Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—1^ pag.
Capitolo Quattro
PUNIZIONE O SUPERSTIZIONE
La paura nel vedere rientrare Maurilio in quel modo, nel sentirlo singhiozzare sotto
lo scroscio della doccia, come le era parso, i pugni ed i calci sferrati alla porta nel tentativo
di aprirla o perché lui rispondesse, l’averlo poi visto cadere privo di sensi, lo sforzo per
metterlo a letto ed il successivo sfogo di pianto di ambedue, avevano stremato Patrizia.
Si era quindi addormentata per poco più di mezz’ora, sufficiente comunque per
riprendersi perfettamente dalla paura e per ritrovare la calma.
Maurilio, invece, dormiva ancora. Non gli avrebbe chiesto più nulla di ciò che gli era
successo. Dapprima fu certa che lui stesso gliene avrebbe parlato, poi sperò che lui
stesso ne sentisse l’esigenza. Ma non avrebbe ripreso mai più l’argomento del figlio.
Anche lei non era molto convinta sulle contrastanti opinioni sull’inseminazione artificiale.
Si alzò senza fare alcun rumore. Non aveva mangiato, né aveva fame, ma quel
pover’uomo del Dottor Piscopo non era giusto che digiunasse.
Una volta il giardiniere le aveva detto che sarebbe stato bene che qualcuno si
occupasse di far ricoverare quel vecchio in un ospizio per anziani. A lei era dispiaciuto sia
la definizione quasi spregiativa di vecchio, che la proposta di ricovero. Non era né una
parente, né un’amica nel senso comune, ma da quando era rimasto solo gli si era
affezionata. Lei era rimasta orfana giovanissima, poco prima che si sposasse, e Maurilio
non aveva avuto mai dei genitori. Era, infatti, vissuto in un orfanotrofio. Perciò, forse,
aveva in odio gl’istituti ed i ricoveri, per tutto ciò che Maurilio le aveva raccontato. E poi, il
Dottor Piscopo era un ex commerciante che era stato bene finché aveva lavorato; ora, la
pensione non gli era sufficiente neppure per pagare l’acqua. Ne sapeva qualcosa lei, di
acqua. Lì si pagava quanto il vino. Il Consorzio dell’acquedotto dell’Addaura diceva che la
causa era la dispersione, ed era vero, solo che, probabilmente, si trattava della
dispersione di coloro che non risultavano utenti e che perciò potevano consumare acqua a
loro piacimento senza preoccupazione del costo.
Ormai si era attrezzata. Aveva comprato quattro contenitori ermetici per cibi, due li
portava e due li ritirava. Aveva fatto addossare dal giardiniere la scala alta al muro di cinta
del suo giardino, che reggeva la veranda della casa del Dottor Piscopo, e vi saliva ormai
agevolmente. Tirò la cordicella del campanello, per annunziarsi, e salì alla svelta per
evitare che nonno Peppe come voleva che lo chiamasse, affacciandosi potesse
infreddarsi.
Nonno Peppe era diventato il suo consigliere, ma forse di più, il suo confessore. Era
molto comprensivo e saggio. All’inizio, sentendosi in colpa per avere preferito confessare
le sue angosce, i suoi timori e le preoccupazioni a lui e non a Maurilio, ne aveva parlato al
suo vecchio confessore, Padre Dino, che l’aveva rassicurata. Conosceva il Dottor Piscopo
e lo stimava, le aveva detto, era laureato in psicologia ed era uno studioso di teologia. Il
negozio apparteneva alla moglie, ma per aiutarla aveva finito col fare il commerciante
anche lui. Inoltre, certe angosce si scaricano di più parlando con un estraneo che col
marito. Lei si era opposta a tale conclusione, ma ammise soltanto che le era più facile
parlare con Nonno Peppe, perché Maurilio aveva il pensiero immerso nelle sue vicende
romanzesche e non era neppure giusto distrarlo con le sue chiacchiere.
Così, quando Maurilio stava davanti al computer, o le rare volte che usciva da solo
per necessità, o quando gli portava il pranzo, parlava con Nonno Peppe. Gli diceva tutto
ciò che le era capitato quel giorno, in ufficio, per strada ed a casa. Lui non faceva
domande. No, era molto discreto, ma era lei a dirgli tutto e poi lui s’informava sui
particolari più interessanti, quelli che sarebbero divenuti oggetto di approfondimenti, che
l’aiutassero a capire se stessa e gli altri.
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Fido era incaricato di avvertirla quando Maurilio la chiamava o stava per rientrare.
Immancabilmente, il suo latrato l’avvertiva per tempo. Nonno Peppe le aveva appena
aperto la vetrata e s’accorse subito che qualcosa la turbava.
- Che cos’ ha la mia benefattrice?
Ripensò a ciò che le era capitato quel giorno, all’opposizione garbata e da cattolico
di Maurilio alla sua proposta d’inseminazione artificiale e proruppe in pianto.
- Che novità è questa? Non l’ ho mai vista piangere.
- Mi perdoni, - si scusò asciugandosi le lacrime e controllandosi deve essere per la
paura che ho provato.
Raccontò a Nonno Peppe come s’era ritirato Maurilio e tutto ciò che era accaduto
dopo.
Il Dottor Piscopo, pur senza volerlo, stando seduto dietro la vetrata da cui guardava
il giardino bello e particolare della sua benefattrice, le vicine mucche brucare, gli uccelletti,
i corvi, le gazze, le colombe ed i gabbiani sul vicino mare, le navi, i traghetti, le numerose
imbarcazioni da diporto, delle quali, per lo più, conosceva persino i percorsi ed i giorni in
cui venivano adoperate. Senza alcuna intenzionalità, inoltre, s’avvedeva quando lei usciva
e rientrava e quando eccezionalmente usciva il Dottore suo marito. Sapeva che usciva
rarissime volte, sempre in automobile, per non più di una ventina di minuti, giusto il tempo
per andare a comprare le sigarette o qualche altra cosa, o il sabato per giocare la
schedina. Quel giorno, invece, era mancato per molte ore, ed a piedi. Ma non lo avrebbe
mai detto alla cara Patrizia, neppure sotto tortura.
- Io gli ho offerto la scusa per lo stato in cui è rientrato, rimproverandolo di aver fatto
una corsa anziché una passeggiata, come più volte gli ho consigliato, e lui non si è
confidato.
- Perché è una scusa? Non crede che abbia voluto provare a correre?
- No. Perché mai avrebbe sentito l’esigenza di lavarsi, con gli abiti addosso, e...
perché è poi svenuto?
- Quale motivo mai potrebbe esserci da darle pensiero? Provi anche ad ipotizzarlo.
- E’ vero. Pur sembrandomi un comportamento strano, non riesco a supporre un
motivo qualsiasi.
- Né mai lo troverà. Suo marito è uno scrittore, un vero scrittore. Non mi fa forse
leggere tutti i suoi libri? Abbia fiducia, è un ottimo scrittore, ne ho letti molti romanzi, lei sa
che sono ammalato di lettura, ebbene, i romanzi di suo marito sono originalissimi. Ogni
suo libro è nell’insieme un saggio politico, un trattato di sociologia, un avvincente giallo, o
una commedia gustosa. E dove vuole che prenda gli spunti per tutto ciò? Non viaggia, non
esce, non ha contatti sociali, eppure nei suoi romanzi vi sono molti personaggi diversi per
aspetto, per carattere, per cultura eccetera, eccetera. Egli sperimenta in sé tutto ciò che
può, immagina ciò che non riesce a sperimentare, arguisce ciò che non giunge ad
immaginare, deduce da particolari, da sfumature che noi non cogliamo. E’ un registratore
d’immagini, di suoni e di eventi, molto più sensibile di un perfetto macchinario della più
recente tecnologia, perché registra anche sensazioni e sentimenti. Immerso nei suoi
pensieri, vivendo in un tempo e tra personaggi di migliaia di anni fa, avrà sentito, oggi,
l’esigenza di provare delle sensazioni, delle esperienze, delle fatiche simili a quelle
provate dai personaggi che sta descrivendo e sarà andato qui sopra, in montagna, nelle
grotte dell’Addaura, dove ritrova i luoghi originari, non intaccati dalla civilizzazione, in cui
può rivivere la vicenda che sta scrivendo.
