
la contestazione ha toccato
i paesi europei più avanzati quali
Francia, Spagna, Germania,
Olanda valicando la cortina di
ferro e lasciando un segno anche
nei paesi socialisti. Ha portato
ovunque contestazioni e rivolte,
ha scardinato valori ritenuti
fondamentali e sacri, ha generato
ovunque contrapposizioni e
conflittualità spesso assai dure.
In Italia – dove ancora
sussistevano pesanti problemi
legati alla povertà e
all’emigrazione, dove stagnava
un’insofferenza verso il vecchio e
l’autoritarismo e dove già si
avvertivano i sintomi della crisi
nel rapporto padri/figli –
la contestazione giovanile ha
trovato terreno fertile: partendo
della città ed espandendosi nei
paesi, essa è entrata di
prepotenza nelle nostre case e,
mascherata spesso da ideologie
di sinistra, si è mostrata come
una gigantesca terapia di gruppo
che sradicava un bigottismo
ancora presente nella tradizionale
educazione famigliare.
Dall’esasperata ricerca del nuovo,
dalla volontà di ottenere tutto e
subito a qualsiasi costo, si è
passati gradualmente a voler
realizzare il cambiamento della
società basato su un modello
di collettività più moderna, più
giusta ed equa, più consapevole
dei problemi del nostro esistere.
Per molti il ’68 è stato uno
stravolgimento, un crollo di ideali
e di metodi di vita, un vuoto
di potere; per altri è stato una
febbrile ed entusiastica stagione
che ha aperto il Paese ai tempi
moderni e a un nuovo modo
di concepire la politica.
E tuttavia sono pochi oggi coloro
che difendono gli ideali che
hanno portato i giovani in piazza
ad abbattere il vecchiume della
società; oggi sono molti di più
coloro che, compresi certi
sessantottini, valutano
negativamente l’eredità di
quell’anno di lotte e di speranze.
Il dibattito è tuttora aperto come
dimostra quanto avvenuto
a Cortina, a margine di «Cortina
InConTra 08» dove un ex
ministro è arrivato ad affermare
che il terrorismo è la logica
conseguenza del ’68,
affermazione prontamente
contestata da altri intellettuali
che l’hanno definita un abbaglio
storico, una scemenza.
Eppure non tutto è stato
negativo: ripulito da tanta zavorra
e dagli eccessi, il ’68 ha avuto
anche aspetti positivi, perché
ha innescato un processo che
ci ha guidato verso un periodo di
grandi cambiamenti e speranze,
verso una società più aperta, più
equa, più giusta. Se l’obiettivo
non è stato raggiunto o trova
intoppi e ritardi, significa che
coloro che hanno detenuto
il potere hanno gradualmente
portato le lancette dell’orologio a
prima del 1968, cercando di
restaurare un mondo di nuovi
privilegiati attraverso promesse di
facili successi e di valori ipocriti.
Come ha dimostrato ampiamente
il dibattito svoltosi nel Paese in
questi mesi, l’unica certezza
emersa è che – a quarant’anni di
distanza – quella rivoluzione non
ha avuto ancora modo e tempo di
potersi sedimentare e di far
conoscere a fondo il meglio che
proponeva.
MARIO MENEGHETTI
SOCIETÀ OGGI
VERSO IL POST CONSUMISMO?
NUOVI STILI DI VITA OLTRE LA CRISI
la famiglia
A NORDEST
10
INSIEME
CON FIDUCIA
L’area in cui viviamo è il cuore
del Nordest. Tra Treviso e Pordenone, tra Venezia e Belluno, la
crescita economica a due cifre,
per tanti anni, ha generato benessere diffuso e relativo consumismo.
Oggi la crisi è presente anche da
noi. Aziende che ridimensionano
l’attività o chiudono, società che
invecchia ed ha bisogno dell’immigrazione sia per i distretti produttivi che per l’assistenza primaria, costi dei servizi, stagnazione
ed inflazione mettono a dura
prova i bilanci familiari. La famiglia si è appesantita di impegni:
dai mutui per la casa (la proprietà resta un valore), ai costi
degli stili di vita, ai pesi assistenziali di varia natura. E la famiglia
prosegue a sostenere un’economia che nel Nordest continua ad
avere una crescita superiore alla
media del Paese.
Il ceto medio diffuso è quello più
in difficoltà. Ha costruito le sue
sicurezze negli anni del boom
economico ed oggi è alle prese
con stili di vita che generano costi e che alimentano la sindrome
da terza, quarta settimana del
mese.
Da un lato il commercio si adegua: offre acquisti con crediti dilazionati, pagamenti rateali senza interessi, offerte civetta che
invogliano a comprare… Dall’altro lato in famiglia si ricorre all’indebitamento diffuso: cresce il
credito al consumo, le finanziarie
che offrono denaro, la spesa con
il libretto da pagare a fine mese,
ma anche le insolvenze, dalle
spese condominiali al rinvio di
pagamenti, alla mancata manutenzione degli automezzi, al l’omissione di assicurazioni ed altro. Ed agli anziani viene offerto
il… mutuo alla rovescia. Chi è
proprietario di casa la ipoteca ricevendone un capitale, saranno
poi gli eredi a valutare se riscattare o lasciar perdere.
Ma vi è chi reagisce alla potenziale deriva e rimette in discussione abitudini e stili di vita. E ci
sono organizzazioni che tentano
di abbattere costi, accorciando la
filiera distributiva dei beni. Sarà
una stagione interessante quella
che ci coinvolgerà nei prossimi
mesi e forse anni. Una stagione
degli acquisti consapevoli, della
sobrietà, della lotta allo spreco.
Se la Coldiretti propone i mercati
dei contadini, la vendita diretta
dei produttori ai consumatori, si
moltiplicano i GAS, gruppi di acquisto solidale. L’ultimo è nato a
Vittorio Veneto, dopo Fontanelle,
il Quartier del Piave ed altri. Famiglie che acquistano insieme,
direttamente e che si distribuiscono i prodotti con abbattimento dei costi del 30% medio. Nel
Veneziano l’operazione dei «Bilanci di giustizia» ha coniugato la
capacità di rivedere abitudini e
stili di consumo con la solidarietà
con progetti in paesi del Terzo
mondo. I negozi del «commercio
equo e solidale» non conoscono
crisi, ma crescita costante, segno
anche questo di un cambiamento in atto.
Bere «l’acqua del Sindaco» è diventato lo slogan di alcune
aziende ULSS come quella di Pieve di Soligo, dove tutti ribadiscono che l’acqua del rubinetto è
buona, costa poco e non produce bottiglie di plastica che inquinano. A Conegliano verrà aperto
a breve un supermercato con la
possibilità di acquistare una serie
di prodotti sfusi, senza imballaggio. I distributori di latte fresco
sono richiesti in tante località e si
dovrà fare uno sforzo per moltiplicarli.
Occorrerà imparare ad acquistare
prodotti stagionali, meglio se direttamente dai produttori. Sarà
da leggere l’esperienza degli «orti
agli anziani» che alcuni Comuni
hanno realizzato in questi ultimi
anni. E riscoprire i mezzi di mobilità più tradizionale, partendo
dalla bicicletta lasciata in ripostiglio per anni.
Se sul fronte energetico l’abbattimento dei costi passa per cam-
“
Il ceto medio
sempre più in difficoltà
economiche
bio di lampade, eliminazione di
spie accese, elettrodomestici a
basso consumo ed alta resa, le
caldaie ad alto rendimento, con
le valvole di controllo calore in
casa sono incentivate fiscalmente. E occorrerà fare le spese programmate: partire da casa con
l’elenco di quello che effettivamente serve, senza farsi emozionare dalle tecniche di vendita.
Occorre organizzare le famiglie.
Per dare a tutti informazioni sulle
opportunità e occasioni di incontro e confronto per poter capire
che si può vivere meglio spendendo meno e soprattutto eliminando acquisti di cose superflue
di cui abbiamo piene le case.
Ma spazi di sperimentazione di
un nuovo modo di essere famiglia ci sono. La rete famiglie
aperte diffusa nel vicentino, le
famiglie che aiutano famiglie in
una sorta di affido tra famiglie
del padovano, i condomini solidali della Lombardia… dicono
degli spazi ulteriori di cambiamento.
„
Il «progetto famiglia» di Banca
della Marca potrebbe essere un
significativo interprete e protagonista di questo cambiamento.