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- E’ vero. Non ci avevo pensato. Grazie Nonno Peppe, grazie.
Tuttavia, v’era qualche altra cosa che la corrucciava, ed a Nonno Peppe non
sfuggiva.
Patrizia gliene avrebbe voluto parlare, avrebbe voluto avere il suo parere più che
sullo stupido fatto della corsa e della doccia coi vestiti, ma non aveva detto a nessuno
della propria sterilità ed il pudore glielo impediva. Qualche altra volta, senza confidare quel
segreto che aveva promesso a Maurilio di non svelare ad alcuno, magari commentando
qualche fatto di cronaca, avrebbe cercato di sapere che ne pensasse dell’inseminazione
artificiale.
Fido stava abbaiando, segno che Maurilio s’era svegliato o che la chiamava.
- Nonno Peppe, debbo lasciarla. Grazie...
- Grazie a te figliuola.
Patrizia rientrò a casa più serena. Anche Maurilio lo era, lei se ne avvide e ne fu
felice.
Il mattino successivo, Maurilio avrebbe voluto non seguire, come al solito, passo
passo il prepararsi di Patrizia per andare in ufficio, né accompagnarla nel viale, accendere
il motore della sua automobile, né avere, insomma verso di lei quelle tante piccole
attenzioni di ogni giorno che da anni evidenziavano il loro patetico, ma sincero,
temporaneo distacco. Eseguì, tuttavia, ogni fase di ciò che soltanto quel giorno stava
considerando una quotidiana prassi, per non insospettirla. Pensò proprio così, disse a se
stesso proprio per non insospettirla, e si preoccupò di avere nominato mentalmente con
freddo pronome colei che per ogni istante della loro unione era stata la sua cara Patty.
Era il rimorso, era la paura di affrontare il suo sguardo, la pena di evocare il suo
tradimento che operava proprio come non avrebbe voluto. Da un canto era tentato di
confessarle tutto, mentre invece taceva perché non avrebbe resistito a vedere gli effetti del
dolore che le avrebbe arrecato. Sfuggì, quindi, ad ogni sguardo di lei e non osò neppure
guardare l’automobile che si allontanava.
Era rimasto solo, come ogni giorno, ma ben diversamente da prima. Ora, era
davvero solo, giacché persino davanti a Fido ed a Bobo evitava di pensare a lei, nel timore
che anch’essi potessero guardarlo con rimprovero. Sorrise, o meglio ghignò a quel
pensiero e sfidò gli occhi del cane e del gatto. Non lo degnarono minimamente di
attenzione. Li carezzò sulla testa. Nulla, anzi si allontanarono con sdegnosa alterigia o
addirittura con disprezzo.
Mogio, mogio, stava salendo le scale per andare nello studio. Si fermò a metà. Quel
mattino, per la prima volta, non s’era inginocchiato davanti alla statua della sua madonna
e non aveva recitato le quotidiane preghiere: due Ave e due Padre Nostro. Non ne
conosceva altre, se non quelle che mentalmente lui stesso aveva composte.
Era tentato di tralasciare per quella volta. Si sentiva eccessivamente in colpa per
accostarsi alla purezza di Maria. Ma, tra il timore inconfessato ed irrazionale di una
maggiore punizione divina e la riflessione che fosse più che mai bisognoso di perdono,
ridiscese le scale ed andò a pregare.
Ogni mattina, mentre pregava in ginocchio, sia il cane che il gatto gli stavano a
rispettosa distanza, ambedue accucciati nel tipico modo della loro rispettiva razza,
guardandolo in uno strano modo del tutto diverso dal solito, quasi capissero la solennità
dei suoi gesti. Ora, invece, erano rimasti imperturbati, girati dall’altro lato, nella stessa
irriverente posizione.
Disse le orazioni senza riflettere a ciò che diceva; le ripeté quindi badando al senso
delle parole. Poi, al momento di baciare la mano protesa della Madonna ed i piedini del
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Bambino Gesù, freddi come sempre, nonostante la quotidiana irrazionale quanto profonda
aspettativa di sentirne invece un umano tepore, si rimproverò di feticismo, idolatria o,
quanto meno, di superstizione per i suoi sentimenti di timore e di speranza insieme del suo
senso di religiosità.
Davanti allo schermo del suo computer, ancora una volta si lavò l’animo con lacrime
di pentimento.
Volendo immergersi immediatamente nella vicenda del romanzo, non rilesse come
di consueto gli ultimi paragrafi.
Eha, precedendolo di qualche passo, di tanto in tanto si fermava e gli dava la mano,
al contrario del giorno prima, quando Eho l’aveva portata nella sua grotta. La vicinanza
della probabile nativa abitazione rendeva lei più sicura e lui, invece, bisognoso di aiuto nel
salire i naturali terrazzamenti del terreno.
Camminavano già da tanto, che il sole s’era spostato girando visibilmente l’ombra
delle piante, finché videro un fumo di phoo alzarsi da un antro. Eha lo tirò ancora di più per
fargli intendere che voleva che corresse. Negli ultimi metri lo precedette maggiormente e
si lanciò ad abbracciare una come lei, ma più alta, chiamandola più volte “Ma, Ma”.
Appena Ma si volse verso di lui, Eho rivide colei che nel suo sogno lo aveva nutrito
coi succhi più buoni. In verità non era identica, egli la ricordava coi capelli come il sole,
mentre questa li aveva in parte come la neve.
Nella grotta v’era un fosso con un phoo che Ma manteneva vivo, a cui si riscaldò,
ridendo e saltando assieme ad Eha.
Eha e Ma ripetevano tanti suoni diversi con la bocca e pareva che si capissero. Lui
le guardava ed intendeva soltanto quando sentiva dir loro Eho Eho.
Allora Ma, accorgendosi che lui non capiva, gli si accostò, gli toccò il viso e
cominciò ad insegnargli quei suoni indicandogli ogni rispettivo oggetto.
Poi mangiarono frutti freschi ch’egli non conosceva ed altri secchi, come caduti
dall’albero da molto tempo, ma buoni e dolci, e carne calda di phoo.
Quando il sole si nascose dietro la montagna, venne uno come lui, alto, grosso e
peloso, assieme ad uno strano animale che lo precedeva come se conoscesse meglio la
via della grotta, che Eha chiamava rispettivamente Pa l’uno e Cuan l’altro.
Pa sembrò contento di ritrovare Eha ed anche di vedere lui. Gli faceva quei versi
che ancora non capiva, ma che con l’aiuto di Eha gli riuscì in parte di comprendere.
La grotta era molto calda, perché non facevano mai spegnere il phoo, neppure nella
notte.
Pa e Ma dormirono insieme e lui dormì con Eha. Si toccarono a lungo finché stanchi
si addormentarono.
Era inevitabile a quel punto che Maurilio ripensasse a Lidia.
Smise infatti di scrivere e ripensò a tutto ciò che gli era accaduto il giorno prima.
Guardò il telefono e lo maledisse, senza di esso, infatti, la sua vita si sarebbe svolta
normalmente e meglio di prima, grazie al denaro che aveva versato.