SERGIO DUGONE
TERRITORIO
nuova filiale
A FONTANAFREDDA
Banca della Marca è un Istituto di Credito locale
operante prevalentemente nella parte nord-orientale
della provincia di Treviso. Fin dalle sue origini questa
Banca ha guardato con grande attenzione all’area di
territorio che corre lungo il confine che separa il Veneto dal Friuli. La presenza ormai consolidata ad Orsago e Francenigo, nel Veneto, piuttosto che a Sacile e Maron di Brugnera, per il Friuli, confermano la
volontà della Banca di voler essere una realtà forte e
vitale per queste comunità, così ricche di imprenditorialità e di creatività. I successi commerciali e relazionali che sono stati raggiunti in questi territori vengono adesso esalatati e rafforzati dall’apertura di
una nuova filiale, la trentesima per la Banca, presso
la città di Fontafredda. Posta lungo la strada che
conduce a Pordenone, Fontanafredda ha saputo nel
tempo sviluppare una dinamica industriale ed abitativa rilevante, che la pone tra i principali centri del
nostro territorio. Per questa filiale è stato scelto un
edificio di nuova costruzione, estremamente caratterizzato nella sua estetica, e posto all’inizio della strada che da Fontanafredda conduce a Vigonovo. Come di consueto, la Banca ha posto molta attenzione
alla realizzazione degli spazi operativi, affinando ulteriormente idee iniziate alcuni anni addietro. Il concetto attorno cui ruota l’intera struttura degli arredi
è quello di esaltare il ruolo di Banca di relazione. Per
questo motivo, gli spazi, i colori e i materiali sono
tutti tesi a creare un ambiente caldo e di sobria eleganza, ma nel contempo sempre funzionali e
confortevoli da vivere sia per i clienti che per i dipendenti. Coerente con la propria vocazione di valorizzare il territorio e le risorse che vi vivono, le persone
incaricate di seguire la nuova filiale sono tutti giovani residenti in zona, ma già dotati delle necessarie
competenze e professionalità. In più, essendo tutte
cresciute all’interno dell’azienda, ne hanno assimilato la cultura e quelle caratteristiche distintive, fatte
di cortesia, di disponibilità e di flessibilità, che da
sempre sono apprezzate dalla clientela e che non
mancheranno, anche a Fontanafredda, di essere la
chiave del successo di questa nuova filiale.
TERRITORIO
SCOPRIRE IL MONDO VEGETALE
LE TREMULE FOGLIE
dei pioppi
BELLEZZA E INCANTO DI UN ALBERO COMUNE
Difficile oggi che la poesia pascoliana possa ricreare le antiche
suggestioni di un tempo, quando alla lettura dei bellissimi versi
«le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggera» il pensiero scorreva alla nostra campagna dove questi alberi si innalzavano maestosi e numerosi lungo
i corsi d’acqua, ai margini dei
campi, sui viottoli e sulle strade
alberate. Un tempo comunissimo
in tutta la pianura padana – dove lo trovavamo sia isolato nei
campi o raccolto in caratteristici
filari o posto all’inizio di una proprietà terriera come splendida
cariatide naturale – il pioppo og-
gi ci appare meno frequentemente che in passato, come
fors’anche lascia intendere il suo
nome scientifico, populus, (addirittura un popolo!) con riferimento alle sue fitte formazioni
arboree lungo le rive dei fiumi.
Anche se meno frequente di un
tempo, il pioppo rimane tuttavia
una pianta caratteristica della
nostre pianure e nelle nostre
montagne, ed è sicuramente tra
gli alberi più facilmente riconoscibili e sicuramente più familiari
dentro il paesaggio veneto. Il
pioppo appartiene alla famiglia
delle Salicacee (che comprende i
salici) e ama di preferenza i ter-
reni profondi e freschi, motivo
per il quale lo troviamo spesso
vicino a grandi salici sulle rive
dei nostri fiumi, (lungo il Livenza
nel suo corso iniziale – a esempio – o lungo le sponde del Sile)
e lungo fossi spesso in consistenze arbustive; contrariamente
ai salici rifugge invece dai ristagni d’acqua.
La specie solitamente più comune è il pioppo nero (Populus nigra L.) in dialetto chiamato talpon, albero maestoso e longevo
(può arrivare all’età di trecento
anni) dalla chioma irregolarmente
ovale, spesso dilatata, che ha dato origine a moltissime forme
TERRITORIO
,
Albero elegante
e maestoso
oggi coltivato
per la cellulosa
ibride assai apprezzate per la rapida crescita: ciò lo rende particolarmente adatto a formare barriere frangivento, per alberare
viali e strade; viene apprezzato
an che per il suo legname dal
quale si ricavano mobili rustici,
cassette per imballo, attrezzi, lavori al tornio, carbone vegetale e
fiammiferi.
Ma il prodotto principale derivato dal pioppo rimane la cellulosa
che serve all’industria per la produzione della carta. Per questo
oggi troviamo il pioppo riunito in
colture specializzate, i pioppeti,
che talvolta si ergono sullo sfondo del nostro orizzonte. In queste
coltivazioni solitamente vengono
impiegate due specie particolari:
la prima è un ibrido de rivato
dall’incrocio del pioppo nero con
un pioppo americano (Populus
deltoides Marshall) chiamato Populus euroamericana, un pioppo
a rapido accrescimento e che
fornisce una buona produzione
legnosa; il secondo è il pioppo
canadese (Populus canadensis),
anche questo coltivato in pioppeti. Le foglie del pioppo canadese, appena uscite dalle gemme, si tingono di rosso arancione, un fenomeno che ricorda
una fioritura. Ma non è raro trovarlo anche nei parchi per la sua
maestosità.
Derivato dal pioppo nero è il
pioppo cipressino (Populus italica), albero dal comportamento
lineare che ricorda la forma slanciata e snella del cipresso, utilizzato sia in campagna per segnare
i confini delle proprietà, sia nei
parchi di città per la sua compatta e verde eleganza. Della sua famiglia è sicuramente l’albero più
conosciuto e familiare.
Altro pioppo che fa parte del nostro paesaggio è il pioppo bianco
o gattice (Populus alba), detto in
dialetto àlbera, pianta dalle foglie
di forma palmata, verde o scuro
nella pagina superiore e bianco
tomentose in quella inferiore; la
sua chioma globosa affascina
perché a un colpo di vento repentino diventa meravigliosamente candida. Insieme con il
pioppo cipressino faceva parte
nella pianura padana dei boschi
planiziali insieme a salici, querce,
carpini, olmi e frassini. Queste
piante formavano l’antica Selva
Fetontea, così chiamata dal mitico Fetonte, figlio del Sole che,
impadronitosi del carro alato del
padre, volle guidarlo per un giorno nel cielo; ma inesperto, rischiò
di incenerire la terra. Giove lo fulminò facendolo precipitare nel
Po. Le sorelle lo piansero così dolorosamente che Giove, impietositosi, le trasformò in pioppi.
È il mito dal quale si fa risalire la
leggenda del tremolio dei pioppi,
e in particolare del (Populus tremula), il pioppo tremolo (in dialetto bredol), dalla corteccia liscia
e dal colore bianca chiara grigio-
so sono disposti in lunghi amenti;
l’impollinazione avviene per opera
del vento (anemofila) dando origine, sulle piante femminili, a delle
infruttescenze che alla fine si trasformano in ciuffi di pelo bianchi
cotonosi che facilitano la loro dispersione nel l’aria. Anche per
questo oggi i pioppi non sono
graditi in città e nei giardini ove
questi batuffoli candidi si insinuano persino nelle case.
ELISABETTA DAL COL
TERRITORIO
verde, e soprattutto dalle foglie
ovate percorse da un brivido costante: il loro lungo picciolo appiattito perpendicolarmente rispetto alla lamina fogliare le fa
tremare a un lievissimo soffio di
vento o a un’inavvertita frescura
di un ruscello. Per la sua eleganza
il tremolo viene spesso piantato
nei giardini dimenticando che è sì
pianta eliofila ma che, vivendo
spontaneamente in ambienti freschi, richiede terreni ricchi di umidità. Nella nostra tradizione popolare – a causa del tremolio delle foglie, comune in quasi tutte le
specie – il pioppo porta con sé
una vena di malinconica serietà
che non lo ha mai reso particolarmente bene accetto al genere
umano.
Ogni pioppo è soltanto maschile
o femminile e le talee derivate da
ciascun esemplare assumono il
sesso dell’albero da cui provengono. I fiori dell’uno e dell’altro ses-
TERRITORIO
LA FONTANA
A CIANO DEL MONTELLO
TRA FASCINO E MISTERO
del Buoro
16
INSIEME
CON FIDUCIA
L’acqua oltre a racchiudere in se
la preziosità di un elemento
indispensabile alla vita, esercita
anche un fascino ancestrale.
La Fontana del Buoro, una
oramai esigua sorgente a Ciano
del Montello, ubicata
suggestivamente in un anfratto
roccioso del Montello che si
affaccia sul torrente Nasson a
pochi metri dalla sua confluenza
con il Piave, è ritenuta fin
dall’antichità una fonte
«magica». Leggende e miti
hanno caratterizzato
quest’angolo di territorio come
nessun altro nell’area
montelliana, non solo per
la presenza di questa polla
d’acqua sorgiva, ma anche
perché le pareti rocciose alle sue
spalle ospitano diverse cavità
carsiche. La concomitanza di
grotte e acqua ne fanno quindi
un luogo unico, ricordato anche
dallo scrittore Gian Domenico
Mazzocato nel suo romanzo
Il bosco veneziano.
Doveroso è però riconoscere che
le pagine più belle, scritte su
questa sorgente incantata, sono
da attribuire al prof. Antonio
Paolillo, direttore del Museo
di Storia naturale di Crocetta
del Montello, che in una
approfondita ricerca sul territorio
montelliano ha saputo ricostruire
trascorsi e racconti legati al Buoro
di Ciano. «Il nome di questa
cavità ipogea ci riporta all’epoca
romana quando Ciane, la ninfa
del Buoro di Ciano, viene
considerata una fata delle grotte
montelliane – scrive il professore
Paolillo, nella sua ineccepibile
ricerca –. Questo personaggio
leggendario è identificabile in
quella ninfa delle fonti che nella
mitologia classica cercò di
impedire al dio degli inferi
Plutone il ratto di Proserpina, e
questo per vendicarsi
la trasformò in fonte. Le origini
di questa leggenda, legata
al mondo classico potrebbero
trovare conferma nei ritrovamenti
di vestigia romane nel
terrazzamento alluvionale
immediatamente sovrastante.
Sempre in relazione ai culti della
terra e della fertilità nel Medioevo
il luogo viene dedicato a San
Mamerto protettore e patrono
(
Acqua e vita
legate da storie e
leggende locali
dei raccolti, nonché ecclesiastico
francese del V secolo. Nominato
arcivescovo di Vienna, egli fu
molto probabilmente il primo a
far uso delle rogazioni
riprendendo le vecchie abitudini
pagane che esaltavano
le processioni del popolo
salmodiante. Anche per la grotta
del Buoro e per la chiesetta
sovrastante dedicata a
San Mamerto si è continuato, e
in qualche modo si continua
tutt’oggi, quella forma
spontanea di sincretismo religioso
che si è generata in una mirata
convivenza dell’antico culto
pagano con il cristianesimo;
anche qui come in molte parti del
mondo, in concomitanza con
le sovrapposizioni religiose,
vediamo come a livello popolare
si cambiano le immagini e
il significato ma non i valori
e la significante che queste
rappresentano. Ed è su questa
tendenza che le attuali credenze
locali oggi vorrebbero sostituire
la Madonna al mito della vecchia
ninfa, che ancora vive nella
tradizione popolare».
Le gente della zona ha attribuito
proprietà miracolose all’acqua del
Buoro, legate alla leggenda
dell’apparizione di una figura
femminile, per alcuni una ninfa
per altri la Madonna, che
dissuase tre individui dal loro
intento di danneggiare
la sorgente. L’intervento della
misteriosa fanciulla, racconta
il mito cianese, tramutò
magicamente l’acqua da torbida
in cristallina, ma soprattutto
diede le sembianze di animali ai
tre manigoldi, forse dei lupi come
raffigurato nell’antico «capitel dei
lovi», eretto poco lontano e di cui
purtroppo non rimangono che
delle rovine. Pare probabile
che la figura femminile legata alla
sorgente abbia potuto ispirare
anche la credenza secondo cui
le puerpere che bevono l’acqua
ne ricevano il beneficio di aver
sempre latte abbondante
per i loro pargoli. Fino agli anni
Settanta le proprietà della fonte
hanno scaturito dei veri e propri
pellegrinaggi da parte di persone
provenienti anche dalle province
vicine, che giungevano a Ciano
del Montello muniti di bottiglie e
damigiane per attingerne l’acqua
miracolosa, pratica cessata
intorno ai primi anni Ottanta
quanto la polla è andata
progressivamente esaurendosi,
divenendo, in periodi di magra,
TERRITORIO
una esigua pozza. La presenza
umana nella zona è testimoniata
da ritrovamenti preistorici
significativi, nei campi attorno alla
chiesa di Santa Mama, edificata
sul terrazzo roccioso che sovrasta
la sorgente. «I materiali sono stati
raccolti tutti in superficie dopo
le arature autunnali e primaverili:
si tratta di una discreta quantità
di prodotti della scheggiatura,
tra i quali prevalgono nettamente
alcune forme laminari; oltre
a queste sono stati trovati anche
dieci nuclei e sessantatre
strumenti, oggi esposti al Museo
di Storia naturale di Crocetta del
Montello – spiega il prof. Paolillo
–. Escluso un manufatto, tutti
gli altri sono attribuibili ad
un insieme omogeneo, della fase
recente del Mesolitico
IL PROGETTO
Castelnoviano, che testimonia
una presenza umana tra gli otto
e i dieci mila anni or sono».
Il fascino che esercita il Buoro
di Ciano del Montello si perde
quindi nella notte dei tempi e
nonostante l’acqua non zampilli
più copiosa come un tempo,
permane immutato il suo alone
di magia.
INGRID FELTRIN
SULLA NOSTRA PEDEMONTANA
salva rospi
I rospi non sono certo tra le creature del regno animale più apprezzate. Viscidi al tatto e poco
gradevoli d’aspetto, non si sono
conquistati una particolare simpatia, non a caso nelle fiabe rappresentano l’inevitabile che rende
loro le sembianze originarie con
un fatidico bacio.
A dispetto di leggende e sensibilità estetica il rospo comune (il
suo nome scientifico è Bufo bufo)
è una creatura inoffensiva che in
natura ha un ruolo importante
per l’equilibrio dell’ecosistema
ma purtroppo la sua sopravvivenza, al pari di altri anfibi, è minata
dall’antropizzazione.
Nel mese di marzo il rospo comune migra, dopo il lungo letargo invernale, verso gli stagni per
riprodursi: la femmina, di dimensioni maggiori, lungo il tragitto,
carica sul dorso il maschio, compiendo insieme il percorso che li
separa al luogo dell’accoppiamento. Il Bufo bufo è un anfibio
attivo di notte, pertanto è con il
buio che intraprende il suo viaggio irto di insidie: i corridoi di
migrazione, infatti, sono individuati grazie all’istinto di questa
creatura che certo non può tenere conto della presenza di
strade solcate dai veicoli impietosi. Il cammino che separa il rospo dall’assicurarsi una discendenza, in molti casi lo porta alla
morte, schiacciato dalle auto
mentre inconsapevole attraversa
le strade.
Le zone di migrazione più importanti in provincia di Treviso sono
quella dei Laghi di Revine e del
Montello dove sulla strada panoramica che da Crocetta porta a
Nervesa ogni primavera potrebbe
verificarsi un ecatombe di queste
creature se non fosse per i volontari della campagna «Salva ro-
<
In pochi anni
salvati
migliaia di rospi
<
spi». Il progetto di salvaguardia è
stato predisposto da alcuni anni
grazie all’impegno di organizzazioni quali la L.A.C. (Lega Abolizione Caccia), U.N.A. (Uomo Natura Animali), ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali) e altre
associazioni, nonchè con il contributo di moltissimi cittadini.
In pochi anni sono stati salvati
decine di migliaia di esemplari,
non poco se si pensa che una
femmina depone 10.000 uova: il
progetto quindi preserva dal l’estin zione questi anfibi. Ma
quali sono le modalità adottate
dai volontari «Salva rospi»?
All’imbrunire gli angeli del Bufo
bufo armati di guanti, un secchio
contenete un po’ d’acqua ed
una torcia elettrica, raggiungono
le zone di migrazione e con attenzione controllano i lati della
strada, raccogliendo rospi prima
che balzino sull’asfalto andando
incontro a morte certa.
Il lavoro è incessante perché in
alcune sere c’è da affrontare
una vera e propria moltitudine
di creature gracidanti e saltellanti, che con determinazione
vogliono raggiungere il luogo
dove riprodursi ma nel tempo
la tecnica di recupero e rilascio dei rospi, trasportati nei
secchi sul lato opposto della
strada, si è andata affinando.
Non va poi sottovalutato il
fatto che oramai la sensibilità
verso i temi ambientali è par-
ticolarmente diffusa e quindi sono numerosi coloro che si offrono volontari per questo compito.
In alcune zone per facilitare le
operazioni sono state poste delle protezioni (basse reti in plastica) sul ciglio della strada, per
meglio controllare il fenomeno;
sul Montello è stato realizzato un
tunnel di attraversamento per
anfibi e piccoli animali, denominato «rospidotto». Accorgimenti
sempre più rigorosi assicurano
inoltre l’incolumità dei volontari
che viceversa rischierebbero di
essere travolti dalla auto visto
che le operazioni si svolgono di
notte in zone spesso sprovviste
di illuminazione pubblica, come il
Montello dove a beneficiare della
sensibilità degli attivisti di L.A.C.,
U.N.A. ed ENPA spesso sono anche le rane, i rospi smeraldini, le
raganelle ed i ricci, grazie ai presidi faunistici garantiti dal progetto «Salva rospi».