Qualunque altro uomo al posto suo avrebbe continuato a vivere normalmente, e
forse più contento per l’avventura avuta, ma lui non capiva perché mai l’uomo dovesse
sentirsi più soddisfatto da un rapporto sessuale con una donna diversa dalla moglie.
Eppure, analizzandosi, anch’egli aveva provato quella sensazione di maggiore
virilità nel sentirsi desiderato, tanto che la lusinga di quel meraviglioso corpo di Lidia era
divenuta esigenza di rapporto sessuale, quindi piacere. Ma, come può esser piacere ciò
che infine preoccupa, dà il senso di colpa, di ambiguità e di tradimento?
Tali contrastanti sentimenti dovevano avere origine diversa e lui, che voleva
scrivere un romanzo sui sentimenti, sulle abitudini e su tutto ciò che originariamente era
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connesso con la vita degli uomini primitivi, doveva sviscerarli, selezionarli ed analizzarli,
con l’intento di uno scienziato che opera sulle cavie.
Non doveva nascondere a se stesso, dunque, di avere provato un piacere molto più
intenso, facendo l’amore con Lidia, di quello che provava ogni giorno con la sua Patrizia.
Che scoperta! Disse a se stesso. Da millenni l’uomo ha avuto rapporti sessuali con
donne diverse e viceversa, segno evidente che la diversità del rapporto influisce sul grado
di piacere. Ciò poteva avere soltanto il significato che tale istinto era da paragonare
all’appetito del cibo ed all’esigenza di varietà di esso come stimolo per l’appetito stesso,
affinché l’essere umano continuasse a vivere ed a perpetuare la specie. Erano quindi
esigenze connaturate che non si erano estinte neppure con il sorgere di altre esigenze di
carattere sociale. Ma potevano queste, e soprattutto dovevano prevalere su quelle? E qui
s’innesta l’altra civilizzazione perfezionata dal sorgere degli obblighi morali, a cui, proprio
lui, per libera scelta, per convinzione e fede doveva esser tenuto.
E che ne era dell’altro suo diritto naturale di perpetuare la specie? Era una giusta
analisi, od il tentativo, ancora una volta, di autogiustificarsi? Forse ambedue rispondevano
alle sue esigenze. E poi, per il suo diritto naturale, era utile la riflessione ch’egli non era
andato affatto alla ricerca di una maggiore o migliore soddisfazione, né tanto meno di
ottemperare al bisogno di perpetuare la sua specie?
In quell’istante gracchiò il citofono, ma egli guardò allarmato il telefono. Al secondo
gracidio si rese conto che v’era qualcuno al cancello.
Era il solito postino che gli notificò quattro raccomandate. Il brav’uomo, ritenendo di
potere scambiare quattro chiacchiere come nei giorni precedenti, s’era preparato qualche
frase più elegante e più colta, che avrebbe proferito per qualunque argomento avessero
trattato, ma resosi conto che doveva aver disturbato lo scrittore nel suo lavoro, lo ossequiò
e ripartì.
Maurilio aperse distrattamente le raccomandate. Erano avvisi di mora del Servizio
di Riscossione Tributi, per un totale di sei milioni quattrocentosettantamila lire.
Ecco, disse a se stesso, ora ho la prova di essermi dimostrato indegno dell’aiuto
divino. Poi si dette del fanatico e poi di nuovo rifletté che l’importo del debito per le imposte
era pari, con esattezza, alla somma eccedente la scopertura bancaria. Ciò non poteva che
avere il significato che veniva punito lui, e non già anche l’incolpevole Patrizia.
No, quella non era fede, né religiosità, né fanatismo mistico, ma rozza
superstizione.
Eppure si dibatté tra quei pensieri contrastanti, davanti al video acceso, che
periodicamente si oscurava facendo oscillare l’immagine di un orologio a pendolo per
ricordargli l’inutilità di tenerlo acceso, o forse la sua incapacità di continuare a scrivere,
finché stanco gli ubbidì.
Doveva esser rimasto delle ore a rimuginare inutili pensieri, giacché presto gli
pervenne il suono del clacson dell’automobile di Patrizia.
Scese con occhi spenti ed animo mortificato a farle l’incontro.
- Non ti meravigli di vedermi così presto?
Guardò l’orologio; erano le tredici e trenta.
- Come mai? - Le domandò cercando di fingere piacevole sorpresa.
- Andiamo, ora ti racconto. Qualche ora fa è venuto a cercarmi, nel mio ufficio,
indovina chi? non lo indovinerai mai, il Direttore del Centro Elettronico.
- A cercare te? - Le domandò retoricamente con sbalordimento per compiacerla.
- Proprio lui, accompagnato da un signore che, l’ ho saputo dopo, è il più importante
cliente della Banca. Il suo cognome non mi era nuovo, ma non lo conoscevo. Il Direttore,
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dopo avermi lodata ed avermi riferito che prestissimo avrei ricevuto la promozione per quel
fatto del quale ti ho già parlato, ci lasciò raccomandandomi vivamente quel suo amico e di
uscire prima dall’Ufficio per parlare con te.
- Con me? E che rapporti ho con il tuo ufficio?
- Aspetta che ci arrivo; anch’io non capii che cosa c’entrassi tu, ma me lo chiarì
subito quel cliente importante. Ecco perché il suo cognome non mi era nuovo. Si chiama
Benetti ...
A questo punto Maurilio la seguì soltanto con gli occhi. Non l’ascoltava più. Nella
mente aveva un guazzabuglio di pensieri diversi: istintivamente avrebbe voluto zittirla
bruscamente, poi fu sul punto di dirle la verità, quindi si maledisse e ritenne più opportuno
non arrecarle maggiore male, finché fu assolutamente incapace di fissare un solo pensiero
e di analizzarlo, come se fosse stato ubriaco.
Patrizia non si accorse di quel turbamento, intenta a raccontare i particolari di quel
colloquio e felice della richiesta che le veniva fatta d’intervenire su suo marito perché
accettasse.
Maurilio percepì a stento le ultime parole: “ ...affinché ti convinca ad accettare.”
- Che cosa dovrei accettare?
- Oh Maurilio! Come al solito tu non mi ascolti. Ma la colpa è mia, avrei dovuto
aspettare che t’immergessi le mani nell’acqua. Su, fallo ora.
- Non ce n’è affatto bisogno!
- Va bene, non t’innervosire. Ma, hai capito chi è quel signore importante? E’
Benetti, il padre della nostra amica, la compagna di liceo.
- Nostra amica? Veramente ricordo che non potevi soffrirla.
- Allora diciamo la verità, era lei che non sopportava la mia presenza perché s’era
invaghita di te e lo sapeva tutto il liceo, mentre noi non ci allontanavamo l’uno dall’altro per
nessun motivo, tanto più che sapevo che lei ti andava cercando.
Maurilio ammutolì. Il sentimento di Lidia era dunque non solo sincero, ma anche
antico. Si dispiacque di non averle creduto. Ma che cosa andava farneticando? Che cosa
gl’importava mai di quel sentimento? Ora doveva ricorrere ai ripari, prima che
compromettesse definitivamente la tranquillità della sua famiglia, più di quanto avesse già
fatto.
- Lasciamo stare comunque quei ricordi. - Continuò Patrizia. - Oggi siamo cresciuti,
noi siamo sposati e lei, poverina, ha subito da recente la morte del marito. Ora sei
presente?
- Mi credi forse pazzo?
Lo disse con tono talmente adirato ed insolito che Patrizia stava per piangere.
Quante volte gli aveva posto scherzosamente quella domanda prima di riferirgli qualcosa,
vedendolo ancora immerso col pensiero nella vicenda che stava scrivendo, eppure mai si
era adirato, anzi aveva sempre seguito ubbidientemente il suo consiglio di rinfrescarsi le
mani od il viso.
Perché mai ora, si domandava Maurilio, stava diventando intollerante e
suscettibile? Era così che voleva alleviarle la pena del suo tradimento? Non era forse
preferibile a tale comportamento, che chissà quanto sarebbe stato in grado di mutare,
arrecarle, forse, un male maggiore, ma per una sola volta, dicendole la verità con la quale
avrebbe reso quasi impossibile un altro errore?
- Scusami. - Disse lei invece.
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No, era troppo. L’aveva portata a scusarsi, lei, lei che invece aveva tanto da
perdonargli. L’abbracciò e la baciò su una guancia.
- E’ tornato il mio Mau. Perché da qualche giorno sei nervoso? Se quel romanzo
che stai scrivendo è così difficile o faticoso, rinvialo ad un altro periodo. Lo hai fatto con
altri romanzi e poi mi hai detto che avevi fatto bene a sospendere di scriverli. Ora posso
dirti in che cosa consiste il mio intervento nei tuoi confronti? Comunque, se sei impegnato,
rinunziaci pure, troveremo una scusa o diremo semplicemente che sei troppo impegnato.
Dunque...Lidia Benetti, come ti ho detto, è vedova da alcuni mesi. Il padre, essendo il
proprietario di una delle più importanti fabbriche di componenti elettronici, desiderando
affidarne la direzione alla figlia, ancora prima che le morisse il marito, l’aveva convinta a
riprendere gli studi per laurearsi. Lidia, un po’ per ubbidienza ed un po’ per orgoglio nei
confronti dei loro dipendenti che, a quanto dice il signor Benetti, sono tutti laureati, si dette
tutte le materie. Ora, per laurearsi, le manca soltanto di presentare e discutere la tesi che
ha come titolo “ La gobba di Leopardi”. Non volevo crederci che fosse il vero titolo. Non ti
sembra ridicolo? Ora, checché tu ne pensi, ricordandosi della tua fama di scrittore e che io
ero dipendente della banca dove suo padre tiene la maggior parte dei depositi, temendo
che tu non accettassi di farle la tesi, ha mandato suo padre a parlare col mio Direttore,
affinché io ti convinca ad accettare l’incarico. Ascolta, non ho finito. Il signor Benetti, con
tutto il denaro che ha, questo lo dico io, potrebbe far fare la tesi di sua figlia ad uno dei
tanti professori che segretamente fanno questo mestiere, ma lui non lo vuole, non solo
perché teme che si possa scoprire, ma soprattutto perché è sicuro che se la tesi accetterai
di farla tu, Lidia si laureerà a pieni voti e con diritto alla pubblicazione della tesi. Ciò, è
convinto, sarà per lei un incoraggiamento ed un lancio come dirigente d’azienda. Inoltre,
non ho ancora finito, il signor Benetti, rendendosi conto della preziosità del tuo tempo, ti
offre come compenso una somma pari al totale dei diritti di autore che hai percepito fino
ad oggi per la tua ultima pubblicazione. Ovviamente vuole sapere soltanto l’importo e non
pretende certo un riscontro documentale. Che te ne pare?
Maurilio sorrise quanto più spontaneamente poté. Soltanto lui poteva sapere quanto
fosse enigmatico quel suo sorriso. Era in trappola. Non poteva rifiutare un’offerta di lavoro
così lautamente retribuita, né accettarla senza il rischio di distruggere la sua famiglia. Egli
amava Patrizia e non l’avrebbe più tradita. Era accaduto quel giorno soltanto per
inesperienza, perché anche per i sensi è necessaria l’esperienza per saperli governare.
Sì, avrebbe accettato per non sentirsi un eterno disoccupato, per dar prova della sua
abilità di scrittore, per potere donare a Patrizia qualcosa di più del suo amore, e per dar
prova a se stesso che, come uomo e come cattolico, aveva la capacità di rinunziare a certi
piaceri illeciti. Non aveva scritto egli stesso che non v’è virtù senza tentazione, a proposito
delle monache di clausura? O forse era bravo soltanto a scrivere in che cosa consiste il
buon comportamento civile, sociale e morale, come i legislatori che, quali autori delle
leggi, si sentono in diritto di violarle?
- Accetto, ma a condizione che mi lascino libero di lavorare qui fino alla stesura
definitiva della tesi. Sia chiaro che qui non voglio vedere nessuno, né il padre, né la figlia,
e che provvederò io a farle pervenire il lavoro perché se lo studi.
Patrizia ne fu felicissima. Ricordava quanto Lidia era bella e, non molto tempo fa, le
avevano detto che lo era diventata ancor più. Non era mai stata gelosa, forse perché non
era mai stata sfiorata dal dubbio che Maurilio potesse essere interessato ad un’altra
donna. Tuttavia, una piccola e breve esitazione l’aveva avuta quando il signor Benetti le
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aveva fatto la proposta. Per un istante aveva visto il suo Maurilio, di mattina, solo, accanto
alla vistosa e raffinata bellezza di Lidia ed il cuore le era sussultato. Ora si pentiva di quel
piccolo dubbio e della sua lieve mancanza di fiducia. Maurilio era impareggiabile. Nessun
uomo era come lui, nessuno. Lo amava tanto intensamente che spesso, trovandoselo
accanto, buono, comprensivo, dedito soltanto ai suoi libri ed a lei, si commuoveva per la
grazia che Dio le concedeva. Niente la interessava più di Maurilio, né pellicce, né
divertimenti, e persino la preoccupazione per i debiti le era sempre sembrata un costo
doveroso per la sua felicità. Che meraviglioso marito era! Aveva cura persino di non darle
motivo d’essere anche inutilmente e scioccamente gelosa. Era sicura che era questa la
motivazione di non essere disturbato durante la stesura della tesi. Lo conosceva bene. Se
non fosse stato per ciò, avrebbe invece desiderato costantemente la conferma che il suo
lavoro veniva apprezzato, leggendolo, rileggendolo e commentandolo con l’interessata.
Non era un insicuro, ma come tutti gli artisti aveva bisogno della conferma del suo valore.
A volte, quando in ufficio le raccontavano delle cattiverie, dell’insensibilità, dei tradimenti,
della meschinità dei loro mariti e delle loro mogli, e ne parlavano come se fosse
inevitabile, ineluttabile in ogni coppia quel tipo di rapporto coniugale, che lei invece
considerava tanto abominevole quanto aberrante, aveva la tentazione di parlare del suo
Maurilio e di quanto fosse meraviglioso stargli accanto ogni giorno ed ogni minuto. Invece
non ne parlava a nessuno, non solo perché non sarebbe stata creduta, ma perché le
sarebbe sembrato di parlare di dolci a chi fosse affamato di pane.
Era là il suo Maurilio, col suo tipico sguardo assente o come rivolto dentro di sé,
sicuramente già immerso col pensiero alla tesi, e lei era certa che, con le riflessioni di
quell’istante, appena si fosse seduto al computer, avrebbe scritto di getto almeno una
decina di pagine. Se lo abbracciò e lo baciò come se gli dovesse costantemente rinnovare
la gratitudine di esistere.
All’improvviso, gli si rivolse quasi pensando ad alta voce.
- Non possiamo certo dirle che non la vuoi a casa nostra!
- Le dirai che la presenza di estranei mi disturba.
- Non so...potrebbe pensare che...
Si vergognò di completare la frase, le sembrò persino offensivo.
- Non m’interessa ciò che può pensare. Dille o falle capire che qui non la voglio.
Non era mai stato tanto perentorio. Forse aveva sbagliato lei nel riferirgli che
quando erano al liceo Lidia s’era invaghita di lui. Possibile che non lo sapesse e che
l’averlo appreso ora lo turbasse? O... . Serrò gli occhi per scacciare il pensiero e si disse
mille volte stupida.