I dati raccolti dalla associazioni
inducono a ritenere che la migrazione delle due località trevigiane
sia la più numericamente importante dell’intero Veneto. Nel dettaglio va detto che il Montello è
diviso in due zone. La prima interessa la strada panoramica e da
località Zotta a S. Margherita arriva alle Prese XIV e XV (per circa
12 chilometri). La seconda riguarda la strada Dorsale del
Montello, tra le Prese XVIII e XIX,
nonché il tratto terminale della
Presa XVII (circa 7.500 metri) e
qui i rospi si muovono in direzione concentrica verso uno stagno
tra la Dorsale e le Prese XIV e XV,
mentre per la Panoramica vanno
in direzione nord, verso il Piave. I
Laghi di Revine sono interessati
dalla migrazione nel tratto compreso tra l’inizio dell’abitato di
Revine Lago e Soller, insieme alla
zona che va da Colmaggiore fino
all’innesco con la S.P. 35 (7.500
metri complessivi): qui la direzione della migrazione è concentrica verso i due laghi nella parte
est e, verso il canale Tajada, in
quella ovest.
I rospi non saranno teneri come
un cerbiatto o leggiadri come
una farfalla, ma non per questo
meritano di essere sterminati sulle strade, dopo tutto chiedono
solo un po’ di tolleranza e di attenzione a chi guida in limitate
zone geografiche, per pochi
giorni all’anno.
INGRID FELTRIN
INSIEME
CON FIDUCIA
19
TERRITORIO
IL GEMELLAGGIO
con Petritoli
VIDOR NON HA DIMENTICATO
IL PAESINO MARCHIGIANO CHE NEL 1918
OSPITÒ I PROFUGHI VIDORESI
20
INSIEME
CON FIDUCIA
«Gli amici si vedono nel momento del bisogno»,
recita un adagio popolare che sembra coniato per
la bella storia che vede protagoniste due comunità:
la trevigiana Vidor e Petritoli, cittadina marchigiana
in provincia di Ascoli Piceno, che nel corso di novant’anni hanno coltivato un’amicizia scaturita da
un momento di grande sofferenza. Nel 1918 i vidoresi, trovatisi nell’occhio del ciclone della Prima
Guerra Mondiale, furono costretti ad abbandonare
le loro case: una scelta dolorosa ma inevitabile dopo
che il 10 novembre 1917 il paese venne occupato
dai soldati tedeschi della XIV Armata del Generale
Otto Von Bellow.
Un centinaio di persone partirono per le Marche,
grazie all’aiuto del maresciallo Chiodaro, comandante della stazione dei carabinieri di Petritoli, originario di Vidor. Nonostante le ristrettezze della guerra, i profughi furono accolti con grande generosità
e nel corso di questa permanenza il paese amico divenne sede provvisoria dell’Amministrazione comunale di Vidor, sotto la guida del Commissario
prefettizio Giacinto Dal Molin.
Nel corso dei decenni diverse famiglie vidoresi mantennero i rapporti con gli amici di Petritoli, ma a li-
vello istituzionale il legame s’interruppe per molto
tempo, da prima per le incombenze della ricostruzione post bellica, e poi perché il ricordo di quei
giorni, legato ad un momento particolarmente
drammatico, era stato progressivamente rimosso da
molti.
Nel 2002 la pubblicazione del volume La comunità
di Petritoli nella prima metà del Novecento, scritto
dal professor Giuseppe Colasanti, ridestò l’interesse
degli enti locali per il legame intrecciato tra le due
comunità nel corso della Grande Guerra. Gli amici
di un tempo non c’erano più ma i loro figli ed i
nipoti nel luglio 2003 si sono incontrati per non dimenticare, riscoprendo un legame antico e profondo, tant’è che nel maggio 2004 a Petritoli e poi nel
settembre successivo a Vidor, è stato celebrato ufficialmente il gemellaggio tra i due paesi.
Ogni anno l’amicizia viene rinnovata con degli
scambi culturali, l’ultimo in occasione del Palio Assalto al Castello a Vidor.
INGRID FELTRIN
UNA FESTA
NEL NOME DEI MORTI.
TERRITORIO
RITO ANTICHISSIMO
E PAGANO
DIVENUTO UNA FESTA
MONDIALE
ECCO DI NUOVO
Halloween
Anche da noi ha ormai preso
piede Halloween, festa
americana celebrata nella notte
di Ognissanti, divenuta occasione
per passare in allegria, quasi
fosse carnevale, una nottata che
invece nelle origini era attesa
con angoscia e nella quale si
esercitavano una serie di rituali
per esorcizzare la paura della
morte.
La notte di Halloween, antica
festa celtica, è l’ultima tra quelle
che la globalizzazione ha imposto
alla società odierna come una
merce da consumarsi in
un contesto moderno e privo
del suo antico vero significato.
Oggi infatti, da internet alle
pubblicazioni editoriali, dalle
zucche con il lumino alle riunioni
conviviali con le ragazze vestite
da streghe, la modernità non fa
altro che recuperare un mito –
quello del culto dei morti –
riproponendolo in un tripudio
beffardo e quasi gioioso e
«mettendo in scena lo spettacolo
della morte deridendola con ogni
sorta di scherzo»; un mito –
quello del culto dei morti – che
per altri versi e con altre forme
era già presente nella nostra
coltura popolare, ma che
da tempo era caduto in disuso
con la scomparsa della civiltà
contadina e delle tradizioni ad
essa legate.
Sbagliano pertanto coloro che
pensano che Halloween sia
soltanto una moda proveniente
da oltre oceano, una festa tratta
dal folklore americano e pertanto
estranea alla nostra cultura e
tradizione. Estranea semmai è la
sua figurazione moderna, questa
voglia dei giovani di divertirsi che
va al di là della timorosa pietà
con la quale i nostri vecchi
aspettavano la notte dei morti.
Ma del resto anche in America,
la festa di Halloween ha perduto
il suo antico significato e se
escludiamo alcune località del
Minnesota e del Massachusetts –
dove i roghi delle streghe furono
una triste realtà e dove è ancora
vivo il significato originario della
festa – per il resto del paese
Halloween rimane solo un
grosso business commerciale che
suscita tutt’al più qualche brivido
di nostalgia nelle persone
anziane.
Nella nostra tradizione, in
quell’Italia contadina ormai
scomparsa, il ricordo dei morti
non era propriamente una festa,
ma un sentimento che a
scadenza definita faceva tornare
una turba di anime migranti.
Ci si chiudeva in casa la sera del
TERRITORIO
primo novembre, si banchettava
aspettando il ritorno dei morti
che nella notte sarebbero passati
a visitare luoghi a loro cari.
Per l’occasione di imbandiva
la tavola di dolcetti fatti di miele
e di mandorle (le favette,
gli ossetti dei morti) e il mattino
seguente si preparava la minestra
di fave per il pranzo.
E così per secoli, rispettando
quella tradizione che proveniva
da una cultura antichissima,
risalente all’età romana o anche
più in là, come appunto quella di
Halloween, festa pagana diffusa
tra le popolazioni del Nord
europeo a partire dal 4000 avanti
Cristo. Essa era legata in modo
particolare alle celebrazioni del
capodanno dei Celti il 31 ottobre;
nella notte in cui moriva l’estate si
credeva che fate ed elfi uscissero
dei boschi e si divertissero a
prendersi gioco degli uomini.
Fu papa Gregorio III (V secolo
d.C.) che, nell’intento di
sopprimere questa tradizione
pagana, fece coincidere la festa di
Ognissanti, che allora si celebrava
il 13 maggio, con il capodanno
celtico spostandola al primo di
novembre. Ma Halloween riuscì a
sopravvivere ed esportata negli
Stati Uniti divenne di moda
durante l’Ottocento finendo con
l’assumere nel secolo scorso
lo spirito provocatorio di «notte
del diavolo» o «degli scherzi».
Nel dopoguerra si ebbe il boom
della festa con le maschere,
i dolci, i gadget e Halloween
diventava la festa dei bambini e
delle zucche, un fenomeno
mediatico che oggi contagia
il mondo intero.
Ma anche così cambiata,
Halloween o festa di Ognissanti
«continua nel suo intreccio tra
paganesimo, cristianesimo e
consumismo a commemorare
i morti, a stabilire con loro
una distanza insieme ludica e
affettuosa. Naturalmente lo fa
a suo modo, nelle forme
contaminate del presente, nel
linguaggio della società
dell’immagine».
(A.P.)
UN PERSONAGGIO SIMBOLO
INCONTRO CON
Marzio Bruseghin
Grazie alla collaborazione di Roberto Casagrande, responsabile
della filiale di Orsago, e la complicità della sorella Sabrina, siamo riusciti a far due chiacchiere
con Marzio Bruseghin, in questi
giorni impegnato in Spagna perché, oltre al Giro d’Italia, al Tour
de France, all’Olimpiade, è presente anche alla Vuelta con nel
cuore la speranza di far bene anche al prossimo Mondiale.
Per noi della pedemontana trevigiana, in particolare, ma non solo, Bruseghin da atleta con grosse capacità è divenuto un mito,
un personaggio che, nella sua
umiltà, senso di solidarietà, spirito di sacrificio, rappresenta, e
questo ci inorgoglisce, il successo
di un territorio che anche nei momenti speciali non cambia stile.
Prima delle domande (al telefono non si può tirarla per le lunghe anche perché per lui è uno
stress) conosciamo quest’atleta
che, tra l’altro, è anche Socio di
Banca della Marca, uno che per
la sua onestà e semplicità ben
rappresenta gli ideali della cooperazione.