Maurilio invece aveva in mente una scena da vecchio melodramma: Lidia che
lodava il suo lavoro finito e lui, con spocchia, strappando l’assegno del padre, che le
diceva : “ Tieniti il tuo denaro, non ne ho bisogno! “ . Ed invece ne aveva, e quanto!
Patrizia non aveva voluto neppure pronunziare la parola gelosia, che mai era stata
detta tra di loro, ma rimaneva perplessa su come avrebbe dovuto far capire a Lidia che
Maurilio non voleva che venisse a casa. Eppure avrebbe dovuto dirglielo. Oppure no.
Quante volte era accaduto che dopo essersi rifiutato di fare qualcosa, lei poi, cogliendo il
momento più opportuno, era riuscita a convincerlo? Anche questa volta avrebbe potuto
usare la stessa tattica.
- Non ho capito perché il Direttore ti ha dato il permesso di uscire subito dall’ufficio.
Non che mi dispiaccia, ma avrà avuto una ragione.
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—8^ pag.
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—9^ pag.
- Perché sono una chiacchierona e dimentico di riferire l’essenziale. Perché il signor
Benetti desidera che incominciate subito il lavoro. Alle sedici, infatti, viene Lidia con
l’autista per portarti i volumi della bibliografia. Magari, dopo, potrai dirle che gradisci
lavorare da solo.
- Questa è arroganza. Viene direttamente, prima che abbia accettato il lavoro.
- No, questo no. Ho detto che se tu non l’avessi potuto accettare gli avrei telefonato
al cellulare, di cui mi ha dato il numero, giacché Lidia tornerà a casa proprio verso le
sedici. Abita qui, a Mondello.
Un’altra trappola, pensò Maurilio, come la prima volta. Era davvero arroganza,
sicurezza di ottenere ciò che voleva. Ma questa volta non correva pericolo alcuno. Venisse
pure, con Patrizia accanto era sicuro di poterla trattare con freddezza, anzi, con fredda
superiorità professionale.
- Va bene, anche se sono convinto che è arroganza.
Stette un momento senza parlare, poi cercò di aprire il dialogo con Patrizia, come
se non avesse nulla da farsi perdonare e non fosse accaduto nulla che potesse modificare
il loro rapporto.
- Sai, mi piacerebbe poter dire al signor Benetti : “ Si tenga il suo denaro, non ne ho
bisogno”. - E nel dire ciò aveva cambiato il timbro della voce, rendendolo un po’ rauco,
come se provenisse da un uomo alto, grosso e forte.
- Mi scusi, - Proseguì il giuoco Patrizia cambiando pure lei voce, - non volevo
offenderla compensando il suo inestimabile lavoro con il vile denaro. Come posso
dimostrarle la mia gratitudine?
- Assumendo cinque operai di famiglie bisognose. - Poi Maurilio, con la sua voce
normale, aggiunse: - In questo caso, per primo assumerebbe me.
- Ma su che non siamo così bisognosi! E poi, desidereresti davvero non farti
pagare?
- Forse sì. Probabilmente perché mi danno fastidio i ricchi. Sono convinti che con il
denaro possono ottenere tutto.
- E’ la solita riflessione, mio caro, tutto forse no, ma quasi tutto sì.
- Ed è proprio ciò che mi da fastidio. Noi poveri compriamo i prodotti, loro hanno
l’impressione di comprare assieme al prodotto anche il produttore. Sanno di avere nel
capitale una forza che è innaturale, perché è artificiosa, creata dall’uomo e non dalla
natura, e se ne servono per modificare la natura stessa ed il suo ordine. La tua banca, ad
esempio, non dà denaro a chi ne ha bisogno, non solo per potere vendere il denaro a
maggiore prezzo, ma per acquisire potere sui richiedenti, giacché la loro debolezza fa
crescere la sua forza. Al ricco non serve più il denaro, non ne trae più né gioia, né
soddisfazione, gli serve il potere da cui ottiene servilismo e rispetto. E’ il meno degli altri
che crea il suo più. Perciò vorrei non farmi pagare. Vorrei potergli dimostrare che valgo di
più, perché sono diventato migliore e che lui non è migliore perché ha di più. Perché mai
Lidia deve potersi servire dell’autista per venire qui, mentre tu questa mattina tremavi di
freddo e si vedeva che non avevi proprio voglia di andare in ufficio? Non siamo figli dello
stesso Dio? O forse loro hanno ereditato dal Creatore più di noi, come se fossimo figli non
riconosciuti o illegittimi?
- Placa la tua ira, o Menelao, e vieni a darmi una mano in cucina prima che giunga
Elena. - Gli disse soltanto per avere compagnia, imitando il tono solenne da recita e senza
pensare affatto che Elena era la moglie di Menelao.
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—9^ pag.
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—10^ pag.
Ma, come non v’è chi vuole aver più ragione di colui che sa d’essere in torto, così il
malizioso scambia l’innocenza per astuzia.
- Va bene, mi placo, ma qui, di Troia, non ne voglio alcuna.
- Sai che è la prima volta che ti sento fare una battuta equivoca e volgaruccia?
Piuttosto, quanto chiederai, cento trenta o cento cinquanta milioni?
- Sei folle; per una tesi?
- Il signor Benetti ha detto quanto hai percepito per diritti d’autore per l’ultima
pubblicazione, e se v’includi...
- Può dire ciò che vuole. Non intendo essere disonesto. Al massimo potrò chiedere
quattro, cinque milioni.
- Forse hai ragione, ma lui...
- Lui vuole comprare me, non il mio lavoro. E’ meglio, comunque, che tu non te ne
occupi.
- Certamente. Mi ero illusa che avremmo ottenuto quella cifra. Però, poiché qualche
milione non cambia la nostra vita, tanto vale che gliela regali.
- Avevo pensato che, per Natale...
- Lo so. Tu hai la fissazione di comprarmi la pelliccia, è inutile che fai il burbero, non
ti credo. Non la voglio. Quest’anno la pelliccia la vuole lo Stato, ho visto che sono arrivate
delle tasse da pagare. Lo pensi? Avremmo potuto quasi estinguere il mutuo.
- Ribatti?
- No. Orso cattivo, fai come credi.
Maurilio, dapprima fu soddisfatto dell’andamento di quel colloquio con Patrizia. Per
la prima volta, infatti, era riuscito a far valere la sua opinione. Fra di loro non c’era mai
stato un vero conflitto di opinioni; anzi, entrambi erano convinti che, la causa primaria dei
dissensi familiari che incrinano maggiormente il rapporto matrimoniale, fosse proprio il
tentativo di prevalenza delle opinioni di ciascun coniuge. Subito dopo, però, pensando che
Lidia o la sua tesi potesse far sorgere il primo conflitto con Patrizia, le si accostò da dietro,
mentre stava ai fornelli, la cinse con le braccia e le sussurrò all’orecchio:
- Non sarà né Lidia, né il denaro di suo padre che ci farà litigare. Chiederò quanto
vorrai tu, anche un miliardo.
- Lo chiediamo davvero? Che ne dici? Immagina che faccia farebbe Lidia ed il mio
Direttore se venisse a saperlo. O ti prenderebbero per matto, oppure, chissà, avrebbero
un’opinione di te anche più alta di quella che hanno ora. Lo sai che vi sono persone che
giudicano il valore di un prodotto dal prezzo?
- Ebbene, allora chiederò un miliardo.
- Oh, se fosse possibile! Mi manderesti più in ufficio?
- Certamente. Non dimenticare che il ricco sarei io. Ahi! Il tuo gomito è più puntuto
di una freccia.