Marzio, 34 anni, felicemente in-
<
Modestia e lavoro
di un campione
legato alla propria
terra
<
namorato di Alessia, è professionista dal 1997. Ha esordito e
corso per due anni con la Brescialat, nel 1999 ha preso la valigia ed è andato in Spagna ed ha
gareggiato con la Banesto. Nel
2003 è rientrato in Italia, ha passato tre anni con la Fassa Bortolo
e dal 2006 porta i colori della
Lampre. Tre sono le vittorie individuali più una gara a cronosquadre e quest’anno il terzo posto assoluto al Giro d’Italia.
Vive a Piadera, in Comune di Vit-
torio Veneto – ma è originario di
Santa Apollonia – comune di
Cappella Maggiore, e conduce
con la sorella Sabrina l’azienda
agricola San Maman, di proprietà, specializzata nella produzione
di Prosecco – 12 mila bottiglie
quest’anno, che esporta. Nelle
sue lunghe assenze è proprio la
sorella Sabrina assieme al papà
Corrado che, rimboccandosi le
maniche, permettono a Marzio
di correre sereno, perché a casa il
trattore non rimane fermo ed i
suoi 24 asini possono pascolare
tranquilli. È un appassionato cacciatore, attivo nelle zone della
sua montagna, il Pian de le Femene, che raggiunge spesso a
piedi di buon mattino per fare allenamento e per godersi gli
splendidi panorami, il profumo
del bosco, della resina, la gioia di
un panino e di un’ombra prima
della battuta.
Dopo i primi convenevoli d’obbligo, la prima domanda:
Cosa è cambiato dopo il successo, splendido, di quest’anno?
«Ero e sono un uomo sereno,
che non chiede niente e non ha
bi sogno di niente. Ho vissuto
momenti di sogno. Il podio a Milano, la partecipazione all’Olimpiade è stata un qualcosa di
straordinario, una magia unica.
Forse nemmeno la mamma ha
mai sperato tanto. Un po’ di orgoglio mi è rimasto senz’altro
perché in questi momenti magici
mi è parso di rappresentare la ri-
massaggiatori e tiravo avanti perché anche loro avevano alle spalle una famiglia, un futuro da migliorare. Se questa è solidarietà,
allora si, hai letto bene».
Spesso il mondo del ciclismo è
sotto la lente di ingrandimento per i cattivi esempi che derivano da qualche atleta….
«L’onestà, per me, è la prima cosa. La sfida non deve essere mai
contro l’avversario ma contro te
stesso. Io non ho un medico, se
non quello di famiglia, non ho
un preparatore, non ho la Ferrari
e nemmeno paradisi fiscali. Ho la
fortuna di fare quello che desideravo sin da bambino: il contadino-corridore. Tutto il resto è un
mondo lontano che non mi appartiene».
vincita dei normali. Dopo l’inevitabile euforia, però, sono ritornato me stesso, l’amico del bar. Io,
in corsa o su un trattore non
cambio».
24
INSIEME
CON FIDUCIA
È vero? Basta fare il capitano?
«Quest’anno è stata la prima e
l’ultima volta. Da gregario mi sono sentito sempre più libero e,
come si sa, la libertà non ha
prezzo».
sbagliarmi, la genuinità e la concretezza, viviamo in una società
esasperata e consumistica. È la
mia indole che mi spinge ad aiutare una persona che sta in difficoltà, apprezzare un abbraccio
sincero, assaporare un bicchiere
di vino in compagnia, sentirmi in
pace con me stesso. Questi valori
li ho ricevuti in dono dalla mia
famiglia e sono sicuramente frutto della mia terra».
Hai fatto, per così dire, l’emigrante, dimostri impegno e in
gara non risparmi energie, pur
nel successo hai mantenuto il
tuo stile semplice di sempre,
non ti pare di rappresentare,
veramente e in modo degno,
la nostra terra?
«Oltre alla bicicletta ci sono tanti altri valori importanti, la televisione ci porta a perdere, spero di
Nella fatica mi pare di aver
letto anche tanta solidarietà,
sono fuori strada?
«Ad esempio quest’anno al Giro
d’Italia, con l’impegno verso la
squadra a gestire la classifica generale, ogni volta che dentro di
me dicevo, basta, non ce la faccio più, mi veniva in mente uno
dei miei compagni, uno dei nostri tecnici, dei meccanici, dei
Hai nostalgia di Saro, il tuo
cane, e degli asini?
«Sono animali, sensibili ed intuitivi, da loro c’è da imparare. Ho
nostalgia dei miei spazi, dei miei
silenzi, della mia terra, dei miei
amici veri e di chi mi vuole bene,
quella si ed a volte anche parecchio».
Il tempo è passato veloce, domande da fare ce ne sono ancora tante, ma so che lo sto importunando e così lo saluto e chiudo
con gli auguri ed una promessa,
un bicchiere di «Amets», il suo
prosecco, in sua compagnia per
poter apprezzare ancor di più un
uomo che, nonostante il successo, è rimasto con i piedi per terra,
in grado di rappresentare la nostra gente che in silenzio sgobba.
Grazie Marzio!
M.M.
TERRITORIO
ATLETICA
coi fiocchi
Si è corso questa primavera a
Prata di Pordenone la terza
edizione della «Prata Corre»,
una manifestazione podistica
non competitiva organizzata dal
Gruppo Atletica Santarossa.
Una corsa non competitiva
in primavera di solito non è
una grande notizia per il fatto
che ormai questo tipo di
manifestazioni pullulano un po’
ovunque; diventa invece una
notizia se si scopre che la corsa
richiama migliaia di partecipanti
da tutta la provincia, e anche
qualche concorrente dalla
regione vicina. Come questo
avvenga lo chiediamo
al presidente della società
la organizza, Aldo Sandrin che
subito ci informa che «il successo
dell’iniziativa sta nello spirito con
il quale è sorta l’associazione,
un gruppo di sportivi a cui piace
svolgere l’attività nel mezzo della
A PRATA DI PORDENONE
UNA «SGAMBATA» DI PRIMAVERA
NOTA IN TUTTA LA PROVINCIA
natura. Sport e natura dunque,
piacere e divertimento in una
cornice di serenità e di amicizia».
E la prova è proprio questa
«sgambata» Prata Corre che si
articola in tre distanze diverse,
cinque, undici e ventuno
chilometri, e che partendo dalla
rinnovata piazza di Prata centro si
snoda nel verde della campagna
pratense, tornata per un giorno
ad essere oggetto di attenzione
particolare, ma anche di
particolare attrazione per molti
che non la conoscono.
Ma è anche il mondo che
circonda questa manifestazione
ad attrarre i concorrenti:
attrazioni musicali dal vivo,
intervento della banda del paese
con le majorettes e cantanti di
buona levatura che allungano
le occasioni della festa a Prata.
E poi ancora, come da tradizione,
i premi assegnati ai gruppi più
numerosi, che completano una
organizzazione che sotto la guida
di Francesco Bresil non lascia
nulla all’improvvisazione e che
soddisfa le numerose presenze
alla corsa.
Come ci spiega il presidente,
il Gruppo Atletica Santarossa
comprende ottanta atleti che
fanno podismo e che partecipano
alle gare provinciali di Pordenone
come in quelle di Venezia,
Padova e Treviso.
Qualche buon risultato è stato
portato a casa, come alcuni
ottimi piazzamenti nei
campionati italiani di corsa piana
e di montagna, risultati destinati
ad essere migliorati.
E questo, per un’associazione che
ha solamente cinque anni di vita,
rappresenta molto più di un felice
avvio.
INSIEME
CON FIDUCIA
25
anziani
I NOSTRI
R A C C O N T A N O
il bello
DELLA VITA CONIUGALE
Il matrimonio è quel lungo momento di vita in cui,
passato il breve torpore della luna di miele, molti,
uomini e donne, hanno sempre qualcosa da dire
e ridire nei confronti del partner, spesso in modo
critico.
Questo contrasta e non intacca coloro che,
inebriati dal profumo dei fiori d’arancio, si
preparano al felice evento, ansiosi di arrivare
quanto prima all’altare o davanti al sindaco.
Tutti i fidanzati sono, infatti, convinti che per loro
la vita matrimoniale sarà una cosa completamente
diversa da quella che gli altri raccontano, e noi
auguriamo loro di cuore che davvero sia così.
Preso atto di come da sempre stanno le cose, è
palese che, comprese quelle che andiamo a
scrivere, sono chiacchiere che nulla cambiano, da
valutarsi per quel poco o niente che valgono
perché ognuno ha la sua esperienza che è sempre
diversa da quella degli altri.
L’argomento di chi, tra on e fémena porta
le braghe, in questo contesto, deve divenire solo
un motivo per un sorriso e nulla più. Se così non
fosse, chi può deve comportarsi come il tempo che
è rimasto da sposare per fare quel che vuole.
Molti affermano che sposati si sta bene, davvero
bene però concludono convinti che da scapoli o
nubili stavano meglio.