- E ben ti stia! - Gli disse girandosi ancora tra le sue braccia e prendendogli il naso
tra l’indice ed il medio. - Lo dici più che saresti tu solo il ricco?
- No, no, lasciami il naso, che è l’unico elemento perfetto della mia faccia.
In effetti il naso di Maurilio aveva una linea perfetta ed era ben proporzionato al
volto.
Patrizia in quell’istante sbruffò a ridere.
- Perché ridi ? Non è forse vero che è perfetto?
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—10^ pag.
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—11^ pag.
- Sì, è vero, narcisista! ma rido per ciò che mi ha detto Marina, la mia collega. La
conosci anche tu, quella che si è sposata il mese scorso per la quarta volta. Non
indovineresti mai perché ha sposato l’ultimo marito. Lo ha scelto proprio perché ha il naso
lungo e grosso.
- Ognuno ha i suoi gusti.
- Sapevo che anche tu non avresti capito che la misura del naso indica tutt’altro.
- Beh, Cirano attribuiva tanti pregi alla lunghezza del suo, Marina quale gliene fa
derivare?
Patrizia fece chinare Maurilio e glielo sussurrò all’orecchio, come se temesse di
essere sentita da estranei.
- E’ una grande sporcacciona e deve averne conosciuti tanti, di nasi, per farne una
statistica.
Continuarono a ridere e scherzare, come accadeva loro ogni sabato, facendo
progetti con la schedina giocata.
Patrizia aveva dimenticato i suoi dubbi per ciò che era accaduto il giorno prima, ed
anche Maurilio si sentiva meno colpevole.
L’amore, si disse, mentre spensieratamente pranzavano imboccandosi l’un l’altro le
parti migliori, è tutt’altro che il solo atto sessuale, che di per sé è paragonabile ad uno
starnuto, ad uno sbadiglio, ad un colpo di tosse, o, se si vuole, al bere od al defecare. Ciò
che lo rende importante è il sentimento ed il fine con il quale viene compiuto. Quello che
faceva con la sua Patrizia era carico di sentimento e carente di fine. Eppure non era vero,
aveva come fine la speranza cattolica dell’intervento divino e la certezza laica di rinnovare
l’amore. Invece, quello eseguito con Lidia era stato carente di sentimento e carico di
timore del fine più naturale.
- Ti sei macchiata la camicia, andiamo sopra e te la faccio cambiare.
Mentre salivano gracchiò il citofono.
- Non c’è tempo,- disse Maurilio - vai ad aprire.
- Che aspetti. Non ti farò mai vedere con la camicia sporca.
Poteva essere insignificante quell’ultima frase di Patrizia, o magari segno di
orgoglio di moglie che tiene a far notare con quanta cura si dedichi al marito, o timore
d’essere mal giudicata da un’altra donna; per Maurilio, era invece una delle prove di
amore che giungevano fino alla trascuratezza di se stessa per l’eccesso di cura nei
riguardi di lui, perciò tali osservazioni lo facevano sentire ancor più colpevole di non
sapere ricambiare né tanto amore, né tante attenzioni.
Per indossare la camicia e lavarsi tardò a scendere una decina di minuti. Trovò
Patrizia che ammirava con sincerità il bellissimo abito, la pelliccia e persino le scarpe di
Lidia.
Ciò aveva reso più facile a Lidia ed a Maurilio comportarsi come se s’incontrassero
per la prima volta dopo tanti anni. Tuttavia a Maurilio stava dando fastidio l’ammirazione
che sua moglie mostrava per l’abbigliamento dell’ospite, ma Patrizia era così, talmente
priva di malizia e d’invidia e così sincera da non capire che non tutte le donne erano
meritevoli dei suoi apprezzamenti.
Altre volte le aveva fatto notare che in tal modo metteva eccessivamente in
evidenza la modestia del suo vestiario, sollecitando, di conseguenza, un immotivato senso
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—11^ pag.
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—12^ pag.
di superiorità nei suoi confronti. Ma, sebbene avesse riconosciuto la validità delle sue
osservazioni, la sua semplicità aveva sempre avuto il sopravvento su qualunque altro
calcolo psicologico.
Era altresì evidente che Lidia era imbarazzata, non già dai complimenti, ma dalla
stessa sincerità di Patrizia, che la stava accogliendo molto amichevolmente, dimostrando
di non nutrire alcun risentimento per quanto invece aveva subito da lei negli anni di liceo.
Maurilio, quindi, seduto in disparte, osservava il palese stupore di Lidia.
Probabilmente s’era preparata a mortificare la modesta Patrizia ed invece ne usciva
sconfitta dalla sua semplicità. Era la prova che l’evidente fragilità, spesso è una forza
ignota, che la stessa ricchezza non è preparata a contrastare e, forse, neppure a
sconfiggere.
E giunse il momento in cui Patrizia si rese conto che doveva cambiare argomento.
- Andate nello studio a parlare della tesi, Lidia mi scuserà se completo i lavori
domestici.
- Preferisco rimanere qui. - Disse Maurilio.
- Ma no, - insistette Patrizia - vi disturberei entrando ed uscendo in continuazione.
Malvolentieri, quindi, Maurilio condusse l’ospite nello studio.
- Non era necessario che ricorressi a tuo padre ed al Direttore di Patrizia.
- Non l’ ho voluto io. Papà sapeva della mia intenzione di far fare a te la tesi, ma
quando gli ho detto che non avresti accettato, è intervenuto nel modo che sai. Tuttavia, se
ti è di disturbo, troverò come fare altrimenti.
Lidia stava parlando con voce tremolante. Non era possibile che fingesse fino a
quel punto. Era evidente l’imbarazzo di trovarsi lì, il dispiacere per l’interferenza di suo
padre ed il malcelato piacere di avere l’occasione di stare con lui.
- Non vorrei essere scortese con un rifiuto netto, né mentire su quanto sono
allettato dal lusinghevole incarico e dalla prospettiva del guadagno. Mi ero imposto di non
parlare in tal modo, ma non so essere falso.
- Conosco l’offerta di mio padre e la ritengo giusta...
- Io no. - La interruppe bruscamente Maurilio.
- Puoi dirmi liberamente quale compenso richiedi e sono sicura che mio padre lo
pagherà.
- No, mi hai frainteso. Tuo padre mi ha offerto l’importo complessivo dei diritti di
autore che ho percepito per l’ultima pubblicazione, che è di circa centocinquanta milioni,
mentre io invece ritengo che per la tesi non posso richiedere più di cinque milioni. Debbo
aggiungere, però, che per tale esiguo guadagno preferirei farti omaggio del mio lavoro.
- Mio padre non accetterebbe mai, lui preferisce pagare anche una cifra
spropositata anziché avere obblighi morali.
- Conosco tale mentalità. Preferirebbe pagare anche un miliardo, perché avrebbe la
sicurezza di avere pagato non solo l’opera, ma anche l’autore.
- Credo che stia esagerando. Comunque, se lo vuoi, ti farò dare anche un miliardo.
- Grazie no. Riferisci a tuo padre che Maurilio Calòs...No. Stavo esagerando
davvero. Ti prego di scusarmi. Rivolgiti a chi vuoi. La tua tesi mi costerebbe ben più del
denaro che potresti darmi. Ho già sbagliato una volta e spero di non farlo più.
Lidia teneva gli occhi bassi. Si sentiva umiliata doppiamente da quel rifiuto, ma
ammirava l’onestà di Maurilio e ciò lo rendeva ancora più amabile.
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—12^ pag.
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—13^ pag.
- Rinunzierò a laurearmi. - Disse con un filo di voce e con sincerità, senza pensare
che potesse essere un modo diverso per reiterare la proposta.