È un esprimersi da giovinastri e lo dimostra il fatto
che questo modo di dire scompare con l’età
quando l’aiuto vicendevole diviene la forza per
proseguire il cammino di coppia.
La questione che più mette in difficoltà i coniugi è
sempre quella di capire chi comanda.
La saggezza antica, racchiusa nei proverbi,
è controversa sulla questione di chi, tra marito e
moglie, deve avere le redini in mano. Infatti, uno
dice: inte la casa dei galantòmi, prima le fémene e
dopo i omi, un secondo, di contro, sancisce: co inte
‘na casa la pita canta e ‘l gal tase, la fameja no me
piase. Noi lasciamo ad ognuno lo sforzo di
interpretarli al meglio e, magari, di tirare acqua al
proprio molino.
L’uomo, sul tema del «potere» in casa, sa fare
la vittima, è sicuramente spudorato e non va per
il sottile, molto probabilmente a causa di
un maschilismo storico, radicato.
Spesso lo fa in osteria quando la compagna muta
del momento è l’onbra che non prende posizione
e non difende la donna e così si sentono frasi del
tipo: a casa mea paròn son mi … ma che comànda
l’è la me fémena.
Oppure tira le conclusioni alle quali arrivava
il buon Toni, quando, partendo con l’enfasi
del padrone e concludendo con l’umiltà
del sottomesso, diceva alla moglie, al termine dei
rari, inevitabili diverbi, (anca i piàt i se toca sul
secèr): fin che son vivo mi, fémena, a casa mea...
te comànda ti!
Sono la palese confessione di un’effettiva
debolezza, dell’incapacità di assumere decisioni e
di fare le scelte giuste.
Per una vita coniugale di reciproco rispetto e
soddisfazione, è ovvio, le decisioni, almeno quelle
importanti, devono essere assunte concordemente
ma, molto spesso invece, è proprio il marito che
delega la moglie. È questa una scelta libera,
non discutibile, e che non può incrinare il rapporto
di coppia.
Effettivamente, quindi, molto spesso, le mogli
sono costrette, loro malgrado, a prendere le redini
del comando, quasi sempre però, è innegabile, con
risultati positivi: le cose vanno bene, l’economia
famigliare regge, i figli crescono sani, educati,
rispettosi.
Agli occhi di chi vuol sempre ficcare il naso negli
affari degli altri, l’orgoglio maschile viene un po’
ferito, messo in un angolo, ma come in tutte le
cose o si reagisce o si accetta.
Non è onesto, da parte di questi mariti, quando
la ciambella non riusce con il buco, dire alla
consorte, anche con un po’ di mal celata
soddisfazione: no comàndetu ti?
È una storia vecchia come il mondo e ci sono
sempre stati e ci sono tuttora coloro che vogliono
a tutti i costi lamentarsi e brontolare, come
il povero Ménego, un calzolaio che viveva qui in
zona che definiva la moglie al maresciàl perché,
secondo lui, in tutto e dappertutto lei imponeva
il suo pensiero, dava ordini, comandava a spron
battuto.
Il Menego aveva preso un’ubriacatura il giorno del
matrimonio e l’aveva mantenuta, salvo qualche
breve e rara interruzione, per tutta la vita.
La consorte era stata, quindi, costretta a governare
la famiglia e certamente lo faceva con il polso
necessario.
Il Ménego aveva più volte cercato di reagire, di far
valere il suo punto di vista, di avere almeno
l’ultima parola. Lo faceva principalmente la sera
quando rientrava dall’osteria, e come risultato si
era ritrovato spesso l’indice puntato sulla porta
con l’invito di ritornare lì da dov’era arrivato.
Finalmente Ménego capì qual era la convenienza e
con l’adorata metà, in tarda età, raggiunse
un soddisfacente accordo ed acquisì il diritto
dell’ultima parola. Che fu sempre la stessa:
«obbedisco!».
MARIO MENEGHETTI
LA BATTAGLIA
STORIA E ARTE
di Fontanafredda
28
INSIEME
CON FIDUCIA
Il territorio di Fontanafredda fu,
due secoli fa, al centro di una
sto rica battaglia avvenuta nel
quadro delle vicende napoleoniche. Fu evento storico di una certa importanza che qui ricordiamo
riassumendo brevemente le fasi
più salienti del drammatico conflitto.
Approfittando delle difficoltà che
l’esercito napoleonico francese
incontrava in Spagna, il 10 aprile
1809 l’Austria dichiarava improvvisamente guerra alla Francia adducendo a pretesto alcune violazioni del precedente trattato di
pace. L’attacco austriaco costrinse il viceré d’Italia Eugenio Beauharnais, comandante delle truppe italo francesi, a ritirare le sue
divisioni sul Tagliamento sotto
l’incalzare dell’esercito austriaco
comandato dall’arciduca Giovanni d’Austria.
Ritenuta poco adatta alla difesa
la linea sul Tagliamento e temendo che il Cellina straripasse per le
piogge impedendo i movimenti
di una sua divisione, il Beauhar-
nais si ritirò sulla linea del Livenza davanti a Sacile. La pressione
nemica gli impedì di raggiungere
il Piave dove da tempo erano
stati approntati lavori di difesa e
dove il viceré pensava di poter
attaccare gli austriaci dopo essersi congiunto con la divisione Lamarque, mossasi da Verona.
Nella giornata del 15 aprile il viceré dispose l’esercito in ordine
di battaglia: alla sinistra dello
schieramento, sulla linea Vigonovo-Fontanafredda pose la divisione Broussier (6000 uomini) con il
supporto della cavalleria; al centro dello schieramento, davanti a
Sacile, la divisione Grenier (6000
uomini); sulla sinistra le divisioni
Sèras, Barbou, Severoli (complessivamente13.000 uomini) disposte tra Brugnera e Tamai avendo
alla propria destra i terreni paludosi dei Camolli e alle spalle il
ponte sul Livenza; il generale
Berthier con due battaglioni e
con artiglieria fu collocato alle
sorgenti del Livenza per impedire
che il nemico tentasse il guado.
Dall’altra parte l’arciduca d’Austria, pose il centro dello schieramento davanti Pordenone
(13000 uomini), con una riserva
formata da 24000 uomini tra
Torre e Cordenons; la destra dello schieramento sulla strada di
Roveredo Ranzano (3600 uomini); la sinistra tra Palse e Talponedo (7200 uomini).
Dagli schieramenti appare chiaro
che l’arciduca si prestava a muovere un attacco frontale tenendo
più debole la sua ala destra in
modo da attirare i franco italiani
verso la prateria dove la sua riserva, e soprattutto le sua cavalleria,
avrebbero avuto buon gioco sulla
fanteria nemica. Del tutto simile
il piano del Beauharnais: inferiore
per numero e quasi privo di cavalleria, egli ritenne opportuno
puntare tutto sulla sua destra
usufruendo di un terreno paludoso – pieno di valli, collinette,
corsi d’acqua – dove la cavalleria
nemica difficilmente avrebbe potuto muoversi con agilità. Egli
concentrò pertanto i suoi sforzi
“
Storico scontro
nel 1809 tra francesi
e austriaci
nell’età napoleonica
nella conquista di Porcia per costringere gli austriaci a ritirarsi a
Pordenone dove, non avendo
adeguati supporti di difesa, sarebbero stati costretti a indietreggiare fino al Tagliamento.
La battaglia ebbe inizio la mattina del 16, una domenica di poco
sole dopo tanta pioggia: gli italo
francesi attaccarono il villaggio di
Palse occupandolo; ricevuti in
aiuto altri reparti riuscirono finalmente ad entrare in Porcia. Ma
quasi subito, in contrattacco, gli
austriaci ricacciavano i francesi a
Palse. Non potendo rinunciare a
Porcia, il viceré ordinava a Grenier (centro) di spostarsi verso
Palse (in aiuto alla sinistra) senza
perdere i contatti con Broussier
(la destra) che, impegnato da reparti austriaci, era costretto ad
„
assottigliare le proprie fila. Era la
svolta decisiva della battaglia.
L’arciduca Giovanni intuiva che
Porcia non era un semplice diversivo ma l’obiettivo principale del
Beauharnais: ordinava pertanto
alla riserva di muoversi verso Vigonovo, attaccare tutta l’ala sinistra del nemico, occupare Sacile
e i suoi ponti, prendere di fianco
tutto l’esercito nemico e schiacciarlo nel triangolo tra i fiumi Livenza e Meduna. L’ultimo sanguinoso assalto a Porcia si svolgeva tra mezzogiorno e le tre del
pomeriggio: uno scontro spaventoso all’insegna «di una terribile
ferocia» consumata casa per casa; posizioni venivano prese e
perdute riprese nel giro di pochissimo tempo; gli atti di eroismo e di valore furono numerosi
sia da una parte che dall’altra.
Nel frattempo Grenier (centro),
sentendo tuonare i cannoni verso Porcia, si spostava sempre più
verso sud (alla sinistra) facendo
mancare a Broussier il sostegno
fondamentale proprio quando
stava sopraggiungendo da Vigonovo la cavalleria e la fanteria
austriaca.