- No, tu ti laureerai senza il mio aiuto. Hai tutto il tempo che vuoi per studiare e
scrivere la tesi. Hai finalmente la possibilità di affermarti anche agli occhi di tuo padre.
Dopo aver salutato Patrizia con affettata cordialità, Lidia se ne andò.
Maurilio, da un canto si sentiva orgoglioso di avere rifiutato anche un miliardo per
difendere la sua fedeltà a Patrizia, d’altro canto però percepiva che il rapporto con la
moglie si era incrinato. Non aveva ricevuto da lei alcun rimprovero per avere rifiutato quel
lavoro, né si era sentito richiedere alcuna spiegazione, ma proprio in ciò stava il sintomo
del rapporto incrinato. Egli capiva che la sua Patrizia aveva intuito qualcosa che non
ammetteva neppure con se stessa, percepiva nel comportamento di lei una diversità
indimostrabile di cui non poteva chiedere spiegazione e ne soffriva più che se avessero
litigato.
In tal modo, soffrendo sempre di più, continuavano a vivere usando le medesime
attenzioni reciproche, le identiche modalità di lasciarsi e di ritrovarsi, di mangiare e di
andare a letto, ma ambedue sentivano che mancavano della comunicativa spontanea e
che un “quid” aveva raffreddato il loro amore.
A tutto ciò si era aggiunto un nuovo stato debitorio nei confronti della banca. E sì,
quell’antipatico Preposto aveva proprio ragione, lo stato di debitore lo si perde
difficilmente, come quello di cittadinanza. In quei mesi, pareva che la SIP, l’ENEL,
l’Acquedotto ed il Servizio di Riscossione dei Tributi, si fossero coalizzati per rendere loro
la vita difficile. Troppo difficile. Non finivano di pagare un debito od una fattura che ne
giungeva un’altra più rilevante. Anche gli elettrodomestici pareva che si fossero coalizzati;
prima s’era guastata la lavabiancheria, poi un televisore ed infine persino il frigorifero
quando era già giunto il primo caldo.
Patrizia non aveva detto a Maurilio che anche la sua vita d’ufficio era divenuta
difficile e vi percepiva costantemente l’ostilità del Direttore. Non solo la sua promozione
era stata rinviata senza alcuna spiegazione, ma era stata trasferita in un settore in cui,
oltre a perdervi la professionalità, v’erano colleghi anziani che non favorivano punto il suo
inserimento.
L’unica distrazione e sollievo dalle sue ambasce li avrebbe potuti trovare nei
quotidiani e frettolosi colloqui col dottore Piscopo, se però, il non avergli confidato né le
nuove difficoltà economiche, né il differente rapporto col marito, non avessero reso anche
quell’affettuosa amicizia più formale che confidenziale.
Maurilio aveva ricominciato ad accogliere il postino come un nunzio di nuovi affanni.
Il povero impiegato statale, rendendosi conto delle tristi notizie che recava, sia dal mittente
che dal colore delle buste, avrebbe voluto non compiere il suo dovere pur di non affliggere
lo scrittore, quel brav’uomo, della cui amicizia andava ancora fiero coi suoi colleghi; gli
porgeva quindi la posta ed il libretto da firmare da dietro il cancello, senza dir parola e
quasi nascondendo il volto dietro la fascia metallica del cancello per non farsi riconoscere.
Persino la preghiera mattutina, Maurilio aveva tralasciato. Anzi, evitava di volgere lo
sguardo verso la statua della Madonna, quasi ne temesse il rimprovero dallo sguardo
vitreo che, talvolta, guardando distrattamente, gli era parso di cogliere.
Gli stava accadendo il fenomeno opposto a quello precedentemente vissuto: Più
cresceva il suo stato debitorio con la banca, tanto più si allontanava da Dio. Di ciò non
aveva osato chiedersi la motivazione, quasi che fosse da temere al pari dell’ammissione di
una colpa. Egli, nello sforzo psicologico di obliare il suo adulterio aveva incluso anche la
fede, giacché nella sua cultura erano inscindibili. E dire che egli stesso aveva scritto :
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—13^ pag.
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—14^ pag.
“Quand’anche avessi la prova dell’inesistenza di Dio, la distruggerei, per non far patire
all’umanità anche questa mancanza.”
L’ultimo romanzo proseguiva stancamente. Ogni giorno, come sempre, in attesa
che ritornasse Patrizia, lo aveva continuato. Ma il giorno appresso, rileggendo ciò che
aveva scritto, avendolo trovato banale, sconnesso e senza un fine cui giungere, lo aveva
irrimediabilmente cancellato dal computer e dalla sua memoria.
Spesso si ritrovava a pensare un nulla così complicato, come i sogni, di cui non gli
restava ricordo, ma soltanto l’esito di aver trascorso inutilmente il tempo. E ciò, ora più che
mai, gli dava il senso della sua inutile attività di scrittore. Doveva già essersi abituato a tale
considerazione di sé. Invece no. Perché Patrizia gli aveva sempre rinnovato la speranza di
un futuro diverso e di un suo possibile buon successo di scrittore; ora, invece, era rimasto
solo con se stesso ed il suo computer che, da spento gli rimandava la tristezza del suo
viso, ed acceso, invece, gli vivificava la sua incapacità.
Ogni giorno pensava di avere un colloquio leale ed onesto con Patrizia, per risanare
il loro rapporto; lo costruiva sin dalle prime parole e con tutti i dettagli e le probabili risposte
di lei, toni e pause comprese, ma quando giungeva talvolta alla confessione del suo
tradimento, o talaltra al chiarimento di ciò che nel loro rapporto stava mancando, non
riusciva a concludere e si disperdeva in parole e pensieri vacui.
Patrizia, a sua volta, tornava a casa ogni giorno col preciso intento di tentare di
ripristinare l’amore, la comprensione, la confidenza, la stima e la fiducia col suo Maurilio,
che continuava a nominare in tal modo nei suoi pensieri, ma ne era impedita dalle nuove
bollette e dalle fatture da pagare, come se fossero quelle omologhe e maligne delle
fattucchiere.
Giustamente, concludeva amaramente il pensiero la poveretta, ambedue si
chiamavano fatture, giacché in effetti entrambe richiedevano sacrifici, quelle commerciali
direttamente ai destinatari, mentre quelle delle streghe in offerta al maligno, ma sempre a
danno dei destinatari.
Ormai, da mesi, ogni notte, la televisione a letto, era divenuta un modo per evitare
di fare l’amore. Non lo evitava lei, né avrebbe potuto dire che fosse lui ad evitarlo, ma si
dicevano buonanotte solo e sempre con lo stesso lieve bacio.
Lei, da un lato, piangeva silenziosamente, mentre lui, dall’altro, bagnava il cuscino
di lacrime e si mordeva una mano per impedirsi di singhiozzare.
Spesso, il mattino, quando compiva il rituale dell’accompagnamento della moglie
fino all’automobile ed attendeva che uscisse dal cancello, Maurilio ritornava davanti al suo
computer soltanto per abitudine; lo accendeva e portava la freccetta verso i giuochi, come
un ragazzo svogliato che sfugge dallo studio, od un disoccupato che cerca di obliare il suo
stato di tristezza, di autocommiserazione o di frustrazione.
Ogni tanto richiedeva al computer la visione del romanzo incompiuto. Lo leggeva
sin dall’inizio, correggeva o modificava qualche periodo, ne cambiava la grafica o la
composizione delle pagine, ma non giungeva mai all’ultima riga scritta, nel timore che si
sentisse costretto a continuarlo e nella certezza di non saperlo fare. Perché mai avrebbe
dovuto rileggere l’ultima riga, la conosceva a memoria: “ Si toccarono a lungo finché
stanchi si addormentarono.” Avrebbe voluto non avere scritto quelle parole che lo
riportavano immancabilmente al suo adulterio ed all’inizio della frattura del rapporto con la
moglie. Avrebbe potuto cancellarle, ma era sempre stato incapace di annullare una parte
di ciò che aveva scritto, a meno che non contenesse un errore, perché considerava
intangibile ciò che il suo pensiero aveva formulato. Ma non perché tenesse in alta
considerazione la sua composizione, ma perché scriveva quasi in “trance”, e ciò gli dava
la sensazione che lo scritto non gli appartenesse e, quindi, che non potesse prendersi
l’arbitrio di modificarlo.
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—14^ pag.
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—15^ pag.
Per non perdere del tutto la stima di sé, per non ammettere che si era ridotto a
giuocare con quella costosa macchina, diceva a se stesso che era necessario impratichirsi
maggiormente dei vari programmi del computer per migliorare le bozze, per velocizzarne
la stampa o per includervi eventualmente qualche disegno.
Disegno? Perché mai sentiva il bisogno di prendere in giro se stesso? A Patrizia,
brava anche in ciò, aveva sempre detto che lui era incapace persino di fare un cerchio col
fondo di un bicchiere, altro che disegno!
Tuttavia, richiamò il programma del disegno. Gli si presentò una tavolozza. Mosse il
“mouse” a giro, come per provare la scrittura di una penna, ottenendo alcune figure piane,
somiglianti ad ellissi intersecate ed irregolari; quindi pigiò il tasto del puntatore prima
sull’azzurro chiaro e poi su quello più scuro, rallegrandosi, come un bambino, dei colori
che andavano a riempire i suoi ghirigori. Infine, come un musicista scontento delle sue
stesse note, pressò con violenza i dieci polpastrelli delle dita sui tasti del computer e
spense la lampada da tavolo, che d’inverno, proiettata sulle mani, gli faceva da stufa, e
che in quel periodo, invece, rendeva l’aria più irrespirabile. Stava per spegnere il computer
senza curarsi di chiudere i programmi, quando sullo schermo gli comparve l’ultima pagina
del romanzo che stava scrivendo.
Quelle ultime parole erano diventate una persecuzione. Riaccese la lampada e si
propose di cancellarle. Al diavolo l’intangibilità, al diavolo la pretesa sacralità dello scritto,
al diavolo il romanzo, al diavolo...
Oh, no. Aveva trasportato la figura pasticciata di colori dalla tavolozza al romanzo,
ma in senso verticale. Come si faceva a cancellarla?
Fissò quella figura e gli parve di ravvisarvi... . No, non era possibile. Lui non
avrebbe mai potuto disegnare ciò che era rappresentato sullo schermo.
Eppure era là. Completa in tutti i particolari, con le pieghe del lungo abito e gli stessi
colori. Persino nel viso era perfettamente somigliante. Era lei, non c’era alcun dubbio, LA
DONNA DI SARAJEVO.
Si stropicciò gli occhi e la fissò ancora. Mesta, nel manto azzurro, pareva guardarlo
con i medesimi occhi quando gli aveva detto: “Che Iddio ti aiuti”.
Corse sopra a prendere il santino, quello che aveva trovato nell’aiuola. Non v’era
dubbio, anche in quello v’era raffigurata la medesima immagine.
Che cosa mai poteva significare, se pure avesse un significato, l’avere casualmente
disegnato una donna che somigliava alla donna di Sarajevo che, a sua volta, somigliava
alla Madonna raffigurata nel santino?
Sapeva bene che cosa significava. Era il senso della colpa, il bisogno di trovare
conforto in quella fede negletta che prima, per anni, lo aveva sostenuto. Ed il disegno? Ma
sì, era un fenomeno divenuto ormai comune, di cui aveva letto in un trattato di
parapsicologia. La così detta scrittura automatica. Scherzi della psiche, che rendeva
disegnatore e pittore persino un incapace come lui.
Stampò quella pagina quasi con la speranza che l’immagine si dileguasse, ed
invece permase con l’indicazione del giorno e dell’ora della stampa. Memorizzò il tutto,
chiuse il programma e spense il computer.
Scese dallo studio e s’inginocchiò davanti alla statua della Madonna. Si segnò con
la croce, e piangendo ammise il riposto pensiero del suicidio, da cui talvolta rifuggiva
atterrito ed in cui, talaltra, si rifugiava come soluzione unica per ridare alla sua Patrizia...
che cosa? La libertà? La felicita? Non era invece un’altra ammissione della usa incapacità
e viltà?
Chi ha mai detto che il pianto è liberatorio?
Sì, lo è, in parte. Lo è dagli affanni che, emergendo dal petto con violenza,
s’aggrovigliano quindi nella faringe come bolo isterico. Lo è dalla tristezza che, librandosi
nell’aria come velo nero, incombe poi sugli occhi.
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—15^ pag.
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—16^ pag.
Oh se fosse stato davvero liberatorio! Avrebbe pianto a lungo pur di non sentirsi in
colpa con Patrizia e di poterla riamare come prima.
Che gran bisogno aveva di Dio! L’ammissione delle colpe, della propria debolezza,
l’incapacità di resistere alle avversità, la paura di perdere ciò che aveva ed a cui
raramente si pensa, ed era tanto: la moglie, la vita, la salute, l’integrità di tutti i sensi,
l’intelligenza, la non povertà, la casa, sì, la paura di perdere tutto ciò per la banale
conseguenza di non possedere denaro, gli faceva sentire maggiormente il bisogno di Dio.
E’ forse viltà, o non piuttosto una comune esigenza di un solido, inalterabile, intangibile,
perenne appoggio? E ciò, poteva mai essere religiosità, o non era piuttosto interessato,
volgare ed opportunistico senso della divinità? Ma poteva esistere la religiosità pura, libera
da ogni speranza di miglioramento del proprio stato? E non era forse interesse il desiderio
di giungere alla salvezza dell’anima? Perché mai, dunque, è peccato il ricorso alla divinità
per finalità materiali ed il desiderio che la materialità altrui non ci arrechi danno, mentre
non solo non è peccato, ma è virtù degna di premio divino l’agire ed il pensare per la
salvezza dell’anima? Non è forse interesse anche questo? E perché mai l’interesse
immateriale ha maggior valore di quello materiale?
Sotto il braccio teso della statua della Madonna, Maurilio, in ginocchio, piangeva
liberamente, mentre Fido gli leccava una guancia e Bobo, accucciato sulle glenoidi delle
ginocchia, gli faceva le fusa.
Forse era vero che le lacrime erano liberatorie. Gli sembrava che i suoi debiti non
avessero più importanza e che persino la villa avesse perso il suo valore.
Si alzò accarezzando Bobo per farlo scendere dalle glenoidi delle gambe’ e si sentì
quasi assolto, purificato, più credente di quanto lo fosse mai stato. E’ la presunzione
umana, diceva a sé stesso, a non volere ammettere l’onnipotenza divina. Storicamente
era accertata la vita di Gesù Cristo, eppure, nonostante il valore sociale del suo pensiero e
delle sue leggi, si continuava a negare la sua natura divina. Ciò, era assolutamente
irrazionale, come se potesse mai esistere un uomo che, pur non avendo alcun fine né
materiale, né di principio, e persino neppure di salvezza della propria vita, potesse
mentire. A quale fine, dunque, discutendo in termini umani, avrebbe mentito?
Maurilio, rassicurata il suo pensiero di uomo razionale da quella “scoperta”, risalì le
scale verso il suo studio, con la certezza di avere ancora la speranza di un intervento
divino sulle sue attuali condizioni.
Riaccese il computer e continuò il suo romanzo.▼
Romanzo di
Francesco Capuzzello: Leggilo! Ti porterà fortuna Cap. 4—16^ pag.
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