Nel pomeriggio, agli occhi del viceré apparve, in tutta la sua
drammaticità, il quadro dell’imminente disfatta: l’ala sinistra del
suo schieramento stava per essere soverchiata da forze preponderanti; il centro si presentava
vulnerabile avendo Grenier diviso
le proprie forze per aiutare l’ala
destra; questa, provata da estenuanti combattimenti non era
più in grado di sostenere l’urto
nemico. Incominciava di nuovo a
piovere e il terreno, già impraticabile, diventava una palude; le
prime oscurità della sera incutevano nei combattenti nuovi pericoli, altre disperazioni. Per evitare
più tragiche conseguenze al viceré non rimaneva che ordinare
la ritirata, che avvenne con grande disordine e ulteriore perdite
umane.
Beauharnais si assestò il 26 aprile
sull’Adige riordinando l’esercito;
altrettanto fece l’arciduca il 28
aprile; ma in seguito alle vittorie
ottenute da Napoleone in Austria, l’arciduca fu costretto subito a retrocedere verso il confine
austriaco, accettando tuttavia il
combattimento con il nemico
«ogni qual volta l’onore e la sicurezza dell’esercito lo avessero imposto».
La battaglia – detta di Fontanafredda dagli austriaci o di Sacile
per i francesi – costò ai franco
italiani perdite gravissime: i morti
vennero sepolti in fosse comuni
scavate in diverse località di Palse, Porcia, Fontanafredda dalla
gente del luogo.
(N.R.)
STORIA E ARTE
IN UNO STUDIO
DI ANTONIO CAUZ
RACCOLTI EPISODI TRA
IL ’500 E ’600
L’Inquisizione
A ORSAGO E A CORDIGNANO
30
INSIEME
CON FIDUCIA
Questo nuovo lavoro di Antonio
Cauz, (Trasgressione e devozione.
Orsago e Cordignano nei processi
dell’Inquisizione udinese, 15571798), Vittorio Veneto, Circolo
culturale «Don Giuseppe Zago»
di Orsago, De Bastiani editore,
2008) frutto come sempre di
una rigorosa ricognizione sui
documenti e caratterizzato dalla
chiarezza delle analisi,
dall’equilibrio dei giudizi e anche
da una buona vivacità narrativa,
ci permette di capire le
significative relazioni tra i grandi
eventi storici, in questo caso la
storia religiosa europea del ’500’600, e la vita della gente comune
anche dei piccoli paesi. Anzi,
la prospettiva limitata, locale, da
cui quegli eventi sono osservati
ne consente una descrizione
concretissima e illuminante.
Com’è noto, verso la metà del
’500 la Chiesa cattolica reagì con
energia e intransigenza alla
grande crisi religiosa prodotta
dalla Riforma protestante; tra
le varie misure adottate, anche
l’istituzione di una
Congregazione unica e
permanente, l’Inquisizione o
Santo Uffizio, che aveva
il compito di intervenire
capillarmente ovunque giudicasse
la fede in pericolo, istruendo tutti
i processi ritenuti necessari.
Negli stessi anni fu istituita
la congregazione dell’Indice,
incaricata di fissare l’elenco
dei libri proibiti.
Orsago e Cordignano facevano
parte allora della diocesi di Udine
e l’Archivio diocesano udinese
conserva, tra i moltissimi
documenti relativi a quel periodo,
anche gli atti processuali che
coinvolgono alcuni abitanti dei
due paesi. I capi d’imputazione
“
Momenti
della nostra storia
finora del tutto
sconosciuti
„
sono quanto mai vari: detenzione
di libri proibiti, magia e disprezzo
dei Sacramenti, culto del
demonio, irriverenza, sortilegio e
magia amorosa, uso di cibi
proibiti, stregoneria, espressioni
teologicamente erronee,
sollecitazione in confessione.
L’interesse che quei documenti
suscitano in noi è molteplice: da
un lato possiamo conoscere
forme e strumenti con cui la
Chiesa, spesso in accordo con
l’autorità politica, esercitava
la sua opera di controllo e di
eventuale repressione delle
posizioni potenzialmente
eretiche; dall’altro, ed è l’aspetto
più importante, ci viene
ricostruito un quadro variegato
delle credenze religiose e della
pietà popolare della nostra gente.
L’autore passa agevolmente dalla
storia all’antropologia e descrive
costumi e forme di vita le cui
matrici sono probabilmente
precristiane; si tratta di
atteggiamenti di fronte all’ignoto
e al male, di pratiche
superstiziose e di paure di lunga
durata, tanto che possiamo
rinvenirle, mascherate di falsa
modernità, anche nel nostro
tempo. Va detto che la Chiesa
della Controriforma non usò
il pugno di ferro, non volle
estirpare con la forza le forme e
le credenze della devozione
popolare, ma cercò di
assecondarle e di ricondurle
nell’alveo della dottrina cristiana.
Il dato emerge anche nella
seconda parte del libro:
rielaborando un capitolo delle
sue Notizie storiche su
Cordignano, Cauz ricostruisce
un episodio della storia religiosa
locale del ’600, ossia il culto della
Madonna del Carmine di Ponte
della Muda. La chiesa tollerò
inizialmente il fenomeno,
intervenendo solo quando
assunse un carattere
«concorrenziale» e pericoloso per
l’autorità costituita.
I casi sottoposti al giudizio degli
inquisitori sono, come abbiamo
detto, quanto mai vari: se
l’episodio dei cinque contadini di
Orsago, che nel luglio del 1618 si
presentarono in chiesa alla prima
messa senza pantaloni, si può
ridurre ad una giocosa
trasgressione popolaresca (che
però non fu perdonata), di altro
significato e spessore sono le
posizioni espresse da Domenico
Sacconello, giovane notaio
di Cordignano: vicino ad alcune
idee dei Riformatori, era convinto
che il rapporto tra l’uomo e Dio
non dovesse passare
necessariamente attraverso
pratiche di culto come i digiuni o
la confessione. Egli non si
nascose, dichiarò apertamente
le sue convinzioni e pagò questa
franchezza con l’emarginazione
sociale.
Il merito principale del lavoro di
Cauz, oltre naturalmente alla
ricostruzione di momenti della
nostra storia fino ad ora del tutto
sconosciuti, sta nell’aver reso
pienamente comprensibili anche
ai lettori non specialisti quei fatti
lontani, grazie al corredo di
informazioni essenziali e di
spiegazioni con cui le vicende
vengono contestualizzate e
ricondotte alle loro corrette
dimensioni.
SILVANO PICCOLI
INSIEME
CON FIDUCIA
31
STORIA E ARTE
RICORDO DELLA GRANDE GUERRA
UNA SCUOLA A PONTE PRIULA E A MANDRE DI SANTA LUCIA
i bombardieri
del Re
32
INSIEME
CON FIDUCIA
Il novantesimo anniversario della
vittoria della Grande Guerra
ripropone un ricordo della Scuola
Bombardieri fondata nel 1915
a Ponte Priula di Susegana e
a Mandre di Santa Lucia di Piave
per addestrare 170.000 soldati
all’uso della potente bombarda.
La sede di Susegana era stata
scelta dagli alti comandi militari
perché offriva un nodo ferroviario
che consentiva l’invio di armi e
uomini sia sul fronte trentino che
su quello isontino; inoltre nella
campagna circostante era stato
individuato uno spazio necessario
per la creazione di un poligono di
tiro con annessi alloggi e
dormitori. In località Mandre, in
una antica masserizia dei Collalto,
fu invece creata la «Caserma
Mandre» che funzionò come
scuola ufficiali al fine di preparare
degli istruttori per le reclute.
Il comando della scuola era
sistemato al castello San
Salvatore, in Susegana, dove nel
1916 fu ospite il re Vittorio
Emanuele e il cugino Amedeo di
Savoia, duca d’Aosta. Spesso
la scuola veniva visitata da
commissioni e autorità militari di
Francia e Belgio accompagnate
dal generale Cadorna.
I bombardieri erano soldati scelti
dai reparti d’artiglieria per ricevere
istruzioni sull’uso delle bombarde
e delle relative cariche esplosive.
Al termine dell’addestramento
quadrimestrale venivano sostituiti
con altri 34.000 nuovi soldati,
divisi in batterie. Al poligono di
tiro di Ponte Priula avvenivano
le esercitazioni con bombarde di
vari calibri, crescenti da 50 a 400.
Quest’ultima, la più potente,
pesava 12 tonnellate, poteva
lanciare fino a oltre quattro
chilometri una bomba da 2570
chilogrammi di alto esplosivo,
provocando un cratere di circa
venti metri. Il meccanismo per
caricare la bomba nella bocca da
fuoco correva su un binario
decauville a scartamento ridotto.
A cadenza quadrimestrale
la Scuola bombardieri inviava
diverse batterie complete
di bombardieri ai vari fronti.
La partenza per il fronte era
salutata alla stazione di Susegana
dalla banda militare: si per
scongiurare la cattiva sorte.
Le prestazioni dei bombardieri
erano richiestissime per gli esiti
risolutivi e distruttivi, specialmente
delle siepi di filo spinato, fino ad
allora vere trappole di morte per
Lucia di Piave: Riccardo Granzotto
che più tardi, come frate minore,
sarà conosciuto col nome di Fra
Claudio, fulgido esemplare di
santità.
La presenza «invasiva» della
Scuola bombardieri mobilitò
la vita di Susegana e di Santa
Lucia e ne turbò la quiete rurale
creando naturalmente problemi
anche di ordine morale, ma
stimolò anche il suo orgoglio.
In occasione della Pasqua del
1916 il parroco di Santa Lucia
mons, Vittorio Morando ottenne
il permesso di assistere e
preparare 80.000 soldati della
Scuola bombardieri utilizzando
il seicentesco oratorio di
San Rocco, presente di fronte alla
Caserma Mandre.
Nell’ottobre del 1917, in seguito
all’invasione nemica, la scuola fu
obbligata al «forzato
trasferimento» a Sassuolo di
Modena, con appendici a
Scandiano e a Pavullo, dove dal
15 di novembre si mantenne
attiva fino al termine del conflitto.
Alla partenza gli artificieri fecero
saltare la scuola, il poligono e poi
il ponte della Priula perché non
potessero servire al nemico.
INNOCENTE SOLIGON
AL MUSEO DIOCESANO
Elio Casagrande
STORIA E ARTE
i fanti; e diversi furono
i riconoscimenti per il loro eroico
servizio, svolto non senza sacrificio
di vite umane. Tra le personalità
che frequentarono la Scuola
bombardieri si ricorda, tra altri,
il capitano Emilio Bodrèro,
divenuto successivamente
Sottosegretario alla pubblica
istruzione, vice presidente della
Camera dei deputati e rettore
dell’Università di studi di Padova;
i futuristi Filippo Tommaso
Marinetti e il giornalista Luciano
Nicastro. A fabbricare le strutture
della Scuola collaborò anche un
muratore diciassettenne di Santa
IL PITTORE DEI VESCOVI
È stata recentemente presentata
a Conegliano la monografia sull’opera del pittore vittoriese Elio
Casagrande, stampata dalle Arti
grafiche e curata dallo scrivente.
Contemporaneamente al Museo
diocesano di Vittorio Veneto sono state esposte una cinquantina
di opere tra bozzetti di dipinti
eseguiti nelle chiese, ritratti di
vescovi della nostra diocesi e un
autoritratto dell’artista. Monografia e mostra sono state rese
possibili grazie alla disponibilità
del moglie del pittore Francesca
De Polo.
Elio Casagrande, pittore e restauratore, è nato a San Giacomo di
Veglia nel 1920 ed è morto a Vittorio Veneto nel 2004. Figlio
d’arte, la sua prima formazione è
avvenuta nella bottega del padre
Vittorio (1883-1973), noto pittore e decoratore di tante chiese
del Veneto orientale. Nel 1952 si
è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, sezione pittura
«Cadorin», il grande maestro veneziano al quale era legato da
rapporti di collaborazione e di stima reciproca.
Nell’impianto figurativo ereditato
da tali maestri, egli ha cercato di
innestare il proprio amore per la
cultura classica diventando uno
dei pittori di temi sacri più noti
del Veneto per la capacità di costruzione plastica, oltre alla libertà dell’uso del colore: lo dimostrano certi suoi monumentali af-
MUTUALITÀ
freschi come quelli delle parrocchiali di San Floriano (1953), di
Santa Maria del Meschio (1953),
di Navolè di Gorgo al Monticano
(1956, 200 metri quadrati), di Ramera di Mareno di Piave (195758. 400 metri quadrati), di Fossà
di San Donà di Piave (1961, 240
metri quadrati) e di Col San Martino in Comune di Farra di Soligo
(1995). Particolarmente apprezzata la sua attività di ritrattista
che gli ha valso l’epiteto di «pittore dei vescovi»: ben sette ritratti di vescovi della diocesi vittoriese oltre a quello di papa Giovanni
Paolo II ornano oggi le stanze del
Castello di San Martino.
Nelle opere su tela si segnalano
paesaggi, nature morte, composizioni di flora e fauna eseguite
con grande maestria; tra i numerosi premi e riconoscimenti conseguiti si distingue la medaglia
d’oro del Ministero del turismo e
dello spettacolo alla mostra concorso nazionale di pittura «La
caccia» di Belluno nel 1963.
Membro di associazioni artistiche
(UCAI di Venezia) e accademiche
(Accademia Tiberina), con biografia presente in importanti volumi
d’arte contemporanea, le sue
opere figurano in collezioni pubbliche e private in Italia, Francia,
Svizzera e America.
Alla mostra allestita al Museo
diocesano, oltre ai lavori già citati, erano esposte alcune tra le
opere particolarmente significative della sua vasta produzione: un
nudo femminile, tema più volte
ripreso e risolto in immagini accattivanti nella loro essenzialità
formale; il ritratto dell’amico scultore Carlo Conte in atto di modellare la testina del figlio Ezio, a
evidenziare la sua intensa attività
di ritrattista; una veduta di Piazza
San Marco d Venezia, da cui traspare l’incanto per la struttura architettonica oltre che per i riflessi
di luci dei mosaici; infine un vaso
di fiori, in ricordo di tante fortunate esposizioni con soggetti di
flora e fauna dipinti con maestria
tecnica e qualità coloristiche tali
da suscitare l’ammirazione dello
stesso amico Pietro Annigoni.
GIORGIO MIES
ACCORDO TRA LA NOSTRA BANCA E IL CIT
A BENEFICIO DEI PLESSI SCOLASTICI COMUNALI
per lo sviluppo
DEGLI IMPIANTI FOTOVOLTAICI
34
INSIEME
CON FIDUCIA
È noto che le sinergie tra pubblico e privato producono spesso
frutti copiosi.
Banca della Marca, convinta di
poter dare un’opportunità alle
comunità del suo territorio di
competenza, ha stipulato un
protocollo d’intesa innovativo
con il Consorzio per i servizi di
Igiene del Territorio (C.I.T.) l’Ente
pubblico che coordina 44 Comuni nella gestione dei rifiuti. Il
Consorzio C.I.T. si era posto da
tempo l’obiettivo di collaborare
con i Comuni nell’attivare la realizzazione di impianti che contribuiscano al risparmio energetico ed allo sviluppo eco-sostenibile delle fonti energetiche del
territorio, quali l’installazione di
impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica nei
plessi scolastici di proprietà dei
Comuni consorziati.
Interpellata per una collaborazione, Banca della Marca, sup-
portata anche dell’esperienza
acquisita al suo interno con l’installazione e l’avvio di impianti
fotovoltaici presso la sede di Orsago e la filiale di Santa Lucia di
Piave, ha deciso di porsi come
partner per l’operazione. La decisione assunta dal Consiglio di
Amministrazione trova indirizzo
anche nello Statuto che impone
alla Banca di perseguire l’obiettivo del miglioramento delle condizioni delle comunità locali ove
“
Già installati
pannelli
alla scuola media
«Grava» e agli asili
di Conegliano
„
opera. In data 3 aprile 2008 il
presidente del Consorzio C.I.T.,
senatore Gianpaolo Vallardi, ed
il presidente del Consiglio di amministrazione di Banca della
Marca, Gianpiero Michielin, hanno sottoscritto un atto che regolamenta questa collaborazione.
Nel documento è previsto che la
Banca concede al C.I.T. un
prestito dell’importo complessivo di un milione di euro. Il con-
sorzio, con questa cifra e nel
limite massimo di centomila euro per singolo finanziamento,
potrà sostenere i Comuni consorziati che progetteranno l’installazione di impianti solari fotovoltaici per la produzione di
energia elettrica nei plessi scolastici di loro proprietà.
La durata del finanziamento è di
20 anni e le condizioni applicate
sono estremamente vantaggiose. La concessione del prestito è subordinata al possesso
dell’attestato di ammissione al
contributo/incentivo rilasciato da
GSE S.p.A. per il plesso scolastico oggetto di finanziamento.
Con il perdurare delle ristrettezze
dei bilanci comunali, causate dai
sempre più ridotti trasferimenti
governativi in atto da anni, l’accordo si presenta come una vera
e innovativa opportunità che per-
segue due obiettivi mirati: quello
del contenimento dei costi e
quello del risparmio energetico
con scelte eco-compatibili.
Certo, in tempi in cui si parla di
un ritorno al nucleare, con il costo del greggio altalenante ma
sempre tendente a valori elevati,
con la difficoltà di sopperire alle
carenze di energia attraverso
fonti alternative, questa è stata
una scelta avveduta e lungimirante che va sostenuta ed apprezzata.
Ci auguriamo che le amministrazioni comunali, sempre attente
alla salvaguardia del territorio,
sfruttino questa collaborazione
che, per quanto riguarda Banca
della Marca, si aggiunge al continuo sostegno dato agli Enti locali ed al volontariato che caratterizza la dinamicità del nostro
territorio.
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N. 47 - Banca della Marca